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leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri http://www.10righedailibri.it 101 118 Prima edizione: ottobre 2011 © 2011 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-3209-2 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Massimiliano D’Affronto Stampato nell’ottobre 2011 presso Mondostampa s.r.l., Roma e allestito da Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma) Maria Leonarda Leone 101 donne che hanno fatto grandi 101 uomini Illustrazioni di Giovanna Niro Newton Compton editori a mamma e papà Introduzione S arà scontato, ma all’inizio di questo libro è impossibile non ricordare quello che per primi notarono gli antichi romani: «Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna». Nell’arte come nella letteratura, nella politica come in guerra, spesso la fortuna maschile è infatti frutto di un concreto aiuto femminile: sono tanti i “grandi” (a volte di dubbia fama) che in ogni epoca hanno potuto contare sull’intuito delle mogli, sulla determinazione delle madri, sulla spietata sete di potere delle amanti. Che ne sarebbe stato di Riccardo Cuor di Leone senza la mamma, Eleonora d’Aquitania? E chissà poi se Napoleone Bonaparte sarebbe uscito incolume da un attentato a Brescia senza il sesto senso della moglie Maria Giuseppina. Certo, da una moglie o da una madre è questo quello che ci si aspetta: ma forse vi sorprenderà sapere che anche le nonne, le figlie, e persino le suocere hanno giocato un ruolo nella futura gloria di altrettanti ometti. Per non parlare delle Muse, ispiratrici d’Arte, e delle profetesse, che con le loro visioni salvarono le sorti di re, comandanti e condottieri. Ad esempio, lo sapevate che l’imperatore romano Eliogabalo doveva la carriera a sua nonna, la temibile Giulia Mesa, e che Hilda Beatriz, primogenita di Ernesto “Che” Guevara, segnò un punto di svolta nell’esistenza del famoso rivoluzionario argentino? Forse no. E non sono loro le sole: donne come Maria Thins, suocera e finanziatrice del pittore Jan Veermer, o come la piccola visionaria Giovanna D’Arco, che diede un futuro al re di Francia Carlo vii, donne come la splendida etèra greca Frine, modella di Prassitele, o come la giovane Simonetta Cattaneo, musa post mortem di Botticelli, pur così diverse fra loro sono accomunate dal fatto di essere state fondamentali nella vita dei loro uomini. Eppure sono anche le protagoniste più spesso dimenticate, sovrastate dall’ombra di ingombranti mariti, compagni, padri, amanti, cognati e sovrani. 8 Introduzione Di tutte loro parla questo libro, portandole sulla scena, almeno una volta, al posto dei loro beneficiari: sono 101, pescate in ogni secolo e a ogni latitudine, nobili e popolane, colte e ignoranti, irreprensibili e libertine, ma ricche, in ogni caso, di amore, intelligenza e senso pratico. Proprio come le donne contemporanee, che, oggi come allora, sostengono il sesso forte con i loro consigli, la loro determinazione e la loro forza interiore. Ho scelto di suddividere queste silenziose, spesso invisibili, dispensatrici di grandezza secondo il ruolo ricoperto nella vita dell’uomo che ebbe la fortuna di incontrarle. Troverete perciò, ordinate cronologicamente: le madri che per i loro figli hanno fatto qualunque cosa; mogli, figlie e nonne che, fedeli al proverbio cinese «L’uomo è il capo della famiglia, ma la donna è il collo e muove il capo dove vuole», hanno piegato i maschi verso il successo; le amanti, con la loro innegabile capacità di persuasione; le suocere, perché, incredibile ma vero, a volte anche queste temibili madri acquisite hanno fatto il bene dei propri generi; le splendide Muse ispiratrici di scrittori, poeti, pittori e scultori; le donne mecenate, che con lungimiranza, intelligenza e molto denaro hanno favorito l’ascesa di grandi talenti; le visionarie e le profetesse che non usarono gli occhi per guidare i loro uomini; le donne che, non volendo, furono in grado di compiere la loro missione soltanto da morte. In quali di queste storie vi riconoscete? La mamma è sempre la mamma (le madri) Dio non poteva essere ovunque, perciò ha creato le madri. Proverbio ebraico 1. Olimpiade d’Epiro e Alessandro Magno L a maggior parte degli uomini se la ricorda perché nel film Alexander di Oliver Stone aveva il viso e il corpo della stupenda Angelina Jolie. Ma, a sentire gli antichi, in bellezza Olimpiade d’Epiro non era seconda alla moglie di Brad Pitt. E aveva anche altre doti: tra queste una era la tenacia, l’altra la devozione al proprio figlio Alessandro. Quell’Alessandro che in futuro sarebbe diventato “Magno”. Secondo le storie messe in giro dallo stesso condottiero macedone e allegramente avallate dalla madre, tra i suoi parenti si contava persino il mitico Achille: il padre di Olimpiade era infatti Neottolemo i, re dell’Epiro, presunto discendente del figlio dell’eroe omerico dal tallone delicato. Rimasta orfana di cotanto padre, la principessina era stata allevata dallo zio Aribba e a sedici anni, vestita da sposa, era stata usata come merce diplomatica: nel 359 a.C. diventò infatti la terza moglie 10 La mamma è sempre la mamma (Le madri) di Filippo ii, re di Macedonia. Esiliata dopo appena due anni, il marito la riprese con sé solo perché era incinta. Olimpiade amava raccontare che il vero padre di suo figlio non era Filippo ii, ma il dio Zeus in persona, che l’aveva fecondata, ancora vergine, con un lampo. Ma un’altra versione della storia voleva che la divinità si fosse unita a lei sotto le spoglie di serpente. Quella dei serpenti era una fissa per la bella d’Epiro: sacerdotessa di Dioniso, si racconta dormisse circondata dai suoi amati rettili e che per questo il marito preferisse disertare il talamo nuziale. Comunque le fosse entrato in pancia, mise al mondo quel figlio divino nel 356 a.C.: da allora gli consacrò la sua esistenza e per spianargli la strada al trono fu disposta a tutto. Persino, dicono le malelingue, a ucciderne il padre mortale. Filippo fu infatti pugnalato vent’anni dopo, durante il matrimonio della sorella di Alessandro, Cleopatra. L’assassino era Pausania, una delle guardie, ma non si scoprì mai il nome del mandante: in molti sospettarono di Olimpiade, all’epoca rimpiazzata nel letto e al fianco del re da Euridice, giovane e avvenente fanciulla macedone di cui Filippo si era invaghito. Quell’ennesima moglie aveva già dato al re una figlia, Europa, e la nascita di un maschio avrebbe mandato all’aria i piani di successione della nobile epirota: per questo, come sostengono molti autori antichi, la donna avrebbe ordito l’uccisione dell’ex marito. Il ragionamento filava talmente bene che lo stesso Alessandro fu sospettato dell’omicidio, dal momento che neppure con il più famoso dei suoi rampolli Filippo aveva avuto un bel rapporto. Come figlio di divorziati, Alessandro si era schierato decisamente dalla parte della madre, seguendola nel 338 a.C. lontano dalla reggia, dopo che il padre si era risposato per la quarta volta con una nobildonna macedone. D’altra parte, come avrebbe potuto legare con un uomo che dopo la battaglia di Cheronea aveva provato a rubare a lui, a suo figlio, i meriti della vittoria? Meriti riconosciutigli però dall’esercito, che alla morte di Filippo lo acclamò nuovo re di Macedonia. Olimpiade divenne regina madre e, primo caso nelle dinastie d’Occidente, detenne il potere in patria mentre il figlio era assente. E gli fornì anche una fenomenale collaborazione organizzando una bella epurazione familiare, per allontanare il pericolo di oppositori o concorrenti al trono. Del suo millantato avo Achille, la donna aveva ereditato il carattere permaloso: con Euridice, anche lei fra i nemici del giovane sovrano, dimostrò la crudele ironia che solo le donne sanno tirar fuori, 2. Aurelia Cotta e Giulio Cesare 11 inviandole una corda, una tazza di cicuta e una spada, perché potesse scegliere da sola il mezzo con cui uccidersi. Diversi anni più tardi non le sarebbe toccato lo stesso privilegio. Quando suo figlio morì, nel 323 a.C., Olimpiade combatté perché suo nipote Alessandro iv, figlio postumo di Alessandro Magno, potesse strappare il trono a Filippo Arrideo, figlio illegittimo del suo ex marito. Affetto da epilessia e forse senza tutte le rotelle a posto, il ragazzo era infatti una marionetta nelle mani dei generali di Alessandro, i diadochi. Nel 317 a.C. la congiura che la regina organizzò contro di lui e i suoi familiari ebbe successo, ma, perseguitata per regicidio, fu messa sotto assedio a Pidna. Presa per fame, morì nel 316 a.C. Secondo alcuni storici si suicidò, secondo altri affrontò la morte a testa alta, conquistando con il suo contegno il rispetto dei sicari inviati da Cassandro, arrivista pretendente al trono di Macedonia: dopo essersi sistemata i capelli, senza urla scomposte e senza fuggire, si coprì decorosamente le gambe con la veste e morì strangolata. Come un vero uomo. 2. Aurelia Cotta e Giulio Cesare S i sa, da che mondo è mondo, che le mamme hanno sempre un debole per i figli maschi. Ancora di più quando sono i più piccoli della nidiata. Non faceva eccezione Aurelia Cotta, che nel ii secolo a.C. si dedicò anima e corpo al suo piccolo Giulio Cesare, fornendogli la cultura, gli insegnamenti e, al momento giusto, l’aiuto materno che lo resero il grande uomo politico che è stato. Romana “de Roma”, Aurelia era nata nel 120 a.C. dal console, figlio di consoli, Lucio Aurelio Cotta. Sua madre Rutilia non era da meno: anche lei discendeva da una famiglia di rango e, quando il marito morì, si risposò con il cognato, Gaio Aurelio Cotta, con cui mise al mondo i tre fratellastri di Aurelia – Gaio, 12 La mamma è sempre la mamma (Le madri) Marco e Lucio – tutti futuri consoli. Aurelia non smentì le doti politiche dei suoi avi e sposò Gaio Giulio Cesare (padre), pretore nel 92 a.C., che si vantava di discendere dal leggendario fondatore di Roma, Romolo. Preso dalla sua carriera, Gaio fu un padre assente per Giulia maggiore, Giulia minore e per il piccolo Gaio Giulio Cesare, perciò, quando all’improvviso morì, Aurelia continuò a fare quel che aveva fatto fino a quel momento: crescere da sola i suoi figli. Con particolare attenzione all’ultimo, che non aveva ancora sedici anni. Intelligente ed erudita, Aurelia scelse personalmente il suo precettore e ne seguì gli studi: greco, latino, grammatica e retorica divennero pane quotidiano per il ragazzo, che si dimostrò particolarmente dotato nell’arte oratoria, ingrediente fondamentale, insieme alle capacità militari, del suo futuro successo politico. Persino Cicerone, retore saccente e autocelebrativo, fu costretto ad ammettere che il suo rivale Cesare aveva una maniera splendida e impeccabile di parlare, solenne e nobile nella voce, nella gestualità e nel contegno. Sua madre lo osservava crescere, con orgoglio, ma senza distrarsi mai: lo scrittore greco Plutarco la definì «saggia e attenta», pronta a intervenire ogni volta che suo figlio aveva bisogno di lei. Come nell’82, quando il dittatore Lucio Cornelio Silla, avverso ai populares e al suocero di Cesare, Cinna, ordinò al ragazzo di divorziare. Cesare amava Cornelia e si rifiutò di lasciarla, ma fu merito di sua madre e di suo zio se non morì prematuramente sotto i colpi di qualche sgherro sillano: appoggiandosi al fratellastro Gaio, Aurelia riuscì infatti a convincere alcuni potenti senatori a intervenire in favore del giovane ribelle. Poi, quando nel 69 a.C. Cornelia morì, prese in mano la gestione della casa di Cesare, occupandosi della nipote, Giulia, l’unica amatissima figlia del condottiero. Ma non smise comunque di “vigilare”: non aveva infatti alcuna fiducia nella sua nuova nuora, Pompeia, che, innamorata persa di Publio Clodio, tentò il tutto per tutto per fregare il marito. Era il 62 a.C.: quell’anno toccava a lei, moglie del pretore, organizzare i riti per celebrare la Bona Dea. Durante queste feste nessun uomo poteva essere ammesso tra le celebranti, perciò, senza Cesare nei dintorni e con la suocera presa a intrattenere le ospiti, pensò di poter organizzare un incontro con l’amante. Clodio si vestì da donna e si presentò a casa di Giulio Cesare, ma, mentre la serva complice andava a chiamare la sua padrona, lui poco furbescamente si mise a vagare per i corridoi e le sale illuminate dalle fiaccole. Un’ancella gli si avvicinò e lo invitò a partecipare alla festa, ma di 3. Giulia Agrippina e Nerone 13 fronte all’atteggiamento strano di quella donna velata si insospettì: gli chiese chi fosse e quello ingenuamente rispose con il suo vocione maschile. La donna corse via, avvisando tutte che tra loro c’era un uomo: Aurelia senza batter ciglio fece interrompere le celebrazioni, sprangare le porte e setacciare la casa angolo per angolo, finché non pescò Clodio rannicchiato in un angolo. Mettete insieme un gruppo ben nutrito di matrone e un pettegolezzo tanto invitante, cosa succederà? Semplice: la mattina dopo tutta Roma era a conoscenza del fattaccio. Clodio fu processato per empietà, ma nonostante il dettagliato resoconto di Aurelia si salvò grazie alle bustarelle; Cesare invece ripudiò Pompeia perché «la moglie di Cesare dev’essere al di sopra di ogni sospetto». Proprio come visse, per sessantasei anni, sua madre. 3. Giulia Agrippina e Nerone P er amore del figlio sposò e forse uccise lo zio Claudio. Per amore del figlio resistette al matrimonio con il vecchio, stupido, crudele Gneo Domizio Enobarbo, sopportando la rabbia e lo schifo; per amore del figlio superò il dolore dell’esilio, con la speranza di tornare a riprenderlo un giorno tra le braccia. Dopo aver perso tutta la sua famiglia, le era rimasto un solo scopo: far diventare imperatore il figlio Lucio Domizio Enobarbo, che lei preferiva chiamare Nerone in memoria del fratello maggiore. Giulia Agrippina aveva avuto un’infanzia dura ma felice, sempre in giro per campi di battaglia dietro a suo padre, il valoroso, amatissimo condottiero romano Germanico: in un accampamento militare c’era persino nata, nel 15 d.C., mentre il suo papà combatteva la tribù germanica dei Cherusci. I suoi genitori avevano origini nobilissime: Germanico era stato adottato dall’imperatore romano Tiberio e perciò era destinato 14 La mamma è sempre la mamma (Le madri) a succedergli al trono, sua madre, Giulia Agrippina maior, era nipote dell’ex imperatore Ottaviano Augusto. Insieme misero al mondo otto figli, tre dei quali morirono prestissimo: gli altri componenti della famiglia non ebbero comunque una sorte migliore. Agrippina perse infatti suo padre a quattro anni: la madre accusò Tiberio di averlo fatto avvelenare, geloso dei suoi successi e della fama di cui godeva a Roma. Il seguito prova che probabilmente aveva ragione: negli anni successivi l’imperatore finì di distruggere la famiglia di Germanico e nel 29 costrinse Agrippina a sposare Enobarbo, trent’anni più vecchio di lei: è vero che la ragazza non era una bellezza, aveva il naso lungo, il mascellone alla Ridge e le labbra sottili, ma compensava tutto con l’altezza notevole e la sua intelligenza. La coppia, infelice, ebbe un unico figlio, Nerone, nel 37: quello stesso anno Tiberio morì. Nel frattempo però aveva provveduto a eliminare i due fratelli più grandi e la madre di Agrippina: alla povera ragazza ormai non restavano che le sorelle Livilla e Drusilla e il fratellino Gaio Cesare, soprannominato Caligola. Proprio all’ultimo toccò il posto vacante di imperatore: per un momento la madre di Nerone credette fosse arrivato l’atteso momento del riscatto, invece il ragazzo cominciò presto a dare segni di squilibrio, giungendo persino a esiliare le sorelle con l’accusa di tradimento. Non stupisce che dopo quattro anni di regno fu ucciso e sostituito dallo zio Claudio, cinquantenne e balbuziente. La leggenda vuole che nel frattempo Agrippina, rimasta vedova, avesse scatenato i suoi bassi istinti con numerosi amanti: vero o no, alla fine sposò per puro interesse economico il ricco Gaio Sallustio Crispo Passieno ed ereditò tutti i suoi beni nel 47. L’anno dopo, la moglie dell’imperatore Claudio, Messalina, fu condannata a morte: nel letto dello zio si infilò allora la nipote trentatreenne. Agrippina, nominata augusta dal Senato, prese molto sul serio il suo ruolo di imperatrice, conquistando l’amore incondizionato del popolo, le adulazioni dei senatori, l’omaggio dei sacerdoti. Convinta dell’importanza della propria stirpe, con un carattere forte ma piena di accortezza politica, era ben consapevole, in quanto donna, di non poter aspirare direttamente al trono nonostante l’appoggio popolare. Perciò trasferì sul figlio le proprie ambizioni. Fin dalla nascita del piccolo, quando un’indovina le aveva predetto la morte per mano del primogenito, Agrippina aveva sostenuto: «Che mi uccida pure, purché regni!». Mossa da questo scopo, fece fidanzare Nerone con la figlia di Claudio, Ottavia – un- Giulia Agrippina e Nerone 16 La mamma è sempre la mamma (Le madri) dici anni l’uno contro i nove dell’altra – poi convinse il marito ad adottare il futuro genero, che diventò l’erede ufficiale dell’impero a scapito del giovane Britannico, il primogenito di Claudio e Messalina. Quando Claudio cominciò ad avere qualche ripensamento sulla scelta del suo erede, morì: c’è chi dice che fu Agrippina ad avvelenargli la cena e a fare in modo che il medico gli propinasse, invece che una cura, un ulteriore veleno, ma in realtà non sappiamo se le cose andarono davvero così. L’unica certezza è che nel 54 Nerone divenne imperatore. Il rapporto mamma-figlio, prima strettissimo, cominciò a deteriorarsi: il ragazzo aveva preso dal pessimo padre molto più del brutto aspetto fisico. Stanco di sentirsi continuamente criticato, di vedersi superato da Britannico nel cuore di Agrippina e di leggere negli occhi della madre il disprezzo per le sue amanti – la liberta Atte prima, la futura moglie Poppea poi – Nerone uccise il fratellastro e allontanò la mamma. Arrivò persino a pagare dei calunniatori per rovinarle la piazza, ma non aveva fatto i conti con il sangue guerriero che le scorreva nelle vene: isolata, umiliata e perseguitata, Agrippina non si perse d’animo neppure quando il figlio tentò di ucciderla. Si salvò dal veleno grazie agli antidoti che si era procurata in anticipo, si salvò da un naufragio studiato a tavolino, ma non sopravvisse ai sicari che la raggiunsero nella sua villa sul lago di Lucrino. Secondo il racconto romanzato dello storiografo Tacito, si offrì agli assassini con queste parole: «Colpite il ventre che lo ha generato». E quelli la presero in parola. 4. Annia Galeria Faustina e Commodo 17 4. Annia Galeria Faustina e Commodo P er essere una matrona romana ritratta nel marmo, ha una bellezza limpida, uno sguardo puro, un viso insolitamente delicato e gentile. Invece, secondo i suoi contemporanei, era un diavolo travestito da angelo Annia Galeria Faustina, figlia, moglie e madre di imperatori romani. Suo padre, l’imperatore Antonino Pio, l’aveva presa in braccio appena nata nel 125 d.C.: la guardava con occhi di papà innamorato e intanto pensava che il futuro di quella bambina era già praticamente scritto. L’imperatore Adriano, nonno adottivo di Faustina, l’aveva infatti destinata a Lucio Vero, fratello del suo preferito, Marco Aurelio. Diciassettenne filosofo di belle speranze, colto e riflessivo, Marco era ancora troppo giovane per reggere l’impero, perciò Adriano aveva destinato il trono ad Antonino, a condizione che adottasse Marco come erede. Morto Adriano, Antonino si sentì libero di decidere del futuro della propria figlia e propose al suo successore, adottato nel 138 insieme a Lucio Vero, di fidanzarsi con la cugina. Marco Aurelio aveva tergiversato prima di accettare la proposta: era un ragazzo ligio alle regole e fedele alle promesse e non voleva violare il volere del defunto imperatore che lo aveva destinato a Fabia, figlia di Lucio Ceionio Commodo. Ma alla fine, come si dice, più dell’amor poté il digiuno e attratto dalla possibilità di legittimare il proprio potere, oltre che dalla bellezza di Faustina, mise da parte i suoi dubbi. I due si fidanzarono nel 139 e si sposarono nel 145: due anni dopo nacque la loro primogenita, cui sarebbero seguiti altri dodici figli. In questa occasione Marco Aurelio regalò a sua moglie il titolo onorifico di Augusta. Le fonti storiche non ci aiutano a venire a capo di questo matrimonio: per alcuni lungo e solido, per altri irto di tradi- 18 La mamma è sempre la mamma (Le madri) menti da parte di Faustina e di filosofico disinteresse da parte di Marco Aurelio. Ovviamente delle due, la versione più pruriginosa è quella che fa di Faustina un’assatanata di sesso, costretta a dividere il proprio letto con un uomo che guardava con distacco alle cose pratiche, preso com’era dagli insegnamenti dei grandi filosofi stoici che lo avevano preceduto. Mai coppia fu peggio assortita: Marco era introverso, con la testa per aria, poca passione per il sesso, che definiva «la schiavitù della carne», e per il piacere, che «non è cosa né utile né saggia». La filosofia non gli serviva a niente con Faustina, donna vivace, sensuale e – lo stesso si diceva anche di sua madre – dalla «eccessiva libertà e facilità di costumi». Pare che, in mancanza della compagnia del marito, la donna si spingesse fino a Gaeta per nascondersi agli occhi indiscreti e alle lingue lunghe dei romani quando cercava compagni di una notte al porto o nelle scuole di gladiatori. Alcuni storici antichi affermano che fosse appunto un combattente dell’arena il padre naturale del futuro imperatore Commodo, concepito durante una di queste licenziose gite fuori porta: il che avrebbe anche spiegato la passione del ragazzo per i giochi gladiatòri. Marco Aurelio riconobbe il figlio come suo, ma il popolo inventò una storia ad hoc per spiegare quella nascita: Faustina si sarebbe innamorata perdutamente di un gladiatore e, ammalata d’amore, avrebbe deciso di confessare tutto al marito. Invece di rivolgersi a un divorzista, Marco chiese aiuto agli indovini Caldei: per guarire, l’imperatrice fu costretta ad ammazzare l’uomo che amava, a bagnarsi le parti intime con il suo sangue e a unirsi subito dopo al marito. Nove mesi dopo sarebbe venuto fuori Commodo, insieme a un gemello morto a quattro anni. «La diceria popolare acquistò verosimiglianza dal fatto che il figlio di un principe così onesto rivelò un carattere tanto malvagio» ricorda il biografo Giulio Capitolino nella Storia Augusta. E a chi gli chiedeva perché non ripudiasse la moglie, Marco Aurelio rispondeva: «Perché dovrei restituirle anche la dote», cioè l’impero, che lei gli aveva garantito. Si capisce allora perché Commodo debba alla madre, più che al padre, la sua futura “professione”: ben proporzionato e attraente, con i capelli biondi e ricci di Faustina, non aveva preso niente, però, del carattere giudizioso del padre. E infatti si rivelò un pessimo imperatore. Nel 166, ad appena cinque anni, fu nominato Caesar, ricevette una buona istruzione da «un’abbondanza di buoni maestri» e Marco Aurelio cominciò a portarselo dietro nelle campagne militari. Anche Faustina spesso seguiva il marito in 4. Annia Galeria Faustina e Commodo 19 guerra e tale era il suo contributo nel rincuorare le truppe – scherzarci su sarebbe come sparare sulla Croce Rossa – che nel 174 ricevette il titolo di “Madre degli accampamenti”. Commodo assunse la toga virile sul Danubio, il 7 luglio 175, durante i preparativi per la campagna contro Avidio Cassio, il governatore della Siria che si era dichiarato imperatore, convinto che Marco Aurelio fosse morto in battaglia. Si mormorava che Faustina avesse già stretto con lui un accordo matrimoniale, valido nel caso fosse successo qualcosa a suo marito, ma, purtroppo per entrambi, l’imperatore era ancora vivo e vegeto. Cassio fu ucciso da uno dei suoi centurioni prima ancora di iniziare a combattere, Faustina morì l’anno dopo, nel villaggio di Alala (ribattezzato per l’occasione Faustinopoli), ai piedi del monte Tauro, in Cappadocia: secondo alcuni storici aveva contratto una malattia mortale, secondo altri si era suicidata. Suo marito si dimostrò un signore fino alla fine: volle divinizzarla, le fece consacrare un tempio e istituì in suo nome un istituto di beneficenza per le cosiddette puellae Faustinianae. Il figlio, che Faustina non vide mai diventare imperatore, per ricordarla non trovò di meglio che dare il nome di sua madre alla concubina preferita. Chissà quale dei due uomini, tra Marco e Commodo, la conosceva meglio. 20 La mamma è sempre la mamma (Le madri) 5. Dhuoda e Guglielmo U n figlio perfetto: è il sogno, spesso obiettivamente irrealizzabile, di qualunque madre. E Dhuoda, nobildonna medievale di origine germanica, vissuta in Francia nel ix secolo d.C., non si sottrasse alla tradizione. Scrisse un manualetto, anzi, per dirla a modo suo un Liber manualis, in cui mise nero su bianco, in latino, una serie di buoni consigli per il primogenito Guglielmo. Cosa c’è di tanto speciale? C’è che questo libro fu scritto da una donna, fatto per niente scontato all’epoca, che quella donna era anche dotata di una certa cultura e che, grazie alla sua penna facile, garantì per sé e per l’amato pargolo un futuro tra i posteri. «T’invio quest’opuscolo scritto a mio nome, affinché ai fini della tua formazione tu lo legga», gli dice. E continua: «Sappi che l’ho scritto tutto, in tutto e per tutto al fine di provvedere alla salute della tua anima e del tuo corpo». Dentro infatti si trovano tutte le raccomandazioni tipiche delle mamme: ubbidisci a tuo padre – «devo fare del mio meglio per spronarti a essere amorevole e rispettoso in tutto nei confronti del tuo signore e padre, Bernardo» – studia – «in mezzo alle tentazioni mondane del secolo, non dimenticare di procacciarti molti libri» – dì le preghiere – «durante il tempo che ti sarà dato di trascorrere in questo mondo, benedici il Signore e chiedigli che in ogni momento diriga i tuoi passi» – sii gentile con il prossimo – «ama Dio, cerca Dio, ama il tuo fratellino, ama tuo padre, ama gli amici e i compagni in mezzo ai quali vivi alla corte regia o imperiale, ama i poveri e gli infelici, ama tutti per essere amato da tutti». Dhuoda non si fermò qui: gli parlò di Dio, gli descrisse i suoi doveri, gli diede suggerimenti di vita. Insomma, lo esortò a essere un bravo cavaliere e un bravo cristiano, esercitandosi nell’altruismo e nella preghiera. Certo, settantatré capitoli più introduzione, invocazione e prologo, tutti su questo tono sono roba un po’ noiosa per un sedicenne, ma le mamme sono sempre 5. Dhuoda e Guglielmo 21 convinte che i loro figli siano diversi dagli altri. Perciò Dhuoda sentì di poter condividere con lui la speranza che «tu, pur assediato dalla quantità dei tuoi impegni mondani e secolari, legga sovente in memoria di me questo libretto che ti dedico e non lo dimentichi». Che poi era l’unica speranza per lei, così lontana da suo figlio. La colpa? Era come sempre di un uomo. Dhuoda apparteneva a una famiglia nobile, per questo le toccò un’unione che allora veniva detta “vantaggiosa”. Che vantaggi poi ne trasse dal matrimonio con Bernardo di Tolosa, duca di Settimania, è difficile dirlo. Da lui ebbe due figli: Guglielmo, nell’826, e Bernardo, nell’841. Ma tra un parto e l’altro la coppia visse quasi sempre separata. Buona e pia com’era, Dhuoda non poteva immaginare che il suo compagno fantasma, figlio di Guglielmo di Gellona, cugino di Carlo Magno, fosse tutt’altro che uno stinco di santo. Quando re Ludovico il Pio lo chiamò a corte come cancelliere e lo nominò tutore del figlio più piccolo, si cominciò a mormorare che il “fido cavaliere” se la facesse con la seconda moglie del sovrano, Giuditta. Sarebbe così spiegato il motivo per cui, nel trasloco, non volle con sé Dhuoda: la poveretta fu relegata a Uzès, vicino a Nîmes, per amministrare i possedimenti del marito. Il che fu un bene per i suoi vassalli, che non amavano affatto quell’uomo tirannico, colpevole, a quel che si diceva, di aver addirittura depredato delle chiese durante alcune campagne militari. Tutto sommato sarebbe andata bene anche a Dhuoda, se solo avesse potuto fare la mamma. Cosa che invece le fu impedita: come si conveniva a un futuro cavaliere, Guglielmo dovette seguire presto le orme paterne e Dhuoda rimase sola. Ma oltre a essere quel che era, Bernardo non brillava neppure per acume politico: negli scontri fratricidi che devastarono il regno franco prima e dopo la morte di Ludovico il Pio, cercò infatti di schierarsi sempre dalla parte più conveniente. Questo non gli fece guadagnare la fiducia dei regnanti e infatti, nell’841, quando il re dei franchi occidentali, Carlo ii detto “il Calvo”, ebbe la meglio sul fratello Lotario, il duca di Settimania fu costretto a inviargli il figlio come garanzia del suo appoggio. Perso Guglielmo, reclamò, ennesima crudeltà nei confronti della moglie, il suo secondogenito, appena nato e non ancora battezzato. Quando le venne strappato anche quell’ultimo conforto, Dhuoda trovò lo stimolo per cominciare il suo libro e riempirlo con tutto l’amore e la disperazione che solo una madre può provare in questi casi: scrivere divenne la sua unica e ultima chance per potersi sentire davvero mamma. Completò l’opera nell’843 e la spedì a Guglielmo. Poi di lei non si sa più niente. 22 La mamma è sempre la mamma (Le madri) Più volte nelle sue pagine aveva accennato al rapido approssimarsi della morte e se ciò accadde davvero si risparmiò almeno le lacrime per l’uccisione del marito, giustiziato per tradimento da Carlo ii nell’844, e, sei anni dopo, quelle per l’adorato figlio. Guglielmo venne ucciso per aver preso parte alla ribellione degli Aquitani contro il re. Se solo avesse letto quel Liber, il giovane cavaliere si sarebbe reso conto che sua madre gli ordinava di “rispettare” suo padre, ma non di prenderlo a esempio. 6. Marozia e papa Giovanni xi E rano i tempi della cosiddetta pornocrazia, un’epoca dominata da pontefici incapaci, avidi o spietati, fantocci nelle mani di pericolose amanti desiderose di raggiungere il potere con ogni mezzo. Ed è proprio in questo periodo che nasce e si ritaglia un ruolo di primo piano Maria: il popolo romano l’aveva soprannominata “Mariozza”, ma lei, civettuola, preferiva il più elegante “Marozia”. Bella e sensuale, ma dispotica come solo certe Mariozze sanno essere, era una di quelle donne capaci, come scriveva Giorgio Falco in Santa romana repubblica, «di imporre virilmente l’impero della propria ambizione». Nata tra l’890 e l’891, era figlia del potente e influente patrizio Teofilatto, membro degli optimates romani – un ceto di facoltosi latifondisti, ecclesiasti e burocrati che tra il vii e l’xi secolo esercitò le funzioni dell’antico Senato a Roma – e dell’avvenente e corrotta Teodora. Grazie ai suoi natali, imparò presto cosa voleva dire muovere i pupazzi sulla scena politica ed economica dell’Urbe. Intraprendente, ambiziosa, assetata di potere, Marozia aveva preso molto da sua madre: analfabeta come lei, dominò per un ventennio su Roma e sulla Chiesa, usando astuzia e seduzione. E da Teodora pare ereditò, appena quindicenne, anche un amante: il pontefice Sergio iii, amico tra l’altro del suo futuro primo marito, Alberico di Spoleto. Vatti a 6. Marozia e papa Giovanni xi 23 fidare degli amici! I beninformati, tra cui il tagliente vescovo Liutprando da Cremona, dicevano che il primo figlio della coppia, Giovanni, era nato proprio dalla tresca con il papa: d’altra parte era noto che «Mariozza, bella come una dea e focosa come una cagna, viveva nel cubicolo del papa e non usciva mai dal Laterano». Quando nel 924 Alberico morì, Marozia impiegò tre anni per presentarsi di nuovo all’altare: stavolta stringeva il braccio di Guido, marchese di Toscana. Nel frattempo, morto Sergio iii, era salito al soglio pontificio Giovanni x: la sua politica personalistica non si discostava da quella del predecessore, la differenza stava nel fatto che non contemplava gli interessi dei nobili romani e toscani, Marozia compresa. Ma la nostra bella arrampicatrice sociale non era una che accettava di essere ignorata. Fu infatti l’animatrice di una rivolta contro il pontefice: milizie toscane e romane fecero la loro prima illustre vittima in Pietro, fratello e sostenitore di papa Giovanni x, il secondo a essere arrestato e assassinato. La città eterna cadde in manu foeminae, come scrisse il monaco Benedetto di Sant’Andrea del Soratte: Guido diventò il signore di Roma e Marozia poté gestire tranquillamente le tre successive elezioni pontificie. Quelle di Pietro Leone vi e Stefano vii furono rapide e indolori, poi, da buona madre previdente, cominciò a pensare di dare un futuro al proprio figlio, ormai ventunenne: spesso i pargoli sono spinti a scegliere la professione dei loro genitori, perciò quale strada migliore per lui, se non quella del pontificato? Detto fatto: senza alcun titolo, nel 931 Giovanni divenne papa Giovanni xi. Il cronista Flodoalfo notò che «amministrò la Chiesa senza alcuna energia e privo di ogni apprezzabile dote». Un pupazzetto, insomma, nelle mani della madre trafficona e calcolatrice, che in quegli anni fu considerata il vero pontefice di Roma. Ispirata a lei, intorno all’xi secolo sembra sia nata la famosa leggenda della papessa Giovanna, la storia di una dottissima giovane di origine britannica, esperta di scienze teologiche, che, travestita da uomo salì rapidamente i gradini della gerarchia ecclesiastica fino al pontificato. Sarebbe stata eletta con il nome di papa Giovanni nel ix secolo, ma dopo due anni e mezzo, durante un corteo, tra il Colosseo e la chiesa di san Clemente partorì un figlio. Nello sconcerto generale diventò così “la papessa Giovanna”. Per evitare simili ulteriori “sviste”, da quel momento il candidato al soglio di Pietro venne fatto sedere su un seggio forato: attraverso quel buco, infatti, un addetto poteva sincerarsi dell’effettivo sesso del futuro pontefice. 24 La mamma è sempre la mamma (Le madri) Ma anche su una poltrona simile Marozia avrebbe mostrato ben poco: era infatti lei a portare i pantaloni a Castel Sant’Angelo. Di nuovo vedova, nel 932 si risposò con il re d’Italia Ugo di Provenza: nella scalata matrimoniale al potere politico, stavolta non prese in esame il fatto che, come fratello del suo defunto marito, Ugo non avrebbe potuto far coppia con lei. Per scavalcare il diritto canonico, il re giurò il falso dichiarandosi figlio illegittimo di suo padre, sdegnando i fratelli e tutto il popolo; intanto Marozia, sfruttando il figlio-papa, cominciò a trafficare per ottenere, per il marito e per sé, i titoli di imperatore e imperatrice. Sarebbe stato un colpaccio, ma a tutto c’è un limite: ottenebrata dall’ambizione finì per alienarsi le simpatie di tutta Roma, prole compresa. Le si rivoltò contro persino il figlio Alberico ii, che con il sostegno della nobiltà romana mise fuori gioco madre e patrigno, suggellando l’intervento armato con queste parole: «La dignità della città di Roma è stata potata a tal grado di stoltezza da prestare obbedienza al governo delle meretrici». Dopo essersi dato da solo del “figlio di”, confinò il fratello Giovanni nel palazzo del Laterano e prese il potere su Roma, con il titolo di princeps atque omnium romanorum senator. Marozia, abbandonata dal neosposo che si era messo in salvo con una poco onorevole fuga, fu reclusa in un convento fino alla fine dei suoi giorni, giunta secondo alcuni storici nel 937, secondo altri nel 955. 7. Eleonora d’Aquitania e Riccardo Cuor di Leone 25 7. Eleonora d’Aquitania e Riccardo Cuor di Leone D iede scandalo come donna e come moglie. E tutto sommato non fu nemmeno una madre esemplare, almeno non per tutti i suoi figli. Eleonora d’Aquitania, classe 1122, era coltissima, sapeva leggere e scrivere in latino, conosceva la musica e la letteratura. Anticonformista, intelligente e bellissima, dominò il xii secolo, regina non di uno, ma di due regni: la Francia prima (dal 1137 al 1552), l’Inghilterra poi (dal 1554), dopo aver sposato rispettivamente Luigi vii ed Enrico ii Plantageneto. Il primo, un ragazzo austero e un po’ moscio, cresciuto per la carriera ecclesiastica, si era ritrovato erede al trono solo perché il fratello maggiore era morto. Cresciuta a pane e poemi sull’amor cortese, la duchessa d’Aquitania si lamentava spesso della sua vita coniugale: «Ho sposato un monaco, non un uomo» ripeteva tristemente. Per migliorare le cose ce la mise tutta, ma senza grande successo: svecchiò la casta moda di palazzo della bigotta corte parigina indossando abiti preziosi, colori sfavillanti, corpetti succinti che lasciavano scoperte anche le spalle; stupì con gioielli e tappezzerie, si circondò di poeti e trovatori, attirandosi ancora di più l’astio dei cortigiani, convinti che solo questo ci si poteva aspettare da una donna che addirittura beveva vino. Frustrata, nel 1151 Eleonora chiese (e ottenne l’anno successivo) l’annullamento del matrimonio per «consanguineità di quarto grado», appellandosi alla comune discendenza da Roberto ii di Francia. Con gioia abbandonò la corte che tanto l’aveva odiata, portandosi dietro anche la sua preziosa dote: le terre di Guascogna e Aquitania. Le due figlie, Maria e Alice, le lasciò invece al padre. Era la prima volta che una donna osava tanto. Le conseguenze si fecero subito sentire: il monaco Alberico, con proverbiale finezza, notò che Eleonora «non si compor- 26 La mamma è sempre la mamma (Le madri) tava da regina ma piuttosto da puttana» e i presunti flirt a lei attribuiti aumentarono vertiginosamente. Le malelingue sostenevano che già prima di sposarsi la bella duchessa avesse avuto una storia con lo zio Raimondo, ma particolare scandalo destò l’episodio, probabilmente inventato, del giovane Saldebereuil. Secondo il gossip, il cavaliere aveva accettato la richiesta di Eleonora di combattere nudo, vestito solo con una camicia della regina, contro un avversario in armatura. Quando rimase ferito, la sovrana lo curò personalmente con grande trasporto e il giorno dopo si presentò a tavola con indosso solo la veste sporca di sangue del cavaliere. Cosa che fece andare di traverso il cibo a re Luigi. A peggiorare le cose, il Menestrello di Reims raccontò che Eleonora si concesse persino a un saraceno, nientepopodimeno che il famoso Saladino (che però all’epoca aveva appena dodici anni), tradendo così non solo il marito ma anche Dio. Alcuni sostennero infine che non si lasciò sfuggire neppure il suo secondo futuro suocero, Goffredo il Bello. Di vero probabilmente c’è solo il fatto che, appena sei settimane dopo l’annullamento del primo matrimonio, il 18 maggio 1152, Eleonora era di nuovo sull’altare. Stavolta stretta felicemente all’aitante Enrico Plantageneto, di undici anni più giovane. Insieme a lui governò, prese decisioni e mise al mondo otto figli: tra tutti il suo preferito fu il terzo maschio, Riccardo, il futuro Cuor di Leone. Lo storico moderno Steven Runciman lo definì: «Un cattivo figlio, un cattivo re, ma un valoroso e magnifico soldato», in realtà era un uomo dalla personalità molto complessa, divorato dall’ambizione, con un enorme desiderio di potere, instillato, insieme all’odio per il padre, da sua madre. Eleonora lo prese infatti sotto la sua ala protettrice fin dalla più tenera età e si ritirò con lui a Poitiers quando il marito, donnaiolo sempre abbastanza discreto, la tradì senza ritegno con la bella Rosamund Clifford. Riccardo non sarebbe dovuto diventare re d’Inghilterra, ma, spronato dalla duchessa di Aquitania, per il trono fece guerra a Enrico ii insieme ai suoi fratelli e successivamente si alleò con il re di Francia Luigi vii. Ma a nulla sarebbero valsi gli sforzi di Eleonora se il Destino non ci avesse messo lo zampino: quando morì suo marito, dei cinque figli maschi solo Riccardo e il più piccolo Giovanni (il preferito del defunto re) erano ancora vivi. Facile intuire a chi finì la corona. Ma per un anno fu la duchessa quasi settantenne la vera regina d’Inghilterra: per consolidare il potere del figlio viaggiò senza sosta, liberò i Eleonora d’Aquitania e Riccardo Cuor di Leone 28 La mamma è sempre la mamma (Le madri) prigionieri ammassati nelle carceri da Enrico ii e raccolse fondi utili alla crociata che Riccardo desiderava intraprendere per strappare Gerusalemme ai saraceni. Elargì amnistie, costruì ospedali, assegnò fondi ai conventi, obbligò clero e aristocrazia al giuramento di fedeltà al nuovo re. Nelle leggende, quando Riccardo partì per la iii crociata fu Robin Hood a salvare il regno, ma nella realtà fu mamma Eleonora a tenere le redini di quell’immenso reame e a contrastare le trame dell’ultimo figlio, Giovanni Senza Terra, intenzionato a rubare il trono al fratello. Con la consueta caparbietà, si batté anche per riavere indietro Riccardo, finito nelle carceri dell’imperatore germanico Enrico vi sulla via del ritorno dalla guerra santa. Si rivolse persino a papa Celestino iii, lei che con la Chiesa non aveva mai avuto un gran feeling, perché facesse valere la sua protezione su un cavaliere crociato. Ma senza nascondere, com’era nel suo carattere, il tono minaccioso: «Voi non potete fingere d’ignorare le nostre sventure, che si sono moltiplicate senza fine, ché sareste qualificato criminale infame, Voi, che siete il vicario del Crocefisso, il successore di Pietro, il prete di Cristo, l’unto del Signore!». Forse non era l’atteggiamento più adatto all’occasione. E infatti la liberazione arrivò solo in cambio di un enorme riscatto, pagato dai sudditi d’Inghilterra e portato in Germania da Eleonora, che a settantadue anni suonati non esitò a saltare a cavallo per ricondurre Riccardo in Inghilterra. E consegnare così alla Storia la leggenda, forse non del tutto meritata, del suo Cuor di Leone. 8. Costanza d’Altavilla e Federico ii di Svevia 29 8. Costanza d’Altavilla e Federico ii di Svevia D a qualche parte bisognerà pur cominciare per diventare stupor mundi, «meraviglia del mondo». E Federico ii di Svevia, così soprannominato dal monaco e cronista inglese Matthew Paris, si fece notare fin dal suo primo vagito grazie a mamma Costanza d’Altavilla, che lo mise al mondo platealmente in mezzo a una piazza. Circa un secolo dopo, il cronista Giovanni Villani raccontò così il lieto evento: «Quando la ‘mperatrice Costanza era grossa di Federigo, s’avea sospetto in Cicilia e per tutto il reame di Puglia che per la sua grande etade potesse esser grossa; per la qual cosa quando venne a partorire fece tendere un padiglione in su la piazza e mandò bando che qual donna volesse v’andasse a vederla; e molte ve n’andarono e vidono, e però cessò il sospetto». Secondo molti si tratta solo di una fantasiosa tradizione: la gente pensava che Costanza, che all’epoca aveva quarant’anni, fosse troppo vecchia per partorire e che la sua gravidanza fosse frutto di pasti troppo abbondanti più che dell’attività notturna con Enrico vi di Svevia. Perché tanti dubbi? Perché, dopo otto anni di matrimonio sterile, il bimbo era nato proprio quando il marito di Costanza si era riappropriato del trono di Sicilia e la presenza di un legittimo erede era diventata auspicabile. Ma se è caldamente sconsigliabile dire a una donna che è vecchia, lo è ancora di più tacciarla di essere cicciona. “Volete le prove? Eccovele”, meditò Costanza, che quando arrivarono le doglie era in viaggio verso Palermo, dove il marito stava per farsi incoronare re. A Enrico, che era il classico cavaliere medievale senza nient’altro in testa che la guerra, i titoli e le conquiste, non passò neanche per l’anticamera del cervello di rimandare la cerimonia: non capita mica tutti giorni di riconquistare un regno, peraltro appartenente alla moglie. Perciò, mentre lui si 30 La mamma è sempre la mamma (Le madri) faceva mettere in testa la corona, la futura mamma si fermò a Jesi, dove fece allestire un grande baldacchino nella piazza di fronte alla chiesa di san Floriano. Neanche fosse arrivato il circo in città, gli antichi marchigiani si accalcarono intorno alla sala parto improvvisata: Costanza invitò i notabili e le donne a entrare, per assistere alla nascita del piccolo, futuro imperatore del Sacro romano impero, re di Germania, di Gerusalemme, d’Italia e di Sicilia. Il pupo venne al mondo il giorno dopo Natale, il 26 dicembre 1194: Costanza lo battezzò Costantino, ma la sua scelta non convinse il padre, che preferì Federico Ruggero Costantino, affibbiandogli, per par condicio, il nome di entrambi i nonni – quello paterno, Federico Barbarossa imperatore del Sacro romano impero, e quello materno, Ruggero ii re di Sicilia. Insoddisfatta la madre, insoddisfatto anche il figlio, che mal digerì il fatto di aver perso per un giorno il privilegio di festeggiare il suo compleanno insieme a Gesù Cristo. Con un po’ di fantasia, però, si convinse che in fondo aver mancato la data di appena 24 ore significava essere secondo soltanto al Messia: perciò nel 1239 in una lettera si riferì a Jesi come «nostra Betlemme». Mentre lui si autodivinizzava, molti dei suoi contemporanei lo consideravano l’Anticristo: proprio come aveva previsto il teologo Gioacchino da Fiore, era nato infatti intorno al Mille (data certo un po’ vaga), da una vecchia monaca e da un frate. Anche ammesso che Enrico vi in gioventù avesse pensato di farsi monaco, la vecchia (aridaje!) monaca Costanza d’Altavilla in realtà non era mai esistita. La figlia del re di Sicilia non si era fatta suora, come dicono certe fonti, né era stata strappata al convento calabrese di San Benedetto dal futuro marito: piuttosto visse una vita ritirata fino a quando, nel 1186, sposò il figlio del Barbarossa. Com’era consuetudine, il suo non era stato un matrimonio d’amore: dopo un’adolescenza trascorsa nella multietnica corte siciliana, il nipote Guglielmo ii, l’allora re di Sicilia, l’aveva spedita nella fredda corte tedesca tra le braccia di Enrico. Lo sposo ci aveva guadagnato una cospicua dote (ben 14 tonnellate d’oro) e l’allargamento dell’impero paterno grazie all’acquisizione dell’Italia meridionale, Guglielmo il consolidamento della sua dinastia, ormai in declino. Per questo Federico, appena nato, aveva in testa già parecchie potenziali corone: dalla madre aveva ereditato il titolo di re di Sicilia, mentre per discendenza paterna poteva aspirare al trono imperiale, una carica elettiva che gli venne infatti concessa più tardi dalla 9. Bianca di Castiglia e Luigi ix 31 riunione dei principi. Diritti e prestigio, però, non venivano di conseguenza, ma solo se si era sufficientemente forti e preparati per tenere le redini di quell’immenso impero. E questo Costanza lo sapeva. Perciò quando Enrico vi morì, nel 1197, come già aveva visto fare a sua cognata qualche anno prima con Guglielmo ii, prese il ruolo di tutrice del figlio. Non visse abbastanza per vederlo regnare, ma riuscì a garantirgli almeno un trono: sei mesi prima di morire, nel 1198, lo fece incoronare re di Sicilia e con grande lungimiranza politica affidò lui e 30.000 talenti d’oro per la sua educazione a papa Innocenzo iii. Fu questo papa a scomunicare, nel 1212, Ottone iv, eletto tre anni prima imperatore del Sacro romano impero, spianando così la strada a Federico verso quella prestigiosa carica. 9. Bianca di Castiglia e Luigi ix N on è una santa, anche se viene universalmente riconosciuta come tale, ma santo, di nome e di fatto, fu invece suo figlio, il re di Francia Luigi ix, canonizzato dalla Chiesa e passato alla Storia come “il Santo” grazie ai pii insegnamenti della mamma Bianca di Castiglia. Intelligente, dolcemente severa con i figli e devotissima, Bianca aveva molto in comune con sua nonna Eleonora d’Aquitania: altrettanto forte, fiera e indipendente, riuscì a reggere con mano ferma le sorti della Francia, luce e guida prima del marito Luigi viii, poi del figlio omonimo, che ereditò il trono del padre nel 1226. Bianca era spagnola, figlia di Alfonso ix, re di Castiglia: nata nel 1188, per motivi politici si era dovuta sposare a dodici anni con il figlio del re di Francia. Le andò bene: il loro matrimonio si basò sempre sull’amore e la fiducia reciproca e il numero dei loro figli – ben dodici – lo dimostra. Adorava i suoi piccoli, ma 32 La mamma è sempre la mamma (Le madri) non li viziava. Preferiva la durezza all’indulgenza e soprattutto cercava di inculcare nelle loro testoline il senso della carità: i bambini la ascoltavano rapiti, con gli occhioni sgranati e la bocca spalancata, quando raccontava loro di quella dama che aveva ospitato un lebbroso nel proprio letto, nonostante il ribrezzo e l’espresso divieto del marito. L’uomo, che era tornato a casa all’improvviso, al posto del malato aveva trovato nella sua stanza un piacevole profumo di fiori e quando la moglie gli raccontò tutto, «da quel giorno fu caritatevole al pari di lei». Cresciuto con queste storie al posto delle favole, il futuro re era capace di andare a far visita senza colpo ferire a un povero monaco malato di lebbra per medicargli le piaghe infette o di far l’elemosina ai poveri ciechi, perché non lo potessero riconoscere. Proprio come sua madre, che organizzava distribuzioni di pane davanti alla reggia, fondava ospedali, elargiva offerte ai pellegrini, ai poveri e ai monaci. Ma per crescere una squadra di adolescenti medievali, naturalmente portati, vista l’epoca, alla guerra e allo spargimento di sangue, l’esempio non bastava: Bianca, infatti, completava quella santa educazione con la poesia. Con il marito, diventato re di Francia nel 1123, organizzava cenacoli letterari e finanziava musici e trovatori, capaci di cantare l’amor cortese e di mostrare ai principi e alle principesse che la società medievale, almeno idealmente, non era fatta solo di violenza. Il poeta Guillaume de Lorris si spingeva persino a dar consigli di moda: uno dei suoi personaggi perorava la causa di stilisti e commercianti suggerendo di usare calzature raffinate, portare maniche ben strette e non badare a spese quando si trattava di cinture ricamate o borse di seta. Ma nel 1226 i problemi di Bianca diventarono ben altri: il marito morì mentre combatteva i seguaci dell’eresia catara. Non fece in tempo a rivedere sua moglie e neppure a lasciare un testamento, ma, provvidenza divina o volontà della curia, i vescovi fecero spuntar fuori una carta che ne attestava le ultime volontà: affidare a Bianca la reggenza, in attesa che Luigi ix diventasse maggiorenne. Fu allora che, da mamma tutta casa e chiesa, Bianca si trasformò in regina tutta d’un pezzo: difese i diritti del figlio contro la lega di grandi feudatari che volevano rendersi indipendenti dalla corona e, soprattutto, dal potere di quella “straniera”; strinse vantaggiosi accordi matrimoniali per i figli; diede saggi consigli al giovane sovrano e gli fece superare indenne quel complicato e teso periodo della storia francese. Rese il bambino un uomo, portandolo 9. Bianca di Castiglia e Luigi ix 33 in guerra al suo fianco, spedendolo in giro per il regno a farsi conoscere dai sudditi, guidandolo in assedi e conquiste. Infine gli trovò moglie. A vent’anni, quando ebbe ufficialmente il potere, Luigi sposò Margherita di Provenza e la incoronò regina. Eppure, nonostante il passaggio di consegne, la madre continuò a occuparsi degli affari di Stato accanto a lui, estromettendo la nuora. Abituata ad amministrare i propri figli, come suocera si rivelò un osso duro: se da una parte non tollerava che la giovane coppia, presa dalla passione, si appartasse durante il giorno – i due sposini erano costretti a farsi avvisare dalla servitù nel caso Bianca si stesse avvicinando – dall’altra non si dava pace per la presunta infertilità di Margherita. Per questo fece un pellegrinaggio al santuario della Madonna di Rocamadour: vuoi le preghiere, vuoi la lontananza da corte di quel Cerbero in abito lungo, la ragazza cominciò a sfornare pargoli. Negli anni sarebbe arrivata a undici, giusto uno in meno di quanto aveva fatto la madre di suo marito. Un record non commentato dalla nostra fiera spagnola, che nel frattempo era tornata a reggere il regno: gliel’aveva chiesto Luigi, partito insieme alla moglie per la crociata in Terrasanta. Non riuscirono a riabbracciarsi: Bianca, che soffriva di cuore, morì infatti nel 1252, prima del ritorno del re. Indice p. 7 Introduzione 9 11 13 17 20 22 25 29 31 34 36 38 41 45 48 La mamma è sempre la mamma (le madri) 1. Olimpiade d’Epiro e Alessandro Magno 2. Aurelia Cotta e Giulio Cesare 3. Giulia Agrippina e Nerone 4. Annia Galeria Faustina e Commodo 5. Dhuoda e Guglielmo 6. Marozia e papa Giovanni xi 7. Eleonora d’Aquitania e Riccardo Cuor di Leone 8. Costanza d’Altavilla e Federico ii di Svevia 9. Bianca di Castiglia e Luigi ix 10. Sophia Paleologa e Basilio iii di Russia 11. Bona Sforza d’Aragona e Sigismondo Augusto di Polonia 12. Anna d’Austria e Luigi xiv 13. Hannah Chaplin e Charlie Chaplin 14. Felicia Bartolotta Impastato e Giuseppe Impastato 15. Renée Felton e Andrew Howe 51 54 56 59 63 SONO AFFARI DI FAMIGLIA (MOGLI, FIGLIE E NONNE) 16. Amitis e Nabucodonosor ii 17. Giulia Mesa ed Eliogabalo 18. Costanza di Hohenstaufen e Pietro iii d’Aragona 19. Giuseppina de Beauharnais e Napoleone Bonaparte 20. Honorine de Viane Morel e Jules Verne Indice 285 p. 65 67 69 72 75 78 80 83 86 89 21. Franca Florio e Pietro Florio 22. Mileva Marić e Albert Einstein 23. Anna Eleanor Roosevelt e Franklin Delano Roosevelt 24. Grace Kelly e Ranieri di Monaco 25. Raissa Gorbaciova e Michail Gorbaciov 26. Yoko Ono e John Lennon 27. Myra Gale Brown e Jerry Lee Lewis 28. Hillary Rodham Clinton e Bill Clinton 29. Hilda Beatriz Guevara Gadea ed Ernesto “Che” Guevara 30. Lori Anne Allison e Johnny Depp 91 94 96 100 102 105 107 110 114 116 119 121 124 126 130 AL CUOR NON SI COMANDA (LE AMANTI) 31. Giovanna ii di Napoli e Sergianni Caracciolo 32. Diane di Poitiers ed Enrico ii 33. Anna Bolena ed Enrico viii 34. Olimpia Maidalchini e Giovanni Battista Pamphili 35. Émilie du Châtelet e Voltaire 36. Anna Girò e Antonio Vivaldi 37. Caterina Dolfin e Andrea Tron 38. Maria Antonietta e Hans Axel von Fersen 39. Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio 40. Marguerite Steinheil e Félix Faure 41. Alice Prin e Man Ray 42. Edwina Mountbatten e Jawaharlal Nehru 43. Brigitte Bardot e Serge Gainsbourg 44. Madonna e Nick Kamen 45. Eva Kant e Diabolik 133 135 137 140 142 144 147 150 DAI NEMICI MI GUARDI IDDIO, CHE ALLA SUOCERA CI PENSO IO (LE SUOCERE) 46. Salonina Matidia e Adriano 47. Bassula e Sulpicio Severo 48. Irene Ducaena e Niceforo Briennio 49. Agnese Mondella e Renzo Tramaglino 50. Maria Thins e Jan Vermeer 51. Matilda Joslyn Gage e Lyman Frank Baum 52. Cosima Wagner e Houston Stewart Chamberlain 53. Paula Rego e Ron Mueck 286 Indice L’ARTE È DONNA (LE MUSE) p.153 54. Frine e Prassitele 155 55. Beatrice Portinari e Dante Alighieri 15856. Apollonie Sabatier e Charles Baudelaire 161 57. Marie Duplessis e Alexandre Dumas figlio 164 58. Marthe de Méligny e Pierre Bonnard 166 59. Emilie Flöge e Gustav Klimt 168 60. Gala Éluard Dalí e Salvador Dalí 170 61. Marta Abba e Luigi Pirandello 173 62. Dora Maar e Pablo Picasso 175 63. Luisa Crepax e Guido Crepax 178 64. Susan Elizabeth Rotolo e Bob Dylan 180 65. Anita Pallenberg e Keith Richards CHI TROVA UNA DONNA TROVA UN TESORO (LE TALENT SCOUT) 18366. Aspasia e Socrate 185 67. Giusta Grata Onoria e Attila 188 68. Isabella di Castiglia e Cristoforo Colombo 191 69. Isabella d’Este e Ludovico Ariosto 193 70. Elisabetta i d’Inghilterra e Francis Drake 195 71. Virginia Oldoini e Vittorio Emauele ii 19872. Margherita di Savoia e Raffaele Esposito 201 73. Madeleine Castaing e Chaïm Soutine 205 74. Peggy Guggenheim e Jackson Pollock 20675. Tura Satana ed Elvis Presley 209 76. Linda Keith e Jimi Hendrix 21277. Mafalda e Quino 214 78. Lorena Gallo e John Wayne Bobbitt 217 79. Mariangela Fantozzi e Plinio Fernando DONNE DELL’ALTRO MONDO (LE PROFETESSE) 219 80. Carmenta ed Evandro 221 81. Creusa ed Enea 223 82. Debora e Barac 22683. Tanaquilla e Tarquinio Prisco 22884. Erichto e Sesto Pompeo 231 85. Veleda e Giulio Civile 233 86. Sacerdotessa di Tongres e Diocleziano 235 87. Santa Monica e sant’Agostino 238 88. Caterina Benincasa e Gregorio xi 240 89. Giovanna d’Arco e Carlo vii 244 90. Anna Katharina Emmerick e Julien Gouyet Indice p.247 249 251 254 256 258 262 264 267 269 272 287 QUANDO MORTE CI HA SEPARATI (LE POST-MORTEM) 91. Lucy l’australopiteco e Donald Johanson 92. Melissa e Periandro di Corinto 93. Amalasunta e Giustiniano 94. Vanna di Coldimezzo e Jacopone da Todi 95. Iněs de Castro e Pietro i del Portogallo 96. Simonetta Cattaneo e Sandro Botticelli 97. Mumtaz Mahal e Shah Jahan 98. Katie King e William Crookes 99. Anne Hinchfield e Andrew Green 100. Rosalia Lombardo e Alfredo Salafia 101. Laura Palmer e David Lynch 275 Bibliografia 283 Ringraziamenti