La pace sia con voi! Può essere un saluto, un augurio...o anche una
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La pace sia con voi! Può essere un saluto, un augurio...o anche una
Gennaio 2012 - Anno 14 (n° 158) Mensile della Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco La pace sia con voi! Può essere un saluto, un augurio...o anche una bugia. In realtà, la storia di questo nuovo secolo appena iniziato, si annunciava carica di promesse e di speranze per l’uomo contemporaneo, proteso verso conquiste sempre più elevate nel progresso tecnico e scientifico, invece ha dovuto segnare subito il passo a motivo di tutta una serie di aggressioni terroristiche raccapriccianti, con il dilagare di guerre e di conflitti e di violenze d’ogni genere. Ogni anno sembra di essere sempre di più nel profondo della notte: intorno aleggiano male e sofferenza, odio ed impostura. Siamo ancora il popolo che cammina nelle tenebre. C’è ancora tanto buio e molto gelo che tentano di intorpidire il cuore e l’intelligenza. Si è tentati qualche volta di chiedersi se la nascita del Bambino salvatore abbia davvero dato un significato alla salvezza di ognuno e del mondo. Non dobbiamo darci per vinti. In mezzo a questa nebbia fitta una luce continua risplendere: è’ la Parola di Dio che ci sostiene: non temere, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te, è un salvatore potente. Ti rinnoverà con il suo amore…”. La sete di gioia e di pace, e il bisogno di fraternità e di speranza che ancora vivono in tutti, non sono un’attesa tormentosa ed inutile, come hanno insegnato tante filosofie e ideologie. Il Natale non è una suggestione sentimentale, è una promessa reale, perché è una promessa di Dio; non è solo nostalgia l’augurio cantato dagli angeli nella notte santa: “Sulla terra pace tra gli uomini che Dio ama”. Per questo possiamo dire con verità: La pace sia con te, la pace sia con voi! Il buio della notte è squarciato: “il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”; “Veniva nel mondo la Luce vera, quella che illumina ogni uomo…la Luce splende fra le tenebre…ma i suoi non l’hanno accolta”; “A coloro che Lo hanno accolto ha dato la possibilità di diventare figli di Dio!”. Anche oggi c’è tanta ostinazione di fronte alla luce, tante porte restano chiuse; alcuni uomini stentano a dire di sì a Dio. Si vuole fare a meno di Dio. I risultati sono quelli che vediamo, e allora si fa fatica a costruire la pace. Tanti invece Lo hanno accolto ieri come oggi e cambiano il mondo. Il dono viene offerto in continuità ed è quello promesso nella notte di Betlemme: “pace in terra…”. E’ Gesù che la offre: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”; ed è per tutti: “Egli è la luce vera che illumina ogni uomo”; la gioia, la pace che porta è per tutta l’umanità, “per tutto il popolo”, non ci sono “esclusive”. Natale è il documento dell’amore di Dio per tutta l’umanità. Ma come per ogni dono, anche questo ha le sue esigenze. Ha bisogno di essere accolto e custodito. Il miracolo del Natale si è compiuto e si compie misteriosamente, anche nei frangenti più tragici e dolorosi della storia: il Bambino di Betlemme, povero tra i poveri, è la risposta alle tenebre dell’odio, della violenza, della disperazione. Più grande di ogni scetticismo e di ogni indifferenza, la fede umile del Natale riesce a sostenere ogni assalto e a darci un Natale nuovo, perché Cristo è la novità sempre attuale. Gesù è con noi, riceviamolo dalle braccia di Maria. Dice San Bernardo: “Egli era un pensiero di pace nel cuore del Padre; è diventato la nostra pace tra le braccia della Madre”, Egli è veramente la nostra pace. La pace sia con voi! Con tanti Auguri! La Chiesa Cattolica e le Tasse E’ necessario fare subito chiarezza. Quando parliamo di Chiesa Cattolica, ci si riferisce a tutti i battezzati che si riconoscono nell’autorità del Papa, il vicario di Cristo sulla terra. In questo senso noi siamo cittadini del mondo. E forse per questo ci sentiamo a nostro agio con tutti. Fino a non molto tempo fa, quando si parlava di italiani era sottinteso che fossero cattolici. Oggi non è più così. Ma tutto questo è solo un inciso, una riflessione del momento. Uno Stato è una comunità organizzata, che provvede affinché i suoi componenti possano vivere decorosamente ed aver garantite le libertà fondamentali. Tutto questo però ha un costo, che deve essere suddiviso fra i cittadini in “modo equo”. Per la nostra Fede, non pagare le tasse è un’omissione grave: è come rubare e don Giuseppe 2 dette ONLUS. Molte di queste associazioni sono laiche. Ne sono un esempio la Croce Bianca di Torri del Benaco, l’AMO di Bardolino, o l’AVIS a livello nazionale. Esaminiamo ora, nella brevità di cui dispongo, il problema dell’esenzione dall’ICI, quell’imposta, che dal 2012 si chiamerà IMU. Sono esenti da questa imposta gli uffici pubblici: statali, regionali, comunali, i fabbricati destinati ad attività culturali, musei, pinacoteche, biblioteche, luoghi di culto di tutte le religioni, oratori, cinema parrocchiali. L’esenzione è ammessa purché al possessore non derivi alcun reddito dall’utilizzazione dell’immobile. Se negli immobili di proprietà vengono svolte attività commerciali, gli Enti religiosi devono pagare e pagano regolarmente le tasse dovute e per intero, anche se dentro di essi vi è una Cappella, cioè un luogo di culto per pregare. In caso contrario sono passibili di azioni giudiziarie come un qualsiasi altro Ente o cittadino. Finora non risultano prove autentiche di evasioni eclatanti, ma solo allusioni ed insinuazioni meschine. Dov’è allora lo scandalo? Lo scandalo è la Chiesa Cattolica, per il semplice fatto che Essa esiste e che annuncia quel messaggio di speranza, che vuole, anche nell’attesa, tutti gli uomini uguali nella dignità. La Chiesa Cattolica dà fastidio. Certamente! Attraverso la parola di Gesù costringe le nostre coscienze ad un approfondimento serio ed impegnativo. Distinguere fra ciò che è bene e ciò che è male per l’uomo mette in crisi l’equivoco del relativismo di chi degli altri vorrebbe fregarsene. Può darsi che fra questi vi si trovi anche qualcuno che si qualifica cattolico. quando si ruba non è concessa l’assoluzione, se non si restituisce il mal tolto. E’ un principio, che vale da sempre. Spesso nel dibattere su presunte evasioni fiscali e supposti privilegi c’è una grande confusione, favorita per disinformazione, se non per malizia, anche da parte di prestigiose firme del giornalismo italiano. La Città del Vaticano, o semplicemente il Vaticano, dal nome del colle su cui è situata, è uno Stato indipendente, riconosciuto da tutti gli Stati del Mondo. Partecipa alle Assemblee dell’ONU come Osservatore, perché non potrebbe mai intervenire o condividere, ad esempio, un intervento armato in Afganistan o le sanzioni alla Siria. Il suo compito è quello di promuovere la solidarietà e la pace fra tutte le nazioni. Nessuno oserebbe mai pretendere, ad esempio, che i cittadini della Repubblica di S. Marino, contribuiscano a pagare le tasse degli italiani. Non comprendo quindi tanta animosità nei confronti della Santa Sede. Il famoso otto per mille, che i contribuenti destinano alla Chiesa Cattolica, viene gestito dalla Cei, la Conferenza Episcopale Italiana (l’assemblea cioè, che rappresenta tutti i Vescovi italiani) attraverso propri Uffici istituiti allo scopo, e non certo dal Papa o dal Vaticano. Dell’otto per mille poi beneficiano, oltre allo Stato italiano ed alla Chiesa Cattolica, anche altre confessioni religiose. La maggioranza dei contributi dell’otto per mille sono destinati alla Chiesa Cattolica per il consenso, non solo di quei pochi, che vanno a messa, ma di molte altre persone, probabilmente anche agnostiche o atee, che si fidano però dei nostri Vescovi. Poi c’è un cinque per mille, che va a beneficio delle più svariate organizzazioni di volontariato, le cosi William 3 PREGHIERA PER LA FINE DELL’ANNO Eccoci, Signore, davanti a te. Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato. Ma se ci sentiamo sfiniti, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei. È perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle nostre viottole, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra testardaggine faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell’abbandono fiducioso in te. Forse mai, come in questo crepuscolo dell’anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: «Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla». Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di Te non possiamo far nulla. Ci agitiamo soltanto. Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell’anno, esigono il nostro rendimento di grazie. Grazie, perché ci conservi nel tuo amore. Perché continui ad avere fiducia in noi, pur vedendo che tantissime altre persone ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni. Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Anzi, ci metti nell’anima un cosi vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti. Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime. don Tonino Bello, vescovo 4 Risposta alla lettera di una quindicenne mediatica una manifestazione pacifica passerebbe inosservata. Conosco ragazzi con opinioni forti, che ogni giorno provano a farsi valere, siamo tanti, siamo arrabbiati, ci soffocano le grida in gola e nessuno ci ascolta: “Tanto siamo solo ragazzi”. Cosa dobbiamo fare?» F. – 15 anni Comincia Tu, Adesso Risposta alla lettera: “Cara F., la tua lettera mi giunge in un momento in cui anche io mi chiedo: cosa posso fare, posso ancora sperare, a che serve lottare tutti i giorni a scuola, scrivere, parlare? Anche io, a volte, ho la tentazione di mollare. Poi però puntuale arriva qualcuno a risvegliarmi dal torpore sottile e virulento del disfattismo. In questo caso, insieme alla tua lettera, è stato il discorso di Benedetto XVI per la Giornata della Pace, nel quale dice che la questione è educativa e i veri protagonisti i giovani: «Vorrei dunque presentare il Messaggio in una prospettiva educativa: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace”, nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo». Come dici tu: dipende da te e me. Lasciamo perdere quel teatrino di fantocci e rimbocchiamoci le maniche tu e io: ci saranno due furbi in meno. Forse non risolveremo molto, e forse ci prenderanno anche in giro, ma almeno ci potremo guardare allo specchio, sereni. Io voglio fare il possibile nello spazio che mi è dato adesso: a scuola, in famiglia, con gli amici, sui giornali, nei libri che scrivo. «L’educazione è l’avventura più affascinante e difficile della vita. Educare significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà: la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla «Ho 15 anni e vedo il mondo andare a rotoli. Diamo la colpa a politici, banchieri... Io sono sicura che la colpa invece è nostra. Ci arrabbiamo per cose futili, piuttosto che farlo per cose importanti. E sono davvero arrabbiata... ognuno di noi sta gettando al vento le proprie speranze, si parla di crisi, recessione, denaro, potere, quando la gente avrebbe bisogno di sentir parlare un po’ più di amore. Ci stiamo sottomettendo come animali in cattività, ci scanniamo l’un l’altro, non siamo più consapevoli dei nostri diritti e ci riesce facile dare la colpa ad altri. Come mai riusciamo a dare la nostra fiducia a fantocci che appaiono in tv e non riusciamo a voler bene alle persone che ci sono accanto? Abbiamo pregiudizi, che ci avvelenano, ci distruggono. Quello di cui ho bisogno adesso forse sono parole di conforto, qualcuno che mi dica che andrà tutto bene e invece trovo soltanto persone che si rassegnano, che credono che la situazione potrà solo peggiorare. Probabilmente sarà così ma, caro Alessandro, io le mie speranze non le mollo. Lei cosa pensa che i giovani debbano fare per farsi valere? Odio la violenza e con questa manipolazione 5 Messaggio del Papa per la 45 Giornata Mondiale della Pace conoscenza della realtà, e quella dell’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone».Vedi, qui siamo in gioco tu e io. Io provo tutti i giorni a donare me stesso in questa avventura, ed è faticoso, spesso fallimentare, ma so anche che la pienezza della mia vita viene proprio dal donarsi. Io li vedo quegli spazi più ampi, ma non in sogno, li vedo realizzarsi giorno dopo giorno. Solo l’amore, che tu invochi, è forte come la morte: solo se io provo ad amare i miei alunni, i miei colleghi, le mie materie, riesco a sottrarre i miei alunni, colleghi, materie, alla morte a cui siamo tutti destinati. E tu? «Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano». La tua lettera è già un modo di farlo. Tu, F., non lasciare che quel grido ti si blocchi in gola, e comincia tu, nella tua scuola, nella tua famiglia, nel tuo quartiere, insieme ai tuoi amici. È faticoso essere testimoni, F. A volte mi chiedo chi me lo fa fare, ma poi penso che ci sei tu: sei tu che me lo fai fare, e fosse anche solo per te, io ricomincio. E noi due saremo due «sentinelle che aspettano l’aurora» di un mondo nuovo che, nel nostro piccolo, avremo contribuito a lasciar crescere. Senza violenza, ma unendo le forze, cambiando le cose dove possibile e prendendo anche qualche sberla. L’alternativa è dormire, F.: fregarcene. Ma che noia è la vita senza ricerca della verità, senza impegnare la libertà, senza lotta, senza Dio.” Alessandro D’Avenia a EDUCARE I GIOVANI ALLA GIUSTIZIA E ALLA PACE L’inizio di un nuovo Anno, dono di Dio all’umanità, mi invita a rivolgere a tutti, con grande fiducia e affetto, uno speciale augurio per questo tempo che ci sta dinanzi, perché sia concretamente segnato dalla giustizia e dalla pace. Con quale atteggiamento guardare al nuovo anno? Nel Salmo 130 troviamo una bellissima immagine. Il Salmista dice che l’uomo di fede attende il Signore «più che le sentinelle l’aurora» (v. 6), lo attende con ferma speranza, perché sa che porterà luce, misericordia, salvezza. Tale attesa nasce dall’esperienza del popolo eletto, il quale riconosce di essere educato da Dio a guardare il mondo nella sua verità e a non lasciarsi abbattere dalle tribolazioni. Vi invito a guardare il 2012 con questo atteggiamento fiducioso. È vero che nell’anno che termina è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia; una crisi le cui radici sono anzitutto culturali e antropologiche. (da Avvenire del 17 dicembre 2011) 6 Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno. In questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla società. Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: «Educare i giovani alla giustizia e alla pace», nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo. Il mio Messaggio si rivolge anche ai genitori, alle famiglie, a tutte le componenti educative, formative, come pure ai responsabili nei vari ambiti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della comunicazione. Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace. Si tratta di comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene. È un compito, questo, in cui tutti siamo impegnati in prima persona. Le preoccupazioni manifestate da molti giovani in questi ultimi tempi, in varie Regioni del mondo, esprimono il desiderio di poter guardare con speranza fondata verso il futuro. Nel momento presente sono molti gli aspetti che essi vivono con apprensione: il desiderio di ricevere una formazione che li prepari in modo più profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà a formare una famiglia e a trovare un posto stabile di lavoro, l’effettiva capacità di contribuire al mondo della politica, della cultura e dell’economia per la costruzione di una società dal volto più umano e solidale. È importante che questi fermenti e la spinta ideale che contengono trovino la dovuta attenzione in tutte le componenti della società. La Chiesa guarda ai giovani con speranza, ha fiducia in loro e li incoraggia a ricercare la verità, a difendere il bene comune, ad avere prospettive aperte sul mondo e occhi capaci di vedere «cose nuove» (Is 42,9; 48,6)! I responsabili dell’educazione L’educazione è l’avventura più affascinante e difficile della vita. Educare – dal latino educere – significa condurre fuori da se stessi per introdurre alla realtà, verso una pienezza che fa crescere la persona. Tale processo si nutre dell’incontro di due libertà, quella dell’adulto e quella del giovane. Esso richiede la responsabilità del discepolo, che deve essere aperto a lasciarsi guidare alla conoscenza della realtà, e quella dell’educatore, che deve essere disposto a donare se stesso. Per questo sono più che mai necessari autentici testimoni, e non meri dispensatori di regole e di informazioni; testimoni che sappiano vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il testimone è colui che vive per primo il cammino che propone. Quali sono i luoghi dove matura una vera educazione alla pace e alla giustizia? Anzitutto la famiglia, poiché i genitori sono i primi educatori. La famiglia è cellula originaria della società. «È nella famiglia che i figli apprendono i valori umani e cristiani che consentono una convivenza costruttiva e pacifica. È nella famiglia che essi imparano la solidarietà fra le generazioni, il rispetto delle regole, il perdono e l’accoglienza dell’altro». Essa è la prima scuola dove si viene educati alla giustizia e alla pace. Viviamo in un mondo in cui la famiglia, e anche la vita stessa, sono costantemente minacciate e, non di rado, frammentate. Condizioni di lavoro spesso poco armonizzabili con le responsabilità familiari, preoccupazioni PARROCCHIA DI TORRI È NATO SILVIO Congratulazioni a Mamma Nerina e a Papà Mario 7 per il futuro, ritmi di vita frenetici, migrazioni in cerca di un adeguato sostentamento, se non della semplice sopravvivenza, finiscono per rendere difficile la possibilità di assicurare ai figli uno dei beni più preziosi: la presenza dei genitori; presenza che permetta una sempre più profonda condivisione del cammino, per poter trasmettere quell’esperienza e quelle certezze acquisite con gli anni, che solo con il tempo trascorso insieme si possono comunicare. Ai genitori desidero dire di non perdersi d’animo! Con l’esempio della loro vita esortino i figli a porre la speranza anzitutto in Dio, da cui solo sorgono giustizia e pace autentiche. Vorrei rivolgermi anche ai responsabili delle istituzioni che hanno compiti educativi: veglino con grande senso di responsabilità affinché la dignità di ogni persona sia rispettata e valorizzata in ogni circostanza. Abbiano cura che ogni giovane possa scoprire la propria vocazione, accompagnandolo nel far fruttificare i doni che il Signore gli ha accordato. Assicurino alle famiglie che i loro figli possano avere un cammino formativo non in contrasto con la loro coscienza e i loro principi religiosi. Ogni ambiente educativo possa essere luogo di apertura al trascendente e agli altri; luogo di dialogo, di coesione e di ascolto, in cui il giovane si senta valorizzato nelle proprie potenzialità e ricchezze interiori, e impari ad apprezzare i fratelli. Possa insegnare a gustare la gioia che scaturisce dal vivere giorno per giorno la carità e la compassione verso il prossimo e dal partecipare attivamente alla costruzione di una società più umana e fraterna. Mi rivolgo poi ai responsabili politici, chiedendo loro di aiutare concretamente le famiglie e le istituzioni educative ad esercitare il loro diritto-dovere di educare. Non deve mai mancare un adeguato supporto alla maternità e alla paternità. Facciano in modo che a nessuno sia negato l’accesso all’istruzione e che le famiglie possano scegliere liberamente le strutture educative ritenute più idonee per il bene dei propri figli. Si impegnino a favorire il ricongiungimento di quelle famiglie che sono divise dalla necessità di trovare mezzi di sussistenza. Offrano ai giovani un’immagine limpida della politica, come vero servizio per il bene di tutti. Non posso, inoltre, non appellarmi al mondo dei media affinché dia il suo contributo educativo. Nell’odierna società, i mezzi di comunicazione di massa hanno un ruolo particolare: non solo informano, ma anche formano lo spirito dei loro destinatari e quindi possono dare un apporto notevole all’educazione dei giovani. È importante tenere presente che il legame tra educazione e comunicazione è strettissimo: l’educazione avviene infatti per mezzo della comunicazione, che influisce, positivamente o negativamente, sulla formazione della persona. Anche i giovani devono avere il coraggio di vivere prima di tutto essi stessi ciò che chiedono a coloro che li circondano. È una grande responsabilità quella che li riguarda: abbiano la forza di fare un uso buono e consapevole della libertà. Anch’essi sono responsabili della propria educazione e formazione alla giustizia e alla pace! Educare alla verità e alla libertà Sant’Agostino si domandava: «Quid enim fortius desiderat anima quam veritatem? – Che cosa desidera l’uomo più fortemente della verità?». Il volto umano di una società dipende molto dal contributo dell’educazione a mantenere viva tale insopprimibile domanda. L’educazione, infatti, riguarda la formazione integrale della persona, inclusa la dimensione morale e spirituale dell’essere, in vista del suo fine ultimo e del bene della società di cui è membro. Perciò, per educare alla verità occorre innanzitutto sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura. Contemplando la realtà che lo circonda, il Salmista riflette: «Quando vedo i tuoi 8 cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). È questa la domanda fondamentale da porsi: chi è l’uomo? L’uomo è un essere che porta nel cuore una sete di infinito, una sete di verità – non parziale, ma capace di spiegare il senso della vita – perché è stato creato a immagine e somiglianza di Dio. Riconoscere allora con gratitudine la vita come dono inestimabile, conduce a scoprire la propria dignità profonda e l’inviolabilità di ogni persona. Perciò, la prima educazione consiste nell’imparare a riconoscere nell’uomo l’immagine del Creatore e, di conseguenza, ad avere un profondo rispetto per ogni essere umano e aiutare gli altri a realizzare una vita conforme a questa altissima dignità. Non bisogna dimenticare mai che «l’autentico sviluppo dell’uomo riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione», inclusa quella trascendente, e che non si può sacrificare la persona per raggiungere un bene particolare, sia esso economico o sociale, individuale o collettivo. Solo nella relazione con Dio l’uomo comprende anche il significato della propria libertà. Ed è compito dell’educazione quello di formare all’autentica libertà. Questa non è l’assenza di vincoli o il dominio del libero arbitrio, non è l’assolutismo dell’io. L’uomo che crede di essere assoluto, di non dipendere da niente e da nessuno, di poter fare tutto ciò che vuole, finisce per contraddire la verità del proprio essere e per perdere la sua libertà. L’uomo, invece, è un essere relazionale, che vive in rapporto con gli altri e, soprattutto, con Dio. L’autentica libertà non può mai essere raggiunta nell’allontanamento da Lui. La libertà è un valore prezioso, ma delicato; può essere fraintesa e usata male. «Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “io”. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune». Per esercitare la sua libertà, l’uomo deve dunque superare l’orizzonte relativistico e conoscere la verità su se stesso e la verità circa il bene e il male. Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce lo chiama ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, ad assumere a responsabilità del bene compiuto e del male commesso. Per questo, l’esercizio della libertà è intimamente connesso alla legge morale naturale, che ha carattere 9 universale, esprime la dignità di ogni persona, pone la base dei suoi diritti e doveri fondamentali, e dunque, in ultima analisi, della convivenza giusta e pacifica fra le persone. Il retto uso della libertà è dunque centrale nella promozione della giustizia e della pace, che richiedono il rispetto per se stessi e per l’altro, anche se lontano dal proprio modo di essere e di vivere. Da tale atteggiamento scaturiscono gli elementi senza i quali pace e giustizia rimangono parole prive di contenuto: la fiducia reciproca, la capacità di tessere un dialogo costruttivo, la possibilità del perdono, che tante volte si vorrebbe ottenere ma che si fa fatica a concedere, la carità reciproca, la compassione nei confronti dei più deboli, come pure la disponibilità al sacrificio. La carità manifesta sempre anche nelle relazioni umane l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo». «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6). Saranno saziati perché hanno fame e sete di relazioni rette con Dio, con se stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con l’intero creato. Educare alla giustizia Nel nostro mondo, in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità, del profitto e dell’avere, è importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità profonda dell’essere umano. È la visione integrale dell’uomo che permette di non cadere in una concezione contrattualistica della giustizia e di aprire anche per essa l’orizzonte della solidarietà e dell’amore. Non possiamo ignorare che certe correnti della cultura moderna, sostenute da principi economici razionalistici e individualisti, hanno alienato il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti, separandolo dalla carità e dalla solidarietà: «La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. Educare alla pace «La pace non è la semplice assenza di guerra e non può ridursi ad assicurare l’equilibrio delle forze contrastanti. La pace non si può ottenere sulla terra senza la tutela dei beni delle persone, la libera comunicazione tra gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei popoli, l’assidua pratica della fratellanza». La pace è frutto della giustizia ed effetto della carità. La pace è anzitutto dono di Dio. Noi cristiani crediamo che Cristo è la nostra vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto le barriere che ci separavano gli uni dagli altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica famiglia riconciliata nell’amore. Ma la pace non è soltanto dono da ricevere, bensì anche opera da costruire. Per essere veramente operatori di pace, dobbiamo educarci alla compassione, alla solidarietà, alla collaborazione, alla fraternità, essere attivi all’interno della comunità e vigili nel destare le coscienze 10 sulle questioni nazionali ed internazionali e sull’importanza di ricercare adeguate modalità di ridistribuzione della ricchezza, di promozione della crescita, di cooperazione allo sviluppo e di risoluzione dei conflitti. «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio», dice Gesù nel discorso della montagna (Mt 5,9). La pace per tutti nasce dalla giustizia di ciascuno e nessuno può eludere questo impegno essenziale di promuovere la giustizia, secondo le proprie competenze e responsabilità. Invito in particolare i giovani, che hanno sempre viva la tensione verso gli ideali, ad avere la pazienza e la tenacia di ricercare la giustizia e la pace, di coltivare il gusto per ciò che è giusto e vero, anche quando ciò può comportare sacrificio e andare controcorrente. crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1 Cor 13,1-13). Cari giovani, voi siete un dono prezioso per la società. Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento di fronte alle difficoltà e non abbandonatevi a false soluzioni, che spesso si presentano come la via più facile per superare i problemi. Non abbiate paura di impegnarvi, di affrontare la fatica e il sacrificio, di scegliere le vie che richiedono fedeltà e costanza, umiltà e dedizione. Vivete con fiducia la vostra giovinezza e quei profondi desideri che provate di felicità, di verità, di bellezza e di amore vero! Vivete intensamente questa stagione della vita così ricca e piena di entusiasmo. Siate coscienti di essere voi stessi di esempio e di stimolo per gli adulti, e lo sarete quanto più vi sforzate di superare le ingiustizie e la corruzione, quanto più desiderate un futuro migliore e vi impegnate a costruirlo. Siate consapevoli delle vostre potenzialità e non chiudetevi mai in voi stessi, ma sappiate lavorare per un futuro più luminoso per tutti. Non siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in voi, vi segue, vi incoraggia e desidera offrirvi quanto ha di più prezioso: la possibilità di alzare gli occhi a Dio, di incontrare Gesù Cristo, Colui che è la giustizia e la pace. A voi tutti, uomini e donne che avete a cuore la causa della pace! La pace non è un bene già raggiunto, ma una meta a cui tutti e ciascuno dobbiamo aspirare. Guardiamo con maggiore speranza al futuro, incoraggiamoci a vicenda nel nostro cammino, lavoriamo per dare al nostro mondo un volto più umano e fraterno, e sentiamoci uniti nella responsabilità verso le giovani generazioni presenti e future, in particolare nell’educarle ad essere pacifiche e artefici di pace. È sulla base di tale consapevolezza che vi invio queste riflessioni e vi rivolgo il mio appello: uniamo le nostre forze, spirituali, morali e materiali, per «educare i giovani alla giustizia e alla pace». Dal Vaticano, 8 Dicembre 2011 BENEDETTO XVI Alzare gli occhi a Dio Di fronte alla difficile sfida di percorrere le vie della giustizia e della pace possiamo essere tentati di chiederci, come il Salmista: «Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto?» (Sal 121,1). A tutti, in particolare ai giovani, voglio dire con forza: «Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero… il volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l’amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l’amore?». L’amore si compiace della verità, è la forza che rende capaci di impegnarsi per la verità, per la giustizia, per la pace, perché tutto copre, tutto HANNO RICEVUTO IL BATTESIMO Parrocchia di Torri SOFIA Parrocchia di Pai AMANDA MARIA MARTINO 11 mezzi, bensì fini cui affidare la propria autorealizzazione. Il tempo di apparire. Nel tempo del consumismo le identità personali si consumano nel volgere di una stagione. É il prezzo dell’apparire ad ogni costo. Vivere in apparenza significa percepirsi, guardarsi, considerarsi con gli occhi degli altri. Adeguarsi allo sguardo esterno, alle mode, ai prodotti di tendenza diviene essenziale per riproporsi sulla scena di questo mondo in modo interessante. Si finisce di vivere come su un palcoscenico rappresentando sé stessi, la propria identità secondo copioni imposti da sempre nuovi trend. Questa è libertà? Visto che il mercato offre mille possibilità di scelta, non è questo il trionfo della libertà, di poter essere sé stessi e porsi nella vita come si vuole? Qui sta la perfidia del vizio! Illudere di essere liberi, mentre si viene risucchiati da un sistema usa e getta. Quante relazioni sono vissute come “prodotti” usa e getta. Quanti matrimoni, quante esperienze affettive, partite con il vento in poppa verso un amore eterno, sono state consumate, cioè usate e gettate nel giro di poco tempo! E’ questa la libertà che realizza una vita o non è piuttosto il collasso della libertà! Quanto si può dire libero chi si lascia pilotare dalle mutevoli novità del mercato e delle mode? Occorre criticare per educare ai grandi temi dell’uomo. Non si tratta di fare i moralisti a buon mercato, ma di criticare per educare, poiché il nostro è il tempo, come si dice, dell’emergenza educativa, vale a dire della ripresa critica dei grandi temi dell’uomo per passare dalla quantità delle cose alla qualità della vita. Perché non iniziare dal Vangelo, la grande Parola che non passa mai di moda? Gianfranco Eppure c’è, anche in tempo di crisi Un Vizio Nuovo: il Consumismo Un vizio nuovo è il consumismo. La società dei consumi crea non pochi scompensi… difficile dire se resisterà e a che prezzo. Ancor più difficile indovinare che cosa potrà succedere al pianeta quando il consumismo sarà globalizzato. Fin da piccoli si cresce in un sistema che inculca voglie, desideri, tensioni ad avere sempre “il più nuovo” per apparire di più. Si pensa di rendere felice un bambino coprendolo di nuovi giocattoli. Gli adulti, a loro volta sentono di essere di più sfoggiando il modello più sofisticato di cellulare, di computer fino ai calzini più “in” del momento. Risultato? Case con stanze ingolfate di “cose” spesso superflue quanto inutili. Ciò che rende il consumo consumismo cioè “vizio” non è l’acquisto di oggetti, fosse anche per il piacere di adoperarli, ma l’averli con una mentalità “nichilista” (=dottrina filosofica che nega la consistenza di qualsiasi valore e l’esistenza di qualsiasi verità). Una parola grossa per indicare la sistematica distruzione del prodotto “vecchio” per far posto al “nuovo” sentito quale garanzia di identità, stato sociale, esercizio di libertà e benessere. Qui si annida il vizio. Anche in questo caso il male non sta nel consumo dei beni, quanto nello stravolgimento del senso e delle finalità dei beni prodotti: non più 12 l’ansia di non riuscire a difenderli abbastanza dall’infelicità, di non saperli comprendere, consapevoli di aver perso autorevolezza nella “vita liquida” del Terzo Millennio. Altro terreno di lontananza sono le nuove tecnologie, visto che i discendenti di Gutenberg ne sottovalutano i rischi. Uno su 5 ammette di conoscere poco o niente il mondo virtuale dei propri figli; eppure loro, i “nativi digitali”, sono monopolizzati da tv, pc e cellulari che usano senza cautela “socializzando” in rete persino con estranei (appena il 46% si connette con persone conosciute). Ad avvicinarli, invece, l’idea di scuola che dovrebbe preparare al mondo del lavoro (32%), far accrescere la cultura (26%), però con più attività pratiche secondo i pargoli e più lingue straniere secondo i grandi. Per entrambi, tuttavia, l’istruzione ideale (il 30% si annoia tra i banchi) è quella con docenti preparati che il 59% dei giovani non trova in cattedra. Se da un lato, poi, c’è il 60% dei minori che considera la scuola carente nel combattere le discriminazioni, dall’altro c’è anche un giovane su 10 che vorrebbe una classe senza stranieri. Quelli tra genitori e figli, insomma, sono due pianeti paralleli che di rado si sfiorano. Per accorciare la separatezza generazionale occorre seguire i minori con maggiore attenzione, perché c’è una quotidianità dei giovani che vale la pena osservare. Esiste un bisogno che va colmato imparando dai ragazzi, per insegnare meglio loro ad essere cittadini innanzitutto riaprendo quel canale di dialogo su tutto tra genitori e figli. Ragazzi trasgressivi ma i genitori non lo sanno Mai uno spinello, mai una trasgressione, mai una bugia. Almeno secondo mamma e papà, che si definiscono affettuosi e aperti al dialogo, ma severi. Loro, invece, dietro il viso d’angelo nascondono ai grandi i dubbi più imbarazzanti e le bravate, come pure il timore di restare soli o essere aggrediti. Eppure la casa resta ancora il porto sicuro e i genitori un modello di comportamento da imitare. I figli visti con gli occhi degli adulti sono il segno più evidente di quanto questi due mondi, in realtà, siano distanti. È proprio il confronto intergenerazionale la novità 2011 dell’indagine “Eurispes – Telefono” Azzurro che ha coinvolto 1500 ragazzi dai 12 ai 18 anni e i loro genitori. Parlano con i grandi, ma non di tutto. Sei ragazzi su dieci infatti non si confidano con i genitori, soprattutto su ciò che sanno non approverebbero; droghe, sesso, rischi di internet restano così ancora tabù nelle chiacchierate a tavola, ma gli adolescenti ne sono certi: nel bisogno si può ritornare all’ovile ricevendo aiuto (94%), visto che mamma e papà sanno sempre che cosa fare (82%). Nascondono che talvolta si ubriacano (28%) o che fanno uso di droghe (12%), perché la loro più grande paura è proprio deludere i genitori (20%), oltre che rimanere senza amici (19%) ed essere molestati (10%). Loro invece, negano con fermezza che i loro cuccioli consumino alcool (85%) e cannabis (94%), pur confessando (53%) Alessia 13 pieno della notte, nella via principale di Torri. Ed arriviamo al 1791, quando si ebbe una vera mattanza, forse dovuta a motivi d’interesse o ad antichi rancori. Con la Vicinia del 25 settembre di quell’anno il “nodaro criminalle” - una specie di medico legale - Gasparo Bernardi venne pagato con 81 troni e 2 soldi per la “visione” di tre persone assassinate, tutti Vedovelli di Albisano: erano Domenico, morto quasi subito per la ferita, e i figli Pietro e Giovanni, deceduti poche ore dopo il misfatto. Erano stati feriti il 1° aprile e assieme a loro era morto assassinato anche Giovanni Peretti, di 60 anni, il quale però scampò qualche settimana di più, perché fu sepolto il 25 aprile. Sulle rive del lago non era infrequente vedere piccole greggi di pecore, custodite da ragazzini che cercavano di combattere la noia costruendosi uno zufolo con un ramo di frassino, oppure, specialmente d’estate, rinfrescandosi nelle acque del lago. Probabilmente queste erano le abitudini anche di Bartolomeo Barbazeni, un pastorello di nove anni originario di San Zeno di Montagna ma poi trasferitosi con la famiglia a Pai, il quale, forse colpito da malore, annegò in un anno imprecisato del XVIII secolo. La stessa sorte toccò al trentasettenne Michele Madruzzi, il 18 agosto 1752, mentre tentava di portare aiuto a Giuseppe Zuliani, sorpreso in mezzo al lago da una forte tempesta: il suo cadavere non venne nemmeno più recuperato, mentre lo Zuliani riusciva a salvarsi. Qualche anno prima- il 20 febbraio 1744 - Claudio Fornari, di 49 anni, era precipitato dalla rupe che sovrasta la località di Tenài, nei pressi diBrancolino, rimanendo esanime sulla riva, dove fu trovato qualche tempo dopo. Pietro Pescetta, invece, di anni 45, faceva parte di un equipaggio con il remàt e stazionava nel Basso lago per la pesca delle sardéne; colto da malore, venne subito portato a terra a Sirmione, Fatti di Cronaca in Epoca Veneta Lo spoglio dei verbali delle Vicinie e di altri documenti di epoca veneta ci dà la possibilità di conoscere anche fatti di cronaca tragici, che scuotevano la vita quotidiana di Torri. Gli omicidi erano tutt’altro che rari e non mancavano neppure i suicidi, come ci ricorda don Lodovico Romanelli, parroco di Torri quando successe il fatto, il 22 luglio 1666: un certo Giovanni Bisani, di 55 anni, usuraio, si era tagliato la gola, forse - come presumeva il parroco- preso da disperazione per la sua vita dissoluta, e venne privato della sepoltura in terra benedetta, salvo, una settimana dopo, essere portato al cimitero. Sei anni prima Bartolomeo Marai, detto il “dedo”(o vecchio), era stato ucciso con un’archibugiata, mentre il 31 agosto 1735 venne ferito a morte da sconosciuti Taddeo Bisani, un povero mentecatto di 48 anni, e la stessa sorte toccò, il 28 gennaio 1743, al quarantasettenne Giobatta Zuliani. Quattro anni dopo, precisamente il 7 luglio del 1747, Gian Maria Gozzer, di 40 anni, venne ucciso attorno a mezzogiorno (“in meridie”). Altre notizie in merito non se ne hanno, ma il Gozzer potrebbe essere stato una delle vittime della lotta tra Torresani e Bresciani per il controllo delle Rive de le àole a nord del paese. Infatti, da documenti del tempo sappiamo che in quell’anno venne chiesta e ottenuta la conferma dei diritti della comunità di Torri su tali rive proprio per far cessare le continue usurpazioni tentate dai pescatori della sponda bresciana con “omecidije ... risse tantissime” . Quello stesso anno, il 13 febbraio, a Torri venne ucciso un certo Pietro Carletti, di Caprino. Il 28 novembre 1769 morì il ventenne Antonio Mazetti, dopo esser stato accoltellato qualche giorno prima, nel 14 n qualche bettola, ma lì morì poco dopo (l’8 marzo 1736). Nel 1745, il 7 agosto, giunse a Torri un reduce “a germanico exercitu”,un certo Giuseppe Bonmartini di 45 anni, originario diPazzon. Facilmente stava ritornando al suo paese perché ammalato, ma aggravatosi fu costretto a fermarsi a Torri, dove venne ospitato nell’osteria del Porto: due giorni dopo morì, senza riconciliarsi con Dio. La perturbazione atmosferica più temuta dai pescatori era la levà, il temporale estivo che sorge improvviso e violentissimo, scompigliando le reti e creando non poche difficoltà ai barcaioli. Nel 1852, ormai con gli Austriaci, trovarono la morte, sorpresi dalla levà e mai più trovati, quattro Torresani, Galetti Carlo padre e Galetti Carlo figlio, Fava Filippo e Fava Santo, provenienti da Toscolano dove si erano recati per degli acquisti. Giorgio Vedovelli DOMENICA 22 GENNAIO 2012 FESTA DEL BEATO UN’ORA DI ADORAZIONE EUCARISTICA GIUSEPPE NASCIMBENI CHI? ORE 18.00 TUTTI SONO INVITATI S. MESSA SOLENNE E PROCESSIONE QUANDO? L’ULTIMO MARTEDÌ DEL MESE ALLE ORE 20.30 DOVE? IN ORATORIO (VICINO ALLA CHIESA PARROCCHIALE) SONO TORNATI AL PADRE PERCHÈ? Parrocchia di Torri PER PREGARE PER LA COMUNITÀ MARIA FLAVIA LUIGI Caterina 15 APPUNTAMENTI SETTIMANALI GENNAIO 2012 OGNI DOMENICA ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO. OGNI LUNEDÌ ore 9.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI. OGNI MARTEDÌ ore 15.00: CATECHESI SCUOLA MEDIA. ore 15.00: CATECHISMO SCUOLA ELEMENTARE. OGNI GIOVEDÌ ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA. OGNI VENERDÌ ore 20.30: INCONTRO GRUPPO ADOLESCENTI. OGNI SABATO ore 15.00 - 18.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI DOMENICA MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO 1 SANTE MESSE VENERDÌ ORE 8.30 – 10.00 – 11.15 - 18.00 EPIFANIA DEL SIGNORE 6 SANTE MESSE ORE 8.30 – 10.00 – 11.15 - 18.00 BATTESIMO DI GESÙ DOMENICA 8 ANNIVERSARI DI BATTESIMO DOMENICA 15 GIORNATA DEL SEMINARIO DIOCESANO DOMENICA 22 FESTA DEL BEATO G. NASCIMBENI ORE 18.00 S. MESSA E PROCESSIONE CELEBRAZIONE DELLA LITURGIA PARROCCHIA DI TORRI ORARIO FESTIVO ORARIO FERIALE Sabato ore 17.00 Vespero ore 18.00 S. Messa Domenica ore ore ore ore ore 8.30 10.00 11.15 17.00 18.00 S. Messa S. Messa S. Messa Vespero S. Messa ore ore ore 7.00 Lodi 17.00 Vespero 18.00 S. Messa PARROCCHIA DI PAI ORARIO FESTIVO Sabato ore 19.30 Domenica ore 10.00 Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio La Redazione: Don Giuseppe Cacciatori – Daniela Pippa – Addea Cestari - Anna Menapace - Nuccia Renda – Rosanna Zanolli - William Baghini. Collaborazione fotografica: Mario Girardi / Impaginato da: Francesco Greco / Stampato da: Daniela Pippa