la nozIone dI ImprendItore
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la nozIone dI ImprendItore
1 la nozione di imprenditore 1 Imprenditore e impresa Il codice civile non fornisce una definizione di impresa, ma delinea, all’art. 2082, i tratti caratterizzanti la figura dell’imprenditore e fa ruotare attorno a tale figura tutta la disciplina delle attività economiche. Tale disciplina, come vedremo nel prossimo capitolo, non è unitaria, in quanto esistono diverse categorie imprenditoriali, classificate utilizzando tre criteri: – un criterio qualitativo, che, sulla base dell’attività svolta, permette di distinguere tra imprenditore commerciale (art. 2195 c.c.) e imprenditore agricolo (art. 2135 c.c.); – un criterio quantitativo, che tiene conto delle dimensioni dell’impresa e di alcune caratteristiche della sua attività e che permette di individuare la figura del piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.); – un criterio personale, che, sulla base della natura del soggetto che esercita l’attività di impresa, determina la ripartizione tra impresa individuale, impresa collettiva e impresa pubblica. Per acquistare la qualifica di imprenditore è necessario, in ogni caso, che sussistano i presupposti delineati dall’art. 2082 c.c. ed è pertanto da questa disposizione che è opportuno partire. 2 Categorie imprenditoriali La nozione di imprenditore L’articolo 2082 c.c., infatti, espressamente richiede lo svolgimento di una attività caratterizzata sia dal perseguimento di uno specifico fine (la produ- Capitolo 1 Il codice civile fornisce all’articolo 2082 la nozione generale di imprenditore: è imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Da questa definizione si evincono i requisiti minimi necessari affinché un dato soggetto sia considerato imprenditore e pertanto sia sottoposto alla relativa disciplina. 17 L’imprenditore e l’impresa zione o lo scambio di beni o servizi) sia dall’esistenza di specifiche modalità di svolgimento (professionalità, organizzazione, economicità). Requisiti I requisiti che individuano l’imprenditore sono, dunque: – esercizio di un’attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi ossia esercizio di un’attività produttiva; – esercizio di un’attività economica; – esercizio professionale di tale attività; – organizzazione di uomini e mezzi. Prima del 1942 esistevano due diversi codici di diritto privato e precisamente il codice civile del 1865 e il codice di commercio del 1882. Quest’ultimo delineava all’articolo 8 la figura giuridica del commerciante; rientravano in questa categoria tutti coloro che esercitavano atti di commercio per professione abituale e le società commerciali. Per atti di commercio si intendeva qualsiasi attività speculativa, cioè diretta al conseguimento di un profitto. Con l’entrata in vigore del codice civile del 1942 scompare la categoria degli atti di commercio e la figura del commerciante viene sostituita da quella dell’imprenditore; il commerciante, inteso come colui che svolge un’attività di scambio di beni (si pensi al giornalaio o al rivenditore di auto), diventa una possibile sottocategoria di imprenditore, se di quest’ultimo presenta i caratteri. Nozione di impresa Dalla definizione di imprenditore è facilmente ricavabile la nozione di impresa: quest’ultima è, infatti, l’attività dell’imprenditore ed in quanto tale deve avere i requisiti richiesti dall’articolo 2082 c.c. Più precisamente, l’impresa è l’attività economica organizzata dall’imprenditore e da lui esercitata professionalmente al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi (Graziani, Messineo, Ascareli). L’ATTIVITÀ DI IMPRESA È: Parte I economica 18 organizzata esercitata professionalmente finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi la nozione di imprenditore a)Attività produttiva L’attività imprenditoriale deve essere, in primo luogo, un’attività finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi. L’attività dell’imprenditore è quindi, in sintesi, un’attività produttiva, tale potendosi considerare anche l’attività di scambio, in quanto essa determina un incremento dell’utilità dei beni attraverso il loro spostamento nel tempo e/o nello spazio (Campobasso). Ciò permette di escludere dal novero degli imprenditori coloro che si limitano a godere dei propri beni e a raccoglierne gli eventuali frutti. Si pensi a chi, essendo proprietario di numerose case, le concede in locazione riscuotendo mensilmente il relativo canone; egli non è imprenditore in quanto svolge quella che viene definita un’attività di mero godimento. Non esiste, però, un’assoluta incompatibilità tra godimento dei beni e attività di impresa. Si pensi a chi decida di utilizzare uno dei propri immobili per lo svolgimento di un’attività alberghiera. In questo caso, il semplice godimento dell’immobile (realizzato attraverso la locazione delle camere e la riscossione del relativo prezzo) è accompagnato dall’erogazione di numerosi servizi ulteriori (quali la pulizia delle camere, la somministrazione della colazione, il cambio della biancheria) che fanno assumere all’attività svolta carattere imprenditoriale. Attività produttiva... ... e mero godimento b)Attività economica Secondo una parte della dottrina (Ferrara, Graziani, Cottino) attività economica e attività produttiva sono sinonimi e, pertanto, deve ritenersi “economica” ogni attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi. In sostanza, secondo questa opinione, il legislatore avrebbe prima affermato che l’imprenditore è tale se svolge una attività economica e, poi, per evitare una interpretazione scorretta di questo concetto, avrebbe precisato che è attività economica l’attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi. Secondo l’opinione prevalente, invece, attività economica e attività produttiva sono concetti diversi in quanto un’attività produttiva può considerarsi anche attività economica solo quando è svolta con modalità che consentano la copertura dei costi con i ricavi (Campobasso). Quindi non potrà mai Capitolo 1 Una determinata attività è svolta con metodo economico (e può, dunque, definirsi attività economica) se tende a realizzare dei ricavi che possano sostenerne i costi. L’attività di impresa, pertanto, deve mirare quanto meno a raggiungere il pareggio tra ricavi e costi, anche se normalmente l’imprenditore, oltre a questo risultato che potremmo definire minimo, tende a conseguire un profitto, a far sì cioè che i ricavi siano superiori ai costi. 19 L’imprenditore e l’impresa acquistare la qualità di imprenditore chi fornisce gratuitamente un determinato servizio o vende beni ad un “prezzo politico”; non svolge attività d’impresa, ad esempio, l’associazione che gestisce gratuitamente una mensa per i poveri. La produttività attiene, pertanto, al fine dell’attività (la produzione di beni o servizi o il loro scambio), mentre l’economicità attiene al modo in cui l’attività è svolta. La produttività attiene, pertanto, al fine dell’attività (la produzione di beni o servizi o il loro scambio), mentre l’economicità attiene al modo in cui l’attività è svolta. Il rischio di impresa Va chiarito, però, che ciò che rileva ai fini della sussistenza del requisito dell’economicità non è l’effettiva copertura dei costi con i ricavi o la effettiva realizzazione di un utile. Come è intuibile, infatti, l’imprenditore non può essere certo di conseguire un guadagno. L’attività imprenditoriale è, di per sé, attività “rischiosa”, perché il risultato economico dipende da numerosi fattori, non sempre prevedibili o previsti dall’imprenditore; quest’ultimo potrebbe addirittura perdere tutto ciò che ha investito. è, questo, il cd. rischio di impresa, rischio che, secondo l’opinione tradizionale, giustifica il potere dell’imprenditore di dirigere il processo produttivo e legittima l’acquisizione da parte sua degli eventuali profitti; è, in altre parole, proprio l’esistenza del rischio di impresa a giustificare il profitto dell’imprenditore (Cottino). Affinché possa parlarsi di attività economica, dunque, è essenziale unicamente che l’attività stessa sia potenzialmente produttiva di utili sufficienti a remunerare i fattori produttivi utilizzati; che essa, in altre parole, sia svolta con metodo economico. Parte I c) Professionalità 20 L’attività svolta dall’imprenditore deve essere caratterizzata dalla professionalità, deve cioè essere svolta in modo non occasionale, ma stabile e abituale. Non è imprenditore chi, per sfruttare un aumento improvviso dei prezzi sul mercato, vende l’appartamento appena comprato; è imprenditore, invece, chi svolge in maniera abituale attività di intermediazione immobiliare. Non è necessario, però, che l’attività sia esercitata ininterrottamente; nel caso in cui l’attività sia ciclica o stagionale (si pensi ad uno stabilimento balneare o ad un impianto sciistico i quali, naturalmente, possono funzionare solo in determinati periodi dell’anno), è sufficiente che gli atti di impresa siano costantemente compiuti nei periodi e secondo le cadenze proprie dell’attività svolta. Non è necessario, inoltre, che l’attività sia esercitata in modo esclusivo, potendo trattarsi di attività collaterale ad altra occupazione principale. la nozione di imprenditore Non è incompatibile con il concetto di professionalità il compimento di un unico affare. Chi acquista un immobile e poi lo rivende a un terzo certamente non svolge un’attività professionale e dunque non assume la qualifica di imprenditore; diversa, però, è l’ipotesi in cui un singolo affare comporti lo svolgimento di una attività protratta nel tempo e implichi l’utilizzo di un apparato produttivo idoneo ad escludere il carattere occasionale e non coordinato dei singoli atti economici (Campobasso). In questo caso, infatti, la professionalità sussiste “in considerazione della rilevanza economica dell’affare e delle operazioni che il suo svolgimento comporta” (Cass. 29-8-1997, n. 8193). Si pensi a chi costruisce un immobile per poi rivenderne i singoli appartamenti (Cass. 10-5-1996, n. 4407). d) Organizzazione La dottrina ha cercato di precisare ulteriormente il concetto di organizzazione e di stabilire, soprattutto, quale livello di organizzazione è essenziale al fine di acquistare la qualifica di imprenditore. Si è così evidenziato, in primo luogo, che non è necessario che altre persone lavorino alle dipendenze dell’imprenditore Può essere qualificato imprenditore, pertanto, anche chi non si avvale della collaborazione di altri soggetti e si limita ad utilizzare il proprio lavoro ed il proprio capitale; si pensi ad un esercizio commerciale gestito dal solo titolare. Si è affermato, poi, che può essere qualificato imprenditore anche colui che non utilizza beni strumentali esteriormente percepibili (ad esempio locali, macchinari, mobili etc.). Ciò che rileva affinché vi sia “organizzazione” è, come detto in principio, l’utilizzazione coordinata di fattori produttivi da parte dell’imprenditore e nell’ambito dei fattori produttivi rientra certamente anche il capitale; è, quindi, imprenditore anche colui che acquista e vende sistematicamente in borsa titoli azionari al fine di speculare sulle differenze dei prezzi. L’organizzazione dei fattori produttivi, però, è pur sempre necessaria; in assenza di un minimo di organizzazione del lavoro o del capitale non si ha impresa, ma lavoro autonomo non imprenditoriale. Si dice, a questo proposito, che non è sufficiente la auto-organizzazione, cioè l’utilizzo del solo lavoro personale del soggetto che agisce, ma è necessario anche che non manchi del tutto la cd. etero-organizzazione, cioè l’organizzazione di fattori diversi dal lavoro personale. Organizzazione dei fattori produttivi Capitolo 1 L’organizzazione dell’attività di impresa deve intendersi come impiego coordinato di fattori produttivi (lavoro e capitale) propri e/o altrui. L’imprenditore, cioè, deve avvalersi di beni (materie prime, macchinari, locali) e persone (dipendenti, consulenti, collaboratori esterni) organizzati in funzione dello svolgimento dell’attività economica. 21 L’imprenditore e l’impresa Di opinione contraria, però, è una parte della dottrina, che definisce il requisito dell’organizzazione uno “pseudorequisito”, la cui mancanza non impedisce al soggetto di acquistare la qualifica di imprenditore (Galgano). Secondo questa opinione, in sostanza, la presenza di una certa organizzazione serve unicamente a distinguere l’imprenditore non piccolo, che ha sempre un’organizzazione, dal piccolo imprenditore, che può non averla. 3 Aspetti controversi Abbiamo fino ad ora esaminato i requisiti espressamente richiesti dal codice civile affinché possa parlarsi di attività di impresa. É controverso, però, in dottrina ed in giurisprudenza, se la sussistenza di tali requisiti sia sufficiente a determinare da sola lo svolgimento di un’attività imprenditoriale ed il conseguente acquisto della qualifica di imprenditore o se, invece, siano necessari ulteriori requisiti non esplicitamente enunciati dall’art. 2082 c.c. In particolare, ci si domanda se siano indispensabili: – lo scopo di lucro, cioè l’intenzione di colui che esercita una certa attività di ricavarne un profitto; – la destinazione al mercato dei beni o servizi prodotti; – la liceità dell’attività svolta. 4 Attività di impresa e scopo di lucro Parte I Lo scopo di lucro può essere definito come l’intento di ottenere dei ricavi che superino i costi e che consentano dunque la realizzazione di un guadagno (Auletta-Salanitro). Una parte della dottrina ritiene che esso sia requisito essenziale dell’attività di impresa, ritenendo che la realizzazione di un profitto sia connaturata al concetto di professionalità. Si afferma, così, che, pur non essendo necessario che il soggetto realizzi in concreto un profitto, occorre tuttavia che l’attività da lui esercitata sia astrattamente lucrativa, cioè astrattamente in grado di procurare un lucro (Ferrara); o, ancora, che ciò che caratterizza la figura dell’imprenditore è lo scopo egoistico (Bigiavi). 22 A tale proposito, si richiama l’art. 1767 c.c., in base al quale il contratto di deposito si presume gratuito “salvo che, dalla qualità professionale del depositario o da altre la nozione di imprenditore circostanze, si debba desumere una diversa volontà delle parti”. In tale disposizione, si dice, il termine “professionale” è usato come sinonimo di “a scopo di lucro”. Altra parte della dottrina (Campobasso, Galgano, Graziani, Asquini), attualmente prevalente, ritiene invece che lo scopo di lucro sia un elemento naturale dell’attività di impresa, nel senso che nella maggior parte dei casi essa è effettivamente esercitata al fine di realizzare un guadagno, ma che non sia, invece, un elemento essenziale di tale attività. Non si nega, in altre parole, che chi esercita un’attività di impresa lo faccia per ricavarne un guadagno, ma si evidenzia che da un punto di vista strettamente giuridico il requisito dello scopo di lucro non è essenziale e non entra a far parte degli elementi costitutivi dell’istituto in esame (Buonocore). Non essenzialità dello scopo di lucro è impresa, infatti, anche l’impresa pubblica (art. 2093 c.c.), la quale è tenuta ad operare secondo criteri di economicità, ma non persegue di regola la realizzazione di un profitto; così come è attività di impresa quella svolta dalle società cooperative, le quali, in quanto caratterizzate dallo scopo mutualistico (art. 2511 c.c.), non possono ritenersi istituzionalmente finalizzate al conseguimento di ricavi eccedenti i costi (Campobasso). Anche la giurisprudenza, del resto, quando ha affermato che lo scopo di lucro costituisce requisito essenziale della nozione di impresa (Cass. 3-12-1981, n. 6395), ha aggiunto che lo stesso è riscontrabile non solo quando l’attività di impresa è rivolta ad un diretto incremento pecuniario, ma pure quando essa determina una qualsiasi utilità economica, consistente in un risparmio di spesa o in altro vantaggio patrimoniale. In tal modo, come è evidente, ha finito per ridurre lo scopo di lucro ad una mera economicità della gestione. Impresa pubblica e cooperative L’impresa per conto proprio è dubbio se possa qualificarsi imprenditore colui che produce beni o servizi che vengono destinati all’uso o consumo personale (si parla in questo caso di impresa per conto proprio). Anche se il requisito della “destinazione al mercato” non è espressamente previsto dall’articolo 2082 del codice civile, prevale decisamente l’opinione negativa, pur se diversamente argomentata dai suoi sostenitori; secondo alcuni, infatti, mancherebbe il requisito della professionalità (Ferri), secondo altri farebbe difetto il requisito dell’economicità (Cottino), secondo altri, infine, non sarebbero in questo caso ravvisabili esigenze di tutela dei terzi e verrebbe meno, pertanto, la stessa necessità di applicare le norme dettate per l’imprenditore (Auletta-Salanitro). Destinazione al mercato Capitolo 1 5 23 L’imprenditore e l’impresa 6 Nozione Parte I Teorie 24 L’impresa illecita Si parla di impresa illecita quando una determinata attività imprenditoriale (che presenta, cioè, tutte le caratteristiche di cui all’articolo 2082 c.c.) è svolta in contrasto con norme imperative, con l’ordine pubblico o il buon costume (si pensi all’ipotesi di un’organizzazione dedita al contrabbando di armi). è possibile che una attività illecita sia svolta con l’uso di mezzi e persone altamente qualificate (organizzazione), in maniera stabile e continuativa (professionalità), per la realizzazione di un profitto (economicità) ricavabile dallo svolgimento di un’attività produttiva. In tal caso si pone il problema di stabilire se questa attività possa effettivamente qualificarsi come attività di impresa e se, di conseguenza, trovino applicazione le disposizioni di legge in materia. In proposito sono state elaborate in dottrina diverse tesi: – alcuni hanno sostenuto che l’impresa illecita sarebbe inesistente, cioè che l’esercizio di una attività illecita non basterebbe ad attribuire ad un soggetto la qualità di imprenditore e il conseguente conferimento di diritti ed obblighi, perché ciò che è giuridicamente illecito non può ricevere protezione giuridica né per l’imprenditore, né per i terzi (sarebbe assurdo, infatti, ritenere che un contrabbandiere possa chiedere l’applicazione delle norme in materia di concorrenza sleale); – altri, invece, hanno affermato che l’impresa illecita è comunque esistente, in quanto l’attività umana caratterizzata dalla presenza dei requisiti richiesti dall’art. 2082 c.c. dà luogo alla nascita di un’impresa indipendentemente dall’intento di frode del suo titolare; – più convincente sembra una terza opinione, che si pone a metà strada tra quelle precedentemente esposte. Chi svolge un’attività illecita, infatti, deve considerarsi a tutti gli effetti un imprenditore, esposto a tutti i rischi cui espone l’attività di impresa, primo fra tutti il fallimento (oltre che naturalmente alle sanzioni eventualmente previste dalla legge per quella specifica attività). Egli, però, non potrà mai chiedere l’applicazione di quelle norme che sono dirette a tutelare l’imprenditore, perché da un comportamento illecito non possono mai derivare conseguenze favorevoli. la nozione di imprenditore sai rispondere? 1.Qual è la nozione di imprenditore fornita dal codice civile? 2.Anche se l’art. 2082 c.c. si riferisce all’imprenditore, sai fornire la nozione di impresa? 3.Quando può dirsi che un’attività è svolta secondo criteri di economicità? 4.Cosa si intende per attività organizzata? 5.Cosa si intende per attività professionale? 6.L’attività di impresa, per essere tale, deve essere svolta necessariamente in modo continuato e senza interruzioni? 7.Per qualificare un soggetto come imprenditore, è necessario che sussista lo scopo di lucro? Capitolo 1 8.Quali teorie sono state sostenute dalla dottrina con riferimento alla cd. impresa illecita? 25