Letteratura migrante in Germania
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Letteratura migrante in Germania
Massimiliano Sbenaglia Letteratura migrante in Germania Paradigma della “creolizzazione” culturale europea A vent’anni dal Muro una proposta interculturale per il superamento dei “muri” ancora esistenti Presentazione di Vito Antonio d’Armento Collana “Orizzonti” 02 Massimiliano Sbenaglia, Letteratura migrante in Germania. Paradigma della “creolizzazione” culturale europea Copyright © 2009 Tangram Edizioni Scientifiche Trento Gruppo Editoriale Tangram Srl Via Verdi, 9/A - 38122 Trento Collana “Orizzonti” - NIC 02 Prima edizione: dicembre 2009, Printed in Italy ISBN 978-88-6458-006-7 In copertina:3d rendering of the unzipping wall © auris - Fotolia.com Progetto grafico di copertina: „non posso più scrivere in maniera monolingue“ Édouard Glissant … perché le pupille abituate a copiare inventino i mondi nei quali guardare… Fabrizio De André SOMMARIO Introduzione 13 Capitolo I Vivere la diversità d’immigrato in Germania tra vecchie e nuove “identità”: aspetti storici e sociologici I.1 Nascita e “ fasi” delle comunità di immigrazione I.2 Italiani e Turchi in evidenza: nel bene e nel male I.3 Doppia cittadinanza tra vecchie e nuove “ identità” 19 28 40 Capitolo II Gastarbeiterdeutsch e “memorie migranti”: aspetti socio-linguistici e culturali II.1 Identità, migrazione e letteratura: aspetti socio-linguistici 51 II.2 Lingue e linguaggi per una estetica della diversità 60 II.3 Coesistenza problematica di “memorie” e culture 70 Capitolo III Migrantenliteratur e Intercultura: innovare la letteratura raccontando la diversità III.1 La letteratura tedesca della migrazione: tra crisi d’identità e spinte innovative III.2 Modelli letterari per raccontare la diversità: esempi di scrittura di immigrati turchi III.3 Modelli letterari per raccontare la diversità: esempi di scrittura di immigrati italiani 81 92 105 Capitolo IV Una rifondazione teorica per comprendere le “differenze”: da una poetica della distinzione alla poetica della relazione IV.1 Tempo lineare e culture a “radice unica”: la scrittura della memoria IV.2 Mente e tecnologia: alle radici delle “ distinzioni” per comprendere le “ differenze” IV.3 Tempo circolare e culture “a rete”: la scrittura senza memoria 117 127 137 Conclusioni… per ribadire 149 Riferimenti bibliografici a) Bibliografia generale b) Sitografia di riferimento 159 159 170 Letteratura migrante in Germania Paradigma della “creolizzazione” culturale europea A vent’anni dal Muro una proposta interculturale per il superamento dei “muri” ancora esistenti Conoscendo il giovane autore del libro che qui presento, posso scommettere su alcune ipotesi che mi consentono di evitare di scavare nella materia complessa e specialistica trattata, ma solo perché – a mio parere – il tema sulla “letteratura migrante” in Germania (Migrantenliteratur) rappresenta appena la pelle di un più vitale corpus la cui fisiologica anatomia, per quanto in corso d’opera da parte del suo autore, intendo comunque svelare. Operazione facile da ipotizzare ma difficile da portare in porto, potendo appena far leva sul senso d’avventura con cui il giovane autore del volume è venuto elaborando il proprio processo che lo ha introdotto nel mondo della scrittura. Senza portarsi con sé il tradizionale bagaglio del narcisismo cui appartiene una quota consistente della nostra identità occidentale – anzi preoccupandosi, così giovane, di scrutare nelle infinite forme metaforiche della scrittura gli inquietanti segni del cambiamento epocale, le anticipazioni di un bisogno utopistico a cui è stato adeguatamente educato e preparato da un ambiente familiare che ha saputo fare i conti col passato, con l’antropologia ed i saperi materiali e locali (il padre Salvatore – studioso e autore di scritti su problematiche formative – lo ha avviato per tempo a riflettere, tra l’altro, sull’integrazione/interazione di codici e linguaggi, vecchi e nuovi, compresi quelli tecnologici e multimediali). Con l’anima piena di memoria, Massimiliano si è lanciato in avanti, per cogliere i segni di un cambiamento che presentassero la stessa densità materica dei reperti archeologici con cui suo zio Cosimo Occhibianco – cultore di scienze demologiche – gli ha riempito la casa, facendoglieli manipolare sin da quando era bambino. Ed è per questa ragione che, nelle discussioni col giovane autore, si è sempre venuta producendo una distanza, che non è stata mai la distanza naturale ed ovvia tra il (mio) presente e il (suo) futuro, tra il senso di realtà e il sogno – quanto piuttosto tra il passato, su cui continua ad attardarsi il nostro presente ormai tardigrado ed un futuro a cui è consentito l’accesso giusto a quei giovani che ne 9 intuiscono gli orizzonti tracciati da un sintetico colpo d’occhio in cui si fondono passato e presente, memoria e coscienza critica di un’attualità effimera e sempre più in transito verso stagioni che solo a pochi è dato di prefigurarsi. La prima scommessa – dunque – è che Massimiliano Sbenaglia non si limiterà, quanto alla sua vocazione scrittoria, a questa prima pubblicazione. È così pieno di energia – certamente ancora contratta, ma quanto effervescente! Gliela si può a volte misurare, sottoponendoti alla fatica di stargli dietro quando incalza con argomenti a cui ti sembra di doverne aggiustare il tiro, manipolandoli con le tue vecchie categorie filosofiche. Ed è allora che il flusso con cui lui vuole invaderti la mente, s’interrompe – ma non per indolenza o per sentimento di arrogante superiorità, quanto piuttosto perché è lui, in quel momento, che ha misurato la sua distanza da te; e allora forse si prende il tempo per tornare a parlartene, perché tu non sei pronto. Alla luce di queste considerazioni – che sono una testimonianza di chi ha consumato consuetudini conversative con l’Autore – tento di dar-mi una giustificazione di questa sua scelta di dare alle stampe questo libro che proviene dal lavoro di tesi. La scrittura per Massimiliano Sbenaglia è un po’ la prosecuzione di un colloquio che lui vien facendo non solo con gli amici o con qualche professore – quanto piuttosto con classici che ne hanno orientato la riflessione spingendolo ai margini del mondo. Da quei margini gli è dato di vedere coloro che stanno al di qua e quegli altri che stanno al di là. Non so quale habitus abbia Massimiliano, ma di certo non è in una posizione in cui gli uomini preferiscono starsene, nella tranquillità di un fiume storico che non sia in piena. Non so se Massimiliano indovina il nuovo o ne intuisce i caratteri – posso solo rilevarne una irrequietezza intellettuale che è anche etica. Sa, insomma, che i cambiamenti sono radicali, che il mondo è ormai preso da un vortice di dinamiche che potranno influenzare la coscienza profonda dell’umanità. 10 Non è un caso che la sua dev’essere diventata una vision a cui corrisponde, in qualche modo, una mission. Ha attraversato per lungo e per largo il mondo, per imparare a parlare come parla la gran parte del mondo – e con la lingua ha assimilato una ricchezza culturale che dev’essere stato il suo vero obiettivo intellettuale ed etico dei suoi viaggi. Si è occupato di multilinguismo esplorandone gli effetti nei processi dell’ibridazione e della creolizzazione, ma soprattutto si è incuriosito dei processi induttori determinati all’interno dei congegni mentali dai sistemi che velocizzano le occasioni di apprendimento: se pensieri e sogni si muovono a velocità elevate, di fatto è come con altrettanta velocità si muovessero, negli spazi virtuali, le persone. E cosa accade alle persone che mai come prima si sono adeguate ad un mondo che si muove a velocità che non è solo misurata col tempo ma anche con la quantità di dati che smuove? Sbenaglia ne misura i processi attraverso gli effetti prodotti nelle letterature, ma si interessa anche di processi migratori e dunque rileva taluni cambiamenti che son venuti producendosi negli spazi mentali di popolazioni che mai avrebbero registrato una tale evoluzione se non si fossero trovati coinvolti nei flussi migratori sostenuti da un sistema internet, dai telefoni cellulari e da tante altre strategie sovrastrutturali o post-materiali che di volta in volta hanno preso la forma della interculturalizzazione come della innovazione tecnologica. Ma per Sbenaglia il caleidoscopio, con cui ha osservato il mondo dal crinale dove è stato spinto dalla sua stessa curiosità, non ha smesso di offrirgli altre prospettive – e così si è lanciato nel subuniverso delle letterature, ha ri-attraversato il sub-universo filosofico, ha messo a fuoco temi e problemi che solo chi è solo di fronte ai segni del cambiamento può osare di guardare con sguardo fisso, perché gli urge una risposta. Ma quale risposta? Sbenaglia sa solo che deve continuare a chiedere per capire cosa deve continuare a chiedere. Il suo non è tempo 11 di risposte – come quelle che ci siamo date noi, per concludere con l’inquietudine che ci sovrasta come una chiusura apocalittica di ogni tempo (perché è questo che pensano coloro a cui sta per finire il loro tempo, non immaginando neanche che possa esserci un altro tempo). Il suo è tempo di domande – ed è per questo che quando Massimiliano viene a conversare continua a chiederti, a chiederti, a chiederti – perché vuole portarti ai confini di un mondo che per lui è già possibile. Basti vedere i libri citati nella bibliografia di questo libro, per rendersi conto con chi dialoga e di cosa dialoga Massimiliano. Ed ecco la seconda scommessa. Massimiliano Sbenaglia non solo continuerà a scrivere (la prima esperienza gli darà il senso della scrittura, che non è dire qualcosa tratta dalle contee prossime della propria storia, quanto piuttosto liberare l’intelligenza e la sensibilità per dire la cosa più autentica che si possa dire, con la consapevolezza di dirla alla stessa maniera in cui potrebbe dirla una qualunque altra persona che si lasciasse andare in un racconto del mondo, giusto per farne emergere i caratteri di una coscienza cosmica che ci tiene uniti al creaturale) – ma soprattutto scriverà di questi segni di una mutazione che lui già intravede, mescolando nel brodo primitivo della vita stessa (come anche della cultura) un vocabolario innovativo fatto con termini come “multilinguisticità”, “rizoma”, “rete”, “sinergia”, “connettività”… di ascendenza batesoniana e post-batesoniana (tutt’altro che estraneo sembra anche il pensiero fortemente innovativo del canadese Derrick De Kerckhove), ma che in ogni caso Massimiliano organizza con quel senso di responsabilità che in qualche modo è dentro al nuovo bigbang che ormai ci si attende – con la medesima forza creativa – nell’universo culturale. Vito Antonio D’Armento Docente di Sociologia, Università del Salento 12 Introduzione L’umana storia da sempre è stata attraversata da movimenti di persone e popoli. Quello delle migrazioni – si sa – è un fenomeno antico quanto l’umanità, pur avendo assunto nei millenni diverse forme e direzioni, con diversi mezzi e destinazioni, ma sempre sotto la stessa spinta: il desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, la speranza di una terra promessa, o spesso anche la ricerca di un’avventura altrove. Nel secolo ormai trascorso tale fenomeno ha interessato – e continua a interessare – in buona parte molti cosiddetti “sud” che migrano verso quel “nord” chiamato Europa, nato nella leggenda come l’approdo di una fanciulla asiatica, rapita e condotta a Creta dal divino Zeus per dar vita ad una stirpe nuova. In genere – soprattutto nei processi migratori degli ultimi vent’anni – a partire sono i più giovani e i più robusti, ovvero quelli con maggiori possibilità di successo. Fuggono da una vita di povertà e di miseria, o dalla mancanza di libertà a causa di regimi oppressivi. Scelgono la via dell’espatrio o dell’esilio volontario con una fuga coraggiosa: abbandonano la casa, gli affetti, a volte anche un lavoro, per assecondare l’aspirazione legittima ad una vita migliore o comunque a una vita diversa che sia degna di essere chiamata tale. Il fenomeno migratorio – ormai di dimensioni bibliche – qui ci interessa non sotto l’aspetto storico o sociologico o politico o statistico (se non in forma marginale e integrativa), ma solo o soprattutto sotto l’aspetto letterario, quale possibile contributo alla nascita di una letteratura cosiddetta ‘interculturale’. Un aspetto leggibile in chiave generale, caratteristico di ogni presenza stranie- 13 ra di rilevante consistenza (e quindi in molta misura interessante anche l’Italia1), anche se in questa sede calato e studiato nello specifico della realtà tedesca. Infatti, come esiste una letteratura in lingua inglese praticata da individui non britannici di nascita o di origine – e lo stesso vale per la letteratura italiana, francese, spagnola, e così via – ne esiste anche una in lingua tedesca, forse molto più diffusa e per certi versi molto più promettente, per la presenza di validi autori (soprattutto italiani e turchi), che con le loro opere hanno contribuito fortemente alla nascita e alla crescita di una letteratura interculturale europea. Per lo studioso, dunque «si tratta di arrischiare la [sua] scienza dentro una mischia aperta e irregolare, dentro un nuovo ordine plurale»2 , per cogliere la capacità di una lingua di farsi strumento e tramite di culture che non le appartengono originariamente, ma i cui rappresentanti hanno scelto di adottarla, plasmarla, mescolarla per poi ricrearla, dandole nuova vita e colmandola di valori per molti aspetti ancora inespressi. Si sa che gli incontri tra uomini e tra popoli hanno sempre dato luogo a scambi linguistici e culturali: dall’incontro tra civiltà araba e greca, poi greca e romana, all’incontro-scontro tra romani e Risale a poco più di quindici anni fa la nascita di quella che Armando Gnisci ha definito la “letteratura italiana della migrazione” (cfr. A. Gnisci, Creolizzare l’Europa, Meltemi, Roma 2003, p. 75). Sulla questione della letteratura straniera in Italia, considerata in un’ottica di innovazione interculturale, cfr. anche – tra gli altri – P. Calefato, P.G. Caprettini, G. Colaizzi (eds.): Incontri di culture, UTET, Torino 2001; É. Glissant, Poetica del diverso, Meltemi, Roma 1998; A. Prete, S. Dal Bianco, R. Francavilla (eds.), Stare tra le lingue, Manni, Lecce 2003; F. Sinopoli, Poetiche della migrazione nella letteratura italiana contemporanea: il discorso autobiografico, in: “Studi (e testi) italiani”, Semestrale del Dipartimento di italianistica e spettacolo dell’Università di Roma “La Sapienza”, 7, 2001, pp. 189-206. 2 A. Gnisci, op. cit., p. 26. 1 14 popoli cosiddetti barbarici; dagli influssi della cultura ebraica su quella cristiana (la poesia biblica giunta a noi nel suo nuovo abito latino…), agli scambi tra popoli europei e agli apporti di culture più lontane, come quella cinese, quella indiana… Il multiculturalismo, il plurilinguismo, la creolizzazione sono fenomeni che da sempre accompagnano la storia umana; da sempre i popoli migrano, i singoli prendono la strada dell’esilio. Oggi il mondo sembra più piccolo, i confini più vicini, i luoghi d’incontro, di scontro, si moltiplicano, è impossibile contenere i flussi di persone come quelli di pensiero: gli scambi vanno accelerandosi e le frontiere, anche se geograficamente definite, diventano sempre più labili dal punto di vista delle culture. Stiamo vivendo un’epoca in cui i letterati migrano da un pae se all’altro e da una lingua all’altra (basti pensare a Chiellino, Özdamar o Zaimoglu in Germania; Kundera, Hajdari o Glissant in Italia), contribuendo così a realizzare quella situazione di ‘creolizzazione’ in cui «gli elementi culturali più lontani ed eterogenei possono, in alcune circostanze, essere messi in relazione. Con risultati imprevedibili»3. Certamente non si tratta di affrontare il discorso con facile ottimismo, secondo il quale due o più culture possono accostarsi e accettarsi acriticamente, senza conflittualità. L’accoglienza del ‘diverso’ può essere (e quasi sempre è) dolorosa: per chi ospita, ma anche per chi è ospitato, comportando quasi sempre qualche rinuncia, qualche cedimento. L’arricchimento verrà in seguito, soprattutto per chi avrà saputo rischiare. Né si può pensare che creolizzare, creare scambi interculturali, possa significare annullare due entità nella creazione di una terza che trae elementi dall’una e dall’altra. Si tratta piuttosto di rendere possibili delle relazioni, di creare un luogo di scambio dove i soggetti in questione continuano a esistere separatamente, ciascuno 3 É. Glissant, op. cit., p. 20. 15 con le proprie caratteristiche, ma arricchito l’uno dall’altro4. Non si danno relazioni se non tra due o più elementi, l’annullamento di uno di questi elementi nell’altro comporterebbe il venir meno della possibilità stessa della relazione, vera essenza della ‘creolizzazione’, che non è quindi un risultato ma un modo di rapportarsi e di intendere la cultura. Del resto lo stesso mito della lingua unica, in cui si riconoscano tutte le civiltà, è decisamente tramontato (e comunque, per fortuna, mai realizzato e irrealizzabile)5: riassumere tutte le culture in una sola lingua comporterebbe un impoverimento, un blocco, una situazione di stasi (dovuta all’impossibilità di scambio e rinnovamento) che sarebbe la morte della Cultura stessa. Il movimento, lo scambio, il fluire – invece – sono di sicuro essenziali alla sua sopravvivenza. Proprio per ciò è importante uno sguardo attento al ‘diverso’ che spontaneamente e generosamente ci viene incontro, perché portatore di possibile rinnovamento. Una letteratura incapace di rinnovarsi, di accogliere i nuovi stimoli che le condizioni epocali le offrono, corre il rischio del ristagno, del logorio, dell’invecchiamento. La grande sfida di un mondo dove persone, pensieri e sogni si muovono a velocità elevate – grazie soprattutto a Internet – è proprio quella dell’ibridazione, della creolizzazione delle culture: accogliere questa necessità di rinnovamento, senza temere che la nostra millenaria tradizione culturale possa venir profanata, è oggi il Gëzim Hajdari spesso sottolinea l’opportunità di sostituire il termine “integrazione”, che comporta un’idea di sopraffazione culturale, con il termine “interazione” (Cfr. G. Hajdari, Spine nere, Besa, Nardò 2004, passim). 5 Per questo motivo non ci sembra di poter condividere la tesi dello scrittore estone Emil Tode, secondo il quale «fino a quando non c’è una lingua europea, non può nascere una letteratura europea come fonte di identità» (cfr. E. Tode, Inchiostro, in M. Fortunato - M.I. Gaeta (eds), TransEuropaExpress. Scrittori della nuova Europa, B.U.R., Milano 2005, p. 237). 4 16 compito di una critica attenta ai fenomeni sociali e ai movimenti storici che inevitabilmente influiscono anche sulla/e letteratura/e. E nel seguire questa traccia si dovrà sempre considerare la diversità come un valore, come il fatto che il prodotto di due culture non è composto semplicemente di due metà, ma di uno più uno, e si dovrà sempre poter fare riferimento ai punti di partenza, per un effettivo incontro tra culture che si muovano verso la ‘interazione’ interculturale. Per la verità la lingua tedesca, come anche quella italiana, sta affrontando questo avvicinamento in ritardo, anche se in modo diverso rispetto alle altre lingue europee, in quanto l’impatto con le altre culture non è frutto di imposizione e di scontro, ma di incontro di civiltà. Scrivere in una lingua non materna sarà pur sempre una scelta sofferta, ma «positiva perché avvenuta in nome di un futuro comune e non di un passato da sanare»6. Essendo diverse le premesse storiche della letteratura della migrazione in Germania rispetto a quelle che hanno originato le letterature coloniali e post-coloniali, bisognerà adottare parametri critici differenti, modificare gli schemi concettuali finora utilizzati e crearne di nuovi, come stanno facendo gli studiosi che si sono a vario titolo impegnati in queste ricerche. Bisogna innanzitutto partire da una prospettiva comparatistica, che tenga conto (per quanto possibile in un campo così vasto) delle culture di provenienza dei singoli autori. A ciò si dovrebbe aggiungere una valutazione delle influenze apportate dalla cultura che potremmo dire di arrivo (in opposizione a quella di partenza): sarà bene valutare ciò che in questo incontro è fonte di scambi e ciò che invece crea conflitti. Inoltre è necessario superare la logica binaria di una cultura che opprime l’altra imponendole i propri Così si è espresso Carmine Chiellino nel suo intervento al Convegno nazionale su Migrazione e letteratura: la parola come luogo d’incontro, organizzato dalla fondazione ISMU, il 4 maggio 2004. 6 17 valori e le proprie strutture, andando anche oltre il concetto di culture distinte in base a lingua, nazione, territorio… Insomma, si tratta di scavare in quel concetto di “diversità” ( fremde) vissuta dagli immigrati italiani e turchi in Germania, protesi alla ricerca di una problematica identità europea, per fare emergere il “valore aggiunto” di una estetica della diversità, che nasce da una “memoria migrante”, in grado di capovolgere e stravolgere vecchie ancestrali concezioni chiuse e “dal respiro corto”, fino a giungere – attraverso modelli letterari, soprattutto di italiani e turchi, che raccontano la diversità – a dimostrare come una corretta Letteratura Interculturale possa in definitiva contribuire a rinnovare complessivamente il patrimonio letterario europeo. Ma a condizione però che si sia in grado di ripensare l’intera problematica della “diversità”, rifondandola questa volta su basi teoriche tali da tentare di “sradicare” il concetto di fremde: e con ciò il lavoro di ricerca7 si conclude evolvendosi ambiziosamente verso obiettivi più generali, fino a prospettare una “creolizzazione” globale della cultura europea (e non solo!) di cui la letteratura “migrante” rappresenta un paradigma importante, oltrecché una testimonianza diretta. In tal senso una ricerca sulla letteratura “migrante”, quale opportunità di superamento dei pregiudizi culturali, risulta di forte attualità, tant’è che si può sostanzialmente ipotizzare che, indirettamente, finisce col fornire anche un importante contributo – a vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino – all’abbattimento dei tanti muri ancora esistenti! La presente pubblicazione riprende sostanzialmente la tesi di laurea da me sostenuta con il prof. Mauro Ponzi presso l’Università “La Sapienza” di Roma il 27 novembre 2007 (titolo originale: La Migrantenliteratur in Germania: paradigma dell’avanzante “creolizzazione” culturale europea). 7 18