formazione di idrogeno solforato
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V. JIRANEK - COME SI FORMA L’IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ?, PAG.1 COME SI FORMA L’ IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ? Vladimir JIRANEK Department of Horticulture, Viticulture and Oenology, The University of Adelaide, South Australia L’impiego del lievito Saccharomyces cerevisiae per la fermentazione del vino non determina solamente il semplice catabolismo dello zucchero ad etanolo e anidride carbonica: insieme si formano una miriade di composti. Mentre la piacevolezza di alcuni di questi composti dipende dalla loro concentrazione e dal tipo di vino, altri sono ritenuti sempre responsabili di odori sgradevoli. L’idrogeno solforato è uno di essi. La presenza di H2S è diffusa e frequente nell’industria delle bevande fermentate. In conseguenza, molto è stato e continua ad essere pubblicato sull’argomento; tuttavia, non è ancora chiara la sua origine. Ciò che è chiaro è che l’ H2S si può formare attraverso numerosi meccanismi e che i più importanti di questi per l’enologia attuale sono quelli che di natura biologica. Questo lavoro puntualizza le cause della formazione dell’ H2S durante la vinificazione. Verrà preso in considerazione, in modo particolare, il ruolo della composizione in micro- e macro- nutrienti del substrato. Attraverso quale meccanismo chimico si forma H2S nel vino? Sono stati identificati diversi meccanismi che spiegano questo fenomeno. Ad esempio, i residui di zolfo elementare sono considerati potenti precursori dell’ H2S (Rankine, 1963). Questo processo riduttivo è inversamente correlato alla dimensione delle particelle di zolfo ed al pH, aumenta con la temperatura, in condizioni riducenti, con la concentrazione di etanolo e con la presenza di ioni metallici (Acree et al., 1972 Schutz e Kunkee, 1977). Si tratta di una reazione chimica, anche se il contatto lievito-zolfo è necessario. La strategia più efficace per ridurre questa causa che porta alla formazione di H2S è quella di adottare pratiche viticole e enologiche che evitino l’apporto di residui di zolfo elementare al mosto. Quindi alternare fungicidi a base di zolfo con altri di natura chimica o ancor meglio, evitare l’impiego di prodotti a base di zolfo, assicurano un apporto scarso al mosto o al vino (Thomas et al., 1993a, 1993b). Ugualmente, nel contesto dell’uso in qualche modo storico di pastiglie di zolfo per la sterilizzazione dell’attrezzatura di cantina e del bottame, un lavaggio accurato dell’attrezzatura prima dell’uso o metodi alternati di sterilizzazione/sanitizzazione riducono al minimo la formazione di H2S. Un altro meccanismo proposto per la formazione chimica dell’ H2S vede coinvolti i metalli o i loro cationi. Dunque, gli acidi del vino che attaccano le attrezzature metalliche determinano la formazione di idrogeno che riduce direttamente il bisolfito a H2S (Rankine, 1963). In particolare, i 2+ 2+ 2+ o Sn , sembrano rompere i ponti disolfuro delle proteine, producendo vari cationi Cu , Zn composti tra cui l’ H2S. Ovviamente, l’uso diffuso di contenitori e di attrezzature di acciaio inossidabile o non metalliche riduce in modo significativo il verificarsi di questi fenomeni. Quali sono i meccanismi biologici coinvolti nella formazione dell’ H2S? Sono stati proposti numerosi meccanismi biologici per la formazione dell’ H2S. Sia i lieviti che i batteri sembrano essere capaci di produrlo, ma l’utilizzo appropriato dell’anidride solforosa per sopprimere i batteri quali Oenococcus, Lactobacillus e Acetobacter spp. fa sì che la liberazione di H2S da parte dei batteri non sia significativa. Quindi la più importante origine biologica di questo composto sgradevole coinvolge sicuramente i lieviti. In questo caso la liberazione dell’ H2S è decisamente influenzata dalla composizione nutrizionale del mezzo. Sono stati evidenziati dei legami con la carenza di nutrienti come l’azoto assimilabile e le vitamine o con qualsiasi rapido cambiamento delle condizioni di crescita o delle cinetiche. Quali sono i precursori dell’ H2S? Per capire le cause del rilascio dell’ H2S, i primi studi erano focalizzati sull’identificazione dei possibili precursori. Nel campo della birra, la ricerca ha dimostrato in realtà che i composti organici solforati, quali la cisteina o la metionina, erano potenti induttori dell’ H2S, quando vengono aggiunti alle colture di lievito (Lawrence e Cole, 1968). Questi apporti si dimostrano efficaci anche nelle fermentazioni del mosto d’uva (Rankine, 1963; Eschenbruch et al., 1973; Jiranek et al., 1995b). Il VINIDEA.NET – RIVISTA INTERNET TECNICA DEL VINO, 2002, N.3 V. JIRANEK - COME SI FORMA L’IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ?, PAG.2 meccanismo sembra coinvolgere una degradazione enzimatica della cisteina, per poter utilizzare una parte di questo aminoacido come fonte di azoto. Quindi, oltre a produrre i derivati azotati della cisteina, gli enzimi che degradano la cisteina causano il rilascio anche della componente solforata di questo aminoacido come H2S (Aida et al., 1969; Tokuyama et al., 1973). Nelle stesse condizioni, la metionina è un induttore della liberazione di H2S che ha la stessa efficacia della cisteina, presumibilmente a causa della sua intercambiabilità con quest’ultima. Comunque, nonostante l’efficacia mostrata da questi precursori organici nelle prove sperimentali, l’importanza di questo meccanismo nella liberazione dell’ H2S durante la vinificazione è limitata, in quanto nei mosti d’uva si trovano solo tracce di questi amminoacidi solforati (Eschenbruck, 1974a; Gallander et al., 1969; Amerine et al., 1980; Jiranek e Henschke, 1993). I ricercatori hanno cercato di identificare fonti alternative degli aminoacidi solforati (SAA) per poter spiegare l’origine dell’ H2S formato durante le fermentazioni anomale. Venne quindi ipotizzata una proteolisi di proteine dell’uva o dei lieviti con rilascio di questi aminoacidi (Eschenbruch, 1974b; Eschenbruch et al., 1978; Vos e Gray, 1979). Per spiegare questa correlazione inversa tra contenuto di azoto assimilabile del mosto e la liberazione di H2S si pensò che questa proteolisi intervenisse come meccanismo di emergenza per l’approvigionamento dell’azoto, qualora si verificassero stati di carenza (Vos e Gray, 1979). La ricerca di attività proteolitiche è stata notevole e continua, in quanto questi enzimi potrebbero dare notevoli benefici nella prevenzione dell’intorbidamento proteico nel vino. Tuttavia, non sono state trovate attività extracellulari attive in condizioni enologiche (Rosi et al., 1987; Sturley e Young, 1988; Lagace e Bisson, 1990; Dizy e Bisson, 2000). Anche se tali attività esistessero, il contenuto di SAA delle proteine del mosto sarebbe basso rispetto ad altri aminoacidi. Le quantità di SAA rilasciati prima che altri aminoacidi inibiscano o reprimano il trasporto dei SAA o comunque soddisfino il fabbisogno di azoto della cellula dovrebbero essere bassi, così come l’ H2S che verrebbe prodotto dalla loro degradazione. Comunque, la capacità di una coltura di sintetizzare o secernere gli enzimi proteolitici in condizioni di mancanza di azoto dovrebbe essere fortemente limitata. Sicuramente, l’ H2S si produce in seguito all’aggiunta del cicloesimide, un inibitore della sintesi delle proteine (Stratford e Rose, 1985), mettendo quindi in discussione la necessità della sintesi di nuovi enzimi, quali le proteasi, per liberare l’ H2S osservato. Per queste ragioni, la degradazione delle proteine extracellulari e a sua volta l’idrolisi della metionina o della cisteina risultante sembra non essere rilevante nella produzione di H2S durante la vinificazione. Per quanto riguarda il turnover delle proteine intracellulari e dei peptidi, particolarmente in situazioni di carenze azotate, la situazione è probabilmente differente. Saccharomyces ha un vasto assortimento di enzimi per questi processi (Van Den Hazel et al., 1996), attivi soprattutto in condizioni di carenza di azoto (Large, 1986). Considerando che la degradazione delle proteine intracellulari potrebbe anche liberare aminoacidi solforati, come la metionina e la cisteina, l’impatto di tale degradazione sul rilascio di H2S potrebbe essere poco rilevante. D’altra parte, il composto organico solforato intracellulare di riserva, il glutatione (γ-Lglutamil-L-cisteinilglicina) contribuisce alla liberazione dell’ H2S da parte dei lieviti enologici. Il nostro lavoro ha mostrato che quando il lievito viene coltivato in presenza di un inibitore dell’accumulo del glutatione, la quantità di H2S liberato da tali colture è inizialmente ridotta (Hallinan et al., 1999). Questa scoperta suggerisce che l’utilizzo delle riserve di glutatione fa parte del processo che serve a far fronte alla carenza di azoto e che la cisteina, componente di questo tripeptide, è degradata con la liberazione di H2S. Ma la maggior parte dell’ H2S liberato da queste colture derivava da altri composti solforati (Hallinan et al., 1999). Sebbene il vero significato della degradazione del glutatione deve essere ancora capito, il ruolo di questo composto, nel cosiddetto H2S di ”fine fermentazione” (Henschke e Jiranek, 1991), vale la pena di essere approfondito. Sono molti i possibili precursori che intervengono nel corso dell’assimilazione e del metabolismo dello zolfo. Come i lieviti metabolizzano lo zolfo? Lo zolfo rappresenta circa lo 0.2-0.9% del peso secco delle cellule di lievito (Lawrence e Cole, 1968). La maggior parte è situato nei composti organici, in primo luogo negli aminoacidi, metionina VINIDEA.NET – RIVISTA INTERNET TECNICA DEL VINO, 2002, N.3 V. JIRANEK - COME SI FORMA L’IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ?, PAG.3 e cisteina (60%), nel composto di riserva, il glutatione (20%) e anche nei cofattori enzimatici quali l’acetil-Co-A, il donatore del gruppo metile, l’S-adenosilmetionina e le vitamine tiamina e biotina. Lo zolfo è perciò essenziale per la crescita ed in genere non è un fattore limitante nel mosto d’uva. Se gli aminoacidi solforati sono presenti in quantità insufficienti nel mosto d’uva, come spesso capita (Amerine et al., 1980; Henschke e Jiranek, 1993), i lieviti soddisfano il loro fabbisogno di zolfo 2utilizzando lo zolfo inorganico presente nel mosto. Il solfato (SO4 ) è la forma predominante nel 2mosto d’uva (fino a 1200 mg/L; Leske et al., 1997), mentre il solfito (SO3 ) può derivare dalle aggiunte di prodotti durante la vinificazione o come prodotto secondario derivante dalla crescita dei lieviti, ivi inclusi i ceppi di lievito di Saccharomyces cerevisiae (Eschenbruch, 1974b). L’assimilazione del solfato avviene tramite la sequenza di riduzione del solfato (SRS, Fig 1). In sintesi, il solfato entra nelle cellule per mezzo di un sistema di trasporto attivo ed è poi ridotto a solfuro via solfito, in cui il passaggio finale viene mediato dall’enzima solfito riduttasi. Sia che entri nella cellula tramite diffusione (Stratford e Rose, 1986) o tramite trasporto attivo ( Macris e Markakis, 1974), anche il solfito è in grado di entrare nella SRS tramite la solfito reduttasi. Un composto organico solforato, omocisteina, viene formato successivamente tramite la condensazione di un precursore azotato, l’O-acetilomoserina con il solfuro. La capacità della Oacetilserina di condensare con il solfuro per ottenere direttamente la cisteina è stata osservata in vitro, mentre la sua importanza in vivo non è stata accertata. Solamente quando il solfuro è incorporato nei composti organici, esso non viene escreto dalla cellula e disperso nel mezzo di fermentazione. Quindi i precursori azotati, derivanti sia dall’azoto assimilabile accumulato dal mosto (in gran parte) sia dalle riserve cellulari di azoto, devono essere disponibili per questa sintesi. I punti cruciali dell’incorporazione e della ritenzione dell’ H2S sono quindi quelli che conducono alla formazione dell’O-acetilomoserina e la condensazione dell’O-acetilomoserina con i solfuri fino a formare la omocisteina e i suoi derivati. Un buon andamento di queste reazioni dipende dalla presenza di sufficienti quantità di macro-nutrienti quali l’azoto assimilabile e/o di micro-nutrienti quali le vitamine pantotenato e pirossidina. Quali sono i meccanismi biologici chiave per la formazione dell’ H2S? Gli studi con substrati sintetici e la determinazione in tempo reale della liberazione di H2S hanno permesso di identificare i principali precursori e i meccanismi per la liberazione dell’ H2S durante la vinificazione. La sua produzione nella fermentazione del vino e del sidro contenenti solfato quale unica fonte di zolfo, dimostra che questo composto inorganico può agire come precursore (Stratford e Rose, 1985; Jiranek et al., 1995b). Inoltre, l’uso di precursori marcati ha consentito di individuare l’origine dell’atomo di zolfo dell’ H2S nel solfato del mezzo (Stratford e Rose, 1985, Jiranek et al., 1995b). L’utilizzo di solfito nello stesso esperimento ha portato alla liberazione di H2S non radioattivo, dimostrando quindi non solo che il solfito è un precursore, ma che è preferito quando entrambe le fonti di zolfo sono presenti. Come precedentemente spiegato, questi composti inorganici solforati sono ridotti a H2S tramite la via del SRS. Il fatto che questi composti inorganici dello zolfo influenzino in modo evidente lo sviluppo dell’ H2S mette in luce il ruolo del SRS ed in particolare quello dell’enzima solfito reduttasi. La causa della liberazione dell’ H2S per mezzo di questa via sembra essere l’esaurimento dell’azoto assimilabile. Più precisamente, la liberazione dell’ H2S, che si avvia già nei 15 minuti successivi all’esaurimento di azoto, può essere bloccata velocemente somministrando azoto e ricomincia quando l’azoto somministrato viene consumato (Stratford e Rose, 1985; Jiranek et al., 1995b). Questo meccanismo trova corrispondenza sia con le quantità spesso insufficienti di azoto assimilabile presenti nei mosti d’uva (Amerine et al., 1980, Henscke e Jiranek, 1993) che con la tipica risposta nella liberazione di H2S ad aggiunte di azoto durante la fermentazione. Queste scoperte chiave suggeriscono che la liberazione di H2S causata dall’esaurimento dell’azoto assimilabile avviene perchè l’ H2S formato in queste condizioni è in eccesso rispetto al fabbisogno cellulare, e questo perchè i precursori azotati del SAA, con i quali normalmente i solfuri si combinano, sono esauriti. Quindi i solfuri che sono stati formati dal solfato e/o dal solfito tramite la solfito reduttasi non sono incorporati nei composti organici e l’ H2S viene escreto dalla cellula durante la fermentazione, con le ben note conseguenze enologiche. VINIDEA.NET – RIVISTA INTERNET TECNICA DEL VINO, 2002, N.3 V. JIRANEK - COME SI FORMA L’IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ?, PAG.4 NH4+ ESTERNO DELLA CELLULA INTERNO amminoacidi SO42- SO42- NH4+ ATP PPi ATP solforilase. amminoacidi 5´-adenilil-solfato ATP PPi APS chinasi. Azoto intracellulare 3´-fosfo-5´-adenililsolfato NADPH PAP + NADP+ PAPS reduttasi. solfito omoserina Acetyl CoA CoA SO2 3 NADPH 3 NADP+ solfito reduttasi. solfuro O-acetilomoserina H2S omocisteina sintetasi. omocisteina cistationina adenosina S-adenosil-omocisteina metionina cisteina ATP PPi + Pi S-adenosil-metionina glutatione Figura 1. Biosintesi degli amminoacidi solforati e Sulfate Reduction Sequence [SRS] nei lieviti vinari. I substrati entrano nella cellula per mezzo di diversi trasportatori o per diffusione come nel caso della SO2. La vitamina pantotenato è coinvolta nella sintesi di amminoacidi solforati essendo una componente dell’acetil-CoA, che è necessario per la formazione O-acetil-omoserina. La piridossina è una componente del piridossal-fosfato, un cofattore della omocisteina sintetasi. VINIDEA.NET – RIVISTA INTERNET TECNICA DEL VINO, 2002, N.3 V. JIRANEK - COME SI FORMA L’IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ?, PAG.5 Per saperne di più... Il modello della formazione di H2S da parte dei lieviti presentato in questo documento propone l’esistenza di una correlazione tra la velocità della liberazione di H2S e il livello dell’attività della solfito reduttasi della coltura. Ciò è stato confermato sperimentalmente. La velocità della liberazione di H2S a partire dai solfiti, in risposta all’esaurimento di azoto ed in diversi momenti nel corso della crescita, corrisponde alla quantità di solfito reduttasi rilevabile negli estratti cellulari della coltura negli stessi momenti (Jiranek et al., 1995b, 1996). In conseguenza, le velocità più elevate della liberazione di H2S si verificano durante la fase di crescita attiva, quando il fabbisogno per i SAA e quindi per l’attività della solfito reduttasi è più elevato. La capacità di sintesi della solfito reduttasi dipende, in parte, dal livello di espressione dei geni che codificano tale enzima. Tale espressione è a sua volta controllata dalla disponibilità cellulare di svariati composti organici solforati (Cherest et al., 1969,1971, 1973). Quindi quando tali composti sono presenti, i geni che codificano la solfito reduttasi vengono disattivati dato che è necessaria una sintesi ridotta di zolfo organico. In caso di carenza azotata, tali composti organici solforati regolatori verranno esauriti. Ciò ha suggerito che l’aumento della liberazione di H2S conseguente all’esaurimento di azoto avviene in risposta a un minore contenuto cellulare di composti organici solforati e quindi a un aumento dell’espressione dei geni e della sintesi della solfito reduttasi. Questa ipotesi viene messa in dubbio dal fatto che l’inizio della liberazione di H2S avviene entro 15 minuti dall’esaurimento di azoto nel mezzo (Jiranek et al., 1995b). Anche se il tempo permettesse questa sintesi, la cellula dovrebbe morire proprio a causa della carenza degli stessi aminoacidi che sarebbero richiesti in questo processo. Ulteriori dati sperimentali infatti non confermano questo meccanismo. Per esempio, l’aggiunta di cicloesimide induce la liberazione di H2S con una velocità simile a quella riscontrata in carenza di azoto, anche se tale antibiotico inibisce specificamente la sintesi proteica (Stratford e Rose, 1985). Inoltre, è stato da noi dimostrato che l’attività della solfito reduttasi misurata con abbondante o scarsa disponibilità di azoto è relativamente costante, mentre è molto diversa la quantità di H2S liberato (Jiranek et al., 1996). Quindi, la liberazione dell’ H2S indotta dalla mancanza di azoto, attribuibile alla diminuzione dello zolfo inorganico, è il risultato dell’esistenza di un’attività solfito reduttasi, che non aumenta in modo consistente in seguito all’esaurimento di azoto. La stretta correlazione esistente tra la velocità di liberazione dell’ H2S in colture ed in estratti cellulari è quantomeno in contrasto con la teoria che conferisce all’ H2S il ruolo di inibitore della solfito reduttasi (Yoshimoto e Sato, 1968a; Dott e Truper, 1976). Quindi tale inibizione non è efficace né sui ceppi enologici studiati né in condizioni normali del vino. La ragione sta forse nel fatto che i solfuri non si accumulano mai a livello intracellulare fino a concentrazioni inibenti. I solfuri, specialmente al pH del vino (ca 3.5), diventano H2S che, essendo molto volatile e reattivo, viene presto perso fuori dal sistema. Quindi, questo meccanismo inibitore è poco rilevante nei confronti della solfito reduttasi che, a sua volta, risulta senza controllo. La formazione dell’ H2S risulta essere dipendente dalla quantità di substrato presente (solfito), dal potere riducente (NADPH) e dalla longevità dell’enzima. La liberazione dell’ H2S tende a diminuire con una cinetica simile a quella dalla vita della solfito reduttasi, in assenza della sostituzione dell’enzima tramite sintesi proteica (Jiranek et al., 1996). Di conseguenza, la liberazione può continuare per molte ore o, nel caso di alcuni ceppi, persino per giorni. Apparentemente, la disponibilità di potere riducente non viene limitato fortemente in queste colture carenti in azoto. Il fattore chiave che consente una rapida fine della liberazione di H2S in seguito all’esaurimento di azoto è la natura del substrato di zolfo per la solfito reduttasi: quando il solfato rappresenta l’unica sorgente di zolfo, la liberazione dell’ H2S non raggiunge la stessa velocità massima raggiunta in presenza di solfito e viene presto inibita (Hallinan et al., 1999). E’ importante notare che le colture che hanno smesso di liberare H2S a partire dal solfato non perdono la capacità di ridurre il solfito a solfuro (Jiranek et al., 1995b). Chiaramente la diversa capacità della cellula di limitare la liberazione dell’ H2S a partire dal solfito o dal solfato è indipendente dalla solfito reduttasi e viene regolata da un punto di controllo più a monte nella SRS. In che modo il lievito controlla la riduzione del solfato? VINIDEA.NET – RIVISTA INTERNET TECNICA DEL VINO, 2002, N.3 V. JIRANEK - COME SI FORMA L’IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ?, PAG.6 Per minimizzare il carico energetico di una riduzione del solfato non necessaria, nel caso di sofferenza del lievito per carenza di azoto, un punto di controllo razionale sarebbe il trasporto del solfato. Il meccanismo di controllo potrebbe essere regolato in modo simile a quello del trasporto degli zuccheri i cui trasportatori sono persi velocemente in carenza di azoto (Busturia e Lagunas, 1986, Salmon, 1989). E’ stato visto che, in un mezzo privo di azoto e glucosio ed in ceppi di laboratorio, il trasporto del solfato viene a mancare con una vita media di 10 min (Horak et al., 1981). Tuttavia, la sola carenza di azoto non ha lo stesso impatto sul trasporto del solfato nei lieviti vinari (Hallinan et al., 1999): le velocità del trasporto del solfato rimanevano stabili per almeno 7 ore, anche se un artefatto sperimentale ha causato un aumento della capacità di trasporto dei solfati dipendente dalla sintesi proteica iniziale. Sembrerebbe che il punto di controllo per evitare una riduzione non necessaria del solfato in caso di carenza di azoto si trovi a valle del trasporto del solfato. Dato che un periodo di carenza di azoto può rimuovere temporaneamente il blocco sulla continua riduzione del solfato, alcuni composti intermedi inibitori della SRS sembrano essere implicati quali responsabili del processo (Hallinan et al., 1999). Sono necessari lavori ulteriori sia per determinare la natura dell’inibitore sia per capire quale sia il bersaglio tra i restanti enzimi del SRS, l’ATP solforilasi, ATP chinasi o PAPS riduttasi (fig.1). Quali elementi sono importanti nella composizione del mosto? Quanto finora detto ha sottolineato numerosi punti chiave che riguardano la formazione dell’ H2S da parte del lievito. Una carenza di micro-nutrienti, di pantotenato e pirossidina, conduce alla formazione di H2S attraverso diversi meccanismi. La carenza di pantotenato priva il lievito dei precursori della sintesi degli aminoacidi solforati, determinando quindi un eccesso di H2S. La carenza di pirossidina previene la condensazione di tali precursori con l’ H2S, determinando in questo caso, una carenza di omocisteina e dei composti che regolano la SRS. Si suppone che ciò sia seguito da uno sblocco della SRS e una sovrapproduzione di H2S (vedi fig.1). Considerando il ruolo nell’assimilazione dell’azoto inorganico, altre vitamine sono vitali, tanto che una loro assenza può causare la morte delle cellule per azoto carenza, qualora non sia disponibile azoto organico (C.Edwards, comunicazione personale). Tali carenze prevengono il sequestro dell’ H2S nello zolfo organico. Altre cause della morte delle cellule di lievito sono l’accumulo di etanolo con l’avanzare della fermentazione e l’utilizzo di un inoculo coltivato con carenza di ossigeno: queste cause di malessere del lievito potrebbero essere scambiate per carenza di azoto (Calderbank et al., 1984; van Uden 1989). In entrambi i casi, la funzione dei trasportatori, inclusi quelli per l’azoto assimilabile, potrebbe essere compromessa, originando quindi una carenza intracellulare di azoto. Che ruolo ha l’esaurimento dell’azoto assimilabile nei mosti? La carenza di azoto assimilabile è un fattore chiave nel provocare la liberazione di H2S nel vino, che dipende dalla natura della fonte di zolfo inorganico presente (solfato o solfito, sebbene entrambi siano comunque presenti) e dal grado di attività della solfito reduttasi (geneticamente determinata e dipendente dal punto della curva di crescita in cui viene esaurito l’azoto). Recenti studi suggeriscono che gli aspetti qualitativi della disponibilità di azoto sono importanti (Spiropoulos etal., 2000). In particolare, il rapporto esistente tra la metionina e l’azoto assimilabile stabilisce se reprimere gli enzimi della SRS. Sfortunatamente, il gruppo di lavoro di Bisson ha mal interpretato l’importanza della metionina nei substrati usati nei primi lavori (Jiranek et al., 1995b) e ha soltanto estrapolato dall’espressione dei geni alcuni modelli visti per ceppi di lievito di laboratorio. Sebbene dobbiamo ancora quantificare l’espressione dei geni della SRS nei lieviti enologici, la nostra ricerca rivela che anche ad alte concentrazioni (8.3mM, 1200mg/L) dell’inibitore, la metionina, l’attività della solfito reduttasi veniva ridotta solo di circa il 70% rispetto alla coltura testimone (Jiranek et al., 1996). Sembra quindi improbabile che la metionina possa essere presente nei mosti a concentrazioni tali da effettuare un’inibizione significativa sulla SRS e sulla solfito reduttasi. Come si può controllare la formazione dell’ H2S durante la vinificazione? La relazione esistente tra l’azoto assimilabile e l’ H2S sembra essere limitata dalla possibilità che ha l’azoto nel fornire precursori della sintesi degli aminoacidi solforati, sequestrando quindi l’ H2S nello zolfo organico piuttosto che disperdendolo. Se così è, la strategia più importante per VINIDEA.NET – RIVISTA INTERNET TECNICA DEL VINO, 2002, N.3 V. JIRANEK - COME SI FORMA L’IDROGENO SOLFORATO IN VINIFICAZIONE ?, PAG.7 fronteggiare la maggior parte dei problemi dell’ H2S è quella di mantenere una sufficiente concentrazione di azoto intracellulare. Ciò si può ottenere misurando il contenuto di azoto del mosto ed eventualmente somministrando azoto per far fronte al fabbisogno di quel determinato ceppo di lievito con una composizione genetica selezionata. I criteri di selezione per i lieviti dovrebbero prevedere anche il loro fabbisogno di azoto (Jiranek et al., 1995a; Julien et al., 2000), la loro tendenza a produrre H2S (Jiranek et al., 1995c) e la loro tolleranza alle concentrazioni di etanolo del vino e una crescita anaerobica prolungata. Il nostro gruppo sta lavorando su numerosi progetti basati su questi criteri, con lo scopo di trovare migliori ceppi enologici per l’industria senza far uso di tecniche di ricombinazione genetica. Bibliografia Acree, T. E., E. P. Sonoff, e D. F. Splittstoesser. (1972) Effect of yeast strain and type of sulfur compound on hydrogen sulfide production. Am. J. Enol. Vitic. 23:6-9. Aida, K., T. Tokuyama, e T. Uemura. 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