contra legem» l`ultima parola spetta all`assemblea

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contra legem» l`ultima parola spetta all`assemblea
2/2/2016
Per la dismissione delle partecipate «contra legem» l'ultima parola spetta all'assemblea
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02 Feb 2016
Per la dismissione delle partecipate «contra
legem» l'ultima parola spetta all'assemblea
di Federica Caponi
L'ente locale che ha deliberato la dismissione di una partecipata senza essere riuscito a vendere le
quote, ha diritto a essere liquidato dalla società, ma la decisione deve essere discussa
dall'assemblea della società, che dovrà adottare misure idonee a garantirne l'attuazione. Il legislatore ha disciplinato una forma di liquidazione peculiare rispetto ai presupposti stabiliti
nel Codice civile per il recesso, introducendo un'ipotesi speciale valida solo per le società
partecipate da enti pubblici, disciplinata dal comma 569 della legge 147/2013, ulteriore rispetto a
quelle ordinarie contemplate dall'articolo 2437 del Codice civile; ma le decisioni assunte dall'ente
pubblico non vincolano automaticamente la società, essendo rimessa all'assemblea della
partecipata la valutazione sulle modalità attuative più idonee della decisione espressa dal socio. La vicenda Questi gli interessanti chiarimenti forniti dalla Corte dei conti, sezione di controllo Friuli Venezia
Giulia, nella deliberazione 158/2015 (su cui si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa
del 25 gennaio), con cui ha risposto a una società in house, interamente controllata da enti
pubblici territoriali; uno degli enti partecipanti, per reperire risorse finanziarie per ripristinare i
propri equilibri di bilancio, aveva manifestato l'intenzione di dismettere una parte delle azioni in
suo possesso. In particolare, la società aveva chiesto se era obbligata a liquidare la quota dell'ente socio, che non
aveva trovato un acquirente terzo, o se fosse possibile a fronte di legittime e oggettive ragioni
opporsi alla richiesta, anche per evitare la riduzione delle partecipazioni dei soci a mere quote
simboliche, utili solo al mantenimento dell'affidamento in house. Le regole «speciali» La problematica sottoposta ai magistrati contabili riguarda l'acquisizione di quote sociali
dismesse da un ente partecipante al capitale di una società in house, materia che è stata oggetto di
numerosi interventi legislativi negli ultimi anni, oltre che dello schema del decreto attuativo della
legge 124/2015, appena approvato in via preliminare dal consiglio dei ministri. L'articolo 2357 del Codice civile stabilisce che «la società non può acquistare azioni proprie se
non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio
regolarmente approvato. (…) L'acquisto deve essere autorizzato dall'assemblea, la quale ne fissa le
modalità, indicando in particolare il numero massimo di azioni da acquistare, la durata, non
superiore ai diciotto mesi, per la quale l'autorizzazione è accordata, il corrispettivo minimo ed il
corrispettivo massimo». Nel caso delle società pubbliche, però, questa disciplina, vincolante per le società di diritto
comune, è integrata da un'ulteriore serie di previsioni. Per ridurre il peso delle partecipazioni societarie degli enti locali, il legislatore ha previsto che,
una volta che l'ente pubblico socio abbia qualificato come non più strettamente indispensabile la
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presenza nel capitale di società estranee alle proprie finalità istituzionali, se per qualsiasi causa
non sia riuscito a dismetterle, possa farsi liquidare dalla società il valore del suo investimento ex
articolo 2437­ter, comma 2, del Codice civile. In base al rinvio a questa disposizione, il socio pubblico ha diritto alla liquidazione delle azioni
secondo un valore determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del
soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale
della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle
azioni. In base a quanto previsto dall'articolo 2437­ter, comma 5, i soci hanno diritto di conoscere la
determinazione del valore di liquidazione e a presentare eventuali contestazioni. La disciplina introdotta dal comma 569 non può essere completamente assimilata al recesso
codicistico, ma secondo i magistrati contabili è corretta una lettura più ampia, individuando in
essa un'ipotesi di recesso sui generis, conseguente alla mancata individuazione di un acquirente.
L'intento del legislatore, infatti, con la previsione del comma 569, è proprio quello di superare le
difficoltà di cessione a terzi. Il passaggio in assemblea «Quando è ammesso il recesso, infatti, la liquidazione è certa, trattandosi di un diritto del socio
riconosciuto e regolato dal Codice civile, e viene conseguita indipendentemente dalla
composizione sociale e dalla quota detenuta – altrimenti verrebbe vanificato ­ l'obiettivo fissato
dal legislatore e in definitiva costringerebbe l'ente pubblico a rimanere associato a un rischio di
impresa che non corrisponde più alle proprie finalità istituzionali. Di conseguenza, il recesso
appare come l'elemento che riporta in equilibrio la procedura di abbandono delle partecipazioni
azionarie non strategiche», come chiarito anche dal Tar Brescia con la sentenza 1305/2015.
La Corte dei conti ha però rilevato che un aspetto problematico della normativa è costituito
dall'assemblea dei soci, cui compete l'approvazione del provvedimento di cessazione della
partecipazione societaria. La natura discrezionale della scelta di strategicità, che appartiene all'ente pubblico partecipante al
capitale, non "elimina" o riduce il ruolo dell'assemblea dei soci, che deve essere convocata per
formalizzare la decisione, facendola recepire agli altri soci, e definirne le modalità attuative. L'assemblea potrà eventualmente individuare forme alternative al recesso dell'ente pubblico,
procedendo (ad esempio) al riacquisto di azioni proprie, qualora ricorrano le condizioni previste
dall'articolo 2357 del Codice civile (acquisto esclusivamente di azioni interamente liberate nei
limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall'ultimo bilancio regolarmente
approvato) o disporre misure diverse. I magistrati contabili hanno infine precisato che in coerenza con le generali regole in tema di
giurisdizione, la società potrebbe anche contestare la dismissione e gli altri soci potrebbero
eventualmente rivolgersi al giudice competente territorialmente e per materia con riguardo a vizi
eventualmente ravvisati nella regolarità del procedimento di dismissione. P.I. 00777910159 ­ Copyright Il Sole 24 Ore ­ All rights reserved
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