New trend/Cento passi contro la mafia
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New trend/Cento passi contro la mafia
New trend/Cento passi contro la mafia di Tino Mantarro A guardarlo da lontano, mentre in piedi sugli scalini arringa la piccola folla davanti al teatro Massimo, Edoardo sembra uno di quei matti che si incontrano allo speaker’s corner di Hyde Park, a Londra. Un matto con la coppola. Solo che qui non siamo nella capitale inglese, ma in centro a Palermo. E Edoardo non è per nulla matto. Anche se forse chissà quante volte se lo saranno sentito dire lui e i suoi colleghi: «Che fai, sfidi la mafia, sei matto?». Edoardo Zaffuto, con Francesca Vannini e Dario Riccobono, è tra i fondatori di Addiopizzotravel, costola turistica di Addiopizzo, l’associazione che nel 2004 ha sfidato la mafia, e dalla sera alla mattina ha tappezzato le strade di Palermo di adesivi. «Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità» c’era scritto. Un gesto all’apparenza semplice, se solo Palermo in quegli anni fosse stata una città semplice. Un gesto che ha dato il via a una rivoluzione dal basso che ha cambiato in parte il volto della città in questi ultimi anni. «Il pizzo è la mafia» spiega deciso Francesco Sanfilippo dello Sco, la sezione della Polizia che si occupa di criminalità organizzata. «L’estorsione in cambio di protezione è la dimostrazione quotidiana di Cosa nostra della sua capacità di sostituirsi allo Stato, è il suo modo di affermarsi sul territorio. Ribellarsi al pizzo dunque è un segnale che c’è in città una società che si sta ribellando e che vuole cambiare» prosegue Sanfilippo. Aiutare, sostenere e stimolare questa società che cambia è la missione di Addiopizzo. Uno dei modi per farlo è portare i turisti in giro per Palermo e raccontargli una storia diversa da quella che si aspettano. «Noi sappiamo benissimo cosa è la mafia. E vogliamo farlo capire anche ai turisti, spiegando che l’equazione Sicilia uguale mafia è una scemenza. Facendo vedere a tutti come ci siano tantissime realtà che ogni giorno dicono no alla mafia e alla cultura mafiosa» spiega Edoardo. «Quando è nata Addiopizzotravel era più una questione di volontariato» aggiunge Francesca Vannini. «Poi ci siamo resi conto che c’era una reale domanda di vedere le cose di persona e da un’altra prospettiva, così abbiamo creato la nostra agenzia che si occupa di incoming e organizziamo viaggi responsabili in Sicilia» prosegue. Si va dalla passeggiata attraverso i luoghi simbolo della lotta alla mafia nel centro di Palermo – dal Tribunale alla Questura, passando per la Cattedrale e palazzo delle Aquile, sede del Comune – alla vacanza di una settimana nella Sicilia occidentale, visitando altri luoghi importanti del movimento antimafia, come Portella della Ginestra o Corleone. Scelte consapevoli Il principio è semplice. «Il turismo deve essere etico, responsabile e critico. Non un euro di quello che i viaggiatori spendono, anche indirettamente, deve finire alla mafia, per cui li facciamo soggiornare nelle strutture che hanno aderito alla rete e li accompagniamo nei negozi che espongono il nostro adesivo, simbolo che quel commerciante si è ribellato» aggiunge Francesca. All’inizio erano pochi negozi poi, al ritmo di cento l’anno, sono diventate oltre 800 le attività che aderiscono alla rete ed espongono sulla vetrina la vetrofania arancione. «Funziona come una specie di attenti al cane» racconta Edoardo. «Se c’è, anche i mafiosi stanno attenti». E racconta con orgoglio di quanto è emerso da alcune intercettazioni ambientali: «Un pentito spiegava che avere a che fare con i negozianti della rete Addiopizzo era una vera camurria, un casino. Denunciano e si oppongono, per cui tanto valeva andare subito dagli altri». I ragazzi di Addiopizzo non sono certo gli unici a proporre il turismo antimafia. Più o meno negli stessi mesi del 2009, nasceva anche Libera, il g(i)usto di viaggiare. Un’attività che nasce da Libera, l’associazione nazionale contro le mafie creata da don Ciotti. «L’esperienza delle cooperative come la Placido Rizzotto, che gestiscono i beni confiscati alla mafia, in Sicilia e non solo, è preesistente. Negli anni però si è creato un grande interesse per vedere da vicino l’attività che veniva fatta sui beni confiscati. Condividere un’esperienza che viene portata avanti da tanti giovani e non solo per affermare una realtà alternativa» spiega Enza Sorci, responsabile del progetto turistico di Libera. La grande forza della sua alternativa è la concretezza. «In queste terre diventare una realtà concreta significa dimostrare che la legalità non è semplicemente una questione di principio, una testimonianza fine a se stessa. La legalità dà lavoro, ed è un lavoro con tutti i crismi, che rispetta i tuoi diritti di persona e lavoratore» spiega Enza. Un lavoro che diventa doppiamente legale. «Qui se lavori in agricoltura o nel turismo difficilmente ti mettono in regola con i contributi. Mentre noi paghiamo tutto, sempre» racconta Alessandro Lo Coco, responsabile dell’agriturismo Terre di Corleone, nelle campagne del paese che suo malgrado è diventato simbolo della mafia siciliana. «Se riesci a far capire alla gente che stare dalla parte della legalità non è solo eticamente giusto, ma anche conveniente, allora hai segnato un punto a tuo favore» aggiunge Enza. Oltre che lottare per la legalità, il lavoro dei ragazzi di Libera ha dalla sua anche una forte dimensione etica, di impegno per la propria terra. «Prima lavoravo in Alitalia, ero anche rimasto dopo il tracollo di qualche anno fa, ma ho preferito cambiare e mettermi in gioco in quest’esperienza. Perché volevo fare qualcosa di utile e concreto per la mia terra». Così lui, che è di Palermo, e Fabiana, che invece è di San Giuseppe Jato, da oltre un anno gestiscono l’agriturismo nato sulle terre confiscate al capo dei capi. «Queste contrade appartenevano a Totò Riina e prima di lui a Luciano Liggio» raccontaAlessandro. «La gente del paese non entrava, perché sapeva che non ci poteva entrare». E ancor oggi sono davvero pochi quelli che varcano il suo cancello, anche solo per farsi una passeggiata fino alla cascata di Gorgo del drago, che si trova poco distante dall’agriturismo. «Il problema è far accettare questa struttura ai corleonesi, ma è anche la vera sfida di quest’avventura» aggiunge Alessandro. Mentre farlo piacere ai turisti non deve essere difficile, basta fare due passi: guardare l’orizzonte vuoto di costruzioni, ammirare un paesaggio maestoso, che non ti aspetteresti di trovare in Sicilia e il gioco è fatto. Ma certi giochi son più difficili di altri. Una sfida continua San Giuseppe Jato è sempre stato un luogo a forte presenza mafiosa che ancora non ha del tutto digerito la presenza dei ragazzi di Libera. Emilio è un ragazzo del paese e lavora all’agriturismo Portella della Ginestra quasi dall’inizio. La struttura è stata confiscata alla famiglia di Giovanni Brusca, lo scannacristiani. Il cruccio di Emilio, come quello di Emiliano, il cuoco, che invece è di Roma, è l’assenza di ospiti di San Giuseppe Jato. «Il posto è bello, la qualità di quel che serviamo, che viene realizzato con i prodotti biologici delle altre cooperative di LiberaTerra, è alta, i prezzi concorrenziali, malgrado questo l’affluenza della gente del posto è scarsa, per non dire inesistente. Perché non vengono?» si chiede Emiliano. Se venissero vedrebbero giovani siciliani che hanno voglia di far rifiorire la terra su cui sono nati. «Alle volte qualcuno con sarcasmo ti dice: “che vuoi, cambiare il mondo?” E sai io cosa gli rispondo? Gli rispondo che sì, voglio cambiare il mio mondo, questo mondo dove sono nato e lo voglio fare praticamente, giorno per giorno. Non solo come testimonianza ideale» aggiunge. Per capire fino a che punto tutto questo sia possibile, è istruttivo fare un giro alla cantina Centopassi, gestita dalla cooperativa Placido Rizzotto. «Qui si producono 150mila bottiglie di vino. Bottiglie che sono state premiate sulle migliori guide enologiche italiane per la loro qualità. E questo per noi è molto importante, perché è l’ennesima prova che la cultura della legalità dà dei risultati concreti a tutti gli effetti, non ha solo un valore simbolico» spiega Francesco Citarda.E che l’impegno allegro e costante di Edoardo, Enza, Francesco, Chiara, Francesca e tutti gli altri stia dando i suoi frutti lo si capisce per strada, in centro a Palermo. All’altezza di via Macheda un ragazzo vede l’allegra comitiva della domenica a piedi di Addiopizzo, le borse con il logo dell’associazione a tracolla, e commenta a voce alta: «Non devi scrivere “Pago chi non paga”. Devi dirlo chiaro: “Chi paga il pizzo è un cretino”». E chi lo combatte non è un pazzo.