Sussidi Alessandro Nottegar

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Sussidi Alessandro Nottegar
Sussidi
Alessandro Nottegar
e la Comunità
Regina Pacis
n 37-38/1-2 - 2012
Quella di Alessandro Nottegar è una figura molteplice; in lui convivono varie dimensioni – quella
dell’uomo, quella del medico, quella del marito e quella del padre – accomunate da uno stesso filo
conduttore: quella della fede. La fede in Dio, nel Suo piano per sé e per la propria famiglia, ha caratterizzato tutta la vita di Alessandro. Una vita all’insegna di quell’umiltà e di quell’impegno propri delle
persone che fanno cose grandi senza sbandierarlo ai quattro venti, una vita segnata dalle Parole del
Vangelo: “Se il chicco di grano non muore, rimane solo, ma se muore porta molto frutto” (Gv 12,24).
Alessandro Nottegar...
l’uomo, il marito, il padre
Alessandro Nottegar nasce a Verona il 30 ottobre 1943 da famiglia contadina, ultimo di dieci figli. Una
famiglia semplice, non ricca, ma unita, come ce n’erano tante nell’Italia contadina del Dopoguerra.
Studioso e gran lavoratore, Alessandro frequenta, assieme al fratello Flavio, le scuole presso la congregazione dei Servi di Maria, a Follina. Finita la scuola dell’obbligo, negli anni ’70, inizia lo studio di
Teologia a Roma. “Sandro era un po’ il leader – ricorda Flavio - colui che muoveva le acque. Eravamo
negli anni del Concilio e c’era un vento di rinnovamento anche all’interno dei conventi, soprattutto per
noi giovani”.
Poi la gioia dell’incontro con Luisa Scipionato, che diventerà sua moglie. Uscito dal seminario, Alessandro si iscrive alla facoltà di medicina a Padova, che terminerà nel 1977, e nel 1971 sposa Luisa.
“Ero felice di lavorare perché lui potesse studiare e diventare medico” ricorda Luisa. “Pensavo che una
donna ha poche possibilità nella vita per amare suo marito. E quando il Signore ti dà queste possibilità
dobbiamo tenercele d’acconto, dobbiamo approfittarne. L’amore non è spontaneità, è sacrificio”. La
loro unione è benedetta dall’arrivo di Chiara, Francesca e Miriam, frutti di un grande amore, che trasmette loro gioia e sicurezza.
Dalle loro parole emerge il ritratto di un uomo che ha posto Dio al centro della propria vita, lasciandosi
guidare da lui. “Ogni giorno – racconta Chiara - quando tornava a casa dal lavoro, prima di tutto andava
in camera a pregare, si ritagliava una mezz’ora di preghiera e di lettura della Bibbia”.
Anno 8 - N° 1-2 gennaio/giugno 2012
Introduzione
...il cristiano, il missionario
L’impegno di Sandro in parrocchia inizia poco dopo il matrimonio, con il coinvolgimento da parte di
don Ottavio Todeschini, all’epoca curato a Castel d’Azzano, comune della provincia veronese in cui la
coppia viveva. “Cercavo una famiglia che mi desse una mano ad accompagnare i giovani. Luisa, subito,
era un po’ restia, diffidente dell’impegno del marito in parrocchia, e allora spesso passavo da loro per
parlare con lui, anche di come come aiutare lei a inserirsi nella dinamica parrocchiale. Il Signore ha
fatto sì che, durante il campeggio del 1974, lei potesse ricevere una grazia particolare a cui è seguito il
suo inserimento nell’attività parrocchiale con un impegno straordinario”. Per Alessandro fu una gioia
immensa sentire che questa vocazione non era più solo sua, ma apparteneva ora alla sua famiglia.
Nel 1978 Alessandro, Luisa e le figlie Chiara e Francesca partono per la missione, destinazione Brasile.
Ricorda don Ottavio: “Credo che Sandro guardasse non solo dentro la sua famiglia, ma anche a quanto
succedeva fuori. Erano numerosi i motivi per cui parlavamo della missione, di come vivere aperti al
mondo. Lui aveva avuto una formazione teologica molto bella, e ci domandavamo cosa fare per gli altri
popoli, come dare un contributo all’evangelizzazione, non solo qui, ma anche in altre terre. La vocazione per la missione è così maturata sia in me che dentro di loro”. Da qui la decisione di partire come laici
missionari, inviati dall’Istituto Don Calabria alla volta di Anaurilandia, in Brasile.
Questo il ricordo di mons. Adelio Tomasin: “Quando hanno deciso di partire per Anaurilandia, di dedicare un tempo alle missioni, ho capito che nel cuore di Sandro si era realizzata non tanto una metamorfosi, quanto una trasformazione già in atto. L’esplosione nata dal cuore di Sandro è frutto di uno
sguardo profondo di Dio nel suo cuore. I suoi atteggiamenti, le sue scelte, la maniera di parlare, di agire
erano quelle di Gesù: l’amore per i poveri, i piccoli, e qualche cosa di più profondo. Guardando Gesù,
guardando al Padre del cielo, vedeva chiaramente un Gesù povero, un Gesù umile, semplice, servo”.
L’arrivo in un posto sperduto nel nulla: prima di lui nessun medico vi aveva mai messo piede, solo un
infermiere italiano. Si dedicò a madri e bambini: prima del suo arrivo, erano in molti a morire prima del
compimento del primo anno di vita. In lui l’atteggiamento era quello del Cristo che si dona completamente all’altro: la sua preoccupazione – racconta chi l’ha conosciuto – non era solo quella di un medico, ma di un uomo pieno di Dio. Non si occupava solo della salute delle persone, ma anche di favorirne
un inserimento sociale nella vita comunitaria e, non ultimo, di curarne il lato spirituale: superava il suo
essere medico per diventare prima di tutto persona umana.
All’inizio degli anni ‘80 cominciano ad arrivare altri medici ad Anaurilandia. Alessandro capisce allora
che la sua presenza non è più necessaria. Viene a sapere che in Rondonia vi è invece una grande necessità di medici e inizia a prestare la sua opera presso un lebbrosario. Chi ha lavorato accanto a lui ricorda
la sua totale disponibilità, giorno e notte, nei confronti dei pazienti, per i quali nutriva un profondo
amore: “Curava le persone come se stesse curando la persona stessa di Cristo”. Proprio nella piccola
cappella di Porto Velho, nel lebbrosario delle suore marcelline, una mattina Alessandro e Luisa, accompagnati dalle figlie, sentono il desiderio di consacrare tutta la famiglia alla Madonna.
Vengono poi chiamati da dom Moacyr Grechi, il vescovo della diocesi di Rio Branco, a lavorare a Plácido de Castro, un piccolo paesino all’interno di un’area di estrazione del caucciù, in cui non è presente
nemmeno un medico. Tra queste persone, Alessandro porta avanti la sua missione, curandole e insegnando loro come preparare in casa alcune medicine tradizionali. “Quando conosci l’amore di Gesù,
capisci anche quando una persona ama i fratelli per amore del Signore: così faceva il dottor Alessandro.
Lui aveva questo carisma speciale, l’amore per le persone. Non curava i malati per guadagnare soldi o
per mettere in mostra la sua professione, li curava con amore” ricorda una donna del posto.
Ma non mancano certo le difficoltà e i momenti di sconforto. Dopo l’esperienza della malaria, di cui si
ammalano anche le figlie, Alessandro e Luisa entrarono in crisi e iniziarono a domandarsi il senso della
loro presenza in Brasile. La salute delle figlie e il loro desiderio di tornare dai nonni in Italia, in quel
luogo dove si viveva in un modo così diverso rispetto al Brasile, li conduce a chiedersi se sia giusto
impedire alle figlie di avere un ambiente più favorevole in nome di una scelta non loro. È così che nel
1982 rientrano in Italia.
Inizia a maturare dentro di loro l’idea di dar vita a una comunità in cui la preghiera, l’amore per il Si-
gnore e l’annuncio della Sua Parola siano il centro di tutto. Sognano un luogo in cui vivere in un clima
di fraternità, di amicizia, di pace, in comunità. Il 15 agosto del 1986 Alessandro e Luisa, mossi da dono
dello Spirito, fondano la Comunità Regina Pacis. Pochi mesi dopo, il19 settembre 1986, rientrando dal
lavoro, Alessandro viene colpito da infarto e muore a soli 42 anni.
Pochi giorni prima della morte, parlando con la figlia Francesca, Alessandro pronuncia una sorta di testamento: “Vi lascio la possibilità di studiare fino alla laurea, se vorrete, e vi lascio in eredità il vangelo”.
“Ero in Uruguay, quando ricevetti un telegramma da parte di Luisa che mi annunciava la morte di
Sandro chiedendomi di ricordalo nella preghiera. Quel telegramma mi lasciò senza parole, ma ricordo
anche di aver pensato: se il Signore ha tolto una persona così cara, così dedicata a Lui sulla terra, certamente farà nascere qualcosa di grande e di buono in quella comunità”. Queste le parole di don Ottavio
Todeschini.
”Ricordo una preghiera – afferma Roberta Carpenè, della Comunità - che è stata fatta su di lui in un
momento particolare della sua vita, poco prima di morire. Aprendo la Bibbia era venuta fuori questa
frase: Se il chicco di grano caduto in terra non muore non produce frutto, se invece muore produce molto
frutto. In quel momento non l’avevamo capita. Lo capiamo adesso, che lui è stato proprio quel chicco
di grano che è caduto, caduto dalla sua bicicletta, ed è salito al cielo per dare vita a qualcosa di molto
grande: la comunità Regina Pacis”.
“Sandro è stato il servo umile. Una persona può darsi agli altri in maniera differente. Lui si è dato come
Gesù si è dato agli uomini: nell’umiltà, ritenendo una grazia poter fare il bene” lo ricorda mons. Adelio
Tomasin. Ma è la figlia Chiara a darne, con semplicità, il ritratto forse più efficace: “Non era tanto bravo
a parlare, a fare grandi discorsi; l’amore per il Signore ce l’ha trasmesso con la sua vita”.
Nel 2007 la Chiesa di Verona apre il processo di beatificazione del Servo di Dio dott. Alessandro
Nottegar.
“Dove trovava la forza? La risposta è la più semplice: la forza la trovava nella preghiera e nel silenzio…
perché c’è un tipo di silenzio nel quale Dio parla. Dio parla nel silenzio a quelli che sono capaci di non stordirsi, di non vivere continuamente nel frastuono del cuore e della mente. Quelli cioè che hanno raggiunto
una libertà, una capacità nella mente e nel cuore, perché Dio possa parlare”.
S.E. Mons. Adelio Tomasin
La Comunità Regina Pacis
La nascita, lo sviluppo
La Comunità Regina Pacis è formata da famiglie, religiosi, sacerdoti e laici che si consacrano al Signore
in una vita comune basata sulla preghiera e sul servizio agli ultimi. Nata a Verona nel 1986, la Comunità si fonda sull’esperienza cristiana della famiglia del Servo di Dio Alessandro Nottegar, con la moglie
Luisa e le tre figlie.
Già una decina di anni prima della fondazione, la famiglia Nottegar sperimenta il dono di vivere in
una casa aperta all’altro: “la nostra famiglia – racconta Luisa - era frequentata da sacerdoti, da religiosi
e religiose. Abbiamo sperimentato come la nostra famiglia diventava un dono per loro, una boccata
di aria fresca di serenità, specialmente con la presenza delle bambine. La presenza del sacerdote e dei
religiosi era un dono per noi perché ci richiamava all’offerta totale, a mettere Dio al primo posto”.
Alessandro e Luisa si sentono chiamati a condividere con i più poveri i doni che hanno ricevuto dal
Signore. Nel 1978 Alessandro, appena laureato in medicina, invece di cercare una propria sistemazione professionale, parte per il Brasile con Luisa e le bimbe Chiara e Francesca. Qui presta il suo servizio
come medico missionario in un ospedale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. “Abbiamo vissuto
più di 4 anni in Brasile e concretamente siamo vissuti come una famiglia, come una comunità insieme
con la Congregazione del Don Calabria. I novizi, i religiosi e i sacerdoti del Don Calabria frequentavano
la nostra casa e viceversa; tutti i giorni celebravamo la Messa insieme” racconta Luisa.
In Brasile la famiglia si allarga, con l’arrivo di Miriam, la terza figlia. Alessandro è chiamato a operare in
un lebbrosario prima e nella foresta amazzonica poi. Qui Chiara si ammala di malaria. Per il bene delle
figlie, Alessandro e Luisa decidono di rientrare in Italia, nel 1982. L’esperienza in Brasile però li ha colpiti
nel profondo: “il Brasile, con i suoi poveri, ci aveva profondamente ferito nell’amore, non riuscivamo
più a vivere senza pensare all’indigenza, alla fame, alla povertà, alle malattie dei poveri brasiliani” ricorda Luisa. A scuoterli ulteriormente, la parola del profeta Aggeo: “Vi sembra questo il tempo di abitare
tranquilli nelle vostre case ben coperte mentre questa casa è ancora in rovina?”. È il Signore a chiamarli
a offrire tutto quello che hanno per ricostruire la sua Chiesa a partire dalla famiglia. Sentono impresse
nelle loro menti le parole degli Atti degli Apostoli: “...vivevano insieme, frequentavano il tempio, spezzavano il pane, mettevano tutto in comune, in semplicità di cuore, mettendo il Signore al primo posto.”
Alessandro Nottegar condivide il suo desiderio con Luisa: “Anche noi siamo chiamati alla santità, anche
come sposati. Anche noi possiamo vendere tutto e seguire il Signore”. La risposta è univoca: “Signore,
se vuoi, sèrviti di noi nella Tua Chiesa”.
Sentono nel cuore la chiamata a iniziare una Comunità di preghiera e di servizio agli ultimi. Alessandro
vende la sua eredità e con la famiglia si mette in ginocchio, affidando tutto alla Madonna. Sulle Torricelle, le verdi colline che circondano la città di Verona, una grande casa li chiama, li invita a dar vità lì a
una Comunità che accolga famiglie, laici , religiosi e religiose, vivendo insieme con l’unico obiettivo di
amare e servire il Signore, ciascuno nella proprio professione, mettendo il Vangelo, Cristo e il servizio
ai poveri al primo posto.
Sentono nel loro cuore che quella casa è il posto giusto in cui iniziare il nuovo progetto. I soldi messi
insieme da Alessandro e Luisa, e da Mario e Rita, che li seguono, però non bastano: “Abbiamo chiesto
al Signore un segno molto grande” racconta Luisa. “Noi gli abbiamo dato tutto, ma come segno gli abbiamo chiesto di trovare i soldi mancanti per comperare la casa senza fare debiti. Avevamo 90 milioni
di lire. Mario e la Rita avevano messo messo quello che avevano (6 milioni di lire). La casa costava 700
milioni di lire: in 6 mesi tutti i soldi mancanti erano in banca, depositati a nome della Regina della Pace”.
A Medjugorje il progetto della futura comunità è affidato alla Vergine Maria, Regina della Pace. Il 15
agosto del 1986 nasce la Comunità Regina Pacis.
Subito però il suo cammino è gravato dalla croce più pesante: la morte prematura di Alessandro, che
rende traballante il nascente cammino comunitario. “Il Signore si è fatto presente in una maniera fortissima, soprattutto attraverso le mie figlie, specialmente attraverso Chiara, e il gruppo di amici che si
sono autotassati per mantenerci” ricorda Luisa.
La chiamata della famiglia alla santità è il vero soggetto della Comunità. La presenza di religiosi, religiose, sacerdoti e laici aiuta la coppia e la famiglia a vivere il Vangelo nella professione, fuori casa, oppure
lavorando dentro alle opere della Comunità, e a far crescere i figli nella fede.
Create le fondamenta in Italia, la Comunità Regina Pacis si sente chiamata fin da subito ad aprirsi alla
missione, a servire i più poveri per amore di Cristo, sull’esempio del Servo di Dio Alessandro Nottegar.
“Nell’88 siamo andati a Medjugorje. Lì ho sentito una chiamata forte a tornare in Brasile per servire i
poveri. Il vescovo di allora, dom Adelio Tomasin, mi ha telefonato e mi ha detto: Qui ci sono bambini che
muoiono letteralmente di povertà e di fame. Il tuo cuore di mamma non può restare insensibile. Vieni, apri
una casa per accogliere i bambini più poveri, quelli delle maloche, quelli proprio ai margini della società”.
Nel ‘90, Mario e Rita partono per aprire l’opera nuova a Quixadà. Nel 1993 inizia il cammino in Ungheria.
Poi ancora in Brasile, a Feira de Santana, a Bahia, tra i bambini delle favelas, i più poveri, i più emarginati, i figli di nessuno, i figli delle prostitute. Nel 2005, infine, apre una comunità vicino all’aeroporto di
Fortaleza, in una zona in cui neppure la polizia riusciva a entrare.
A Verona, intanto, la Comunità cresce, e c’è bisogno di spazio; così nasce la Comunità di Grezzana, ai
piedi dei Monti Lessini. Nel 2006 la partenza alla volta di Medjugorje, dove la Comunità svolge un servizio rivolto agli anziani delle campagne, poveri e soli.
La vita nella Comunità
La Comunità vive nella preghiera. La quotidianità è scandita dal lavoro dentro o fuori la Comunità, e
soprattutto da momenti di spiritualità individuale e comunitaria che iniziano al mattino con la recita
delle Lodi, continuano con il rosario e l’adorazione eucaristica e si concludono con i Vespri e la Messa.
Ogni giorno della settimana ha una specifica intenzione di preghiera: dalla vita consacrata alla conversione del mondo, dai giovani alle vocazioni. Il digiuno è vissuto come momento di spiritualità e di
condivisione con il mondo.
Oggi sono sette le comunità che compongono la grande famiglia della Regina Pacis. Contando i membri della comunità, i bambini accolti nelle missioni e il personale dipendente, sono circa un migliaio le
persone che la Comunità è chiamata a sfamare ogni giorno. “Ci manteniamo con il nostro lavoro e soprattutto con la Provvidenza” spiega Luisa. “Crediamo in un mondo come quello di oggi, crediamo che
il Padre del cielo, che mantiene gli uccelli del cielo e dà la bellezza ai fiori del campo può mantenere le
nostre comunità, i nostri figli e anche tutti i bambini che serviamo in Brasile e i vecchietti dell’Ungheria
e della Bosnia”.
La Comunità Regina Pacis, in tutti i luoghi in cui è chiamata ad operare, svolge attività di evangelizzazione attraverso i membri della Comunità interna e i membri delle Comunità Esterna: famiglie o singoli
che, pur continuando a vivere nelle proprie case, condividono la spiritualità e il carisma di Regina Pacis.
Lo fa aprendo le porte ai giovani, con dialoghi, musica e momenti di animazione. Lo fa con le visite alle
famiglie e con i gruppi di preghiera.
Secondo la convinzione del fondatore, il Vangelo non può essere vissuto in radicalità senza il servizio
agli ultimi. Ecco quindi che la Comunità Regina Pacis oggi accoglie centinaia di bambini nelle sue scuole in Brasile, assiste gli anziani più bisognosi in Ungheria e in Bosnia, portando cibo e assistenza sanitaria. Soprattutto, Regina Pacis vuole essere un canale dell’amore di Cristo, con una parola di conforto,
con una preghiera insieme, con la presenza.
“Una delle parole che aveva sempre Alessandro sulla bocca era proprio Coraggio, coraggio” ricorda Luisa. “Noi siamo convinti che vale la pena di vivere una vita così, e che alla fine della vita saremo contenti
guardandoci indietro di esserci giocati tutto per il Signore e per il Vangelo”.
La presenza nel mondo
Oggi la comunità Regina Pacis è presente, con sette comunità, a Verona (Italia), Budapest (Ungheria),
Feira, Fortaleza e Quixadà (Brasile), e a Medjugorje (Bosnia Herzegovina).
Per maggiori informazioni sulla Comunità e le sue attività, visita il sito internet www.reginapacis.vr.it.
Associazione Luci nel Mondo - Onlus
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