I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI : ASPETTI GIURIDICI

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I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI : ASPETTI GIURIDICI
COMUNE DI BOLOGNA
SETTORE COORDINAMENTO
SERVIZI SOCIALI
SERVIZIO GENITORIALITÀ ED INFANZIA
40122 Bologna – Viale Vicini 20
tel. 051/203770 fax 051/203768
Bologna, 26.09.2003
I MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI : ASPETTI GIURIDICI
La normativa italiana di riferimento appartiene in parte alla normativa riguardante i minori (come la
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, il Codice Civile, la legge 184/83 e la
149/01 sull’affidamento e l’adozione), in parte alla normativa sull’immigrazione (come il Testo Unico
sull’immigrazione 286/98, la legge 189/02, cosiddetta legge Bossi Fini, e i relativi regolamenti di
attuazione D.P.R. 394/99 e successivo), in parte alla normativa riguardante specificamente i minori non
accompagnati (come il regolamento del Comitato per i minori stranieri D.P.C.M. 535/99).
La fattispecie cui si fa riferimento è quella del minore straniero non accompagnato dai genitori o da altri
esercenti la potestà genitoriale ed irregolarmente presente sul territorio italiano, non richiedente asilo o
protezione umanitaria.
Nella definizione di “minori non accompagnati” abbiamo compreso tutti i minori non accompagnati
dai genitori (o altri esercenti la potestà genitoriale), e quindi anche quelli accompagnati da parenti entro
il quarto grado.
LA DEFINIZIONE
In base al regolamento del Comitato per i minori stranieri (D.P.C.M. 535/99) è definito “minore
straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato” il minore non avente cittadinanza
italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova in
Italia privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente
responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano.
Oltre ai minori completamente soli, dunque, rientrano in tale definizione anche i minori affidati di fatto
ad adulti (compresi parenti entro il quarto grado) che non ne siano tutori o affidatari in base a un
provvedimento formale, in quanto questi minori sono comunque privi di rappresentanza legale in base
alla legge italiana1.
E’ da notarsi che la nozione di minore straniero non accompagnato non coincide con quella di minore
in stato di abbandono: ad es. un minore non accompagnato dai genitori può non essere “in stato di
abbandono” quando è accolto da parenti entro il quarto grado moralmente e materialmente idonei a
provvedervi, che però non ne hanno la rappresentanza legale.
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La rappresentanza legale di un minore, infatti, è esercitata dal genitore o dal tutore. Un parente diverso dal genitore e
che non sia stato nominato tutore, invece, non ha la rappresentanza legale del minore.
LA SEGNALAZIONE
I pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli enti, in particolare che svolgono attività
sanitaria o di assistenza, che vengano a conoscenza della presenza di un minore straniero non
accompagnato devono segnalarlo al Comitato per i minori stranieri, di cui parlerò più avanti.
La segnalazione deve contenere tutte le informazioni disponibili, tra cui: le generalità, la nazionalità, le
condizioni fisiche, i mezzi di sostentamento e il luogo di provvisoria dimora del minore, le misure
adottate, informazioni circa i familiari del minore, le condizioni di vita, gli studi, e le attività di
formazione svolte in Italia.
L'identità del minore è accertata dalle autorità di pubblica sicurezza, ove necessario attraverso la
collaborazione delle rappresentanze diplomatico-consolari del Paese di origine del minore.
(regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 5; Linee Guida del Comitato per i minori stranieri
dell’11.1.2001; circolare del Ministero dell’Interno del 14.4.2000)
In base alla legge 184/83, art. 9 e al regolamento di attuazione del T.U. 286/98, art. 28, inoltre, se il
minore è in stato di abbandono o accolto per un periodo superiore a 6 mesi da persona diversa dal
parente entro il quarto grado, deve essere segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale
per i minorenni.
La legge 184/83 (come modificata dalle legge 476/98) stabilisce inoltre, in modo assai poco chiaro che,
se il minore straniero non è accompagnato da parente entro il quarto grado, deve essere segnalato al
Tribunale per i minorenni che, ove ne sussistano i presupposti, interviene disponendo provvedimenti
necessari in caso di urgenza, l’affidamento, o l’adozione; ovvero segnala il minore alla Commissione per
le adozioni internazionali, che a sua volta comunicherà il nominativo al Comitato per i minori stranieri
(in base al regolamento di attuazione della legge 476/98, D.P.R. 492/99, art. 18).
Non è chiaro, infine, se i minori stranieri non accompagnati debbano sempre essere segnalati anche al
Giudice Tutelare.
LE INDAGINI NEL PAESE D’ORIGINE E IL RIMPATRIO ASSISTITO
L’istituto del rimpatrio
Il “rimpatrio assistito” è definito dal regolamento del Comitato per i minori stranieri (D.P.C.M. 535/99)
come l’insieme di misure adottate allo scopo di garantire al minore l’assistenza necessaria fino al
ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle autorità responsabili del Paese d’origine.
Il provvedimento di rimpatrio è basato su presupposti completamente diversi rispetto all’espulsione
adottabile nei confronti di maggiorenni. L’espulsione è infatti un provvedimento di ordine pubblico,
che si configura per lo più come un atto dovuto che il Prefetto deve adottare, nei casi previsti dalla
legge, senza margini di discrezionalità; il rimpatrio è invece un provvedimento che il Comitato per i
minori stranieri adotta, a seguito di una valutazione specifica del caso in esame, qualora ne ravvisi
l’opportunità e la necessità, nell’interesse del minore.
Inoltre, l’esecuzione di un provvedimento di rimpatrio presuppone una preventiva indagine circa la
situazione cui il minore andrà incontro quando verrà ricondotto nel suo paese di origine. In altre parole,
mentre l’adulto espulso viene semplicemente rinviato nel suo paese di origine, senza curarsi di quale
situazione incontrerà in quel paese (salvo il caso di rischio di persecuzioni), il minore può essere
rimpatriato soltanto quando il Comitato per i minori stranieri accerti che, tenuto conto sia della sua
condizione in Italia sia di quella che troverà in caso di rientro nel suo Paese, tale misura è opportuna e
necessaria nel suo interesse.
Ulteriore differenza tra il rimpatrio e l’espulsione è che quest’ultima comporta il divieto di rientro nel
territorio italiano per 10 anni, mentre il rimpatrio non prevede alcun divieto di rientro.
Le principali disposizioni in materia di rimpatrio assistito sono state introdotte dal Dlgs. 113/99 (che
modifica il T.U. 286/98) e dal D.P.C.M. 535/99 (regolamento del Comitato per i minori stranieri), che
tra l’altro fa riferimento anche alla Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea del 26 giugno 1997
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sui minori non accompagnati, cittadini di Paesi terzi (atto europeo che, però, non ha valore vincolante
per lo Stato italiano). Importanti indicazioni, infine, sono contenute nelle Linee Guida deliberate dal
Comitato per i minori stranieri l'11.1.2001 e nella circolare del Ministero dell'Interno del 9.4.2001.
Le procedure per la scelta tra accoglienza e rimpatrio e le indagini nel paese d’origine
La competenza a disporre il rimpatrio assistito è del Comitato per i minori stranieri (T.U. 286/98, art.
33, come modificato dal Dlgs. 113/99, art. 5).
Ricevuta la segnalazione circa la presenza di un minore non accompagnato, il Comitato per i minori
stranieri dispone entro sessanta giorni le indagini per individuare i familiari del minore, nel paese di
origine o in paesi terzi, ovvero per verificare la disponibilità delle autorità del paese d’origine ad
assumere l’affidamento del minore a seguito del rimpatrio. Non vi è limite per la conclusione del
procedimento.
A tal fine, il Comitato si avvale di organismi nazionali o internazionali con i quali il Dipartimento per gli
Affari Sociali può stipulare convenzioni, delle amministrazioni pubbliche, e delle rappresentanze
diplomatico-consolari. (regolamento del Comitato, artt. 2 e 4, circolare del Ministero dell’Interno del
9.4.2001)
Risulta che il Dipartimento Affari Sociali ha stipulato in questi anni convenzioni per le indagini familiari
e i rimpatri con diverse ONG: dal 1997 con il Servizio Sociale Internazionale, per quanto riguarda i
minori provenienti dall’Albania, recentemente estesa anche a Marocco, Moldavia e Romania; dal 2001 è
attiva un’analoga convenzione con l’ICS-Consorzio Italiano di Solidarietà, per quanto riguarda le
indagini in Albania, Romania, Moldavia, Macedonia, Bosnia, Serbia, Kossovo; alla fine del 2001 sono
state firmate convenzioni per le indagini e i rimpatri con AIBI, CEFA, ENGIM, LVIA e VIS.
Nel corso del procedimento, il minore deve essere sentito dall’autorità locale (presumibilmente i servizi
sociali del Comune in cui il minore dimora), per accertarne l’opinione in merito all’eventuale rimpatrio e
le motivazioni di tale opinione. (regolamento del Comitato, art. 7; Linee Guida del Comitato per i
minori stranieri dell’11.1.2001)
Contestualmente, il Comitato per i minori stranieri si informa presso il Tribunale per i Minorenni se vi
siano provvedimenti giurisdizionali a carico del minore tali da impedirne il rimpatrio; l’Autorità
Giudiziaria rilascia il nulla-osta, salvo che sussistano inderogabili esigenze processuali. (T.U. 286/98, art.
33, come modificato dal Dlgs. 113/99, art. 5)
Ricevuti i risultati delle indagini familiari, le informazioni circa l’inserimento del minore in Italia, e la
comunicazione circa l’opinione espressa dal minore, il Comitato per i minori stranieri decide se il
minore debba essere rimpatriato o debba invece restare in Italia.
Se il Comitato decide che il minore deve essere rimpatriato, comunica il provvedimento di rimpatrio al
Comune, alla Questura, al Tribunale per i minorenni e all’ONG che ha svolto le indagini: a questo
punto si apre la problematica dell’esecuzione del provvedimento.
Se invece valuta che è nell’interesse del minore restare in Italia, il Comitato dispone il “non luogo a
provvedere al rimpatrio” e informa l’Autorità Giudiziaria competente per la valutazione dell’eventuale
stato di abbandono e per i conseguenti provvedimenti, nonché i servizi sociali del Comune ove il
minore dimora per l’eventuale affidamento. (circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001)
Due elementi problematici:
• I tempi per la decisione dell’eventuale rimpatrio sono assolutamente sfasati rispetto alle esigenze
di un adolescente, e la sospensione rispetto al proprio futuro può orientare il minore verso
percorsi di devianza
• La partecipazione del minore, diritto sancito dalla convenzione di New York, potrebbe non
essere garantita, poiché ad ascoltarlo è lo stesso Ente che si trova a sostenere un significativo
onere per la sua permanenza sul territorio italiano.
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I criteri in base ai quali il Comitato per i minori stranieri decide se il minore debba essere rimpatriato
ovvero rimanere in Italia non sono specificamente definiti dalla legge.
In base alla Convenzione sui diritti del fanciullo, il criterio generale su cui deve fondarsi tale
decisione (come tutte le decisioni riguardanti i minori) è il principio del “superiore interesse
del minore”: il Comitato per i minori stranieri, quindi, dovrebbe disporre il rimpatrio o l’accoglienza in
Italia in base a ciò che, con una valutazione caso per caso della situazione di ogni minore, ritenga essere
maggiormente rispondente all’interesse di quel singolo minore.
Ma come valutare quale soluzione risponda maggiormente all’interesse del minore? La nozione di
“superiore interesse del minore” è estremamente ampia e indefinita, e la legge non definisce quali
specifici criteri debbano essere considerati.
Il Comitato per i minori stranieri ha adottato alcuni criteri “orientativi” – non potendosi comunque
fissare criteri rigidi, in quanto la decisione deve sempre fondarsi su una valutazione caso per caso – che
possono essere così sintetizzati:
1) non può essere disposto il rimpatrio nei casi in cui:
• non vi siano familiari o autorità del paese d’origine disposte ad assumere l’affidamento del
minore a seguito del rimpatrio: questo criterio deriva dalla definizione stessa di rimpatrio
assistito come misura finalizzata al ricongiungimento coi propri familiari o al riaffidamento alle
autorità responsabili del Paese d’origine;
• il rimpatrio comporterebbe un rischio per il minore: ad esempio nei casi in cui il minore sia a
rischio di persecuzione nel proprio paese, o provenga da un paese in guerra.
2) deve essere sempre disposto il rimpatrio nei casi in cui:
• sia richiesto dal genitore o dal tutore;
• si accerta che i motivi dell’immigrazione del minore non sono condivisi dai genitori (fuga da
casa, etc.)
3) nei casi in cui vengano individuati familiari o autorità del paese d’origine disponibili ad
assumere l’affidamento del minore e il rimpatrio non comporti rischi, secondo gli attuali
orientamenti del Comitato tendenzialmente dovrebbe essere disposto il rimpatrio, al fine di
garantire il diritto del minore all’unità familiare o comunque a vivere nel suo paese. Secondo il
Comitato non devono essere considerate, invece, le condizioni di povertà della famiglia e del contesto
d’origine, tranne casi gravissimi; né assumono sostanzialmente rilevanza l’opinione del minore e
l’opinione della famiglia contrarie al rimpatrio; non è chiaro, infine, quanto si debba tenere conto delle
condizioni di inserimento del minore in Italia.
Il rimpatrio deve svolgersi in condizioni tali da assicurare il rispetto dei diritti garantiti al
minore dalle convenzioni internazionali, dalla legge e dai provvedimenti dell'autorità giudiziaria, e
tali da assicurare il rispetto e l'integrità delle condizioni psicologiche del minore, fino al riaffidamento
alla famiglia o alle autorità responsabili (regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 7).
Non è chiaro, tuttavia, chi debba eseguire il rimpatrio. Il regolamento del Comitato per i minori
stranieri, art. 7 fa riferimento alle “amministrazioni statali cui è affidato il rimpatrio assistito”, senza
specificare ulteriormente. E’ necessario che si chiarisca se il rimpatrio debba essere eseguito dalla
Questura, o dai servizi sociali locali, o dagli organismi nazionali e internazionali con cui il Dipartimento
per gli Affari Sociali abbia stipulato convenzioni (come il Servizio Sociale Internazionale e l’ICS).
Benché l’esecuzione coatta del rimpatrio comporti necessariamente una privazione della libertà
personale, non è previsto alcun controllo giurisdizionale su tale provvedimento limitativo della libertà
personale del minore, in contrasto con l’art. 13 della Costituzione italiana.
Altra questione da chiarire in relazione ai rimpatri coatti è se nel periodo intercorrente tra l’adozione del
provvedimento di rimpatrio e la sua esecuzione, la decisione debba essere comunicata al minore e/o al
tutore e quale sia la responsabilità del tutore o degli adulti presso i quali il minore soggiorna (in
particolare, in che modo si esplichi il dovere di “cooperare con le amministrazioni statali cui è affidato il
rimpatrio assistito”: Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 7).
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Infine, non è chiaro quale sia lo status del minore che si sottragga a un provvedimento di rimpatrio, e in
particolare se tale circostanza avrebbe influenza nel caso in cui il minore volesse poi regolarizzare la
propria posizione, tornando nel Paese d’origine e chiedendo un visto di ingresso regolare oppure
nell’ambito di un’eventuale regolarizzazione.
Se il Comitato per i minori stranieri valuta che il minore non deve essere rimpatriato, comunica il
provvedimento di “non luogo a provvedere al rimpatrio” ai servizi sociali e all’Autorità Giudiziaria
competenti. Se i servizi sociali o l’Autorità Giudiziaria dispongono l’affidamento del minore ai sensi
della legge 184/83, questi potrà convertire il permesso per minore età in permesso di soggiorno per
affidamento. Tale permesso di soggiorno consente può essere convertito in permesso di soggiorno per
lavoro o per studio al compimento della maggiore età (circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001).
L’AFFIDAMENTO E LA TUTELA
Nell’affrontare questa parte vorrei citare quanto disposto dall’art. 20 della Convenzione di New York:
“1. Ogni fanciullo il quale é temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare
oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una
protezione e ad aiuti speciali dello stato.”
La tutela:
L’istituto della tutela è regolato fondamentalmente dal Codice Civile, artt. 343-segg.; alcune
disposizioni sono dettate inoltre dalla legge 184/83.
I presupposti
Il presupposto per l’apertura della tutela è che entrambi i genitori siano morti o per altre cause non
possano esercitare la potestà dei genitori. (Codice Civile, art. 343)
Il procedimento
La tutela viene aperta dal Giudice Tutelare presso il Tribunale del circondario dove è la sede principale
degli affari e interessi del minore, appena avuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela. Il
Giudice Tutelare, prima di procedere alla nomina del tutore, deve sentire il minore che abbia raggiunto i
16 anni. (Codice Civile, art. 343, 347, 348)
Il tutore
Il Giudice Tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore; se manca la designazione ovvero se
gravi motivi si oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore avviene
preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore. In ogni caso la scelta
deve cadere su persona idonea all'ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamento di educare e
istruire il minore. (Codice Civile, art. 348)
L'istituto di pubblica assistenza esercita i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito, fino a quando
non si provveda alla nomina di un tutore, e in tutti i casi nei quali l'esercizio della potestà dei genitori o
della tutela sia impedito. (Codice Civile, art. 402)
Nel caso di minori inseriti in comunità di tipo familiare o istituti di assistenza pubblici o privati, i
legali rappresentanti degli stessi esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, secondo le norme del
codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l’esercizio
della potestà dei genitori o della tutela sia impedito. Entro trenta giorni dall’accoglienza del minore, i
legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina del tutore. Gli stessi e coloro che prestano
anche gratuitamente la propria attività a favore delle comunità di tipo familiare e degli istituti di
assistenza pubblici o privati non possono essere chiamati a tale incarico. (legge 184/83, come modificata
dalla legge 149/2001, art. 3)Funzioni del tutore
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni.
(Codice Civile, art. 357)
Non è chiaro se per ogni minore straniero non accompagnato dai genitori debba sempre essere aperta
la tutela.
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Neanche le norme che disciplinano specificamente lo status dei minori stranieri non accompagnati
chiariscono la questione.
Il Regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 3, infatti, prevede la segnalazione al Giudice
Tutelare per l’apertura di una tutela non in via generale ma “in caso di necessità” e solo come ipotesi
eventuale: “In caso di necessita', il Comitato comunica la situazione del minore al giudice tutelare
competente, per l'eventuale nomina di un tutore provvisorio.”
La circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001, invece, stabilisce che il Comitato per i minori
stranieri debba sempre interessare il Giudice Tutelare competente per la nomina di un tutore
provvisorio ai sensi dell’art. 343 del Codice Civile.
L’affidamento:
L’istituto dell’affidamento è disciplinato dalla legge 184/83, recentemente modificata dalla legge
476/98 e dalla legge 149/2001.
I presupposti
Il presupposto dell’affidamento è che il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare
idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti nei casi in cui la famiglia sia in condizioni
di indigenza. La legge 149/2001, infatti, afferma che il minore ha diritto di crescere ed essere educato
nell’ambito della propria famiglia, e che, affinché le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore
esercente la potestà non siano di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, devono
essere disposti interventi di sostegno e aiuto. In caso di necessità e urgenza l’affidamento può essere
disposto anche senza porre in essere gli interventi di sostegno e aiuto. (legge 184/83, artt. 1-2)
L'affidatario
Ove possibile, il minore viene affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una
persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive
di cui egli ha bisogno.
Ove non sia possibile un affidamento familiare, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di
tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede
preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza.
(legge 184/83, art. 2)
Il procedimento
L’affidamento viene disposto:
• dal servizio sociale locale, e reso esecutivo dal Giudice Tutelare: ove vi sia
il consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore (c.d.
affidamento consensuale); prima di disporre l'affidamento, il servizio sociale deve sentire il
minore che ha compiuto 12 anni e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua
capacità di discernimento;
• dal Tribunale per i minorenni, ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la
potestà o del tutore (c.d. affidamento giudiziale); in tal caso si applicano gli articoli 330 e
seguenti del Codice Civile riguardanti la decadenza e la limitazione della potestà dei genitori.
(legge 184/83, art. 4)
Funzioni dell’affidatario
L’affidatario deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua
educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia
ai sensi degli articoli 330 e 333 del Codice Civile (decadenza e limitazione della potestà), o del tutore,
ed osservando le prescrizioni stabilite dall’autorità affidante. Si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni del codice civile che regolano la potestà dei genitori. In ogni caso l’affidatario esercita i poteri
connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le
autorità sanitarie. L’affidatario deve essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di
affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato.
(legge 184/83, art. 5)
L’art. 37-bis della l. 184/83 stabilisce esplicitamente che al minore straniero in stato di abbandono si
applica la legge italiana in materia di affidamento.
Numerosi aspetti, tuttavia, restano problematici, in parte a causa della scarsa chiarezza normativa, in
parte a causa dell'oggettiva complessità del fenomeno.
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Questa situazione fa sì che vi sia una grave confusione e una fortissima disomogeneità sul territorio
nazionale, tra diversi Tribunali per i minorenni, diversi Enti locali, diversi Giudici Tutelari.
La competenza a disporre l'affidamento
La normativa che regolamenta il funzionamento del Comitato Minori stranieri gli attribuisce le
competenze “concernenti l’ingresso, il soggiorno, l’accoglienza e l’affidamento temporanei e il rimpatrio
assistito dei minori […] presenti per qualsiasi causa nel territorio dello Stato e privi di assistenza e
rappresentanza”: non è chiaro quale significato abbia tale riferimento all’accoglienza e all’affidamento
temporanei, e in particolare se implichi che i provvedimenti di affidamento nel caso di minori stranieri
non accompagnati debbano essere disposti non dai servizi sociali o dal Tribunale per i minorenni, ma
dal Comitato per i minori stranieri.
Alcuni Tribunali per i minorenni si sono effettivamente espressi in questo senso, sostenendo di non
essere più competenti a disporre provvedimenti di affidamento di minori stranieri non accompagnati, in
quanto la competenza sarebbe ormai esclusivamente del Comitato per i minori stranieri.
La circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001 sembra stabilire che l’affidamento possa essere
disposto solo dopo che il Comitato per i minori stranieri abbia deciso che il minore non può essere
rimpatriato.
Tuttavia questa ipotesi è insostenibile, in quanto la legge 184/83 attribuisce la decisione in merito
all’affidamento del minore unicamente ai servizi sociali locali e al Giudice Tutelare (per
l’affidamento consensuale) e al Tribunale per i minorenni (per l’affidamento giudiziale), ed
evidentemente tale disposizione di legge non può essere modificata da una circolare. Nella vigenza della
legge 184/83, dunque, il minore potrà, anzi dovrà − ove ricorrano i presupposti stabiliti dalla legge −
essere affidato, anche prima che il Comitato per i minori stranieri decida in merito al suo rimpatrio o
alla sua permanenza in Italia.
I due procedimenti – quello relativo all’affidamento e quello riguardante la decisione sul rimpatrio –
dovrebbero essere indipendenti: non pare corretta, infatti, né la posizione secondo cui l’affidamento
non può essere disposto se non dopo la decisione del Comitato per i minori stranieri, in quanto ciò
costituirebbe una violazione della legge 184/83; né la posizione secondo cui, viceversa, una volta
disposto l’affidamento non si deve procedere alla valutazione riguardante il rimpatrio, decisione da
assumere esclusivamente nel superiore interesse del minore.
Una delle situazioni più discusse è quella dei minori stranieri affidati di fatto a parenti entro il
quarto grado idonei a provvedervi: in base all’art. 9 della l. 184/83 il parente entro il quarto grado
non ha il dovere di segnalare l’affidamento di fatto all'Autorità Giudiziaria, ma tale disposizione non
sembra escludere che egli possa segnalare tale circostanza, chiedendo un provvedimento formale. Né
tanto meno sembra escludere che il parente possa chiedere la formalizzazione dell’affidamento
consensuale ai servizi locali. La formalizzazione dell’affidamento al parente entro il quarto grado non è
necessaria, ma non sembra neppure essere esclusa.
La disposizione formale dell’affidamento in questo caso non sarebbe un mero escamotage per ottenere
il permesso di soggiorno, superando il problema determinato dalla mancata armonizzazione del T.U.
286/98 con la l. 184/83, ma potrebbe rappresentare invece una maggiore garanzia per tutelare
l’interesse del minore prevedendo un controllo da parte delle istituzioni italiane sull’identità e
sull’idoneità del parente a provvedere al minore.
In caso contrario, infatti, non vi sarebbe alcuna verifica sul fatto che l’adulto al quale il minore è
affidato di fatto sia realmente un parente entro il quarto grado, né che questi sia effettivamente idoneo
dal punto di vista morale e materiale.
La formalizzazione dell’affidamento, inoltre, comporta l’assunzione da parte del parente di doveri
chiaramente stabiliti dalla legge (tra i quali la convivenza tra minore e affidatario) ed il controllo
continuativo da parte dei servizi sociali.
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IL PERMESSO DI SOGGIORNO
La normativa che disciplina le questioni relative al permesso di soggiorno (il tipo di permesso di
soggiorno rilasciabile ai minori a seconda dei diversi status, i diritti connessi ai diversi tipi di permesso
di soggiorno, la conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età ecc.) è
estremamente frammentaria, lacunosa e confusa.
E’ importante notare che, benché la prassi attualmente adottata dalle Questure sia di rilasciare a tutti i
minori stranieri non accompagnati un permesso per minore età e di non consentire in generale la
conversione del permesso di soggiorno per minore età al compimento dei 18 anni, il T.U. 286/98
prevede in determinate circostanze il rilascio di un diverso tipo di permesso di soggiorno (come il
permesso per motivi familiari) e la possibilità di convertire il permesso al compimento dei 18 anni.
Permesso di soggiorno per minore età:
Il permesso di soggiorno per minore età viene rilasciato al minore inespellibile, in via residuale cioé
qualora non possa essere rilasciato un altro tipo di permesso di soggiorno. La normativa prevede
che il questore rilasci il permesso di soggiorno per minore età ai minori inespellibili di età superiore ai
14 anni .
Tale titolo di soggiorno verrà rilasciato solo in via residuale e qualora si verifichino situazioni non
riconducibili ad altre tipologie di soggiorno già previste dalla normativa in vigore (es. motivi familiari,
adozione, affidamento)”.
La circolare del Ministero dell’Interno del 9.4.2001 prevede che, nei casi di minori affidati ai sensi
dell’art. 2 della legge 184/83, il permesso di soggiorno per minore età possa essere convertito − su
richiesta dei Servizi Sociali competenti − in permesso di soggiorno per affidamento.
La legge n. 189/2002, art. 25 (di modifica dell’art. 32 del T.U. 286/98) prevede che, al compimento
della maggiore età, può essere rilasciato un permesso per lavoro, accesso al lavoro o studio ai minori
stranieri non accompagnati che soddisfino le seguenti condizioni:
- non hanno ricevuto un provvedimento di rimpatrio da parte del Comitato per i minori stranieri;
- sono entrati in Italia da almeno 3 anni, cioe' prima del compimento dei 15 anni;
- hanno seguito per almeno 2 anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente
pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che sia iscritto nel registro previsto dall'art. 52
del regolamento di attuazione D.P.R. 394/99;
- frequentano corsi di studio, o svolgono attivita' lavorativa retribuita nelle forme e con le modalita'
previste dalla legge italiana, o sono in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato;
- hanno la disponibilita' di un alloggio.
La sussistenza di tali requisiti deve essere dimostrata, con idonea documentazione, dall'ente gestore del
progetto di integrazione.
L’art. 32, co. 1 del T.U. 286/98 prevede che al minore comunque affidato ex art. 2 l. 184/83, al
compimento della maggiore età, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di
accesso al lavoro (prescindendo dai requisiti richiesti per l'ingresso per inserimento nel mercato del
lavoro), di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura.
L’espressione "minore comunque affidato ex art. 2 l. 184/83" comprende oltre al minore affidato con
affidamento familiare anche il minore inserito in una comunità di tipo familiare o in un istituto di
assistenza pubblico o privato. Infatti, anche se non si tratta di affidamento familiare, si tratta comunque
di un tipo di affidamento disciplinato dall'art. 2 legge 184/83, equiparato all’affidamento familiare dal
punto di vista dei poteri e obblighi dell’affidatario.
Riguardo alla possibilità di convertire il permesso di soggiorno per minore età al compimento dei 18
anni per i minori che non soddisfino le condizioni previste dall’art. 32 del T.U. 286/98 (come
modificato dalla legge 189/2002) si rileva invece una lacuna normativa.
In presenza di tale lacuna è intervenuta la circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000, stabilendo,
senza alcun conforto di legge, che il permesso di soggiorno per minore età non può essere in alcun caso
convertito al compimento della maggiore età.
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Permesso di soggiorno per affidamento
Neanche il permesso di soggiorno per affidamento è chiaramente disciplinato dalla legge: il T.U.
286/98, infatti, si limita ad indicare il permesso di soggiorno per affidamento all’art. 34 (relativo
all’iscrizione obbligatoria al Servizio Sanitario Nazionale), ma non stabilisce quali siano i presupposti
per il rilascio di tale permesso di soggiorno né i diritti ad esso connessi.
La circolare del Ministero dell’Interno del 13.11.2000 indica il permesso di soggiorno per affidamento
come il tipo di permesso di soggiorno che viene rilasciato al minore affidato ex legge 184/83, e sembra
equiparare perfettamente il permesso per affidamento a quello per motivi familiari.
Permesso di soggiorno per motivi familiari
In base al T.U. 286/98 e al regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, il permesso per motivi familiari
viene rilasciato al minore:
• affidato a cittadino straniero ex art. 4 della legge 184/83 (T.U. 286/98, art. 31);
• affidato o sottoposto a tutela e ricongiunto con l’affidatario o tutore (T.U. 286/98, art. 29);
• convivente con cittadino italiano parente entro il quarto grado (regolamento di attuazione, art.
28).
Il permesso di soggiorno per motivi familiari può essere convertito al compimento della maggiore età.
Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di eta' inferiore a 18 anni. I minori adottati o
affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli”.
Permesso di soggiorno per protezione sociale
Può essere rilasciato (all’atto delle dimissioni dall’istituto di pena) un permesso di soggiorno per
protezione sociale allo straniero che ha terminato l’espiazione di una pena detentiva inflitta per reati
commessi durante la minore età, e ha dato prova concreta di partecipazione a un programma di
assistenza e integrazione sociale.
Inoltre, il T.U. 286/98, art. 18, co. 1 prevede che il permesso per protezione sociale possa essere
rilasciato quando "[…] siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di
uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai
condizionamenti di un’associazione dedita a uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso
delle indagini preliminari o del giudizio". In questi casi il questore, anche su proposta del procuratore
della repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia il permesso di soggiorno per
protezione sociale "per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti
dell’organizzazione criminale e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale".
Tale disposizione si applica naturalmente anche ai minorenni.
Il permesso di soggiorno per protezione sociale non viene revocato al compimento della maggiore età.
Carta di soggiorno
La carta di soggiorno viene rilasciata al minore:
• ricongiunto con un cittadino straniero titolare di carta di soggiorno o con un cittadino italiano o di
uno Stato membro dell’Unione Europea (T.U. 286/98, art. 30, co. 4);
• affidato ex art. 4 l. 184/83 a cittadino straniero titolare di carta di soggiorno (T.U. 286/98, art. 31,
co. 2).
La carta di soggiorno non viene revocata al compimento della maggiore età, ma costituisce anzi un
titolo di soggiorno a tempo indeterminato.
L’identificazione e i documenti
Non è chiaro quali requisiti siano necessari e quali documenti debbano essere presentati per ottenere il
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permesso di soggiorno, in particolare per minore età, che può essere rilasciato anche in mancanza di
un’identificazione certa.
Il permesso di soggiorno per minore età è finalizzato a fornire un titolo di soggiorno nei casi in cui non
sia possibile rilasciare alcun altro permesso di soggiorno, in modo da non lasciare il minore in una
condizione di irregolarità che, in quanto tale, può essere considerato come causa di pregiudizio.
Di conseguenza, sembrerebbe che i requisiti debbano essere minimi e che quindi ad ogni minore non
titolare di altro tipo di permesso andrebbe rilasciato il permesso di soggiorno per minore età, a
prescindere dalla documentazione in suo possesso.
Ove invece il minore sia prossimo ai 18 anni, si pone naturalmente il problema di verificarne l’effettiva
minore età. Gli esami utilizzati per l’accertamento dell’età non risolvono il problema, in quanto è nota la
scarsissima precisione e attendibilità di questi esami. Anche questo problema, dunque, andrà affrontato
con indicazioni chiare fornite alle Questure.
In secondo luogo, non è chiaro se sia sempre necessario che il minore presenti il passaporto valido. Vi
sono molti casi, infatti, in cui il minore è in possesso di documenti di identificazione (ad es.
l’attestazione di nazionalità rilasciata dalla rappresentanza diplomatico-consolare) ma non del
passaporto. Alcuni Consolati non rilasciano il passaporto a propri cittadini irregolarmente presenti in
Italia, il che significa che il minore non può ottenere il permesso di soggiorno in quanto è sprovvisto di
passaporto, ma non può ottenere il passaporto in quanto è sprovvisto di permesso di soggiorno.
Il regolamento di attuazione D.P.R. 394/99, art. 9, co. 6 stabilisce esplicitamente che per il rilascio del
permesso di soggiorno per protezione sociale non è necessario il possesso del passaporto.
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IL DIRITTO ALLA SALUTE ED ALL’ISTRUZIONE
La Convenzione di New York stabilisce che il diritto alla salute ed all'istruzione sono diritti propri di
tutti i minori, indipendentemente dalla loro nazionalità e dalla loro regolarità di soggiorno.
Il Testo Unico 286/98 ha introdotto importanti innovazioni nella direzione dell’effettiva garanzia di
questi diritti. Si riscontrano tuttavia ancora alcune lacune, in particolare per quanto riguarda i minori
irregolari.
Per quanto riguarda i minori irregolari, il diritto alla salute non è pienamente garantito in quanto
il T.U. 286/98, pur stabilendo che “Sono, in particolare, garantiti: [...] b) la tutela della salute del minore
in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa
esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176;” (T.U. art. 35, co. 3), non chiarisce poi come si
attui concretamente questa disposizione, con la conseguenza che al minore vengono di fatto ad
applicarsi le stesse disposizioni relative alla generalità degli stranieri irregolari, che si limitano a
garantire “le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorche'
continuative, per malattia ed infortunio e [...] i programmi di medicina preventiva a
salvaguardia della salute individuale e collettiva.” (T.U. art. 35, co. 3).
Nè tale lacuna è stata colmata dal regolamento di attuazione del T.U. 286/98 e dalla circolare del
Ministero della Sanità 24.3.2000.
Anche il regolamento del Comitato per i minori stranieri, art. 6, co. 1 prevede che "Al minore non
accompagnato sono garantiti i diritti relativi al soggiorno temporaneo, alle cure sanitarie […]",
senza specificare ulteriormente.
Per quanto riguarda i minori regolari, è stabilita l’iscrizione obbligatoria al SSN per i titolari di
permesso di soggiorno “per asilo umanitario”, per minore età, per affidamento e per protezione sociale
Il diritto all’istruzione
La Convenzione di New York, art. 28, co. 1 stabilisce che: “Gli Stati Parti riconoscono il diritto del
fanciullo all'educazione, ed in particolare, al fine di garantire l'esercizio di tale diritto gradualmente ed in
base all'uguaglianza delle possibilità: A) rendono l'insegnamento primario obbligatorio e gratuito per
tutti; B) incoraggiano l'organizzazione di varie forme di insegnamento secondario sia generale che
professionale, che saranno aperte ed accessibili ad ogni fanciullo e adottano misure adeguate come la
gratuita dell'insegnamento e l'offerta di una sovvenzione finanziaria in caso di necessità;”
Il diritto all’istruzione scolastica
Il diritto all’istruzione scolastica è pienamente garantito per tutti i minori in quanto il T.U. 286/98, art.
38 stabilisce il diritto all’istruzione per tutti i minori presenti sul territorio italiano (dunque anche se
irregolari).
Tale diritto non riguarda solo la scuola dell’obbligo, ma ogni ordine e grado di istruzione (regolamento
di attuazione D.P.R 394/99, art. 45, co. 1 e 2). E’ inoltre previsto che l’irregolarità non pregiudichi il
conseguimento dei titoli conclusivi (D.P.R 394/99, art. 45, co. 2).
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IL COMITATO PER I MINORI STRANIERI
Il T.U. 286/98 (come modificato dal Dlgs. 113/99) e il Regolamento del Comitato per i minori stranieri
(D.P.C.M. 535/99) definiscono composizione e competenze del Comitato per i minori stranieri:
Composizione del Comitato per i minori stranieri
Il Comitato per i minori stranieri, istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è composto
da nove rappresentanti:
- uno del Dipartimento per gli affari sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
- uno del Ministero degli affari esteri;
- uno del Ministero dell'interno;
- uno del Ministero della giustizia;
- due dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI);
- uno dell'Unione province italiane (UPI);
- due delle organizzazioni maggiormente rappresentative operanti nel settore dei problemi della famiglia
e dei minori non accompagnati.
Compiti del Comitato per i minori stranieri
Con l'entrata in vigore del Dlgs. 113/99, le competenze del Comitato per i minori stranieri non
riguardano più solo i “minori accolti” (cioè i minori temporaneamente ammessi nell’ambito di
programmi solidaristici di accoglienza temporanea) ma anche i “minori presenti non accompagnati”.
In generale, il Comitato è istituito al fine di tutelare i diritti di questi minori, vigilare sulle modalità di
soggiorno dei minori e coordinare le attività delle amministrazioni interessate.
Riguardo ai “minori accolti” nell’ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea, il
Comitato decide sulle richieste di enti, associazioni o famiglie per l’ingresso, l’affidamento temporaneo
e il rimpatrio di tali minori.
Riguardo ai “minori presenti non accompagnati”, ovvero dei minori di cui si tratta in queste schede, il
Comitato:
• ne cura il censimento;
• ne accerta lo status di minori non accompagnati;
• promuove la ricerca dei familiari dei minori (avvalendosi della collaborazione delle amministrazioni
pubbliche e di organismi nazionali e internazionali con i quali il Dipartimento per gli Affari Sociali
può stipulare convenzioni);
• può disporne il rimpatrio assistito;
• può, infine, proporre al Dipartimento per gli affari sociali di stipulare convenzioni e finanziare
programmi finalizzati all’accoglienza e al rimpatrio dei minori non accompagnati.
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FONTI NORMATIVE
1) Convenzioni internazionali e Risoluzioni europee:
• Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York, il 20 novembre 1989 (resa esecutiva in Italia con
legge 27 maggio 1991, n. 176);
• Convenzione concernente la competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione
dei minori, fatta a L’Aja, il 5 ottobre 1961 (resa esecutiva in Italia con legge 24 ottobre 1980, n. 742);
• Convenzione europea relativa al rimpatrio dei minori, fatta a L’Aja, il 28 maggio 1970 (resa esecutiva in
Italia con legge 30 giugno 1975, n. 396; internazionalmente non in vigore);
• Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini
di paesi terzi;
2) Leggi e Decreti Legislativi:
• Codice Civile, Libro Primo, Titolo IX “Della potestà dei genitori”, Titolo X “Della tutela e
dell’emancipazione”, Titolo XI “Dell’affiliazione e dell’affidamento”;
• Legge 4 maggio 1983, n. 184 “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”;
• Legge 31 dicembre 1998, n. 476 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la
cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge
4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri”;
• Legge 28 marzo 2001, n. 149 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina
dell’adozione e dell’affidamento dei minori” nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”;
• Legge 31 maggio 1995, n. 218 “Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato”;
• Legge 15 gennaio 1994, n. 64 “Ratifica ed esecuzione della convenzione europea sul riconoscimento e
l'esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento,
aperta alla firma a Lussemburgo il 20 maggio 1980, e della convenzione sugli aspetti civili della
sottrazione internazionale di minori, aperta alla firma a L'Aja il 25 ottobre 1980; norme di attuazione
delle predette convenzioni, nonché della convenzione in materia di protezione dei minori, aperta alla
firma a L'Aja il 5 ottobre 1961, e della convenzione in materia di rimpatrio dei minori, aperta alla firma
a L'Aja il 28 maggio 1970”;
• Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”;
• Decreto Legislativo 13 aprile 1999, n. 113 “Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma
dell'articolo 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40";
• Legge 30 luglio 2002, n.189 “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo”.
3) Regolamenti e altri decreti:
• Decreto del Presidente della Repubblica 1 dicembre 1999, n. 492 “Regolamento recante norme per la
costituzione, l'organizzazione e il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali, a
norma dell'articolo 7, commi 1 e 2, della legge 31 dicembre 1998, n. 476”;
• Decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 “Regolamento recante norme di
attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla
condizione dello straniero a norma dell’articolo 1, comma 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286”;
• Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535 “Regolamento concernente i
compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2-bis, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286”;
• “Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età
evolutiva 2000-2001” (legge 415/97) – Testo approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 13
giugno 2000;
• Ministero degli Affari Esteri – Decreto Interministeriale 12 luglio 2000 “Definizione delle tipologie dei
visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento”.
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4) Circolari e direttive:
• circolare telegrafica del Ministero dell'Interno 20.6.1998 “Presenza in Italia di minori stranieri non
accompagnati di nazionalità albanese. Questioni connesse al rimpatrio”;
• circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento Affari Sociali - Comitato per i
minori stranieri 8.7.1998 “Minori albanesi non accompagnati”;
• circolare del Ministero dell’Interno del 26.4.1999 “Rilascio visti per il ricongiungimento familiare in
favore di minori affidati”
• circolare del Ministero dell’Interno 23.12.1999 “D.P.R. 31 agosto 1999 - Regolamento di attuazione del
testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero”;
• circolare del Ministero della Sanità 24.3.2000, n. 5 “D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 Testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero Disposizioni in materia di assistenza sanitaria;
• circolare del Ministero dell’Interno 14.4.2000 “Comitato per i minori stranieri”;
• Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali – Comitato per i minori
stranieri – Osservazioni del Presidente. Testo approvato dal Comitato per i minori stranieri nella
riunione del 2 maggio 2000;
• circolare del Ministero dell’Interno 13.11.2000, “Permessi di soggiorno per minore età, rilasciati ai sensi
dell’art. 28, comma 1 lettera a) del D.P.R. 394/99”;
• Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali – Comitato per i minori
stranieri – Minori stranieri non accompagnati - Linee Guida deliberate nella riunione dell’11 gennaio
2001;
• Direttiva del Ministro dell’Interno del 30 Agosto 2000, contenente la “Carta dei diritti e dei doveri per il
trattenimento della persona ospitata nei centri di permanenza temporanea”.
La presente relazione è
stata elaborata. sulla base
dei materiali prodotti dalla
dott.ssa Elena Rozzi, legale,
Responsabile
del
Programma
Minori
Stranieri non accompagnati
di Save The Children Italia.
Annalisa Faccini Responsabile Area Emergenza Minori Servizio Genitorialità ed Infanzia
Coordinamento Servizi Sociali Comune di Bologna
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