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Il campo d’avena, la girandola rossa
È passata da poco mezzanotte, il campo d’avena sembra
respirare. Ventate fresche che scorrono dalle colline alleviano l’afa. La stagione è al culmine e Giugno se ne va
anticipando un’estate che si annuncia torrida. Lorenzo sta
sul balcone al primo piano del villino. Dalla strada lo separa una striscia di terra con due palme, le uniche superstiti
di un giardino che appena pochi anni prima si estendeva
per un ettaro. Sulla destra vede le luci fioche dei viali delle palazzine Incis. Appena finite cominciano a rovinarsi;
gli intonaci delle pareti sono screpolati in più punti. Sulla
sinistra un distributore Agip ha occupato parte della nuova
carreggiata.
Il giovane, magro, atletico, indossa una canottiera bianca con le maniche e pantaloni militari corti, un poco larghi.
Si sente affaticato; ha sgobbato per due mesi interi, senza
una pausa; non vuole perdere la borsa di studio. I genitori
questo si aspettano da lui. Ma se il caldo del giorno lo soffoca, la notte lo brucia. Quando ogni rumore si è assopito e
tutti in casa dormono, si rifugia su questo terrazzino aspettando che si ripeta la strana avventura. Guarda il grande
campo d’erba e la strada davanti. L’asfalto diventato blu
nero, lucido. L’ultimo tram delle linee periferiche ha ormai
raggiunto il deposito; il traffico è quasi scomparso. Quel
campo domina ora ogni cosa, gli sembra, con voci misteriose. Questa volta non si lascerà bloccare dalla timidezza, parlerà allo sconosciuto. Il pensiero, appena nato, gli
provoca un crampo allo stomaco... Tutto era cominciato un
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mese prima, alla fine di maggio, di notte, una notte già calda, intorno all’una. La ricorda con precisione, e un poco di
sofferenza, come incisa a fuoco sulla pelle. Una ferita aperta che lo riempie di un piacere ambiguo e malsano. Adesso sta compiendo gli stessi gesti di quella prima volta. Si
sporge dal davanzale per guardare giù. Sente l’odore delle
foglie dei gerani smossi dalle sue dita; ecco quello di limone acre della cedrina e l’odore di cannella delle cimate dei
garofani che piacciono tanto a sua madre! Una girandola di
celluloide rossa che il fratellino più piccolo ha piantato in
un vaso ha preso a girare...
Aveva visto, accostata al cancello di ferro della seconda
entrata della villa, quella che non si apriva mai, una macchina sportiva bianca, con lo sportello aperto dalla parte del
guidatore, e l’uomo seduto di traverso con una gamba in
fuori. Aveva notato il colore chiaro delle scarpe con la para,
i pantaloni neri, attillati, il giubbetto di pelle. L’uomo, con
un braccio appoggiato sullo schienale del secondo sedile,
fumava. Il lumino rosso della sigaretta brillava come una
lucciola e descriveva traiettorie luminose ai suoi movimenti
nervosi. Sembrava soprappensiero, forse indeciso. Poi sentì
sbattere lo sportello e lo aveva visto uscire dall’auto, rapido come un topo, e buttarsi nel campo attraverso un varco
della rete. Gli sembrò anche che, correndo, scivolasse sulla
balza rovinata. Aveva pensato a un ubriaco che si era sentito male, costretto a una fermata di emergenza. Se ne era dimenticato, ritornando ai suoi appunti. Se non ché l’avviarsi
del motore gli rammentò la cosa. Uno sguardo all’orologio:
le due e mezza. L’uomo si era trattenuto nel prato quasi due
ore! A fare che? Non era un suo problema, ora aveva sonno.
Guardò puntini frammentati di luci sulle colline dei Castelli. Sentì la brezza portare l’odore dell’erba medica in fiore.
Si alzò. Sulla sedia restò una macchia umida dove le cosce
avevano aderito al legno. Spostò il tavolino, contenne col
gomito le dispense che stavano per scivolare, stette qualche
minuto intontito, poi rientrò in casa.
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Così, per un mese, ogni notte, a mezzanotte in punto o
poco più, lo sconosciuto ritornava con la sua bella macchina pulita; si fermava due ore nel campo dell’Aeroporto e
dopo ripartiva senza fretta. Ogni volta come appagato da
ciò che aveva trovato. Non c’era alcun dubbio: aveva degli
incontri, ma non riusciva a immaginare dove, e con chi.
Non c’erano case, oltre le palazzine lontane, nel raggio di
un chilometro. Lorenzo si è accorto di trovarsi nella stessa
situazione. Anche lui ogni notte ha ormai il suo appuntamento; non sa con chi e per che cosa. Una volta, addirittura, gli sembrò che l’uomo, come sentendosi osservato,
levasse lo sguardo verso il balcone; gli parve che facesse
un accenno di saluto con la mano; un saluto leggero, fraterno. Impossibile non provare qualcosa, non sentirsi coinvolto. Perciò si era messo in agguato come un animale e
una delle notti successive, dopo aver lottato per l’azzardo,
un quarto d’ora prima del solito era sceso di sotto, nascondendosi nell’androne, dietro la palma più grossa, restando
immobile, preoccupato di non fare rumore; vergognandosi
come per qualcosa di proibito. Puntuale la macchina si era
accostata al cancello; aveva sentito il rumore dei passi sulla
ghiaia, l’uomo gli era passato a meno di tre metri. Aveva avuto un tuffo al cuore. Quel viso da lupo, lo sguardo
febbrile, il corpo tutt’ossa! Lo aveva riconosciuto subito
perché, qualche giorno prima su Il Messaggero c’era un articolo e una foto. Era lo scrittore di cui aveva appena finito
di leggere un libro che gli aveva lasciato una scia amara
dentro. Il pezzo rivangava una storia diventata di dominio
pubblico e che aveva scatenato un putiferio. Si riesumava
un pasticcio; strascichi di un processo non ancora concluso
per una rapina vicino a un distributore di benzina. Gli amici
dello scrittore la ritenevano una cosa infame inventata di
sana pianta, una storia da fumetto! Gli accusatori pretendevano che fosse avvenuta. ‘La bravata di un corruttore che
imita le gesta dei suoi personaggi!’ dicevano questi ultimi.
‘Vittima di un complotto; lo avversano perché è senza peli
sulla lingua e scopre le loro malefatte!’ si sbracciavano so-
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stenitori anche illustri. Ma il personaggio al centro di quel
casino faceva poco per scagionarsi, anzi sembrava sguazzarci dentro! ‘È un ricatto!’ qualcuno lo aveva detto papale,
papale. Pier Paolo Pasolini era un personaggio scomodo,
ma anche un baluardo, uno spartiacque. In quell’Italia della
fine degli anni Sessanta. Anche un mito per Lorenzo e per
quelli come lui.
Il giovane sentiva nello scrittore una verità messa a
nudo; quella che lui non riusciva a portare alla luce. Qualcosa che lo faceva stare male. Se fosse stata questa la ragione
degli appuntamenti di ogni notte? Se no, cosa faceva, uno
famoso come lui, in una strada deserta, vicino a una stazione di servizio, a un’ora così tarda? Le domande restavano
senza risposta. Però la scoperta che aveva fatto era a dir
poco strabiliante! I giorni seguenti Lorenzo aveva chiesto
notizie ad amici più scafati e infine era venuto a capo di tutto. La vita del poeta si conosceva in ogni particolare; nulla
era nascosto, molte cose esagerate per piacere di scandalo
o per opportunità politica. Solo delle scorribande notturne non trovò notizia da nessuna parte. Qualche accenno in
una o due poesie. Eppure, dopo il successo dei romanzi e
dei primi film, la sua vita era stata passata al setaccio, era
diventata un fatto nazionale. Della potenza creatrice, del
rigore culturale, della coerenza politica, dei suoi scandali
erano piene anche le cronache straniere! Di più, nuove polemiche attizzate da scritti pieni di rabbia moltiplicavano
l’interesse; vecchi focolai divampavano nuovamente accesi. Si riesumava il passato! Del resto Pasolini cercava la
provocazione, se ne serviva come un grimaldello per scardinare le stanze del Potere!
Al prossimo – sì, perché ormai Lorenzo sente questi incontri al buio come appuntamenti – lo affronterà. Per dirgli
cosa? Una scusa l’ha pronta. Si presenterà con il libro per
un autografo. Di notte non è ridicolo? Dato il personaggio,
e la situazione, nessuna cosa sembrerà strana. Così fece.
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Scese i pochi gradini con in mano l’ultimo libro di poesie.
Si è preparato persino una domanda! La notte lo avvolse in
una coperta umida. Attese paziente e invano. Lo scrittore
non si fece vivo, né in quell’occasione, né per tutto il mese.
Un desolato mese di fuoco coperto di delusione.
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