Stralcio volume

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Stralcio volume
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SOMMARIO
Le norme sanzionatorie
1. La violazione e la sanzione: tra “gioco” e realtà. – 2. Funzione rieducativa dell’individuo e risarcitoria della collettività. – 2.1. Funzione rieducativa. – 2.2. Proposta: “Il raccogli e perdi”. – 2.3. Funzione risarcitoria. – 3. Sanzionabilità. – 4. L’esimente. – 4.1. Stato di necessità. – 5. Tipologie di sanzioni: principali ed accessorie. – 5.1. La Patente a
punti. – 6. Privilegi e Limiti delle sanzioni amministrative. – 6.1. Solidarietà. – 6.2. Aggiornamento valori. – 6.3. Vincoli di destinazione, impignorabilità ed insequestrabilità. –
6.4. Prescrizione. – 6.5. Cumulo giuridico. – 6.6. Intrasmissibilità agli eredi. – 6.7. Principio di legalità. – 6.8. Dovere comunicativo.
1. La violazione e la sanzione: tra “gioco” e realtà
Se consideriamo la sicurezza stradale come un bene pubblico indivisibile è evidente che la sua fruizione, al pari di ogni altro bene pubblico (sanità, difesa, …)
dipende dal contributo di ciascuno. Allo stesso tempo, ciascuno può fruire del
bene e con una certa difficoltà lo si può escludere dalla fruizione (molto spesso i
beni indivisibili sono anche non-escludibili, si pensi all’aria che respiriamo), infatti, in un modo o nell’altro siamo tutti utenti della strada, in quanto conducenti di
veicoli o in quanto pedoni, e possiamo contribuire positivamente o negativamente all’altrui fruizione del bene pubblico. Il cittadino che avvista una pietra sull’asfalto e la rimuove prima che qualche veicolo ci vada ad impattare, evidentemente
contribuisce positivamente nell’interesse collettivo; viceversa, il «pirata della strada» che provochi un incidente e lasci sull’asfalto una vittima senza soccorrerla contribuisce negativamente nei confronti dei singoli coinvolti nel nefasto evento e nei
confronti della collettività, che avvertirà una condizione di maggiore insicurezza.
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La «teoria dei giochi» , si è concentrata nello studio di questi fenomeni socia1
La «teoria dei giochi» si è sviluppata a fine anni ’50 nell’ambito della politologia per affrontare
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Capitolo Secondo
li, individuando anche matematicamente le dinamiche del comportamento individuale, entro un gruppo sociale più o meno ampio. Senza addentrarci nella trattazione dettagliata dei vari “giochi”, possiamo dire che dal comportamento collaborativo di tutti i “giocatori”, si consegue il risultato migliore per la società e per ogni
componente di essa; mentre, ovunque i soggetti si manifestino non collaborativi tra
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di loro il risultato finale è il meno vantaggioso per tutti : dalla mancata volontaria
collaborazione di ciascuno deriva un danno, talvolta involontario, per tutti.
La collaborazione sembrerebbe, dunque, la panacea e risulta apparentemente
incomprensibile ed irrazionale il comportamento non collaborativo di alcuni membri di un gruppo sociale; occorre, però, tenere presente che ciascun cittadino-giocatore non può conoscere a priori la condotta degli altri, quindi potrà liberamente scegliere tra la probità e la scorrettezza.
Riprendendo i nostri esempi precedenti, avremo, dunque, dei cittadini che togliendo la pietra, che ingombra l’assetto stradale, e non parcheggiando davanti
all’ingresso di un pronto soccorso, favoriscono la fruizione dei servizi pubblici da
parte di tutta la collettività, senza trarne personalmente un immediato vantaggio,
ma anzi assumendosi l’onere dello spostamento dell’ammasso litico o della ricerca di un parcheggio lontano dal luogo che devono raggiungere; gli altri, gli approfittatori, invece, optando per le scelte più comode e meno collaborative e confidando sull’altrui probità, possono risparmiare tempo e fatica, nell’immediato, e beneficiare dei servizi pubblici (manto stradale sgombro da pericoli e tempestivo intervento sanitario), in futuro.
Ponendo la questione in quest’ottica, si lumeggia quella tentazione a diventare
un “approfittatore” (“free rider”), latente in ciascun cittadino.
Abbiamo, però, in questo paragrafo trascurato, finora, il soggetto che è stato il
protagonista delle pagine precedenti: lo Stato e sue articolazioni territoriali.
Il suo ruolo è quello di intervenire per garantire la sicurezza e quindi la sua azione è determinante.
Facciamo ancora una volta ricorso alla “teoria dei giochi” ed in particolare al
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«gioco delle multe e dei limiti di velocità» .
il tema delle scelte sociali con un approccio interdisciplinare (matematico-comportamentale). A proposito si vedano: R.D. LUCE-H. RAIFFA, Games and Decisions, Wley, New York, 1957; T.C. SCHELLING, What is Game Theory?, in J.C. CHARLESWORTH (a cura di), Contemporary Political Analysis,
Free Press, New York, 1967, pp. 212-238; M. SHUBIK, Game Theory in the Social Sciences. Concepts
and Solutions, MIT Press, Cambridge, 1982; G.E. RUSCONI (a cura di), Giochi e Paradossi in politica, Einaudi, Torino, 1989.
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È il caso del «dilemma del prigioniero», brevemente riassumibile in questi termini: due prigionieri, tenuti separati dalla polizia, sono interrogati singolarmente. Si profilano tre possibili scenari: se i
due collaborano tra di loro e quindi nessuno dei due confessa il reato, entrambi riesco a farla franca e
vengono liberati; se uno collabora e l’altro no, ovvero uno non confessa e l’altro sì, entrambi vengono
condannati ma il primo ottiene i benefici di legge; se entrambi non collaborano tra loro, ossia tutti e
due confessano, vengono condannati senza che alcuno possa fruire dei benefici di legge.
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H. HAMBURGER, Giochi misti di competizione e cooperazione, in G.E. RUSCONI (a cura di), Giochi
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«Imporre i limiti di velocità al traffico automobilistico […] è un obiettivo amministrativo concreto. In questi casi il problema dell’amministratore è di massimizzare l’adesione e la cooperazione; ci saranno infatti sempre resistenza, freno e qualche aperta disobbedienza. Se non ci fosse resistenza, non ci sarebbe affatto bisogno
di un programma amministrativo e se fosse impossibile aumentate la frequenza
dell’osservanza delle norme tramite iniziative governative, non ci sarebbe altrettan4
to ovviamente alcuna ragione per l’azione amministrativa» .
La quantità e la qualità delle risorse da impiegare per far applicare la legge è
definita dallo Stato nel suo bilancio; questo comporta il valore della spesa per il
pagamento degli stipendi e dell’equipaggiamento degli agenti addetti al servizio
di polizia stradale e, di conseguenza, l’arco di tempo durante il quale un determinato tratto di strada viene sottoposto a sorveglianza. Si tratta di una “strategia
mista dell’applicatore della legge”, che media tra il far rispettare la legge sempre
ed ovunque (opzione irrealizzabile, in considerazione dell’immensità di risorse
necessarie e della sproporzione del rapporto risorse-obiettivi) ed il non far rispettare la legge (opzione antitetica all’esistenza di uno Stato).
Nel gioco si fronteggiano lo Stato, che mira a tutelare l’incolumità e la serenità
dei cittadini, e ciascun guidatore, che intende risparmiare tempo senza incorrere nelle
sanzioni previste per le infrazioni commesse e senza subire incidenti. Lo Stato
può adottare due strategie: vigilare o non vigilare; il guidatore, invece, può rispettare o violare. Se lo Stato segue la strategia del non vigilare, il guidatore tende a
passare dal rispetto dei limiti alla violazione, conseguendo così un risparmio di
tempo, ma facendo venir meno la sicurezza stradale di tutti gli utenti.
Se lo Stato segue la strategia del vigilare, il guidatore si espone alle sanzioni e
quindi valuterà opportunamente la propria impellenza: solo se la riterrà più profittevole della sanzione, sarà disposto a violare, assumendosi i relativi oneri (sanzioni e rischio incidente). È, quindi, plausibile una riduzione delle infrazioni, derivante dal disincentivo a commetterle. Attenzione, però, che la strategia del vigilare si trasforma in
un puro onere per lo Stato, quando il guidatore rispetta di sua spontaneità i limiti,
infatti, in tale ipotesi, lo Stato sostiene i costi della vigilanza senza introitare multe.
Ovviamente, come evincibile dalla seguente matrice che riassume numericamente il valore scaturente dalla somma algebrica dei risultati dei due giocatori
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(Stato e guidatore) , la condizione ottimale è rappresentata dal caso in cui in ase Paradossi in politica, cit., pp. 43-72; H. HAMBURGER, Games as Models of social Phenomena, Freeman
and Co., San Francisco, 1979.
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J.M. EDELMAN, The Symbolic Used of Politics, University of Illinois Press, Urbana, 1964, p. 44.
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Per l’elaborazione della matrice si prendono in considerazione cinque parametri: tempo risparmiato dal Guidatore (punteggio: 25), perdita di sicurezza per il Guidatore (punteggio: – 15),
multa a carico del Guidatore (punteggio: – 200), pericolo (punteggio: – 5), costi di vigilanza dello
Stato (punteggio: – 20). I punteggi qui adottati sono pari a quelli impiegati nello studio di H. HAMBURGER, Giochi misti di competizione e cooperazione, in G.E. RUSCONI (a cura di), Giochi e Paradossi in politica, cit., pp. 44-48.
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Capitolo Secondo
senza di controlli (lo Stato non vigila) il guidatore rispetta spontaneamente i limiti: lo Stato non spende per i controlli e non subisce i costi dell’insicurezza e delle
vittime, allo stesso tempo il guidatore non subisce multe e non si espone ad incidenti, pur non beneficiando di risparmi di tempo.
Tabella 6. – Gioco multa/velocità in termini numerici
Guidatore
Viola
Rispetta
Stato
Vigila
6
– 75 (se lo Stato non incassa la multa)
– 15 (se lo Stato incassa la multa)
– 20
Non vigila
5
0
Rielaborazione della matrice di H. HAMBURGER, Giochi misti di competizione e cooperazione, in G.E. RUSCONI (a cura
di), Giochi e Paradossi in politica, cit., p. 46, fig. 2.
L’unico valore positivo all’intersezione tra la non vigilanza dello Stato e la violazione del Guidatore non deve ingannare: nella matrice si considerano soltanto cinque parametri (tempo risparmiato dal guidatore, perdita di sicurezza per il guidatore, multa a carico del guidatore, pericolo, costi di vigilanza dello Stato) tra i quali
non rientrano i costi individuali e sociali derivanti dagli incidenti, in quanto sono eventuali e sono computabili solo qualora accadano e in proporzione alla gravità dell’evento. Il valore 5 è dunque influenzato dal vantaggio in termini di tempo goduto
dal Guidatore, a esso non si contrappongono costi per il mantenimento dei servizi
di sorveglianza, in quanto lo Stato non spende alcuna risorsa per svolgere la vigilanza.
Ipotizzando che in termini di costi individuali e sociali un incidente possa esser ponderato con il valore medio di 1.000 e che ad ogni infrazione consegua un
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incidente, otterremmo la seguente matrice :
Tabella 7. – Gioco multa/velocità in termini numerici con considerazione dei costi
da incidente
Stato
Guidatore
Viola
Rispetta
6
Vigila
– 1.075 (se lo Stato non incassa la multa)
– 1.015 (se lo Stato incassa la multa)
– 20
Non vigila
– 995
0
Rispetto ai punteggi elencati in nota precedente, in questa simulazione si prendono in considerazione i costi di esazione della sanzione amministrativa, forfettariamente quantificati ed i costi della perdita di credibilità del potere sanzionatorio (40, pari alla somma dei punteggi previsti per il
pericolo, la perdita di sicurezza del singolo ed i costi di vigilanza).
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Ritenere che i costi di un incidente siano pari a 5 volte il valore di una multa è decisamente ottimistico, che controbilancia l’irrealistica ipotesi di un incidente ogni infrazione.
Le norme sanzionatorie
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I dati sono di per sé loquaci: l’unica condizione priva di conseguenze negative è
quella discendente dallo spontaneo rispetto delle regole, pur in assenza di controlli.
Nella realtà, lo Stato gioca contemporaneamente tante partite quanti sono i guidatori, sarebbe possibile quindi determinare una matrice globale, calcolata moltiplicando i valori per il numero di partite.
Lo Stato, per definizione, non dovrebbe mai giocare come “approfittatore” (“free
rider”).
Il segreto per ottimizzare i risultati consiste nella capacità da parte del cittadi8
no di acquisire il maggior autocontrollo possibile, al punto tale che lo Stato non
debba esercitare alcun controllo.
Il rispetto del Codice della Strada non deve fondare sul timore dell’applicazione della sanzione e tanto meno su un arido moralismo orientato al bieco rispetto
di ogni imposizione eteronoma, deve bensì derivare dal senso civico di ciascuno,
teso a garantire la sicura fruizione del bene pubblico (la strada) da parte di tutti i
potenziali utenti.
Purtroppo, però, non tutti aspirano a raggiungere l’acme dell’evoluzione umana
e spesso anche quelli che potrebbero esserne inclini, non esercitano tali facoltà.
D’altronde, non essendo parimenti diffusa la sensibilità di rispetto del prossimo e
del bene pubblico, necessariamente occorre imporre la conformazione dei comportamenti dei singoli all’inalienabile obiettivo della sicurezza comune, fissando
obblighi perentori.
Nel lungo termine, ottimi risultati potranno derivare dalla crescita della consapevolezza della necessità di un positivo contributo al bene pubblico; nell’attesa che
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le coscienze maturino, grazie magari ad efficaci campagne pubblicitarie , il diritto, non potendo fondare sul buon senso e sulla capacità autoregolamentatoria dei
singoli, deve imporre le regole.
Ogni utente della strada è chiamato al rispetto delle norme del Codice. Una
norma giuridica «deve enunciare un interesse effettivamente vigente nella comunità o predisporre gli strumenti (organi e procedure) necessari per il suo soddisfaci10
mento e la sua tutela» . La coattività della norma giuridica, ossia la previsione di
sanzioni a tutela dell’interesse della comunità e la punizione di chi trasgredisce il
precetto, è un elemento fondamentale: senza sanzioni la norma sarebbe imperfetta, in quanto il suo rispetto sarebbe rimesso alla buona volontà di ciascuno.
Giustamente e doverosamente, la sanzione scatta ogni qualvolta qualcuno in8
L’autocontrollo è stato considerato dai filosofi morali di quasi tutte le tendenze come lo strumento necessario alla conquista della dignità umana.
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Si spendono miliardi di euro in campagne mirate a promuovere la vendita di autoveicoli, basterebbe inserire all’interno di ciascun messaggio pubblicitario, un consiglio di buona condotta; se
le pubblicità sono efficaci per l’incremento delle vendite, perché non dovrebbero essere parimenti
efficaci per tutelare la salute ed il benessere dei potenziali acquirenti, proponendo sani stili di vita e
comportamenti sicuri?
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T. MARTINES, Diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1992, p. 54.
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Capitolo Secondo
frange il precetto normativo. La definizione di una sanzione per un comportamento irregolare costituisce un’assunzione di responsabilità per il Legislatore, perché così facendo fornisce un potere sanzionatorio agli organi amministrativi dello
Stato, assumendo la consapevolezza che essi devono far rispettare la norma applicando una sanzione ogni qualvolta qualcuno non la rispetti. In ciò è implicita la
valutazione che le forze in campo per lo svolgimento dei controlli sono adeguate.
Se così non fosse la norma sanzionatoria si tradurrebbe in un boomerang, che
possiamo battezzare «potere demolitivo dell’impunità»: i cittadini, consapevoli che
alla trasgressione della norma non corrisponde una sicura sanzione, si abituano a
non rispettare il precetto, dopo breve, la norma perde qualsiasi effettiva vigenza e
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diventa un articolo di legge inefficace .
La sanzione ha, soprattutto nell’immediatezza della sua entrata, lo scopo di disincentivare la trasgressione. Inevitabilmente, su milioni di persone, c’è sempre chi,
anche solo per il semplice gusto di sfidare le regole imposte, deliberatamente infrange la norma.
Questo comportamento tenderà ad estendersi sempre più, in prima battuta, tra
gli “impavidi” e via via coinvolgerà il resto della popolazione, fino a sedurre anche i cittadini più corretti, dubbiosi sull’effettiva efficacia del precetto dettato.
Un’effimera efficacia sono destinate ad avere anche le sanzioni che risultino
eccessivamente onerose nella pratica applicazione (obblighi ed oneri eccedenti il
valore della multa o del bene pubblico da tutelare disincentivano l’azione di contrasto alle infrazioni) o che comportino uno stratosferico esborso (imporre una
multa da un miliardo di euro è inefficace, in quanto nella maggior parte dei casi
risulta irriscuotibile per limitatezza delle risorse del trasgressore).
Un lungo discorso a sé stante meriterebbe la necessità di motivare e tutelare
gli operatori preposti alla contestazione delle infrazioni: agenti privi di sostegno
morale ed economico non sono incentivati a far rispettare la legge, specie quando
il rischio alla propria incolumità cresce a seguito della maggior reattività, anche
fisica, del trasgressore.
Tutti questi fattori contribuiscono a creare la certezza dell’impunità, che nella
pratica cancella la norma.
Lo Stato, che deroga al proprio primato coercitivo ed amministrativo, non
punendo i trasgressori, avalla implicitamente la condotta illecita; ma ancor più de11
In Italia, abbiamo assistito, in passato a numerosi esempi: dall’obbligo del circolare con le fasce di sicurezza allacciate, all’obbligo d’indossare il casco, che hanno richiamato persino l’attenzione degli autori di trasmissioni televisive di denuncia, quale ad esempio Striscia la Notizia (vedasi
numerosi servizi pubblicati su http://www.striscialanotizia.it). Ma ne esistono molte altre, sempre in
ambito stradale: l’insudiciamento della strada o l’imbrattamento della segnaletica stradale sono atti
vietati, ai sensi degli artt. 15 e 34-bis CdS, ma le sanzioni previste ai commi 2 e 3, con obbligo di
ripristino delle cose e dei luoghi deturpati (comma 4) non costituiscono deterrente, in virtù della
loro modicità e della scarsa attività di controllo e repressione svolta. NOVITÀ! L’art. 5, comma 1
della legge n. 120/2010 ha ridotto la previgente sanzione (da € 500,00 a € 1.000,00), a carico di chi
insozza e getta rifiuti sulle strade, ad ancor più esigui valori: da € 100,00 a € 400,00.
Le norme sanzionatorie
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vastanti sono gli effetti di uno Stato che “giochi” esso stesso come “approfittatore”
delle carenze, per trarne vantaggio. Se, ad esempio, consapevole dell’assenza di parcheggi, un comune impone il pagamento del diritto di sosta su tutte le aree disponibili, non preoccupandosi né delle esigenze della gente, né della costruzione di nuove infrastrutture, né della realizzazione di servizi alternativi, farà sicuramente cassa,
con la riscossione dei diritti di sosta e delle multe, ma aggraverà il malcontento.
Parimenti, malumori e disaffezione si levano ogni qualvolta si impongano limiti di velocità irrealistici, sostenendo che le strade esistenti sono inadeguate per la
circolazione a velocità superiori, raggiungibili dai veicoli moderni. Tassi alcolemici, che non tengano conto delle ordinarie e morigerate abitudini della tavola
italiana (un bicchiere di vino a pasto) contribuiscono a far perdere credibilità alle
amministrazioni che perseguono irrealizzabili obiettivi di “alcol zero”.
Ovviamente nella definizione di Stato, usata, in questo paragrafo, per indicare
il potere pubblico, abbiamo genericamente ricompreso tutti gli enti e le amministrazioni con potere di imporre limiti, restrizioni e prescrizioni alla circolazione.
Per ritornare agli insegnamenti dei sommi saggi del passato, possiamo dire che
la forza di una norma è racchiusa nella sua bontà ed una norma è tanto più buona
quanto più è condivisa nelle ragioni di base e negli scopi che persegue.
2. Funzione rieducativa dell’individuo e risarcitoria della collettività
2.1. Funzione rieducativa
Come abbiamo visto in precedenza, lo Stato per ottimizzare le sue risorse ha
necessità di educare i cittadini affinché assumano condotte idonee a prevenire gli
eventi pregiudizievoli per la collettività. Il miglior investimento in sicurezza è pertanto la formazione, ma essa non può sostituire la repressione, necessaria per sanzionare le infrazioni commesse.
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Cesare BECCARIA , nel suo celebre «Dei delitti e delle pene», con biasimo, puntava il dito contro quei signori del passato, che traevano beneficio nel comminare
sanzioni rimpinguatrici dei forzieri personali: «Fu già un tempo nel quale quasi
tutte le pene erano pecuniarie. I delitti degli uomini erano il patrimonio del principe. Gli attentati contro la pubblica sicurezza erano un oggetto di lusso. Chi era destinato a difenderla aveva interesse di vederla offesa. L’oggetto delle pene era dunque una lite tra il fisco (l’esattore di queste pene) ed il reo; un affare civile, contenzioso, privato piuttosto che pubblico, che dava al fisco altri diritti che quelli somministrati dalla pubblica difesa ed al reo altri torti che quelli in cui era caduto, per la
necessità dell’esempio. Il Giudice era dunque un avvocato del fisco piuttosto che un
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Cesare Bonesana, marchese di Beccaria (Milano, 15 marzo 1738-Milano, 28 novembre 1794).
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Capitolo Secondo
indifferente ricercatore del vero, un agente dell’erario fiscale anzi che il protettore ed
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il ministro delle leggi» . Il nostro sistema giuridico, trae insegnamento dalle elucubrazioni del celebre giurista e filosofo milanese, tanto che, stando al dettato costituzionale, le sanzioni devono “tendere alla rieducazione” (art. 27, comma 3, Cost.).
Se la formazione e l’educazione dispensata, in prima battuta si manifesta inefficace, lo Stato dispone di una seconda istanza educativa, che però, contempla un
costo per il contravventore.
La statuizione costituzionale si rivolge prevalentemente ai fenomeni delittuosi;
considerato che alcune condotte di guida sono penalmente rilevanti, ben vale una
digressione sull’argomento.
La dottrina ha puntualizzato che «non sembra eccessivo affermare che dietro lo
schermo della rieducazione può riproporsi quasi integralmente il dibattito fra dottrine preventive e dottrine retributive delle pene: a seconda che per rieducazione si
intenda l’acquisizione di una “nuova moralità” ... o invece si intenda una buona
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condotta puramente esteriore, il mero rispetto della legge» .
Il verbo “tendere”, contenuto nel dettato costituzionale, estrinseca la funzione
della rieducazione, non individuabile come lo scopo essenziale della pena, ma
come uno degli scopi, da tenere in conto soprattutto nella fase esecutiva; tra le
altre finalità della pena si devono, infatti, annoverare: la dissuasione, la prevenzione, la difesa sociale e perché no, anche il sostanziale risarcimento sociale.
La Corte Costituzionale ha interpretato il comma 3 dell’art. 27, nel quadro di
una concezione sostanzialmente “polifunzionale” della pena: negli anni Cinquanta e Sessanta la rieducazione del condannato era assunta come una finalità ultima
ma non unica della pena ed in talune sentenze il fine rieducativo è stato indivi15
duato come «marginale o addirittura eventuale» ; nel corso dei decenni si è regi16
strata un’attenuazione di questo orientamento .
Nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 444, comma 2, c.p.p. «nella parte in cui
non prevede che il Giudice possa valutare la congruità della pena indicata dalle parti», la Consulta ha formulato delle affermazioni di pregnante rilievo, sulla predisposizione della sanzione effettiva:
Giurisprudenza
«in uno stato evoluto, la finalità rieducativa non può essere ritenuta estranea alla legittimazione e
alla funzione stessa della pena [...] la necessità costituzionale che la pena debba tendere a riedu13
C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Mursia, Milano, 1973, Cap. XVII.
14
E. DOLCINI, La rieducazione del condannato tra mito e realtà, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1979.
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Corte cost., sentenza 12 febbraio 1966, n. 12.
16
«Il significato dell’art. 27, comma 3, Cost. non può essere forzato fino a condurre alle estreme
conseguenze la tesi che il fine rieducativo inerisce ad ogni pena, dovendo esso necessariamente contemperarsi con le altre funzioni di retribuzione e di difesa sociale» (Corte cost., sentenza 7 luglio
1980, n. 107).
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Le norme sanzionatorie
care [...] indica proprio una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo
contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino
a quando in concreto si estingue»
Corte cost., sentenza 2 luglio 1990, n. 313.
La rieducazione del reo quale finalità primaria della pena, è, oggi, condivisa senza consistenti contrapposizioni:
Giurisprudenza
«il verbo tendere vuole significare soltanto la presa d’atto della divaricazione che nella prassi può
verificarsi tra quella finalità e l’adesione di fatto del destinatario al processo di rieducazione»
Corte cost., sentenza 2 luglio 1990, n. 313.
La sentenza n. 313/1990 della Corte Costituzionale ha rappresentato una vera
svolta: la portata del principio rieducativo della pena è stata evidenziata in tutta la
sua estensione ed ha comportato un’inversione di tendenza, rispetto alla consolidata prassi giurisprudenziale, che considerava la funzione rieducativa circoscritta
al solo ambito dell’esecuzione.
La stessa sentenza n. 313/1990 ha individuato nel fine rieducativo della pena il
principio che deve informare di sé i diversi momenti che siglano il processo ontologico di previsione, di applicazione e di esecuzione della sanzione penale. A giudizio della Corte, riconoscere l’incidenza del principio rieducativo al solo momento
esecutivo significa comprometterne l’efficacia in questa stessa fase, «ogniqualvolta
specie e durata della sanzione non fossero state calibrate (né in sede normativa né in
quella applicativa) alle necessità rieducative del soggetto». Nella sentenza si afferma
la priorità della finalità rieducativa sulle altre, e ciò, nonostante afflittività e retributività siano ritenuti contenuti ineliminabili di qualsiasi pena, e nonostante che,
i contenuti delle reintegrazioni, della intimidazione e della difesa sociale siano «valori che hanno un fondamento costituzionale»: essi sono in ogni modo secondari
alla finalità rieducativa, posto che essa solo è «espressamente consacrata dalla Costituzione».
Nonostante l’evoluzione cultural-giuridica, l’art. 27, comma 3, Cost., purtroppo, rimane tutt’oggi una disposizione programmatica: la sua concreta realizzazione è affidata al momento della lettura della sentenza ed alla successiva esecuzione
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dell’espiazione della pena .
18
L’elevazione del minimo edittale di qualche anno non è servito a fermare le
stragi stradali: occorre far valere il sistema sanzionatorio, anche in funzione della
specificità dell’illecito e dell’applicazione di modalità afflittive idonee ad essere
percepite e ritenute tali dagli autori del reato; il tutto con lo scopo peculiare di ri17
18
Corte cost., sentenza 9 novembre 1988, n. 1023.
Legge n. 102/2006 sulla incidentalità stradale e D.L. n. 92/2008.
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Capitolo Secondo
condurre quel determinato reo a considerare, in termini nuovi e diversi, il proprio
rapporto con la società e con il dovere di osservare le norme che regolano la convivenza civile e stradale.
Per il reato di omicidio colposo stradale il reo non deve e non può essere punito con una pena che di fatto possa essere contenuta nella misura finale dopo lo sconto di un terzo della pena e della applicazione di attenuanti in una misura tale da esser automaticamente “sospesa”, in modo da non riportare l’effetto rieducativo della
stessa sanzione penale.
Dichiarare che una pena debba tendere alla rieducazione, equivale a sposare gli
obiettivi di economia e di buon governo di cui abbiamo già discusso.
Trasferendo l’attenzione dal campo penale a quello amministrativo, rileviamo
tutte le limitatezze della sanzione pecuniaria, che favorisce chi dispone di maggiori
disponibilità economiche e che può permettersi di infrangere deliberatamente le
regole.
Le sanzioni irrogate per infrazioni al Codice della Strada molto spesso manifestano un’enorme carenza sul fronte della potenzialità rieducativa: le sanzioni penali sono spesso scarsamente deterrenti e contribuiscono poco alla ricostituzione
di uno spirito civico del “deviante” e in più si coniugano a sanzioni amministrative di natura prevalentemente pecuniaria.
Ad esempio, disposizioni come quella contenuta nel comma 2 dell’art. 198 si
pongono agli antipodi dell’idea rieducativa ed anzi instillano una rancorosità devastante per gli equilibri del buon vivere comune: una sanzione per esser efficace
sul piano della rieducazione presuppone l’immediata contestazione dell’infrazione e l’immediata intimazione a non perpetuare l’azione vietata. Consentire la constatazione, in un ampio arco di tempo, di una serie di violazioni alla medesima
disposizione, per poi notificare al responsabile, a distanza di parecchio tempo dal
compimento della prima infrazione, la sommatoria delle sanzioni per ogni singola
19
trasgressione, non ha alcun proposito favorevole per la collettività .
Normativa
«Più violazioni di norme che prevedono sanzioni amministrative pecuniarie.
1. Salvo che sia diversamente stabilito dalla legge, chi con una azione od omissione viola diverse
disposizioni che prevedono sanzioni amministrative pecuniarie, o commette più violazioni della stessa disposizione, soggiace alla sanzione prevista per la violazione più grave aumentata fino al triplo.
2. In deroga a quanto disposto nel comma 1, nell’ambito delle aree pedonali urbane e nelle zone
a traffico limitato, il trasgressore ai divieti di accesso e agli altri singoli obblighi e divieti o limitazioni soggiace alle sanzioni previste per ogni singola violazione»
art. 198 CdS.
19
Vedremo, nel proseguo, che un deciso intervento legislativo di contenimento di simili esempi
di mala-amministrazione si è registrato con il varo della legge n. 120/2010, che ha ridotto i termini
per la notifica del verbale di contestazione.
Le norme sanzionatorie
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Vedremo, più avanti, che anche alcuni istituti a tutela della riscossione delle
sanzioni (ad esempio, la coobbligazione), anziché tradursi in deterrenti per i conducenti, si manifestano esclusivamente strumenti di garanzia per l’esattore.
La rieducazione in taluni casi può passare attraverso l’alleggerimento e persino l’annullamento delle sanzioni.
Se da un lato è inammissibile la scusabilità e l’impenitenza dell’impasticcato che,
alla guida di un veicolo, travolge ed uccide degli innocenti pedoni a passeggio su
un marciapiedi, un parametro diverso deve necessariamente esser adottato nei
confronti delle infrazioni, prive di connotazioni di pericolo.
Le considerazioni, che ci apprestiamo a compiere, valgono, dunque, soltanto
per le infrazioni che non siano qualificate come reati e che non mettano a repentaglio l’incolumità di alcuno (dall’omesso pagamento della sosta, fino al modico
superamento dei limiti di velocità in condizioni di strada libera).
Il richiamo verbale è considerabile una sanzione, ma si trasforma in impunità se
ogni agente si limita a richiamare i contravventori senza mai assumere alcun provvedimento più incisivo, nei confronti dei recidivi. La tecnologia, attualmente disponibile, permette di conoscere perfettamente la “personalità” di ciascun guidatore: in alcuni Comuni, i Vigili sono dotati di palmari, che agevolano la compilazione dei Verbali e che opportunamente implementati, consentirebbero in tempo
reale di conoscere i precedenti dell’autore dell’infrazione in fase di contestazione.
Sarebbe sufficiente che tutte le contestazioni, confluissero in un’unica banca dati
nazionale, consultabile dagli agenti preposti al controllo, limitatamente alle informazioni necessarie allo svolgimento dello specifico servizio. La bontà del classico
“è la prima volta” potrebbe esser messa immediatamente alla prova ed attraverso
degli atti di formale clemenza si potrebbe realizzare un’azione effettivamente educativa, sintetizzabile volgarmente in: «questa volta ti perdono, ma fai attenzione che
se sarai recidivo, la prossima paghi doppio».
Considerato che la sanzione dura e pura non serve, perché, una volta assolto il
pagamento si attiva una sorta di oblio giustificatorio, occorre trovare soluzioni
alternative, anche per affermare il necessario principio di equità e di parità tra i
cittadini (“par condicio civium”): c’è chi posteggia in seconda fila, getta rifiuti dai
finestrini, sfreccia sulle strade urbane, incurante dei conseguenti esborsi finanziari, ed arreca disagio agli altri utenti della strada, che non possono sperare in un
futuro ravvedimento del pervicace trasgressore.
La sanzione, specie se pecuniaria o se commutabile in una multa, non è efficace, in quanto si presta ad una pericolosa distorsione: «chi paga ha diritto di trasgredire».
Nella sanzione pecuniaria, irrogata per talune infrazioni di minor rilievo (minimo superamento dei limiti di velocità o mancato rispetto dei divieti di sosta,
ove non si ostruisca il transito o un accesso di emergenza), si può ravvisare una
violazione dell’art. 3 Cost., per discriminazione tra soggetti abbienti e meno abbienti: i primi possono permettersi il pagamento di sanzioni ed eventuali corsi per
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Capitolo Secondo
il recupero dei punti persi, i secondi si trovano in seria difficoltà, se non addirittura, nell’impossibilità di pagare la sanzione, al punto che se perdono tutti i punti
della patente rischiano anche il sostentamento. Si pensi, ad esempio, a coloro che
hanno ineludibile necessità dell’auto per gli spostamenti (per il raggiungimento
del posto di lavoro, residenti in zone di montagna o difficilmente raggiungibili con
mezzi di trasporto pubblico).
È, dunque, evidente che nel pagare una somma di denaro non sussiste alcun
fondamento rieducativo e d’altronde si afferma il principio secondo il quale chi è
più ricco può infrangere la Legge.
Novità
L’art. 57 della legge n. 120/2010 con l’introduzione di misure alternative alla pena detentiva, comminabile a chi guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe è un esempio di lungimiranza.
2.2. Proposta: “Il raccogli e perdi”
In questa sede, si vuol azzardare l’abbozzo di una proposta, quella del “raccogli e perdi”.
L’idea consiste nell’istituire una «raccolta punti inversa», applicabile esclusivamente per le infrazioni di modesta entità, non sanzionate con la decurtazione
dei punti dalla patente. Ogni sanzione pecuniaria potrebbe essere convertita in
punti, in base ad una valorizzazione predeterminata (ad es.: 1 punto = € 100; 1/2
punto = € 50; 1/4 punto = € 25). Fino al raggiungimento dei tre punti sarebbe
concessa la possibilità di ottenere la sospensiva delle sanzioni commesse; superati
i tre punti, sarebbe revocata la sospensiva ed il trasgressore sarebbe tenuto al pagamento delle sanzioni pregresse; per le infrazioni successive alla quarta, il trasgressore sarebbe soggetto all’applicazione di sanzioni maggiorate, in virtù della
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sua condotta .
La cartella punti potrebbe esser resa tabula rasa ogni due o tre anni, a seconda
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della “personalità” del conducente .
L’adesione al “raccogli e perdi” potrebbe esser su base volontaria, in pratica
ogni conducente potrebbe scegliere di aderirvi oppure no, con la consapevolezza
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Attualmente il conducente che commetta 500 violazioni all’anno di divieti di sosta è sanzionato, per ciascuna infrazione, al pari del cittadino che ne commetta una, nell’arco di un triennio: è
evidente la sperequazione e l’ingiustizia.
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Sarebbe fissato un periodo più lungo per i conducenti che, nello stesso periodo, abbiano perso dei punti della patente.
Le norme sanzionatorie
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che se non aderisce, deve provvedere al pagamento delle sanzioni pecuniarie secondo le ordinarie condizioni vigenti, ma esponendosi oltre che ad una sanzione
aggiuntiva, anche al costante incremento percentuale applicato sul valore minimo
edittale, al progredire del numero delle infrazioni commesse.
Secondo Niccolò MACHIAVELLI, «Gli uomini sdimenticano più presto la morte
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del padre che la perdita del patrimonio» e su la venalità degli individui lo Stato potrebbe far leva per conseguir l’obiettivo educativo. I cittadini allettati dalla sospensiva delle prime infrazioni, aderirebbero e starebbero attenti al rischio di collezionare il quarto punto, presupposto per la riscossione delle tre infrazioni pregresse.
Il diritto alla sospensiva connesso al beneficio di non subire l’incremento percentuale della sanzione applicata, fin dalla seconda infrazione, bensì dalla quinta,
potrebbe incentivare l’adesione al programma, il cui intento è far sì che i cittadini
detengano condotte corrette e non incorrano in più di tre infrazioni nel corso del
biennio o triennio. In questo modo si scalfirebbe la convinzione che le multe sono irrogate per far cassa e contemporaneamente si obbligherebbero i cittadini a
rapportarsi con le istituzioni preposte alla repressione delle infrazioni.
Infatti, ad ogni punto accumulato corrisponderebbe un adempimento: al collezionamento del primo, potrebbe esser prevista la comparizione personale presso il Comando dell’organo accertatore per rappresentare le giustificazioni del comportamento detenuto in difformità dalle prescrizioni del Codice, manifestando un
pentimento, che sarebbe inappellabilmente giudicato dal funzionario (completo,
parziale, minimo), a tale graduazione potrebbe esser assegnata una ponderazione
tale da comportare una riduzione del valore del punto collezionato, in misura proporzionale al pentimento manifestato. Sentite le ragioni del cittadino, competerebbe al Comandante o suo delegato provvedere alla reprimenda verbale, per indurre il soggetto a non perpetrare.
Al collezionamento del secondo punto, potrebbe esser prevista un’adempienza
identica alla prima, con in più la proiezione di un filmato di educazione stradale,
scelto tra quelli forniti dal Ministero dei Trasporti, in base all’infrazione commessa.
Al collezionamento del terzo punto, la competenza potrebbe passare al Giudice di Pace che istruendo un “processino” in maniera informale e senza iter burocratici, a cui necessariamente partecipano il trasgressore ed il Comandate del Corpo di Polizia o suo delegato, decide sull’opportunità di “condannare” il trasgressore a qualche ora di servizi sociali presso strutture sanitarie o enti convenzionati,
entro cui il soggetto possa prendere cognizione degli effetti della disattenzione
alle norme del Codice o delle conseguenze del suo comportamento.
I pronto soccorsi o le corsie delle traumatologie potrebbero esser i luoghi deputati per prestare una mezza giornata di “volontariato” obbligatorio. Ma per determinate infrazioni potrebbero esser più proficui altri ambienti: ad esempio, co-
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N. MACHIAVELLI, Il Principe, Bur, Milano, 1991, p. 160.
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Capitolo Secondo
lui che posteggia indebitamente sul posto riservato agli invalidi potrebbe esser
indirizzato a prestare assistenza presso un centro invalidi, per rapportarsi alle difficoltà esistenziali di questa categoria di persone. Una mezza giornata di assistenza agli ospiti di un canile potrebbe esser appropriato per chi abbia provocato con
la propria guida delle lievi ferite.
Tale programma potrebbe esser obbligatorio, anziché volontario per i neopatentati, sia perché sarebbe più efficace una simile sanzione accessoria rispetto al pagamento di una sanzione pecuniaria, sia perché, in considerazione della giovane età
dei neopatentati e la maggior disponibilità di tempo per le comparizioni personali,
non dovrebbero, generalmente, sussistere incombenze professionali tali da far preferire il pagamento della sanzione, alla “perdita di tempo”, presso la pubblica autorità.
Tutto ciò avrebbe come vantaggio, il consentire agli organi di controllo di conoscere personalmente i trasgressori e poter quindi monitorare adeguatamente la
pericolosità stradale in una determinata area del Paese.
L’iniziativa consentirebbe di alleggerire il lavoro dei Giudici di Pace, non essendo ammesso, in corso di adesione al “raccogli e perdi”, l’esperimento delle ordinarie azioni di tutela giurisdizionale ed amministrativa.
In qualsiasi momento, il cittadino potrebbe rescindere dal “raccogli e perdi”,
ma dovrebbe riscattare la “cartella punti”, ossia dovrebbe effettuare il pagamento
delle sanzioni ancora in sospensiva (pari al numero di punti accumulati).
Per le infrazioni gravi, siccome, il «porgi l’altra guancia» si tradurrebbe in una
legittimazione a ledere impunemente la sicurezza pubblica, le ordinarie sanzioni
potrebbero esser accompagnate da “servizi sociali” da prestare presso opportune
strutture, che potrebbero anche esser le medesime convenzionate per le “infrazioni leggere”.
2.3. Funzione risarcitoria
La sanzione pecuniaria oltre a punire il responsabile dell’infrazione deve intervenire per “risarcire” e “contribuire” al bene pubblico: la finalità è realizzabile
destinando gli introiti finanziari a beneficio della collettività, con finanziamenti
all’irrobustimento di una cultura della sicurezza, al potenziamento delle infrastrutture esistenti ed a sostegno delle vittime della circolazione e loro famiglie.
Il vigente Codice della Strada dispone, in questo senso: in ossequio all’art. 208,
le sanzioni amministrative pecuniarie riscosse da strutture di controllo dello Stato sono destinate al finanziamento:
 di attività connesse all’attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale ;
 di studi, ricerche e propaganda ai fini della sicurezza stradale;
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Istituito con l’art. 2, lett. x), legge 13 giugno 1991, n. 190.