leggi, scrivi e condividi le tue 10 righe dai libri

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Prima edizione: ottobre 2011
© 2011 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-3209-2
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Massimiliano D’Affronto
Stampato nell’ottobre 2011 presso Mondostampa s.r.l., Roma
e allestito da Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma)
Maria Leonarda Leone
101 donne
che hanno fatto grandi
101 uomini
Illustrazioni di Giovanna Niro
Newton Compton editori
a mamma e papà
Introduzione
S
arà scontato, ma all’inizio di questo libro è impossibile
non ricordare quello che per primi notarono gli antichi
romani: «Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna». Nell’arte come nella letteratura, nella politica come
in guerra, spesso la fortuna maschile è infatti frutto di un concreto aiuto femminile: sono tanti i “grandi” (a volte di dubbia
fama) che in ogni epoca hanno potuto contare sull’intuito delle
mogli, sulla determinazione delle madri, sulla spietata sete di
potere delle amanti. Che ne sarebbe stato di Riccardo Cuor di
Leone senza la mamma, Eleonora d’Aquitania? E chissà poi se
Napoleone Bonaparte sarebbe uscito incolume da un attentato
a Brescia senza il sesto senso della moglie Maria Giuseppina.
Certo, da una moglie o da una madre è questo quello che ci si
aspetta: ma forse vi sorprenderà sapere che anche le nonne, le
figlie, e persino le suocere hanno giocato un ruolo nella futura
gloria di altrettanti ometti. Per non parlare delle Muse, ispiratrici d’Arte, e delle profetesse, che con le loro visioni salvarono
le sorti di re, comandanti e condottieri. Ad esempio, lo sapevate che l’imperatore romano Eliogabalo doveva la carriera a
sua nonna, la temibile Giulia Mesa, e che Hilda Beatriz, primogenita di Ernesto “Che” Guevara, segnò un punto di svolta
nell’esistenza del famoso rivoluzionario argentino? Forse no.
E non sono loro le sole: donne come Maria Thins, suocera e
finanziatrice del pittore Jan Veermer, o come la piccola visionaria Giovanna D’Arco, che diede un futuro al re di Francia
Carlo vii, donne come la splendida etèra greca Frine, modella
di Prassitele, o come la giovane Simonetta Cattaneo, musa post
mortem di Botticelli, pur così diverse fra loro sono accomunate
dal fatto di essere state fondamentali nella vita dei loro uomini. Eppure sono anche le protagoniste più spesso dimenticate,
sovrastate dall’ombra di ingombranti mariti, compagni, padri,
amanti, cognati e sovrani.
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Introduzione
Di tutte loro parla questo libro, portandole sulla scena, almeno una volta, al posto dei loro beneficiari: sono 101, pescate
in ogni secolo e a ogni latitudine, nobili e popolane, colte e
ignoranti, irreprensibili e libertine, ma ricche, in ogni caso,
di amore, intelligenza e senso pratico. Proprio come le donne contemporanee, che, oggi come allora, sostengono il sesso
forte con i loro consigli, la loro determinazione e la loro forza
interiore.
Ho scelto di suddividere queste silenziose, spesso invisibili, dispensatrici di grandezza secondo il ruolo ricoperto nella vita
dell’uomo che ebbe la fortuna di incontrarle. Troverete perciò,
ordinate cronologicamente: le madri che per i loro figli hanno
fatto qualunque cosa; mogli, figlie e nonne che, fedeli al proverbio cinese «L’uomo è il capo della famiglia, ma la donna è
il collo e muove il capo dove vuole», hanno piegato i maschi
verso il successo; le amanti, con la loro innegabile capacità di
persuasione; le suocere, perché, incredibile ma vero, a volte
anche queste temibili madri acquisite hanno fatto il bene dei
propri generi; le splendide Muse ispiratrici di scrittori, poeti,
pittori e scultori; le donne mecenate, che con lungimiranza,
intelligenza e molto denaro hanno favorito l’ascesa di grandi
talenti; le visionarie e le profetesse che non usarono gli occhi
per guidare i loro uomini; le donne che, non volendo, furono
in grado di compiere la loro missione soltanto da morte. In
quali di queste storie vi riconoscete?
La mamma
è sempre la mamma
(le madri)
Dio non poteva essere ovunque,
perciò ha creato le madri.
Proverbio ebraico
1.
Olimpiade d’Epiro
e Alessandro Magno
L
a maggior parte degli uomini se la ricorda perché nel
film Alexander di Oliver Stone aveva il viso e il corpo
della stupenda Angelina Jolie. Ma, a sentire gli antichi, in bellezza Olimpiade d’Epiro non era seconda alla moglie di Brad Pitt. E aveva anche altre doti: tra queste una era
la tenacia, l’altra la devozione al proprio figlio Alessandro.
Quell’Alessandro che in futuro sarebbe diventato “Magno”.
Secondo le storie messe in giro dallo stesso condottiero macedone e allegramente avallate dalla madre, tra i suoi parenti
si contava persino il mitico Achille: il padre di Olimpiade era
infatti Neottolemo i, re dell’Epiro, presunto discendente del
figlio dell’eroe omerico dal tallone delicato. Rimasta orfana
di cotanto padre, la principessina era stata allevata dallo zio
Aribba e a sedici anni, vestita da sposa, era stata usata come
merce diplomatica: nel 359 a.C. diventò infatti la terza moglie
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La mamma è sempre la mamma (Le madri)
di Filippo ii, re di Macedonia. Esiliata dopo appena due anni,
il marito la riprese con sé solo perché era incinta. Olimpiade
amava raccontare che il vero padre di suo figlio non era Filippo ii, ma il dio Zeus in persona, che l’aveva fecondata, ancora vergine, con un lampo. Ma un’altra versione della storia
voleva che la divinità si fosse unita a lei sotto le spoglie di
serpente. Quella dei serpenti era una fissa per la bella d’Epiro:
sacerdotessa di Dioniso, si racconta dormisse circondata dai
suoi amati rettili e che per questo il marito preferisse disertare
il talamo nuziale.
Comunque le fosse entrato in pancia, mise al mondo quel figlio divino nel 356 a.C.: da allora gli consacrò la sua esistenza
e per spianargli la strada al trono fu disposta a tutto. Persino,
dicono le malelingue, a ucciderne il padre mortale. Filippo fu
infatti pugnalato vent’anni dopo, durante il matrimonio della
sorella di Alessandro, Cleopatra. L’assassino era Pausania, una
delle guardie, ma non si scoprì mai il nome del mandante:
in molti sospettarono di Olimpiade, all’epoca rimpiazzata nel
letto e al fianco del re da Euridice, giovane e avvenente fanciulla macedone di cui Filippo si era invaghito. Quell’ennesima moglie aveva già dato al re una figlia, Europa, e la nascita
di un maschio avrebbe mandato all’aria i piani di successione
della nobile epirota: per questo, come sostengono molti autori
antichi, la donna avrebbe ordito l’uccisione dell’ex marito.
Il ragionamento filava talmente bene che lo stesso Alessandro
fu sospettato dell’omicidio, dal momento che neppure con il
più famoso dei suoi rampolli Filippo aveva avuto un bel rapporto. Come figlio di divorziati, Alessandro si era schierato
decisamente dalla parte della madre, seguendola nel 338 a.C.
lontano dalla reggia, dopo che il padre si era risposato per
la quarta volta con una nobildonna macedone. D’altra parte,
come avrebbe potuto legare con un uomo che dopo la battaglia di Cheronea aveva provato a rubare a lui, a suo figlio, i
meriti della vittoria? Meriti riconosciutigli però dall’esercito,
che alla morte di Filippo lo acclamò nuovo re di Macedonia.
Olimpiade divenne regina madre e, primo caso nelle dinastie
d’Occidente, detenne il potere in patria mentre il figlio era
assente. E gli fornì anche una fenomenale collaborazione organizzando una bella epurazione familiare, per allontanare il
pericolo di oppositori o concorrenti al trono. Del suo millantato avo Achille, la donna aveva ereditato il carattere permaloso: con Euridice, anche lei fra i nemici del giovane sovrano,
dimostrò la crudele ironia che solo le donne sanno tirar fuori,
2. Aurelia Cotta e Giulio Cesare
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inviandole una corda, una tazza di cicuta e una spada, perché
potesse scegliere da sola il mezzo con cui uccidersi.
Diversi anni più tardi non le sarebbe toccato lo stesso privilegio. Quando suo figlio morì, nel 323 a.C., Olimpiade combatté
perché suo nipote Alessandro iv, figlio postumo di Alessandro
Magno, potesse strappare il trono a Filippo Arrideo, figlio illegittimo del suo ex marito. Affetto da epilessia e forse senza
tutte le rotelle a posto, il ragazzo era infatti una marionetta
nelle mani dei generali di Alessandro, i diadochi. Nel 317 a.C.
la congiura che la regina organizzò contro di lui e i suoi familiari ebbe successo, ma, perseguitata per regicidio, fu messa
sotto assedio a Pidna. Presa per fame, morì nel 316 a.C. Secondo alcuni storici si suicidò, secondo altri affrontò la morte
a testa alta, conquistando con il suo contegno il rispetto dei
sicari inviati da Cassandro, arrivista pretendente al trono di
Macedonia: dopo essersi sistemata i capelli, senza urla scomposte e senza fuggire, si coprì decorosamente le gambe con la
veste e morì strangolata. Come un vero uomo.
2.
Aurelia Cotta e Giulio Cesare
S
i sa, da che mondo è mondo, che le mamme hanno sempre un debole per i figli maschi. Ancora di più quando
sono i più piccoli della nidiata. Non faceva eccezione
Aurelia Cotta, che nel ii secolo a.C. si dedicò anima e corpo al
suo piccolo Giulio Cesare, fornendogli la cultura, gli insegnamenti e, al momento giusto, l’aiuto materno che lo resero il
grande uomo politico che è stato.
Romana “de Roma”, Aurelia era nata nel 120 a.C. dal console,
figlio di consoli, Lucio Aurelio Cotta. Sua madre Rutilia non
era da meno: anche lei discendeva da una famiglia di rango e,
quando il marito morì, si risposò con il cognato, Gaio Aurelio
Cotta, con cui mise al mondo i tre fratellastri di Aurelia – Gaio,
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La mamma è sempre la mamma (Le madri)
Marco e Lucio – tutti futuri consoli. Aurelia non smentì le doti
politiche dei suoi avi e sposò Gaio Giulio Cesare (padre), pretore
nel 92 a.C., che si vantava di discendere dal leggendario fondatore di Roma, Romolo.
Preso dalla sua carriera, Gaio fu un padre assente per Giulia
maggiore, Giulia minore e per il piccolo Gaio Giulio Cesare,
perciò, quando all’improvviso morì, Aurelia continuò a fare
quel che aveva fatto fino a quel momento: crescere da sola i
suoi figli. Con particolare attenzione all’ultimo, che non aveva
ancora sedici anni. Intelligente ed erudita, Aurelia scelse personalmente il suo precettore e ne seguì gli studi: greco, latino,
grammatica e retorica divennero pane quotidiano per il ragazzo, che si dimostrò particolarmente dotato nell’arte oratoria, ingrediente fondamentale, insieme alle capacità militari, del suo
futuro successo politico. Persino Cicerone, retore saccente e autocelebrativo, fu costretto ad ammettere che il suo rivale Cesare
aveva una maniera splendida e impeccabile di parlare, solenne
e nobile nella voce, nella gestualità e nel contegno. Sua madre lo osservava crescere, con orgoglio, ma senza distrarsi mai:
lo scrittore greco Plutarco la definì «saggia e attenta», pronta
a intervenire ogni volta che suo figlio aveva bisogno di lei.
Come nell’82, quando il dittatore Lucio Cornelio Silla, avverso
ai populares e al suocero di Cesare, Cinna, ordinò al ragazzo di
divorziare. Cesare amava Cornelia e si rifiutò di lasciarla, ma fu
merito di sua madre e di suo zio se non morì prematuramente
sotto i colpi di qualche sgherro sillano: appoggiandosi al fratellastro Gaio, Aurelia riuscì infatti a convincere alcuni potenti
senatori a intervenire in favore del giovane ribelle. Poi, quando
nel 69 a.C. Cornelia morì, prese in mano la gestione della casa
di Cesare, occupandosi della nipote, Giulia, l’unica amatissima
figlia del condottiero. Ma non smise comunque di “vigilare”:
non aveva infatti alcuna fiducia nella sua nuova nuora, Pompeia, che, innamorata persa di Publio Clodio, tentò il tutto per
tutto per fregare il marito. Era il 62 a.C.: quell’anno toccava a
lei, moglie del pretore, organizzare i riti per celebrare la Bona
Dea. Durante queste feste nessun uomo poteva essere ammesso
tra le celebranti, perciò, senza Cesare nei dintorni e con la suocera presa a intrattenere le ospiti, pensò di poter organizzare un
incontro con l’amante. Clodio si vestì da donna e si presentò
a casa di Giulio Cesare, ma, mentre la serva complice andava
a chiamare la sua padrona, lui poco furbescamente si mise a
vagare per i corridoi e le sale illuminate dalle fiaccole. Un’ancella gli si avvicinò e lo invitò a partecipare alla festa, ma di
3. Giulia Agrippina e Nerone
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fronte all’atteggiamento strano di quella donna velata si insospettì: gli chiese chi fosse e quello ingenuamente rispose con il
suo vocione maschile. La donna corse via, avvisando tutte che
tra loro c’era un uomo: Aurelia senza batter ciglio fece interrompere le celebrazioni, sprangare le porte e setacciare la casa
angolo per angolo, finché non pescò Clodio rannicchiato in un
angolo. Mettete insieme un gruppo ben nutrito di matrone e un
pettegolezzo tanto invitante, cosa succederà? Semplice: la mattina dopo tutta Roma era a conoscenza del fattaccio. Clodio fu
processato per empietà, ma nonostante il dettagliato resoconto
di Aurelia si salvò grazie alle bustarelle; Cesare invece ripudiò
Pompeia perché «la moglie di Cesare dev’essere al di sopra di
ogni sospetto». Proprio come visse, per sessantasei anni, sua
madre.
3.
Giulia Agrippina e Nerone
P
er amore del figlio sposò e forse uccise lo zio Claudio. Per amore del figlio resistette al matrimonio con
il vecchio, stupido, crudele Gneo Domizio Enobarbo,
sopportando la rabbia e lo schifo; per amore del figlio superò
il dolore dell’esilio, con la speranza di tornare a riprenderlo
un giorno tra le braccia. Dopo aver perso tutta la sua famiglia,
le era rimasto un solo scopo: far diventare imperatore il figlio
Lucio Domizio Enobarbo, che lei preferiva chiamare Nerone
in memoria del fratello maggiore.
Giulia Agrippina aveva avuto un’infanzia dura ma felice,
sempre in giro per campi di battaglia dietro a suo padre, il
valoroso, amatissimo condottiero romano Germanico: in un
accampamento militare c’era persino nata, nel 15 d.C., mentre
il suo papà combatteva la tribù germanica dei Cherusci. I suoi
genitori avevano origini nobilissime: Germanico era stato
adottato dall’imperatore romano Tiberio e perciò era destinato
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La mamma è sempre la mamma (Le madri)
a succedergli al trono, sua madre, Giulia Agrippina maior, era
nipote dell’ex imperatore Ottaviano Augusto. Insieme misero
al mondo otto figli, tre dei quali morirono prestissimo: gli altri componenti della famiglia non ebbero comunque una sorte
migliore. Agrippina perse infatti suo padre a quattro anni: la
madre accusò Tiberio di averlo fatto avvelenare, geloso dei
suoi successi e della fama di cui godeva a Roma. Il seguito
prova che probabilmente aveva ragione: negli anni successivi l’imperatore finì di distruggere la famiglia di Germanico
e nel 29 costrinse Agrippina a sposare Enobarbo, trent’anni
più vecchio di lei: è vero che la ragazza non era una bellezza, aveva il naso lungo, il mascellone alla Ridge e le labbra
sottili, ma compensava tutto con l’altezza notevole e la sua
intelligenza. La coppia, infelice, ebbe un unico figlio, Nerone,
nel 37: quello stesso anno Tiberio morì. Nel frattempo però
aveva provveduto a eliminare i due fratelli più grandi e la
madre di Agrippina: alla povera ragazza ormai non restavano che le sorelle Livilla e Drusilla e il fratellino Gaio Cesare,
soprannominato Caligola. Proprio all’ultimo toccò il posto
vacante di imperatore: per un momento la madre di Nerone
credette fosse arrivato l’atteso momento del riscatto, invece il
ragazzo cominciò presto a dare segni di squilibrio, giungendo
persino a esiliare le sorelle con l’accusa di tradimento. Non
stupisce che dopo quattro anni di regno fu ucciso e sostituito
dallo zio Claudio, cinquantenne e balbuziente. La leggenda
vuole che nel frattempo Agrippina, rimasta vedova, avesse
scatenato i suoi bassi istinti con numerosi amanti: vero o no,
alla fine sposò per puro interesse economico il ricco Gaio
Sallustio Crispo Passieno ed ereditò tutti i suoi beni nel 47.
L’anno dopo, la moglie dell’imperatore Claudio, Messalina, fu
condannata a morte: nel letto dello zio si infilò allora la nipote trentatreenne. Agrippina, nominata augusta dal Senato,
prese molto sul serio il suo ruolo di imperatrice, conquistando
l’amore incondizionato del popolo, le adulazioni dei senatori, l’omaggio dei sacerdoti. Convinta dell’importanza della
propria stirpe, con un carattere forte ma piena di accortezza
politica, era ben consapevole, in quanto donna, di non poter
aspirare direttamente al trono nonostante l’appoggio popolare. Perciò trasferì sul figlio le proprie ambizioni. Fin dalla
nascita del piccolo, quando un’indovina le aveva predetto la
morte per mano del primogenito, Agrippina aveva sostenuto:
«Che mi uccida pure, purché regni!». Mossa da questo scopo,
fece fidanzare Nerone con la figlia di Claudio, Ottavia – un-
Giulia Agrippina e Nerone
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La mamma è sempre la mamma (Le madri)
dici anni l’uno contro i nove dell’altra – poi convinse il marito ad adottare il futuro genero, che diventò l’erede ufficiale
dell’impero a scapito del giovane Britannico, il primogenito
di Claudio e Messalina.
Quando Claudio cominciò ad avere qualche ripensamento sulla scelta del suo erede, morì: c’è chi dice che fu Agrippina
ad avvelenargli la cena e a fare in modo che il medico gli
propinasse, invece che una cura, un ulteriore veleno, ma in
realtà non sappiamo se le cose andarono davvero così. L’unica
certezza è che nel 54 Nerone divenne imperatore. Il rapporto
mamma-figlio, prima strettissimo, cominciò a deteriorarsi: il
ragazzo aveva preso dal pessimo padre molto più del brutto aspetto fisico. Stanco di sentirsi continuamente criticato,
di vedersi superato da Britannico nel cuore di Agrippina e di
leggere negli occhi della madre il disprezzo per le sue amanti
– la liberta Atte prima, la futura moglie Poppea poi – Nerone
uccise il fratellastro e allontanò la mamma. Arrivò persino a
pagare dei calunniatori per rovinarle la piazza, ma non aveva
fatto i conti con il sangue guerriero che le scorreva nelle vene:
isolata, umiliata e perseguitata, Agrippina non si perse d’animo neppure quando il figlio tentò di ucciderla. Si salvò dal
veleno grazie agli antidoti che si era procurata in anticipo, si
salvò da un naufragio studiato a tavolino, ma non sopravvisse
ai sicari che la raggiunsero nella sua villa sul lago di Lucrino.
Secondo il racconto romanzato dello storiografo Tacito, si offrì agli assassini con queste parole: «Colpite il ventre che lo ha
generato». E quelli la presero in parola.
4. Annia Galeria Faustina e Commodo
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4.
Annia Galeria Faustina
e Commodo
P
er essere una matrona romana ritratta nel marmo, ha
una bellezza limpida, uno sguardo puro, un viso insolitamente delicato e gentile. Invece, secondo i suoi contemporanei, era un diavolo travestito da angelo Annia Galeria
Faustina, figlia, moglie e madre di imperatori romani. Suo padre, l’imperatore Antonino Pio, l’aveva presa in braccio appena nata nel 125 d.C.: la guardava con occhi di papà innamorato e intanto pensava che il futuro di quella bambina era già
praticamente scritto. L’imperatore Adriano, nonno adottivo di
Faustina, l’aveva infatti destinata a Lucio Vero, fratello del
suo preferito, Marco Aurelio. Diciassettenne filosofo di belle
speranze, colto e riflessivo, Marco era ancora troppo giovane
per reggere l’impero, perciò Adriano aveva destinato il trono
ad Antonino, a condizione che adottasse Marco come erede.
Morto Adriano, Antonino si sentì libero di decidere del futuro
della propria figlia e propose al suo successore, adottato nel
138 insieme a Lucio Vero, di fidanzarsi con la cugina.
Marco Aurelio aveva tergiversato prima di accettare la proposta: era un ragazzo ligio alle regole e fedele alle promesse
e non voleva violare il volere del defunto imperatore che lo
aveva destinato a Fabia, figlia di Lucio Ceionio Commodo. Ma
alla fine, come si dice, più dell’amor poté il digiuno e attratto
dalla possibilità di legittimare il proprio potere, oltre che dalla
bellezza di Faustina, mise da parte i suoi dubbi. I due si fidanzarono nel 139 e si sposarono nel 145: due anni dopo nacque
la loro primogenita, cui sarebbero seguiti altri dodici figli. In
questa occasione Marco Aurelio regalò a sua moglie il titolo
onorifico di Augusta.
Le fonti storiche non ci aiutano a venire a capo di questo
matrimonio: per alcuni lungo e solido, per altri irto di tradi-
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La mamma è sempre la mamma (Le madri)
menti da parte di Faustina e di filosofico disinteresse da parte
di Marco Aurelio. Ovviamente delle due, la versione più pruriginosa è quella che fa di Faustina un’assatanata di sesso,
costretta a dividere il proprio letto con un uomo che guardava
con distacco alle cose pratiche, preso com’era dagli insegnamenti dei grandi filosofi stoici che lo avevano preceduto. Mai
coppia fu peggio assortita: Marco era introverso, con la testa
per aria, poca passione per il sesso, che definiva «la schiavitù
della carne», e per il piacere, che «non è cosa né utile né saggia». La filosofia non gli serviva a niente con Faustina, donna
vivace, sensuale e – lo stesso si diceva anche di sua madre
– dalla «eccessiva libertà e facilità di costumi». Pare che, in
mancanza della compagnia del marito, la donna si spingesse
fino a Gaeta per nascondersi agli occhi indiscreti e alle lingue
lunghe dei romani quando cercava compagni di una notte al
porto o nelle scuole di gladiatori. Alcuni storici antichi affermano che fosse appunto un combattente dell’arena il padre
naturale del futuro imperatore Commodo, concepito durante
una di queste licenziose gite fuori porta: il che avrebbe anche
spiegato la passione del ragazzo per i giochi gladiatòri. Marco
Aurelio riconobbe il figlio come suo, ma il popolo inventò
una storia ad hoc per spiegare quella nascita: Faustina si sarebbe innamorata perdutamente di un gladiatore e, ammalata
d’amore, avrebbe deciso di confessare tutto al marito. Invece
di rivolgersi a un divorzista, Marco chiese aiuto agli indovini
Caldei: per guarire, l’imperatrice fu costretta ad ammazzare
l’uomo che amava, a bagnarsi le parti intime con il suo sangue e a unirsi subito dopo al marito. Nove mesi dopo sarebbe
venuto fuori Commodo, insieme a un gemello morto a quattro
anni. «La diceria popolare acquistò verosimiglianza dal fatto
che il figlio di un principe così onesto rivelò un carattere tanto
malvagio» ricorda il biografo Giulio Capitolino nella Storia
Augusta. E a chi gli chiedeva perché non ripudiasse la moglie,
Marco Aurelio rispondeva: «Perché dovrei restituirle anche la
dote», cioè l’impero, che lei gli aveva garantito. Si capisce allora perché Commodo debba alla madre, più che al padre, la
sua futura “professione”: ben proporzionato e attraente, con i
capelli biondi e ricci di Faustina, non aveva preso niente, però,
del carattere giudizioso del padre. E infatti si rivelò un pessimo
imperatore. Nel 166, ad appena cinque anni, fu nominato Caesar, ricevette una buona istruzione da «un’abbondanza di buoni maestri» e Marco Aurelio cominciò a portarselo dietro nelle
campagne militari. Anche Faustina spesso seguiva il marito in
4. Annia Galeria Faustina e Commodo
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guerra e tale era il suo contributo nel rincuorare le truppe –
scherzarci su sarebbe come sparare sulla Croce Rossa – che nel
174 ricevette il titolo di “Madre degli accampamenti”.
Commodo assunse la toga virile sul Danubio, il 7 luglio 175,
durante i preparativi per la campagna contro Avidio Cassio, il
governatore della Siria che si era dichiarato imperatore, convinto che Marco Aurelio fosse morto in battaglia. Si mormorava che Faustina avesse già stretto con lui un accordo matrimoniale, valido nel caso fosse successo qualcosa a suo marito,
ma, purtroppo per entrambi, l’imperatore era ancora vivo e
vegeto. Cassio fu ucciso da uno dei suoi centurioni prima ancora di iniziare a combattere, Faustina morì l’anno dopo, nel
villaggio di Alala (ribattezzato per l’occasione Faustinopoli), ai
piedi del monte Tauro, in Cappadocia: secondo alcuni storici
aveva contratto una malattia mortale, secondo altri si era suicidata. Suo marito si dimostrò un signore fino alla fine: volle
divinizzarla, le fece consacrare un tempio e istituì in suo nome
un istituto di beneficenza per le cosiddette puellae Faustinianae. Il figlio, che Faustina non vide mai diventare imperatore,
per ricordarla non trovò di meglio che dare il nome di sua
madre alla concubina preferita. Chissà quale dei due uomini,
tra Marco e Commodo, la conosceva meglio.
20
La mamma è sempre la mamma (Le madri)
5.
Dhuoda e Guglielmo
U
n figlio perfetto: è il sogno, spesso obiettivamente irrealizzabile, di qualunque madre. E Dhuoda, nobildonna
medievale di origine germanica, vissuta in Francia nel
ix secolo d.C., non si sottrasse alla tradizione. Scrisse un manualetto, anzi, per dirla a modo suo un Liber manualis, in cui
mise nero su bianco, in latino, una serie di buoni consigli per
il primogenito Guglielmo. Cosa c’è di tanto speciale? C’è che
questo libro fu scritto da una donna, fatto per niente scontato all’epoca, che quella donna era anche dotata di una certa
cultura e che, grazie alla sua penna facile, garantì per sé e per
l’amato pargolo un futuro tra i posteri.
«T’invio quest’opuscolo scritto a mio nome, affinché ai fini della
tua formazione tu lo legga», gli dice. E continua: «Sappi che l’ho
scritto tutto, in tutto e per tutto al fine di provvedere alla salute
della tua anima e del tuo corpo». Dentro infatti si trovano tutte
le raccomandazioni tipiche delle mamme: ubbidisci a tuo padre
– «devo fare del mio meglio per spronarti a essere amorevole e
rispettoso in tutto nei confronti del tuo signore e padre, Bernardo» – studia – «in mezzo alle tentazioni mondane del secolo,
non dimenticare di procacciarti molti libri» – dì le preghiere –
«durante il tempo che ti sarà dato di trascorrere in questo mondo, benedici il Signore e chiedigli che in ogni momento diriga
i tuoi passi» – sii gentile con il prossimo – «ama Dio, cerca Dio,
ama il tuo fratellino, ama tuo padre, ama gli amici e i compagni
in mezzo ai quali vivi alla corte regia o imperiale, ama i poveri
e gli infelici, ama tutti per essere amato da tutti».
Dhuoda non si fermò qui: gli parlò di Dio, gli descrisse i suoi doveri, gli diede suggerimenti di vita. Insomma, lo esortò a essere
un bravo cavaliere e un bravo cristiano, esercitandosi nell’altruismo e nella preghiera. Certo, settantatré capitoli più introduzione, invocazione e prologo, tutti su questo tono sono roba
un po’ noiosa per un sedicenne, ma le mamme sono sempre
5. Dhuoda e Guglielmo
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convinte che i loro figli siano diversi dagli altri. Perciò Dhuoda
sentì di poter condividere con lui la speranza che «tu, pur assediato dalla quantità dei tuoi impegni mondani e secolari, legga
sovente in memoria di me questo libretto che ti dedico e non lo
dimentichi». Che poi era l’unica speranza per lei, così lontana da
suo figlio. La colpa? Era come sempre di un uomo.
Dhuoda apparteneva a una famiglia nobile, per questo le toccò
un’unione che allora veniva detta “vantaggiosa”. Che vantaggi
poi ne trasse dal matrimonio con Bernardo di Tolosa, duca di
Settimania, è difficile dirlo. Da lui ebbe due figli: Guglielmo,
nell’826, e Bernardo, nell’841. Ma tra un parto e l’altro la coppia visse quasi sempre separata. Buona e pia com’era, Dhuoda
non poteva immaginare che il suo compagno fantasma, figlio
di Guglielmo di Gellona, cugino di Carlo Magno, fosse tutt’altro
che uno stinco di santo. Quando re Ludovico il Pio lo chiamò a
corte come cancelliere e lo nominò tutore del figlio più piccolo,
si cominciò a mormorare che il “fido cavaliere” se la facesse con
la seconda moglie del sovrano, Giuditta. Sarebbe così spiegato
il motivo per cui, nel trasloco, non volle con sé Dhuoda: la poveretta fu relegata a Uzès, vicino a Nîmes, per amministrare i
possedimenti del marito. Il che fu un bene per i suoi vassalli, che
non amavano affatto quell’uomo tirannico, colpevole, a quel
che si diceva, di aver addirittura depredato delle chiese durante
alcune campagne militari. Tutto sommato sarebbe andata bene
anche a Dhuoda, se solo avesse potuto fare la mamma. Cosa che
invece le fu impedita: come si conveniva a un futuro cavaliere,
Guglielmo dovette seguire presto le orme paterne e Dhuoda rimase sola. Ma oltre a essere quel che era, Bernardo non brillava
neppure per acume politico: negli scontri fratricidi che devastarono il regno franco prima e dopo la morte di Ludovico il Pio,
cercò infatti di schierarsi sempre dalla parte più conveniente.
Questo non gli fece guadagnare la fiducia dei regnanti e infatti,
nell’841, quando il re dei franchi occidentali, Carlo ii detto “il
Calvo”, ebbe la meglio sul fratello Lotario, il duca di Settimania
fu costretto a inviargli il figlio come garanzia del suo appoggio.
Perso Guglielmo, reclamò, ennesima crudeltà nei confronti della
moglie, il suo secondogenito, appena nato e non ancora battezzato. Quando le venne strappato anche quell’ultimo conforto,
Dhuoda trovò lo stimolo per cominciare il suo libro e riempirlo
con tutto l’amore e la disperazione che solo una madre può
provare in questi casi: scrivere divenne la sua unica e ultima
chance per potersi sentire davvero mamma. Completò l’opera
nell’843 e la spedì a Guglielmo. Poi di lei non si sa più niente.
22
La mamma è sempre la mamma (Le madri)
Più volte nelle sue pagine aveva accennato al rapido approssimarsi della morte e se ciò accadde davvero si risparmiò almeno
le lacrime per l’uccisione del marito, giustiziato per tradimento
da Carlo ii nell’844, e, sei anni dopo, quelle per l’adorato figlio.
Guglielmo venne ucciso per aver preso parte alla ribellione degli
Aquitani contro il re. Se solo avesse letto quel Liber, il giovane
cavaliere si sarebbe reso conto che sua madre gli ordinava di
“rispettare” suo padre, ma non di prenderlo a esempio.
6.
Marozia e papa Giovanni xi
E
rano i tempi della cosiddetta pornocrazia, un’epoca dominata da pontefici incapaci, avidi o spietati, fantocci nelle
mani di pericolose amanti desiderose di raggiungere il
potere con ogni mezzo. Ed è proprio in questo periodo che nasce e si ritaglia un ruolo di primo piano Maria: il popolo romano l’aveva soprannominata “Mariozza”, ma lei, civettuola, preferiva il più elegante “Marozia”. Bella e sensuale, ma dispotica
come solo certe Mariozze sanno essere, era una di quelle donne
capaci, come scriveva Giorgio Falco in Santa romana repubblica, «di imporre virilmente l’impero della propria ambizione».
Nata tra l’890 e l’891, era figlia del potente e influente patrizio Teofilatto, membro degli optimates romani – un ceto
di facoltosi latifondisti, ecclesiasti e burocrati che tra il vii e
l’xi secolo esercitò le funzioni dell’antico Senato a Roma – e
dell’avvenente e corrotta Teodora. Grazie ai suoi natali, imparò
presto cosa voleva dire muovere i pupazzi sulla scena politica
ed economica dell’Urbe. Intraprendente, ambiziosa, assetata di
potere, Marozia aveva preso molto da sua madre: analfabeta
come lei, dominò per un ventennio su Roma e sulla Chiesa,
usando astuzia e seduzione. E da Teodora pare ereditò, appena
quindicenne, anche un amante: il pontefice Sergio iii, amico tra
l’altro del suo futuro primo marito, Alberico di Spoleto. Vatti a
6. Marozia e papa Giovanni xi
23
fidare degli amici! I beninformati, tra cui il tagliente vescovo
Liutprando da Cremona, dicevano che il primo figlio della coppia, Giovanni, era nato proprio dalla tresca con il papa: d’altra
parte era noto che «Mariozza, bella come una dea e focosa
come una cagna, viveva nel cubicolo del papa e non usciva mai
dal Laterano». Quando nel 924 Alberico morì, Marozia impiegò
tre anni per presentarsi di nuovo all’altare: stavolta stringeva
il braccio di Guido, marchese di Toscana. Nel frattempo, morto
Sergio iii, era salito al soglio pontificio Giovanni x: la sua politica personalistica non si discostava da quella del predecessore,
la differenza stava nel fatto che non contemplava gli interessi
dei nobili romani e toscani, Marozia compresa.
Ma la nostra bella arrampicatrice sociale non era una che accettava di essere ignorata. Fu infatti l’animatrice di una rivolta
contro il pontefice: milizie toscane e romane fecero la loro
prima illustre vittima in Pietro, fratello e sostenitore di papa
Giovanni x, il secondo a essere arrestato e assassinato. La città
eterna cadde in manu foeminae, come scrisse il monaco Benedetto di Sant’Andrea del Soratte: Guido diventò il signore
di Roma e Marozia poté gestire tranquillamente le tre successive elezioni pontificie. Quelle di Pietro Leone vi e Stefano
vii furono rapide e indolori, poi, da buona madre previdente,
cominciò a pensare di dare un futuro al proprio figlio, ormai
ventunenne: spesso i pargoli sono spinti a scegliere la professione dei loro genitori, perciò quale strada migliore per lui, se
non quella del pontificato? Detto fatto: senza alcun titolo, nel
931 Giovanni divenne papa Giovanni xi. Il cronista Flodoalfo
notò che «amministrò la Chiesa senza alcuna energia e privo di
ogni apprezzabile dote». Un pupazzetto, insomma, nelle mani
della madre trafficona e calcolatrice, che in quegli anni fu
considerata il vero pontefice di Roma. Ispirata a lei, intorno
all’xi secolo sembra sia nata la famosa leggenda della papessa
Giovanna, la storia di una dottissima giovane di origine britannica, esperta di scienze teologiche, che, travestita da uomo
salì rapidamente i gradini della gerarchia ecclesiastica fino al
pontificato. Sarebbe stata eletta con il nome di papa Giovanni
nel ix secolo, ma dopo due anni e mezzo, durante un corteo,
tra il Colosseo e la chiesa di san Clemente partorì un figlio.
Nello sconcerto generale diventò così “la papessa Giovanna”.
Per evitare simili ulteriori “sviste”, da quel momento il candidato al soglio di Pietro venne fatto sedere su un seggio forato: attraverso quel buco, infatti, un addetto poteva sincerarsi
dell’effettivo sesso del futuro pontefice.
24
La mamma è sempre la mamma (Le madri)
Ma anche su una poltrona simile Marozia avrebbe mostrato
ben poco: era infatti lei a portare i pantaloni a Castel Sant’Angelo. Di nuovo vedova, nel 932 si risposò con il re d’Italia
Ugo di Provenza: nella scalata matrimoniale al potere politico,
stavolta non prese in esame il fatto che, come fratello del suo
defunto marito, Ugo non avrebbe potuto far coppia con lei. Per
scavalcare il diritto canonico, il re giurò il falso dichiarandosi
figlio illegittimo di suo padre, sdegnando i fratelli e tutto il
popolo; intanto Marozia, sfruttando il figlio-papa, cominciò a
trafficare per ottenere, per il marito e per sé, i titoli di imperatore e imperatrice. Sarebbe stato un colpaccio, ma a tutto c’è
un limite: ottenebrata dall’ambizione finì per alienarsi le simpatie di tutta Roma, prole compresa. Le si rivoltò contro persino il figlio Alberico ii, che con il sostegno della nobiltà romana
mise fuori gioco madre e patrigno, suggellando l’intervento
armato con queste parole: «La dignità della città di Roma è
stata potata a tal grado di stoltezza da prestare obbedienza al
governo delle meretrici». Dopo essersi dato da solo del “figlio
di”, confinò il fratello Giovanni nel palazzo del Laterano e
prese il potere su Roma, con il titolo di princeps atque omnium
romanorum senator. Marozia, abbandonata dal neosposo che
si era messo in salvo con una poco onorevole fuga, fu reclusa
in un convento fino alla fine dei suoi giorni, giunta secondo
alcuni storici nel 937, secondo altri nel 955.
7. Eleonora d’Aquitania e Riccardo Cuor di Leone
25
7.
Eleonora d’Aquitania e
Riccardo Cuor di Leone
D
iede scandalo come donna e come moglie. E tutto
sommato non fu nemmeno una madre esemplare, almeno non per tutti i suoi figli. Eleonora d’Aquitania,
classe 1122, era coltissima, sapeva leggere e scrivere in latino,
conosceva la musica e la letteratura. Anticonformista, intelligente e bellissima, dominò il xii secolo, regina non di uno, ma
di due regni: la Francia prima (dal 1137 al 1552), l’Inghilterra
poi (dal 1554), dopo aver sposato rispettivamente Luigi vii ed
Enrico ii Plantageneto. Il primo, un ragazzo austero e un po’
moscio, cresciuto per la carriera ecclesiastica, si era ritrovato erede al trono solo perché il fratello maggiore era morto. Cresciuta a pane e poemi sull’amor cortese, la duchessa
d’Aquitania si lamentava spesso della sua vita coniugale: «Ho
sposato un monaco, non un uomo» ripeteva tristemente. Per
migliorare le cose ce la mise tutta, ma senza grande successo:
svecchiò la casta moda di palazzo della bigotta corte parigina
indossando abiti preziosi, colori sfavillanti, corpetti succinti
che lasciavano scoperte anche le spalle; stupì con gioielli e
tappezzerie, si circondò di poeti e trovatori, attirandosi ancora di più l’astio dei cortigiani, convinti che solo questo ci si
poteva aspettare da una donna che addirittura beveva vino.
Frustrata, nel 1151 Eleonora chiese (e ottenne l’anno successivo)
l’annullamento del matrimonio per «consanguineità di quarto
grado», appellandosi alla comune discendenza da Roberto ii di
Francia. Con gioia abbandonò la corte che tanto l’aveva odiata,
portandosi dietro anche la sua preziosa dote: le terre di Guascogna e Aquitania. Le due figlie, Maria e Alice, le lasciò invece al
padre. Era la prima volta che una donna osava tanto.
Le conseguenze si fecero subito sentire: il monaco Alberico,
con proverbiale finezza, notò che Eleonora «non si compor-
26
La mamma è sempre la mamma (Le madri)
tava da regina ma piuttosto da puttana» e i presunti flirt a
lei attribuiti aumentarono vertiginosamente. Le malelingue
sostenevano che già prima di sposarsi la bella duchessa avesse
avuto una storia con lo zio Raimondo, ma particolare scandalo destò l’episodio, probabilmente inventato, del giovane
Saldebereuil. Secondo il gossip, il cavaliere aveva accettato
la richiesta di Eleonora di combattere nudo, vestito solo con
una camicia della regina, contro un avversario in armatura.
Quando rimase ferito, la sovrana lo curò personalmente con
grande trasporto e il giorno dopo si presentò a tavola con
indosso solo la veste sporca di sangue del cavaliere. Cosa che
fece andare di traverso il cibo a re Luigi. A peggiorare le cose,
il Menestrello di Reims raccontò che Eleonora si concesse persino a un saraceno, nientepopodimeno che il famoso Saladino
(che però all’epoca aveva appena dodici anni), tradendo così
non solo il marito ma anche Dio. Alcuni sostennero infine che
non si lasciò sfuggire neppure il suo secondo futuro suocero,
Goffredo il Bello.
Di vero probabilmente c’è solo il fatto che, appena sei settimane dopo l’annullamento del primo matrimonio, il 18 maggio
1152, Eleonora era di nuovo sull’altare. Stavolta stretta felicemente all’aitante Enrico Plantageneto, di undici anni più giovane. Insieme a lui governò, prese decisioni e mise al mondo
otto figli: tra tutti il suo preferito fu il terzo maschio, Riccardo,
il futuro Cuor di Leone. Lo storico moderno Steven Runciman
lo definì: «Un cattivo figlio, un cattivo re, ma un valoroso
e magnifico soldato», in realtà era un uomo dalla personalità molto complessa, divorato dall’ambizione, con un enorme
desiderio di potere, instillato, insieme all’odio per il padre, da
sua madre. Eleonora lo prese infatti sotto la sua ala protettrice
fin dalla più tenera età e si ritirò con lui a Poitiers quando il
marito, donnaiolo sempre abbastanza discreto, la tradì senza
ritegno con la bella Rosamund Clifford.
Riccardo non sarebbe dovuto diventare re d’Inghilterra, ma,
spronato dalla duchessa di Aquitania, per il trono fece guerra a
Enrico ii insieme ai suoi fratelli e successivamente si alleò con
il re di Francia Luigi vii. Ma a nulla sarebbero valsi gli sforzi
di Eleonora se il Destino non ci avesse messo lo zampino:
quando morì suo marito, dei cinque figli maschi solo Riccardo
e il più piccolo Giovanni (il preferito del defunto re) erano
ancora vivi. Facile intuire a chi finì la corona. Ma per un anno
fu la duchessa quasi settantenne la vera regina d’Inghilterra:
per consolidare il potere del figlio viaggiò senza sosta, liberò i
Eleonora d’Aquitania
e Riccardo Cuor di Leone
28
La mamma è sempre la mamma (Le madri)
prigionieri ammassati nelle carceri da Enrico ii e raccolse fondi
utili alla crociata che Riccardo desiderava intraprendere per
strappare Gerusalemme ai saraceni. Elargì amnistie, costruì
ospedali, assegnò fondi ai conventi, obbligò clero e aristocrazia al giuramento di fedeltà al nuovo re.
Nelle leggende, quando Riccardo partì per la iii crociata fu Robin Hood a salvare il regno, ma nella realtà fu mamma Eleonora a tenere le redini di quell’immenso reame e a contrastare
le trame dell’ultimo figlio, Giovanni Senza Terra, intenzionato
a rubare il trono al fratello. Con la consueta caparbietà, si
batté anche per riavere indietro Riccardo, finito nelle carceri
dell’imperatore germanico Enrico vi sulla via del ritorno dalla
guerra santa. Si rivolse persino a papa Celestino iii, lei che
con la Chiesa non aveva mai avuto un gran feeling, perché
facesse valere la sua protezione su un cavaliere crociato. Ma
senza nascondere, com’era nel suo carattere, il tono minaccioso: «Voi non potete fingere d’ignorare le nostre sventure, che si
sono moltiplicate senza fine, ché sareste qualificato criminale
infame, Voi, che siete il vicario del Crocefisso, il successore di
Pietro, il prete di Cristo, l’unto del Signore!».
Forse non era l’atteggiamento più adatto all’occasione. E infatti la liberazione arrivò solo in cambio di un enorme riscatto, pagato dai sudditi d’Inghilterra e portato in Germania da
Eleonora, che a settantadue anni suonati non esitò a saltare a
cavallo per ricondurre Riccardo in Inghilterra. E consegnare
così alla Storia la leggenda, forse non del tutto meritata, del
suo Cuor di Leone.
8. Costanza d’Altavilla e Federico ii di Svevia
29
8.
Costanza d’Altavilla
e Federico ii di Svevia
D
a qualche parte bisognerà pur cominciare per diventare stupor mundi, «meraviglia del mondo». E Federico ii
di Svevia, così soprannominato dal monaco e cronista
inglese Matthew Paris, si fece notare fin dal suo primo vagito
grazie a mamma Costanza d’Altavilla, che lo mise al mondo
platealmente in mezzo a una piazza. Circa un secolo dopo, il
cronista Giovanni Villani raccontò così il lieto evento: «Quando la ‘mperatrice Costanza era grossa di Federigo, s’avea sospetto in Cicilia e per tutto il reame di Puglia che per la sua
grande etade potesse esser grossa; per la qual cosa quando
venne a partorire fece tendere un padiglione in su la piazza e
mandò bando che qual donna volesse v’andasse a vederla; e
molte ve n’andarono e vidono, e però cessò il sospetto».
Secondo molti si tratta solo di una fantasiosa tradizione: la
gente pensava che Costanza, che all’epoca aveva quarant’anni,
fosse troppo vecchia per partorire e che la sua gravidanza fosse
frutto di pasti troppo abbondanti più che dell’attività notturna
con Enrico vi di Svevia. Perché tanti dubbi? Perché, dopo otto
anni di matrimonio sterile, il bimbo era nato proprio quando
il marito di Costanza si era riappropriato del trono di Sicilia e
la presenza di un legittimo erede era diventata auspicabile. Ma
se è caldamente sconsigliabile dire a una donna che è vecchia,
lo è ancora di più tacciarla di essere cicciona. “Volete le prove?
Eccovele”, meditò Costanza, che quando arrivarono le doglie
era in viaggio verso Palermo, dove il marito stava per farsi
incoronare re. A Enrico, che era il classico cavaliere medievale
senza nient’altro in testa che la guerra, i titoli e le conquiste,
non passò neanche per l’anticamera del cervello di rimandare
la cerimonia: non capita mica tutti giorni di riconquistare un
regno, peraltro appartenente alla moglie. Perciò, mentre lui si
30
La mamma è sempre la mamma (Le madri)
faceva mettere in testa la corona, la futura mamma si fermò a
Jesi, dove fece allestire un grande baldacchino nella piazza di
fronte alla chiesa di san Floriano.
Neanche fosse arrivato il circo in città, gli antichi marchigiani
si accalcarono intorno alla sala parto improvvisata: Costanza
invitò i notabili e le donne a entrare, per assistere alla nascita
del piccolo, futuro imperatore del Sacro romano impero, re di
Germania, di Gerusalemme, d’Italia e di Sicilia. Il pupo venne
al mondo il giorno dopo Natale, il 26 dicembre 1194: Costanza
lo battezzò Costantino, ma la sua scelta non convinse il padre,
che preferì Federico Ruggero Costantino, affibbiandogli, per
par condicio, il nome di entrambi i nonni – quello paterno,
Federico Barbarossa imperatore del Sacro romano impero, e
quello materno, Ruggero ii re di Sicilia.
Insoddisfatta la madre, insoddisfatto anche il figlio, che mal
digerì il fatto di aver perso per un giorno il privilegio di festeggiare il suo compleanno insieme a Gesù Cristo. Con un
po’ di fantasia, però, si convinse che in fondo aver mancato
la data di appena 24 ore significava essere secondo soltanto al
Messia: perciò nel 1239 in una lettera si riferì a Jesi come «nostra Betlemme». Mentre lui si autodivinizzava, molti dei suoi
contemporanei lo consideravano l’Anticristo: proprio come
aveva previsto il teologo Gioacchino da Fiore, era nato infatti
intorno al Mille (data certo un po’ vaga), da una vecchia monaca e da un frate. Anche ammesso che Enrico vi in gioventù
avesse pensato di farsi monaco, la vecchia (aridaje!) monaca
Costanza d’Altavilla in realtà non era mai esistita. La figlia del
re di Sicilia non si era fatta suora, come dicono certe fonti, né
era stata strappata al convento calabrese di San Benedetto dal
futuro marito: piuttosto visse una vita ritirata fino a quando,
nel 1186, sposò il figlio del Barbarossa.
Com’era consuetudine, il suo non era stato un matrimonio
d’amore: dopo un’adolescenza trascorsa nella multietnica corte siciliana, il nipote Guglielmo ii, l’allora re di Sicilia, l’aveva
spedita nella fredda corte tedesca tra le braccia di Enrico. Lo
sposo ci aveva guadagnato una cospicua dote (ben 14 tonnellate d’oro) e l’allargamento dell’impero paterno grazie all’acquisizione dell’Italia meridionale, Guglielmo il consolidamento della sua dinastia, ormai in declino. Per questo Federico,
appena nato, aveva in testa già parecchie potenziali corone:
dalla madre aveva ereditato il titolo di re di Sicilia, mentre per
discendenza paterna poteva aspirare al trono imperiale, una
carica elettiva che gli venne infatti concessa più tardi dalla
9. Bianca di Castiglia e Luigi ix
31
riunione dei principi. Diritti e prestigio, però, non venivano
di conseguenza, ma solo se si era sufficientemente forti e preparati per tenere le redini di quell’immenso impero. E questo
Costanza lo sapeva.
Perciò quando Enrico vi morì, nel 1197, come già aveva visto
fare a sua cognata qualche anno prima con Guglielmo ii, prese
il ruolo di tutrice del figlio. Non visse abbastanza per vederlo
regnare, ma riuscì a garantirgli almeno un trono: sei mesi prima di morire, nel 1198, lo fece incoronare re di Sicilia e con
grande lungimiranza politica affidò lui e 30.000 talenti d’oro
per la sua educazione a papa Innocenzo iii. Fu questo papa a
scomunicare, nel 1212, Ottone iv, eletto tre anni prima imperatore del Sacro romano impero, spianando così la strada a
Federico verso quella prestigiosa carica.
9.
Bianca di Castiglia e Luigi ix
N
on è una santa, anche se viene universalmente riconosciuta come tale, ma santo, di nome e di fatto, fu
invece suo figlio, il re di Francia Luigi ix, canonizzato
dalla Chiesa e passato alla Storia come “il Santo” grazie ai pii
insegnamenti della mamma Bianca di Castiglia.
Intelligente, dolcemente severa con i figli e devotissima, Bianca aveva molto in comune con sua nonna Eleonora d’Aquitania: altrettanto forte, fiera e indipendente, riuscì a reggere
con mano ferma le sorti della Francia, luce e guida prima del
marito Luigi viii, poi del figlio omonimo, che ereditò il trono
del padre nel 1226.
Bianca era spagnola, figlia di Alfonso ix, re di Castiglia: nata
nel 1188, per motivi politici si era dovuta sposare a dodici anni
con il figlio del re di Francia. Le andò bene: il loro matrimonio
si basò sempre sull’amore e la fiducia reciproca e il numero dei
loro figli – ben dodici – lo dimostra. Adorava i suoi piccoli, ma
32
La mamma è sempre la mamma (Le madri)
non li viziava. Preferiva la durezza all’indulgenza e soprattutto cercava di inculcare nelle loro testoline il senso della carità:
i bambini la ascoltavano rapiti, con gli occhioni sgranati e la
bocca spalancata, quando raccontava loro di quella dama che
aveva ospitato un lebbroso nel proprio letto, nonostante il ribrezzo e l’espresso divieto del marito. L’uomo, che era tornato
a casa all’improvviso, al posto del malato aveva trovato nella
sua stanza un piacevole profumo di fiori e quando la moglie
gli raccontò tutto, «da quel giorno fu caritatevole al pari di
lei». Cresciuto con queste storie al posto delle favole, il futuro
re era capace di andare a far visita senza colpo ferire a un povero monaco malato di lebbra per medicargli le piaghe infette
o di far l’elemosina ai poveri ciechi, perché non lo potessero
riconoscere. Proprio come sua madre, che organizzava distribuzioni di pane davanti alla reggia, fondava ospedali, elargiva
offerte ai pellegrini, ai poveri e ai monaci. Ma per crescere una
squadra di adolescenti medievali, naturalmente portati, vista
l’epoca, alla guerra e allo spargimento di sangue, l’esempio
non bastava: Bianca, infatti, completava quella santa educazione con la poesia. Con il marito, diventato re di Francia
nel 1123, organizzava cenacoli letterari e finanziava musici
e trovatori, capaci di cantare l’amor cortese e di mostrare ai
principi e alle principesse che la società medievale, almeno
idealmente, non era fatta solo di violenza. Il poeta Guillaume
de Lorris si spingeva persino a dar consigli di moda: uno dei
suoi personaggi perorava la causa di stilisti e commercianti
suggerendo di usare calzature raffinate, portare maniche ben
strette e non badare a spese quando si trattava di cinture ricamate o borse di seta.
Ma nel 1226 i problemi di Bianca diventarono ben altri: il
marito morì mentre combatteva i seguaci dell’eresia catara.
Non fece in tempo a rivedere sua moglie e neppure a lasciare
un testamento, ma, provvidenza divina o volontà della curia, i
vescovi fecero spuntar fuori una carta che ne attestava le ultime volontà: affidare a Bianca la reggenza, in attesa che Luigi
ix diventasse maggiorenne. Fu allora che, da mamma tutta
casa e chiesa, Bianca si trasformò in regina tutta d’un pezzo:
difese i diritti del figlio contro la lega di grandi feudatari che
volevano rendersi indipendenti dalla corona e, soprattutto, dal
potere di quella “straniera”; strinse vantaggiosi accordi matrimoniali per i figli; diede saggi consigli al giovane sovrano
e gli fece superare indenne quel complicato e teso periodo
della storia francese. Rese il bambino un uomo, portandolo
9. Bianca di Castiglia e Luigi ix
33
in guerra al suo fianco, spedendolo in giro per il regno a farsi
conoscere dai sudditi, guidandolo in assedi e conquiste. Infine
gli trovò moglie.
A vent’anni, quando ebbe ufficialmente il potere, Luigi sposò
Margherita di Provenza e la incoronò regina. Eppure, nonostante il passaggio di consegne, la madre continuò a occuparsi
degli affari di Stato accanto a lui, estromettendo la nuora.
Abituata ad amministrare i propri figli, come suocera si rivelò
un osso duro: se da una parte non tollerava che la giovane
coppia, presa dalla passione, si appartasse durante il giorno
– i due sposini erano costretti a farsi avvisare dalla servitù
nel caso Bianca si stesse avvicinando – dall’altra non si dava
pace per la presunta infertilità di Margherita. Per questo fece
un pellegrinaggio al santuario della Madonna di Rocamadour:
vuoi le preghiere, vuoi la lontananza da corte di quel Cerbero
in abito lungo, la ragazza cominciò a sfornare pargoli. Negli
anni sarebbe arrivata a undici, giusto uno in meno di quanto
aveva fatto la madre di suo marito. Un record non commentato dalla nostra fiera spagnola, che nel frattempo era tornata a
reggere il regno: gliel’aveva chiesto Luigi, partito insieme alla
moglie per la crociata in Terrasanta. Non riuscirono a riabbracciarsi: Bianca, che soffriva di cuore, morì infatti nel 1252,
prima del ritorno del re.
Indice
p.
7 Introduzione
9
11 13 17
20
22
25
29
31
34
36
38
41
45
48
La mamma è sempre la mamma (le madri)
1. Olimpiade d’Epiro e Alessandro Magno
2. Aurelia Cotta e Giulio Cesare
3. Giulia Agrippina e Nerone
4. Annia Galeria Faustina e Commodo
5. Dhuoda e Guglielmo
6. Marozia e papa Giovanni xi
7. Eleonora d’Aquitania e Riccardo Cuor di Leone
8. Costanza d’Altavilla e Federico ii di Svevia
9. Bianca di Castiglia e Luigi ix
10. Sophia Paleologa e Basilio iii di Russia
11. Bona Sforza d’Aragona e Sigismondo Augusto
di Polonia
12. Anna d’Austria e Luigi xiv
13. Hannah Chaplin e Charlie Chaplin
14. Felicia Bartolotta Impastato e Giuseppe
Impastato
15. Renée Felton e Andrew Howe
51
54
56
59
63
SONO AFFARI DI FAMIGLIA (MOGLI, FIGLIE
E NONNE)
16. Amitis e Nabucodonosor ii
17. Giulia Mesa ed Eliogabalo
18. Costanza di Hohenstaufen e Pietro iii d’Aragona
19. Giuseppina de Beauharnais e Napoleone
Bonaparte
20. Honorine de Viane Morel e Jules Verne
Indice
285
p. 65
67
69
72
75
78
80
83
86
89
21. Franca Florio e Pietro Florio
22. Mileva Marić e Albert Einstein
23. Anna Eleanor Roosevelt e Franklin Delano
Roosevelt
24. Grace Kelly e Ranieri di Monaco
25. Raissa Gorbaciova e Michail Gorbaciov
26. Yoko Ono e John Lennon
27. Myra Gale Brown e Jerry Lee Lewis
28. Hillary Rodham Clinton e Bill Clinton
29. Hilda Beatriz Guevara Gadea ed Ernesto
“Che” Guevara
30. Lori Anne Allison e Johnny Depp
91
94
96
100
102
105
107
110
114
116
119
121
124
126
130
AL CUOR NON SI COMANDA (LE AMANTI)
31. Giovanna ii di Napoli e Sergianni Caracciolo
32. Diane di Poitiers ed Enrico ii
33. Anna Bolena ed Enrico viii
34. Olimpia Maidalchini e Giovanni Battista
Pamphili
35. Émilie du Châtelet e Voltaire
36. Anna Girò e Antonio Vivaldi
37. Caterina Dolfin e Andrea Tron
38. Maria Antonietta e Hans Axel von Fersen
39. Eleonora Duse e Gabriele D’Annunzio
40. Marguerite Steinheil e Félix Faure
41. Alice Prin e Man Ray
42. Edwina Mountbatten e Jawaharlal Nehru
43. Brigitte Bardot e Serge Gainsbourg
44. Madonna e Nick Kamen
45. Eva Kant e Diabolik
133
135
137
140
142
144
147
150
DAI NEMICI MI GUARDI IDDIO, CHE
ALLA SUOCERA CI PENSO IO (LE SUOCERE)
46. Salonina Matidia e Adriano
47. Bassula e Sulpicio Severo
48. Irene Ducaena e Niceforo Briennio
49. Agnese Mondella e Renzo Tramaglino
50. Maria Thins e Jan Vermeer
51. Matilda Joslyn Gage e Lyman Frank Baum
52. Cosima Wagner e Houston Stewart
Chamberlain
53. Paula Rego e Ron Mueck
286
Indice
L’ARTE È DONNA (LE MUSE)
p.153 54. Frine e Prassitele
155 55. Beatrice Portinari e Dante Alighieri
15856. Apollonie Sabatier e Charles Baudelaire
161 57. Marie Duplessis e Alexandre Dumas figlio
164 58. Marthe de Méligny e Pierre Bonnard
166 59. Emilie Flöge e Gustav Klimt
168 60. Gala Éluard Dalí e Salvador Dalí
170 61. Marta Abba e Luigi Pirandello
173 62. Dora Maar e Pablo Picasso
175 63. Luisa Crepax e Guido Crepax
178 64. Susan Elizabeth Rotolo e Bob Dylan
180 65. Anita Pallenberg e Keith Richards
CHI TROVA UNA DONNA TROVA UN TESORO
(LE TALENT SCOUT)
18366. Aspasia e Socrate
185 67. Giusta Grata Onoria e Attila
188 68. Isabella di Castiglia e Cristoforo Colombo
191 69. Isabella d’Este e Ludovico Ariosto
193 70. Elisabetta i d’Inghilterra e Francis Drake
195 71. Virginia Oldoini e Vittorio Emauele ii
19872. Margherita di Savoia e Raffaele Esposito
201 73. Madeleine Castaing e Chaïm Soutine
205 74. Peggy Guggenheim e Jackson Pollock
20675. Tura Satana ed Elvis Presley
209 76. Linda Keith e Jimi Hendrix
21277. Mafalda e Quino
214 78. Lorena Gallo e John Wayne Bobbitt
217 79. Mariangela Fantozzi e Plinio Fernando
DONNE DELL’ALTRO MONDO (LE PROFETESSE)
219 80. Carmenta ed Evandro
221 81. Creusa ed Enea
223 82. Debora e Barac
22683. Tanaquilla e Tarquinio Prisco
22884. Erichto e Sesto Pompeo
231 85. Veleda e Giulio Civile
233 86. Sacerdotessa di Tongres e Diocleziano
235 87. Santa Monica e sant’Agostino
238 88. Caterina Benincasa e Gregorio xi
240 89. Giovanna d’Arco e Carlo vii
244 90. Anna Katharina Emmerick e Julien Gouyet
Indice
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QUANDO MORTE CI HA SEPARATI
(LE POST-MORTEM)
91. Lucy l’australopiteco e Donald Johanson
92. Melissa e Periandro di Corinto
93. Amalasunta e Giustiniano
94. Vanna di Coldimezzo e Jacopone da Todi
95. Iněs de Castro e Pietro i del Portogallo
96. Simonetta Cattaneo e Sandro Botticelli
97. Mumtaz Mahal e Shah Jahan
98. Katie King e William Crookes
99. Anne Hinchfield e Andrew Green
100. Rosalia Lombardo e Alfredo Salafia
101. Laura Palmer e David Lynch
275 Bibliografia
283 Ringraziamenti