ANCI, CONFERENZA DELLE REGIONI, FEDERCASA, CGIL, CISL UIL
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ANCI, CONFERENZA DELLE REGIONI, FEDERCASA, CGIL, CISL UIL
CONFERENZA DELLE REGIONI, ANCI, FEDERCASA, CGIL, CISL UIL Proposte per rispondere al disagio abitativo Il nostro Paese, da troppo tempo, è privo di una politica nel comparto abitativo in grado di prospettare soluzioni credibili che abbiano l’obiettivo, superando la logica dei frammenti occasionali e sporadici degli interventi normativi emergenziali, di prospettare misure strutturali per i tanti nodi irrisolti che condizionano negativamente il settore. Con questa comune convinzione, l’Anci, la Conferenza delle regioni, Federcasa, Cgil, Cisl e Uil hanno avviato un confronto di merito su alcune tra le principali problematiche a cui si deve l’attuale crisi dell’edilizia sociale e, pur partendo dai diversi punti di vista propri di ciascuna organizzazione, si sono ritrovati a condividere una serie di proposte, raccolte in tre aree tematiche, su cui, in considerazione delle attuali condizioni del disagio abitativo particolarmente acute per il coinvolgimento di strati crescenti di popolazione, ritengono necessario ed urgente impegnare il Ministro competente. Alcuni dati1 I dati del “disagio abitativo” danno il senso e la misura della dimensione del problema. Più di una famiglia su dieci vive oggi in condizione di povertà relativa, una su venti di povertà assoluta; il 57% percepisce un reddito inferiore a quello medio; Il 22% vive in situazione di disagio economico. In un contesto di perdurante crisi economica, i costi dell'abitare, onerosi anche per chi vive in condizioni alloggiative stabili, sono un ostacolo spesso insormontabile per accedere al mercato abitativo, vista la difficoltà nel sostenere il pagamento dei mutui o fronteggiare il costo degli affitti che incide per una porzione troppo consistente dei redditi. Il 72,4% delle famiglie è oggi proprietaria dell'abitazione in cui vive, 8,6% dispone dell’abitazione ad altro titolo ed in parte rappresenta una domanda potenziale, perché non sempre le garanzie di permanenza sono a lungo termine. Il processo di acquisizione che negli anni ha caratterizzato il comparto, ha modificato le caratteristiche delle famiglie rimaste in affitto (attualmente il 18,0%), che si identificano soprattutto con quelle a redditi bassi. L'edilizia pubblica risponde ad un quota minima di popolazione (rappresenta il 4% del patrimonio abitativo ed un quinto del mercato dell'affitto, una delle quote più basse d'Europa) e l'assenza di finanziamenti non consente in prospettiva di fornire una risposta socialmente significativa. Il mercato privato ha prodotto aumenti dei canoni di affitto oltre il 100% nell'ultimo decennio, presenta oggi livelli insostenibili e non consente il decollo di strumenti di calmieramento per gli scarsi incentivi messi in campo. 1 Fonti: ISTAT, Banca d'Italia, Agenzia del Territorio, Ministero dell'Interno 1 Oltre alle punte di forte emergenza rappresentata dagli sfratti, ed in particolare da quelli per morosità, passati dalle percentuali irrisorie dei primi Anni Ottanta all’attuale 90% del totale delle sentenze emesse (265.000 negli ultimi 5 anni), è presente un'area di disagio assai più vasta che alcuni dati restituiscono in modo oggettivo: 650.00 sono le domande di edilizia pubblica inevase presso i Comuni e gli ex IACP; 4 milioni di giovani tra i 25 ed i 39 anni risiedono ancora nella famiglia di origine; 4 milioni di lavoratori stranieri vivono in affitto, l'80% in coabitazione ed in condizioni di sovraffollamento. Delle famiglie attualmente in locazione oltre il 70% (2,3 milioni di nuclei familiari) ha un reddito inferiore ai 30.000 euro annui e vive in prevalenza nelle grandi aree metropolitane, dove gli affitti sono più elevati; delle famiglie in proprietà il 20% (3,3 milioni) deve assolvere al pagamento di un mutuo. Se dunque risulta non procrastinabile ricercare soluzioni al problema abitativo, non è più ipotizzabile che ciò avvenga continuando ad urbanizzare ulteriore territorio agricolo od aree naturali: al contrario, l'edilizia sociale deve risultare una componente che partecipa al processo di riqualificazione del patrimonio edilizio e degli spazi urbani degradati o inutilizzati, delle aree dismesse e delle periferie, contrastando ulteriore diffusione insediativa e consumo di suolo. Le proposte 1. Ricomporre il quadro delle competenze Il processo di attribuzione di competenze, avviato negli Anni Settanta dopo l’istituzione delle Regioni e completato con il decreto legislativo 112 del 1998 e, all’inizio degli Anni Duemila, con la nuova stesura del Titolo V della Costituzione, ha prodotto un quadro normativo, per quanto attiene l’edilizia sociale, non esente da ambiguità interpretative se non da elementi contraddittori, solo formalmente sanati dalle sentenze della Corte Costituzionale, che hanno generato più conflitti che forme stabili ed efficaci di collaborazione tra Stato, Regioni e Comuni. All’ambiguità contribuisce l’assenza di una definizione univoca di edilizia sociale con l’utilizzo sempre più ricorrente di nuove espressioni che, in assenza di una definizione normativa, non consentono di identificare univocamente il segmento di intervento. Occorre fare chiarezza partendo dalla definizione di alloggio sociale e tenuto conto della normativa europea vigente. A ciò si aggiunge che nei fatti lo Stato, senza una base giuridica formalizzata e non avendo mai assunto una posizione chiara e motivata sulla questione, ha ritenuto di non avere obblighi di finanziamento del settore, con la conseguenza che sono risultate del tutto episodiche, discontinue ed estemporanee le (scarse) risorse reperite in sede di formazione del bilancio dopo l’esaurimento (1998) dei finanziamenti provenienti dalle ritenute Gescal. Occorre dunque rivedere l’attuale ripartizione di compiti e funzioni e restituire coerenza e continuità nelle azioni dei vari soggetti istituzionali stabilendo, senza sovrapposizioni, le competenze di ciascuno e ricercando le modalità più opportune per una reale collaborazione. In particolare lo Stato è ancora detentore di numerosi compiti a cui ha soltanto in minima parte adempiuto, indicati in modo puntuale all’articolo 59 del decreto legislativo 112 del 1998 (tra cui: la 2 definizione dei livelli minimi del servizio abitativo e l’elaborazione di programmi di erp di interesse nazionale) ed all’articolo 117, comma 2, lett. m), Cost. (determinazione dei diritti civili e sociali da garantire per tutti). Rientra nei compiti non assolti l’istituzione (avvenuta solo formalmente) ed il funzionamento dell’Osservatorio della condizione abitativa, previsto anche dalla legge 431/98 di riforma delle locazioni, che deve costituire una sede di elaborazione delle informazioni riguardante il settore e, soprattutto, di confronto permanente tra tutti i soggetti interessati alle politiche abitative da cui far scaturire proposte condivise da rappresentare a chi ha la responsabilità politica delle decisioni (ed in proposito è da ritenere un importante segnale di attenzione la possibilità di designare un Sottosegretario di Stato con competenza esclusiva alla casa all’interno del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - tradizionalmente scarsamente interessato al problema e molto più disponibile ad occuparsi di grandi opere - e contestualmente rafforzare la struttura ministeriale cui la materia è affidata). Di assoluta rilevanza è la questione del finanziamento pubblico al settore ritenendo del tutto irragionevole che lo Stato, diversamente da come avviene in tutti i Paesi dell’Europa Occidentale, sia esente dalla responsabilità di finanziarie, con continuità e sulla base di programmi pluriennali condivisi da Regioni e Comuni, il settore dell’edilizia residenziale pubblica. Nel conferire a suo tempo competenze e funzioni alle regioni, infatti, lo Stato, assumendo un comportamento differente rispetto a tutti gli altri settori interessati al trasferimento, si è sottratto senza reali motivazioni ad alcun impegno finanziario che risultasse relazionato a parametri definiti e quindi tale da assicurare finanziamenti costanti mentre lo stesso articolo 119 della Costituzione prevede lo stanziamento di “risorse aggiuntive” per interventi speciali finalizzati allo sviluppo economico, alla coesione ed alla solidarietà sociale tra cui non può non rientrare a pieno titolo l’edilizia sociale. Peraltro la legge 431 con l’istituzione del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione (articolo 11) avrebbe dovuto assicurare risorse consistenti non soltanto per favorire i nuclei familiari per i quali l’incidenza del costo dell’affitto sul reddito risultasse superiore ad una soglia di compatibilità ma anche la costituzione di agenzie o istituti per la locazione (il finanziamento del Fondo – come è noto – si è andato riducendo nel tempo sino a risultare, dal 2012, pressoché azzerato a fronte di circa 400mila domande per accedere al contributo presentate nel 2010). L’edilizia sociale ha bisogno di sovvenzioni non particolarmente rilevanti (se confrontate ad altri settori del welfare), ma vi è assoluta necessità che risultino stanziate con continuità in modo tale che possano essere programmate per tempo da regioni e comuni con modalità e procedure che devono diventare ordinarie, condizione questa per ridurre i tempi per la loro piena utilizzazione. E’ indispensabile, quindi, che venga stabilita una posta di bilancio stabile per l’edilizia residenziale pubblica, considerando che il nostro Paese è tra quelli con la più bassa spesa sociale per la casa. Parte dei fondi possono derivare dalla lotta all’evasione, che nel settore dell’affitto rappresenta una quota rilevante, per la quale si rende indispensabile la detrazione dei canoni pagati dagli inquilini (unico strumento in grado di produrre un reale conflitto di interessi tale da far emergere il “nero”) ed azioni di contrasto, attuate da Agenzia delle Entrate e, soprattutto, dalle Amministrazioni locali, di recente titolari dell’accesso alla banca dati del catasto, che permetterebbero di reperire risorse 3 consistenti da destinare al settore dell'edilizia abitativa. In questa direzione, non da ultimo, potrebbe risultare opportuno introdurre norme che leghino la registrazione del contratto di affitto alla richiesta di allacciamento di servizi primari, quale l'energia elettrica. Un utile approfondimento può essere condotto sulla utilizzazione dei depositi cauzionali relativi ai contratti di locazione, attualmente congelati dal locatore presso le banche, che potrebbero alimentare un fondo di rotazione per la realizzazione di alloggi in locazione agevolata, insieme a cofinanziamenti di Stati, Regioni e Comuni. Alcune misure fiscali, inoltre, possono concorre al reperimento di ulteriori finanziamenti, come ad esempio il gettito aggiuntivo alle previsioni di bilancio derivante dal ripristino della tassazione IRPEF sui contratti di locazione a canale libero. 2. Allargare il mercato delle locazioni In un Paese con una percentuale di case in proprietà che supera il 70% si pone un problema di favorire il comparto dell'affitto, possibile solo adottando misure che incrementino l’offerta a canoni sociali e convenzionati. L’insufficienza dello stock residenziale in locazione è un dato acquisito su cui concordano anche le associazioni dei costruttori. Tale carenza, quale risultato di politiche statali che sin dagli Anni Cinquanta hanno inteso agevolare la proprietà diffusa dell’alloggio, comporta, allo stato attuale, ripercussioni negative per l’accesso al mercato degli affitti da parte degli strati sociali più deboli, per l’alto costo dei canoni rispetto ai redditi percepiti. Più in generale, la rigidità del comparto produce conseguenze anche sulla mobilità della popolazione in una fase in cui la crisi occupazionale impone la disponibilità a cambiare luogo di residenza in relazione all’offerta di lavoro. Trattandosi di un tema complesso, che può trovare un avvio di soluzione modificando, per quanto possibile, i meccanismi del libero mercato, la questione va affrontata agendo su più componenti. Nel mercato privato si rende necessario riformare la legge sul regime delle locazioni che, a quindici anni dall'emanazione, ha disatteso largamente gli esiti all'epoca ipotizzati ed in particolare si riscontra una percentuale troppo bassa di contratti concordati, in rapporto a quelli a canale libero, per determinare un'influenza positiva sull’andamento dei canoni, anche a seguito di interventi fiscali sopraggiunti che di fatto hanno ulteriormente disincentivato la prima tipologia di contratti (a cui la legge affidava una rilevanza primaria). E’ in proposito urgente che sia ripreso il confronto al Ministero delle Infrastrutture per una nuova convenzione nazionale che possa consentire di rinnovare gli accordi territoriali sugli affitti concordati. Le misure fiscali devono essere diversamente orientate: la “cedolare secca” deve essere abolita come opzione per i contratti a canale libero e mantenuta solo per i contratti a canale concordato; la detrazione forfettaria del 5% sui redditi da locazione a canale libero deve essere abolita, in quanto il vero ed efficace incentivo alla ristrutturazione, manutenzione straordinaria ed efficientamento energetico è rappresentato dalle detrazioni recentemente prorogate; l'IMU, stante la necessità di una revisione del Catasto che permetta di allineare i valori delle rendite a quelli di mercato e un’equa tassazione sui beni immobiliari, deve prevedere penalizzazioni per gli alloggi sfitti nei comuni ad alta 4 tensione abitativa, attraverso l’applicazione dell’aliquota massima, con conseguenti aliquote più favorevoli per le abitazioni date in locazione a canone concordato. Il Fondo di sostegno all’affitto deve essere rifinanziato con risorse adeguate e con un meccanismo di erogazione che possa fornire risposte efficaci in tempi certi sviluppando, ove possibile, azioni sinergiche con le iniziative attivate da regioni e comuni per la costituzione di Agenzie sociali per la locazione finalizzate a promuovere e sostenere attraverso incentivi e garanzie la sottoscrizione di contratti di affitto a canone concordato in favore di famiglie vulnerabili di fascia grigia. Nel comparto dell'edilizia sociale l'attuazione del Piano casa nazionale ha scontato una capacità realizzativa inferiore alle attese: in ogni caso, oltre a rendere più efficace l'azione del Fondo investimenti per l’abitare della Cdp contando su una maggiore disponibilità degli enti locali, occorre individuare le condizioni di equilibrio in modo tale che il rendimento degli investimenti previsto per gli investitori risulti compatibile con i redditi delle famiglie (300/400 euro di canone mensile), fermo restando una durata della locazione non inferiore a 20 anni e la presenza di una componente significativa, all'interno dell'intervento edilizio nel suo complesso, di alloggi con canone di affitto convenzionale. L’immissione nel mercato della locazione di alloggi a canone calmierato deve comunque costituire obiettivo primario del social housing, da perseguire, anche ricorrendo a misure di incentivazione fiscale nell’ambito della riforma della tassazione immobiliare, con il coinvolgimento di investitori privati ed organismi no-profit, al fine di garantire che la realizzazione delle finalità sociali comporti contestualmente una più significativa presenza di soggetti in grado di gestire patrimoni immobiliari con criteri e modalità non condizionate dalle attese dei proprietari singoli. Resta comunque decisivo il ruolo degli enti locali a cui compete la promozione di iniziative nel settore, oltre alla possibilità di disporre degli immobili dismissibili a titolo non oneroso, secondo quanto previsto dal processo di federalismo demaniale, di coinvolgere il patrimonio pubblico di aree ed edifici e di acquisire le aree destinate a standard. Con l’obiettivo di una maggiore utilizzazione del patrimonio esistente può risultare utile ricercare meccanismi per una riconversione degli alloggi invenduti - mediante patti tra pubblica amministrazione, forze sindacali e associazioni dei costruttori - al fine di immetterli sul mercato a costi sostenibili, per l'affitto o per l'acquisizione in proprietà. Più in generale deve essere riproposta una legge sul regime dei suoli senza la quale il costo delle aree risulta di incidenza tale da non consentire l’immissione sul mercato di alloggi a prezzi compatibili con la domanda solvibile e, in subordine, occorre promuovere e generalizzare, negli ambiti assoggettati a perequazione urbanistica, la cessione gratuita di immobili a favore dell’edilizia sociale. Nel settore dell'edilizia sovvenzionata è necessario un programma pluriennale al fine di aumentare la disponibilità di alloggi da destinare a fasce in condizione di disagio maggiore, per l'attuazione del quale è indispensabile reperire finanziamenti a tale scopo destinati. Nell’immediato si devono rendere agibili gli alloggi pubblici non utilizzati, stimabili in circa 20.000 unità, che necessitano di ristrutturazioni: l'obiettivo può essere raggiunto utilizzando i residui disponibili presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (stanziati per programmi di edilizia residenziale 5 ormai esauriti), da assegnare prioritariamente ai nuclei sottoposti a sfratto, con l'obiettivo di trovare una soluzione abitativa definitiva che renda non necessarie ulteriori proroghe. Infine, è del tutto irragionevole non estendere agli ex IACP la detrazione per interventi di ristrutturazione edilizia ed efficientamento energetico e l'esenzione IMU che permetterebbe di recuperate risorse da destinare alla manutenzione degli alloggi. 3. Riformare gli enti gestori di edilizia residenziale pubblica Gli ex IACP vivono da troppo tempo in condizioni di forte criticità. Permane ancora irrisolto un aspetto determinante che condiziona lo stesso ruolo che gli Istituti sono chiamati a svolgere. In sintesi: se compito primario loro attribuito debba essere quello di governare un patrimonio comunque rilevante la cui gestione non può che risultare relazionata a criteri di efficienza ed economicità ovvero se agli Istituti spetti anche il compito di assistenza per le fasce di inquilinato più bisognose anche a discapito di assicurare bilanci in ordine. Si tratta di superare una condizione non priva di ambiguità che, oltre ad evidenti problemi gestionali, si riflette sulla stessa credibilità ed immagine degli Istituti con il risultato, non da ultimo, di ridurre la disponibilità della politica, peraltro responsabile di tale situazione, a finanziare ulteriormente l’edilizia residenziale pubblica. Una seconda questione riguarda la configurazione giuridica degli Istituti e la proprietà del patrimonio. Con riferimento alla composita legislazione vigente nelle diverse regioni, appare casuale ed irrazionale che in taluni casi siano assimilati ad enti non economici ed in altri casi ad enti economici, come pure il fatto che alcune regioni abbiano trasferito ai comuni o ad associazioni di comuni la piena competenza in materia. Per ritrovare coerenza ed unitarietà di intenti, la sola alternativa allo stato di fatto non può che prevedere una legge quadro (o di principi) sulla materia. Il provvedimento dovrebbe avere l'obiettivo di restituire regole omogenee da applicare a tutti gli Istituti e di definire l'attribuzione dei compiti di carattere assistenziale. Su quest'ultimo aspetto è da ritenere opportuno che, per la tenuta dei bilanci, la compensazione economica rispetto ai canoni minimi applicati alle famiglie non in grado di corrispondere un affitto congruo sia assicurato dagli enti locali elettivi ed in particolare dai comuni che devono però trovarsi nelle condizioni di poter disporre con immediatezza e senza incertezze di risorse adeguate. In stretta relazione con il pareggio dei bilanci degli istituti (per i quali va confermata l’autonomia) devono essere introdotte misure atte a garantire una gestione efficiente, rigorosa e non dispendiosa ed una organizzazione territoriale degli istituti che abbia come riferimento un ambito idoneo a garantire i servizi di prossimità all’utenza ed il supporto tecnico-operativo ai Comuni. Unitamente alla configurazione, appare necessario stabilire criteri concernenti, a titolo di esempio, la vendita degli alloggi (da circoscrivere ai soli casi in cui i costi di gestione siano elevati), il relativo prezzo (che non può non essere ragionevolmente rapportato al mercato), il livello dei canoni comunque da rapportare ai redditi, le modalità di accesso e di rilascio degli alloggi. Alle leggi regionali è quindi affidato il compito di regolamentare i diversi aspetti sulla base dei criteri fissati nella legge quadro. 3 luglio 2013 6