Estratto - La Tribuna
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Dagli atti emulativi agli atti persecutori 1. Dagli atti emulativi agli atti persecutori. 1.1. La “molestia” come concetto ispiratore di norme di tutela a favore della persona fisica. Il concetto di fondo cui si richiama la norma incriminatrice degli atti Molestia persecutori è quello della molestia alla persona fisica, intesa nel senso [1] di condotta invasiva dell’altrui tranquillità ed inaccettabile nell’ordinato vivere civile, cui conseguono livelli diversi di reazione giuridica apprestata dall’ordinamento, a seconda del diverso grado di incidenza di siffatta condotta nella sfera privata altrui. Soltanto di recente, deve dirsi, il bene della quiete e della intangibilità della privacy è divenuto oggetto di attenzione specifica ad opera del legislatore, costretto a prendere consapevolezza di sempre maggiori aggressioni cagionate dal modo di vivere attuale e dal diffondersi di strumenti insidiosi per la quotidianità serena del cittadino comune. Per lungo tempo la molestia ed il disturbo sono stati considerati eventi minori nel quadro dei rapporti di contenuto negativo tra consociati, come episodi relegati ai margini della vita corrente e da considerare, più che nel loro riflesso privatistico, quali fonti di perturbazione dell’ordine pubblico. La pluralità delle ragioni di stress che giungono ad incidere nella sfera privata dei singoli ha progressivamente condotto ad attribuire importanza a fenomeni che nella legislazione erano previsti ma, appunto, quali fatti specie di importanza secondaria sotto il profilo della tutela da predisporre per i soggetti passivi. La realtà odierna delle relazioni sociali, affette da un crescente degrado del rapporto tra uomo e donna, delle relazioni interpersonali ed intra-familiari, unitamente alla moltiplicazione ed alla crescente invasività dei moderni mezzi di comunicazione tra individui, hanno determinato un progressivo sfilacciamento dei vincoli di solida rietà ed una sempre maggiore indifferenza verso gli altri, situazioni oggi divenute determinanti nel rendere attuali previsioni di illecito considerate residuali. Le stesse nozioni di molestia e di disturbo sono divenute riferite anziché alla collettività, che ne veniva turbata, all’individuo fisico, che ne riporta lesione all’insieme dei propri diritti al riposo, alla quiete, alla vita ordinata, alla mancata interferenza altrui nelle proprie scelte e nelle proprie abitudini consuete. La punizione degli atti persecutori segue a sviluppi che in ambito civilistico (lavorativo, dapprima, e poi con rilievi di risarcimento del danno, in genere) hanno visto assurgere ad attenzione e riconoscimento il mobbing, il danno esistenziale e l’integrità psicofisica della persona quali valori difesi dalla Costituzione, in quanto riferibili ad un diritto alla salute latamente intesa. Un breve cenno a quanto possiamo considerare 15 Lo stalking e gli atti persecutori Nel diritto penale e civile i “precedenti” nella normativa anteriore alla detta punizione degli atti persecutori può aiutare a comprendere la portata dell’innovazione. Le vie attraverso le quali ripercorrere questi “precedenti” passano per le nozioni di molestia, di disturbo, di minaccia, di violenza, che sono, tutte, presupposte dalla norma incriminatrice degli atti persecutori. Agli atti emulativi dedichiamo un breve cenno; rimandando per il resto ai capitoli che seguono. 1.2. Gli atti di emulazione di cui all’art. 833 codice civile. Presupposti Il diritto civile si è occupato poco di azioni pregiudizievoli ispirate [2] ad intenti di disturbo, attesa la sua ottica rivolta a porre proporzione tra diritti reciproci, in larga parte di contenuto patrimoniale in senso stretto. L’art. 833 del codice civile considera comunque illeciti gli atti che non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri. Si tratta dell’unica norma che prevede come fonte di risarcimento del danno gli atti improntati al solo scopo di recare disturbo, inteso, quest’ultimo, per la sua diretta incidenza quale causa di danno economico oppure come occasione di semplice molestia fine a se stessa. L’ottica dalla quale atti di tal genere sono considerati, per stabilirne l’illiceità, con cerne, però, unicamente la posizione attiva del proprietario, che pone in essere sostanzialmente dei piccoli abusi del suo diritto dominicale, eccedendo nell’esercizio di questo per finalità soggettive maliziose. La norma ricordata non è suscettibile di applicazione fuori dalle fattispecie dell’utilizzo della proprietà; mentre in altri settori del diritto privato, anche nei risvolti processuali della tutela giudiziaria offerta a chi ne resta vittima, si accenna a fattispecie di abuso del diritto. La medesima norma definisce quei comportamenti “atti di emulazione”, per porne in evidenza l’assoluta mancanza di scopo, diverso da quello di costituire manifestazione di dispetto e di malanimo. Due sono, secondo la giurisprudenza, gli elementi che caratterizzano questo tipo di condotte: l’assenza di una utilità per il proprietario; e l’esclusiva finalità emulatrice (Cass. sez. II, 27 giugno 2005, n. 13732; Cass. Sez. II, 11 aprile 2001, n. 5421; Cass. sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9998). Occorre che quegli atti non siano sorretti da alcuna giustificazione utilitaristica dal punto di vista economico e sociale (se rispondono ad una utilità, per il proprietario, essi non sono illegittimi: Cass. sez. II, 25 marzo 1995, n. 3558; Cass. sez. II, 7 marzo 1986, n. 1509; Cass. sez. II, 5 marzo 1984, n. 1515; Cass. sez. II, 6 febbraio 1982). Sono, conclusivamente, atti caratterizzati dall’animus nocendi (Cass. sez. II, 27 luglio 16 Art. 833 c.c. (Atti d’emulazione). Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri. Dagli atti emulativi agli atti persecutori 10984, n. 4448; Cass. sez. II, 8 maggio 1981, n. 3010; Cass. sez. II, 5 novembre 1977, n. 4708). Il punto focale della disciplina dettata dal codice civile è quello della legittimazione del titolare della proprietà ad esercitare in un certo modo il suo potere, tradizionalmente inteso come assoluto e delimitabile esclusivamente per interessi pubblicistici: non già, invece, l’aspetto che concerne colui che subisce il comportamento abusante altrui, vale a dire, quello che la stessa rubrica della disposizione civilistica intende come “molestia”. Il punto di vista è rimasto circoscritto allo stabilire un limite ad un potere altrimenti utilizzabile senza condizioni e subito giustificato ove ricorra una qualche apprezzabile utilità, oggettiva, per il proprietario del bene. Visione legata alla proprietà fondiaria ed ai rapporti di vicinato; e giustificata dall’indifferenza per chi subisca atteggiamenti pregiudizievoli per i terzi ma rispondenti alle facoltà contenute nel diritto dominicale, almeno sino a che trasmodino in dolosi intenti di sopraffazione. Per quanto concerne le premesse ad un discorso che illustri oggi il perché della punizione degli atti persecutori, la normativa civilistica offre scarsi spunti di riflessione e di utilità, fatta eccezione per la constata zione di una normativa arretrata che ha dovuto reperire nelle contrastate nozioni di danno esistenziale e di mobbing una qualche apertura verso la riprovazione di condotte abusanti, estranee al rigido mondo del diritto di proprietà. 17