La pace sia con voi! Può essere un saluto, un augurio...o anche una

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La pace sia con voi! Può essere un saluto, un augurio...o anche una
Gennaio 2012 - Anno 14 (n° 158)
Mensile della
Comunità Parrocchiale di Torri del Benaco
La pace sia con voi! Può essere un
saluto, un augurio...o anche una
bugia. In realtà, la storia di questo
nuovo secolo appena iniziato, si
annunciava carica di promesse e di
speranze per l’uomo contemporaneo,
proteso verso conquiste sempre più
elevate nel progresso tecnico e
scientifico, invece ha dovuto segnare
subito il passo a motivo di tutta una
serie di aggressioni terroristiche
raccapriccianti, con il dilagare di
guerre e di conflitti e di violenze
d’ogni genere. Ogni anno sembra di
essere sempre di più nel profondo
della notte: intorno aleggiano male e
sofferenza, odio ed impostura. Siamo
ancora il popolo che cammina nelle
tenebre. C’è ancora tanto buio e
molto gelo che tentano di intorpidire il
cuore e l’intelligenza. Si è tentati
qualche volta di chiedersi se la nascita
del Bambino salvatore abbia davvero
dato un significato alla salvezza di
ognuno e del mondo. Non dobbiamo
darci per vinti. In mezzo a questa
nebbia fitta una luce continua
risplendere: è’ la Parola di Dio che ci
sostiene: non temere, non lasciarti
cadere le braccia! Il Signore tuo Dio
in mezzo a te, è un salvatore potente.
Ti rinnoverà con il suo amore…”. La
sete
di
gioia
e
di
pace,
e
il bisogno di fraternità e di speranza che
ancora vivono in tutti, non sono
un’attesa tormentosa ed inutile, come
hanno insegnato tante filosofie e
ideologie. Il Natale non è una
suggestione
sentimentale,
è
una
promessa reale, perché è una promessa
di Dio; non è solo nostalgia l’augurio
cantato dagli angeli nella notte santa:
“Sulla terra pace tra gli uomini che Dio
ama”. Per questo possiamo dire con
verità: La pace sia con te, la pace
sia con voi! Il buio della notte è
squarciato: “il popolo che camminava
nelle tenebre ha visto una grande luce”;
“Veniva nel mondo la Luce vera,
quella che illumina ogni uomo…la
Luce splende fra le tenebre…ma i suoi
non l’hanno accolta”; “A coloro che Lo
hanno accolto ha dato la possibilità di
diventare figli di Dio!”. Anche oggi c’è
tanta ostinazione di fronte alla luce,
tante porte restano chiuse; alcuni
uomini stentano a dire di sì a Dio. Si
vuole fare a meno di Dio. I risultati
sono quelli che vediamo, e allora si fa
fatica a costruire la pace. Tanti invece
Lo hanno accolto ieri come oggi e
cambiano il mondo. Il dono viene
offerto in continuità ed è quello
promesso nella notte di Betlemme:
“pace in terra…”. E’ Gesù che la offre:
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace”;
ed è per tutti: “Egli è la luce vera che
illumina ogni uomo”; la gioia, la pace
che porta è per tutta l’umanità, “per
tutto il popolo”, non ci sono
“esclusive”. Natale è il documento
dell’amore di Dio per tutta l’umanità.
Ma come per ogni dono, anche questo
ha le sue esigenze. Ha bisogno di
essere accolto e custodito. Il miracolo
del Natale si è compiuto e si compie
misteriosamente, anche nei frangenti
più tragici e dolorosi della storia: il
Bambino di Betlemme, povero tra i
poveri, è la risposta alle tenebre
dell’odio,
della
violenza,
della
disperazione. Più grande di ogni
scetticismo e di ogni indifferenza, la
fede umile del Natale riesce a
sostenere ogni assalto e a darci un
Natale nuovo, perché Cristo è la
novità sempre attuale. Gesù è con
noi, riceviamolo dalle braccia di Maria.
Dice San Bernardo: “Egli era un
pensiero di pace nel cuore del Padre;
è diventato la nostra pace tra le
braccia
della
Madre”,
Egli
è
veramente la nostra pace. La pace
sia con voi! Con tanti Auguri!
La Chiesa Cattolica
e le Tasse
E’ necessario fare subito chiarezza.
Quando parliamo di Chiesa Cattolica, ci
si riferisce a tutti i battezzati che si
riconoscono nell’autorità del Papa, il
vicario di Cristo sulla terra. In questo
senso noi siamo cittadini del mondo. E
forse per questo ci sentiamo a nostro
agio con tutti.
Fino a non molto tempo fa, quando si
parlava di italiani era sottinteso che
fossero cattolici. Oggi non è più così.
Ma tutto questo è solo un inciso, una
riflessione del momento.
Uno Stato è una comunità organizzata,
che
provvede
affinché
i
suoi
componenti
possano
vivere
decorosamente ed aver garantite le
libertà fondamentali. Tutto questo però
ha un costo, che deve essere suddiviso
fra i cittadini in “modo equo”.
Per la nostra Fede, non pagare le tasse
è un’omissione grave: è come rubare e
don Giuseppe
2
dette
ONLUS.
Molte
di
queste
associazioni sono laiche. Ne sono un
esempio la Croce Bianca di Torri del
Benaco, l’AMO di Bardolino, o l’AVIS a
livello nazionale.
Esaminiamo ora, nella brevità di cui
dispongo, il problema dell’esenzione
dall’ICI, quell’imposta, che dal 2012 si
chiamerà IMU.
Sono esenti da questa imposta gli uffici
pubblici: statali, regionali, comunali, i
fabbricati destinati ad attività culturali,
musei, pinacoteche, biblioteche, luoghi
di culto di tutte le religioni, oratori,
cinema parrocchiali. L’esenzione è
ammessa purché al possessore non
derivi alcun reddito dall’utilizzazione
dell’immobile. Se negli immobili di
proprietà
vengono
svolte
attività
commerciali, gli Enti religiosi devono
pagare e pagano regolarmente le tasse
dovute e per intero, anche se dentro di
essi vi è una Cappella, cioè un luogo di
culto per pregare.
In caso contrario sono passibili di
azioni giudiziarie come un qualsiasi
altro Ente o cittadino.
Finora non risultano prove autentiche
di evasioni eclatanti, ma solo allusioni
ed insinuazioni meschine.
Dov’è allora lo scandalo?
Lo scandalo è la Chiesa Cattolica, per il
semplice fatto che Essa esiste e che
annuncia quel messaggio di speranza,
che vuole, anche nell’attesa, tutti gli
uomini uguali nella dignità.
La
Chiesa
Cattolica
dà
fastidio.
Certamente!
Attraverso la parola di Gesù costringe
le
nostre
coscienze
ad
un
approfondimento serio ed impegnativo.
Distinguere fra ciò che è bene e ciò che
è male per l’uomo mette in crisi
l’equivoco del relativismo di chi degli
altri vorrebbe fregarsene.
Può darsi che fra questi vi si trovi
anche qualcuno che si qualifica
cattolico.
quando si ruba non è concessa
l’assoluzione, se non si restituisce il mal
tolto. E’ un principio, che vale da
sempre.
Spesso nel dibattere su presunte
evasioni fiscali e supposti privilegi c’è
una grande confusione, favorita per
disinformazione, se non per malizia,
anche da parte di prestigiose firme del
giornalismo italiano.
La Città del Vaticano, o semplicemente
il Vaticano, dal nome del colle su cui è
situata, è uno Stato indipendente,
riconosciuto da tutti gli Stati del
Mondo.
Partecipa
alle
Assemblee
dell’ONU come Osservatore, perché
non potrebbe mai intervenire o
condividere, ad esempio, un intervento
armato in Afganistan o le sanzioni alla
Siria. Il suo compito è quello di
promuovere la solidarietà e la pace fra
tutte le nazioni.
Nessuno oserebbe mai pretendere, ad
esempio, che i cittadini della Repubblica
di S. Marino, contribuiscano a pagare le
tasse degli italiani.
Non comprendo quindi tanta animosità
nei confronti della Santa Sede.
Il famoso otto per mille, che i
contribuenti destinano alla Chiesa
Cattolica, viene gestito dalla Cei, la
Conferenza
Episcopale
Italiana
(l’assemblea cioè, che rappresenta tutti
i Vescovi italiani) attraverso propri
Uffici istituiti allo scopo, e non certo dal
Papa o dal Vaticano.
Dell’otto per mille poi beneficiano, oltre
allo Stato italiano ed alla Chiesa
Cattolica,
anche
altre
confessioni
religiose. La maggioranza dei contributi
dell’otto per mille sono destinati alla
Chiesa Cattolica per il consenso, non
solo di quei pochi, che vanno a messa,
ma
di
molte
altre
persone,
probabilmente anche agnostiche o
atee, che si fidano però dei nostri
Vescovi.
Poi c’è un cinque per mille, che va a
beneficio
delle
più
svariate
organizzazioni di volontariato, le cosi
William
3
PREGHIERA PER LA FINE DELL’ANNO
Eccoci, Signore, davanti a te.
Col fiato grosso, dopo aver tanto camminato.
Ma se ci sentiamo sfiniti,
non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto,
o abbiamo coperto chi sa quali interminabili rettilinei.
È perché, purtroppo, molti passi,
li abbiamo consumati sulle nostre viottole,
e non sulle tue:
seguendo i tracciati involuti
della nostra testardaggine faccendiera,
e non le indicazioni della tua Parola;
confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre,
e non sui moduli semplici dell’abbandono fiducioso in te.
Forse mai, come in questo crepuscolo dell’anno,
sentiamo nostre le parole di Pietro:
«Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla».
Ad ogni modo,
vogliamo ringraziarti ugualmente.
Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di Te non possiamo far nulla.
Ci agitiamo soltanto.
Ma ci sono altri motivi, Signore,
che, al termine dell’anno, esigono il nostro rendimento di grazie.
Grazie, perché ci conservi nel tuo amore.
Perché continui ad avere fiducia in noi,
pur vedendo che tantissime altre persone
ti darebbero forse ben diverse soddisfazioni.
Grazie, perché non solo ci sopporti,
ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi.
Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi.
Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini.
Anzi, ci metti nell’anima un cosi vivo desiderio di ricupero,
che già vediamo il nuovo anno come spazio della speranza
e tempo propizio per sanare i nostri dissesti.
Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza.
Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza.
Donaci un futuro gravido di grazia e di luce
e di incontenibile amore per la vita.
Aiutaci a spendere per te tutto quello che abbiamo e che siamo.
E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore.
Fino alle lacrime.
don Tonino Bello, vescovo
4
Risposta alla lettera di una
quindicenne
mediatica una manifestazione pacifica
passerebbe
inosservata.
Conosco
ragazzi con opinioni forti, che ogni
giorno provano a farsi valere, siamo
tanti, siamo arrabbiati, ci soffocano le
grida in gola e nessuno ci ascolta:
“Tanto siamo solo ragazzi”. Cosa
dobbiamo fare?»
F. – 15 anni
Comincia Tu, Adesso
Risposta alla lettera:
“Cara F., la tua lettera mi giunge in un
momento in cui anche io mi chiedo:
cosa posso fare, posso ancora sperare,
a che serve lottare tutti i giorni a
scuola, scrivere, parlare? Anche io, a
volte, ho la tentazione di mollare. Poi
però puntuale arriva qualcuno a
risvegliarmi dal torpore sottile e
virulento del disfattismo. In questo
caso, insieme alla tua lettera, è stato il
discorso di Benedetto XVI per la
Giornata della Pace, nel quale dice che
la questione è educativa e i veri
protagonisti i giovani: «Vorrei dunque
presentare
il
Messaggio
in
una
prospettiva educativa: “Educare i
giovani alla giustizia e alla pace”, nella
convinzione che essi, con il loro
entusiasmo e la loro spinta ideale,
possono offrire una nuova speranza al
mondo». Come dici tu: dipende da te e
me. Lasciamo perdere quel teatrino di
fantocci e rimbocchiamoci le maniche
tu e io: ci saranno due furbi in meno.
Forse non risolveremo molto, e forse ci
prenderanno anche in giro, ma almeno
ci potremo guardare allo specchio,
sereni. Io voglio fare il possibile nello
spazio che mi è dato adesso: a scuola,
in famiglia, con gli amici, sui giornali,
nei libri che scrivo. «L’educazione è
l’avventura più affascinante e difficile
della vita. Educare significa condurre
fuori da se stessi per introdurre alla
realtà, verso una pienezza che fa
crescere la persona. Tale processo si
nutre dell’incontro di due libertà: la
responsabilità del discepolo, che deve
essere aperto a lasciarsi guidare alla
«Ho 15 anni e vedo il mondo andare a
rotoli. Diamo la colpa a politici,
banchieri... Io sono sicura che la colpa
invece è nostra. Ci arrabbiamo per
cose futili, piuttosto che farlo per cose
importanti.
E
sono
davvero
arrabbiata...
ognuno
di
noi
sta
gettando al vento le proprie speranze,
si parla di crisi, recessione, denaro,
potere, quando la gente avrebbe
bisogno di sentir parlare un po’ più di
amore. Ci stiamo sottomettendo come
animali in cattività, ci scanniamo l’un
l’altro, non siamo più consapevoli dei
nostri diritti e ci riesce facile dare la
colpa ad altri. Come mai riusciamo a
dare la nostra fiducia a fantocci che
appaiono in tv e non riusciamo a voler
bene alle persone che ci sono accanto?
Abbiamo pregiudizi, che ci avvelenano,
ci distruggono. Quello di cui ho bisogno
adesso forse sono parole di conforto,
qualcuno che mi dica che andrà tutto
bene e invece trovo soltanto persone
che si rassegnano, che credono che la
situazione
potrà
solo
peggiorare.
Probabilmente sarà così ma, caro
Alessandro, io le mie speranze non le
mollo. Lei cosa pensa che i giovani
debbano fare per farsi valere? Odio la
violenza e con questa manipolazione
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Messaggio del Papa per la
45 Giornata Mondiale della Pace
conoscenza della realtà, e quella
dell’educatore,
che
deve
essere
disposto a donare se stesso.
Per questo sono più che mai necessari
autentici
testimoni,
e
non
meri
dispensatori di regole e di informazioni;
testimoni che sappiano vedere più
lontano degli altri, perché la loro vita
abbraccia spazi più ampi. Il testimone è
colui che vive per primo il cammino che
propone».Vedi, qui siamo in gioco tu e
io. Io provo tutti i giorni a donare me
stesso in questa avventura, ed è
faticoso, spesso fallimentare, ma so
anche che la pienezza della mia vita
viene proprio dal donarsi. Io li vedo
quegli spazi più ampi, ma non in sogno,
li vedo realizzarsi giorno dopo giorno.
Solo l’amore, che tu invochi, è forte
come la morte: solo se io provo ad
amare i miei alunni, i miei colleghi, le
mie materie, riesco a sottrarre i miei
alunni, colleghi, materie, alla morte a
cui siamo tutti destinati.
E tu? «Anche i giovani devono avere il
coraggio di vivere prima di tutto essi
stessi ciò che chiedono a coloro che li
circondano». La tua lettera è già un
modo di farlo. Tu, F., non lasciare che
quel grido ti si blocchi in gola, e
comincia tu, nella tua scuola, nella tua
famiglia, nel tuo quartiere, insieme ai
tuoi amici.
È faticoso essere testimoni, F. A volte mi
chiedo chi me lo fa fare, ma poi penso
che ci sei tu: sei tu che me lo fai fare, e
fosse anche solo per te, io ricomincio. E
noi due saremo due «sentinelle che
aspettano l’aurora» di un mondo nuovo
che,
nel
nostro
piccolo,
avremo
contribuito a lasciar crescere.
Senza violenza, ma unendo le forze,
cambiando le cose dove possibile e
prendendo anche qualche sberla.
L’alternativa è dormire, F.: fregarcene.
Ma che noia è la vita senza ricerca
della verità, senza impegnare la
libertà, senza lotta, senza Dio.”
Alessandro D’Avenia
a
EDUCARE I GIOVANI
ALLA GIUSTIZIA E
ALLA PACE
L’inizio di un nuovo Anno, dono di Dio
all’umanità, mi invita a rivolgere a tutti,
con grande fiducia e affetto, uno speciale
augurio per questo tempo che ci sta
dinanzi,
perché
sia
concretamente
segnato dalla giustizia e dalla pace.
Con quale atteggiamento guardare al
nuovo anno? Nel Salmo 130 troviamo
una bellissima immagine. Il Salmista
dice che l’uomo di fede attende il
Signore «più che le sentinelle l’aurora»
(v. 6), lo attende con ferma speranza,
perché sa che porterà luce, misericordia,
salvezza.
Tale
attesa
nasce
dall’esperienza del popolo eletto, il quale
riconosce di essere educato da Dio a
guardare il mondo nella sua verità e a
non lasciarsi abbattere dalle tribolazioni.
Vi invito a guardare il 2012 con questo
atteggiamento fiducioso. È vero che
nell’anno che termina è cresciuto il
senso di frustrazione per la crisi che sta
assillando la società, il mondo del lavoro
e l’economia; una crisi le cui radici
sono anzitutto culturali e antropologiche.
(da Avvenire del 17 dicembre 2011)
6
Sembra quasi che una coltre di oscurità
sia scesa sul nostro tempo e non permetta
di vedere con chiarezza la luce del giorno.
In questa oscurità il cuore dell’uomo non
cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui
parla
il
Salmista.
Tale
attesa
è
particolarmente viva e visibile nei giovani,
ed è per questo che il mio pensiero si
rivolge a loro considerando il contributo che
possono e debbono offrire alla società.
Vorrei dunque presentare il Messaggio per
la XLV Giornata Mondiale della Pace in una
prospettiva educativa: «Educare i giovani
alla giustizia e alla pace», nella convinzione
che essi, con il loro entusiasmo e la loro
spinta ideale, possono offrire una nuova
speranza al mondo.
Il mio Messaggio si rivolge anche ai
genitori, alle famiglie, a tutte le
componenti educative, formative, come
pure ai responsabili nei vari ambiti della
vita religiosa, sociale, politica, economica,
culturale e della comunicazione. Essere
attenti al mondo giovanile, saperlo
ascoltare e valorizzare, non è solamente
un’opportunità, ma un dovere primario di
tutta la società, per la costruzione di un
futuro di giustizia e di pace.
Si tratta di comunicare ai giovani
l’apprezzamento per il valore positivo
della vita, suscitando in essi il desiderio
di spenderla al servizio del Bene. È un
compito, questo, in cui tutti siamo
impegnati in prima persona.
Le preoccupazioni manifestate da molti
giovani in questi ultimi tempi, in varie
Regioni del mondo, esprimono il desiderio
di poter guardare con speranza fondata
verso il futuro. Nel momento presente sono
molti gli aspetti che essi vivono con
apprensione: il desiderio di ricevere una
formazione che li prepari in modo più
profondo ad affrontare la realtà, la difficoltà
a formare una famiglia e a trovare un posto
stabile di lavoro, l’effettiva capacità di
contribuire al mondo della politica, della
cultura e dell’economia per la costruzione di
una società dal volto più umano e solidale.
È importante che questi fermenti e la
spinta ideale che contengono trovino la
dovuta attenzione in tutte le componenti
della società. La Chiesa guarda ai giovani
con speranza, ha fiducia in loro e li
incoraggia a ricercare la verità, a difendere
il bene comune, ad avere prospettive
aperte sul mondo e occhi capaci di vedere
«cose nuove» (Is 42,9; 48,6)!
I responsabili dell’educazione
L’educazione è l’avventura più affascinante
e difficile della vita. Educare – dal latino
educere – significa condurre fuori da se
stessi per introdurre alla realtà, verso una
pienezza che fa crescere la persona. Tale
processo si nutre dell’incontro di due
libertà, quella dell’adulto e quella del
giovane. Esso richiede la responsabilità del
discepolo, che deve essere aperto a
lasciarsi guidare alla conoscenza della
realtà, e quella dell’educatore, che deve
essere disposto a donare se stesso. Per
questo sono più che mai necessari
autentici
testimoni,
e
non
meri
dispensatori di regole e di informazioni;
testimoni che sappiano vedere più lontano
degli altri, perché la loro vita abbraccia
spazi più ampi. Il testimone è colui che
vive per primo il cammino che propone.
Quali sono i luoghi dove matura una
vera educazione alla pace e alla
giustizia? Anzitutto la famiglia, poiché i
genitori sono i primi educatori. La
famiglia è cellula originaria della società.
«È nella famiglia che i figli apprendono i
valori umani e cristiani che consentono
una convivenza costruttiva e pacifica. È
nella famiglia che essi imparano la
solidarietà fra le generazioni, il rispetto
delle regole, il perdono e l’accoglienza
dell’altro». Essa è la prima scuola dove
si viene educati alla giustizia e alla pace.
Viviamo in un mondo in cui la famiglia,
e
anche
la
vita
stessa,
sono
costantemente minacciate e, non di
rado,
frammentate.
Condizioni
di
lavoro spesso poco armonizzabili con le
responsabilità familiari, preoccupazioni
PARROCCHIA DI TORRI
È NATO SILVIO
Congratulazioni a
Mamma Nerina e a Papà Mario
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per il futuro, ritmi di vita frenetici,
migrazioni in cerca di un adeguato
sostentamento, se non della semplice
sopravvivenza, finiscono per rendere
difficile la possibilità di assicurare ai figli
uno dei beni più preziosi: la presenza dei
genitori; presenza che permetta una
sempre più profonda condivisione del
cammino,
per
poter
trasmettere
quell’esperienza
e
quelle
certezze
acquisite con gli anni, che solo con il
tempo trascorso insieme si possono
comunicare. Ai genitori desidero dire di
non perdersi d’animo! Con l’esempio
della loro vita esortino i figli a porre la
speranza anzitutto in Dio, da cui solo
sorgono giustizia e pace autentiche.
Vorrei rivolgermi anche ai responsabili
delle istituzioni che hanno compiti
educativi: veglino con grande senso di
responsabilità affinché la dignità di ogni
persona sia rispettata e valorizzata in
ogni circostanza. Abbiano cura che ogni
giovane possa scoprire la propria
vocazione, accompagnandolo nel far
fruttificare i doni che il Signore gli ha
accordato. Assicurino alle famiglie che i
loro figli possano avere un cammino
formativo non in contrasto con la loro
coscienza e i loro principi religiosi.
Ogni ambiente educativo possa essere
luogo di apertura al trascendente e agli
altri; luogo di dialogo, di coesione e di
ascolto, in cui il giovane si senta
valorizzato nelle proprie potenzialità e
ricchezze
interiori,
e
impari
ad
apprezzare i fratelli. Possa insegnare a
gustare la gioia che scaturisce dal vivere
giorno per giorno la carità e la
compassione verso il prossimo e dal
partecipare attivamente alla costruzione
di una società più umana e fraterna.
Mi rivolgo poi ai responsabili politici,
chiedendo loro di aiutare concretamente
le famiglie e le istituzioni educative ad
esercitare il loro diritto-dovere di
educare. Non deve mai mancare un
adeguato supporto alla maternità e alla
paternità. Facciano in modo che a
nessuno
sia
negato
l’accesso
all’istruzione e che le famiglie possano
scegliere
liberamente
le
strutture
educative ritenute più idonee per il bene
dei propri figli. Si impegnino a favorire il
ricongiungimento di quelle famiglie che
sono divise dalla necessità di trovare
mezzi di sussistenza. Offrano ai giovani
un’immagine limpida della politica, come
vero servizio per il bene di tutti.
Non posso, inoltre, non appellarmi al
mondo dei media affinché dia il suo
contributo
educativo.
Nell’odierna
società, i mezzi di comunicazione di
massa hanno un ruolo particolare: non
solo informano, ma anche formano lo
spirito dei loro destinatari e quindi
possono dare un apporto notevole
all’educazione dei giovani. È importante
tenere presente che il legame tra
educazione
e
comunicazione
è
strettissimo: l’educazione avviene infatti
per mezzo della comunicazione, che
influisce,
positivamente
o
negativamente, sulla formazione della
persona.
Anche i giovani devono avere il coraggio
di vivere prima di tutto essi stessi ciò che
chiedono a coloro che li circondano. È
una grande responsabilità quella che li
riguarda: abbiano la forza di fare un uso
buono e consapevole della libertà.
Anch’essi sono responsabili della propria
educazione e formazione alla giustizia e
alla pace!
Educare alla verità e alla libertà
Sant’Agostino si domandava: «Quid
enim fortius desiderat anima quam
veritatem? – Che cosa desidera l’uomo
più fortemente della verità?». Il volto
umano di una società dipende molto dal
contributo dell’educazione a mantenere
viva
tale
insopprimibile
domanda.
L’educazione,
infatti,
riguarda
la
formazione integrale della persona,
inclusa la dimensione morale e spirituale
dell’essere, in vista del suo fine ultimo e
del bene della società di cui è membro.
Perciò, per educare alla verità occorre
innanzitutto sapere chi è la persona
umana,
conoscerne
la
natura.
Contemplando la realtà che lo circonda,
il Salmista riflette: «Quando vedo i tuoi
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cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu
hai fissato, che cosa è
mai l’uomo perché di lui
ti
ricordi,
il
figlio
dell’uomo, perché te ne
curi?» (Sal 8,4-5). È
questa
la
domanda
fondamentale da porsi:
chi è l’uomo? L’uomo è
un essere che porta nel
cuore una sete di infinito,
una sete di verità – non
parziale, ma capace di
spiegare il senso della
vita – perché è stato
creato a immagine e
somiglianza di Dio. Riconoscere allora
con gratitudine la vita come dono
inestimabile, conduce a scoprire la
propria dignità profonda e l’inviolabilità
di ogni persona. Perciò, la prima
educazione consiste nell’imparare a
riconoscere nell’uomo l’immagine del
Creatore e, di conseguenza, ad avere un
profondo rispetto per ogni essere umano
e aiutare gli altri a realizzare una vita
conforme a questa altissima dignità. Non
bisogna dimenticare mai che «l’autentico
sviluppo
dell’uomo
riguarda
unitariamente la totalità della persona in
ogni sua dimensione», inclusa quella
trascendente, e che non si può
sacrificare la persona per raggiungere un
bene particolare, sia esso economico o
sociale, individuale o collettivo.
Solo nella relazione con Dio l’uomo
comprende anche il significato della
propria
libertà.
Ed
è
compito
dell’educazione
quello
di
formare
all’autentica libertà. Questa non è
l’assenza di vincoli o il dominio del libero
arbitrio, non è l’assolutismo dell’io.
L’uomo che crede di essere assoluto, di
non dipendere da niente e da nessuno,
di poter fare tutto ciò che vuole, finisce
per contraddire la verità del proprio
essere e per perdere la sua libertà.
L’uomo, invece, è un essere relazionale,
che vive in rapporto con gli altri e,
soprattutto, con Dio. L’autentica libertà
non
può
mai
essere
raggiunta
nell’allontanamento da Lui.
La libertà è un valore prezioso, ma
delicato; può essere fraintesa e usata
male. «Oggi un ostacolo particolarmente
insidioso all’opera educativa è costituito
dalla massiccia presenza, nella nostra
società e cultura, di quel relativismo che,
non riconoscendo nulla come definitivo,
lascia come ultima misura solo il proprio
io con le sue voglie, e sotto l’apparenza
della libertà diventa per ciascuno una
prigione, perché separa l’uno dall’altro,
riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso
dentro il proprio “io”. Dentro ad un tale
orizzonte relativistico non è possibile,
quindi, una vera educazione: senza la
luce della verità prima o poi ogni
persona è infatti condannata a dubitare
della bontà della stessa vita e dei
rapporti che la costituiscono, della
validità del suo impegno per costruire
con gli altri qualcosa in comune».
Per esercitare la sua libertà, l’uomo deve
dunque superare l’orizzonte relativistico
e conoscere la verità su se stesso e la
verità circa il bene e il male. Nell’intimo
della coscienza l’uomo scopre una legge
che non è lui a darsi, ma alla quale
invece deve obbedire e la cui voce lo
chiama ad amare e a fare il bene e a
fuggire il male, ad assumere a
responsabilità del bene compiuto e del
male commesso. Per questo, l’esercizio
della libertà è intimamente connesso alla
legge morale naturale, che ha carattere
9
universale, esprime la dignità di ogni
persona, pone la base dei suoi diritti e
doveri fondamentali, e dunque, in ultima
analisi, della convivenza giusta e pacifica
fra le persone.
Il retto uso della libertà è dunque centrale
nella promozione della giustizia e della
pace, che richiedono il rispetto per se
stessi e per l’altro, anche se lontano dal
proprio modo di essere e di vivere. Da
tale
atteggiamento
scaturiscono
gli
elementi senza i quali pace e giustizia
rimangono parole prive di contenuto: la
fiducia reciproca, la capacità di tessere un
dialogo costruttivo, la possibilità del
perdono, che tante volte si vorrebbe
ottenere ma che si fa fatica a concedere,
la carità reciproca, la compassione nei
confronti dei più deboli, come pure la
disponibilità al sacrificio.
La carità manifesta sempre anche nelle
relazioni umane l’amore di Dio, essa dà
valore teologale e salvifico a ogni
impegno di giustizia nel mondo».
«Beati quelli che hanno fame e sete della
giustizia, perché saranno saziati» (Mt
5,6). Saranno saziati perché hanno fame
e sete di relazioni rette con Dio, con se
stessi, con i loro fratelli e sorelle, e con
l’intero creato.
Educare alla giustizia
Nel nostro mondo, in cui il valore della
persona, della sua dignità e dei suoi
diritti, al di là delle proclamazioni di
intenti, è seriamente minacciato dalla
diffusa
tendenza
a
ricorrere
esclusivamente ai criteri dell’utilità, del
profitto e dell’avere, è importante non
separare il concetto di giustizia dalle sue
radici trascendenti. La giustizia, infatti,
non è una semplice convenzione umana,
poiché ciò che è giusto non è
originariamente determinato dalla legge
positiva,
ma
dall’identità
profonda
dell’essere umano. È la visione integrale
dell’uomo che permette di non cadere in
una concezione contrattualistica della
giustizia e di aprire anche per essa
l’orizzonte della solidarietà e dell’amore.
Non possiamo ignorare che certe
correnti
della
cultura
moderna,
sostenute
da
principi
economici
razionalistici e individualisti, hanno
alienato il concetto di giustizia dalle sue
radici trascendenti, separandolo dalla
carità e dalla solidarietà: «La “città
dell’uomo” non è promossa solo da
rapporti di diritti e di doveri, ma ancor
più e ancor prima da relazioni di
gratuità, di misericordia e di comunione.
Educare alla pace
«La pace non è la semplice assenza di
guerra e non può ridursi ad assicurare
l’equilibrio delle forze contrastanti. La
pace non si può ottenere sulla terra
senza la tutela dei beni delle persone, la
libera comunicazione tra gli esseri umani,
il rispetto della dignità delle persone e
dei
popoli,
l’assidua
pratica
della
fratellanza». La pace è frutto della
giustizia ed effetto della carità.
La pace è anzitutto dono di Dio. Noi
cristiani crediamo che Cristo è la nostra
vera pace: in Lui, nella sua Croce, Dio ha
riconciliato a Sé il mondo e ha distrutto
le barriere che ci separavano gli uni dagli
altri (cfr Ef 2,14-18); in Lui c’è un’unica
famiglia riconciliata nell’amore.
Ma la pace non è soltanto dono da
ricevere, bensì anche opera da costruire.
Per essere veramente operatori di pace,
dobbiamo educarci alla compassione, alla
solidarietà, alla collaborazione, alla
fraternità, essere attivi all’interno della
comunità e vigili nel destare le coscienze
10
sulle questioni nazionali ed internazionali
e sull’importanza di ricercare adeguate
modalità
di
ridistribuzione
della
ricchezza, di promozione della crescita, di
cooperazione
allo
sviluppo
e
di
risoluzione dei conflitti. «Beati gli
operatori di pace, perché saranno
chiamati figli di Dio», dice Gesù nel
discorso della montagna (Mt 5,9).
La pace per tutti nasce dalla giustizia di
ciascuno e nessuno può eludere questo
impegno essenziale di promuovere la
giustizia, secondo le proprie competenze
e responsabilità. Invito in particolare i
giovani, che hanno sempre viva la
tensione verso gli ideali, ad avere la
pazienza e la tenacia di ricercare la
giustizia e la pace, di coltivare il gusto
per ciò che è giusto e vero, anche
quando ciò può comportare sacrificio e
andare controcorrente.
crede, tutto spera, tutto sopporta (cfr 1
Cor 13,1-13).
Cari giovani, voi siete un dono prezioso
per la società. Non lasciatevi prendere
dallo scoraggiamento di fronte alle
difficoltà e non abbandonatevi a false
soluzioni, che spesso si presentano come
la via più facile per superare i problemi.
Non abbiate paura di impegnarvi, di
affrontare la fatica e il sacrificio, di
scegliere le vie che richiedono fedeltà e
costanza, umiltà e dedizione. Vivete con
fiducia la vostra giovinezza e quei profondi
desideri che provate di felicità, di verità, di
bellezza e di amore vero! Vivete
intensamente questa stagione della vita
così ricca e piena di entusiasmo.
Siate coscienti di essere voi stessi di
esempio e di stimolo per gli adulti, e lo
sarete quanto più vi sforzate di superare
le ingiustizie e la corruzione, quanto più
desiderate un futuro migliore e vi
impegnate a costruirlo. Siate consapevoli
delle vostre potenzialità e non chiudetevi
mai in voi stessi, ma sappiate lavorare
per un futuro più luminoso per tutti. Non
siete mai soli. La Chiesa ha fiducia in
voi, vi segue, vi incoraggia e desidera
offrirvi quanto ha di più prezioso: la
possibilità di alzare gli occhi a Dio, di
incontrare Gesù Cristo, Colui che è la
giustizia e la pace.
A voi tutti, uomini e donne che avete a
cuore la causa della pace! La pace non è
un bene già raggiunto, ma una meta a
cui tutti e ciascuno dobbiamo aspirare.
Guardiamo con maggiore speranza al
futuro, incoraggiamoci a vicenda nel
nostro cammino, lavoriamo per dare al
nostro mondo un volto più umano e
fraterno,
e
sentiamoci
uniti
nella
responsabilità
verso
le
giovani
generazioni
presenti
e
future,
in
particolare
nell’educarle
ad
essere
pacifiche e artefici di pace.
È sulla base di tale consapevolezza che vi
invio queste riflessioni e vi rivolgo il mio
appello: uniamo le nostre forze, spirituali,
morali e materiali, per «educare i giovani
alla giustizia e alla pace».
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2011
BENEDETTO XVI
Alzare gli occhi a Dio
Di fronte alla difficile sfida di percorrere
le vie della giustizia e della pace
possiamo essere tentati di chiederci,
come il Salmista: «Alzo gli occhi verso i
monti: da dove mi verrà l’aiuto?» (Sal
121,1).
A tutti, in particolare ai giovani, voglio
dire con forza: «Non sono le ideologie
che salvano il mondo, ma soltanto il
volgersi al Dio vivente, che è il nostro
creatore, il garante della nostra libertà, il
garante di ciò che è veramente buono e
vero… il volgersi senza riserve a Dio che
è la misura di ciò che è giusto e allo
stesso tempo è l’amore eterno. E che
cosa mai potrebbe salvarci se non
l’amore?». L’amore si compiace della
verità, è la forza che rende capaci di
impegnarsi per la verità, per la giustizia,
per la pace, perché tutto copre, tutto
HANNO RICEVUTO IL BATTESIMO
Parrocchia di Torri
SOFIA
Parrocchia di Pai
AMANDA MARIA
MARTINO
11
mezzi, bensì fini cui affidare la
propria autorealizzazione. Il tempo di
apparire. Nel tempo del consumismo
le identità personali si consumano nel
volgere di una stagione. É il prezzo
dell’apparire ad ogni costo. Vivere in
apparenza
significa
percepirsi,
guardarsi, considerarsi con gli occhi
degli altri. Adeguarsi allo sguardo
esterno, alle mode, ai prodotti di
tendenza diviene essenziale per
riproporsi sulla scena di questo mondo
in modo interessante. Si finisce di
vivere come su un palcoscenico
rappresentando sé stessi, la propria
identità secondo copioni imposti da
sempre nuovi trend. Questa è libertà?
Visto che il mercato offre mille
possibilità di scelta, non è questo il
trionfo della libertà, di poter essere sé
stessi e porsi nella vita come si vuole?
Qui sta la perfidia del vizio! Illudere di
essere
liberi,
mentre
si
viene
risucchiati da un sistema usa e getta.
Quante relazioni sono vissute come
“prodotti”
usa
e
getta.
Quanti
matrimoni,
quante
esperienze
affettive, partite con il vento in poppa
verso un amore eterno, sono state
consumate, cioè usate e gettate nel
giro di poco tempo! E’ questa la
libertà che realizza una vita o non è
piuttosto il collasso della libertà!
Quanto si può dire libero chi si lascia
pilotare dalle mutevoli novità del
mercato e delle mode? Occorre
criticare per educare ai grandi temi
dell’uomo. Non si tratta di fare i
moralisti a buon mercato, ma di
criticare per educare, poiché il nostro è
il tempo, come si dice, dell’emergenza
educativa, vale a dire della ripresa
critica dei grandi temi dell’uomo per
passare dalla quantità delle cose alla
qualità della vita. Perché non iniziare
dal Vangelo, la grande Parola che non
passa mai di moda?
Gianfranco
Eppure c’è, anche in tempo di crisi
Un Vizio Nuovo:
il Consumismo
Un vizio nuovo è il consumismo. La
società dei consumi crea non pochi
scompensi… difficile dire se resisterà
e a che prezzo. Ancor più difficile
indovinare che cosa potrà succedere
al pianeta quando il consumismo sarà
globalizzato. Fin da piccoli si cresce
in un sistema che inculca voglie,
desideri, tensioni ad avere sempre “il
più nuovo” per apparire di più. Si
pensa di rendere felice un bambino
coprendolo di nuovi giocattoli. Gli
adulti, a loro volta sentono di essere
di più sfoggiando il modello più
sofisticato di cellulare, di computer
fino ai calzini più “in” del momento.
Risultato? Case con stanze ingolfate
di “cose” spesso superflue quanto
inutili. Ciò che rende il consumo
consumismo cioè “vizio” non è
l’acquisto di oggetti, fosse anche per
il piacere di adoperarli, ma l’averli
con
una
mentalità
“nichilista”
(=dottrina filosofica che nega la
consistenza di qualsiasi valore e
l’esistenza di qualsiasi verità). Una
parola
grossa
per
indicare
la
sistematica distruzione del prodotto
“vecchio” per far posto al “nuovo”
sentito quale garanzia di identità,
stato sociale, esercizio di libertà e
benessere. Qui si annida il vizio.
Anche in questo caso il male non sta
nel consumo dei beni, quanto nello
stravolgimento del senso e delle
finalità dei beni prodotti: non più
12
l’ansia di non riuscire a difenderli
abbastanza dall’infelicità, di non
saperli comprendere, consapevoli di
aver perso autorevolezza nella “vita
liquida” del Terzo Millennio. Altro
terreno di lontananza sono le nuove
tecnologie, visto che i discendenti di
Gutenberg ne sottovalutano i rischi.
Uno su 5 ammette di conoscere poco
o niente il mondo virtuale dei propri
figli; eppure loro, i “nativi digitali”,
sono monopolizzati da tv, pc e
cellulari che usano senza cautela
“socializzando” in rete persino con
estranei (appena il 46% si connette
con
persone
conosciute).
Ad
avvicinarli, invece, l’idea di scuola
che dovrebbe preparare al mondo del
lavoro (32%), far accrescere la
cultura (26%), però con più attività
pratiche secondo i pargoli e più
lingue straniere secondo i grandi. Per
entrambi, tuttavia, l’istruzione ideale
(il 30% si annoia tra i banchi) è
quella con docenti preparati che il
59% dei giovani non trova in
cattedra. Se da un lato, poi, c’è il
60% dei minori che considera la
scuola carente nel combattere le
discriminazioni, dall’altro c’è anche
un giovane su 10 che vorrebbe una
classe senza stranieri. Quelli tra
genitori e figli, insomma, sono due
pianeti paralleli che di rado si
sfiorano.
Per
accorciare
la
separatezza generazionale occorre
seguire i minori con maggiore
attenzione,
perché
c’è
una
quotidianità dei giovani che vale la
pena osservare. Esiste un bisogno
che va colmato imparando dai
ragazzi, per insegnare meglio loro ad
essere cittadini innanzitutto riaprendo
quel canale di dialogo su tutto tra
genitori e figli.
Ragazzi trasgressivi
ma i genitori non
lo sanno
Mai
uno
spinello,
mai
una
trasgressione, mai una bugia. Almeno
secondo mamma e papà, che si
definiscono affettuosi e aperti al
dialogo, ma severi. Loro, invece,
dietro il viso d’angelo nascondono ai
grandi i dubbi più imbarazzanti e le
bravate, come pure il timore di
restare soli o essere aggrediti.
Eppure la casa resta ancora il porto
sicuro e i genitori un modello di
comportamento da imitare. I figli visti
con gli occhi degli adulti sono il segno
più evidente di quanto questi due
mondi, in realtà, siano distanti.
È
proprio
il
confronto
intergenerazionale la novità 2011
dell’indagine “Eurispes – Telefono”
Azzurro che ha coinvolto 1500 ragazzi
dai 12 ai 18 anni e i loro genitori.
Parlano con i grandi, ma non di
tutto. Sei ragazzi su dieci infatti non
si
confidano
con
i
genitori,
soprattutto su ciò che sanno non
approverebbero; droghe, sesso, rischi
di internet restano così ancora tabù
nelle chiacchierate a tavola, ma gli
adolescenti ne sono certi: nel bisogno
si può ritornare all’ovile ricevendo
aiuto (94%), visto che mamma e
papà sanno sempre che cosa fare
(82%). Nascondono che talvolta si
ubriacano (28%) o che fanno uso di
droghe (12%), perché la loro più
grande paura è proprio deludere i
genitori (20%), oltre che rimanere
senza
amici
(19%)
ed
essere
molestati (10%). Loro invece, negano
con fermezza che i loro cuccioli
consumino alcool (85%) e cannabis
(94%),
pur
confessando
(53%)
Alessia
13
pieno della notte, nella via principale di
Torri.
Ed arriviamo al 1791, quando si ebbe una
vera mattanza, forse dovuta a motivi
d’interesse o ad antichi rancori. Con la
Vicinia del 25 settembre di quell’anno il
“nodaro criminalle” - una specie di
medico legale - Gasparo Bernardi venne
pagato con 81 troni e 2 soldi per la
“visione” di tre persone assassinate, tutti
Vedovelli di Albisano: erano Domenico,
morto quasi subito per la ferita, e i figli
Pietro e Giovanni, deceduti poche ore
dopo il misfatto. Erano stati feriti il 1°
aprile e assieme a loro era morto
assassinato anche Giovanni Peretti, di 60
anni, il quale però scampò qualche
settimana di più, perché fu sepolto il 25
aprile.
Sulle rive del lago non era infrequente
vedere piccole greggi di pecore, custodite
da ragazzini che cercavano di combattere
la noia costruendosi uno zufolo con un
ramo di frassino, oppure, specialmente
d’estate, rinfrescandosi nelle acque del
lago.
Probabilmente queste erano le abitudini
anche di Bartolomeo Barbazeni, un
pastorello di nove anni originario di San
Zeno di Montagna ma poi trasferitosi con
la famiglia a Pai, il quale, forse colpito da
malore, annegò in un anno imprecisato
del XVIII secolo.
La stessa sorte toccò al trentasettenne
Michele Madruzzi, il 18 agosto 1752,
mentre tentava di portare aiuto a
Giuseppe Zuliani, sorpreso in mezzo al
lago da una forte tempesta: il suo
cadavere non venne nemmeno più
recuperato, mentre lo Zuliani riusciva a
salvarsi.
Qualche anno prima- il 20 febbraio 1744
- Claudio Fornari, di 49 anni, era
precipitato dalla rupe che sovrasta la
località di Tenài, nei pressi diBrancolino,
rimanendo esanime sulla riva, dove fu
trovato qualche tempo dopo.
Pietro Pescetta, invece, di anni 45,
faceva parte di un equipaggio con il
remàt e stazionava nel Basso lago per la
pesca delle sardéne; colto da malore,
venne subito portato a terra a Sirmione,
Fatti di Cronaca
in Epoca Veneta
Lo spoglio dei verbali delle Vicinie e di
altri documenti di epoca veneta ci dà la
possibilità di conoscere anche fatti di
cronaca tragici, che scuotevano la vita
quotidiana di Torri.
Gli omicidi erano tutt’altro che rari e non
mancavano neppure i suicidi, come ci
ricorda don Lodovico Romanelli, parroco
di Torri quando successe il fatto, il 22
luglio 1666: un certo Giovanni Bisani, di
55 anni, usuraio, si era tagliato la gola,
forse - come presumeva il parroco- preso
da disperazione per la sua vita dissoluta,
e venne privato della sepoltura in terra
benedetta, salvo, una settimana dopo,
essere portato al cimitero.
Sei anni prima Bartolomeo Marai, detto il
“dedo”(o vecchio), era stato ucciso con
un’archibugiata, mentre il 31 agosto
1735 venne ferito a morte da sconosciuti
Taddeo Bisani, un povero mentecatto di
48 anni, e la stessa sorte toccò, il 28
gennaio
1743,
al
quarantasettenne
Giobatta Zuliani.
Quattro anni dopo, precisamente il 7
luglio del 1747, Gian Maria Gozzer, di 40
anni, venne ucciso attorno a mezzogiorno
(“in meridie”). Altre notizie in merito non
se ne hanno, ma il Gozzer potrebbe
essere stato una delle vittime della lotta
tra Torresani e Bresciani per il controllo
delle Rive de le àole a nord del paese.
Infatti,
da
documenti
del
tempo
sappiamo che in quell’anno venne chiesta
e ottenuta la conferma dei diritti della
comunità di Torri su tali rive proprio per
far cessare le continue usurpazioni
tentate dai pescatori della sponda
bresciana con “omecidije ... risse
tantissime” .
Quello stesso anno, il 13 febbraio, a Torri
venne ucciso un certo Pietro Carletti, di
Caprino.
Il 28 novembre 1769 morì il ventenne
Antonio Mazetti, dopo esser stato
accoltellato qualche giorno prima, nel
14
n qualche bettola, ma lì morì poco dopo
(l’8 marzo 1736).
Nel 1745, il 7 agosto, giunse a Torri un
reduce “a germanico exercitu”,un certo
Giuseppe
Bonmartini
di
45
anni,
originario diPazzon. Facilmente stava
ritornando
al
suo
paese
perché
ammalato, ma aggravatosi fu costretto a
fermarsi a Torri, dove venne ospitato
nell’osteria del Porto: due giorni dopo
morì, senza riconciliarsi con Dio.
La perturbazione atmosferica più temuta
dai pescatori era la levà, il temporale
estivo
che
sorge
improvviso
e
violentissimo, scompigliando le reti e
creando non poche difficoltà ai barcaioli.
Nel 1852, ormai con gli Austriaci,
trovarono la morte, sorpresi dalla levà e
mai più trovati, quattro Torresani, Galetti
Carlo padre e Galetti Carlo figlio, Fava
Filippo e Fava Santo, provenienti da
Toscolano dove si erano recati per degli
acquisti.
Giorgio Vedovelli
DOMENICA 22 GENNAIO 2012
FESTA DEL BEATO
UN’ORA DI ADORAZIONE
EUCARISTICA
GIUSEPPE NASCIMBENI
CHI?
ORE 18.00
TUTTI SONO INVITATI
S. MESSA SOLENNE
E
PROCESSIONE
QUANDO?
L’ULTIMO MARTEDÌ DEL
MESE ALLE ORE 20.30
DOVE?
IN ORATORIO (VICINO ALLA
CHIESA PARROCCHIALE)
SONO TORNATI AL PADRE
PERCHÈ?
Parrocchia
di Torri
PER PREGARE PER LA
COMUNITÀ
MARIA
FLAVIA
LUIGI
Caterina
15
APPUNTAMENTI SETTIMANALI GENNAIO 2012
OGNI DOMENICA
ore 10.00: S. MESSA DELLE FAMIGLIE
ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CANTO DEL VESPERO.
OGNI LUNEDÌ
ore 9.00-12.00: ADORAZIONE EUCARISTICA E CONFESSIONI.
OGNI MARTEDÌ
ore 15.00: CATECHESI SCUOLA MEDIA.
ore 15.00: CATECHISMO SCUOLA ELEMENTARE.
OGNI GIOVEDÌ
ore 17.00: ADORAZIONE EUCARISTICA.
OGNI VENERDÌ
ore 20.30: INCONTRO GRUPPO ADOLESCENTI.
OGNI SABATO
ore 15.00 - 18.00: TEMPO PER LE CONFESSIONI
DOMENICA
MARIA SANTISSIMA MADRE DI DIO
1
SANTE MESSE
VENERDÌ
ORE 8.30 – 10.00 – 11.15 - 18.00
EPIFANIA DEL SIGNORE
6
SANTE MESSE
ORE 8.30 – 10.00 – 11.15 - 18.00
BATTESIMO DI GESÙ
DOMENICA
8
ANNIVERSARI DI BATTESIMO
DOMENICA
15
GIORNATA DEL SEMINARIO DIOCESANO
DOMENICA
22
FESTA DEL BEATO G. NASCIMBENI
ORE 18.00 S. MESSA E PROCESSIONE
CELEBRAZIONE DELLA LITURGIA
PARROCCHIA DI TORRI
ORARIO FESTIVO
ORARIO FERIALE
Sabato
ore 17.00 Vespero
ore 18.00 S. Messa
Domenica
ore
ore
ore
ore
ore
8.30
10.00
11.15
17.00
18.00
S. Messa
S. Messa
S. Messa
Vespero
S. Messa
ore
ore
ore
7.00 Lodi
17.00 Vespero
18.00 S. Messa
PARROCCHIA DI PAI
ORARIO FESTIVO
Sabato
ore 19.30
Domenica ore 10.00
Bollettino di informazione Parrocchiale stampato in proprio
La Redazione: Don Giuseppe Cacciatori – Daniela Pippa – Addea Cestari - Anna Menapace - Nuccia Renda – Rosanna Zanolli - William Baghini.
Collaborazione fotografica: Mario Girardi / Impaginato da: Francesco Greco / Stampato da: Daniela Pippa