A qualcuno, sentendo parlare di festival, potrebbe

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A qualcuno, sentendo parlare di festival, potrebbe
L ’ altra musica
Heineken Jammin’ Festival:
una Woodstock moderna
Dal 14 al 17 giugno attese a Mestre 100.000 persone
di Tommaso Gastaldi
A
qualcuno, sentendo parlare di festival, potrebbe venire in mente quella colorita rassegna musicale che
si tiene ogni anno in una ridente città della costa ligure. Niente di tutto questo. In gran parte d’Europa festival rock vengono organizzati da parecchi anni: si tratta di
kermesse musicali che si svolgono solitamente in ampi spazi aperti e che si sviluppano all’interno di tre o quattro giornate nelle quali decine di artisti si succedono sul palco (o
sui palchi) fino alla tanto attesa esibizione del gruppo o del
cantante di maggior richiamo della serata, quello il cui nome occupa lo spazio maggiore sul cartellone e che gli inglesi chiamano headliner. Questi parchi diventano delle vere e
proprie cittadelle musicali, con spazi per montare le tende,
bagni, bar e quant’altro possa rendere comoda la sosta dello
spettatore pagante. Insomma una sorta di Woodstock moderna, organizzata nei minimi dettagli. Da qualche tempo
anche nel nostro paese si sono diffuse simili iniziative, con
calorose partecipazioni di pubblico; quando non organizzate da enti o comuni gli alti costi di questi progetti vengono
coperti da sponsor commerciali, ben felici del ritorno d’immagine che ne ricavano: ecco allora il festival sponsorizzato dalla famosa bibita gassata, dal cono gelato, o dalla birra
olandese come appunto l’Heineken Jammin’ Festival. Niente platee di teatri con gentiluomini in cravatta nera e luccicanti signore in vestito lungo ma si pensi piuttosto ad una
scena del tutto simile al ponte di Verrazzano il giorno della partenza della maratona di New York. Sin dal 1998, anno
della sua prima edizione, l’Heineken Jammin’ Festival si è
svolto all’inter-
Aerosmith
no dell’autodromo di Imola ospitando, tra i molti, artisti del
calibro di Vasco Rossi, Robbie Williams, Marylin Manson,
Oasis, Metallica e Carlos Santana, che lo hanno portato a
competere con i più grandi festival europei come ad esempio quello di Glanstboury in Inghilterra. Nel suo decimo
anniversario però la manifestazione ha dovuto traslocare
in una nuova sede a causa dei lavori di ristrutturazione che
coinvolgono l’autodromo Enzo Ferrari: quest’anno si terrà
dal 14 al 17 giugno all’interno del Parco di San Giuliano a
Mestre. Sarà una sfida rinnovata visto che per la prima volta il parco ospiterà una manifestazione così imponente con
afflusso di persone che potrebbe superare anche le 100.000
presenze giornaliere. Comune e Milano Concerti si sono
trovati d’accordo nella scelta della location visto che per la città sarà una possibilità concreta per svecchiare l’immagine di
Venezia, non coinvolgendo il centro storico, e offrendo agli
organizzatori un luogo funzionale con un panorama unico
dal quale si potrà vedere lo skyline dei palazzi e dei campanili
veneziani. Il problema maggiore da affrontare sarà non tanto all’interno del parco (730.000 mq saranno più che sufficienti) quanto all’esterno nella gestione dell’arrivo e del deflusso del traffico di spettatori: la maggior parte delle strade
adiacenti verranno chiuse e sono già state individuate delle
aree parcheggio non lontane da San Giuliano che dovrebbero garantire il minimo disagio per tutti. Vediamo dunque giorno per giorno quale sarà il programma: il 14 di giugno sarà la giornata dedicata agli amanti dell’heavy metal.
Salirà per prima sul palco Lauren Harris (figlia del bassista
degli Iron Maiden Steve Harris) seguita dagli
americani Masto-
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don, Papa Roach e Stone Sour. Sarà poi la volta degli Slayer
band trash metal americana, che suoneranno finché gli spettatori non vedranno comparire la sinistra figura di Eddie,
il pupazzo-zombie mascotte degli Iron Maiden. Nati in Inghilterra alla metà degli anni settanta gli Iron Maiden rappresentano un punto cruciale nella storia dell’heavy: con alle spalle la lezione dei Black Sabbath hanno saputo tematizzare e legare a una iconografia originale e riconoscibile quei
temi horror e fantasy creando un vero e proprio filone musicale grazie al quale hanno raccolto migliaia di ammiratori in
tutto il mondo. Venerdì 15 sarà ancora una giornata di grande rock: a fare da apripista ci saranno gli italiani Le Mani,
seguiti dal punk dei My Chemical Romance e dai The Killers. Sarà poi la volta dei Linkin Park, rappresentanti più famosi del nu metal, genere nato alla fine degli anni novanta in
America, dove hanno venduto più di 35 milioni di dischi,
che coniuga ritmiche e architetture musicali tipicamente
metal a un cantato
derivato dal rap e
dall’hip hop. Ma il
momento più atteso del venerdì
sarà sicuramente
lo show dei Pearl
Jam. Erano stati loro stessi durante un piovoso
ma indimenticabile concerto all’Arena di Verona nel settembre
dello scorso anno a promettere
che sarebbero ritornati presto nel
nostro paese dove raccolgono un
nutrito numero
di fan. I Pearl sono gli ultimi sopravissuti della
scena grunge, della quale sono staJuliette & the Licks
ti i capostipiti assieme ai Nirvana
con i quali hanno
conquistato le classifiche di tutto il mondo. Vite parallele
ma con profonde differenze: il punto di partenza è la Seattle disillusa della fine dei primi anni novanta di cui si racconta soprattutto il malessere di fondo, ma se il nichilismo
autodistruttivo di Kobain non aveva via d’uscita, nei Pearl
Jam rimane sempre una se pur piccola e rabbiosa speranza.
Dal vivo poi suonano e coinvolgono il pubblico in maniera schietta senza bisogno di usare effetti speciali o macchine di scena, aiutati solamente da una buona bottiglia di vino rosso che il cantante Eddie Vedder porta sempre con se
sul palco.
Il sabato musicale del festival sarà aperto dai The Used, seguiti dal gruppo dell’attrice americana Juliette Lewis (celebre il suo ruolo in Natural Born Killers di Oliver Stone), Juliette & the Licks, il cui sound si rifà al rock crudo degli Stooges
di Iggy Pop. Ci saranno poi gli Incubus per arrivare infine
a un doppio appuntamento, l’esibizione di Smashing Pum-
pkins ed Aerosmith. Gli Smashing Pumpkins sono stati una
delle band di riferimento degli anni novanta non riuscendo
però mai a trovare quell’equilibrio necessario alla sopravvivenza del gruppo, passato attraverso scioglimenti, morti per
overdose e abbandoni vari. Il disco che ne sancisce la popolarità è Mellon Collie and the Infinite Sadness in cui spaziano da
ballate d’ispirazione pop a brani più duri ricalcando il suono delle loro origini musicali. Billy Corgan, leader e fondatore della band, ha da poco annunciato la loro ennesima rinascita presentando un tour mondiale e un nuovo album in
uscita a luglio anche se ancora non si conosce la formazione; nulla di cui sorprendersi vista l’imprevedibilità di Corgan. Con gli Aerosmith si torna alle origini dell’hard rock
statunitense, legato in maniera indissolubile alla triade sesso droga e rock’n roll. Una carriera trentennale, che li porta
alla fama negli anni settanta, per poi passare lungo una profonda crisi negli anni ottanta fino alla successiva risurrezione e consacrazione in tempi più recenti, iniziata grazie alla versione di
“Walk This Way”
dei Run DMC fino alla ballata “I
dont wanna miss a
thing”, scritta per
la colonna sonora
del film Armageddon del 1998.
Domenica, ultima giornata di
musica, avrà un
unico atteso interprete: Vasco Rossi. È curioso notare come siano ancora pochi gli artisti in cartellone prima della sua
esibizione (Omar
Pedrini e JAx),
probabi l mente
perché sono pochi coloro i quali osano esibirsi di
fronte al pubblico
del Vasco nazionale, poco incline ad ascoltare altro. Lui da
parte sua ha sempre avuto un rapporto molto stretto con
questo festival, iniziato dalla prima edizione che decide di
tenere a battesimo con un unico concerto per 150.000 spettatori da cui poi verrà tratto il disco live Rewind. La capienza del parco è tale da poter superare questa cifra, vedremo
se il record verrà battuto. Oltre ai live set dei big, ogni giorno
si esibiranno su un secondo palco poco lontano da quello
principale vari gruppi esordienti partecipanti all’Heineken
Jammin’ Festival Contest e i cui vincitori verranno proclamati nella giornata conclusiva. Chi poi decidesse di passare gran parte dei quattro giorni all’interno del parco, potrà
usufruire dell’area sport con campi da basket, calcio e pallavolo, di un’area Beach allestita come una spiaggia tropicale e
di un’area relax con tanto di amache, divani, spazi dedicati
ai messaggi e ai tattoo, per chi volesse ricordare in maniera
indelebile l’Heineken Jammin’ Festival.
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Rock come opera totale:
la lezione degli Who
di Andrea Dusio
U
na giornata qualsiasi d’ufficio. Metto nel computer
cultura mod, da allora sino ai giorni nostri. L´altro elemenil Cd di Who’s Next, anno di grazia 1971. Partono le
to-chiave del successo degli Who è il perfetto amalgama di
prime note di «Baba O´Riley», straniante omaggio
talenti, al riparo da qualsiasi egocentrismo. Un’attitudine in
di Townshend al padre del minimalismo Terry Riley. Le
questo senso simile a quella dei soli Led Zeppelin: esattamie colleghe prorompono in grida di insospettabile eufomente come gli «Zep Four», anche Townshend e compagni
ria: «la sigla di “Doctor House”!» «No, non è “Doctor Houerano capaci di mettere il proprio estro totalmente al servise”, è “The Oc”!». Degli Who naturalmente nessuna ha mai
zio del songwriting. È per questo che i loro dischi sono consentito parlare. E d’altronde trentasei anni sono sufficienvincenti ancora oggi: non seguono alcun trend, ma solo il
ti a scavare più che un gap una vera e propria voragine gemiraggio di una cristallina scrittura pop (che guarda molto
nerazionale. Quel che però va rimarcato è che la musica del
ai Kinks di Ray Davies), montata però su di un’intelaiatugruppo londinese evidentemente è invecchiata molto bera granitica, in cui la formidabile sezione ritmica sostiene lo
ne, se può ancora recitare da protagonista nel soundtrack
stile schizoide e hard ante litteram del chitarrismo di Towndelle serie tv più hipe del momento. Ecco allora che la notishend. Una parola in più va spesa per lo stile vocale di Dalzia della reunion
degli Who, e
quella di una loThe Who, Live At Leeds, 1971
ro tournée suonano spiazzanti
ma non troppo.
In qualche modo straniante lo
è: dopo la morte
nel 2003 di John
Entwistle, che
si va ad aggiungere alla scomparsa di Keith
Moon, nel lontano 1978, era
difficile pronosticare che Daltrey e Townshend trovassero le motivazioni per lavorare di nuovo assieme. Così invece
trey. Meno appariscente di Gillan, del già citato Page e di
è stato, con un’accorta rivisitazione del power rock di allora,
Paul Rodger dei Free, Daltrey però dava dei punti a cantanammorbiditi da arrangiamenti più folksy e attraversati da riti come Steve Windwood, Greg Lake e Ion Anderson. Forverberi jazz e soul. Un approccio filologico all’evento live di
se sarebbe più corretto metterlo a confronto con Eric BurVerona, dove gli Who suoneranno l’11 giugno, nel magico
don degli Animals e con lo stesso Jagger. Ma il fatto è che gli
contesto dell’Arena, presuppone però il recupero dei moWho facevano musica dannatamente più complessa. Dobmenti capitali della loro discografia. E perciò un balzo albiamo dunque pensare a una specie di combo mutante, che
l’indietro di quattro decenni. Parliamo dunque a tutti gli efracchiude un’anima negroide e una progressive, intimismo
fetti di storia del rock, senza peraltro dimenticare che un po’
folk oriented mescolato a una cupa fascinazione tecnologitutti, dai Jam agli Oasis, sino ai nuovi gruppi come Maximo
ca, l’amore per gli accuratissimi intrecci vocali del Mersey
Park, sono stati influenzati dal quartetto britannico. A fronSound con l’irrazionalità alla MC5 sprigionata dai momenti
te di ogni tentativo di classificazione troppo rigida, la forpiù violenti del loro immortale «Live At Leeds» del 1971, da
za degli Who risiedeva in un involontario eclettismo. Parmolti considerato il miglior concerto consegnato alle stamtiti con l’intento di suonare un power rock & roll piuttosto
pe di tutti i tempi. Queste doti si traducevano nella capacischematico, scimmiottando band pre-Stones, come Jhontà inimitabile di creare album estremamente sfaccettati epny Kid & Pirates, gli Who (che agli esordi si facevano chiapure animati da un’ineccepibile coerenza interna. Più che di
mare High Numbers), già nel 1965 avevano evoluto la proconcept in senso stretto, «Tommy» e «Quadrophenia» sopria formula artistica tanto da diventare gli alfieri del disano vere e proprie opere rock, romanzi vergati con chitarra,
gio giovanile della nuova gioventù wasp bribasso e batteria, straordinariamente icastici
tannica. Al punto da incarnare una delle più
nel tratteggiare con segno tuttora vivido tancredibili e meno compromesse (sotto il proto la controcultura quanto il mainstream deVerona – Arena
11 giugno, ore 21.00
filo dello schieramento politico) icone della
gli anni settanta.
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Dirty Three, la voce del violino
Le atmosfere struggenti del trio australiano
al Teatro Fondamenta Nuove
C
di Claudio Fabretti*
hi pensa che il rock abbia
L’effetto è straniante, al limite delesaurito la sua spinta creatila psichedelia d’avanguardia, e ben
Venezia – Teatro Fondamenta Nuove
va dovrebbe guardare melontano dalle elucubrazioni cervel26 maggio, ore 21.00
glio dalle parti di Melbourne, Aulotiche, artefatte e di maniera di tanstralia. La megalopoli d’Oceania, oltre al suo «seme catti altri polpettoni strumentali che hanno segnato il decentivo» Nick Cave, ha infatti generato una serie di grupnio Novanta. Warren Ellis stesso chiarisce il fine ultimo
pi indipendenti di primo piano. Su tutti, il trio
della band: «Ci proponiamo di esplorare la spestrumentale dei Dirty Three, che ha coniacificità lirica dei singoli strumenti, piuttosto
to una sorta di «folk-rock cameristico»
che restare legati all’idea tradizionale di
quantomai suggestivo e coinvolgencanzone».
te. L’arma in più di questo atipico
Programmaticamente «ruvido»
ensemble australiano è il violino
fin dal nome, l’approccio dello
di Warren Ellis, musicista so«Sporco Trio» riesce tuttavia a
praffino e membro ormai fisnon perdere di vista un senso
so dei Bad Seeds di Nick Cad’equilibrio reminiscente delve. Analogamente a quanto
la loro formazione «classica».
già compiuto da John CaMerito anche della chitarle con la viola, Ellis ha rira ritmica di Mick Turner,
disegnato l’uso di questo
che si destreggia in un amstrumento all’interno del
pio spettro di suoni, tra
pentagramma rock. Non
virtuosismi jazz e impenpiù sinonimo di eleganza
nate ai confini del punk.
classicheggiante, il violiTurner è anche l’autono, nelle mani ossute di
re delle copertine dei diquesto folletto indemoschi: suggestive trasponiato, torna a essere semsizioni figurative dei lomai lo strumento del diaro pezzi in poche pennelvolo: un’alternativa allate, dense di colore, che si
la chitarra elettrica, anmescolano fino a confoncor più lancinante e violendersi. Quasi una raffigurata. Partendo da frasi iniziali
zione cromatica del loro casommesse e ipnotiche, dunleidoscopio sonoro, che svaque, Ellis riesce sempre a sviria dal folk al blues, dal jazz alla
luppare spaventosi crescendo,
psichedelia. Tra le loro influenin cui le corde del suo strumenze, non si possono non citare il
to paiono quasi spezzarsi, sospinte
free-jazz di Albert Ayler, ma anche
D ir t y T h r ee
da una violenza che riporta alla mente
gli esperimenti acustici della Penguin
più le gesta di Sex Pistols e PIL, che il roCafè Orchestra e della Third Ear Band.
manticismo impetuoso dei Black Tape For
E il fascino cupo del loro sound non poteva
A Blue Girl.
sfuggire al concittadino Nick Cave, che oltre a inCosì brutalmente seviziato e asservito all’indole depragaggiare Ellis nei suoi concerti (semplicemente indimenvata del rock, il violino perde per sempre il suo candore,
ticabile, per chi lo ha seguito dal vivo, il suo assolo di vioma senza rinunciare alle sue vibraziolino in «Stagger Lee»), ha composto inni più meste e malinconiche. L’archisieme al trio alcuni pezzi per la colontettura sonora dei Dirty Three, infatna sonora della serie televisiva X-Files.
ti, resterebbe fin troppo algida e geoDiscografia
A conferma della particolare predilemetrica se non fosse pervasa da uno
Sad & Dangerous, 1995
zione «visionaria» della loro opera, i tre
spirito fatalmente crepuscolare. Un’atDirty Three, 1995
hanno firmato anche le musiche per il
Horse Stories, 1997
mosfera struggente che avvicina idealfilm muto di Carl Dreyer La passione di
mente le loro composizioni a quelle di
Ocean Songs, 1998
Giovanna d’Arco e per la pellicola austraun altro «visionario» doc della musiUfkuko, 1998
liana Praise.
ca d’autore: Ennio Morricone. «La coWhatever You Love, You Are, 2000
Lowlands, 2000
sa più importante per noi è la tristezza
She Has No Strings Apollo, 2003
della nostra musica», spiega il batteri* La versione integrale si trova su
www.ondarock.it
sta, Jim White.
Cinder, 2005
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Tornano i Low, tra fragilità
e austero grigiore umorale
Il gruppo di Dudutlh sulle scene con «Drums and Guns»
di Guido Michelone
T
ornano in Italia i Low, per un’unica serata veneta
ragoni con altri, soprattutto con le band attuali: alcuni
in club, confermando la loro vocazione undercritici parlano di ascendenze dark, altri più acutamente
ground, lontani da stadi o megaraduni. Dunque
rilevano, negli album, nelle canzoni, ai concerti, influsi Low: il celebre trio rock di Dudutlh (Minnesota), forsi più o meno diretti di alcuni padri nobili del rock: di
mato da Alan Sparhawk (voce e chitarra), dalla moglie
volta in volta i Velvet Underground, i Joy Division, Tim
Mimi Parker (batteria e voce) e da Matt Livinston che
Buckley, Neil Young, gli stessi Sonic Youth.
al basso sostituisce i colleghi Zak Sally e Jack Nichols.
Ma l’iter artistico-professionale dei Low, incentrato
Per i cultori del rock alternativo, i Low rappresentano
sui coniugi Sparhawk, di fede mormone, a parte il camla classicissima tipologia del mito vivente, sin dai loro
bio dei due bassisti (con il produttore Dave Friedmann
esordi, in piena epoca grunge, nel «lontano» 1994. Per
spesso quarto elemento determinante sul piano invenl’élite dei veri intenditori, anche nel nostro Paese i Low
tivo) procede in maniera originale, autonoma, coerente
sono quasi venerati come inarrivabili fautori di una mudagli anni novanta a tutt’oggi: sedici gli album ufficiali
sica adulta, che fa del rock «vera arte», non solo un pas(tra EP, live, antologie), oltre il remix Tonight The Monkeys
satempo da ragazzini. In passato (e nel presente) ciò è
Die e le due partecipazioni di Alan alla blues-band The
accaduto con
B l a c k- E y e d
pochissimi
Snaked; tre le
nomi: i Beatles
case discogradi Sgt. Pepper,
fiche di rifeil primo Bob
rimento (nelDylan e via
l’ordine Vervia Frank Zapnon
Yard,
pa, Jimi HenKranky, Sub
drix, i K ing
Pop) e altretCrimson, Lou
tanti i capolaReed, i Sonic
vori indiscusYouth.
si: I Could Live
Nemmeno
In Hope (1994),
al grunge, di
Trust (2002) e
cui si diceva,
il nuovo Druè riuscita l’imms And Guns
presa di assur(2 0 0 7 ). Pe r
gere a un liveli r o c kolog i
lo estetico cocaustici, l’iter
Low
sì alto o nobiespressivo dei
litante: e non è
Low si poun caso, infattrebbe sudditi, che in quegli anni i Low ne abbiano subito preso le
videre in tre parti distinte: la prima, iniziale, con i Low
distanze, per guardare altrove, molto più avanti, in senradicali esponenti di un purismo slow-core; la seconda,
so creativo e avanguardistico, fino a generare un promediana, con qualche rovinosa caduta verso l’anonimaprio genere, che i critici hanno battezzato slow-core, alto leggero; la terza, attuale, di totale riscatto, sia pur con
ludendo agli estremi di una dialettica interna: da un laun consapevole dualismo (talvolta scontro frontale) tra
to la violenta rumoristica estremizzazione del linguagpop e rock. In una prospettiva serena, però, i Low sogio rock, dall’altro la naturale esigenza di suonarlo lenno rimasti obiettivamente fedeli a se stessi, da sempre:
to, ipnotico, quasi rilassato in forma ballatistica. È cole differenze, anche qualitative, tra gli album, non sono
me se i Low, in questi tredici anni di ininterrotta lineacosì profonde e anche il recentissimo Drums And Guns
re carriera, fossero riusciti a bilanciare, con minuziosa
si impone quale Low-style in una visione del mondo
precisione, l’energia punk con la mistica folk, passanche resta, a livello poetico, magica e metafisica. Come
do attraverso raffinate cesellature pop: artefici dunque
ha detto Riccardo Bandiera: «Nessuno incanta quandi una inedita forma-canzone, talvolta persino orecto loro dosando fragilità ed austero grigiore umorale,
chiabile, che vive dialogando con lo sperimentalismo
ammaliando grazie a una formula che prevede un lie il postmoderno, ritagliandosi addosrismo cosmico-emozionale di un’intiso un coerente spirito esistenzialista,
mità e di una passione purissime, fiche del resto è tipico dello spleen nornemente distillate dall’essenziale imRoncade (Tv) – New Age Club
25 maggio, ore 21.00
damericano. Ardui i confronti o i papianto presentato».
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L’ altra musica
Stati d’animo cangianti
per storie leggere e pe(n)santi
Il «Pianissimo fortissimo» dei Perturbazione
di Luca Ragagnin
Q
uando il 2007 farà staffetta con l’anno che ci
ra di Pierluigi Giancursi. Ma che musica fanno i Perturattende, il nome Perturbazione compirà vent’anbazione? Immaginate degli Smiths riformati che divenni. Nel 1988 Rossano Antonio Lo Mele, Tomtano una coverband di Sergio Endrigo. Suoni delicati,
maso Cerasuolo (di natali veneziani) e Stemelodie di forte impatto, testi significativi. Già, i testi.
fano Milano erano poco più che ragazzini sui banchi
Non un corollario, una ciliegina, una candelina, uno
di scuola di una Rivoli altrettanto difficile e frustransvolazzo di panna, ma una fetta importante della torte del vicino capoluogo piemontese. Avere quindici, seta. E non è un caso che almeno metà gruppo si occupi
dici anni in quegli anni là, in quei luoghi là, e sognare
anche di scrittura e di comunicazione visiva: nei meanla musica come futuro stabile non era questione da podri di quest’ultima si aggira Tommaso Cerasuolo, Stefaco. Il nucleo del gruppo per
no Milano scrive di faccende
un paio di stagioni picchia fumusicali su «Rumore», Rossastini e urla contro i professori:
no Lo Mele scrive di musica e
sono i primi concerti. Ma con
di letteratura. Il peso dei testi,
il cambio di decennio l’idea di
più ancora che nel precedente
scrivere canzoni seriamente
Canzoni allo specchio di due anha il sopravvento. Nasce una
ni fa, lo si percepisce nel nuomicroetichetta che raccoglie
vo lavoro, il quinto, Pianissimo
le forze di due band: i Perturfortissimo, appena pubblicato
bazione, appunto, e i Synusite,
dalla multinazionale Capitol/
che annoverano tra le loro fi la
EMI. Sono storie anche semCristiano Lo Mele, futuro chiplici, vale a dire le più difficitarrista perturbante. I modelli da scrivere in musica senli sono, ovviamente, angloaza cadere nel banale, che inmericani, ma non solo: accannestano elementi colti in mato agli Smiths e ai R.E.M. di
niera naturale, spontanea.
quei tempi là, e forse anche
Penso ad esempio alla seconun po’ a dei Pearl Jam amda traccia, «Nel mio scrigno»,
morbiditi, la canzone d’autore
che secondo me è la canzone
italiana nobile e persino il jazz
pop perfetta, e alla successifanno capolino negli ascolti
va «Leggere parole» (l’accencasalinghi: è tutta esperienza
to mettetelo dove volete, e il
che plasmerà il suono futuro
senso si sposterà…), che cidei Perturbazione. L’etichetta due maestri di storie, Italo
ta si chiamava Freedom of choiCalvino e Georges Perec. O
ce, un omaggio ai Devo, cerancora «l’ultimo dei beat», coPerturbazione
to, ma soprattutto un intento
me fu definito: quel Richard
programmatico, e la sua proBrautigan, autore di un paio
duzione si limitò ai manufatd’opere di culto come Zuccheti di una serie di demo che i due gruppi distribuivano
ro di cocomero e Pesca alla trota in America che si prende il
agli amici e durante i concerti. L’esordio discografico
titolo di una canzone – «Brautigan (giorni che finiscoinvece, sempre nel 2008, compirà un decennio. È afno)», con la bellissima orchestrazione di Davide Rosfidato alla lingua inglese, da subito però mischiata con
si (uno degli ospiti del disco, insieme a Manuel Agnella lingua madre, nello stesso anno, con l’ep 36. Nonoli). Scrittori, dunque, e stati d’animo volatili, cangianstante il raffinato gusto pop e la cura delle produzioni
ti, per storie leggere e pesanti, perché le storie sono fatin studio, i Perturbazione dimostrano da subito d’essete di persone e le persone non sono mai solamente trire una rockband macinaconcerti. Sono centinaia e nei
sti o solamente allegre. In fondo non è questa l’essenza
luoghi più impensabili, dai localini della provincia, podel testo pop? Questo lavoro ha un’immediatezza supeco avvezzi alle chitarre elettriche, alle pompe di benriore al precedente, e ricorda semmai, perfezionandola,
zina (un omaggio a Syd Barrett?). In formazione, inl’ingenuità positiva contenuta nel disco In circolo. Non
tanto, si aggiungono i ricami del violoncello di Elena
estraneo a questo risultato è il lavoro di Maurice AndiDiana, nel 1994 e, come già ricordato,
loro, che ha registrato Pianissimo fortisnel 1998 la chitarra energica di Cristiasimo, dopo avere collaborato, tra gli alno Lo Mele. È l’assetto definitivo del
tri, con Battiato e Baustelle.
Roncade (Tv) – New Age Club
gruppo, che annovera anche la chitar18 maggio, ore 21.00
Applausi fortissimi.
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L’ altra musica
Le «New Conversations»
del Vicenza Jazz 2007
di Enrico Bettinello
È
dedicata al «sogno subettista Fabrizio Bosso e un sodamericano» la dodicelo del pianista sudafricano AbDa sabato 12 maggio
sima edizione del festidullah Ibrahim.
tanti concerti per un
val «New Conversations – ViIl significativo legame tra jazz
«giro del mondo
cenza Jazz 2007», ma, come in
e cinema, troverà un interestutti i sogni che si rispettino, i
sante spazio venerdì 18 al Ciin otto giorni».
confini sono sempre mobili,
nema Odeon – la sala di proieTra le iniziative collaterali la
indefinibili e non saranno solazione più antica d’Italia – con
mente i legami tra il jazz e l’unil’Egea Orchestra (che il recente
mostra fotografica
verso latino-americano a caratreferendum Top Jazz ha eletto
di Patrizia Giancotti
terizzare il ricco cartellone alleformazione dell’anno) a com«Siamo tutti brasiliani»
stito dal direttore artistico Ricmentare il fi lm muto Pinocchio
cardo Brazzale.
(1911) di Giulio Antamoro, con
La formula è infatti quella che in questi anni è andata
musiche originali di Germano Mazzocchetti.
progressivamente affinandosi, con otto intense giornate
È affidata alla voce di Dee Dee Bridgewater la chiusudi concerti, da sabato 12 a sabato 19 maggio, che presentara del festival, sabato 19 alla Sala Palladio della Fiera, con
no un ventaglio molto vasto di stili e artisti, in grado di ofil recente progetto in cui si misura con la musica tradiziofrire agli spettatori un’ampia ricognizione delle varie fornale del Mali.
me della musica afro-americana soddisfacendo al tempo
E ancora tanti altri concerti per quello che potremmo
stesso gli appassionati dei diversi «generi».
definire un vero e proprio «giro del mondo in otto giorni»
I legami tra jazz e America Latina, innanzitutto: storiche conferma Vicenza tra le «capitali» del jazz di primavecizzati in parte, ma sempre vivi, fatti di reciproche suggera. Tra le iniziative collaterali segnaliamo la mostra fotostioni e di stratificazioni ritmiche: l’apertura ai giardini di
grafica di Patrizia Giancotti «Siamo tutti brasiliani».
Campo Marzo, festosa e a ingresso libero, sarà affidata così a due travolgenti formazioni come il Ray Mantilla Space
Station, che sabato 12 renderà un tributo alla mitica figura di Tito Puente, e l’Orquestra Do Fubà, esponente della
tradizione musicale «nordestina» del Brasile, il Forrò, che
si esibirà la sera successiva.
Una delle caratteristiche del festival vicentino sono anche gli spazi: quello più affascinante e prestigioso, il Teatro
Olimpico, apre lunedì 14 il suo impagabile scenario dapprima al duo tra il chitarrista brasiliano Guinga e il clarinettista Gabriele Mirabassi, in bilico tra colto e popolare,
tra intimità e melodia, poi al quartetto della pianista Carla
Bley con ospite la tromba di Paolo Fresu.
Gli appassionati del free storico e delle proposte più creative dell’avanguardia nera non si lasceranno invece sfuggire la serata di martedì 15 all’Auditorium Canneti, che si
aprirà con l’inedito duetto tra il sassofonista Anthony Braxton e il contrabbassista William Parker e presenterà poi
l’ottetto dello stesso Parker impegnato in un irresistibile
omaggio alla musica di Curtis Mayfield, con la presenza
alla voce del controverso poeta nero Amiri Baraka.
Un omaggio al jazz tedesco – mercoledì 16 al Teatro
Astra/Jazz Cafè Trivellato – vedrà alternarsi il quartetto di Joachim Kühn, lo storico trio composto da Alexander Von Schlippenbach, Evan Parker e Paul Lovens e
lo Zentralquartett in cui spicca il trombonista Connie Bauer.
Si torna al Teatro Olimpico giovedì 17, per una
serata molto articolata aperta dal pianista classico Andrea Bacchetti con un tributo a Ravel e Villa-Lobos. A Bacchetti seguiranno il
duo tra il chitarrista Irio De Paula e il trom-
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Dee Dee Bridgewater