Diamagnetismo e Paramagnetismo (Teoria Classica)

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Diamagnetismo e Paramagnetismo (Teoria Classica)
esperimenti
spesso M dipende linearmente da H (cioè M = k H dove k è una costante) la
definizione di suscettività si riduce ad una forma ancora più semplice, cioè
χ=
M
H
(1.4)
In accordo con questa definizione la suscettività è ancora una grandezza scalare e non dipende dal
campo magnetico esterno H.
In base al comportamento nei confronti di un campo magnetico esterno le sostanze si suddividono
in due categorie, cioè in sostanze DIAMAGNETICHE e sostanze PARAMAGNETICHE.
Si definisce DIAMAGNETICA una sostanza che tende a schermare l’azione di un campo
magnetico applicato. In questo modo il momento magnetico indotto di ciascun atomo ha direzione
opposta a quella individuata dal campo applicato.
Una sostanza è invece PARAMAGNETICA quando i corrispettivi momenti magnetici di ciascuno
dei suoi atomi tendono ad allinearsi sotto l’azione di un campo magnetico esterno lungo la direzione
individuata dal campo magnetico stesso.
In base a tale comportamento le sostanze DIAMAGNETICHE sono caratterizzate da suscettività
magnetica χ negativa (χ < 0), mentre le sostanze PARAMAGNETICHE hanno suscettività
magnetica χ positiva (χ > 0).
1.2 Teoria classica del diamagnetismo: teoria di Langevin
Il fenomeno del diamagnetismo causato dalla tendenza delle cariche elettriche (elettroni) a
schermare in parte un corpo dall’azione di un campo magnetico applicato ha il suo analogo
elettrodinamico nella legge di Lenz. Tale legge descrive l’insorgenza di una corrente indotta come
risposta alla variazione di flusso del campo magnetico attraverso un circuito di corrente. Tale
corrente indotta si oppone alla variazione di flusso ed alla corrente ad esso associata. Tutte le
sostanze hanno comportamento diamagnetico, poiché tutti gli atomi hanno elettroni appartenenti
alle shell più esterne che schermano l’azione di un campo magnetico esterno. Il comportamento
diamagnetico è tipico di quelle sostanze in cui questo effetto è preponderante rispetto agli altri
effetti possibili. Sono esempi di sostanze diamagnetiche i gas nobili allo stato solido, materiali con
shell elettroniche complete come l’elio (He), il neon (Ne), l’argon (Ar), il kripton (Kr) e lo xenon
(Xe); sono diamagnetici anche i composti ionici come il fluoruro di litio (LiF), il fluoruro di
potassio (KF) ed il fluoruro di sodio (NaF). Sia l’alogeno (atomo di fluoro F) acquistando un
3
elettrone che i metalli alcalini (Li, K, Na) perdendo un elettrone sono sostanze diamagnetiche,
poichè ionizzandosi realizzano la condizione di shell esterna completa.
Per ricavare il risultato classico di Langevin esprimente la suscettività magnetica di una sostanza
diamagnetica occorre richiamare in primo luogo il TEOREMA di LARMOR. Esso afferma che il
moto degli elettroni attorno al nucleo in presenza di un campo magnetico di intensità H è, al primo
ordine in H, lo stesso moto che si avrebbe in assenza di tale campo a cui si deve sovrapporre un
ulteriore moto di precessione attorno ad H la cui frequenza angolare di precessione è data per ogni
elettrone da
ωL =
eH
2mc
(1.5a)
dove e è la carica dell’elettrone presa in modulo, m è la massa dell’elettrone e c è la velocità della
luce. La frequenza angolare viene definita FREQUENZA di LARMOR. La direzione della velocità
angolare ωL è lungo l’asse individuato dal campo magnetico H . La corrispondente frequenza
f L = ω L 2π (L indica Larmor) può essere espressa nella forma
fL =
dove γ L =
γL
H
2π
(1.5b)
e
è il rapporto giromagnetico orbitale (scritto a meno del segno – della carica) di un
2mc
corpo rigido rotante (elettrone) secondo le leggi della meccanica classica. Si vedrà nel paragrafo 1.4
che esso è dato dal rapporto fra il momento magnetico ed il momento angolare orbitale.
Si fa l’ipotesi che la corrente media (la media è d’insieme) generata dagli elettroni contenuti
all’interno di un atomo sia nulla prima dell’applicazione del campo magnetico esterno. In seguito
all’applicazione di un campo magnetico esterno ciascun elettrone ruota descrivendo orbite circolari
attorno all’asse individuato da H ad una frequenza angolare pari alla frequenza di Larmor e
l’insieme degli elettroni produce una corrente media finita attorno al nucleo. Si assume anche che la
frequenza di Larmor sia molto inferiore alla frequenza del moto originale dell’elettrone attorno al
nucleo soggetto a forze di tipo centrale e questa ipotesi è ragionevole per un campo magnetico
esterno debole. E’ noto dalle leggi dell’elettrodinamica classica che una carica in movimento genera
una corrente i = dq / dt dove q è la generica carica e t è il tempo. Vista l’analogia geometrica con il
modello della spira circolare percorsa da corrente può essere utilizzato per il calcolo di i tale
modello. La corrente è data, per ciascun elettrone, da i = e / cT (c si aggiunge nell’espressione di i
per ragioni dimensionali nel sistema C.G.S.); T = 2π / ωL è il periodo di rivoluzione, cioè il tempo
impiegato dall’elettrone per percorrere un’intera circonferenza ed ωL è la frequenza angolare di
4
Larmor. Il periodo di rivoluzione è in questo caso un periodo associato alla precessione attorno alla
direzione del campo magnetico esterno. Quindi, sostituendo l’espressione di T nell’intensità di
corrente i, si trova iL = e ωL / 2π c . Se si considera un atomo contenente Z elettroni si scrive la
corrente totale equivalente I = − Z iL dove il segno – è dovuto al fatto che la direzione della corrente
equivalente generata convenzionalmente da una carica positiva è opposta rispetto alla direzione del
moto della corrente generata dall’elettrone avente carica negativa.
Sostituendo l’espressione della frequenza di Larmor di Eq.(1.5) dentro iL = e ωL / 2π c si trova che
la corrente totale I generata da Z elettroni vale
I =−
Ze 2 H
4π m c 2
(1.6)
Poiché il percorso della corrente è molto piccolo il momento magnetico orbitale può essere scritto
come il prodotto fra l’intensità i della corrente e l’area A dell’orbita (assunta circolare). Il campo
magnetico prodotto dall’elettrone è, a grandi distanze, equivalente a quello di un dipolo magnetico
caratterizzato da un vettore momento di dipolo posto nel centro dell’orbita e perpendicolare al piano
dell’orbita stessa. L’elettrone è, a tutti gli effetti, equivalente ad un dipolo magnetico. In base alla
= iL A
definizione fornita, l’intensità del momento magnetico orbitale del singolo elettrone è μeorbitale
L
dove A = π ρ 2 è l’area dell’orbita dell’elettrone e ρ è il raggio dell’orbita. Il momento magnetico
orbitale esprime la forza del dipolo magnetico associato all’elettrone. Per avere il momento
magnetico totale μ dell’atomo associato agli Z elettroni basta moltiplicare per il numero Z di
elettroni, cioè
μ=−
Z e2 H 2
〈ρ 〉
4mc 2
(1.7)
In Eq.(1.7) la quantità 〈 ρ 2 〉 è la media del quadrato della distanza del generico elettrone dall’asse
lungo cui è posto il campo magnetico. Essa è definita come una media d’insieme delle posizioni
degli Z elettroni dell’atomo. Poiché tale distanza è definita su un piano individuato dalla rotazione
dell’elettrone avente generiche coordinate x ed y attorno all’asse si scrive 〈 ρ 2 〉 = 〈 x 2 〉 + 〈 y 2 〉 con le
quantità 〈 x 2 〉 e 〈 y 2 〉 indicanti le corrispondenti medie delle singole componenti x ed y elevate al
quadrato. La distanza quadratica media del generico elettrone dal nucleo è invece
〈 r 2 〉 = 〈 x 2 〉 + 〈 y 2 〉 + 〈 z 2 〉 dove si è aggiunta anche la media del quadrato della componente z, poiché
la distanza è in questo caso calcolata rispetto ad un punto, rappresentato dal nucleo, posto sull’asse.
In figura è schematizzato il moto di precessione del generico elettrone attorno all’asse definito dal
campo magnetico applicato.
5
z
H
Piano xy
ωL
ρ
e-
r
Nucleo
Per una distribuzione di carica a simmetria sferica deve valere 〈 x 2 〉 = 〈 y 2 〉 = 〈 z 2 〉 a causa
dell’isotropia spaziale così che si può scrivere ad esempio 〈 ρ 2 〉 = 2〈 x 2 〉 ed 〈 r 2 〉 = 3〈 x 2 〉 . Si trova
che
〈 x 2 〉 = 〈 r 2 〉 / 3 che, sostituito in
〈 ρ 2 〉 , fornisce 〈 ρ 2 〉 = 2 / 3 〈 r 2 〉 . Sostituendo in Eq.(1.7)
l’espressione di 〈 ρ 2 〉 si trova
Z e2 H 2
μ=−
〈r 〉
6mc 2
(1.8)
Per ottenere il momento magnetico totale basta sommare i momenti magnetici di ciascun atomo e
ciò equivale a moltiplicare per il numero N di atomi del mezzo supponendo che tali momenti
magnetici siano tutti uguali. Quindi si può scrivere μtot = N μ . Dividendo μtot per il volume V del
mezzo si trova la corrispondente magnetizzazione, cioè M = −
N Z e2 H 2
〈 r 〉 nell’ipotesi che il
V 6mc 2
mezzo sia uniformemente magnetizzato in accordo con Eq. (1.2). Si nota che la magnetizzazione è
6
antiparallela al campo esterno. Dividendo ancora per il campo magnetico H si trova la
SUSCETTIVITÀ DIAMAGNETICA del mezzo
χ=
M
N Z e2 2
=−
〈r 〉
H
V 6mc 2
(1.9)
Eq.(1.9) rappresenta la LEGGE di LANGEVIN e costituisce un risultato derivato per via classica.
Il problema del calcolo della suscettività diamagnetica si riduce al calcolo di 〈 r 2 〉 per la
distribuzione elettronica nell’atomo che può essere ottenuto in modo preciso usando la meccanica
quantistica. Per come è stata definita, la suscettività diamagnetica è una grandezza scalare ed
adimensionale. A causa del segno meno nel membro di destra posto davanti ad una quantità positiva
essa risulta minore di zero.
Come si nota la suscettività diamagnetica è indipendente dalla
temperatura. Si sarebbe potuta trovare la suscettività diamagnetica di Eq.(1.9) anche applicando la
definizione più generale di suscettività data in Eq.(1.3). Tipicamente la suscettività diamagnetica è
dell’ordine di -10-4÷-10-5. Tuttavia, sperimentalmente viene misurata la suscettività magnetica
molare
misurata in cm3/mole (si veda il paragrafo 1.5.1 per la sua definizione).
molare χ
Il limite della trattazione classica del diamagnetismo sta nel fatto che si assume che la direzione del
campo magnetico esterno sia un asse di simmetria del sistema e questo non è in genere vero per
sistemi molecolari complessi. Per questa ragione deve essere applicata la teoria generale del
diamagnetismo e del paramagnetismo formulata da Van Vleck. Tale teoria si basa su leggi
quantistiche e riproduce sotto particolari condizioni il risultato classico di Langevin. Discuteremo
tale teoria nel paragrafo 1.4.
1.3 Teoria classica del paramagnetismo: equazione di Langevin e
legge di Curie
In generale, il paramagnetismo di una sostanza origina dal moto degli elettroni attorno ai nuclei di
ciascun atomo ed è quindi denominato paramagnetismo elettronico. Occorre tenere presente che si
ha anche un paramagnetismo nucleare associato al moto dei protoni e dei neutroni attorno al nucleo
la cui entità è molto minore rispetto a quello elettronico a causa della massa dei protoni e dei
neutroni che risulta molto maggiore rispetto a quella degli elettroni.
Si ha paramagnetismo elettronico nelle seguenti classi:
7
a) Atomi, molecole e difetti reticolari con un numero dispari di elettroni. Infatti lo spin totale
non può essere nullo.
b) Atomi liberi e ioni con un orbitale più interno parzialmente occupato. Appartengono a
questa classe gli elementi di transizione (es. ferro (Fe), cobalto (Co), nichel (Ni), rame (Cu),
manganese (Mn)), elementi delle terre rare (es. lantanio (La), cerio (Ce), samario (Sm),
gadolinio (Gd)) e degli attinoidi (es. torio (Th), uranio (U), plutonio (Pu)).
c) Alcuni composti aventi un numero pari di elettroni incluso l’ossigeno molecolare (non atomi
singoli).
d) I metalli (es. sodio (Na), potassio (K), calcio (Ca)) esclusi i metalli di transizione
appartenenti al gruppo b).
Le sostanze paramagnetiche sono caratterizzate da atomi ciascuno dei quali ha un definito momento
magnetico, ma i momenti magnetici non interagiscono fra di loro. Risultano quindi nulle sia
l’interazione di scambio che l’interazione dipolare che verranno discusse nei paragrafi 2.1 e 2.2 per
le sostanze ferromagnetiche.
Deriviamo ora l’equazione di Langevin per il paramagnetismo classico. Supponiamo di avere un
mezzo (paramagnete) contenente N atomi ciascuno dei quali con momento magnetico μ . In un
mezzo paramagnetico la magnetizzazione totale si media a zero a causa del disordine termico. Se
viene applicato un campo magnetico esterno, oltre al piccolissimo effetto diamagnetico, i momenti
magnetici degli atomi tendono ad allinearsi lungo la direzione del campo. L’energia d’interazione di
ciascun atomo con il campo H è data da
E = − μ ⋅ H = − μ H cos θ
(1.10)
dove θ è l’angolo compreso fra il momento magnetico ed il campo magnetico esterno. Ciò equivale
ad affermare che un dipolo magnetico di momento μ , se immerso in un campo magnetico H ,
acquisisce un’energia pari ad E = − μ ⋅ H . In figura è rappresentata la direzione arbitraria del
momento magnetico del generico atomo rispetto al campo magnetico esterno.
8
H
μ
z
θ
y
φ
x
Per il calcolo della magnetizzazione Langevin seguì lo stesso tipo di calcolo effettuato da Debye per
calcolare la polarizzabilità per orientazione in un dielettrico. In particolare si può definire la
magnetizzazione del paramagnete nella forma
M =
N
μ 〈 cos θ 〉
V
(1.11)
dove N è il numero di atomi supposti non interagenti e V è il volume del mezzo paramagnetico. 〈...〉
indica la media delle possibili orientazioni del generico atomo rispetto al campo magnetico
nell’elemento di angolo solido d Ω = sin θ dθ dφ calcolata rispetto alla distribuzione classica di
probabilità di Boltzmann all’equilibrio, cioè
2π
〈 cos θ 〉 =
∫
0
π
dφ ∫ dθ sin θ cos θ e − β E
2π
0
π
∫ dφ ∫ dθ sin θ e
0
−β E
0
dove φ è l’angolo azimutale e θ è l’angolo polare; β = 1/ k BT con k B costante di Boltzmann.
Sostituendo ad E l’espressione data in Eq.(1.10) ed integrando in φ a numeratore ed a denominatore
si ottiene
π
cos θ =
∫ dθ sin θ cos θ e
0
π
∫ dθ sin θ e
βμ H cosθ
βμ H cosθ
0
9
L’integrale si risolve per sostituzione di variabile, cioè si pone t = cosθ per cui dt = − sin θ dθ ;
quindi per θ = 0 si ha t = 1 e per θ = π si ha t = −1 . Conviene anche effettuare la sostituzione
x = βμ H . Si ottiene
−1
〈 cos θ 〉 =
∫ −dt t e
1
tx
1
−1
∫ −dt e
=
∫ dt t e
−1
1
∫ dt e
tx
tx
tx
=
f ′( x)
f ( x)
=
d
⎡ ln f ( x ) ⎤⎦ =
dx ⎣
−1
1
1
1
⎞ ⎤ d ⎡ ⎛ et x ⎞ ⎤ d ⎡ ⎛ e x − e − x ⎞ ⎤
d ⎡ ⎛
tx
⎢ ln ⎜
⎟⎥ =
=
⎢ ln ⎜ dt e ⎟ ⎥ =
⎢ ln ⎜
⎟⎥ =
⎜
⎟
dx ⎢⎣ ⎝ −∫1
dx
x
dx
x
⎢
⎥
⎠⎦
⎠ ⎥⎦
⎣ ⎝
−1 ⎠ ⎦
⎣ ⎝
d ⎡
−x
x
⎤ = d ⎡ ln e x − e − x ⎤ − d [ ln x ] =
=
−
−
ln
ln
e
e
x
⎦ dx ⎣
⎦ dx
dx ⎣
1
e x + e− x 1
= x − x − = coth x −
e −e
x
x
(
)
(
)
Nel primo passaggio si è cambiato segno sia a numeratore che a denominatore scambiando così gli
1
1
1
d
d
estremi di integrazione e si è posto ∫ dt e = f ( x ) così che f ′ ( x ) =
f ( x ) = ∫ dt et x = ∫ dt tet x
dx
dx
−1
−1
−1
tx
dove si è scambiato l’integrale con l’operazione di derivazione a causa della continuità della
funzione integranda. Si è, quindi, applicata la regola di derivazione della funzione logaritmo
naturale
f ′( x)
d
a
⎡⎣ ln f ( x ) ⎤⎦ =
. Si è poi sfruttata una proprietà del logaritmo, cioè ln = ln a − ln b
b
dx
f ( x)
e si è infine tenuto conto dell’identità trigonometrica
e x + e− x
= coth x dove coth è la cotangente
e x − e− x
iperbolica. La funzione
L( x) = coth x −
1
x
(1.12)
è la FUNZIONE di LANGEVIN disegnata in figura. L ( x ) è una funzione compresa fra 0 ed 1. In
particolare, L ( x ) è una funzione monotona crescente di x e tende ad 1 al crescere di x, cioè al
crescere del rapporto H/T .
10
1.0
L(x)
0.8
0.6
0.4
0.2
0
2
4
x
6
8
10
Quindi, sostituendo nell’espressione della magnetizzazione di Eq.(1.11), si ricava
M=
N
μ L ( x)
V
(1.13)
Eq.(1.13) rappresenta l’EQUAZIONE di LANGEVIN. Essa esprime l’andamento della
magnetizzazione
di
una
sostanza
PARAMAGNETICA
ricavato
per
via
classica.
La
magnetizzazione è parallela al campo magnetico ed ad esempio cresce al crescere del campo
magnetico esterno a fissata temperatura.
Per x<<1 con x = βμ H si può sviluppare in serie la funzione cotangente iperbolica, cioè
coth x
1 x
+ + O ( 3) e si ottiene per la funzione di Langevin L ( x )
x 3
x
. Occorre tenere presente
3
che la condizione x<<1 si realizza ad una temperatura di poco maggiore di 1 K (a maggior ragione
quindi alla temperatura ambiente a cui avvengono gli esperimenti) per un campo magnetico di
intensità H dell’ordine di 104 G facilmente ottenibile in laboratorio. Quindi la magnetizzazione
risulta M
N x
μ . Sapendo che β = 1/ k BT si ricava
V 3
M
N μ2H
V 3k BT
(1.14)
La suscettività magnetica in questo limite risulta
11
M
χ=
H
N μ2
C
=
V 3k BT T
Eq.(1.15) prende il nome di LEGGE di CURIE. La costante C =
(1.15)
N μ2
è la costante di Curie ed ha
V 3k B
le dimensioni di una temperatura. La suscettività di un paramagnete espressa in Eq.(1.15) è una
grandezza scalare, adimensionale, positiva ed inversamente proporzionale alla temperatura. Inoltre,
in virtù dell’approssimazione effettuata, non dipende dal campo magnetico esterno. E’ da notare che
la suscettività di Eq.(1.15) si sarebbe potuta ottenere anche applicando la definizione più generale di
Eq.(1.3). La suscettività paramagnetica è mediamente dell’ordine di 10-4÷10-5 anche se raggiunge
valori più alti a bassa temperatura. Come per la suscettività diamagnetica, sperimentalmente viene
molare
espressa in cm3/mole (si veda il paragrafo 1.5.1
misurata la suscettività magnetica molare χ
per la sua definizione).
1.4 Teoria quantistica del paramagnetismo
Discutiamo in questo paragrafo la teoria quantistica del paramagnetismo. Si è visto nel paragrafo
1.2 che ad un elettrone, che descrive un’orbita circolare facendo una precessione attorno al campo
magnetico H con frequenza angolare ω L detta frequenza di Larmor, è associata un’intensità di
corrente iL = e ω L / 2π c in analogia con il caso della spira percorsa da corrente e ad essa, a sua
volta, un momento magnetico. Analogamente, definito con ρ il raggio dell’orbita circolare,
l’intensità del momento magnetico orbitale di un elettrone associato alla rotazione dell’elettrone con
frequenza angolare ω attorno al nucleo, dato ancora dal prodotto dell’intensità di corrente
i = e ω / 2π c per l’area dell’orbita, è espressa da μeorbitale = ( eω / 2π c ) π ρ 2 da cui si ricava
immediatamente che μeorbitale = e / 2c ω ρ 2 . In questo caso ω non è la frequenza angolare di
Larmor, ma la frequenza angolare di rotazione dell’elettrone attorno al nucleo presente in assenza di
un campo magnetico applicato. Sapendo che l’intensità del momento angolare orbitale dell’elettrone
2
di velocità v per un moto circolare vale l = mvρ = mω ρ , poiché v = ωρ si trova che
ω ρ 2 = l / m e quindi che μeorbitale =
e
l . Poiché la corrente equivalente è opposta al moto
2m c
12

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