Istituto MEME: Erika e Omar osservati dai Mass

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Istituto MEME: Erika e Omar osservati dai Mass
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
ERIKA E OMAR OSSERVATI DAI MASS-MEDIA
(in un’ottica di analisi criminologica)
Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Dr.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: I mass-media e la criminologia
affrontando un caso
Tesista Specializzando: Alessandra Paloni
Anno di corso: Primo
Modena: 6 settembre 2014
Anno Accademico: 2012 - 2013
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ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Alessandra Paloni - SST in Scienze Criminologiche (primo anno) AA. 2012 - 2013
Indice dei Contenuti
INTRODUZIONE …………………………………………………………...… 3
Capitolo 1: Il FATTO ……………………………………………………..…… 5
1.1 la dinamica ……………………………………………………...…… 5
1.2 le indagini e il processo ……………………………………………... 7
Capitolo 2: INFORMAZIONE/DISINFORMAZIONE …………………….. 8
Capitolo 3: LA DISINFORMAZIONE PUÒ INFORMARE? ………….… 12
Capitolo 4: INFLUENZA SULL’OPINIONE PUBBLICA ……………..…. 15
Capitolo 5: SALOTTI TELEVISIVI DEDICATI …………………..……... 22
Capitolo 6: IL GIUDIZIO MORALE ……………………………..……...… 30
Capitolo 7: LA FAMIGLIA ATOMIZZATA
CRIMINOGENESI DEI DELITTI AGGRESSIVI …………… 34
Capitolo 8: TESTI CANZONI DEDICATI …………………………...……. 38
CONCLUSIONI ………………………………………………………...……. 40
BIBLIOGRAFIA ……………………………………………………….…….. 43
SITOGRAFIA ……………………………………………………………..…. 44
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INTRODUZIONE
In questo elaborato ho voluto fare luce su alcuni aspetti dell’azione criminosa dal punto
di vista mediatico, affrontando l’analisi di un caso specifico: l’omicidio di Novi Ligure,
nel quale Erika De Nardo, 16 anni all’epoca, e Mauro Favaro, di 17 anni, uccisero
premeditatamente a colpi di coltello da cucina, la madre e il fratellino della ragazza.
I mass media hanno come ruolo quello d’informare, diffondere, tutelare, manipolare e
guadagnare rispetto ad eventi/situazioni che si propongono nella quotidianità collettiva.
Oggi l’informazione visiva è quella che ha il maggiore impatto sulla collettività, sia dal
punto di vista informativo che da quello emotivo.
La spettacolarizzazione dell’informazione crea così, un orientamento del pensiero
pubblico. Il canale emotivo è il maggiormente influenzabile e, non a caso, sia la
televisione che i giornali e tutti i mezzi di comunicazione, utilizzano testi emotigeni.
La società vuole sapere tutto e subito poiché ha bisogno di sentirsi al sicuro e tutelata;
necessita così di diversificarsi dall’eventuale colpevole.
La televisione ha il potere di dare risposte immediate e creare un certo margine di
mistero, grazie al quale lo spettatore continua a seguire la cronaca dell’evento.
Spesso i media esagerano sui fatti di sangue attribuendo facili etichette e peccando di
approssimazione e morbosità, in contesti dove a parlare sono troppo spesso persone che
poco hanno a che fare con le scienze forensi, si perde di vista quello che è il valore del
Processo Penale in una società civile, quali sono i ruoli delle parti interessate al
Processo, quali sono i diritti di chi lo subisce e soprattutto viene spesso superato il
limite del diritto di cronaca. Si presenta così una realtà in cui è difficile tenere separato
il vero Processo da quello mediatico, già trattato e concluso con sentenza definitiva
inappellabile dopo i primi mesi della scoperta del delitto.
La caccia al responsabile è la cosa che affascina di più e la sua individuazione nel più
breve tempo possibile, diventa l’obiettivo principale dello spettatore che si appassiona al
caso.
Davanti quindi a questi fatti, il nostro senso morale e la nostra capacità di giudicare
sono coinvolti quotidianamente.
La vita cooperativa non sarebbe possibile senza coscienza e giudizio morale, sia rivolti
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verso gli altri, che verso sé stessi.
Ci sono diverse correnti filosofiche che hanno preso in considerazione il significato e il
senso del giudizio morale.
Il realismo morale afferma che esistono fatti morali e che in base ad essi è possibile
valutare la verità di un giudizio, come corrispondenza a un fatto: all’interno di questa
corrente s’incontrano i sentimentalisti, i quali sostengono che i fatti morali sono legati
ad emozioni originate da un determinato evento, mentre gli emozionasti, i giudizi morali
coincidono con le nostre emozioni, i nostri desideri e i nostri sentimenti di approvazione
o disapprovazione.
La corrente filosofica kantiana, invece, sostiene che le affermazioni morali siano verità
logiche e dimostrabili razionalmente attraverso la ragione.
Agli studi filosofici ho aggiunto i pensieri di due psicologi: Carol Gilligan1, docente
all’Università di New York, afferma che nel giudizio morale esistano delle differenze
associate al genere sessuale e lo psicologo Haidt2 che ha dimostrato in vari studi, il fatto
che spesso le persone generano giudizi senza giustificazioni, basandosi esclusivamente
sulla reazione di disgusto e disapprovazione dell’azione presentata.
In seguito, nel capitolo sette, ho voluto affrontare il tema della famiglia atomizzata,
come ulteriore analisi del caso specifico in chiave criminologica.
Quando infatti, all’interno di una famiglia “normale”, si giunge a scoprire che la figlia
adolescente trama e poi agisce per uccidere la madre e il fratellino, significa che quella
famiglia è frantumata negli affetti e minata nell’autorità genitoriale che dovrebbe legare
i figli ai genitori.
In questo capitolo si approfondisce quindi il tema dell’autorità genitoriale venuta a
mancare, provocando nei figli un’incapacità di costruire legami affettivi significativi e
sentimenti di rispetto verso sé e verso gli altri.
Infine, l’ultimo capitolo, è dedicato alla tradizione popolare più comune, soprattutto
legata ai più giovani: vengono infatti riportate alcune tracce di canzoni di famosi
cantautori per i teen-ager, i quali hanno preso come spunto questo caso per elaborare
testi di grande successo.
1
2
Gilligan C. (New York, 28/11/1936), psicologa statunitense. Professoressa di Psicologia evoluzionista
presso l’Università di Harvard. Cit. c/o Surian L., “Il giudizio morale”, ed. Il Mulino, Bologna 2013.
Haidt J. Psicologo sociale. Professore di leadership etica presso l’Università di New York. Cit. c/o
Surian L., “Il giudizio morale”, ed. Il Mulino, Bologna 2013.
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CAPITOLO 1
IL FATTO
Intorno alle 19.50 del 21 febbraio 2001 a Novi Ligure, Erika De Nardo, 16 anni
all’epoca, con il fidanzatino Mauro Favaro, di 17 anni, detto Omar, uccise
premeditatamente a colpi di coltello di cucina la madre e il fratellino della ragazza.
Secondo l’accusa, i due giovani avrebbero progettato di uccidere anche il padre della
ragazza, ma avrebbero poi desistito dopo il ferimento di Omar alla mano, che ormai era
anche stanco e deciso a lasciare il luogo.
Secondo le sentenze, pur “nell’apparente assenza di un movente”, l’ideazione dei delitti
è da ascrivere a Erika, da cui certamente è partita l’idea, anche se comunque il ruolo di
Omar fu concretamente rilevante e sostanzialmente paritario: avevano un’idea fissa da
portare a raggiungimento.
1.1 La dinamica
La dinamica del delitto che viene presentata è quella desumibile dagli atti processuali e
in particolare dalla ricostruzione dei RIS dei Carabinieri di Parma in quanto i due
imputati hanno incentrato la loro linea di difesa nell’accusarsi a vicenda senza mai dare
una chiara spiegazione dei fatti.
Susy Cassini, la madre di Erika, rincasa con il figlio più piccolo intorno alle 19.30.
Erika apre la porta, vanno insieme in cucina e comincia probabilmente l’ennesima
discussione tra madre e figlia riguardo i brutti voti scolastici della ragazza ed i timori
della madre riguardo le possibili cattive frequentazioni della figlia: arriva la prima
coltellata e solo in questo momento, Erika indossa i guanti. Omar è al piano superiore
nascosto nel bagno e con i guanti indossati: scende per aiutare Erika e i due ragazzi
aggrediscono la donna di spalle. La donna cerca di difendersi e va a sbattere contro il
tavolo della cucina, che per l’impatto violento si spezza in due.
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Il sangue schizza e macchia i vestiti di entrambi i ragazzi, che continuano ad
accoltellarla finché non respira più.
Omar affermò che prima di morire, la signora Cassini avrebbe gridato alla figlia “Erika
ti perdono!”, pregandola di risparmiare il fratello.
Nel frattempo, il trambusto generale ha attirato Gianluca, il fratellino, che sceso al
pianterreno assiste all’omicidio della madre. Gianluca viene colpito una prima volta al
pian terreno dalla sorella (dimostrato da uno schizzo di sangue del bambino rinvenuto
sul cavo del telefono della cucina). In seguito Erika convince il fratello a salire al piano
superiore cercando di calmarlo (gocce di sangue rinvenute sulle scale e sul muro, segno
delle mani dei due che cercano di agevolare la corsa e questi per i giudici sono indici di
una manifesta furia omicida).
Erika cerca di portarlo in bagno con la scusa di medicarlo, ma Gianluca fugge in camera
della sorella dove riceve ulteriori coltellate.
Nel frattempo Erika alza il volume dello stereo al massimo per evitare che i vicini
udissero. Gianluca cerca ulteriore rifugio in bagno e qui è la fine: la sorella cerca di
fargli bere del topicida (tracce trovate vicino alla vasca da bagno, sul pianerottolo del
piano superiore e sulle scale), poi lo butta nell’acqua della vasca e tenta di affogarlo ma
il fratellino continua a difendersi, ferendo Omar alla mano; i due giovani, avendo ancora
i coltelli usati per colpire la signora Cassini, colpiscono nuovamente con ben 57
coltellate.
I due ragazzi tornano al piano terra (sulle scale sono state rinvenute impronte di piedi
che ripercorrono strada in discesa) e scoppia una discussione circa l’opportunità di
aspettare il rientro del padre di Erika e di uccidere anche lui.
Erika insiste, ma il ragazzo molla il colpo; in seguito cercano di lavare il sangue ma non
ci riescono, lavano comunque le armi, ma un coltello lo chiudono in un sacchetto
insieme a un paio di guanti.
Alle 20.50 circa, i due giovani si dividono: Omar esce dalla porta principale (un
testimone lo nota perché ha i pantaloni sporchi di sangue) e va via in motorino, mentre
Erika passa dal garage (impronte trovate sul pavimento).
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1.2 Le indagini e il processo
Dopo il delitto e l’arrivo delle Forze dell’ordine, Erika narrò con evidenti errori e
contraddizioni di una rapina finita in tragedia ad opera di extracomunitari, fornendo
una descrizione dei due malviventi.
L’ipotesi della rapina perse quasi immediatamente consistenza: nessuna porta e
finestra portava segni di forzatura e i due cani da guardia della famiglia non avevano
abbaiato; inoltre i vicini di casa non avevano notato rumori insoliti, nessun oggetto di
valore era stato sottratto e le armi appartenevano alla famiglia (due coltelli facenti
parte del servizio da cucina di casa). Di conseguenza fu facile capire quali furono gli
autori della tragedia in base alle registrazioni ambientali.
Lasciati nell’anticamera della locale caserma dei Carabinieri, nella quale erano
installate microspie e telecamere nascoste, i due, allora adolescenti, oltre che
scambiarsi effusioni e scherzare tra loro, “confessarono” involontariamente
l’esecuzione del massacro: una telecamera inquadrò Erika mentre mimava una
coltellata inferta.
Verso le 19.00 del 23 febbraio 2001 i due vennero posti definitivamente in stato di
fermo e quindi condotti nel carcere minorile “Ferrante Aporti” di Torino. Da qui
Erika e Omar continueranno a rinfacciarsi a vicenda la responsabilità dell’accaduto,
smentiti però dai rilievi dei RIS di Parma, che constatarono che entrambi avevano
partecipato in egual misura agli omicidi.
Erika venne trasferita nel carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano, dopo aver
provato a contattare l’ex fidanzatino per concordare una versione che li scagionasse.
Durante le indagini emerse effettivamente una certa conflittualità tra Erika e la madre
per lo scarso rendimento scolastico della ragazza e per il fatto che la madre
disapprovava la relazione della figlia con Omar, preoccupata inoltre che i due giovani
potessero far uso di stupefacenti.
Il 14 dicembre 2001 Erika De Nardo e Omar Favaro vennero condannati dal
Tribunale dei Minori di Torino, rispettivamente a 16 e a 14 anni di reclusione.
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CAPITOLO 2
INFORMAZIONE/DISINFORMAZIONE
Informazione = divulgazione di notizie allo scopo di rendere edotti i suoi recettori
riguardo specifici argomenti.
Disinformazione = inesatta/manipolata, scarsa o mancata divulgazione di notizie; questa
produce l’effetto di alterare la conoscenza di specifici argomenti.
Gli elementi di interesse criminologico propri della composizione/presentazione di una
notizia, avente a oggetto un crimine e divulgata dai mass media, sono: il fatto, le
agenzie di controllo sociale formale, il reo/autore, la/le vittima/e.
Da una ricerca italiana, nella composizione/presentazione di una notizia a tema
criminale, i telegiornali e la stampa mettono parimenti in primo piano il fatto e le
agenzie di controllo sociale formale; in secondo piano il reo/autore e la vittima.
Se un evento criminoso viene trattato per più giorni consecutivi, le notizie
riguarderanno quasi totalmente tutti gli aspetti investigativi propri delle agenzie di
controllo.
Erika dichiara: “E’stato Mauro, io ho taciuto per paura e per amore” (24/02/2001, La
Repubblica, Meo Ponte3).
Intervista a Erika in carcere nove mesi dopo delitto. (29/11/2001, La Repubblica, Meo
Ponte4):
G (Giornalista): Com’era il rapporto con Omar?
E (Erika): Non potevo stare senza di lui. Ho provato ad impiccarmi quando ero in
isolamento al Ferrante Aporti e separata da lui, ma ora non lo farei più.
G: Parliamo della cocaina.
E: Mi piaceva, ho cominciato con Omar ed ho continuato (…), ho comprato solo
3
Meo Ponte, giornalista e inviato del quotidiano “La Repubblica”. Cit. art. “E’ stato Mauro, io ho taciuto
per amore”, “La Repubblica”, 24/02/2001.
4
Vedi nota 3.
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hashish. I soldi li prendevo dalle scatole delle spese di casa e i miei non se ne
accorgevano perché non controllavano mai.
G: Parliamo del delitto?
E: Parlavamo sempre di avere più libertà. Avevamo pensato di scappare ma Omar era
rimasto molto colpito dalla storia di un amico che era scappato e gli era andata male. A
questo punto ci è venuto in mente di farli fuori per stare li nella casa.
G: Volevate uccidere anche tuo fratello?
E: No, l’omicidio di mio fratello non è stato premeditato. E non è vero che abbiamo
scelto di farlo perché era mercoledì e mio padre era a giocare a calcetto. Quel giorno
vale qualsiasi altro. Prima abbiamo pensato di farli fuori mettendo del veleno nel cibo.
Non ho visto Omar comprare il veleno, ma sapevo che nella sua cantina c’erano i topi…
volevamo tutto e subito. Abbiamo scartato l’idea del veleno perché mia madre avrebbe
potuto non mangiare il minestrone con il topicida. Abbiamo optato per i coltelli. Non
volevamo uccidere Gianluca. Non siamo stati noi, è stato Omar… non era stato
progettato. Gli ho tenuto i piedi quando ha cercato di affogarlo. Provavo vergogna, ma
non potevo oppormi a Omar.
G: Quella sera sapevi cos’era venuto a fare Omar a casa tua?
E: Si.
G: Dopo il delitto avete preso due decisioni: non uccidere tuo padre ed elaborare una
strategia di difesa…
E: Io ero stanca e Omar era ferito, così abbiamo deciso di non andare oltre.
G: lei ammette di avere una relazione con un ammiratore esterno?
E: Si, si chiama Marco, ha 24 anni e fa il dj. Sono innamorata di lui e lui mi vuole molto
bene. Voglio fidanzarmi con lui.
Dopo tocca a Omar rispondere al giudice. Lui conferma le precedenti confessioni e
aggiunge: “Ho fatto tutto per lei e lei se ne sarebbe andata con il padre...”
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L’attenzione data al reo/autore comporta una personalizzazione del crimine.
La televisione e la carta stampata tendono a non occuparsi del crimine come “fenomeno
criminale”, ma del fenomeno come “fatto individuale”.
C’è di fatto una selezione discorsiva delle notizie sul crimine di tipo qualitativo, cioè
nella scelta di trattare determinati crimini rispetto ad altri.
Nello specifico caso preso in considerazione, oltre al clamore del fatto in sé e
l’attenzione alle vicende processuali che li hanno interessati, l’attenzione dei media è
tornata sui protagonisti della vicenda, anche dopo la conclusione del processo.
Durante la detenzione, Erika intraprese una fitta corrispondenza con un musicista
veronese, tal Marco Guagole, presentato dalla stampa come il “nuovo fidanzato” di
Erika.
Il giovane rilasciò diverse interviste e partecipò ad alcuni salotti televisivi.
Fonte: il quotidiano “La Repubblica”.
2/12/2001 – inviato Meo Ponte.5
“Verona – La prima volta le ha scritto perché anche lui, a 16 anni, aveva pensato di
uccidere i genitori. Ora ad Erika, l’assassina di Novi Ligure, scrive tutti i giorni perché è
innamorato di lei (…) Le scrive una lettera al giorno indirizzandola al carcere di Milano
“Cesare Beccaria” (…) le trenta e più lettere di Erika le custodisce in un album dove ha
raccolto fotografie di lei e articoli sul massacro (…) E’ un ragazzo timido e quando
parla di Erika, la sua voce diventa un sussurro, ma ripete di amarla e di aver paura di
deluderla (…)”.
Frammenti dell’intervista al giovane:
Giornalista: Allora Mario, è lei il nuovo fidanzato di Erika?
Mario: E’ lei che lo dice e che me lo scrive. Io le credo ma a volte ho paura che dica di
amarmi per la situazione in cui si trova…
Giornalista: Quando ha iniziato a scriverle?
Mario: Subito dopo l’arresto.
Giornalista: Perché ha deciso di scriverle?
Mario: (…) Io ho seguito un impulso, sentivo di capirla perché a 16 anni anche io ho
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Vedi nota 4.
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pensato di uccidere mio padre, le ho scritto che capivo quello che provava e che anche
io avevo sofferto come stava soffrendo lei. (…)
Giornalista: E del delitto avete mai parlato?
Mario: Mai. Solo all’inizio lei mi ha scritto che non c‘entrava niente con la morte della
madre e del fratello (…) pensiamo solo a noi e alla musica (…)
E dopo alcuni anni un evento di cronaca viene di nuovo collegato alla personalità
dell’adolescente Erika De Nardo…
Da “La Voce d’Italia” – primo quotidiano indipendente online (28/10/2008).
Silvia Podestà.6
Cronaca, Sinistra morte dell’ultimo fidanzato
Titolo: Novi, Erika De Nardo: la “maledizione continua”.
“Mario Guagole, il ragazzo a distanza di Erika De Nardo, è annegato in un canale,
prigioniero della sua auto.
(…) In un’intervista televisiva il giovane meccanico, aveva spiegato la nascita della sua
insana passione e aveva ricordato l’episodio che lo aveva indotto a scriverle per la prima
volta: la vista di una scritta sul muro della prigione, che chiedeva la pena capitale per
Erika.
La morte sinistra dell’ultimo fidanzato della giovane assassina sta già alimentando
fantasie, riguardo una presunta “maledizione” di Erika, che avrebbe causato anche il
decesso di un ragazzo due anni fa, per un male incurabile.”
6
Podestà S. (12/10/1984), web editor freelance, collaboratrice presso la redazione online di “La voce
d’Italia”. Cit. c/o art. del 28/10/2008 “Novi, Erika De Nardo: la “maledizione continua” in “La voce
d’Italia”.
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CAPITOLO 3
LA DISINFORMAZIONE PUÒ INFORMARE?
La trattazione del fenomeno criminoso può avere un sensibile valore informativo.
Gli spettatori in generale vengono istruiti sulle norme giuridiche aventi a oggetto
particolari fenomeni criminali (prevenzione generale) e sensibilizzati sull’esistenza di
particolari nuove forme criminose, sulle potenziali o effettive vittime riguardo
l’articolazione del fenomeno criminoso al quale potrebbero essere o sono state
sottoposte, fornendo consigli legali, psicologici e su misure di protezione a cui possono
accedere.
All’interno di un’analisi criminologica si deve far riferimento alla criminodinamica,
branca della criminologia che studia come alcune tendenze (individuali e/o socioambientali) abbiano interagito tra loro per spingere un soggetto a compiere un atto
criminoso.
Tra le tendenze individuali vi sono per esempio i disturbi di personalità, patologie
particolari (es. schizofrenia) e parafilie (es. pedofilia); tra le tendenze socio-ambientali,
rientrano la crisi economica, il contesto socio-culturale e l’influenza dei mass media.
Agenda setting
I mass media incarnano nella società attuale la principale fonte d’informazione, per il
cittadino comune, sulla giustizia penale.
E’ assodato che la gente tende a valutare l’importanza di un problema sociale dallo
spazio che i mass media gli dedicano, poiché una notizia dev’essere resa saliente
rispetto ad altre, trasferendo un fenomeno da un contesto limitato a uno generale
d’interesse pubblico.
Infatti, il caso preso in considerazione è stato presentato come un matricidio che
avrebbe potuto ripetersi in ogni famiglia italiana.
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Dall’archivio storico del quotidiano “Corriere della sera” – 4/05/2001
Titolo: La RAI prepara una fiction su Erika e Omar. Massacro di Novi Ligure, i
legali dei ragazzi: decisione assurda. L’azienda: è una storia esemplare.
Da Quotidiano.net
Omar Favaro in tv: L’orrore fa audience.
Il discorso di paura e la comunicazione pervasiva creano l’aspettativa che il rischio e il
pericolo siano un aspetto centrale della vita di ogni giorno, producendo così una
sopravvalutazione dei pericoli a cui si è più difficilmente vittime e una sottovalutazione
di quelli a più alta probabilità di vittimizzazione.
Inoltre, favorisce un senso di disordine e la convinzione che la situazione sia fuori
controllo, dando origine alla richiesta di maggiore sicurezza e sanzioni più severe verso
i criminali.
I mass media formano ciò che la gente ricorda, come lo ricorda e i motivi per i quali lo
ricorda.
L’enfasi, inoltre, conferita dai mass media alle operazioni svolte dalle agenzie di
controllo sociale formale, genera nel pubblico l’idea che la soluzione del problema
criminale sia di esclusiva competenza degli apparati istituzionali; risulta invece
essenziale il ruolo dei cittadini comuni (vittime denuncianti e testimoni).
20/02/2011, TG3
Titolo: “Erika e Omar, dieci anni dopo”
Due nomi immobili nella memoria collettiva, nessuno ha dimenticato. Scorrono sul
video le immagini della villetta di Novi Ligure, dove si è compiuto il massacro; i volti
oscurati, lei Erika 16 anni, lui Omar, il suo fidanzato di 17 anni. Due minorenni
uccidono insieme con 97 coltellate mamma e fratellino. Colpisce ancora come un pugno
allo stomaco. Il volto del padre segna un dolore troppo grande da raccontare, non ha mai
voluto parlare: è sempre stato vicino alla figlia, quasi volesse difendere l’ultimo pezzo
di famiglia rimasto. Manda al funerale fiori firmati “il marito ed Erika”. Oggi Erika è
una giovane donna di 27 anni che potrebbe lasciare il carcere in anticipo grazie alla
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buona condotta.
Due anni fa occhiali da sole e una partita di pallavolo che scatenò una serie di
polemiche. In carcere si è laureata in filosofia e chi l’ha seguita in questi anni dice che è
cambiata, cresciuta e maturata. Omar, 26 anni, uomo libero, ha cominciato a lavorare
quando era in semi-libertà. Vive in un luogo dove nessuno sa chi è, vuole essere
dimenticato e non può stare vicino a persone che sanno quello che ha fatto.
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CAPITOLO 4
INFLUENZA SULL’OPINIONE PUBBLICA
Con il termine opinione pubblica s’indica l’aggregato delle attitudini individuali o delle
convinzioni mantenute dalla popolazione adulta.
E’ influenzata dalle pubbliche relazioni e dai mezzi di comunicazione, tra cui i mass
media che utilizzano un’ampia gamma di tecniche per diffondere un determinato
messaggio, cercando di manipolare l’idea dei recettori delle notizie presentate.
Nel caso preso qui in considerazione, di fronte alla drammaticità del fatto, i mass media
e alcuni blog su Internet, svelano la perplessità, la curiosità e i giudizi che la gente
comune, recettrice delle notizie, ha preso come riferimenti, enfatizzando nuovamente
l’accaduto e facendolo diventare “fatto individuale” e non più solo “fatto criminale”,
etichettando la ragazza nella fattispecie, come “mostro” e non più come persona, in
grado di rifarsi una vita.
Da noiweb.blogs.it (23/05/2006)
“ Erika De Nardo e i sensi di colpa.
… Ieri Erika ha ricevuto un permesso di qualche ora per giocare a pallavolo e l’Italia ha
visto il suo volto. E’ una ragazzetta come tante a vederla così: è carina anzi, ha un bel
sorriso, ma soprattutto sembra innocente.
Fa un po’ paura proprio perché abbiamo la possibilità di guardare in faccia un incubo, il
male racchiuso in un involucro fanciullesco, il mito della bellezza di Lucifero che si
ripropone e il fastidio si esprime in polemiche: che ci fa quest’assassina libera? Perché
gioca a pallavolo come una ragazza qualunque? Chi la autorizza a sorridere?
(…)”
Da Lastampa.it (23/04/2009)
“ Erika De Nardo: laurea con 110 e lode.
Erika De Nardo, da oggi è la dottoressa Erika De Nardo. La ragazza, protagonista del
massacro di Novi Ligure, condannata per l’omicidio della madre e del fratellino, si è
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laureata con il massimo dei voti in lettere e filosofia nel carcere bresciano di Verziano.
(…) Ora le daranno anche un lavoro? (…)”
Da teledicoio.blogsfere.it (29/09/2011)
“ Erika De Nardo sulla copertina di Panorama: Intitoliamole anche una via, no?”
Paolo Siciliano7
Significativa la figura di Don Mazzi8 che ha accolto Erika, come lavoratrice, in una
delle sue comunità.
Le riflessioni di Don Mazzi, qui di seguito riportate, partono dalle pesanti allusione e
dichiarazioni della gente comune: Perché aiutare questa ragazza? Perché perdonare
un’assassina? Perché crederle e seguirla come una persona “normale”? Non va lasciata
chiusa dentro a marcire, buttando la chiave?
“ (…) Qui non si tratta di attaccare cerotti, di ricostruire parti di sé, ma di rinascere o di
ricadere. Erika non è il caso, ma la parte di una storia, che va progettata con umiltà e
pazienza. La sfida è proprio quella di crederci.”
Commento di Franco Salis, cittadino comune (6/10/2011)
“Per me dieci anni di carcere per una strage del genere sono profondamente ingiusti.
Siamo sulla terra e dobbiamo giudicare secondo principi di giustizia relativa. Perché
dieci anni a chi compie una strage e quattro a chi ruba un carciofo?
(…) Accettare il percorso rieducativo, in prospettiva di una riduzione della pena, è
troppo facile e conveniente.“
Inoltre, da Internet, si trovano anche articoli che romanzano la notizia come nel
7
Siciliano P. collaboratore di teledicoio.it, blog entertaiment. Cit. in un articolo del giornale “Panorama”,
29/09/2011.
8
Don Antonio Mazzi (30/11/1929, Verona), scrittore italiano e impegnato in attività di recupero di
tossicodipendenti. Nel 1980 fonda la comunità Exodus. Cit. c/o giornale “Panorama”, settembre 2011.
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racconto qui di seguito riportato dal n. 4 de “L’Europeo”, 2004 di Lina Coletti9.
“Erika e Omar, due ragazzi. Il massacro di Novi Ligure: le vittime, gli assassini, un
mistero senza fine.”
“Fa freddo e tira vento. Gli alberi, davanti a un non lungo susseguirsi delle villette a
schiera color salmone, han foglie tremule e un po’ rattrappite (…) Attorno il silenzio più
fondo rotto soltanto dai passi di un ragazzo che ha la faccia da bambino (…) Susanna
Cassini detta Susy, 42 anni, un volto un po’ qualunque e un caschetto striato di mèches,
che ancor più gliel’addolciscono (…) , un po’ speciale come donna, le brutture del
mondo non la toccano (…). Peccato che Erika, la maggiore dei due figli, 16 anni,
bravissima a pallavolo per carità ma in chiesa mai, con loro a sciare quasi mai, spesso in
discoteca invece, come al bowling, che è li a due passi, lei e la sua mania per i Lunapop
e fan di quel Morrison, il cantante, ma sì: quello che la vita l’inneggia nella triade
musica-sesso-droga e lei speriamo di no, ma chi può dirlo, per come sono i ragazzi di
oggi, purtroppo… e per fortuna c’è Gianluca, 11 anni, ragazzino dolce e bello, lui
sportivone. Calcio e basket in primis. Ma anche chierichetto nella vicina parrocchia
(…).
“Hanno ammazzato la mamma, hanno ammazzato la mamma… un urlo di Erika. E
dopo quello un altro. E però nella strada il silenzio non si rompe. Nessuno sente nulla.
(…)
I ragazzi della pattuglia sono già sconvolti, nonostante il mestiere, che una mattanza
così… salgono… la notizia si espande. E arriva gente, tanta gente. Francesco De Nardo,
il “capo” di quella che viene già definita come una famiglia da Mulino Bianco. È li da
poco…(…).”
9
Coletti L. Scrittrice e inviata de “L’Europeo”, settimanale d’attualità, pubblicato dal 1945 al 1995 e poi
dal 2001 al 2013. Cit. nel n^4 de “L’Europeo”, 2004.
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Si sono poi interessati alla vicenda specifica anche studiosi e ricercatori universitari,
cercando di comprendere i motivi dell’accaduto e cercando di andare a scavare nella
psicologia dei due ragazzi protagonisti, andando a verificare anche in loco per cercare di
raccogliere testimonianze, informazioni e conoscere luoghi e persone che hanno fatto da
sfondo a questa vicenda.
Interessante il convegno a Chieti, specifico sul caso ”Erika”, presentato per interesse
psichiatrico. Il comportamento della ragazza viene descritto come derivante da forme di
follia, che ha assunto nella tragedia di Novi Ligure, dal suo abito di normalità e dalla
mancanza di una sintomatologia rivelatrice del disagio.
Gaetano Bonetta10, preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Gabriele
d’Annunzio di Chieti-Pescara afferma: “Esiste un diffuso bisogno di comprendere ciò
che è accaduto a Novi Ligure; le risposte tradizionali non bastano più. C’è da affrontare
una nuova espressione della malattia mentale, che incide sull’affettività e la cancella,
lasciando apparentemente intatto il guscio della personalità.”
8 Ottobre 2001- Corriere della Sera- art. di Fiorenza Sarzanini11 (pag. 27).
Titolo: “Erika e Omar hanno ucciso per diventare un mito”
Inviato a Torino:
Volevano diventare un mito. Avevano bisogno di far nascere la loro coppia in “maniera
grandiosa”; per questo motivo hanno ucciso. Erika e Omar, due personalità diverse che
si fondono, si compensano e si amano in maniera totale fino al gesto estremo.
10
Bonetta G. Preside della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Gabriele D’Annunzio di ChietiPescara dal 1997 al 2006. Cit. da convegno tenutosi a Chieti su Erika.
11
Sarzanini F. Giornalista della cronaca giudiziaria del quotidiano “Corriere della Sera”. Cit. art. “Erika e
Omar hanno ucciso per diventare un mito”, “Corriere della Sera”, 8/10/2001.
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Il GIP di Torino, Cesare Castellani12, richiede la perizia psichiatrica; due ragazzi,
apparentemente normali, che all’improvviso si sono trasformati in assassini.
Dopo mesi davanti ai magistrati, Erika, ha cominciato ad ammettere di avere avuto un
ruolo nell’omicidio di sua madre e marginalmente in quello del fratello. Si è posta in
posizione defilata rispetto a Omar, che ha sempre negato di aver accoltellato Gianluca,
riconoscendo di aver colpito solo la donna.
Attraverso colloqui per delineare la disposta perizia psichiatrica, entrambi i protagonisti
vengono definiti pienamente capaci d’intendere e di volere, smentendo la tesi dei periti
di parte che giudicano Erika, totalmente inferma di mente e Omar, in grado d’intendere
ma non di volere.
MOVENTE - Non basta fuggire, sposarsi e fare un figlio. Hanno bisogno di diventare
un mito e per questo si pongono un obiettivo preciso: eliminare la famiglia per crearne
un’altra che sia soltanto loro. Il loro fine è spietato: eliminare tutti gli ostacoli che
impediscono ad entrambi di raggiungere la libertà e l’indipendenza assoluta.
Questo movente non è mai emerso dalle indagini, ma viene definito “psicologico”, un
motivo che si nascondeva nella loro psiche.
Le due persone si fondono, ma per poter rimanere insieme, devono costruire un rapporto
che sia chiuso rispetto al resto del mondo. Nella loro coppia, non c’è più autonomia e il
sesso è l’elemento che serve ad arrivare a questa unione assoluta. I periti definiscono i
pomeriggi di Erika e Omar indifferenziati e seriali. Ogni giorno seguono sempre lo
stesso schema: lui va a prenderla a casa sua, si fermano dal tabaccaio per comprare le
sigarette, poi vanno nell’appartamento di lui, dove si chiudono in camera e hanno
rapporti sessuali per ore.
12
Castellani C. GIP di Torino. Cit. art. “Erika e Omar in carcere - l’accusa: omicidio premeditato”, “La
Repubblica”, 11/10/2001.
19
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PREMEDITAZIONE - Gli esperti la chiamano “premeditazione fantasmizzata”. I due
giovani danno sfogo alle loro fantasie più segrete, si confrontano, infine si scoprono
d’accordo sulla realizzazione di un piano comune: un progetto criminale che prevede
l’eliminazione di tutti gli ostacoli che gli impediscono di vivere senza vincoli e senza
imposizioni.
LA LORO STORIA - Secondo i periti, è stata l’assenza dei padri a segnare i percorsi di
crescita di Erika e Omar. Vengono definiti come padri nascosti nella vita di entrambi.
Questo vuoto spinge tutti e due a fantasticare sul padre dell’altro.
Sono le madri a guidare i ragazzi. La figura femminile domina la loro esistenza, ma il
risultato è opposto. Nella famiglia di Erika, è stato costruito un ambiente dove non ci
sono conflitti apparenti, ma dove non si è stati capaci di creare un clima affettivo che
potesse trasmettere valori positivi.
Nella famiglia di Omar invece, oltre alla madre, la figura presente nella sua vita, è la
nonna; questo lo porta a essere al centro dell’interesse e dell’attenzione di tutti. Soltanto
dopo mesi e mesi i due giovani cominciano a soffrire per quello che è successo.
Il 25 giugno sono state disposte le perizie psicologiche e psichiatriche per Erika e Omar;
l’obiettivo principale: stabilire la loro capacità d’intendere e di volere, condizione
necessaria per l’imputabilità e quindi per l’eventuale rinvio a giudizio. Secondo i tre
periti del gip, Gustavo Charmet13, Adolfo Ceretti14 e Alessandra Simonetto15, i due
13
14
Charmet Pietropolli G. laureato presso l’Università di Padova in Medicina, Presidente del CAF Onlus
Centro Aiuto Bambino Maltrattato e alla Famiglia in crisi di Milano, nominato dal Consiglio
Superiore della Magistratura come Giudice Onorario del Tribunale dei Minori, socio Cooperativa
Minotauro, docente della scuola Psicoterapia dell’adolescenza ARPAD di Milano. Cit. art. “Erika e
Omar in carcere – l’accusa: omicidio premeditato” in “La Repubblica”, 11/10/2001.
Ceretti A. laureato in Giurisprudenza, specializzato in Criminologia Clinica presso l’Università degli
Studi di Milano. Nel 1996 è stato componente del Comitato Metropolitano di Milano, sotto la giunta
di Albertini, su progetti finalizzati a rimuovere le condizioni del disagio minorile per prevenire il
rischio di coinvolgimento in attività criminose. Dal 1996 ricopre la cattedra di Criminologia presso
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ragazzi sono in grado d’intendere e di volere. Per i periti della difesa, invece, Erika è
totalmente incapace di volere e Omar solo parzialmente. Anche sulla base di queste
perizie, il gip deciderà sul loro rinvio a giudizio.
15
l’Università degli Studi di Milano – Bicocca. Cit. art.”Erika e Omar in carcere – l’accusa: omicidio
premeditato” in “La Repubblica”, 11/10/2001.
Simonetto A. Vive e lavora a Torino. Laureata nel 1982, iscritta all’elenco degli psicoterapeuti, attività
che svolge seguendo un orientamento gruppo analitico. Effettua interventi di consulenza e
psicoterapia con adolescenti e adulti; è inserita presso l’Asl TO4 come specialista ambulatoriale di
bambini adottati e le loro famiglie. Docente presso la Scuola di Specializzazione di Psicoterapia della
COIRAG. Attualmente anche Consigliere dell’Ordine degli Psicologi per il secondo mandato
consecutivo. Cit. in art. “Erika e Omar in carcere – l’accusa: omicidio premeditato”, “La Repubblica”,
11/10/2001.
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CAPITOLO 5
SALOTTI TELEVISIVI DEDICATI
Uno tra i maggiori mezzi di comunicazione e trasmissione d’informazioni è sicuramente
la televisione, attraverso la messa in onda di telegiornali, ma anche dei così detti, al
giorno d’oggi, “salotti televisivi”, nei quali si affrontano vari tipi di argomenti, anche di
approfondimenti giornalistici, dove c’è spesso un pubblico ed esperti dell’argomento
trattato i quali si confrontano sullo stesso.
Alcuni di questi s’interessano di fenomeni criminali, seguendo i fatti, le vicende
processuali, le investigazioni e tutti i protagonisti della vicenda.
Il caso di Novi Ligure è stato oggetto di queste trasmissioni per lungo tempo, sia
durante i processi e le investigazioni, che a processi conclusi, andando a commentare
l’accaduto, anche dopo anni (per es. in occasione della scarcerazione di Erika e Omar)
cercando di capirne le dinamiche precise sia del fatto in sé, che le personalità dei
protagonisti che hanno partecipato alla vicenda.
Il 7/10/2001, Omar Favaro, venne invitato alla trasmissione “Matrix”16, dove, attraverso
un’intervista raccontò la sua versione della vicenda:
“Mi chiedo ancora perché odiasse così tanto la sua famiglia, pensavo fosse gelosa
nei confronti del fratello, ma ora sono convinto che ci dovesse essere qualcos’altro
perché quello non è un motivo sufficiente per uccidere nessuno (…)”17
16
Matrix, programma televisivo italiano di attualità e approfondimento giornalistico in onda su canale 5
dal 24/02/2009 al 31/05/2012.
17
Cit. di Omar Favaro, “Matrix” (vedi nota 16), puntata del 7/10/2001.
22
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TG24 Sky – Cronaca – 22/12/2010 (Cristina Bassi18)
“Erika e Omar, voglia di normalità 10 anni dopo il massacro”
I due assassini adolescenti di Novi Ligure oggi hanno 26 e 27 anni e vogliono
ricominciare da zero. Lei laureata a pieni voti è ancora in carcere (uscirà nel 2012), lui,
libero da marzo, è un’aspirante informatico.
Omar viene poi descritto dai giornalisti come non turbato dai riflettori e dai flash dei
fotografi, apparentemente tranquillo e con una voce sicura che non ti aspetteresti.
Continuano affermando: “Questa sicurezza però è stata conquistata attraverso un
percorso di analisi che lo ha condotto al pentimento (…) ma forse, con questa
comparsata in televisione, cerca il perdono dei telespettatori (…). Si sa la televisione a
volte, lava i peccati (…).
Omar prosegue il racconto: “Ho accettato perché voglio rimettermi in gioco, la
condanna penale l’ho scontata e il resto lo pago ogni giorno. Voglio avere una seconda
possibilità.”
Il 13/01/2013 nel programma “Uno Mattina19” viene affrontato l’argomento intitolato Ragazze assassine –
Il titolo che compare sul grande schermo è “Il lamento di Erika: nessuno mi dà lavoro”.
Il cronista, nell’introdurre l’argomento, esordisce: “la normalità non è possibile se ti
chiami Erika De Nardo (…), vuole essere dimenticata ma non si nasconde. (…)”.
Continua aggiungendo: “Qualche volta il tempo sembra non essere trascorso, (…) la
18
Bassi C. Giornalista presso “Ilgiornale.it”, cit. art. “Erika e Omar, voglia di normalità dieci anni dopo il
massacro”, TG24 Sky – Cronaca, 22/10/2010.
19
Uno Mattina, programma televisivo di Rai1, in collaborazione con la testata giornalistica del TG1. Cit.
“Ragazze assassine”, Uno Mattina, 13/01/2013.
23
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pena scontata non è servita per la condanna più dolorosa, il giudizio della gente.”
Il cronista sottolinea che la collettività ha ancora nelle orecchie i lamenti della madre,
che è stata uccisa, più del lamento di Erika.
Interviene uno psichiatra, Paolo Crepet20, che nel suo commento all’argomento esalta un
episodio vissuto in prima persona: quando fece una conferenza a Novi Ligure, incontrò
alcuni coetanei di Erika e una sua insegnante, che gli mostrò i libri che la ragazza
leggeva preferibilmente. Trattavano argomenti di psicologia, con parti sulla criminalità
sottolineate. (…). Conclude il commento affermando: “la ragazza non è stata ascoltata,
vista e intercettata dalla nostra indifferenza.”
All’interno del programma televisivo interviene anche Melita Cavallo21, presidente del
Tribunale dei Minori di Roma, la quale risponde alla conduttrice che le chiede se la
pena scontata dai due ragazzi sia stata sufficiente: “(…) La pena dev’essere considerata
come rieducazione, una possibilità di riabilitarsi, (…) è come se quelli che la
incontrassero volessero essere giudici più di quelli competenti. (…)”.
Quasi dieci anni dopo il fatto, anche il programma televisivo “Porta a Porta”22 si occupa
del caso.
All’interno della puntata sono mandate in onda, come sottofondo alle narrazioni,
immagini ripetute dei protagonisti che entrano ed escono dalla villetta, un tema scritto
dal fratellino, in cui sottolinea il suo affetto per la sorella, immagini del tribunale e delle
bare delle due vittime.
20
Crepet P. (Torino, 17/9/1951), laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Padova nel 1976,
in Sociologia presso l’Università di Urbino nel 1980, nel 1985 ottiene la specializzazione in
Psichiatria presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Padova. Cit. “Ragazze assassine”, Uno
Mattina, 13/01/2013.
21
Cavallo M. Presidente del Tribunale per Minori di Roma, cit. “Ragazze assassine”, Uno Mattina,
13/01/2013.
22
Porta a Porta, rubrica televisiva di approfondimento della televisione italiana. Tratta delle tematiche
politiche e di attualità. Trasmessa dal 22/01/1996.
24
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Viene raccontato il fatto, per l’ennesima volta, aggiungendo le confessioni dei due
protagonisti raccontate da due attori e si enfatizza la figura della madre uccisa, donna
che ha rinunciato al lavoro per prendersi cura dei suoi figli, ma che non è riuscita a
capire le esigenze della maggiore, date le frequenti discussioni tra le due.
Significativo, inoltre, sottolineare il fatto che il programma ha chiesto l’intervento, nella
puntata stessa, delle agenzie di controllo sociale formale che si sono occupate del caso
specifico; vengono così forniti particolari riguardo le investigazioni, anche a livello
tecnico.
Inoltre ci si continua a interrogare sul possibile movente che abbia spinto i due giovani a
compiere questo atto atroce.
Questa puntata è stata pubblicata su un noto sito Internet, il quale ad oggi registra circa
28800 visualizzazioni.
12/02/2013 Focus Cronaca-Oggi-23
“ Erika De Nardo guarda la macchina che fu di sua madre”
La 28enne di Novi Ligure, che 12 anni fa uccise con il fidanzatino Omar, la madre e il
fratellino, e che oggi è libera, guida proprio l’automobile che fu di sua madre Susy
Cassini.
Lo rivela il settimanale “Oggi”24, che mostra le foto della ragazza e i documenti del
pubblico registro automobilistico.
Francesco De Nardo presenta la sua nuova compagna alla figlia Erika. De Nardo è
sempre stato vicino alla figlia negli 11 anni di carcere, nel periodo di comunità e ancora
23
Focus Cronaca Oggi, settimanale online che affronta varie tematiche, tra le quali l’attualità. Cit. “Erika
De Nardo guida la macchina che fu di sua madre”, Focus Cronaca Oggi, 12/02/2013.
24
Oggi, settimanale online e cartaceo, che affronta varie tematiche, tra le quali l’attualità. Cit. “Erika De
Nardo guida la macchina che fu di sua madre”, Oggi, 12/02/2013.
25
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adesso. E proprio il padre le ha consegnato le chiavi e la proprietà dell’automobile della
mamma.
Commenti all’articolo (da sito dove è stato pubblicato articolo):
Prialo (12/02/2013)
“Non si può descrivere la pena che si prova nel vedere gli assassini offendere
ulteriormente le loro vittime. E non la sola che campa senza averne diritto.”
MT (12/02/2013)
“ Se io avessi ucciso mia madre, non mi sentirei a mio agio a guidare la sua macchina,
ma questo vale per me. La mia sensazione comunque è che questa ragazza o non si sia
resa conto di quello che ha fatto oppure non gliene importi nulla. E non capisco neppure
il padre.”
Bresciano1986 (13/02/2013)
“ Visto che la legge dei tribunali non garantisce la giusta punizione, ho sempre creduto
nella giustizia sociale, quella della vergogna. Mentalmente io la vedo una ragazza senza
cuore in grado di uccidere ancora!”
Unnamable (13/02/2013)
“ Per fortuna esiste una giustizia sociale, quella del disprezzo pubblico e di Google:
infatti, anche tra vent’anni, cercando il suo nome su Google, appariranno le notizie su
quello che ha fatto. Nessuno se ne dimenticherà mai. Purtroppo però la follia è
condivisa e pare pure che ci sia stato un imprenditore che l’ha assunta per aiutarla a
rifarsi una vita. Gente con lauree e master che finisce nei call center e un’assassina trova
26
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lavoro per beneficienza.”
Aletta
“ Ha compiuto un gesto atroce, il peggiore che ci sia, ma penso che abbia il diritto di
rifarsi una vita.”
Ilaria
“ Io al suo posto, presa consapevolezza dell’orrore fatto, mi sarei suicidata.”
Gabriella
“ Quella al posto del cuore, ha le pietre.”
Sonya
“Non pagherai mai abbastanza l’atroce delitto che hai commesso!”
Omar a Matrix25:
“Mentre facevamo sesso Erika mi diceva di uccidere: voleva ammazzare anche suo
padre. Mi chiedo perché odiasse tanto la sua famiglia. Io mi vergogno ancora.”
(…) “ Erika mi chiedeva ossessivamente di uccidere la sua famiglia per dimostrare di
essere un vero uomo e amarla veramente”, sono le parole scioccanti di Omar Favaro, il
protagonista della storia d’amore e di orrore di Novi Ligure, a 10 anni dalla strage. La
sua lunga fuga da obiettivi e taccuini di reporter curiosi, finisce nello studio di Matrix26
davanti al microfono di Alessio Vinci27.
Il ragazzo di Alessandria, condannato a 14 anni di carcere per l’omicidio del fratellino e
della mamma della fidanzatina Erika, racconta la sua versione e nuovi aspetti della
vicenda. “Mi chiedo ancora perché odiasse così tanto la sua famiglia, pensavo fosse
25
Vedi nota 16.
Vedi nota precedente.
27
Vinci A. (Lussemburgo, 15/4/1968), giornalista e conduttore televisivo italiano. Dal 24/2/2009 al
31/5/2012 conduttore di Matrix (vedi nota 16).
26
27
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gelosia nei confronti del fratello, ma ora sono convinto che ci dovesse essere
qualcos’altro perché quello non è un motivo sufficiente per uccidere nessuno”.
Dice di rimpiangere di non aver avuto la forza di aiutarla nel modo giusto e non sembra
turbato dai riflettori e dai flash dei fotografi. Omar è tranquillo e parla con una sicurezza
che non ti aspetteresti, conquistata dopo un lungo percorso di analisi che lo ha condotto
infine al pentimento.
La conversazione si sposta sulla nuova ragazza di Omar, Deborah Barbaruto, che gli ha
cambiato l’esistenza; agli spettatori di “Domenica Cinque”28 fa sapere che il loro è vero
amore, tanto che annuncia di volere una figlia con lui.
Ora nessuno impedirà a Omar di andare su tutte le reti nazionali a raccontare di quando
a 16 anni, il 21/02/2001, ha ammazzato due persone. Chissà che non possa finire in
reality, magari con la fidanzatina di un tempo, descritta da tutti come una bella ragazza,
solare e piena di vita, quasi a rispolverare le teorie di Cesare Lombroso29.
“Temo il pregiudizio degli altri. Ho ancora vergogna e paura di non potere andare
avanti”.
Parole simili a quelle di Erika nella recente intervista concessa a Panorama. Sembra
quasi che, sotto sotto, anche loro siano vittime.
Vi sono state tante altre trasmissioni che hanno trattato questo caso, tra cui “Chi l’ha
visto?”30 e “L’altra metà del crimine”,31 nei quali si ripete la stessa dinamica di
28
Domenica Cinque, programma televisivo italiano domenicale, curato dalla testata giornalistica italiana
e autonoma video news. Trattava di diversi temi durante le puntate, tra cui argomenti di cronaca e
attualità su cui si costruivano dibattiti. E’stato trasmesso dal 2009 al 2012 su canale 5.
29
Lombroso C. (Verona, 6/11/1835 – Torino, 19/10/1909), medico, antropologo, criminologo e giurista
italiano di origine ebraica. E’ stato uno dei pionieri degli studi sulla criminalità e fondatore
dell’antropologia criminale.
30
Chi l’ha visto? Trasmissione televisiva dedicata alla ricerca di persone scomparse ai misteri insoluti. In
onda dal 1989 e diventata la trasmissione più longeva di Raitre.
31
L’altra metà del crimine, programma televisivo condotto dall’ex Generale dei Carabinieri ed ex
Comandante dei RIS di Parma, Luciano Garofano. Trasmesso da LA7 in prima serata dal 22/09/2011
per dieci puntate.
28
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presentazione del fatto: l’intervento delle agenzie di controllo sociale formale, gli autori
e le vittime.
Questo tipo d’intervento dei mass media, come già anticipato, produce l’effetto
sull’opinione pubblica di acquisire maggiori informazioni tecniche riguardo le realtà
processuali e alcune delle dinamiche criminologiche.
29
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CAPITOLO 6
IL GIUDIZIO MORALE
Un vicino di casa ci racconta che un pirata della strada ha investito un uomo e poi è
scappato senza prestare soccorso, poi accendiamo la radio e ascoltiamo che bande di
giovani hanno compiuto atti vandalici; più tardi il telegiornale ci informa di alcuni
privilegi accordati ad alcune categorie di professionisti e di fabbriche che hanno fatto
ammalare e morire centinaia di lavoratori e di loro familiari ed esclamiamo: “Che
ingiustizia, certe leggi dovrebbero essere cambiate oppure applicate meglio!“
Il nostro senso morale e la nostra capacità di giudicare moralmente eventi, norme,
azioni, è coinvolto ogni giorno.
La capacità di formulare giudizi di tipo etico o morale è un requisito fondamentale per
la nostra vita sociale e per un sistema funzionante.
La complessa vita cooperativa, tipica di tutte le comunità umane, non sarebbe possibile
senza coscienza e giudizio morale che, rivolti a sé stessi e verso gli altri, permettono un
costante controllo sulle tendenze all’egoismo e alla sopraffazione.
Necessario fare però una distinzione tra realismo e antirealismo. Il realismo morale32 è
la prospettiva coerente con le fedi religiose più diffuse: per un realista morale, i giudizi
catturano delle verità fattuali sul valore di una di una certa azione o di un tratto del
carattere, cioè esso afferma che esistono fatti morali e che in base a questi, è possibile
valutare la verità di un giudizio morale.
32
Realismo morale, corrente filosofica sostenitrice che esista una realtà indipendentemente dai nostri
schemi concettuali e dalle nostre credenze. I realisti pensano che la verità consista in una qualche
forma di corrispondenza dei pensieri alla realtà. Cit. “Il giudizio morale”, Surian, ed. Il Mulino,
Bologna, 2013.
30
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I giudizi morali sono veri solo quando corrispondono a fatti, ma non possono essere
sottoposti a osservazioni né a occhio nudo né con strumenti tecnici.
Per i kantiani33, le affermazioni morali sono verità logiche, dimostrabili razionalmente e
solo la ragione è lo strumento che ci permette di decidere la verità di un giudizio morale
dove la razionalità delle persone ne diventa il fondamento.
Altri realisti, invece, sostengono che le proprietà morali di un’azione non dipendano
dalla ragione, ma dai sentimenti: i fatti morali sono legati alle emozioni originate da un
certo evento o azione.
Legata alla corrente sentimentalista, si deve fare riferimento all’emozioniamo, posto da
David Hume34 e Adam Smith35, per il quale i giudizi morali esprimono le nostre
reazioni emotive, i nostri desideri, gli stati motivazionali e i sentimenti di approvazione
e disapprovazione.
Il relativista aggiunge che ciò che conta è la totale soggettività dei giudizi: la stessa
affermazione sulla moralità di un’azione può essere vera per una persona e falsa per
un’altra, o il medesimo giudizio può essere corretto in un certo periodo storico e
scorretto in un altro.
33
Kantiani, seguaci del filosofo tedesco Immanuel Kant (Konigsberg 22/04/1724 – Konigsberg
12/02/1804). Fu uno dei più importanti esponenti dell’illuminismo tedesco e anticipatore degli
elementi fondanti della filosofia idealistica. Cit. “Il giudizio morale”, Surian L. ed. Il Mulino,
Bologna, 2013.
34
Hume D. (Edimburgo, 26/04/1711 – Edimburgo, 25/08/1776), filosofo e storico scozzese. Hume mirava
a realizzare una “scienza della natura umana” con la stessa certezza e organizzazione matematica
proprie della fisica. Egli delinea un “modello empirista di conoscenza” che si rivelerà critico verso
l’illuministica fede nella ragione. Cit. “Il giudizio morale”, Surian L. ed. Il Mulino, Bologna, 2013.
35
Smith A. (Kirkcaldy, 5/06/1723 – Edimburgo, 17/07/1790), filosofo ed economista scozese, che in
seguito a studi intrapresi nell’ambito della filosofia morale, gettò le basi dell’economia politica
classica. Cit. “Il giudizio morale”, Surian L. ed. Il Mulino, Bologna, 2013.
31
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Universalità delle idee su virtù e giustizia
Secondo studi dell’Università della Pennsylvania, condotti da Martin Seligman36 e
Christopher Peterson37, due psicologi, in tutte le culture del mondo si apprezzano sei
virtù morali: la trascendenza, come capacità di apprezzare la bellezza, la speranza, la
spiritualità, lo humor e la gratitudine; la saggezza, che comprende la creatività, la
curiosità e l’amore per l’apprendimento e per l’apertura mentale; l’umanità come la
capacità di amare, di prendersi cura degli altri, il provare empatia e l’intelligenza sociale
per comprendere rapporti di potere all’interno dei gruppi di appartenenza; la giustizia
come propensione ad agire in modo equo, dimostrando una certa responsabilità civile; la
temperanza, che include la capacità di perdono, di umiltà e autocontrollo; infine il
coraggio, che si distingue in fisico, morale e intellettuale.
Uomini e donne hanno morali diverse?
Carol Gilligan38, docente dell’Università di New York, propone che nel giudizio morale
ci siano differenze associate al genere sessuale; il giudizio morale tipico nei maschi
sarebbe ben rappresentato dalle principali tradizioni filosofiche occidentali: è il giudizio
derivato da principi che riguardano i diritti e i doveri universali. Nelle femmine, invece,
secondo la Gilligan, il giudizio è orientato dalle spontanee risposte emotive empatiche,
dalle relazioni affettive e dal prendersi cura degli altri.
Sono state condotte alcune ricerche empiriche che hanno dato sostegno alla tesi della
docente di New York, sia in modo diretto, studiando il ragionamento morale di maschi e
femmine, sia in modo indiretto, studiando le capacità empatiche nei due sessi.
36
Seligman M. (New York, 12/08/1942), psicologo e saggista statunitense. Considerato uno dei fondatori
della psicologia positiva. Cit. “Il giudizio morale”, Surian L. ed. Il Mulino, Bologna, 2013.
37
Peterson C. (Michigan, 18/02/1950 – Michigan, 9/10/2012), docente di Psicologia presso l’Università
Ann Arbor, Michigan. Considerato uno dei fondatori della psicologia positiva. Cit. “Il giudizio
morale”, Surian L. ed. Il Mulino, Bologna, 2013.
38
Vedi nota 1.
32
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Condannare senza sapere perché
Lo psicologo Haidt39 ha dimostrato in vari studi che le persone spesso generano giudizi
morali con decisione, pur essendo incapaci di giustificarli razionalmente.
Haidt sostiene che alla base della condanna vi sia una spontanea reazione di disgusto e
disapprovazione. Alcuni soggetti non trovano altre giustificazioni alla propria
disapprovazione che il puro e semplice fatto emotivo: sono azioni riprovevoli punto e
basta. Queste emozioni morali, che sono rivolte verso altre persone, possono essere
considerate e rivolte anche verso sé stessi, attraverso la disapprovazione, tradotta in
colpa, imbarazzo, vergogna oppure attraverso l’approvazione, che si traduce in orgoglio.
Il senso di colpa ci induce a compiere gesti di riconciliazione e stimola ad azioni che
promuovono il perdono. Il disprezzo, invece, per colui che ha violato un patto di lealtà,
può portare all’espulsione o esclusione dalla comunità; i sentimenti di vergogna per aver
commesso un’azione ritenuta impura e disgustosa, promuovono invece azioni
purificatrici e di espiazione; i sentimenti di colpa altresì, motivano ad azioni di
riconciliazione e di riparazione.
39
Vedi nota 2.
33
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CAPITOLO 7
FAMIGLIA ATOMIZZATA-CRIMINOGENESI DEI DELITTI AGGRESSIVI
Analisi dell’evoluzione dei sentimenti di Erika dopo le dichiarazioni al Magistrato
Tutto l’amore per Mauro, alias Omar, è finito nel giro di quattro giorni. Infatti ha detto:
“Non sono stata io, è stato Mauro”. Ha risposto di aver taciuto per amore e per paura,
dopo che le sono state contestate le bugie.
Omar decide di vuotare il sacco il 20/08/2001, sei mesi dopo i due omicidi, segno che il
suo sentimento per Erika era più forte e più sincero, per quanto fortemente sottomesso.
Nove mesi dopo il delitto, Erika dichiara di avere un nuovo amore. Gli scrive una lettera
dove riaffiora l’immaginazione che prevale sul reale: “Amore, sono contenta tu sia
geloso, ma non ti devi preoccupare, non mi butterò mai tra le braccia di nessun ragazzo.
Aspetterò te per avere mille attenzioni e te ne darò tante, ma tante coccole che mi dirai
basta.”
Mario, con le sue risposte, adotta un duplice meccanismo: “Sarà ridicolo, ma le voglio
bene, le scrivo semplicemente di stare tranquilla, che niente è perduto e che potrà rifarsi
una vita con le sue difficoltà”. Dall’altra parte, ammette di non conoscerla, di non averle
mai parlato e di non averla mai incontrata. In questo modo anche lui lega i sentimenti
all’immaginazione nella speranza che questa prevalga sulla realtà: le vuole bene, ma
pensa sia una cosa ridicola; non le ha mai parlato, quindi in realtà non la conosce, ma è
pronto a fare un figlio con lei.
La famiglia atomizzata e la crisi d’autorità come fattori criminogeni dei delitti
aggressivi
Al momento del delitto Erika era incapace d’intendere e di volere, in preda ad un delirio
distruttivo animato da psicosi; ha agito supportata dal fidanzato, anch’esso in simbiosi.
34
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Quando all’interno di una famiglia “normale” si giunge a scoprire che la figlia
adolescente trama e poi agisce per massacrare la madre e il fratellino, come nel caso
specifico, allora significa che quella famiglia, non solo è atomizzata, ma è anche
frantumata negli affetti e minata nell’autorità che dovrebbe legare i figli ai genitori.
L’atomizzazione è anche figlia dei modelli imposti dai mass-media, che inseguono le
logiche del consumismo sfrenato: ogni membro della famiglia è a sé stante ed ognuno è
estraneo all’altro, pur vivendo insieme. Al suo interno, ognuno vive tenendo per sé i
problemi, i dolori, le ansie e così via. Non c’è un vero dialogo e la fiducia reciproca è
assopita. A tutto ciò si aggiunge la crisi dell’autorità.
L’autorità è ben descritta dalla filosofa Hannah Arendt40: “Il rapporto d’autorità tra chi
comanda e chi obbedisce non si fonda né su ragioni convincenti, né sul potere di chi
comanda; l’una e l’altra delle parti in causa hanno in comune la gerarchia stessa, che
entrambe riconoscono giusta e legittima, nella quale entrambi hanno un posto fisso e
prestabilito”.
Nella famiglia atomizzata è venuto meno il ruolo della madre come figura autorevole
per i figli e l’attenzione è rivolta verso il futuro.
La famiglia atomizzata è incapace di promuovere e riconoscere l’autorità. I figli
atomizzati sono inclini al vizio e al vuoto di sé: sono così predisposti al bisogno
psicologico di rimanere delusi e sono incapaci a provare veri legami verso oggetti e
persone. A loro tutto è dovuto, anche perché fin da piccoli sono stati abituati così, a
sentirsi dire più si che no: non sono stati educati a gestire l’ansia nelle relazioni
personali, né ad avere rispetto verso l’altro da sé. Ecco allora che un lutto, un quattro in
matematica o comunque un fallimento, fanno sprofondare in azioni menzognere,
distruttive o violente.
Arendt suggerisce: “Il potere è realizzato solo da parole e azioni che si sostengono a
vicenda, dove le parole non sono vuote e i gesti non sono brutali; le parole non sono
usate per nascondere le intenzioni, ma per rivelare la realtà, i gesti non sono usati per
violare e distruggere, ma per stabilire relazioni e creare nuove realtà”.
La parola “autorità” deriva dal verbo augere che significa accrescere ed elevare. Una
40
Arendt H. (Hannover, 14/10/1906 – New York, 4/12/1975), filosofa, storica e scrittrice tedesca, ma
trasferitasi negli Stati Uniti d’America, essendo di origine ebraica nel periodo di sottomissione in
Germania. Lavorò come giornalista e maestra di scuola superiore, pubblicò opere importanti di
filosofia politica.
35
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persona autorevole riconosce e promuove l’autorità in un rapporto dove è pacifico sia
chi comanda che chi obbedisce.
L’autorità e il potere richiedono parole concordanti: parole che non contengono
menzogne e gesti che non sono violenti o brutali.
Oltremodo, il figlio ha bisogno d’affetto e d’amore: i genitori devono aiutarlo a crescere
e a diventare adulto insegnandogli ad accettare il principio di realtà e di responsabilità.
Essere vuoti di sé significa vivere inseguendo illusioni, cioè caricando di speranza e di
attesa un’azione per poi scontrarsi con la realtà, che è sempre interpretata come nemica:
si perde così, via a via, l’interesse verso gli oggetti, le persone, i valori. Si va ad
alimentare la disillusione, il bisogno di rimanere delusi e ricominciare con l’illusione
che rigenera illusioni.
Chi è vuoto di sé, è anche predisposto ad uscire fuori di sé (per esempio assumendo
alcool aumentando allucinazioni). In questo modo, il pensiero si stacca sempre più dalla
realtà ed al vuoto di sé, sopraggiunge il fuori di sé, uccidendo gli altri o distruggendo
completamente se stessi e chi ci vive accanto.
A questo proposito è bene citare il concetto di “devianza”, che, attraverso un approccio
di tipo sociologico, viene definita come l’infrazione di una norma accettata a livello
sociale, diventando il prodotto di un processo che implica le reazioni di altre persone ad
un determinato comportamento, nel caso specifico andando ad analizzare, come riferito
sopra, il piano dell’azione comunicativa dei soggetti adolescenti entro i loro sistemi
d’interazione e il piano del controllo sociale che costruisce i significati culturali del
problema e le conseguenti risposte istituzionali.41
Il criminologo Massimo Picozzi42: “Erika è rimasta un guscio vuoto”
“(…) Volevano ammazzare pure il padre, ma qualcosa li convinse a rinunciare. Lui,
nonostante tutto e tutti, perdonò quella sua figlia assassina. E’ sempre andato a trovarla
in carcere, le ha scritto, l’ha difesa e protetta, dicendosi sempre disposto a riaccoglierla
in casa, in quel villino dove sembrava che la vita scorresse placida e felice e che non
41
42
Outsiders (Saggi di sociologia della devianza), Becker H. S. EGA Editore, Torino, 2006.
Picozzi M. (Milano, 8/8/1956), psichiatra, criminologo, saggista italiano e consulente per la gestione
delle emozioni in ambito manageriale e sportivo. Dal 2000 è responsabile della sezione di Psicologia
Investigativa e Psicopatologia delle condotte criminali e docente del corso di specializzazione in
Psicologia Investigativa presso l’Università di Parma. Svolge attività di docenza nei corsi di
formazione per la Polizia di Stato e per l’Arma dei Carabinieri, con i quali è impegnato in progetti di
ricerca in ambito di violenza e aggressività.
36
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ebbe il coraggio di abbandonare nemmeno dopo il massacro. Lo fece pulire e ci tornò ad
abitare.”43
Cinque anni dopo il delitto, il Dottor Massimo Picozzi, il criminologo capo del collegio
che svolse la perizia psicologica per conto della difesa di Erika, proprio quando ormai il
silenzio sembrava calato, riaccende i riflettori. All’epoca sostenne che la giovane fosse
malata, non in grado d’intendere e di volere, ma non convinse i giudici: nessuna
infermità mentale.
Sostenne poi: “Erika De Nardo è ancora la stessa persona di quando ha ucciso. Era stato
riconosciuto un disturbo grave della personalità per il quale erano previste cure assidue
da parte degli specialisti del Beccaria di Milano. In cella, però, non è andato tutto come
doveva andare e oggi Erika, a 22 anni, è un guscio vuoto.
Quando uscirà dal carcere non sarà cambiato niente sulla vicenda: si sono fatte troppe
banalizzazioni e non si è mai detto il motivo per il quale Susy Cassini e Gianluca De
Nardo vennero ammazzati. Il piano della coppia era preciso: il fratellino di Erika non
doveva essere presente perché doveva essere fuori casa con amici; i due fidanzatini
avrebbero dovuto uccidere il padre e la madre di Erika, adottare il fratellino e vivere
insieme alla nonna della ragazza fino a sposarsi.
Si è anche detto che Erika fosse una specie di virago e Omar suo succube: in realtà
pochi sanno che prima dell’estate del 2000, era stato Omar a lasciarla perché voleva
divertirsi nel periodo estivo. I due poi sono tornati insieme nell’ottobre 2001. Il ragazzo
non piaceva molto ai genitori di lei, ma non c’erano segnali di particolare
preoccupazione: Erika non rientrava mai in ritardo e non usciva mai di sera. I due,
perlopiù, stavano chiusi nella casa di Omar, dove all’insaputa di tutti, sperimentavano
uso di droghe e una violenta sessualità.
Infine, un’analisi su un’altra vittima, forse la più drammatica: il padre di Erika,
quell’ingegnere pacioso e inconsapevole, tutto casa e ufficio. Lui è riuscito a
sopravvivere al dramma perché è un grande credente e perché convinto che chi ha
ucciso, sia stata la malattia della figlia, non la figlia.”44
43
44
Cit. Picozzi M.(vedi nota 41), www.ilgiornale.it, art.”Erika è rimasta un guscio vuoto”, 21/01/2006.
Cit. Picozzi M.(vedi nota 41), www.ilgiornale.it, art. “Erika è rimasta un guscio vuoto”, 21/01/2006.
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CAPITOLO 8
TESTI CANZONI DEDICATI
La tradizione popolare è stata anch’essa influenzata dal fatto, infatti alcuni cantautori e
gruppi musicali, hanno preso spunto da questo caso per elaborare canzoni ancora oggi di
grande successo, soprattutto nella popolazione dei giovani.
Riporto di seguito alcune tracce di alcune canzoni prese come esempio:
“Venerdì 17” Fabri Fibra45
(…) entro in casa mia arrampicandomi dal terrazzo
Punto un lanciafiamme sulla mia famiglia e l’ammazzo
Così voglio vedere quando vado all’inferno
Se il Demonio c’ha la faccia di Erika o del suo ragazzo (…)
“Questa vita” – Fabri Fibra
… Oh io non so perché
Ma da quando sono andato in televisione
Mi telefona molta, molta più gente!!!!
Non dirmi non lo sapevi (…) Anche se sei in televisione
Questa vita non è uno show (…)
Ho dato il mio cd a Erika, stava in pigiama sul letto della cella che sfogliava Panorama.
E prima o poi scommetti,
la vedremo in copertina perché questa ragazza si fa sempre più carina!
Magari non realizza cos’ha fatto di sbagliato,
ma se gioca a pallavolo tu non vedi un’assassina (…)
“Cuore di Latta” – Fabri Fibra
(…) La ragazza amore mio è ancora chiusa in galera
Io mi chiedo e mi domando ma quando uscirà
45
Fabri Fibra, nome d’arte di Fabrizio Tarducci (Senigallia, 17/10/1976), è un rapper, produttore
discografico e scrittore italiano.
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Sono passati anche gli anni in cui ero minorenne
Abbiam fatto un po’ di danni ma quando uscirà?
E pensare che eravamo parecchio affiatati
E siamo diventati i più famosi della città siamo finiti anche in tele
C’ha visto tutta Italia… amore mio ti rendi conto che pubblicità (…)
Mi hanno rinchiuso in questa cella (…)
Mi fanno uscire il giorno in cui presenterò a qualche un piano di volontariato, io se ho
fatto quel che ho fatto è perché quando l’ho fatto ero anche troppo innamorato (…)
E poi cos’ è questa storia cariata… vai a dire in giro che non sei più innamorata
Come puoi trovarti un ragazzo nuovo dopo quello che abbiamo passato
Ma sei ubriaca?!
(...) Dopo le 97 coltellate per uccidere tua madre
Con i tagli nel petto
Dopo tutte le versioni che ho detto
Ti permetti di portare un altro uomo nel letto
Ma visto che sognavi di perdere tuo fratello
Io ti uccido pure lui
Così il quadro è perfetto
E adesso che potremmo stare soli
T’innamori di un altro ma tu lo fai per dispetto (…)
“Gente tranquilla” – Subsonica46
… lampeggianti, è un fatto serio.
Gente tranquilla dicono
Riversa dentro un rosso fradicio
Cronaca incomprensibile
Di lame e di follia inspiegabile.
Buona famiglia giurano
Travolti da una notte che non vuole finire (…)
A porte chiuse l’incubo domestico imprevedibile è gelido (…)
E ogni certezza è brivido che massacra la tua quiete attorno al televisore (...)
46
Subsonica, gruppo musicale di rock italiano alternativo nato a Torino nel 1996.
39
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CONCLUSIONI
Attraverso questo elaborato si può sostenere la tesi che i mass media hanno grande
influenza sul pensiero collettivo.
Facendo riferimento ad un approccio criminologico si possono distinguere due tipi
d’“informazione” trasmessi dai media: l’informazione, in senso lato, cioè la
divulgazione delle notizie di cronaca per far conoscere i fatti e la disinformazione, ossia
la scarsa e/o mancata divulgazione degli avvenimenti.
La disinformazione può avvenire in modo doloso, attraverso l’alterazione della
conoscenza dei fatti per distogliere l’attenzione su altre situazioni, creando tensione su
altri, oppure in modo “innocente”, guadagnando l’attenzione dello spettatore, evitando
altre notizie (es. i salotti televisivi, dedicati al caso specifico, che diventano puri
contenitori d’intrattenimento regalando notizie in pillole, anche coinvolgendo talvolta
professionisti esperti rispetto a tematiche specifiche trattate).
I mass media seguono un iter preciso per la divulgazione della notizia da trasmettere.
In primo luogo viene raccontato il fatto, oggettivo e asettico, in seguito vengono riferite
le agenzie di controllo formale sociale: si ricordano infatti le prime immagini di Erika e
Omar, fuori dalla villetta di Novi Ligure, ammanettati e condotti nell’automobile della
polizia; qui i due presunti colpevoli erano già stati etichettati dalla comunità come tali,
nonostante le indagini erano appena iniziate.
Infine, nell’iter della divulgazione, appare la vittima.
Di seguito a questa descrizione, si può quindi affermare che c’è una selezione discorsiva
della notizia, a seconda del livello di audience che la stessa darà al pubblico. Le
conseguenze possono coincidere con un’errata percezione del reato in sé, sia personale
che sociale, e una sorta di emulazione.
Quello dei mass media è diventato un meccanismo sociale: oltre il 90 per cento delle
persone, considera la televisione come maggiore canale informativo riguardo la
giustizia penale; funge da prevenzione attraverso cui il potere mediatico fa vedere che
c’è una norma che punisce un determinato reato. L’obiettivo diventa quello di
spaventare per non far entrare nel penale.
40
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Prendendo in considerazione il caso specifico ci si trova di fronte a un processo di
seconda vittimizzazione: quando Erika esce dal carcere, dopo aver scontato la pena, la
notizia appare nell’immediato sugli schermi televisivi e solo ascoltando quel nome, lo
spettatore comune rievoca solo il suo delitto, subisce l’effetto mediatico e il suo eco,
etichettando nuovamente la ragazza come assassina, senza possibilità di redenzione agli
occhi della collettività: non viene accolta dalla società e si fa fatica a reintegrarla in
essa. Questo accade poiché il ricordo collettivo fa emergere ciò che è stato più
spettacolarizzato ed enfatizzato.
Attraverso i processi mediatici si è andati a scavare sulla vita e sulle relazioni affettive
dei due adolescenti, durante gli anni di reclusione, soprattutto nei confronti di Erika e
dopo anni che si era chiuso il processo vero e proprio in tribunale.
Si sono aperti dibattiti riguardo l’approvazione o la disapprovazione dei loro
comportamenti (es. la storia d’amore intrattenuta per via epistolare tra la ragazza e un
ragazzo esterno al carcere), delle loro passioni, dei loro desideri, mettendoli a nudo
davanti a tutta la collettività.
Ma ci si è interrogati riguardo lo stato di benessere di questa giovane donna? Riguardo
il suo stato reale di salute? E di tutto lo scenario che la circondava prima di arrivare a
compiere quel gesto estremo? Chi era Erika De Nardo?
Tante sono state le persone che hanno commentato l’accaduto, attraverso blog e lettere
aggiunte in rete, ma tutte con un comune denominatore: etichettare Erika solo come
un’assassina e non più, in primo luogo, come persona.
Penso sia necessario andare a ritroso negli eventi per comprendere quanto detto sopra,
andando ad osservare la famiglia De Nardo dal punto di vista dei legami creati
all’interno di essa, prima del tragico evento.
Si è parlato a lungo dell’assenza della figura paterna per entrambi i giovani e della
mancata autorità delle figure genitoriali.
Si parla così di famiglia atomizzata, nella quale ogni componente di essa è a sé stante ed
ognuno è estraneo all’altro, pur vivendo insieme. Al suo interno, ognuno vive tenendo
per sé i problemi, i dolori e le ansie: non c’è un vero dialogo e la fiducia reciproca è
assopita.
I figli atomizzati sono inclini al vuoto di sé e diventano incapaci di creare legami
significativi con le altre persone; non sono stati educati a gestire l’ansia nelle relazioni
41
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personali, né ad avere rispetto verso sé e verso gli altri.
Probabilmente il percorso rieducativo per entrambi i due ragazzi adolescenti dell’epoca,
è servito anche a fare in modo di farli diventare adulti, consapevoli di sé, della loro
personalità e di comprendere quali siano le priorità e le loro aspettative per la loro vita
futura.
In quel contesto gli è stata data nuovamente fiducia per sviluppare in modo funzionale
le proprie risorse e potenzialità fino a quel momento sommerse, dando così spazio al
ritorno alla vita quotidiana, seppure complessa, ma alla pari di tutti i giovani adulti loro
coetanei.
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BIBLIOGRAFIA
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mulino, 2013.
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2006.
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Leo G. ed. La Nuova Italia, 1996.
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SITOGRAFIA
(Ultima consultazione luglio 2014)
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www.panorama.it/articolo/caso-erika-omar
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