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PROGRESS ACTION GRANTS
European Commission- DG Justice
PROGRESS ACTION GRANTS
European Commission- DG Justice
Women Mean Business and Economic
Growth— Promoting Gender Balance on
Company Boards
DEPARTMENT FOR EQUAL OPPORTUNITIES-PRESIDENCY OF COUNCIL OF
MINISTERS
in partnership with
DONDENA RESEARCH CENTER ON SOCIAL DYNAMICS, UNIVERSITA’
BOCCONI
WP.4
Analisi dell’impatto della legge italiana sulle quote di genere nei CDA e collegi
sindacali delle società quotate e controllate pubbliche
(VERSIONE ITALIANA)
1. Quote di genere : revisione della letteratura ………………………………2
2. Gli effetti economici della legge Italiana sulle quote di genere:
analisi empirica ………………………………………………………………..12
1
1. Quote di genere nei board: revisione della letteratura
Il rapporto tra presenza femminile e performance delle imprese rappresenta un tema
cruciale nel dibattito sugli effetti delle quote di genere nelle posizioni di vertice.
L'evidenza empirica su questa relazione non è univoca: da un lato, non è chiaro
l’impatto positivo per le aziende dell’introduzione di quote di genere, dall’altro
l’evidenza non fornisce elementi contrari alla loro introduzione (Ferreira, 2014,
Carter, 2010). Tuttavia, i sostenitori di una regolamentazione a favore dell’equilibrio
di genere ai vertici spesso lo considerano un "business case" per la rappresentanza
femminile (Ferreira, 2014). Diversi studi suggeriscono l'esistenza di una relazione
positiva tra la rappresentanza femminile e le performance d’impresa (Carter et al.,
2003, Isidro e Sobral 2013, Torchia et al., 2011, Campbell e Minguez-Vera, 2008).
Questo risultato è usato come giustificazione principale per l'introduzione delle quote
di genere per la rappresentanza femminile ai vertici aziendali. Tuttavia, i risultati
riguardanti l’impatto della presenza femminile sulla performance non sono univoci, e
alcuni studi trovano che la diversità di genere ai vertici ha o un effetto trascurabile o
un effetto negativo sulla performance d'impresa (Adams e Ferreira 2009, Bohren e
Strom 2010, Carter et al., 2010). Inoltre, non è semplice dedurre relazioni causali tra
la rappresentanza femminile e la performance delle imprese sulla base di analisi di
correlazione, i cui risultati complessivi rischiano generalmente di essere guidati da
fattori non osservabili. In questo contesto, una recente ricerca empirica sugli effetti
della legge norvegese ha per la prima volta tenuto conto degli aspetti di endogeneità
(ovvero, è la presenza delle donne ai vertici che porta a risultati migliori o sono le
imprese più performanti a nominare più donne ai vertici?), e ha quindi permesso di
identificare gli effetti causali delle quote di genere sulle performance aziendali
(Profeta et al. 2014).
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Questo lavoro si propone di rivedere brevemente gli studi empirici esistenti sulle
quote di genere ai vertici. La maggior parte della letteratura su questo tema analizza
la legge norvegese sulle quote di genere, essendo stata la Norvegia un precursore
nell'introduzione delle quote. Innanzitutto, presenteremo alcune questioni cruciali che
devono essere attentamente prese in considerazione quando si discute di evidenza
empirica delle quote norvegesi. Mostriamo in seguito i risultati esistenti sugli effetti
economici delle quote, e infine discutiamo i principali risultati degli studi empirici che
analizzano gli effetti delle quote sulle performance d'impresa, nonché sugli outcomes
legati al mercato del lavoro.
Emergerà come, nonostante la crescente letteratura sul tema, l’evidenza delle quote
di genere ai vertici non sia ancora definitiva. Ulteriori esempi di altri paesi che hanno
recentemente introdotto leggi sulle quote di genere ai vertici permetteranno un
confronto internazionale e contribuiranno a fare chiarezza sulla complessa relazione
esistente tra quote di genere ai vertici e risultati economici e societari.
Il caso norvegese
Tutti gli studi che utilizzano il contingente norvegese come esperimento naturale per
identificare l'effetto della presenza di donne ai vertici delle società sulle prestazioni e
sui profitti hanno in comune diverse problematiche. In un recente commento, Ferreira
(2014) spiega in dettaglio quali avvertenze devono essere considerate quando si
discutono gli studi che utilizzano la legge norvegese come un esperimento naturale
per l'introduzione delle quote di genere ai vertici. In primo luogo, sembra esserci
troppa libertà nel definire il timing dell’esperimento naturale. Ahern e Dittmar (2012) e
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Nygaard (2011), per esempio, osservano due date diverse, trovando risultati diversi.
Dato che la "finestra evento" è ampia (2003-2008), vi è una moltitudine di effetti che
confondono (Ferreira, 2014). Ad esempio, la Norvegia ha adottato le norme contabili
IFRS nel 2005 e nello stesso anno ha implementato il Codice norvegese di Condotta.
Un altro problema è rappresentato dalla scelta del "gruppo di controllo", ovvero un
gruppo di imprese che non è stato considerato dalla legge sulle quote e che può
essere paragonato a quello "trattato", cioè a quelle imprese che hanno sperimentato
la legge sulle quote. Il confronto tra i risultati nei gruppi trattati e di controllo fornisce
le conclusioni sull'impatto della legge. Ferreira (2014) sostiene che, poiché la legge
sulle quote si applica a tutte le imprese quotate norvegesi, non esiste un gruppo di
controllo naturale a cui possono essere paragonate; inoltre, questo problema è reso
ancora più grave dal fatto che le imprese possono auto-selezionarsi nel gruppo
trattato, decidendo se passare a una forma giuridica che non è soggetta alle quote.
Oltre ai loro effetti sulla performance d'impresa e altri risultati economici, le quote di
genere hanno dimostrato di essere la misura più efficace per ridurre il divario di
genere ai vertici societari (European Parliament, 2012). È difficile aspettarsi un
aumento naturale delle donne nelle posizioni di vertice senza un vincolo così
esplicito (Profeta et al., 2014). La legge norvegese sulle quote ha dimostrato di
essere efficace nell’aumentare il numero di donne nei consigli di amministrazione: la
percentuale di donne dirigenti era del 6% nel 2002 e ha raggiunto il 40% nel 2009.
Belinky, et al. (2013) hanno studiato l'impatto dell'introduzione di due diverse quote
per la rappresentanza femminile nei consigli in un campione di 5.000 aziende
americane, con soglie del 30% e del 50% di rappresentanza femminile. Trovano che
queste misure aumentano il numero delle donne che lavorano, anche se questo non
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implica necessariamente che in generale vi siano più donne ai vertici, dato che le
stesse donne possono appartenere a più di un board (il cosiddetto fenomeno delle
"golden skirt"). Tuttavia, indipendentemente dai numeri, le donne hanno maggiori
probabilità di raggiungere posizioni apicali.
Anche se molti studi hanno cercato di esaminare gli effetti della leadership femminile
sulla performance aziendale, esistono poche prove delle implicazioni sui risultati
economici di quote giuridicamente vincolanti (Ahern e Dittmar 2012, Nygaard 2011,
Matsa e Miller 2013, Bertrand 2014). Secondo Smith (2014), le leggi sulle quote sono
un fenomeno troppo recente per stabilirne gli effetti a lungo termine sulla
performance economica. Inoltre, gli studi esistenti si concentrano sulla Norvegia, che
è stato un precursore nell'introduzione delle quote giuridicamente vincolanti per gli
organi sociali. Smith (2014) sostiene che le conclusioni relative alle quote norvegesi
riguardano solo i risultati a breve termine della legge e che, nel lungo periodo, questi
effetti possono variare. Inoltre, la Norvegia si colloca molto in alto nei confronti
internazionali sulla parità di genere, e quindi gli effetti potrebbero differire in modo
sostanziale in altri paesi (Matsa e Miller, 2013). Crutchley e Vähämaa (2013), per
esempio, osservano che nei paesi nordici le quote di genere indeboliscono
l'associazione positiva tra la qualità dei boards e la rappresentanza femminile,
mentre nei paesi con bassissima presenza femminile, come quelli dell’Europa
meridionale, le quote possono migliorare il rapporto tra la rappresentanza femminile
e la qualità dei vertici societari. È quindi essenziale analizzare l'introduzione di una
legge simile in altri paesi, come l'Italia.
Quote di genere nei board e outcomes economici
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Gli studi esistenti sugli effetti delle quote analizzano il loro impatto sul valore
d'impresa (Ahern e Dittmar 2012, Nygaard, 2011), sui profitti di breve periodo e sul
rendimento delle attività (Matsa e Miller 2013, Dale-Olsen et al., 2013), sulle decisioni
organizzative e le caratteristiche della società (Bohren e Staubø 2013, Bohren e
Staubø, 2014) e sui differenziali salariali e la rappresentanza femminile in posizioni di
vertice (Bertrand, 2014, Wang e Kelan, 2013).
Gli effetti delle quote sul valore d'impresa sono controversi. Un famoso studio di
Ahern e Dittmar (2012) mostra che il mercato può reagire negativamente se si
aspetta che membri giovani e meno esperti entrino a far parte dei board. Infatti,
Ahern e Dittmar (2012) mostrano che l'aumento del numero di donne nei consigli di
amministrazione come previsto dalla legge ha portato ad una sostanziale
diminuzione del valore d'impresa, con un conseguente calo significativo del prezzo
delle azioni delle imprese norvegesi alla data dell’annuncio della legge nel 2003 e in
un calo della Q di Tobin negli anni successivi. Ahern e Dittmar (2012) spiegano
questi risultati affermando che l’imposizione di vincoli che obbligano giuridicamente le
imprese ha effetti negativi sulla performance aziendale. Inoltre, gli autori trovano che
le nuove donne ai vertici in Norvegia erano in media più giovani e meno esperte dei
consiglieri maschi uscenti, il che suggerisce che, sebbene le quote di genere
potrebbero essere efficaci nel migliorare la diversità di genere nei board, esiste un
costo notevole per gli azionisti, se le nuove donne in posizioni di vertici non hanno
l'esperienza dei dirigenti maschi uscenti. Tuttavia, il ruolo dell’esperienza come
prerequisito di buone prestazioni è controversa. Nygaard (2011) mostra che l'effetto
evidenziato da Ahern e Dittmar (2012) dipende dall’asimmetria informativa tra i
membri indipendenti dei boards e dei dirigenti delle società. Nelle imprese in cui
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questa è bassa, l'introduzione delle quote implica rendimenti positivi e significativi
mentre nelle imprese in cui l’asimmetria informativa tra gli interni e gli esterni è
bassa, gli investitori prevedono che i nuovi consiglieri siano più efficaci.
Un altro filone della letteratura ha esaminato gli effetti delle quote sulle misure
finanziarie. Matsa e Miller (2013) utilizzano i dati finanziari delle società quotate in
Norvegia e un gruppo di controllo d’imprese non quotate norvegesi e d’imprese
scandinave; gli autori trovano che nel breve periodo i profitti diminuiscono dopo che
le quote sono state implementate. In particolare, essi sostengono che il calo dei
profitti è dovuto ad un aumento del costo del lavoro, e che gli effetti sono maggiori
per le imprese che nel periodo pre-quota presentano un numero inferiore di donne.
Mentre Ahern e Dittmar (2012) sostengono che la diminuzione del valore d'impresa è
dovuta alla mancanza di esperienza delle giovani donne di nuova nomina, Matsa e
Miller (2013) suggeriscono che gli effetti delle quote sono spiegati alla luce di uno
"stile di leadership femminile". Analogamente, Dale-Olsen et al. (2013) confrontano il
rendimento delle attività delle società norvegesi che sono state interessate dalla
riforma e di quelle che non hanno dovuto implementare le quote e trovano che nel
breve periodo l'impatto della riforma sulle performance delle imprese è stato
trascurabile.
Le leggi sulle quote possono anche avere un impatto sulle decisioni organizzative
dell'impresa e sulle caratteristiche dei boards. In particolare, Bohren e Staubø (2014)
hanno studiato come la legge sulle quote abbia influenzato la scelta della forma
organizzativa di tutte le imprese esposte e non esposte in un periodo di nove anni. I
loro risultati sono sorprendenti: la metà delle imprese del campione ha scelto di
passare a una forma organizzativa che non era esposta alla legge. Le imprese che
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hanno scelto di cambiare forma organizzativa erano generalmente più redditizie,
piccole, giovani, e non quotate. Inoltre, queste società avevano con maggiore
probabilità proprietari potenti, nessuna famiglia di controllo, e poche donne al vertice.
In un altro studio, Bohren e Staubø (2013) hanno mostrato che le quote norvegesi
hanno avuto un impatto anche sulle caratteristiche dei board: dopo l'introduzione
della legge sulle quote, la percentuale media di amministratori indipendenti nei board
è cresciuta del 20%.
È interessante notare che una recente ricerca ha dimostrato che la legge norvegese
ha non solo influenzato la diversità di genere nei board in Norvegia, ma ha anche
avuto effetti di ricaduta in altri paesi vicini: la partecipazione femminile ai vertici in
Finlandia e in Svezia è aumentata sensibilmente appena prima del 2006 (Adams e
Kirchmaier,2013).
La maggior parte degli studi sull'impatto delle quote si concentra sul loro effetto sul
valore dell'impresa e sulle misure finanziarie, e cerca di esaminare se l'aumento della
presenza delle donne nei consigli accelerato dalle quote sia vantaggioso per le
imprese. Tuttavia, quando si parla di politiche che promuovono il ruolo delle donne
nel mondo degli affari, è auspicabile concentrarsi anche sui potenziali benefici per la
società, oltre che sulle semplici misure di redditività dell'impresa (Ferreira, 2014).
Infatti, le quote di genere possono generare effetti culturali e contribuire ad
aumentare l'occupazione femminile e la fecondità, diminuire i divari salariali e
promuovere l'idea che le donne possono raggiungere posizioni di vertice senza
cambiare la propria identità (Profeta et al. 2014). L’evidenza di questo potenziale
effetto a cascata è, ancora una volta, non univoco. Bertrand et al. (2012) trovano che
in Norvegia le donne membri di nuova nomina del consiglio erano in media più
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qualificate rispetto ai loro predecessori di sesso femminile, e che il divario di genere
nei guadagni all’interno dei boards è diminuito in modo sostanziale. Tuttavia, le quote
non hanno avuto alcun impatto né sul divario salariale né sulla rappresentanza
femminile in posizioni di vertice. Come osservato dagli autori, nel breve periodo la
riforma ha avuto un impatto trascurabile sulle donne nel mondo aziendale, al di fuori
del suo effetto diretto sui membri del consiglio di nuova nomina di sesso femminile. In
un altro studio, tuttavia, Wang e Kelan (2013) trovano che le quote di genere in
Norvegia non solo hanno incrementato la parità di genere all'interno dei consigli di
amministrazione, ma hanno avuto anche effetti di ricaduta sulle posizioni di vertice,
aumentando il numero di donne presidenti e amministratori delegati.
La legge norvegese ha raggiunto i suoi obiettivi a breve termine - l'aumento della
presenza delle donne nel consiglio - ma i suoi effetti a lungo termine sono ancora
poco chiari (Smith, 2014). Lavori empirici su altri paesi europei dove le quote sono
state recentemente messe in atto chiariranno l’impatto delle quote sulle performance
e sui risultati nel mercato del lavoro. Inoltre, essi contribuiranno anche al confronto
tra gli effetti delle quote con caratteristiche diverse, fornendo così l’evidenza in grado
di supportare i policymakers nel progettare le politiche in grado di meglio raggiungere
gli obiettivi desiderati.
9
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11
2. Gli effetti economici della legge italiana sulle quote di genere: analisi
empirica
Analizziamo ora empiricamente l'impatto sui risultati delle imprese della legge italiana
sulle quote di genere. Come abbiamo sostenuto nel capitolo precedente, questo
strumento politico è particolarmente efficace per l'analisi del rapporto tra leadership
femminile e risultati economici perché, osservando la differenza tra i risultati con e
senza quote, siamo in grado di identificare gli effetti causali della presenza di donne
sulle performance. In questa sezione verifichiamo empiricamente se il caso italiano
delle quote di genere è in grado di fornire ulteriori e nuovi elementi di prova sulla
relazione esistente tra l'empowerment delle donne e la performance delle imprese.
Per studiare questo rapporto abbiamo costruito un nuovo dataset che comprende le
caratteristiche e i risultati di ciascuna delle 241 società quotate nella Borsa Italiana.
Gli outcomes sono rappresentati dalle variabili normalmente utilizzate nella
letteratura sulle performance delle imprese (si veda la sezione precedente), come ad
esempio il numero di dipendenti, il valore della produzione (in migliaia di euro), gli utili
(in migliaia di euro), i debiti a breve e a lungo termine, ROA, ROI, ROS, ROE, e il
capitale sociale (in migliaia di euro). I dati sono scarsi e non immediatamente
disponibili. I dati necessari alla nostra analisi sono tratti, quando disponibili, dal
database AIDA (Analisi informatizzata delle aziende italiane). In caso di dati mancanti
(numerosi nel nostro campione) ci siamo basati sui documenti aziendali disponibili
sul sito web della Borsa Italiana o sui dati ufficiali dei bilanci pubblicati sul sito
internet di ciascuna società.
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La raccolta di questi dati fornisce un nuovo dataset completo sulle società quotate
italiane e su diverse misure di performance. Per ciascuna società il dataset include le
seguenti informazioni (vedi Tabella 1 per una descrizione quantitativa): nome,
provincia della sede legale, numero di dipendenti, valore della produzione (in migliaia
di euro), utili (in migliaia di euro), debiti a breve e lungo termine, capitale sociale (in
migliaia di euro), ROA, ROI, ROS, e ROE per il periodo 2010-2013 (i dati si
riferiscono alla fine di dicembre, alla chiusura del bilancio).
Il valore della produzione misura la reale capacità produttiva di un’azienda. Le attività
operative comprendono tutto l'output della produzione, anche quella per uso proprio
e per gli altri stabilimenti dell'azienda. Gli utili sono i guadagni totali dell'azienda, e
comprendono i costi espliciti, quali gli ammortamenti, gli interessi e le imposte. Il
debito a breve termine è una voce di conto inclusa tra le passività correnti di bilancio
di una società. Questa voce è costituita da un qualsiasi debito dovuto entro un anno
contratto da una società. Solitamente è costituito da prestiti bancari a breve termine. I
debiti a lungo termine sono i prestiti e le obbligazioni finanziarie della durata di oltre
un anno. Essi dovrebbero includere qualsiasi finanziamento o obbligo di leasing che
devono essere pagati in un periodo superiore a 12 mesi. Tali obblighi comprendono
le emissioni obbligazionarie di società o leasing a lungo termine che sono stati
capitalizzati nel bilancio di un'impresa. Il capitale sociale è composto dai fondi messi
a disposizione dell’impresa nelle prime fasi di crescita. ROA o Return On Assets è un
indicatore di redditività di una società ed è relativo al totale delle attività. ROI o
Return On Investment è una misura delle performance utilizzata per valutare
l'efficienza di un certo numero d’investimenti. ROS o Return On Sales rispecchia la
performance operativa e rappresenta l'utile netto prima degli interessi e delle imposte
sui ricavi totali delle vendite; è un indicatore di redditività ed è spesso utilizzato per
13
confrontare la redditività di aziende e industrie di diverse dimensioni. Infine, ROE o
Return On Equity misura il tasso di redditività del capitale proprio, ovvero della quota
di partecipazione dei proprietari di azioni ordinarie.
Table 1: Description of the company’s outcomes considered in the analysis
N
Media
Dev std
Numero di dipendenti 200
2,867
13,950
Produzione
178
643.992
3.911.193
Utili
210
-9.594
1.124.892
Debiti a breve termine 178
0,69
Debiti a lungo termine 178
0,31
ROA
212
-2,15
13,54
ROE
200
-2,11
26,66
ROI
165
0,05
8,29
ROS
157
-7,48
49,19
Capitale sociale
211
1.448.417
14.700.000
Nota: Unicredit s.p.a. non è stata inclusa nelle statistiche descrittive.
La legge sulle quote di genere è stata approvata nell'agosto 2011 ed è entrata in
vigore l'anno dopo (agosto 2012). Classifichiamo dunque i boards in tre gruppi (quasi
equamente distribuiti): 1) quelli che hanno rinnovato la loro composizione prima
dell’agosto 2011, chiamati "pre-riforma"; 2) quelli che hanno nominato i nuovi membri
nel periodo di transizione (ovvero, tra agosto 2011 e agosto 2012), chiamati "phasein"; e 3) quelli che hanno rinnovato nel nuovo regime, vale a dire dopo agosto 2012,
chiamati "post-riforma". Riteniamo che le aziende siano suddivise in modo casuale
nei tre gruppi: la data del rinnovo del consiglio di amministrazione, infatti, dipende dal
passato, ben prima della discussione iniziale della legge sulle quote di genere, non
può essere modificata in modo da rientrare o meno nella legge sulle quote e, in ogni
caso, non vi sarebbe alcuna ragione per farlo.
Per quanto riguarda la strategia metodologica, confrontiamo tre diverse misure per
ciascuno dei risultati osservati: la correlazione tra la percentuale di donne nei
CDA/collegi sindacali e ciascun outcome 1) prima dell’entrata in vigore della riforma,
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e 2) dopo l’entrata in vigore della riforma; per controllare che queste relazioni non
siano distorte da eterogeneità non osservata, consideriamo anche 3) la relazione
causale (calcolata attraverso una variabile strumentale1) tra la percentuale di donne
nei board e ciascun outcome osservato.
Le figure 1, 2 e 3 rappresentano graficamente i nostri principali risultati.
Se osserviamo la semplice relazione tra una maggiore percentuale di donne e gli
outcomes, in sette degli otto indicatori osservati troviamo una correlazione negativa
tra la percentuale di donne nei CDA e i risultati economici aziendali. Tuttavia, questo
risultato (misurato mediante un semplice modello di regressione OLS) potrebbe
essere distorto da un’endogeneità strutturale che modifica costantemente i risultati
finali. Questo è il motivo principale per cui si adotta un approccio causale all'analisi di
questa interazione. I risultati di un modello OLS a due stadi con una variabile
strumentale mostrano che tutti gli outcomes considerati non sono significativamente
influenzati (e quindi non lo sono in modo negativo) dalla proporzione di donne nei
CDA/collegi sindacali. Infatti, in sette degli otto indicatori di outcome una maggiore
percentuale di donne nei board non ha effetto (cioè, è indipendente) sui risultati
economici della società. Al contrario, concentrandosi su debiti a breve termine,
notiamo invece una correlazione positiva: la riforma che impone una maggiore
percentuale di donne nei board ha in media diminuito i debiti a breve termine. Questo
in generale significa un miglioramento del saldo tra ricavi e spese, o un aumento
della capacità dell'azienda di essere pagata dai propri clienti, in altre parole si tratta
di un potenziale miglioramento delle performance aziendali.
Siccome la legge è entrata in vigore nel 2012, è ovviamente ancora troppo presto per
Sfruttiamo il fatto di avere 3 diversi momenti: il “phase-in” e il post-riforma diventano uno strumento per studiare
l’effetto della proporzione di donne sugli outcome della società.
1
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osservare se esiste una relazione forte tra le quote di genere e le performance delle
imprese e per comprendere se l'introduzione delle quote ha comportato un
cambiamento nelle performance delle imprese. Tuttavia, i nostri risultati suggeriscono
che l'eventuale impatto negativo delle quote di genere sui risultati economici che è
stato trovato da alcuni studi precedenti (compresi quelli sul caso norvegese), e che
possono
costituire
una
preoccupazione
fondamentale
quando
si
parla
dell’introduzione di quote, non è mai presente. Piuttosto, la legge italiana sulle quote
di genere è stata finora associata a migliori performance, dovute a una visione più
strategica degli investimenti a lungo termine e a minori debiti a breve termine.
Figura 1: Proporzione di donne e outcomes d’impresa. Coefficienti di
regressione2
Le barre degli istogrammi rappresentano i coefficienti dell’analisi di regressione, ovvero la correlazione esistente
tra la percentuale di donne nei consigli di amministrazione e ciascun outcome. La prima barra (arancione)
rappresenta la situazione prima dell'introduzione delle quote di genere: la seconda barra rappresenta la relazione
dopo l'introduzione della legge (blu se statisticamente significativa, azzurra se non statisticamente significativa),
senza tenere conto dell’endogeneità; la terza barra (verde se statisticamente significativa, verde chiaro se non
statisticamente significativa) mostra la correlazione tra la percentuale di donne nei consigli e gli outcomes delle
società quando l’endogeneità viene presa in considerazione. Per quasi tutti i risultati, la seconda barra è
(significativamente) inferiore alla prima, il che significa che, se non si tenesse conto dell’endogeneità,
osserveremmo dei risultati aziendali peggiori dopo l'introduzione delle quote di genere. Tuttavia, questo risultato è
distorto: l'approccio causale allo studio di questa relazione mostra che una maggiore percentuale di donne non
influenza significativamente nessuno dei risultati osservati, ad eccezione dei debiti a breve termine che sono
significativamente ridotti.
2
16
Figura 2: (continua) Proporzione di donne e outcomes d’impresa. Coefficienti
di regressione
Figura 3: (continua) Proporzione di donne e outcomes d’impresa. Coefficienti
di regressione
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