Anche padre Fedele era presente alla cerimonia

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Anche padre Fedele era presente alla cerimonia
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Società & Cultura
Mercoledì 2 marzo 2016
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FORUM IN REDAZIONE
Celibato dei sacerdoti, perdono per i divorziati
e le grandi questioni etiche tra i temi affrontati
«I preti migliori?
Quelli sposati»
Lo psichiatra Meluzzi, nella nuova veste di arcivescovo
della Chiesa ortodossa italiana, ospite del Quotidiano
PSICHIATRA e criminologo ricercatissimo dai salotti televisivi, ed
parlamentare ed ex massone, Alessandro Meluzzi da qualche settimana è il Primate della Chiesa ortodossa italiana con il nome di Alessandro I e l’appellativo di sua Beatitudine. Un lungo camino, quello
che lo ha portato all’interno della
Chiesa ortodossa italiana, fondata
nel 1991 da Antonio De Rosso, ex
sacerdote cattolico, e risente dell’influenza della Chiesa d’oriente
assiro caldea e di Adeodato Leopoldo Mancini. Meluzzi, in città per visitare la comunità ortodossa, è stato ospite della redazione cosentina
del Quotidiano dove ha partecipato
ad un forum con i giornalisti.
Cosa rappresenta oggi la Chiesa
ortodossa italiana autocefala?
«È una presenza scomoda sia per il mondo
cattolico che per quello
ortodosso. Per quello
cattolico perché appare, a torto o a ragione,
come una minaccia di
tipo scismatico, che
rompe l’equilibrio su
alcuni temi come il celibato ecclesiastico, il secondo o terzo matrimonio dei divorziati, la
consacrazione
delle
unioni di fatto. Nel
mondo ortodosso viene
percepita come una minaccia perché fa uscire
questo mondo da una
minoritarietà in cui appare ovvio che alla
chiesa romena la chiesa cattolica non abbia
difficoltà a concedere
edifici o risorse, mentre noi veniamo percepiti come pericolosi.
Siamo una sorta di terzo polo, con una forte spinta riformista nei confronti delle chiese ortodosse, chiuse nelle proprie tradizioni, e della chiesa cattolica che,
pur avendo compiuto con Papa
Francesco una grande rivoluzione
d’immagine, non ha intaccato di
una virgola i temi di cui si dovrebbe
discutere come il celibato ecclesiastico, il secondo matrimonio dei divorziati, l’organizzazione della gerarchia. Papa Francesco ha parlato
di tutto nel mondo, di famiglia, di
poveri, di pace, ma non di Chiesa,
perché forse l’argomento è troppo
pericoloso».
Quali sono i vostri rapporti con
la chiesa cattolica?
«La chiesa cattolica è una realtà
così variegata e sterminata che Papa Francesco la incarna solo nella
dimensione della proiezione esterna, della pastorale, dell’evangelizzazione dei poveri, della pace, ma
senza entrare in quel dibattito teo-
logico interno che forse Papa Ratzinger aveva cercato di aggredire
ma senza successo. Io sono d’accordo con il cardinale Martini sul fatto
che la Chiesa cattolica romana oggi più che di un Papa che sia pastore di misericordia, quale Francesco senza dubbio è, abbia bisogno di
un Concilio ecumenico vaticano
III. Il Vaticano II si era fermato solo
sul piano pastorale. Ci sono però alcune materie di verità di fede, che
devono essere affrontate non solo
per tradurre le verità evangeliche
nel linguaggio del nostro tempo,
ma anche per rispondere alle sfide
della scienza. Oggi una scienza che
propone di condizionare i cervelli,
produrre uomini in laboratorio,
modificare i geni per allungare la
vita o immunizzare dalle malattie,
pone chi ha la giusta pretesa cristiana di interpretare
e inculturare nel tempo la buona notizia
evangelica davanti a
sfide da cui non può
sfuggire. E la sfida
principale di oggi, tra
la clonazione e l’aberrante utero in affitto,
è la teobiopolitica. La
politica che si occupa
del bios e che noi vogliamo
illuminare
con il theos. Perché
quando le cose diventano
tecnicamente
possibili, da qualche
parte prima o poi si faranno. L’unico argine, quindi, è la coscienza non le leggi».
Qual è la posizione
della Chiesa ortodossa italiana nei
confronti del divorzio? Per voi esiste il
perdono anche al secondo, terzo matrimonio?
«Gli ortodossi celebrano anche
un secondo e terzo matrimonio in
forma penitenziale che non contraddice l’idea dell’indissolubilità
del legame di nozze, perché il loro
ragionamento teologico parte dal
presupposto secondo cui ogni sacramento cristiano ha una materia, oltre che una forma. Nel matrimonio questa materia è il corpo degli sposi. Del resto se un matrimonio è celebrato, ma non viene consumato, è nullo. Corpo e sessualità
aperta alla riproduzione e alla vita
sono la materia del matrimonio.
Immaginiamo che ci sia una coppia
che si è sposata vent’anni fa. Poi la
vita ha fatto il suo corso. Vent’anni
dopo formano un’altra famiglia.
Voi credete che la Chiesa debba presidiare un matrimonio che non c’è
o non c’è mai stato? Perché la famiglia nuova che c’è deve considerarsi in uno stato di colpa grave per-
«Avrei voluto
salutare Nunnari
ma ho preferito
evitargli
l’imbarazzo»
manente? Capite che in questo ragionamento c’è qualcosa che non
va. Gli ortodossi, per il concetto di
oikos nomos, la legge della casa
teologica, celebrano seconde e anche terze nozze, che non sono una
festa con l’incoronazione ma una
benedizione penitenziale di un’unione che c’è e che vuole essere consacrata esattamente come le altre.
Non ha senso negare a questi sposi
la comunione, perché questa sorta
di anoressia eucaristica è proprio il
contrario dell’essere chiesa. Se il
centro della ministerialità ecclesiale è l’eucarestia, dove non c’è eucarestia, non c’è chiesa».
Su questo c’è un’apertura di
Papa Francesco.
«Vedremo. Per il momento il Sinodo non si è pronunciato. Non si
può delegare, caso per caso, al confessore, al parroco, creando disparità insopportabili».
Nei fatti, però, succede questo.
«Infatti siamo nell’anarchia, non
siamo nella certezza del diritto. Ed
è anche uno scandalo quello dei
Tribunali ecclesiastici che per molto tempo hanno ridotto a fatto giuridico quello che persino il Papa ha
definito fatto pastorale, affidandolo ai vescovi. Devo dire che i vescovi
non hanno gradito molto questo
compito, anche perché ci sono interessi del mondo matrimonialistico
canonico in tutte le diocesi, interessi concreti e anche consistentemente economici. Noi risolviamo
questo problema: la tua unione è
sana, santa, amorevole, fedele? Celebriamo il nuovo matrimonio e
vieni con noi al tavolo dell’eucarestia. Non c’è ragione per escluderti».
Ci racconta la sua storia?
«Sono arrivato al mondo dell’ortodossia partendo dal mondo greco
cattolico. Il mio maestro, in materia di fede e in materia professionale, è stato don Pierino Gelmini, fondatore della comunità “Incontro”,
molto amato anche qui in Calabria
dove ha creato la grande realtà di
Zervò, e a Cosenza, credo fosse amico di monsignor Salvatore Nunnari, che io conobbi a suo tempo proprio nella comunità “Incontro” e
che mi piacerebbe oggi incontrare,
se non fosse che lo imbarazzerebbe
troppo. Ma lo abbraccio e lo benedico in nome di questa comune amicizia con don Pierino. Io ho incontrato don Pierino nel 1982 durante
il processo Muccioli. Ero consulente della difesa, lui un testimone.
Don Pierino poi ha accompagnato
tutta la mia vita. Devo a lui non solo
la mia fede cristiana, dalla quale
avevo preso una certa distanza per
un periodo del mio cammino: senza
di lui non sarei neanche lo psichiatra che sono. Nel 2000 don Pierino
mi chiese, alla vigilia dei suoi 80
anni, di subentrargli nella vita del-
Il forum con Alessandro Meluzzi alla redazione della cronaca di Cosenza del Quotidiano
la comunità, lui era esarca mitrato
della chiesa cattolica greco – melchita, e di iniziare studi teologici.
Cosa che ho fatto: prima in ambiente cattolico con il dottorato in filosofia mistica al Sant’Anselmo dai
benedettini, poi nella Facoltà di
Teologia dell’ateneo pontificio Regina Apostolorum, infine con i salesiani. Poi è arrivato l’incontro
con monsignor Isidore Battikha,
metropolita di Homs, Hama e Yabrud in Siria che su richiesta di don
Gelmini mi ordinò diacono di rito
greco-melchita a Homs nel 2007.
Questa ordinazione fu preceduta
da alcune scelte. Una di queste, per
obbedienza alla chiesa cattolica,
ancorché nella sua declinazione bizantina, era la non commistione
con la mia lunga storia massonica
iniziata nei primi anni ’80 nella
Loggia Ausonia di Torino, quella
in cui è stata fatta l’Unità d’Italia, la
massoneria di Cavour e Garibaldi.
Non ho mai dovuto ripudiare nulla
di quello che appresi nei miei vent’anni di massoneria. Mai detto né
ascoltato una parola che fosse contro la mia fede. Fatto sta che dai
tempi di Clemente XII pende sui
massoni una scomunica, ribadita
poi da un deliberato del 1983 della
Congregazione per la dottrina della fede voluto dall’allora cardinale
Ratzinger. Nel 2003 annunciai a
tutti, in un discorso a Massa marittima le ragioni per cui andavo in
sonno: avendo trovato Gesù Cristo,
che è il dono più grande, non mi
serviva più la massoneria. La storia prosegue, don Gelmini , come
sapete, uscì dalla condizione ecclesiale, iniziò quella che considero
una vera persecuzione, anzi un
martirio – e noi ci apprestiamo a canonizzarlo – e io mi ritrovai senza il
mio pastore. Una persona amabilissima, il vescovo di Asti, mi chiese
nel 2012 di diventare diacono permanente latino nella sua diocesi.
Per me era una grande rinuncia,
LA VISITA PASTORALE Sono stati ordinati
perché la mia vocazione è sempre
stata quella dell’Oriente cristiano,
sul piano teologico e liturgico. Il
vescovo, ad ogni modo, fa un quesito alla Congregazione per la dottrina della fede a Roma, per chiedere
se poteva prendere nella sua diocesi il dottor Meluzzi, fino al 2003
nella massoneria. La risposta fu
che chi era massone era massone
per sempre. Si sanciva l’immodificabilità di una situazione. Con grave errore teologico, secondo me,
perché si riconosceva alla massoneria un carattere controiniziatico
e controsacramentale di segno opposto e dello stesso potere della
Chiesa, laddove mi risulta sia scritto “ciò che viene sciolto dalla Chiesa in questa terra, viene sciolto nei
cieli”. In questo caso invece il legame non è scioglibile. Una risposta
scritta forse per distrazione o, come disse un cardinale amico mio,
da un massone interno. Cosa potevo fare? Andare via. Ritrovai un
vecchio amico, padre Leopoldo
Adeodato Mancini, vescovo ortodosso della chiesa di tradizione assiro-caldea. Leopoldo mi accolse e
poco prima di morire mi ordinò. Da
lì ripartì la mia storia, fino alla
chiesa ortodossa italiana in cui ho
incontrato altri amici come padre
Athanasio. Come vedete, non ho
fatto nessuno scisma nei confronti
della chiesa cattolica. Semmai la
chiesa cattolica lo ha fatto nei miei
confronti».
Domande dai lettori, Maria Teresa chiede in cosa il ruolo di psichiatria si avvicina a quello di
primate. Ed essere psichiatra
aiuta nel ruolo di primate?
«Una bella e grande domanda.
Nella chiesa ortodossa il tema del
curare prevale su quello del giudicare. Del resto, se prendiamo il
vangelo di Marco leggiamo che nei
primi due anni e mezzo di vita pubblica Gesù Cristo ha proclamato
l’avvento del regno di Dio e ha cura-
tre ipodiaconi e un diacono dal neo Arcivescovo
Anche padre Fedele era presente alla cerimonia
COSENZA - Esordio in Calabria
ieri per Sua Beatitudine Alessandro I, al secolo Alessandro Meluzzi.
La visita pastorale e la successiva cerimonia si è tenuta alla Casa delle Culture di corso Telesio,
nel centro antico della città. In
prima fila c’era Francesco Bisceglia, meglio noto come padre Fedele, ex frate francescano, sospeso a divinis ed allontanato dall’ordine dei cappuccini, perchè
non accettò di lasciare la città di
Cosenza dopo essere stato accusato e assolto, in secondo grado,
per violenza sessuale ai danni di
una suora.
La sua presenza non è passata
inosservata. E non è escluso che
l’ex frate possa presto entrare a
far parte della Chiesa ortodossa
italiana. Al termine della cerimonia sono stati ordinati un diacono, Alfredo Mancuso, e tre ipodiaconi: Enzo Vacalebre, Vincenzo Caravona e Sergio La
Ghezza.
Il 23 dicembre scorso su propo-
Sua Beatitudine Alessandro I durante la solenne cerimonia ortodossa.
A sinistra l’Arcivescovo Meluzzi con padre Fedele (ph. Tosti)
sta della Cancelleria il Santo Sinodo ha decretato che il Decanato del Mercurion sia istituito con
giurisdizione sulla Calabria e la
Lucania: a guidarlo è stato designato Padre Athanasio che è stato proposto per l'elevazione a Corepiscopo. E’ toccato a lui ieri po-
meriggio guidare il solenne momento liturgico. Dopo la tappa di
Cosenza potrebbe essere Reggio
Calabria la seconda tappa dell’arcivescovo Alessandro Meluzzi.
Dopo essere stato ordinato prete
ortodosso dieci mesi fa a dicembre scorso è arrivata la grande
investitura per il noto psichiatra
dei salotti televisivi: in punto di
morte padre Adeodato Mancini,
patriarca della Chiesa Occidentale Assiro Caldea lo ha nominato Arcivescovo. A rivelarlo in
una apparizione in televisione
era stato lo stesso Meluzzi.
to i sofferenti, gli ammalati, gli indemoniati, gli epilettici. Un grande
profeta e un grande terapeuta. Essere cristiani significa essere cristoterapeuti: l’imitazione di Cristo
cura l’anima e cura il corpo. Per
quanto riguarda la mia condizione, sapete che essere sacerdoti significa esercitare un ministero.
Ministero vuol dire servizio, che,
circostanza curiosa, equivale a terapeuta in greco. Servizio e cura
sono la stessa cosa. Certo, le due attività restano distinte: chi viene da
me come terapista non cerca un’omelia. Ma sa che la mia vita è ispirata ai principi del Vangelo. ».
La vostra chiesa non prevede il
celibato dei sacerdoti. Ci sono
parroci cattolici sposati, all’insaputa del Vaticano, che si stanno
avvicinando a voi oggi?
«Io ricevo ogni giorno telefonate
di parroci. In servizio o meno.
Guardate, il corpo è una cosa ingombrante. Se lo è a 60 anni, pensate come lo sia a 30. L’ingombro
del corpo ha nuociuto molto alla
chiesa cattolica, meno a quella ortodossa che non ha l’ossessione del
celibato. In dieci anni di studi teologici che ho fatto nei seminari cattolici, tanti dei giovani che ho incontrato avevano una palese inclinazione omosessuale. Perché i seminari si riempiono di giovani, magari casti, ma con una chiara inclinazione sessuale? Perché cinque secoli di selezione di celibi daranno
alla fine un campione distorto.
Quanto è facile andare in seminario anziché spiegare ai genitori,
ferventi cattolici, perché non si ha
una fidanzata? Io credo si debba essere liberi di fare i preti, volendo essere celibi o casti o non volendo essere celibi e casti, ma fedeli ad una
condizione matrimoniale. L’ascesi,
il digiuno, il celibato sono tutte cose bellissime. Ma la condizione
umana è fragile. Io credo che il matrimonio sia un elemento di ordine.
San Paolo stesso lo dice. Avere una
moglie per un prete è una cosa buona se il matrimonio è vissuto con
felicità. Molti preti ci chiamano, è
vero. Eterosessuali, alcuni in condizioni di monasticità e altri invece
hanno fidanzate, amiche. È umano».
C’è anche il problema della crisi delle vocazioni, a cui si risponde spesso con l’arrivo di seminaristi e parroci dall’estero, spesso
dai Paesi poveri.
«Questa è la sesta piaga della
Chiesa. Il reclutamento di giovani
che arrivano dal Terzo Mondo e che
considerano la condizione sacerdotale un privilegio, per poter avere
casa, stipendio, una condizione sociale privilegiata. E tante signore,
magari sole e abbandonate, trovano in loro motivo di consolazione. È
un po’ la storia di padre Gratien. È
mostruoso e razzistico fare un reclutamento – definito dallo stesso
Papa Francesco deportazione – più
che di santi sacerdoti di funzionari
del sacro, che vengono qui per tappare buchi. Poi ce ne saranno mille
bravissimi, non dico di no. Ma questa legione straniera cui la Chiesa
ricorre è il contrario della tradizione ecclesiastica. Non sarebbe meglio un padre di famiglia, che arriva anche dall’estero, con otto figli,
che ha dato buone prove di sé, che è
un diacono nella sua comunità, rispetto ad un giovanotto con ormoni alle stelle e molte ambizioni? E
per tornare alla questione del celibato dei sacerdoti cattolici, il problema è un altro: il patrimonio.
L’artificio del celibato ha consentito alla Chiesa di diventare la più
grande agenzia immobiliare del
pianeta, perché i beni immobiliari,
alla morte del sacerdote, tornano
alla Chiesa. Ecco che oggi la Chiesa
ha un patrimonio enorme, con edifici ormai anche abbandonati che
Papa Francesco, in maniera lungimirante, almeno oggi ritiene di dover destinare ai migranti. Certo,
anche su questo c’è una forte discussione: le parrocchie devono di-
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«A Cosenza la comunità
è in crescita. Questa terra
ha lunghe tradizioni greche»
ventare tutte case di islamici? Può
anche andare bene, può darsi che
troveremo forme meravigliose di
convivenza, ma non possiamo far
passare tutto sotto silenzio. Per destinare i conventi ai migranti non
basta l’ordine di un prefetto, d’accordo con la diocesi che fa le requisizioni. Bisogna discuterne con le
comunità locali».
C’è un limite al perdono?
«La legge del perdono è una legge che non ha limiti. Ma il perdono
non è indifferenza, perché il perdono implica l’esperienza del dolore,
che è il dolore di chi perdona e di chi
è perdonato. Quando il padre misericordioso accoglie il figliol prodigo che aveva dissipato metà del patrimonio tra bagordi e prostitute,
lo fa a prezzo di ferire il figliolo che
aveva seguito le regole. Il perdono
è una dinamica profonda, è l’elemento costitutivo della confessione. Da noi si pratica in due forme,
con l’ascolto oppure, per chi ritiene
di non poter pronunciare il peccato
commesso, con l’autocertificazione di aver chiesto un perdono perfetto. Io la ritengo una pratica buona, perché obbliga l’individuo a
confrontarsi con se stesso».
Lei è in una città che in pochi
anni ha conosciuto l’orrore e il dolore di due madri che uccidono i figli. Cosa ne pensa, da criminologo e da primate?
«L’uomo è una grande unità. Il
cristianesimo promette salvezza
della persona, non dell’anima soltanto. Noi dobbiamo guardare
quindi alla totalità della persona.
La totalità di quelle donne non può
essere ridotta alla parola follia, ma
è una follia del dolore, della solitudine, dell’incomprensione che incontra la
storia umana. Ed è una
storia del nostro tempo.
Chi sono le madri assassine? Sono donne
che ad un certo punto,
con classificazioni psichiatriche
diverse,
hanno sperimentato
tutte la solitudine di essere lasciate sole con la
percezione della propria inadeguatezza. Le
madri assassine ci sono
sempre state, da Medea
in poi. Le ragioni per
cui le madri uccidono
sono tante. Ma le madri
che uccidono nel nostro
tempo sono figlie della
solitudine. Mentre prima attorno alla maternità c’era una coralità
di uomini e di donne,
oggi la mamma può ritrovarsi sola, con i suoi
sensi di colpa, la sua delusione, la
sua depressione, tanto da poter
mettere il proprio bambino in lavatrice. Recuperare la dimensione
della comunità, di famiglia allargata, di rapporti di vicinato sarebbe una cosa sana. Invece la nostra è
una famiglia che quando c’è è piccola e isolata. Una situazione in cui
è normale che la disperazione possa avere esiti estremi. È la stessa dinamica in fondo del femminicidio.
Gli uomini che oggi uccidono sono
quelli che non avrebbero mai messo in conto la possibilità di essere
abbandonati da una donna per sua
libera scelta e reagiscono come potrebbe fare un bambino impazzito
che colpisce una madre che non
l’ha accolto. Il femminicida è un
maschio fragile. Sono felice di aver
dedicato buona parte degli ultimi
miei vent’anni ad osservare il mistero del male, perché osservare il
male è un modo straordinario di
andare alla ricerca del bene. La dimensione clinica della mia attività
mi insegna molto sui bisogni dell’uomo a cui non l’ospedale ma la
Chiesa può rispondere perché la
Chiesa non si occupa della cura immediata ma della prevenzione».
La comunità cosentina che sta
per visitare è in crescita?
«Sì. È una comunità che cresce
attorno ad un bravissimo corepiscopo, che è padre Athanasio. Viene da una tradizione costantinopolitana, è molto laborioso. Per le tradizioni grecaniche di questa terra,
poi, la parola ortodossia è fortemente radicata. Quindi a maggior
ragione considero questa visita
utile, anche perché concepita come
scomoda sia dai cattolici sia dagli
ortodossi locali, perché come ogni
elemento di novità costringe ciascuno di noi al confronto con gli altri. Come dice Lévinas, è lo scandalo dell’arrivante. Io vengo qui con
spirito di fraternità e grande amore verso questi fratelli che oggi ordineremo diaconi e ipodiaconi. In
futuro anche sacerdoti. Essere una
piccola chiesa autocefala vuol dire
anche avere la libertà di crescere
amorevolmente. E poi la Chiesa è
un grande corpo mistico nella sua
unità, in cui convivono cattolici,
anglicani, luterani, ortodossi,
evangelici e così via. E chissà, forse
anche chi non è battezzato. E gli
ebrei, nostri fratelli maggiori? E
gli altri figli di Abramo, i musulmani? E i buddisti o gli induisti?
Non c’è salvezza per loro? Nel grande campo dell’ecumenismo non
possiamo essere utili anche noi della chiesa ortodossa italiana autocefala? La funzione della nostra piccola chiesa potrà essere quella di essere
un piccolo segno di
contraddizione tra
Oriente e Occidente,
tra vecchio e nuovo.
Anche nei miei accenti avete sentito parole
che hanno sapore
nuovo, altre sapore
antichissimo. La libertà di poter parlare
con questa forza e
questa autorevolezza
non viene da me, viene dai fratelli che mi
hanno scelto. Se essere medico si definisce
nel fatto di avere una
laurea ma anche di
avere pazienti, sei vescovo se hai un gregge da guidare, sei
prete se hai persone
che partecipano all’eucarestia da te celebrata. Così, la mia autorevolezza viene dal mio piccolo
gregge. Io rinuncio alla mia rispettabilità professionale di ex parlamentare, ex prof universitario di
Medicina per indossare l’abito talare. Un atto chenotico, che mi espone anche al ridicolo. O forse no. Ma
è comunque un atto di abbandono a
Dio. Ed è questo che rivendico anche davanti ai miei amici vescovi,
preoccupati per la mia venuta. Sono un fratello che arriva disarmato. A tutti propongo di abbracciarci
nell’amore di Dio e di benedirci reciprocamente. La Chiesa deve unire sempre. Perché dividersi? Per
l’incertezza dinastica? Accettiamo
la legge del dialogo e dell’amore:
ecco il mio messaggio ai fratelli vescovi calabresi».
«Le madri
che uccidono
nel nostro tempo
sono figlie
della solitudine»
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Al Forum hanno partecipato
i giornalisti Michele Inserra, Alessandro Chiappetta, Tiziana Aceto
e Maria Francesca Fortunato