Testo PDF - Sapienza

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Testo PDF - Sapienza
Note a margine della vita religiosa
nel Cinquecento: i Primi Gesuiti
di Alessandro Guerra
La recente traduzione italiana del saggio di John W. O’Malley sui Primi
Gesuiti ha finalmente dato l’opportunità ad una più ampia platea di lettori di approfondire in maniera utile la conoscenza di uno fra gli Ordini
religiosi che fin dalla fondazione ha richiamato su di sé l’attenzione, e
mai in maniera neutrale, attirandosi o un’incondizionata venerazione o
l’astio di detrattori irriducibili, che, di volta in volta, hanno presentato i
gesuiti come la personificazione del male, come un gruppo che all’interno
della Chiesa romana agiva badando soprattutto a finalità proprie, come
complottardi o istigatori al tirannicidio e alla sovversione sociale, fino
alla soppressione decretata dalla bolla papale Dominus ac Redemptor del
. Lo scioglimento dell’Ordine imposto a Clemente XIV che si mosse
spinto «dal dovere di riportare la concordia nella Chiesa […] e per altre
ragioni di esperienza e sapienza di governo che teniamo chiuse nel nostro animo» fu perseguito con estremo zelo, costringendo al carcere lo
stesso generale della Compagnia, Lorenzo Ricci, che, detenuto in Castel
S. Angelo, morì nel .
Merito principale dell’autore, e non è poco, è quello di aver scritto,
senza eccessiva partigianeria, un libro in cui alla facilità di lettura si accompagna acribia filologica non comune, un gusto ed una ricercatezza
bibliografica (per lo più di matrice gesuitica e senza alcun supporto archivistico) che, nonostante la scientificità indubbia dell’opera ne concreta
la massima fruibilità anche all’esterno dei soli addetti ai lavori.
L’argomento trattato naturalmente non è di per sé nuovo, disponendo i gesuiti di una scuola storiografica che ha sempre avuto molto a
cuore, com’è ovvio, la propria storia: padre Pietro Tacchi Venturi e padre
Mario Scaduto, per citare due fra gli storici più importanti, hanno già
ricostruito il disegno complessivo delle vicende occorse alla Compagnia
di Gesù durante il generalato di Ignazio di Loyola, di Giacomo Laínez
e di Francesco Borgia, dalla fondazione dell’Ordine con la bolla papale
Regimini militanti Ecclesia del  settembre , all’elezione del quarto
generale – il belga Everardo Mercuriano nel .
Dimensioni e problemi della ricerca storica, n. /
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ALESSANDRO GUERRA
Anche la storiografia laica si è occupata di ricostruire le vicende
storico-politiche della Compagnia, preferendo però deviare la prospettiva e recuperarne la visuale da diversi punti di vista: il rapporto con
l’Inquisizione romana e il legame con la tradizione missionaria, la struttura
educativa con i vari collegi, università e seminari, l’ideologia politica, la
confessione, per rimanere solo ai lavori più recenti.
L’ambizione dell’Autore è quella di trattare in maniera
“onnicomprensiva”(p. ) i ministeri e la cultura dei primi gesuiti, cercandone le linee guida in tutti gli aspetti della vita di Ignazio e dei suoi
primi compagni: negli Esercizi Spirituali ignaziani, vera e propria sorgente
di spiritualità dei primi gesuiti e di quelli successivi, nello sviluppo delle
pratiche pastorali, nella strutturazione di un modello educativo che pervaderà gran parte dell’Europa cattolica, nell’elaborazione di una propria
cultura religiosa e teologica che, pur partendo da Erasmo, approderà
con Possevino e Bellarmino ad una rigida definizione dell’ortodossia
controriformista.
Con la bolla di Paolo III del , la Compagnia di Gesù ricevette la
sanzione di ufficialità, e fu così in grado di operare con piena legittimità
nelle varie province della christianitas; tuttavia, già alcuni anni prima di
tale data, sotto la guida di Ignazio, i suoi primi compagni si erano dedicati ad «aiutare gli altri», come recita quello che da allora fu il motto dei
gesuiti. Era stato lo stesso Ignazio che a Venezia, dove si era recato per
passare a Gerusalemme, aveva dato l’esempio aiutando in un ospedale i
moribondi, portandosi dentro fin da allora «un sogno non ancora circoscritto» che lo accompagnò nella sua esperienza nella Città santa: quando
infatti, dopo molti sforzi, riuscì ad arrivarci, si ripromise devotamente
di visitare i luoghi santi, sperando soprattutto di esser di qualche utilità
ad «aiutare le anime».
La vita avventurosa di Ignazio è nota a tutti: gli iniziali ardori militari e cavallereschi (che contraddistinguevano gran parte della hidalguia
della provincia spagnola), la conversione dopo aver rischiato la morte
nell’assedio di Pamplona, fino all’arrivo a Manresa nel -, dove
venne elaborata la base degli Esercizi Spirituali come sublimazione e
«distillato della propria esperienza» (p. ). Intanto la sua condotta non
sfuggì ai rigidi controlli dell’Inquisizione spagnola: accusato di alumbradismo fu condannato dal tribunale di Salamanca a quarantadue giorni di
carcere: dal quel momento l’attenzione dei tribunali inquisitoriali spagnoli fu estremamente vigile e tutta la sua vita e l’intera sua produzione
saranno passate al vaglio dai severi gestori dell’ortodossia romana, che
periodicamente chiederanno la verifica della sua dottrina dell’ispirazione
interiore, delle sue affinità e suggestioni erasmiane ed anche il legame
ritenuto innaturale ed il troppo spazio concesso nella sua Compagnia ai
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NOTE A MARGINE DELLA VITA RELIGIOSA NEL CINQUECENTO
cristianos nuevos: quest’ultima è stata un’accusa lanciata molte volte nei
confronti della Compagnia ed usata strumentalmente dagli avversari: lo
stesso Ignazio per prevenire le critiche (che coinvolsero anche il Laínez,
che gli sarebbe succeduto alla carica di generale) esortò i suoi confratelli
spagnoli ad inviare in Italia «donde no ay estos respectos» i gesuiti accusati; è vero dunque che «Ignazio rifiutò di piegarsi» alle pressioni,
perché anche la Compagnia si adeguasse alla non ammissione dei “nuovi
cristiani” (p. ); è men vero che questa politica escludente venne adottata dal , quando quella tolleranza che Ignazio sembrava aver trovato
in Italia venne sperimentata «per stare tanto lontani dal proprio paese»,
nelle nuove terre missionarie delle Indie, dove non era certo il lignaggio
a preoccupare le autorità.
Ma le accuse contro Ignazio non cessarono con il suo arresto; poche
settimane dopo essere stato liberato era di nuovo in carcere, accusato
questa volta dai domenicani che, letta la parte degli Esercizi riguardante
il “discernimento interiore”, ne misero in discussione l’ortodossia (p.
). A questo punto, benché assolto dai giudici, che gli permisero anzi
di ritornare all’insegnamento del catechismo dal quale era stato interdetto, Ignazio decise di trasferirsi a Parigi anche per approfondire la
sua istruzione teologica. I primi “amici del Signore” cominciarono a
stringersi intorno a lui: sono Pierre Favre (che nel suo Memoriale ricorda
di essersi occupato dell’istruzione letteraria di Ignazio) e Francesco
Saverio, che segnarono, soprattutto il secondo, in maniera indelebile
la storia della Compagnia; molti ben presto si unirono a loro: Diego
Laínez, Nicolás Bobadilla, Alfonso Salmerón e altri. Insieme, il  agosto
 a Montmartre, giurarono di votarsi all’aiuto delle anime, di andare
a Roma dal Papa e offrirsi a lui per recarsi a Gerusalemme e ovunque
il Vicario di Cristo decidesse di mandarli, vivendo in povertà e castità
il tempo dell’attesa, tuttavia «no había nacido la Compañía; sí el grupo
que desembocaría en ella».
Giunto in Italia, Ignazio ebbe un primo scontro con Gian Pietro Carafa, i cui rapporti con la Compagnia furono sempre tesi, aggravati ora dal
rifiuto ignaziano del  al progetto di fondere i gesuiti con i teatini, ora
dal risentimento che il futuro Paolo IV nutriva per i primi gesuiti, in cui
l’elemento spagnolo era preponderante, anche se questo risentimento era
frutto di un più ampio progetto politico-ideologico che mirava a restituire
l’indipendenza al Regno di Napoli, in vista di una “libertà d’Italia” con
centro sulla Santa Sede, piuttosto che causato dall’amarezza di un uomo
che aveva sofferto «l’occupazione spagnola della sua Napoli per oltre
mezzo secolo», come sembra pensare O’Malley (p. ); lo stesso Ignazio
non amava certo il Carafa, se è vero che quando venne a sapere della sua
elezione al soglio pontificio, il suo perturbamento fu così evidente che
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sembrava che «tutte le ossa gli si rivoltassero nel corpo» come scrisse
un suo intimo collaboratore. Provvidenziale fu la stima che da subito
Ignazio e i suoi riuscirono a guadagnarsi presso papa Paolo III al quale,
grazie anche alla mediazione di Gasparo Contarini, presentarono la prima
formulazione di quella che per Giacomo Nadal, segretario di Ignazio, era
la Summa Instituti e a farla approvare oralmente. L’accettazione piena si
ebbe il  settembre  con la Regimini militanti Ecclesia quando, contestualmente al riconoscimento della Compagnia di Gesù, venne emanata
anche la carta fondamentale dell’Ordine. Durante il pontificato di Giulio
III poi, la Formula opportunamente modificata, venne approvata con la
bolla Exposcit debitum del  luglio : nella nuova elaborazione veniva
ancor più evidenziato il vincolo speciale che li legava «all’attuale Romano
Pontefice e [a] gli altri suoi successori [per tutto quanto] comanderanno
come pertinente al progresso delle anime ed alla propagazione della fede,
ed in qualsivoglia paese vorranno mandarci».
Ignazio a Roma ebbe anche modo di completare la stesura degli Esercizi spirituali che furono approvati nel ; il posto che occupano gli
Esercizi nella spiritualità della Compagnia è davvero particolare (come
le Costituzioni nella quotidianità della vita istituzionale): sono il legame
più forte di una comunità dispersa in tutti i continenti e che, grazie ad
essi, preserva il valore della sua originalità e il ricordo dell’esperienza
evangelica; in questo è da riproporre la definizione che li vuole non
«libro di dogmi ma libro dogmatico» (p. ), capace di infondere ai gesuiti l’obiettività e la libertà di compiere le scelte più importanti con la
consapevolezza di essere ispirati direttamente da Dio: non a caso Claudio
Acquaviva, il quinto generale dell’Ordine, considerato il secondo padre
fondatore della Compagnia per aver saputo, durante il suo generalato
(-), promuovere e difendere le sorti di una Compagnia minacciata
di scioglimento, consigliava ai gesuiti inviati in missione o a coloro che gli
chiedevano di essere mandati nelle Indie, di ritirarsi per alcuni giorni a fare
gli Esercizi e trovare in essi le risposte a tutte le proprie domande.
Intanto, grazie al valore dell’esempio, la Compagnia pervadeva sempre più l’Occidente cristiano: alle tre province del , Spagna, Portogallo
e India, si aggiunsero in tre anni Italia e Brasile (p. ) per salire sempre
più, iniziando ad articolarsi anche al proprio interno (per rimanere
all’Italia nacquero in varia successione la provincia romana, napoletana,
siciliana, milanese, torinese, sarda e veneziana); case professe, scuole,
collegi, chiese, seminari ecc. andarono ad incrementare la consistenza di
un Ordine che incominciava ad imporsi anche a livello numerico sugli
altri Ordini religiosi della Chiesa romana.
Eppure, nonostante O’Malley abbia presente questi dati, non si sofferma mai in maniera dettagliata sul valore che in quest’ottica ebbero le
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NOTE A MARGINE DELLA VITA RELIGIOSA NEL CINQUECENTO
missioni, richiamandole certo per la novità del quarto voto come voto di
“mobilità” (p. ), fondamentale per comprendere la rottura con la regola
monastica degli Ordini tradizionali, rappresentata dalla Compagnia di
Gesù, perché assunto fondante del voto era la promessa a Dio (e dunque
per estensione al Papa) di diffondere la sua parola in tutto il mondo seguendo l’imperativo di «aiutare gli altri» (Costituzioni, par. ).
Manca però una visione d’insieme della strategia missionaria sotto
Ignazio e i suoi successori più immediati; lo stesso Saverio è richiamato
raramente, seppur proprio «l’apostolo delle Indie» fu forse l’esempio
più seguito dai tanti giovani che cercavano nella Compagnia di Gesù
la realizzazione delle loro istanze sacrificali nel nome di Cristo, ed il
principale esempio di chi e cosa fosse un gesuita. Il valore che assunsero
le missioni all’interno della vita religiosa del Cinquecento è ormai stato
ampiamente riconosciuto; per rimanere solo alla storiografia gesuitica,
si è affermato che il clima missionario «proveniva dai collegi per ragazzi, dove si stimolava la conoscenza e la stima delle missioni presso gli
infedeli». Dietro l’inarrestabile incedere missionario dei primi gesuiti,
le frontiere perdevano tutto il loro significato, riscontrando le medesime
tragiche mancanze sia nel nuovo sia nel vecchio mondo, facendo dire a
chi era in prima linea impegnato nell’affrontare questa emergenza che le
“Indie” erano anche nella cristianissima Italia (come Cristoforo Landini
confidò allo stesso Ignazio).
Alla scuola, ai collegi (che giustamente trovano l’importanza che
meritano nella trattazione di O’Malley) corrispose l’azione educativa sviluppata dai gesuiti in Europa e nelle “invenzioni” missionarie in America
e nell’Oriente asiatico che si configurarono anche come opera di recupero
all’ortodossia, e fu proprio in forza ad una precisa strategia missionaria che
i gesuiti si incunearono nella «vigna del Signore», adoperandosi ad un riassorbimento dell’eresia e dell’ignoranza che, soprattutto nelle campagne,
rendeva illusoria ogni azione pastorale fondata sugli strumenti usuali; ecco
allora l’efficacia dei catechismi illustrati per gli idioti (come quello noto di
Giovan Battista Eliano) o le direttive di Ignazio di affidare le missioni,
ove ve ne fosse la possibilità, a persone che parlassero la stessa lingua di
popolazioni che ignoravano perfino la «necessaria cognitione del vero
Dio», come riferì in un suo scritto sulla storia della Compagnia Scipione
Paolucci. Tanto più se si riconosce che i gesuiti cercarono sempre di
ancorare le opere assistenziali ad un progetto concreto e di lunga durata,
per proporre un’alternativa al degrado dei tempi (p. ).
Alle missioni sono in qualche modo legate anche le confraternite ed
il nuovo uso che ne fecero i gesuiti, destinandole a prolungare i benefici
effetti ottenuti dai padri missionari nell’opera di disciplinamento, controllo sociale e di riforma interiore. Ignazio ebbe modo di approvare
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e benedire la fondazione di alcune di queste compagnie che nei propri
statuti prescrivevano di “riformarsi ogni giorno dando agli altri il buon
esempio e motivo di edificazione”, mediante pratiche di devozione individualistiche, come la comunione frequente, che sempre più sottrassero
la Chiesa dalla sua dimensione comunitaria esterna (ricreandone però i
meccanismi all’interno dei propri apparati).
Ma è la scuola ad interessare l’Autore, impegnato a rintracciare una
matrice umanistico-erasmiana (ma un umanesimo svuotato, essendo
scomparsa la base storica che lo sostentava): scopo dello studio gesuitico
fu la conoscenza della verità, il perfezionamento dell’intelletto, nel tentativo di conoscere e mettere a fuoco i meccanismi della conoscenza, piuttosto che accumulare nozioni e saperi. Ma questa decisione di «adottare
il curriculum umanistico orientava le loro scuole verso le classi sociali
che quel curriculum apprezzavano particolarmente» (p. ): furono le
classi sociali più alte infatti a beneficiare maggiormente delle istituzioni
educative dei Gesuiti.
Nel  a Bologna fu fondato il primo collegium nobilium, come ne
esistevano già a Vienna e a Colonia; ma i più sfortunati non furono del
tutto esclusi dal modello educativo gesuitico poiché vi poterono ugualmente accedere, secondo l’imperativo ignaziano di non discriminare i
più poveri (provocando però in tal modo lo sconcerto di quei nobili che
temevano da questa commistione uno svilimento «de’ costumi naturali
[…] i quali per lunga pratica di persone vili s’infettano»).
L’impostazione prioritaria dei primi gesuiti rimase sempre quella di
“aiutare gli altri”, capace di imporsi anche alla tradizione tomistica, che
tanta influenza ebbe nel definire le linee della cultura gesuitica, nel punto
in cui era intesa come attività meramente speculativa (p. ).
Più complesso fu il legame fra “il modo di procedere” dei primi
gesuiti e la Chiesa romana; legame complesso, si è detto, dalla fondazione fino ad oggi: di fatto la Regimini militanti Ecclesia evidenziò un
rapporto diretto tra Pontefice e gesuiti, che sottraeva i membri della
Compagnia di Gesù alla giurisdizione vescovile, avendo questi ultimi
inoltre «privilegio en una bulla de Julio III para absolver de heregía in
foro interiore», come ricordò in una lettera del  Girolamo Nadal:
questo aspetto non mancò di creare continui problemi ai figli di Ignazio,
che però furono sempre ben fermi nel rammentarlo continuamente ai
loro critici. Il rapporto fra Compagnia di Gesù e Inquisizione, si è già
detto, è stato fin dall’inizio turbolento: da inquisiti i gesuiti stavano per
assumere nel , sotto il patrocinio reale, la direzione dell’Inquisizione
portoghese che, qualche anno prima, era stata posta da Paolo III sotto il
diretto controllo della corona (p. ); Ignazio all’idea rimase perplesso,
riunì un consiglio per decidere sul da farsi, ma già nel , scrivendo al
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NOTE A MARGINE DELLA VITA RELIGIOSA NEL CINQUECENTO
re portoghese, gli aveva ricordato che per sei volte, dopo la conversione,
era stato oggetto delle attenzioni del tribunale inquisitoriale, e a Roma,
l’ultima volta, con lui erano stati indagati anche altri membri della Compagnia. La linea scelta fu alla fine un’altra: la evidenziò lo stesso Nadal,
secondo cui, prima di denunciare all’autorità vescovile qualcuno che a
loro aveva affidato la propria confessione e i propri segreti, bisognava
usare altri mezzi «come preghiere e messe per lui e poi dobbiamo tentare di fare in modo che qualcun altro come suo padre o suo fratello, si
prenda cura di lui. Se non ancora sufficientemente avvertito in questo
modo, non per questo dovremo rivolgerci al vescovo, ma riporteremo la
questione al nostro superiore e gli faremo giudicare cosa si debba fare e
come ancora si possa aiutare la persona» (p. ). E così, mentre gli altri
Ordini (ad esempio i domenicani) trovarono nell’Inquisizione romana
possibilità di veloci ascese ai ranghi della gerarchia ecclesiastica, i gesuiti,
sotto la guida ferma di Ignazio, lottarono «disperatamente per evitare
di essere nominati essi stessi a qualsiasi prelatura o simile posizione che
comportasse delle prebende» (p. ). Se non mancarono casi di gesuiti
che svolsero perfettamente la funzione inquisitoriale loro affidata, come
il Bobadilla, inviato in Calabria come inquisitor haereticae pravitatis, la
via scelta dalla Compagnia costituì un’alternativa al rigore inquisitoriale,
optando per la persuasione e per la confessione, lavorando contemporaneamente per costruire una “nuova identità agli sconfitti”, e, allo stesso
tempo, cercando di favorire grazie alla confessione (soprattutto quella
accolta durante le incursioni missionarie) un più articolato controllo e
disciplinamento sociale.
È il vincolo dell’ubbidienza, però, lo strumento più utile per poter
intendere correttamente la cifra sottesa al rapporto con l’autorità ecclesiastica: «la ubidienza – scrisse infatti Ignazio – è un holocausto, nel
quale l’huomo tutto intiero, senza dividere di sé parte alcuna, s’offerisce
nel fuoco della carità al suo Creatore e nel Signore, per mano dei suoi
ministri; e poi ch’ella è una rassegnatione intiera di se medesmo, pe la
quale si spoglia tutto di sé, per essere posseduto e governato dalla Divina
Provvidenza, per mezo del superiore»: a questa tutto bisogna sacrificare
e ciò comportò anche un atteggiamento «cautamente deferente verso il
Papato tipico dei primi gesuiti».
È certo che i gesuiti si disposero da subito alla difesa della Chiesa
di Roma (operando al contempo per una sua riforma, la cui idea però
non nacque nel  con i gesuiti, come sostiene l’Autore, p. ) e del
potere pontificio, come dimostra la perorazione del Laínez nella seduta
del Concilio di Trento del  ottobre , nella quale argomentò che «la
giurisdizione dei vescovi non derivava dal loro ufficio, ma era concessa
loro dal papato» (p. ), o quando lo stesso Laínez, ormai generale della
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ALESSANDRO GUERRA
Compagnia, disputò mirabilmente nei colloqui di Poissy (p. ) (o ancora,
come da subito Ignazio fu fermo nel respingere le attese palingenetiche
di un’età nuova, anche quando si rivelarono fra i suoi); certo in tutti
e due i casi era stata anche la sorte dell’ordine a muovere l’azione del
gesuita – nel primo caso, perché sancendo l’intangibilità delle decisioni
pontificie si sarebbero garantiti dall’attacco degli altri ordini che non
ne riconoscevano la legittimità, nel secondo, accreditandosi presso le
istituzioni ecclesiastiche francesi che non li apprezzavano particolarmente
– ma è inequivocabile la concreta assunzione su di sé e sulla Compagnia
delle istanze del potere papale e della difesa e propagazione della fede
cattolica.
Anche in questa prospettiva, merita di essere posta in rilievo la figura
di Girolamo Nadal: conosciuto Ignazio a Parigi, aveva rifiutato l’invito di
questi a seguirlo poiché «estava con disposición contraria y repugnancia a
ser religioso»; poi però ebbe modo di ripensarci e raggiungere Ignazio nel
 a Roma; ebbe inizio così la storia di uno fra i più importanti membri
del nuovo ordine. Incaricato di rappresentare la Compagnia, girò per tutta
l’Europa conoscendo e influenzando tutti coloro che lo incontravano
«più direttamente dello stesso Ignazio e per un periodo più lungo» (p.
); del resto era stato lo stesso Ignazio a riconoscere l’autorità di Nadal
sulla Compagnia, delegandolo alla promulgazione delle Costituzioni in
Spagna e Portogallo. A testimonianza di questa autorità e venerazione che
circondò il vecchio Nadal è l’episodio che l’autore anonimo della biografia
di Acquaviva ebbe accortezza di inserire nella redazione: vi si narra che il
giovane Acquaviva, entrato a far parte della Compagnia incrociò per caso
un giorno Nadal che, guardandolo, gli predisse il generalato; si cercava
dunque non solo una legittimazione piena ma anche una filiazione diretta
dai primi gesuiti, richiamandone uno fra gli elementi di maggior autorità,
secondo solo ad Ignazio e Saverio.
Degni del suo spirito sono anche le preghiere affinché Dio elargisse
presto a Paolo IV la degna “ricompensa” eterna per le sue continue
intemperanze contro i gesuiti e sanare così i rancori (p. ), o la raccomandazione ai suoi che chi durante le missioni non si fosse accostato ai
sacramenti non per questo doveva essere denunciato al vescovo: bisognava far di tutto, invece, per convincerlo, e solo eventualmente andava
riferito al superiore, che avrebbe deciso il da farsi (p. ), o ancora la
raccomandazione alla moderazione a chi aveva il compito di redigere
l’Indice dei libri proibiti del  che si avviava a vietare ai gesuiti l’uso di
testi usati nella propria formazione.
Ignazio e i suoi riuscirono nel tempo ad imporre il proprio «modo di
procedere», come ama ripetere O’Malley, a significare la rotta che la Compagnia di Gesù riuscì a seguire, malgrado le burrasche che continuamente
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NOTE A MARGINE DELLA VITA RELIGIOSA NEL CINQUECENTO
la scuotevano. E alla fine, quando nel  con Nadal si spense l’ultimo
dei primi gesuiti, la Compagnia era ben in grado di affrontare il mare
aperto, quello stesso mare che l’aveva (e l’avrebbe) vista protagonista di
un’eccezionale stagione di evangelizzazione in tutto il mondo conosciuto.
In una lettera ai Padri e fratelli della provincia spagnola sulla perfezione
religiosa del , Ignazio scrisse di non dimenticare mai
in quante miserie si trovino [li prossimi vostri], in che tenebre d’ignoranza, in
che tempeste di terrenj desiderij e vari errori e passioni; da quanti e quali nemici
siano combattuti con pericolo di perdere non cose temporali, ma il regno e felicità
eterne e di cascare in una sempiterna miseria. Risguardate, dico, l’obligo che
havete di difendere l’honor di Christo e procurar la salute de’prossimi e vedrete
quanto faccia bisogno che vi disponiate a tutti i travagli e industrie, per farvi idonei
istromenti della divina gratia per tale effetto, massimamente trovandosi hoggi dì
tanto pochi operarij, qui quaerant non quae sua sunt, sed quae Iesu Chrsti.
Quei «sette diavoli spagnoli» che erano entrati in Italia negli anni Trenta
del Cinquecento lasciavano a chi continuava a lavorare nella «vigna del
Signore» una Compagnia ormai forte, capace di essere il corpo trainante
di quella biga, che secondo l’immagine dantesca si muoveva su le due
rote francescane e domenicane, «in che la Santa Chiesa si difese / e vinse
in campo la sua civil briga» (Paradiso, XII, -).
La scelta di O’Malley è da rispettare e la sfida da raccogliere: riprendere in mano la ricerca sui primi gesuiti significa anche accettare che non
tutto sia stato detto, che qualcosa ci sia ancora da dire e che questo sia
solo il primo passo di una nuova prospettiva di ricerca.
Note
. J. W. O’Malley, I Primi Gesuiti, trad. it. di A. Schena, Vita e Pensiero, Milano ;
ed. or. The First Jesuits, Harvard University Press, Cambridge (MA)-London .
. Cfr. L. von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, vol. XVI, Storia dei Papi
nel periodo dell’Assolutismo, p. II, Clemente XIV (-), Desclée & C., Roma , pp.
-; L. von Ranke, Storia dei Papi, Sansoni, Firenze , p. .
. Manca ad oggi una moderna e aggiornata biografia del Mercuriano che ne descriva sia l’azione di governo sia quella teologica. Ancora utile è A. Astrain, Historia de
la Compañia de Jesús en la Asistencia de España, Razón y fe,  voll., Madrid -, III,
Mercurian-Aquaviva -. Si veda anche T. Severin S. J., Un grand belge, Mercurian,
-. Curé ardennais, général des jésuites, Dessain, Liége .
. In questa prospettiva è utile S. Peyronel Rambaldi, Educazione evangelica e
catechistica: da Erasmo al gesuita Antonio Possevino, in D. Bigalli (a cura di), Ragione e
“Civilitas”. Figure del vivere associato nella cultura del ’ europeo, FrancoAngeli, Milano
, pp. -.
. Cfr. quanto scrive M. Zanardi nell’Introduzione a M. Zanardi S. J. (a cura di), I
Gesuiti a Venezia. Momenti e problemi di storia veneziana della Compagnia di Gesù, Gregoriana Libreria Editrice, Padova .
. Cfr. Il Racconto di un pellegrino. Autobiografia di Sant’Ignazio di Loyola, a cura di

ALESSANDRO GUERRA
R. Calasso, Adelphi, Milano , p. .
. Se ne veda l’ottima ricostruzione in C. de Dalmases, Il Padre Maestro Ignazio. La
vita e l’opera di sant’Ignazio di Loyola, Jaca Book, Milano , pp. -.
. Con l’accusa di alumbradismo furono colpiti anche successivamente altri seguaci
di Ignazio; cfr. J. I. Tellechea Idígoras, Ignazio di Loyola solo e a piedi, Borla, Roma ,
in particolare le pp. -; Id., Ignacio de Loyola reformador, in Ignacio de Loyola en la
crisi del siglo XVI, Quintin Aldea, Madrid , pp. -.
. Nei suoi Quaderni Antonio Gramsci, nel tentativo di analizzare le forze che si
contendevano l’egemonia nella Chiesa romana, annotò una polemica fra modernisti,
integralisti e gesuiti in cui questi ultimi venivano accusati dagli altri di essere «amici dei
massoni e dei giudei» oltreché «demagoghi e rivoluzionari»; cfr. Quaderni del carcere, a
cura di V. Gerratana,  voll., Einaudi, Torino , vol. III, p. .
. Cfr. F. De Borja Medina S. J., Ignacio de Loyola y la “limpieza de sangre”, in Ignacio
de Loyola y su tiempo, Mensajero, Bilbao, pp. -.
. Cfr. Archivum Romanum Societatis Iesu (d’ora in poi ARSI), Epp. NN. , f. v.
. Cfr. Ignacio de Loyola, Magister Artium en Paris -, Sociedad Guipuzkoana
de Edicioned y Publicaciones, Donostia-San Sebastian .
. Cfr. L. M. Gilardi S. J., Autobiografie di gesuiti in Italia -. Storia e interpretazione, in “Archivum Historicum Societatis Iesu”, , pp. -.
. Cfr. J. I. Tellechea Idígoras, La aventura de un cristiano, Editorial Sal Terrae,
Santander .
. Cfr. A. Aubert, Paolo IV. Politica, Inquisizione e storiografia, Le Lettere, Firenze
, pp.  ss.
. Cfr. quanto riferisce senza citarne la fonte G. Sommavilla, Storia della Compagnia
di Gesù. Da sant’Ignazio a oggi, Rusconi, Milano , pp. -.
. Cfr. G. Fragnito, Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano al servizio della
cristianità, Olschki, Firenze , p. .
. Per il testo della Formula, cfr. Ignazio di Loyola, Gli scritti, a cura di M. Gioia S.
J., UTET, Torino , pp. -.
. Sull’importanza degli Esercizi spirituali come esperienza fondamentale per motivare
i missionari, scrive M. Ruiz Jurado S. J., Alle radici della coscienza missionaria dei Gesuiti,
in “La Civiltà Cattolica”, , , pp. -.
. Cfr. M. Batllori S. J., Note sull’ambiente missionario nell’Italia del Cinquecento, in
Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Antenore, Padova , pp. -.
. Cfr. Epistole mixtae, ex variis Europae locis ab anno  ad  scriptae, III, (),
Avrial, Matriti , pp.  ss.
. Sull’Eliano e sulla sua Dottrina christiana nella quale si contengono li principali
misteri della nostra fede rappresentati con figure per instruttione de gl’idioti, et di quelli che
non sanno leggere si veda A. Prosperi, Intorno ad un catechismo figurato del tardo ’, in
“Quaderni di Palazzo Te”, , , pp. -; ma anche G. Palumbo, Speculum Peccatorum.
Frammenti di storia nello specchio delle immagini tra Cinque e Seicento, Liguori, Napoli
, pp. -.
. Missioni de Padri della Compagnia di Giesù nel Regno di Napoli, Roncagliolo,
Napoli .
. Cfr. D. Zardin, Il rilancio delle confraternite nell’Europa cattolica cinque-seicentesca,
in C. Mozzarelli, D. Zardin (a cura di), I tempi del Concilio. Religione, cultura e società
nell’Europa tridentina, Bulzoni, Roma , pp. -; ma anche M. Catto, Direzione
spirituale nell’insegnamento catechistico fra Cinque e Seicento: Catechismi e Confraternite
di Dottrina Cristiana, di prossima pubblicazione.
. Cfr. L. Châtellier, L’Europa dei devoti, Garzanti, Milano ; J. Bossy, Dalla
comunità all’individuo. Per una storia sociale dei sacramenti nell’Europa moderna, Einaudi,
Torino .
. Cfr. D. Cantimori, L’ideale educativo umanistico-religioso, in Id., Umanesimo e

NOTE A MARGINE DELLA VITA RELIGIOSA NEL CINQUECENTO
religione nel Rinascimento, Einaudi, Torino , p. .
. Cfr. ARSI, Med. , f. v, in F. Rurale, I gesuiti a Milano. Religione e politica nel
secondo Cinquecento, Bulzoni, Roma , p.  e nota .
. Sul modello didattico e dottrinale dei gesuiti cfr. U. Baldini, Legem impone subactis.
Studi su filosofia e scienza dei gesuiti in Italia -, Bulzoni, Roma .
. Cfr. J. L. Gonzalez Novalin, Los jesuitas y la Inquisición en la época de la implantación de la Compañía, in Ignacio de Loyola y su tiempo, cit., pp. -; Id., La Inquisición
y la Compañia de Jesús, in “Anthologica Annua”, XXXVII, , pp. -; e XLI, , pp.
-.
. Cfr. P. Simoncelli, Inquisizione romana e Riforma in Italia, in “Rivista Storica
Italiana”, C, , pp. -, in part. pp.  ss.
. Cfr. U. Parente, Nicolò Bobadilla e gli esordi della Compagnia di Gesù in Calabria,
in I Gesuiti e la Calabria, Atti del convegno, Reggio Calabria - febbraio , a cura
di V. Sibilio S. J., Laruffa, Reggio Calabria , pp. -; E. Novi Chavarria, Le missioni
dei Gesuiti in Calabria in età moderna, ivi, pp. -.
. Cfr. A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari,
Einaudi, Torino , pp. -.
. Cfr. U. Parente, Aspetti della confessione dei peccati nella Compagnia di Gesù a
Napoli tra XVI e XVII secolo, in B. Ulianich (a cura di), Ricerche sulla confessione dei peccati
a Napoli tra ’ e ’, La Città del sole, Napoli , pp. -.
. Cfr. Lettere de’ Prepositi Generali a’ Padri e Fratelli della Compagnia di Giesù,
Tipografia del Collegio Romano, Roma , p. .
. Cfr. G. M. Barbuto, Il principe e l’Anticristo. Gesuiti e ideologie politiche, Guida,
Napoli .
. Il manoscritto è conservato in ARSI, Vitae  I. Mi permetto di rinviare ad una
prossima edizione critica del testo.
. Cfr. M. Scaduto S. J., Laínez e l’Indice del . Lullo, Sabunde, Savonarola, Erasmo,
in “Archivum Historicum Societatis Iesu”, , , pp. -; ma soprattutto G. Fragnito,
La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (-), Il
Mulino, Bologna , in part. pp. -.
. Lettere de’ Prepositi, cit., p. .
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