l`ogliastra - Sardegna Turismo

Transcript

l`ogliastra - Sardegna Turismo
Andrea Campagna
L’ OGLIASTRA
Isola nell’isola, questo lembo di terra antica custodisce
il gusto dell’ospitalità e i sapori di una cucina che non ha uguali
nelle altre parti della Sardegna. Dagli aspri strapiombi
del Gennargentu alle inarrivabili calette della costa i profumi delle erbe
aromatiche, dei ravioli alla mentuccia e dei pecorini
inseguono il visitatore, come tentazioni cui è difficile resistere.
87
PANORAMA - OGLIASTRA
PANORAMA - OGLIASTRA
Gianmario Marras
Vicino al porto di Arbatax, borgo alle pendici
del promontorio di Bellavista, si stagliano le notissime
“rocce rosse”, imponenti guglie di marmi granitici
che danno anche il nome a una rassegna estiva di musica blues.
PANORAMA - OGLIASTRA
90
Gianmario Marras
Gianmario Marras
In questa foto: il centro storico di Tortolì con la chiesa
di Sant’Andrea. Edificata all’inizio del XVII sec. come cattedrale,
fu ristrutturata nel Settecento in stile baroccheggiante.
A destra: la coste dell’Ogliastra riservano straordinari
spettacoli naturali; il rosso delle rocce erose dal vento
crea un’armonia perfetta con l’azzurro del cielo e del mare.
Antonio Saba
Gianmario Marras
PANORAMA - OGLIASTRA
Sopra: gli altopiani calcarei noti come “tacchi”, nei pressi di Ulassai. Queste formazioni carsiche
di grande interesse geologico trasformano la zona nel cuore dell’Ogliastra
in un paesaggio quasi dolomitico. Sotto: Lanusei, capoluogo dell’Ogliastra, con le sue piazze
ordinate e gli edifici storici si contrappone alla natura selvaggia che la circonda.
92
Gianmario Marras
Gianmario Marras
Sopra: Barisardo, sorta in posizione arretrata rispetto alla costa per paura delle incursioni piratesche, deve oggi
al mare la sua fortuna; la tradizione agricola e artigianale dell’antica Barì ha ceduto il passo
a una ricca vocazione turistica. Sotto: il rigoglioso bosco di Santa Barbara, nei pressi di Villagrande Strisaili.
Nella macchia mediterranea si trovano resti archeologici di età nuragica e prenuragica.
OGLIASTRA
LA BELLA
SELVAGGIA
Alla ricerca dell’elisir di lunga vita in una terra antica
che si estende tra il Gennargentu e il Tirreno
DI LELLO CARAVANO
C
pa. Il miracolo è figlio di un popolo che ha vissuto un
lungo isolamento, di montagne e pascoli che profumano di timo e serpillo, di una terra che da capo Bellavista ai Supramonti è tutta un tesoro di natura. Forse è il
frutto di prodotti che non hanno visto né chimica né
Ogm, di un’alimentazione che non conosce contaminazioni, neppure in tempi di turismo in forte crescita ma
rispettoso della qualità ambientale.
È un turismo attratto da una terra selvaggia e incontaminata, con un fronte costiero di quasi 80 chilometri
che si affaccia sul mar Tirreno, le bellissime calette di
Baunei e le lunghe spiagge bianche di Barisardo, Tortolì e Gairo, le foreste demaniali di Seui, le grotte, i
Dario Sequi
Antonio Saba
i deve essere un elisir di lunga vita nascosto in questa terra che si distende come un
anfiteatro dalle rocce rosse di Arbatax fino
ai vigneti secolari della valle del Pardu e agli ultimi
ovili sotto le vette del Gennargentu. Ci deve essere un
segreto, se gli scienziati di mezzo mondo si sono scomodati per capire il miracolo racchiuso nel Dna di uomini e donne ogliastrini, celebrato persino sulle pagine del prestigioso Times. Tra questi boschi e valli si è
tramandato un patrimonio genetico unico che è diventato oggetto di ricerca internazionale. E che potrà fornire indicazioni sulla cura di alcune malattie e sul mistero della longevità che qui tocca i vertici più alti d’Euro-
paesini sui monti, le gole, i maestosi tacchi di calcare
tra Perdasdefogu e Ulassai che caratterizzano una delle strade più suggestive d’Italia, i nuraghi che svettano come sentinelle nei picchi più alti dell’isola. Ventitré paesi, tutti in provincia di Nuoro, appena 60 mila
abitanti, attraversata da quel trenino verde che si arrampica sui costoni in uno scenario da Far West d’Europa che meravigliò lo scrittore inglese David Herbert
Lawrence, l’Ogliastra ha una storia millenaria scritta
nelle vigne strappate alla montagna dove regna il rosso sardo per eccellenza, il Cannonau, e nelle erbe odorose brucate da pecore e capre che danno carni saporite e formaggi da Nobel gastronomico. Dietro le ricette
che si tramandano di madre in figlia c’è la vita di un
popolo di contadini e pastori.
Gli ingredienti alla base dei piatti più genuini e
caratteristici sono spesso quelli “poveri” che la terra
offre: patate, cipolle, spezie, accanto ovviamente ai
formaggi e alle carni. La tradizione ogliastrina ha soprattutto la forma dei culurgionis, i fagottini di pasta
– primo piatto del menu tipico – riempiti con patate,
formaggio, aglio o cipolla. E poi con la mentuccia di
fiume. Ma attenzione: ogni paese ha la sua variante,
tanti culurgionis quanti sono i campanili. La menta,
appunto. Irrinunciabile a Seui, Perdasdefogu, Barisardo, Lanusei, con una raccomandazione: possibilmente va raccolta la mattina presto e subito impastata con patate e formaggio. Niente mentuccia invece a Ierzu, Baunei, Arzana. Non si tratta di bizzarrie del gusto: si usava ciò che offriva la terra. Una
volta il condimento principe dei culurgionis era il
pecorino stagionato; oggi sono arricchiti col sugo di
pomodoro ma c’è chi li propone con successo anche
cotti su una leggera brace.
Erano piatti che scandivano un tempo i ritmi di una
società agropastorale. Il turismo era ancora un miraggio, non c’erano gli alberghi a quattro stelle, non c’era il
porto di Arbatax, non c’era l’aeroporto dove oggi atterrano i charter provenienti dalla Germania e dalla Svizzera. Dal mare ci si teneva lontani, si viveva solo di allevamento, di olio e di vigne. E nulla andava sprecato. Se
avanzava, l’impasto dei culurgionis si
utilizzava per un’altra prelibatezza, sa
coccoi prena, una sorta di focaccia farcita. Le donne la preparavano per i mariti che si trasferivano in campagna a
curare gli animali: pasti freddi che
riempivano le bisacce con il formaggio
e il pistoccu, il pane da accompagnare
al prosciutto e al guanciale dopo averlo ammorbidito con l’acqua dei torrenti che scendono dal Gennargentu o
dalle sorgenti dei Supramonti.
Antonio Saba
Ogliastra
Pagina accanto: capre al pascolo nell’entroterra ogliastrino.
Le voci più importanti dell’economia sono la pastorizia
e l’allevamento, oltre alla produzione casearia e vinicola.
Qui sopra: su casu axedu, formaggio tipico ricavato
da una cagliata acida senza sale che in tavola dà il suo meglio
abbinato con il miele. In basso: gli immancabili culurgionis,
ravioli di patate dal caratteristico profumo di menta.
Ma ci sono altri tipi di coccoi (per esempio, quella
ripiena di zucca o porri, una specie di piadina servita ancora oggi su foglie di vite), c’è su civarxeddu prenu di Seui, ci sono le minestre di mentuccia o finocchietto e casu ‘e fitta (il pecorino in salamoia), tutti
piatti che figurebbero nella lista Slow Food dei sapori da salvare. Intanto ci hanno pensato le donne a tramandare la tradizione di cibi considerati, fino a qualche anno fa, troppo poveri per finire sulle tavole delle vacanze. Oggi invece i turisti non vanno solo a caccia di calette solitarie ma anche di sapori genuini.
Così la cucina dei nonni è finita nei menu di molti ristoranti, trattorie, aziende agrituristiche, dalle coste
di Barisardo e Gairo ai boschi di Villagrande e Arzana, dal mare di Arbatax agli altopiani
di calcare sopra Baunei e Urzulei.
Cibi che sembrano esaltarsi in quella
nuova frontiera del gusto rappresentata dalle escursioni nei paradisi
ogliastrini, tra spiagge nascoste, un
tempo regno della foca monaca, gole
da brivido, falesie e sentieri del Supramonte a picco su una costa salvata
dal cemento: sono diventati una tradizione i pranzi e le merende organizzati dalle associazioni di guide ambien-
95
96
buzzare gli occhi ai viaggiatori dell’Ottocento, convinti
di trovarsi di fronte a un curioso caso di geofagia. Ma
questo è anche il regno delle patate, ingrediente principe di tanti piatti ogliastrini. Ad Arzana, la Pro Loco Siccaderba, impegnata con passione a recuperare tradizioni culturali e gastronomiche, punta alla valorizzazione
del tubero per eccellenza. “Vogliamo rilanciare la patata del Gennargentu – spiega il medico Raffele Sestu,
presidente dell’associazione. Sopra i 1200 metri cresce
solo sul versante arzanese, attorno agli ovili, dove tutto
è biologico, bagnata dall’acqua delle sorgenti purissime. Ci stiamo gemellando con Tropea, un gemellaggio
nel segno di cipolle e patate. Dobbiamo specializzarci e
puntare su questi prodotti.” E dopo l’iniziativa “Erbe
tintorie e colori” con lo stilista Missoni, quest’anno
la Pro Loco punta su erbe e profumi. Erbe aromatiche che danno carni e formaggi saporiti, ma che possono avere un ruolo importante anche nell’industria
della moda e delle essenze.
Dalla montagna arrivano le radici agropastorali, ma
ormai da anni l’Ogliastra ha finalmente riscoperto il
suo magnifico mare. E così le influenze marinare cagliaritane e ponzesi – i primi pescatori sbarcati sulla costa
di Arbatax arrivarono dalla costa campana – si fanno
sentire anche in cucina. Dalla zuppa alle polpettine di
girandole e rigirandole sulla brace per ottenere una
cottura lenta e omogenea. Non si può non parlare del
capretto arrosto, al centro di indimenticabili sagre estive, la carne per eccellenza della terra degli olivastri.
E quando si parla di carne e di formaggi, le guide
gastronomiche invariabilmente rimandano al rosso
d’Ogliastra. Il Cannonau ha segnato la storia di queste
colline, inondate di sole e riparate dal maestrale. Una
tradizione millenaria, curare la vigna, a cui gli anziani
non rinunciano: è facile vederli ancora oggi indaffarati
con zappa e cesoie tra i filari di Ierzu, Cardedu, Loceri, Gairo, Osìni. Già nel 1500 i testamenti dei proprietari ierzesi notificavano la suddivisione della vigna e
degli utensili necessari per produrre il Cannonau. Oggi la tradizione è portata avanti dalle tre principali
cantine del rosso rubino per eccellenza: a Cardedu,
Perda Rubia e Vitivinicola Alberto Loi; a Ierzu, Antichi Poderi (proprio a Ierzu, accanto alla cantina sociale, che raccoglie i viticoltori della zona, è possibile visitare le vecchie “stanze” del vino, di Vittorio Demurtas, Giovanni Muceli, Giovanni Contu). “Usiamo tecniche di produzione artigianali, rispettose della tradizione e della cultura ogliastrina – afferma Renato Mereu, titolare della Cantina Perda Rubia, la più antica,
visitabile su appuntamento – fedeli all’amore che
questa terra coltiva verso la cultura del vino. Tradizione, valori certi, riconosciuti e conservati. D’altronde
‘cannonau’ deriva dal greco kanonizo, cioè essere valore di riferimento: andrebbe infatti scritto ‘canonau’,
negli anni la scrittura si è corrotta”.
Ogliastra vuol dire natura. Anche il nome è legato alla terra. Deriverebbe da Agugliastra, il pinnacolo di
granito alto 128 metri sulla costa di Baunei, ma richiama
anche l’olivastro (s’ozzastru), pianta robusta capace di
sfidare il vento e la siccità. Toponimo che parla di legami stretti tra uomo e ambiente, di contadini e pastori
che convivevano a fatica. E che erano costretti a nutrirsi
con un pane da archeologia alimentare, frutto dell’impasto di argilla e ghiande, il lande cottu, che faceva stra-
Antonio Saba
tali a base di prosciutto, ricotta e
lattuga col miele,
pecorino arrosto,
pane moddixina,
olive, Cannonau.
Alimenti geneticamente non modificati in simbiosi con una natura
che non ha subìto
contaminazioni.
Prodotti che una
volta viaggiavano
insieme con pastori e viticoltori sul trenino diretto in
Campidano o costituivano oggetto di scambio con i
barbaricini, che attraversavano a cavallo il valico di
S’arcu de su Mullone (un mucchio di pietre che indica
i confini comunali) nel Gennargentu per riempire gli
otri di pelle col vino ogliastrino. Ma erano anche merce per il baratto da un capo all’altro della terra degli
olivastri: una botte di “rosso” in cambio di olio, latte e
formaggio per pagare il pascolo.
Oggi formaggi, vini, culurgionis vengono imbarcati
nelle stive degli aerei in partenza da Tortolì carichi di
turisti e arrivano sulle tavole della penisola o dell’Europa centrale. È così anche per il casu axedu (il formaggio acido), grazie all’intraprendenza di Luciano Chiai,
un pastore che alla fine degli anni ottanta ha messo su
un minicaseificio a Barisardo per commercializzare il
prodotto. Un vero nettare, confezionato dalle mani dei
pastori aggiungendo al latte appena munto il quaglio,
cioè i fermenti lattici all’interno dello stomaco del capretto, quegli stessi fermenti che le aziende farmaceutiche usano come rimedio per i mali di stomaco (non a
caso sono tra le maggiori acquirenti di quagli di capretto sardo). “Prima dello yogurt è nato il casu axedu;
era la colazione e la merenda per eccellenza dei pastori che lo offrivano all’ospite spalmato su una fetta di
pane moddixina. Quello ogliastrino è il più famoso di
tutti. Il motivo? I pascoli di questa terra sono i più sani
dell’isola, perché le capre si nutrono di foglie di corbezzolo, timo, serpillo e altre erbe aromatiche. Su casu
axedu viene prodotto anche in altre zone dell’isola, ma
solo quello ogliastrino è “bianco come la neve”, dice
Giacomo Mameli, ogliastrino di Perdasdefogu, giornalista, direttore del mensile Sardinews, autore di numerosi saggi sulla realtà isolana.
Tante curiosità gastronomiche, al di là dei tradizionali piatti a base di carne. Che resta comunque uno
degli alimenti base del menu ogliastrino. La tratalia,
per esempio, le interiora di agnellino o capretto legate
con un intreccio di intestini, cotte a fùrria fùrria, cioè
OGLIASTRA
Menu tipico
Antipasto
Sanguinaccio di maiale
Misto di formaggi
(caprino, ricotta salata, casu axedu)
Primo
Culurgionis
Minestra di viscidu
(pecorino fresco in salamoia con patate e mentuccia di fiume)
Secondo
Capretto arrosto
Tratalia
(interiora di agnellino o di capretto avvolte
dall’intestino e arrostite)
Contorno
Asparagi selvatici
Cardi selvatici
Dolce
Panixeddas
Dario Sequi
Antonio Saba
OGLIASTRA
(focaccine dolci con pane di sapa)
Pardulas
Qui sopra: le botti della storica cantina “Antichi Poderi”,
a Jerzu, fondata nel 1950. Vino “principe” è il Cannonau
doc, anche in versione Riserva con almeno due anni
di invecchiamento. Pagina accanto, in alto: tagliolini alla
marinara, primo di pesce tipico dell´Ogliastra “di mare”.
Pagina accanto, in basso: in un menu ogliastrino
tipico non possono mancare i salumi, tra cui i famosi
prosciutti di montagna, e i formaggi stagionati.
pesce, dalla fregola con le arselle ai calamari imbottiti e
ai raviolini. Mare e montagna raramente si incontrano
nel piatto: gli chef ogliastrini accostano i diversi sapori
ma hanno cura di non snaturare i due mondi. “In realtà
il mare, che è l’elemento cardine del nostro turismo, è
ancora lontano dalla nostra cultura, che ha soprattutto
radici agropastorali – dice Walter Mameli, direttore dell’Hotel “La Torre” a Barisardo – ma è proprio questo binomio, mare e montagna, il nostro filo conduttore, sia
sul piano degli itinerari naturalistici sia gastrononici”.
La bella notizia è che il turismo, che in genere uniforma
tutto, non è riuscito a omologare sapori e profumi. La
terra degli olivastri ha mantenuto la sua identità. Forse
perché sa che il Dna di uomini e donne ogliastrini studiato dai ricercatori è scritto anche nei piatti della tradizione. Gusti che custodiscono l’elisir di lunga vita.
97
OGLIASTRA
Ristoranti
IL MEGLIO IN TAVOLA
Tra montagna e mare, tra foreste e laghi
la cucina dell’Ogliastra rimane fedele a se stessa
e non ama le contaminazioni
DI LELLO CARAVANO - FOTOGRAFIE DI ANTONIO SABA
I
n pochi minuti dalla montagna al mare e viceversa. Un itinerario tutto da “gustare” per
i panorami ma anche per i sapori. L’Ogliastra
è capace di offrire un paesaggio dietro l’altro, dal
Supramonte regno di capre e mufloni, alle colline
del vino e dell’olio, agli stagni pescosi a ridosso
delle spiagge. Con la stessa rapidità con cui muta la
natura, cambiano anche i profumi in cucina. Dai culurgionis alla fregola con le arselle, dal cinghiale col
Cannonau alla zuppa di pesce di Arbatax. Si volta
pagina anche nel piatto, avvicinandosi o allontanandosi dalla costa. Rarissime le contaminazioni. In
genere si resta fedeli al Dna di origine: mare o montagna. Con un’importante novità. Molti chef e ristoratori hanno deciso di puntare sui sapori che arriva-
no da una cultura millenaria, sulle ricette che fino a
poco tempo fa restavano tra le pareti delle cucine di
casa, magari ingentilendole un po’.
L’elenco cresce di stagione in stagione. Anche tra i
ristoratori dei centri di montagna, in genere più tenacemente legati a su connottu, alla tradizione, si fanno strada piatti che conquistano premi e apprezzamenti. È il caso della Pineta ad Arzana (tel.
0782/37453). Un passato da ristoratore a Milano con i
fratelli, Cesare Nieddu è diventato un punto di riferimento della cucina sul Gennargentu, i piatti fumanti di culurgionis li chiama con affetto “il mio brodino”. La specialità della casa si chiama culurgionis
alla crema di porcini, uno dei tanti tesori nascosti nei
boschi di leccio. Arzana è sbarcata anche sul mare: a
Girasole, si mangia bene presso l’hotel Birdesu, tre
stelle di Raffaele Piras. Specialità di montagna, molte
pietanze associate ai funghi e possibilità di scegliere
menu caratteristici (tel. 0782/669622).
Villagrande, con Talana, resta la capitale del prosciutto sardo, fatto con quei maiali al pascolo brado
che per nutrimento conoscono solo ghiande, niente
mangimi chimici. Si distingue in particolare Il Bosco,
dei fratelli Peddio, immerso nella grande oasi verde
di Santa Barbara (tel. 0782/32505). Vale la pena spingersi fino a Seui, uno dei paesini di montagna meglio
conservati (da vedere il vecchio carcere spagnolo, il
museo contadino, il gigantesco leccio di Su Canali
salvato mezzo secolo fa da una guardia campestre)
non solo per visitare il paradiso verde di Montarbu.
Nel paese si trova una nicchia gastronomica che tramanda una tradizione tipica: Ada Aresu (albergo-trattoria Deidda, tel. 0782/54621) prepara su richiesta su
civarxeddu prenu, una sorta di panada con patate, cipolle novelle, zucchine macinate, pomodoro e casu ’e
Per gustare il meglio della cucina ogliastrina non c’è
che l’imbarazzo della scelta: i filetti di branzino
allo zafferano (nella foto), proposti dall’albergo “La Bitta”
di Arbatax, sono solo una delle raffinatezze da non perdere.
98
OGLIASTRA
GISELLA TASCEDDA, LA REGINA DELLA CUCINA OGLIASTRINA
In sala non la vedrete mai. La regina della cucina ogliastrina non
sogna le passerelle, ama invece
vivere tra le sue pentole, dietro i
suoi fornelli che accende ogni
giorno di buon’ora e spegne spesso a notte fonda. Gisella Tascedda
(foto in basso), quasi 60 anni, una
vita trascorsa tra culurgionis, coccoi prena, agnello coi carciofi e minestre di finocchietto, è nata a Barisardo, l’antica Barì, il paese della torre e delle spiagge dorate dove un tempo sbarcavano i pirati
saraceni, della bella cattedrale,
dell’altopiano di Tecu dove crescono i cardi amari che insaporiscono i piatti di carne.
Gisella è uno chef che ha il merito
di aver portato sulle tavole dei turisti – spesso facendoli riscoprire
agli stessi ogliastrini – i piatti della tradizione, nati secoli fa tra le
valli, le montagne e i boschi della
terra degli olivastri. Ma è anche
capace di inventare – dagli antipasti ai dolci – sempre qualcosa di
nuovo, pur nel rispetto della terra
madre. L’hotel La Torre (tel.
0782/28030), a Barisardo, quattro
stelle di qualità, è una garanzia
per gli appassionati della buona
cucina e per chi cerca i sapori di
una volta. Quelli di casa. Tutto cominciò negli anni sessanta, i tempi dei pionieri del turismo. “Non
c’era acqua né corrente elettrica, –
100
ricorda Gisella – i piatti
forti per i primi avventurosi turisti erano anguille in
umido e patelle fritte. Vino
e birra stavano al fresco
nel pozzo.”
Altri tempi. Oggi i turisti
che vengono a bagnarsi
nelle calette da sogno vogliono mangiare ogliastrino, gusti robusti e cibi di
qualità. A cominciare da is
culurgionis e sa coccoi prena, piatti simbolo da Capo
Bellavista al Supramonte,
che per Gisella non hanno
segreti. “Sono tutte ricette di famiglia, – racconta – nonna Marianna le ha insegnate a mia madre, come la minestra con casu ’e
fitta, il formaggio in salamoia,
mentuccia o finocchietti, erbe che
andavamo a raccogliere in campagna con le mie sorelle. E mia madre le ha insegnate a noi.”
Sa coccoi prena (foto in alto) è il
simbolo della rinascita della cucina ogliastrina. Un impasto di patate, insaporito da un soffritto di
cipolla, formaggio, olio e menta
fresca tritata, adagiato su un disco
di pasta (farina e patate) chiuso
con sei spigoli e poi infornato.
“Era questo il piatto tipico di Pasqua”, spiega Gisella Tascedda.
Oggi è una prelibatezza che racchiude i sapori di questa terra e
che sorprende i palati per la sua
semplicità (è diventata uno dei cibi preferiti per le escursioni lungo le calette isolate e i sentieri dei
carbonai). È una delizia della buona tavola di cui le donne, vestali
della tradizione, vanno così orgogliose da custodirla gelosamente:
sui banconi dei supermercati è
quasi introvabile, a differenza dei
culurgionis, altra invenzione ogliastrina, ormai diffusi sulle tavole
milanesi come su quelle tede-
sche. Per la chef dell’hotel La Torre la ricetta è semplice: il segreto
dei culurgionis è tutto nella mentuccia e nel soffritto di aglio.
Il menu di Gisella è ricco e ha radici antiche: dall’agnello con carciofi e cardi selvatici, alla pecora
cotta nel brodo di cavoli e finocchietto, a sa conca ’e porcu (la testa
di maiale con fave, patate e l’immancabile finocchietto). Cucinare
è un’arte intelligente e Gisella lo
sa bene. Ecco perché oltre alla tradizione porta in tavola piatti che
nascono dagli incontri con i gourmet della penisola, ovviamente
rielaborati tra i fornelli ogliastrini.
Ecco serviti l’orata ai porcini, il riso guarnito con le costolette di
agnello, i ravioloni con ricotta e
asparagi accompagnati da una
vellutata di scampi. Per non parlare delle famose tagliatelle nere.
Ma nelle sere d’estate, confida Gisella, pur potendo scegliere fra
tante prelibatezze, i suoi ospiti
vanno pazzi per le minestre semplici di una volta, come quella
“bianca”, fatta con pecorino fresco in salamoia, mentuccia e fregola. Piatti poveri, di antenati poveri, salvati dalla regina della cucina ogliastrina e trasformati in tesori sulle tavole della vacanze. (L.C.)
OGLIASTRA
I gustosi antipasti e i salumi “artigianali” sono
un gustoso anticipo del menu di terra offerto dall’ottimo
ristorante “Il Bosco” di Villagrande Strisaili.
fitta (da segnalare i primi piatti a base di porcini, una
delle specialità della casa). Robusti sapori di montagna anche a Baunei. La tradizione della pecora “in
cappotto” con cipolle e patate la si ritrova tutta in due
ristoranti gestiti da cooperative: Il Golgo (tel.
0782/610732-cell. 337/811828) e Il Maneggio (cell.
368/7028980-338/5921640). A poche centinaia di metri l’uno dall’altro godono di uno scenario naturalistico unico: l’altopiano del Golgo, alle spalle delle calette da copertina, Cala Luna, Sisine, Goloritzè, e con i
buoni cibi offrono l’indimenticabile suggestione di
una cena sotto le stelle del Supramonte.
Ovviamente menu ogliastrino doc nelle migliori
aziende agrituristiche. Una delle ultime nate è Cixi
Crobeni (ad Arzana, aperto solo d’estate, tel.
0782/37309), l’ultimo ovile sul versante arzanese del
Gennargentu a 1300 metri, gestito dai fratelli Piras.
Per tutti formaggi, dolci di ricotta e un piatto antico
del tempo dei romani, se non addirittura nuragico:
la pecora arrosto con tocchetti di miele, per secoli il
solo dolcificante. Cibi genuini e locali accoglienti
anche in tre aziende di Villagrande, che propongono il menu tradizionale con un’attenzione particolare agli antipasti di terra, prosciutto e guanciale. Sono S’Arroali Manna (tel. 0782/30067, nel borgo di
Villanova Strisaili, sul lago del Flumendosa, terra di
allevatori e rigogliosi pascoli), l’azienda Cabras nella località Sa Carrubba a 800 metri dal paese (tel.
0782/646683) e Menhir, a Perdas Latinas (tel.
0782/32593). A Loceri l’agriturismo Ogliastra, gestito da Giampaolo Lecca e dalla moglie, propone sa
coccoi ’e forru (impasto di zucca rossa o porri selvatici, farina, pomodori, lardo, servito su una foglia di
vite): accogliente, buona cucina, nell’azienda si allevano pecore e maiali e si coltivano uve tipo Cannonau e Sangiovese (tel. 0782/77427-cell. 368/3272583).
Sempre a Loceri c’è Su Barraccu della famiglia Pilia,
lui allevatore, lei di Oliena, esperta nel pane e nei
dolci: il casu axedu è di qualità (cell. 338/2073917).
102
Sulla costa si sta consolidando la tradizione della cucina di mare. Con punte di eccellenza. E senza rinnegare le origini agropastorali. Ai vertici c’è il ristorante dell’hotel La Torre a Barisardo (tel. 0782/28030, vedi anche
pag. 100), quattro stelle, regno di Gisella Tascedda, indiscussa maestra tra i fornelli, capace di far conoscere ai
turisti i veri piatti ogliastrini ma anche di inventare menu originali fondendo gli ingredienti di terra e di mare:
dall’orata con i porcini ai malloreddus con le favette, dalla razza col pomodoro fresco ai piedini di agnello, passando per i dolci (sa panixedda, per esempio) e i celebrati liquori di mirto e basilico. Garanzia di qualità anche
da Battista, il ristorante dell’hotel Victoria a Tortolì (tel.
0782/624504), con ricette a base di pesce. Di prim’ordine la cucina di un altro albergo, La Bitta (Porto Frailis,
Tortolì, tel. 0782/667080), di Sergio e Donato Bovi, figli
di uno dei primi ristoratori d’Ogliastra, di origini ponzesi: la cucina è raffinata, in una bella terrazza sul mare
tra atmosfere capresi e sarde si possono gustare i piccoli
culurgionis e le polpettine, tutto a base di pesce.
C’è anche un altro hotel che gode di un’eccellente
reputazione culinaria. È Arbatasar (a Porto Frailis,
tel. 0782/667061-651800), nel vecchio nucleo del villaggio dei pescatori, a due passi dal lungomare di
Arbatax. È un nuovo albergo quattro stelle che propone una buona cucina grazie all’inventiva di due
giovani cuochi, sempre alla ricerca di nuovi piatti.
Tradizioni marinare dei pescatori ponzesi anche alla Nuova Capannina (Riva di Ponente, Arbatax, tel.
0782/622862-cell. 329/0267224), che ha nel suo menu una saporita zuppa di pesce. A proposito di spigole, orate, anguille, bocconi, bottarga, ci si può rivolgere direttamente alla fonte. Da alcuni anni
presso la peschiera San Giovanni di Arbatax è in attività l’Ittiturismo (tel. 0782/667827-664415): tra reti
e barche si cena all’aperto, con servizio ridotto all’osso, tanto pesce (la freschezza è garantita, i pescatori lo catturano la mattina), vino e anguria.
Tradizioni rispettate anche nei Bed & Breakfast,
che offrono colazioni con i biscotti e i dolci delle nonne ogliastrine. Loceri ha la più alta percentuale di
B&B di tutta l’isola, interessanti offerte anche a Villagrande (informazioni presso il presidio turistico di
Santa Maria Navarrese, tel. 0782/615330).
Chiudiamo con la pizzeria Pedra Longa (cell.
347/1269818), poco prima di Baunei. Imperdibile non
tanto il cibo quanto il panorama (ecco il motivo della segnalazione): sul mare, davanti al pinnacolo di roccia
dell’Agugliastra, meta di scalatori da tutta Europa, nel
punto in cui il Supramonte si tuffa nel Mediterraneo.
IL TRENINO VERDE
Un modo delizioso di conoscere
l’Ogliastra è attraversarla con il
Trenino Verde. Si
tratta di un’iniziativa delle Ferrovie della Sardegna che, inaugurata a titolo sperimentale una
ventina d’anni fa, ha registrato
sempre più successo. Si può partire da Cagliari o da Mandas. La ferrovia a scartamento ridotto attraversa un territorio selvaggio e non
raggiungibile con altri mezzi, dove
ogni cosa (cantoniere, stazioni,
viadotti) sembra uscita da una fiaba. La velocità è ridotta e consente
di apprezzare gli aspetti del paesaggio anche con brevi soste nei siti più suggestivi per picnic nella
natura o pasti tradizionali in caratteristiche strutture ricettive. L’offerta del Trenino Verde si ripete anche in altre aree della Sardegna (vedi cartina), paesaggisticamente diverse ma altrettanto interessanti: le
tratte Sassari-Alghero, SassariTempio-Palau, Nuoro-MacomerBosa e Mandas-Isili-Sorgono.
103