Amore profano-Francesca Ribilotta

Transcript

Amore profano-Francesca Ribilotta
Amore profano
Andrea e Marta tornavano a casa sotto le luci dei portici, camminavano piano stanchi dall’alcool e
non si guardavano, il silenzio era così fitto dopo quella festa d’addio. Erano stati ad una di quelle
feste dove solo l’eccessivo rumore, e la musica, le canzoni e l’alcool potevano smorzare la
malinconia della partenza di un caro amico. “Lei lo ama” disse Andrea tutto ad un tratto, sempre
fissando la strada davanti a sé. Marta lo guardò un attimo e sospirò, poi rispose “ lui non sa cosa
vuole, non si vede mentre la guarda, sai?” “Cosa vuoi dire?” le chiese Andrea, “probabilmente
non si accorgerà in tempo di amarla” disse Marta. Continuarono a camminare, si abbracciarono e
passeggiarono così per un po’, loro felici di essersi trovati.
È ancora buio fuori, nonostante la finestra sbatta forte contro il vento, nonostante io mi trovi
ancora qui, per qualche strano caso, a cercare di ricordare come si fa a dormire.
E svegliati! Dormi così tanto, tutto il giorno, tutto il tempo… innamorati di te stessa ogni giorno un
po’ di più ti prego, e poi odiati, escogita piani per ucciderti e risorgi, bella, rinasci in nuove e
mutevolissime forme, gira su te stessa forte e lascia che la tua gonna formi un ampio cerchio
intorno a te, lascia che si riempia di tutta l’aria intorno. Inspira ed espira, più forte di prima, così
forte da far paura, da costruirti spessi blocchi di cemento attorno, uno per ogni vita vissuta e
superata, vinta o persa, dimenticata… così fortemente tieni gli occhi fissi sulle vie di te stessa che
calpesti ogni mattina. E mi fa così arrabbiare! Punta lo sguardo fisso davanti a te e sorridi, i tuoi
occhi splendono se guardi il cielo, sai? Ma non ti stanchi di piegarti. Ed è così che vivi, sola ma
col mondo intorno, perché fa paura innamorarsi e tornare bambini, vai a comprare un libro di
favole, ti sfido! E ti guardo respirare accanto a me, non posso più dormire, ma chi sei?
C’è così tanta rabbia intorno a te che ti trapassa e ti trasporta, ribolle facilmente dentro di te ed
esplode fragorosamente in una bellezza inguardabile, in lacrime, labbra color porpora… Sei
fragile come porcellana, sei il degrado e la rinuncia, un decreto impronunciabile, tra le tue curve
vedo la nostalgia per una società che non esiste più, vedo le mie origini cadermi dietro e
scomparire, addii e lontananza, punti lontani, imprecisati e meravigliosi di questa nostra vasta
terra. Voglio già scappare, da questa notte, da te che ancora stai dormendo, così lontana nel
profondo di te stessa. Il tuo viso sta uccidendo entrambi… ho sbattuto la porta e sono andato via
piccola, via dai tuoi occhi scuri che si aprono lentamente, ci sono ricordi che non voglio avere, ti
ho detto addio ad ogni scalino mentre scendevo. Sara si ritrovò per caso su quella via che non
attraversava da tempo ormai, erano già trascorsi tre anni da quando Michele, il suo Michele, se
1
n’era andato. Vide la nuova casa, ormai quasi completa, ma per un momento riuscì ad
immaginare quella vecchia staccionata dove rimanevano appoggiati a parlare, quasi ricordava gli
interni del salone e della cucina, l’odore della sua stanza da letto. Tutto demolito, così come le
pietre e gli schianti, ne aveva lanciate tante di urla e sassi, più lontano che poteva, fino a farsi
male la spalla, fino a cadere in ginocchio. Appoggiò la bici contro un albero e guardandosi attorno
per controllare che non ci fosse nessuno entrò nel giardino sul retro, circospetta, trattenendo il
respiro. Il giardino era rimasto uguale: c’era il salottino bianco sotto il gazebo verde, il praticello
curato, le due sdraio, il barbecue, era tutto esattamente come lo ricordava. E allora si guardò
intorno, girando su se stessa piano la gonna strofinò l’erba, ripeté il suo nome, Michele, solo una
volta dolcemente e poi si sdraiò sul prato verde e chiuse gli occhi. Inspirava ed espirava, ed era
ancora lei, forse solo per quell’istante di un passato ritrovato, ormai vinto, e per un attimo si trovò
di nuovo su quel letto, in quella notte in cui non era riuscita a non dormire, forse per stanchezza,
forse per destino.
Di Francesca Ribilotta per Emergenza Scrittura
2