introduzione: natura, vissuto e trattamento della

Transcript

introduzione: natura, vissuto e trattamento della
Firera & Liuzzo Publishing è un marchio di Firera & Liuzzo Group
© 2010 - Firera & Liuzzo Group
Via Boezio, 6 - 00193 Roma
www.fireraliuzzo.com
ISBN: 978-88-6538-013-0
Titolo dell’opera originale: Emotion-Focused Therapy for Depression
© 2006 by The American Psychological Association
750 First Street, NE
Washington, DC 20002
Firera & Liuzzo Group è un membro di
Leslie S. Greenberg e Jeanne C. Watson
La terapia emotion-focused
per la depressione
InDICE
1 Introduzione: natura, vissuto e trattamento della depressione
7
2 Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
21
3 La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
41
4 Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
71
5 Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
97
6 La relazione terapeutica
125
7 La formulazione del caso nella depressione
143
8 Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
159
9 Tecniche per accrescere la consapevolezza
177
10 Evocazione e arousal delle emozioni
199
11 Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
221
12 Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le
due sedie e dialoghi sugli unfinished business
245
13 La trasformazione: costruire alternative
271
14 La riflessione e la generazione di nuovi significati
291
309
Bibliografia CAPITOLO 1
INTRODUZIONE: NATURA, VISSUTO E
TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE
La depressione è uno dei disturbi psicologici più importanti, più comuni e più
invalidanti (Ross, Smith & Booth, 1997). La depressione clinica è caratterizzata da
sentimenti di scoraggiamento, tristezza, malumore, scoramento e di vuoto che durano
per settimane o più; l’intensità e la durata di questi vissuti quotidiani definiscono la
sindrome. Il sé si organizza permanentemente in uno stato depressivo e perde ogni
forma di resilienza. A volte è il prolungamento di uno stato di tristezza in seguito a una
perdita o a un fallimento che sembrano durare per sempre. Spesso è anche accompagnata da agitazione e rabbia, e l’ansia può lasciare un senso di insicurezza, disperazione
e impotenza.
La depressione potrebbe assumere la connotazione di un’angoscia che si manifesta
anche sul piano somatico, attraverso uno stato di torpore fisico: cambia il vissuto corporeo, s’instaurano pesantezza, oppressione e si muovono gli arti con grande difficoltà. Questa sensazione può progredire fino al punto in cui la depressione diventa non
solo un disturbo dell’umore, ma anche della sensazione. Il mondo si appiattisce e si
ingrigisce. Le persone con una forma grave di depressione non provano nemmeno più
amarezza e disperazione; semplicemente non provano più nulla.
Secondo la quarta edizione del Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM-IV, American Psychiatric Association, 1994) i criteri per individuare una
depressione sono otto:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
presenza di umore depresso per almeno 2 settimane;
perdita del piacere nello svolgimento di gran parte delle attività;
importanti modificazioni nel peso corporeo;
disturbi del sonno;
mancanza di energia;
senso di inutilità o senso di colpa;
difficoltà di concentrazione e nel prendere decisioni;
pensieri di morte.
7
La terapia emotion-focused per la depressione
Pertanto la depressione si presenta come un fenomeno complesso, può avere numerose cause, si manifesta con sintomi differenti; a volte potrebbe essere resistente al
trattamento e fortemente invalidante, ed infine, colpisce un’importante fetta della popolazione.
Una serie di interventi terapeutici centrati sui processi cognitivi, interazionali e
neurobiologici si sono dimostrati efficaci nell’indurre cambiamenti importanti nelle
persone depresse. In questo volume suggeriamo che le emozioni siano un aspetto fondamentale della depressione e del funzionamento umano in generale, che la modificazione delle emozioni sia un obiettivo importante della terapia e che un intervento
che si concentri sugli aspetti emotivi, offra importanti strumenti di cambiamento. Le
ricerche empiriche supportano questo approccio e dimostrano che un’elaborazione
emotiva profonda sia un buon predittore dell’esito positivo di una terapia e di bassi
tassi di recidiva. Utilizzato in alternativa, o in associazione, ad altri approcci, il trattamento emotion-focused può massimizzare l’efficacia della terapia e velocizza il recupero.
Nei capitoli che seguono, dimostriamo come la terapia emotion-focused sia utile come
trattamento breve per quei clienti che hanno forme di depressione moderate.
La natura della depressione
La depressione è un fenomeno biopsicosociale complesso per il quale non è
possibile identificare nessuna causa singola, dal momento che quando le persone
sono depresse presentano disturbi a vari livelli. Ci sono prove chiare che indicano
la presenza di alterazioni nel funzionamento di alcuni neurotrasmettitori che interferiscono con la capacità degli individui di provare emozioni positive e negative.
Le persone depresse non solo non sono più in grado di provare piacere, interesse e
gioia, ma provano anche maggiore tristezza, rabbia, ansia e vergogna. Ci sono anche
prove di un aumento del cortisolo, ormone dello stress (Thase & Howland, 1995).
Questi cambiamenti fisiologici influenzano l’umore, la memoria, l’attenzione ed il
comportamento.
In aggiunta ai disturbi neurofisiologici e dell’umore, gli individui depressi hanno
anche pensieri negativi: visioni negative di sé, del mondo e del futuro. Inoltre sono
presenti inattività, isolamento sociale e alienazione. Tutti questi fattori – neurochimici,
fisiologici, emotivi, cognitivi, comportamentali e sociali – interagiscono dinamicamente per dare luogo allo stato depressivo.
La depressione non è un disturbo monolitico, quanto un’esperienza che varia da
un individuo all’altro, così come nello stesso soggetto a seconda dei momenti e degli
anni. La diagnosi è un’astrazione soggetta anche alla cultura di appartenenza. Inoltre
esiste una grande variabilità nella modalità in cui le persone depresse si presentano: alcune hanno una depressione classica, con umore negativo e mancanza di energia; molte
altre invece sono ansiose, arrabbiate, abusano di sostanze, oppure presentano condizioni di dolore cronico o altri disturbi fisici. La depressione sembra colpire maggiormente
le donne rispetto agli uomini (Nolen-Hoeksema, 2001; Piccinelli & Wilkinson, 2000).
Per alcune persone rappresenta un brusco cambiamento da uno stato precedente di
8
Introduzione: natura, vissuto e trattamento della depressione
benessere, mentre per altre si sviluppa gradualmente. Queste differenze rendono molto
difficile lo sviluppo di un unico approccio per trattare tutti i clienti con la stessa efficacia. Certamente, è molto complesso concepire un unico modello teorico che possa
spiegare i cambiamenti chimici nel cervello, quelli nei pensieri e nelle emozioni, le
differenze fra uomini e donne, il ruolo della perdita, il ruolo del supporto familiare,
l’effetto della luce del sole e tutti gli altri fenomeni associati alla depressione.
Gli esseri umani chiaramente sono sistemi dinamici non lineari (Hayes & Strauss,
1998; Thelen & Smith, 1994; van Geert, 1998; Whelton & Greenberg, in stampa)
in cui molteplici processi interagiscono continuamente in risposta ad un ambiente in
costante cambiamento. Quindi è chiaro che esistono cause biologiche, psicologiche e
sociali della depressione, così come esistono componenti cognitive, emotive e comportamentali del vissuto depressivo (Epstein, 1994). Le cause della depressione sono
consce e inconsce (Bargh & Chartrand, 1999) e nell’instaurarsi di una depressione,
sono coinvolti molteplici livelli di elaborazione (Greenberg & Pascual-Leone, 2001;
Teasdale & Barnard, 1993). Inoltre, possiedono un importante ruolo anche i significati personali, la volontà propria e le scelte individuali. Il vero target della terapia è il
complesso sistema di significati dell’individuo che deriva dall’organizzazione depressiva, e non i singoli neurotrasmettitori, ormoni, pensieri, convinzioni, comportamenti,
emozioni o motivazioni (Mahoney, 1991; Neimeyer & Mahoney, 1995). L’approccio
costruttivista dialettico alla depressione che adottiamo in questo volume (Greenberg
& Pascual-Leone, 1995, 2001; Watson & Greenberg, 1996), incorpora il concetto del
funzionamento dei sistemi dinamici e riconosce molteplici origini di esperienze e significati. Centrali, in questo approccio, sono il riconoscimento dei clienti come agenti
attivi nella costruzione della propria esperienza depressiva (Mahoney, 1991; Neimeyer
& Mahoney, 1995; Stiles, 1999; Watson & Rennie, 1994) e l’utilizzo di questa componente attiva per mobilitare il cambiamento.
All’interno di questa visione dinamica dell’organizzazione del sé, l’intervento può
e deve verificarsi a differenti livelli del sistema, in differenti momenti e su differenti
componenti. La ricerca sulla psicoterapia ha dimostrato che molte sono le terapie efficaci (Bergin & Garfield, 1996; Hubble, Duncan & Miller, 1999; Luborsky, Singer
& Luborsky, 1975; Wampold et al. 1997), indicando che, su questo piano, i differenti
approcci spesso non sono distinguibili. L’impossibilità di individuare trattamenti che
si differenziano per efficacia, è in parte spiegata dal fatto che le persone sono sistemi
complessi e dall’importanza di alcuni fattori comuni a tutte le forme di trattamento
(Goldfried, 1991; Norcross, 2002). Ciascun approccio terapeutico, probabilmente, influenza il sistema inducendo cambiamenti specifici ad un dato livello, che sia esso cognitivo, emotivo, neurochimico, comportamentale o interazionale. Qualunque effetto
specifico ad un livello del sistema ha delle ripercussioni su tutti i livelli interconnessi.
Probabilmente è il fattore di cambiamento unico di quel dato approccio, unito ai fattori relazionali comuni a diversi approcci, ad indurre un cambiamento significativo
nella persona. Pertanto, tutti gli interventi inducono un’alterazione emotiva, cognitiva,
comportamentale e neurochimica.
È quindi importante specificare come le emozioni siano coinvolte nella depressione ed indicare alcune tecniche specifiche per lavorare su di esse. Per dare luogo ad
un approccio integrato davvero efficace, si devono identificare i princìpi del cambia9
La terapia emotion-focused per la depressione
mento emotivo che possono essere applicati nell’intervento, per renderli disponibili ad
un’eventuale integrazione.
In questo volume presentiamo l’approccio emotion-focused che si occupa del livello
emotivo del sistema. L’enfasi posta sui processi emotivi, non implica che non si possa
promuovere il cambiamento cognitivo o trascurare importanti processi neurochimici,
comportamentali e interazionali che potrebbero trarre benefici da un intervento. Il nostro approccio si concentra principalmente sul livello emotivo del sistema in quanto lo
consideriamo estremamente importante ed in grado d’influenzare il sistema complessivo in molti modi. Le emozioni agiscono sul funzionamento neurochimico e biologico
da un lato, ma anche su quello psicologico, comportamentale e cognitivo. Le emozioni rappresentano l’interfaccia fra mente e corpo, perché li includono ed influenzano
entrambi. Un intervento su questo livello così critico di funzionamento, può quindi
accrescere l’efficacia di tutti gli approcci terapeutici.
Perchè una terapia emotion-focused per la depressione?
In questo libro presentiamo l’approccio emotion-focused al trattamento breve dei
clienti con depressione moderata. Per illustrare il processo terapeutico, presentiamo
degli estratti di sedute terapeutiche tratti dai nostri studi sulla depressione.
Nella terapia emotion-focused (EFT), la promozione dell’elaborazione emotiva
induce un cambiamento portando alla consapevolezza i ricordi emotivi, in modo
che possano essere simbolizzati all’interno della coscienza, sottoposti ad una nuova
esperienza emotiva ed essere oggetto di riflessione per generare nuove modalità di
comportamento. Dando un nome alle esperienze immagazzinate nella memoria implicita e diventando consapevoli delle proprie emozioni disadattive, i clienti riescono
a differenziare eventi presenti e passati, a identificare i bisogni attuali e a trovare nuovi mezzi per soddisfare questi bisogni. Le emozioni adattive appena attivate agiscono
come antidoto per quelle disadattive, e infondono progressivamente nuove informazioni negli schemi disadattivi che sono la sede delle esperienze dolorose. Questo
processo aiuta a generare nuovi significati e facilita la risoluzione adattiva delle esperienze problematiche.
Il trattamento prevede, prima di tutto, l’accesso al senso disadattivo della “debolezza” o “negatività” del sé alla base della depressione, e alla vergogna e paura di
base associate a questo senso del sé. Il cliente deve entrare nello stato disadattivo
fondamentale per riuscire a trasformarlo. Nella terapia emotion-focused, egli non può
lasciare davvero uno stato fino a che non lo abbia attraversato completamente. Una
volta attraversato lo stato disadattivo, può differenziarlo, elaborarlo e simbolizzarlo
in parole con l’aiuto di un terapeuta empatico. Questo passaggio attraverso lo stato
disadattivo e la sperimentazione degli aspetti dolorosi in presenza di un individuo
supportivo, rompono l’isolamento. La presenza empatica del terapeuta e la sua sintonizzazione, consolano il cliente e questo è il primo passo per regolare e trasformare gli
stati disadattivi. Inoltre, il terapeuta aiuta il cliente a lavorare per arrivare ai bisogni
fondamentali e alle risorse biologiche adattive all’interno della personalità, per poi
10
Introduzione: natura, vissuto e trattamento della depressione
metterle in contatto con le emozioni disadattive. L’accesso alle emozioni primarie
porta alla luce la spinta adattiva, promuovendo la reazione del cliente e un senso di
controllo interiore. L’accesso a risposte emotive alternative, oltre alla riflessione sulle
emozioni per generare nuovi significati, è la chiave della trasformazione dell’organizzazione disadattiva del sé.
Il confronto con gli altri modelli esistenti
Il nostro approccio al trattamento della depressione è un’alternativa, empiricamente supportata, ai due approcci psicoterapeutici empiricamente supportati, quali la terapia interpersonale (IPT) e la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) con i quali può
essere certamente integrato. L’IPT sostiene che la depressione sia causata da problemi
interpersonali quali un lutto, conflitti, transizioni di ruolo, e prevede l’elaborazione e
l’accettazione della perdita dei vecchi ruoli, l’analisi dei pattern ripetitivi delle relazioni
e la riduzione dell’isolamento sociale; dunque l’enfasi è posta sulla gestione delle attuali
relazioni interpersonali (Klerman, Weissman, Rounsaville & Chevron, 1984). La CBT
afferma che le determinanti chiave della depressione, siano i pensieri e le convinzioni
negative sul sé, sul mondo e sul futuro, e che la terapia si debba, quindi, concentrare sul
cambiamento del contenuto cognitivo degli schemi depressogeni (Beck, Rush, Shaw
& Emery, 1979).
Anche se i fattori interpersonali e cognitivi sono spesso chiaramente aspetti importanti della depressione, l’EFT si focalizza sui processi emotivi alla base di entrambe
queste determinanti, considerando l’elaborazione emotiva un target terapeutico fondamentale. Il cambiamento delle convinzioni negative e delle interazioni interpersonali è
importante, ma nell’EFT i terapeuti cercano di agire sul sé: non sono i pensieri, o una
perdita di per sé, a generare la depressione, quanto i ricordi emotivi o gli schemi emotivi evocati dal pensiero o dalla perdita (Greenberg, Elliott & Foerster, 1990; Greenberg
& Paivio, 1997). Nell’EFT i terapeuti trattano le determinanti emotive alla base della
depressione, più che le cause precipitanti.
È stato dimostrato che le persone con depressione, mostrano una proporzione
elevata di ricordi emotivi negativi del passato lontano (Smith, 1996). Questi ricordi
non concernono tanto gli stress recenti che hanno fatto precipitare la situazione in
una depressione, quanto i ricordi emotivi anche delle prime esperienze di vita. Per
esempio, il licenziamento aveva scatenato la depressione di una donna, ma, analizzando l’esperienza depressiva giornaliera nel corso di 6 mesi, divenne chiaro come il suo
mondo interiore fosse pieno di ricordi emotivi del marito che l’aveva abbandonata 10
anni prima. Questi risultati supportano l’idea che il ricordo di emozioni non risolte sia
rilevante nel provocare l’esperienza depressiva.
La CBT e l’EFT cercano entrambe di modificare i significati nel corso della terapia
della depressione. I significati, le convinzioni ed i pensieri, come suggerisce la CBT,
sono fattori importanti di mantenimento della depressione. L’autocritica, il perfezionismo, e i “dovrei” continuano a far sperimentare al cliente un senso di fallimento;
più i clienti cercano di soddisfare gli standard, più si sentono svuotati. Tuttavia, non
è solo l’aspetto cognitivo del perfezionismo quello che egli deve affrontare; va anche
11
La terapia emotion-focused per la depressione
trasformata la relazione affettiva fra le varie componenti del sé, come disapprovazione,
allontanamento e disprezzo. L’EFT aiuta i clienti ad accedere a modalità più adattive
per affrontare il proprio senso di vulnerabilità e di inutilità, e per superare il disprezzo
di sé e promuoverne l’accettazione.
Nell’IPT, i conflitti di ruolo, le transizioni e le gravi perdite sono considerati eventi
precipitanti per la depressione. Dal nostro punto di vista, la depressione si presenta
quando un cliente si sente privo di capacità di azione e non amato, e quando il sé perde
la capacità di organizzare l’esperienza in una modalità più positiva e speranzosa. Non
sono i conflitti o la perdita di per sé a produrre la depressione, quanto, piuttosto, la risposta emotiva del cliente al conflitto o alla perdita. Il cliente prova disperazione e si sente incapace di sopravvivere alla perdita, oppure si sente umiliato o inutile nel conflitto.
Sono alla base della depressione, non tanto la risposta interpersonale che il sé produce,
quanto l’evocazione del nucleo insicuro del sé e la valutazione emotiva della minaccia
alla sua integrità. L’EFT e l’IPT si somigliano perchè promuovono le emozioni e, come
suggerisce l’IPT, la depressione si manifesta proprio nell’ambito interpersonale. Un
obiettivo della EFT, simile alla terapia IPT e a quella dinamica, è il focus sulle relazioni
e sull’aiuto al cliente ad imparare a fissare confini sani in modo da potersi fondere con
gli altri in momenti di grande intimità, mantenendo però un certo grado di funzionamento autonomo quando necessario.
Caratteristiche generali della terapia emotion-focused
Secondo l’EFT (Greenberg, 2002) le vite degli esseri umani sono profondamente
organizzate e modellate dalle esperienze emotive, e le emozioni stesse sono considerate
le forze creative e organizzanti nelle vite delle persone. I terapeuti lavorano per aumentare l’intelligenza emotiva dei clienti, il che implica il riconoscimento e l’utilizzo
dei propri ed altrui stati emotivi per risolvere i problemi e regolare il comportamento
(Salovey & Mayer, 1990). Inoltre si focalizzano sull’aiutare i clienti a regolare le proprie
emozioni e a trasformare i processi di immagazzinamento delle emozioni negli schemi.
Pertanto l’obiettivo della EFT, è un cambiamento nell’organizzazione del sé attraverso
una maggiore consapevolezza emotiva e una maggiore regolazione, utilizzando e trasformando gli affetti.
Abbiamo trovato che l’EFT per la depressione, funziona meglio con quei clienti
che non hanno una compromissione funzionale così importante da smobilitarli del
tutto. I clienti delle nostre ricerche (che passeremo in rassegna nella sezione seguente),
che avevano risposto bene alla EFT, riuscivano a condurre una vita normale (ossia
facevano i genitori, lavoravano o andavano a scuola) spesso con grandi difficoltà e
pochissima soddisfazione. Anche se tutti questi clienti soddisfacevano i criteri di un
disturbo depressivo maggiore, il vissuto depressivo era fortemente diverso: alcuni erano fortemente autocritici e si sentivano falliti; altri, invece, erano insoddisfatti delle
relazioni, si sentivano abbandonati e arrabbiati; altri ancora si sentivano vuoti, confusi
e inutili; infine qualcuno era molto impaurito e ansioso, o arrabbiato e agitato, oltre
che disperato. Alcuni erano evitanti, mentre altri eccessivamente preoccupati, alcuni
palesemente fragili, mentre altri sulla difensiva. Alcuni avevano uno stile di pensiero e
12
Introduzione: natura, vissuto e trattamento della depressione
di verbalizzazione concreto e razionale, mentre altri utilizzavano molto le associazioni
ed erano focalizzati sull’interno. Nella EFT i terapeuti lavorano con la persona nel
complesso, non con una sindrome, e questo li porta a fare attenzione a ciascun cliente
nella sua unicità. L’approccio della EFT è pertanto prima di tutto centrato sul cliente,
i terapeuti si prendono carico della persona e si interessano soprattutto di stringere una
relazione supportiva e d’aiuto in cui il focus è su quegli aspetti che sembrano essere i
più importanti per il cliente.
Nonostante i differenti vissuti, tutti i clienti erano depressi e presentavano alcune caratteristiche in comune tipiche della depressione. Tutti sperimentavano una
sorta di ritiro emotivo e un senso di debolezza o di mancanza di capacità di azione;
tutti avevano un senso indebolito del sé e difficoltà a gestire le emozioni depressive.
La capacità di mettere in parole le proprie emozioni e l’esperienza soggettiva, spesso
non era del tutto sviluppata. Molti di loro interrompevano il flusso delle emozioni
perché ne avevano paura o se ne vergognavano, oppure disconoscevano importanti
aspetti della propria esperienza. Una volta verbalizzate le esperienze interiori, riuscivano a sperimentare le relazioni problematiche all’interno del sé, autocritica, vergogna e problemi di identità, e quelle con gli altri, perdite o rabbia non risolte e senso
di abbandono, isolamento e perdita di contatto. Spesso sapere cosa significava essere
un bravo professionista, un buon genitore o un buon marito/moglie, aveva impedito
loro esprimere alcune parti di sé e li aveva tenuti intrappolati o resi in qualche modo
invalidi. Nella spinta verso la perfezione, molti si colpevolizzavano e si perseguitavano fino ad arrivare ad una sottomissione passiva. Spesso provavano un forte senso di
scoraggiamento ed esprimevano un elevato grado di negatività, disgusto e disprezzo
verso se stessi. Nella ricerca di intimità nelle relazioni e di contatto con gli altri, impedivano al vero sé di emergere nelle relazioni, oppure provavano una forte ansia, spesso
collegata alla perdita o alla separazione. Il profondo senso di insicurezza, molto spesso legato alla perdita di una relazione, li aveva lasciati nella convinzione di non poter
sopravvivere senza quel legame, oppure che quel legame fosse troppo pericoloso.
Una volta evocate le emozioni negative in relazione a circostanze attuali o a ricordi dolorosi, le risposte a queste emozioni dolorose erano più dannose che utili. I
clienti, pertanto, finivano per non sentire più nulla, si ritiravano dagli altri, venivano
sopraffatti da una valanga di auto-recriminazioni, oppure finivano per essere diretti
dal controllo altrui incolpando gli altri. Nessuna di queste strategie per affrontare i
sentimenti originari di vulnerabilità, tristezza, vergogna o paura, era adattiva; questi
tentativi, piuttosto, portavano ad un vissuto ancora più depressivo.
Nel corso del trattamento, l’EFT ha aiutato i clienti ad accrescere la propria resilienza e ne ha confermato la capacità di sopravvivenza. Li ha aiutati a riaffermarsi ed a
riacquisire forza, insegnandogli a regolare le emozioni e ad entrare in contatto con la
voglia di vivere. Li ha anche aiutati a simbolizzare i propri vissuti e ad individuare modalità costruttive per gestire i sentimenti. I terapeuti hanno promosso il cambiamento
aiutando le persone a fare chiarezza sulle emozioni e a liberarsi delle modalità disadattive di rispondere a sensazioni dolorose. Accedendo ad emozioni biologicamente adattive e consentendone la piena elaborazione, i clienti riuscivano ad individuare risposte
più adattive. Mano a mano che si avvicinavano, entravano in contatto, sopportavano,
regolavano e accettavano le proprie emozioni, i clienti iniziavano a dare un senso alle
13
La terapia emotion-focused per la depressione
esperienze e acquisivano forza grazie ad emozioni sane e più positive, venivano chiariti
i bisogni interpersonali e aumentava il grado di assertività. Mentre i clienti accedevano
alle emozioni primarie e ai propri bisogni, i terapeuti convalidavano gli esiti dei loro
sforzi e così questi acquisivano un senso di valore del sé.
L’accesso alle emozioni aveva fornito informazioni sull’impatto delle situazioni sul
sé, sulle reazioni a queste situazioni, e aveva consentito l’organizzazione verso obiettivi
adattivi indicati dalle emozioni come priorità per l’organismo. Una volta simbolizzati
emozioni e bisogni a un livello di consapevolezza, i clienti potevano riflettere su se stessi
e sul proprio mondo, sì da integrare mente e cuore per affrontarlo in maniera più adattiva. Molti avevano trovato che l’ascolto empatico del terapeuta, che confermava ad essi
l’autenticità della loro esperienza, li aveva portati a prendersi sul serio e ad essere più
empatici nei confronti di se stessi. Pertanto, la terapia gli aveva permesso di rientrare in
contatto con un senso più positivo e resiliente del sé, promuovendo un maggiore senso
di padronanza e contatto.
L’EFT per la depressione, si focalizza sull’aiuto ai clienti nella regolazione del proprio funzionamento emotivo, elaborando l’esperienza affettiva secondo nuove modalità. In questa terapia i clienti cambiano perchè hanno accesso a stati emotivi alternativi
più resilienti in risposta a situazioni che prima evocavano vergogna, ansia e disperazione, e li utilizzano per contrastare e trasformare gli stati depressogeni. Pertanto,
l’EFT aiuta i clienti a chiarire cosa provano e ad arrivare a una maggiore resilienza del
sé. Queste nuove organizzazioni del sé si fondano su emozioni precedentemente non
accessibili, come la rabbia in seguito ad una violazione, che aiuta a superare il senso di
impotenza, la tristezza vitale di fronte ad una perdita, che aiuta a superare la rassegnazione, la speranza, che mobilita il cliente per portarlo ad affrontare la disperazione, e
l’orgoglio e il senso del proprio valore, che consentono di superare il senso di vergogna
e di umiliazione.
Uno dei princìpi dell’EFT, afferma che le modalità di elaborazione delle informazioni affettive e di generazione di significati, varia in differenti stati del sé. Le persone cambiano quando modificano le modalità di funzionamento del sé e, dunque,
non restando nella stessa modalità di elaborazione e modificando il contenuto dei
propri pensieri in un particolare stato. Non è correggendo un errore, un conflitto
logico o delle convinzioni, che si induce un cambiamento durevole. Piuttosto, il
vero cambiamento richiede un cambiamento nell’organizzazione del sé attraverso la
generazione di modalità alternative di essere e vedere. Invece di vedere il mondo attraverso lenti colorate di tristezza, paura o vergogna e di ritirarsi, i clienti iniziano ad
avvicinarsi alla vita con maggiore accettazione, gioia, ottimismo e senso di controllo.
Arrivano a sostituire le visioni negative del sé e le convinzioni disfunzionali con altre
più adattive, senza mettere in discussione la validità di queste convinzioni, bensì
modificando l’organizzazione del sé in modo da arrivare a vedere il sé, il mondo e il
futuro in un’ottica nuova. Imparano a regolare gli stati disforici, come la rabbia e la
disperazione, sviluppando e ricorrendo a strumenti di auto-consolazione e di autoaffermazione. Poter accedere a stati più resilienti del sé, aiuta i clienti a combattere
quelli depressogeni, che hanno generato i sentimenti di impotenza, disperazione,
disprezzo di sé e vergogna.
14
Introduzione: natura, vissuto e trattamento della depressione
Le prove a favore della Terapia Emotion-Focused
La ricerca sul trattamento emotion-focused per la depressione, ha supportato l’importanza del lavoro sull’aspetto emotivo. Abbiamo riscontrato che una forma manualizzata della EFT per la depressione, originariamente chiamata terapia processuale esperienziale, era molto efficace in tre differenti trial clinici. In questi trial il trattamento
emotion-focused si era dimostrato egualmente efficace, se non più efficace, di un trattamento relazionale empatico e di un trattamento cognitivo-comportamentale. Entrambi i trattamenti di confronto erano molto efficaci nel ridurre la depressione, ma la EFT
si dimostrava più efficace nel ridurre le difficoltà interpersonali e riusciva a promuovere
un maggiore cambiamento nella sintomatologia rispetto al trattamento puramente relazionale. La EFT si era anche dimostrata molto efficace nella prevenzione di successive
ricadute.
Nella ricerca York I sulla depressione, Greenberg e Watson (1998) hanno confrontato l’efficacia della terapia processuale esperienziale, con quella della terapia centrata-sul-cliente nel trattamento di 34 adulti con diagnosi di depressione maggiore.
Il trattamento centrato-sul-cliente enfatizzava la costruzione e il mantenimento delle
condizioni della relazione centrata-sul-cliente e la risposta empatica, entrambe considerate componenti centrali anche nella terapia processuale esperienziale. Il trattamento
processuale esperienziale aggiungeva a quello centrato-sul-cliente l’utilizzo di tecniche
specifiche, in particolare, la rivelazione evocativa sistematica, la focalizzazione esperienziale e il dialogo tra le due sedie e con la sedia vuota. Non è stata riscontrata alcuna differenza fra le due forme di terapia nella riduzione dei sintomi depressivi al termine del
trattamento e a 6 mesi di follow-up. Tuttavia, la terapia processuale esperienziale, aveva
maggiori effetti, alla metà e alla conclusione del trattamento, sul livello complessivo dei
sintomi, sull’autostima e sulla riduzione delle difficoltà interpersonali. Pertanto, l’aggiunta di tecniche specifiche in determinate fasi del trattamento, sembrava accelerare e
accrescere il miglioramento.
Nella ricerca York II sulla depressione, Goldman, Greenberg e Angus (in stampa)
hanno replicato la York I, confrontando gli effetti della terapia centrata-sul-cliente e di
quella processuale esperienziale, su 38 clienti con diagnosi di disturbo depressivo maggiore, ottenendo una grandezza dell’effetto comparativa di +.71 a favore della terapia
processuale esperienziale. Successivamente, hanno combinato i campioni della York I
e II per individuare differenze fra i due gruppi di trattamento, in particolare al followup. Sono state riscontrate differenze statisticamente significative fra i trattamenti, per
il campione combinato, per tutti gli indici di cambiamento e queste differenze erano
presenti anche a 6 e a 18 mesi di follow-up. Questi risultati sono una prova ulteriore che
l’aggiunta di interventi focalizzati sulle emozioni a una base relazionale centrata-sulcliente, migliori l’esito della terapia. Inoltre, cosa ancora più importante, il follow-up a
18 mesi ha evidenziato che il gruppo processuale esperienziale possedeva un funzionamento significativamente migliore. Le curve di sopravvivenza mostravano che il 70%
dei clienti del gruppo processuale esperienziale, aveva resistito fino al follow-up – ossia
non aveva avuto ricadute – rispetto al 40% dei clienti del trattamento a base solo relazionale. Sembra che nel trattamento processuale esperienziale, si sia verificato qualcosa
di importante che aveva influenzato la probabilità di ricaduta.
15
La terapia emotion-focused per la depressione
In uno studio successivo, Watson, Gordon, Stermac, Kalogerakos e Steckley (2003)
hanno condotto un trial clinico casuale per confrontare la terapia processuale esperienziale e quella cognitivo-comportamentale. Sessantasei clienti hanno partecipato a 16
sedute settimanali di psicoterapia. Entrambi i trattamenti si sono dimostrati efficaci
nel migliorare il livello di depressione, l’autostima, il grado di stress generale ascrivibile
ai sintomi e gli atteggiamenti disfunzionali. I clienti della terapia processuale esperienziale, tuttavia, erano significativamente più auto-assertivi e meno accomodanti, alla
fine del trattamento, rispetto ai clienti della CBT. Alla fine dell’intervento i clienti di
entrambi i gruppi avevano sviluppato una maggiore capacità di riflessione emotiva per
risolvere problematiche stressanti.
La ricerca sugli esiti del trattamento emotion-focused per la depressione, ha mostrato che un’elaborazione emotiva più profonda alla fine della terapia (Goldman & Greenberg, in stampa; Pos, Greenberg, Goldman & Korman, 2003) e un maggiore arousal
emotivo a metà del trattamento, associati alla riflessione sullo stato emotivo evocato,
erano buoni predittori dell’esito del trattamento (Warwar & Greenberg, 2000; Watson
& Greenberg, 1996). Questi risultati supportano l’importanza del lavoro sulle emozioni come processo chiave di cambiamento nel trattamento.
La terapia emotion-focused, quindi, sembra funzionare perché migliora la capacità
di elaborazione emotiva, il che implica aiutare i clienti ad accettare le proprie emozioni
e a dargli un senso. L’importanza della facilitazione dell’esperienza emotiva all’interno
della seduta per promuovere un cambiamento, è stata sempre più riconosciuta (Greenberg, 2002; Samoilov & Goldfried, 2000). Una rassegna delle precedenti ricerche
sull’esito del trattamento che indagavano questo aspetto, mostra una forte relazione
fra l’esperienza emotiva all’interno della seduta, misurata attraverso la Experience Scale
(EXP; Klein, Mathieu-Coughlan & Kiesler, 1986), e i miglioramenti terapeutici all’interno di terapie dinamiche, cognitive ed esperienziali (Castonguay, Goldfried, Wiser,
Raue & Hayes, 1996; Orlinsky & Howard, 1986; Silberschatz, Fretter & Curtis, 1986).
Questo risultato suggerisce che l’esperienza emotiva potrebbe essere un fattore comune
che aiuta a spiegare il cambiamento trasversale ad una serie di approcci terapeutici.
Nella nostra prima ricerca sugli esiti della terapia, la York I, abbiamo indagato
la relazione fra la profondità dell’esperienza emotiva tematica (misurata attraverso i
punteggi alla EXP) e l’esito della terapia. La profondità dell’esperienza emotiva relativa a tematiche fondamentali nell’ultima metà della terapia, era un predittore significativo della riduzione nello stress ascrivibile ai sintomi e dell’aumento dell’autostima, ma non correlava significativamente con cambiamenti nei punteggi all’Inventory
of Interpersonal Problems. La profondità dell’esperienza emotiva relativa a tematiche
fondamentali, inoltre, spiegava una porzione maggiore di varianza nell’esito, rispetto
a quella spiegata da un’esperienza profonda precoce e dall’alleanza. Pertanto la profondità dell’esperienza emotiva mediava fra la capacità del cliente di un’esperienza
profonda precoce e l’esito positivo. Un altro predittore dell’esito era anche il giudizio
che il cliente aveva della forza dell’alleanza terapeutica all’inizio della terapia. Tuttavia, un aumento nella profondità dell’esperienza emotiva nel corso della terapia, dava
un contributo alla varianza dell’esito terapeutico che andava dall’8% al 16% al di
sopra dell’alleanza terapeutica. Questo risultato suggerisce che una maggiore profondità dell’esperienza emotiva nel corso della terapia, rappresenti uno specifico processo
16
Introduzione: natura, vissuto e trattamento della depressione
di cambiamento, fondamentale ai fini della riduzione della depressione attraverso il
trattamento emotion-focused.
Adams e Greenberg (1996) hanno seguito le interazioni cliente-terapeuta momento per momento, e hanno trovato che le affermazioni del terapeuta che favorivano
l’esperienza profonda, influenzavano effettivamente il vissuto del cliente, e che la profondità del focus esperienziale del terapeuta era predittiva dell’esito. Più specificamente,
se il cliente era focalizzato sull’esterno e il terapeuta utilizzava una tecnica per riportarlo
sull’esperienza interiore, questo aveva maggiori probabilità di spostarsi ad un livello
più profondo di esperienza. Questo studio evidenzia l’importanza del ruolo del terapeuta nel rendere più profonda l’elaborazione emotiva del cliente. Dato che il livello
di esperienza è un predittore dell’esito, e che la profondità del focus esperienziale dato
dal terapeuta influenza l’esperienza del cliente ed è essa stessa un predittore dell’esito,
è stato individuato un percorso per il successo terapeutico secondo cui la profondità
del focus esperienziale guidato dal terapeuta, influenza la profondità dell’esperienza del
cliente e sarebbe proprio questo processo ad essere collegato all’esito.
Uno studio di Pos et al. (2003) ha suggerito che l’effetto di un’elaborazione emotiva precoce sull’esito, era mediato dall’elaborazione emotiva nella parte finale della
terapia (precoce e finale si riferiscono agli stadi del trattamento). In questo studio l’elaborazione emotiva era definita come profondità dell’esperienza di singoli episodi emotivi
(Greenberg & Korman, 1993), oppure come segmenti della seduta in cui i clienti esprimevano o parlavano del vissuto di un’emozione in relazione a una situazione reale o immaginaria. Quindi la variabile profondità dell’esperienza, veniva valutata solo per quegli
episodi all’interno della seduta che rappresentavano esperienze esplicite con forte carica
emotiva. Ancora una volta, dunque, la profondità dell’esperienza si era dimostrata un
mediatore fra la capacità di esperienza precoce ed esito positivo. Avere la capacità di
un’elaborazione emotiva precoce nel corso del trattamento, non era di per sé garanzia
del buon esito terapeutico e, allo stesso tempo, l’assenza di questa capacità all’inizio
del trattamento non era obbligatoriamente predittore di un esito infausto. Pertanto,
anche se rappresenta un vantaggio, la capacità di elaborazione emotiva precoce non
sembra essere così determinante come la capacità di acquisire o accrescere la profondità dell’elaborazione emotiva nel corso della terapia. In questo studio, l’elaborazione
emotiva alla fine della terapia, aggiungeva da sola un 21% alla varianza spiegata nella
riduzione della sintomatologia, molto di più dell’alleanza precoce e dell’elaborazione
emotiva precoce.
Warwar (2003) ha esaminato l’arousal emotivo a metà del trattamento e il livello
di esperienza emotiva all’inizio, a metà e nelle ultime fasi della terapia. L’arousal emotivo veniva misurato utilizzando la Client Emotional Arousal Scale-III (Warwar & Greenberg, 1999a, 1999b). I clienti che presentavano un maggiore arousal emotivo a metà
della terapia, mostravano un maggiore grado di cambiamento alla fine dell’intervento.
Inoltre, la capacità di utilizzare l’esperienza interiore per dare un significato e risolvere
i problemi, misurata attraverso la EXP, in particolare nelle ultime fasi del trattamento,
contribuiva alla variazione dell’esito molto di più del livello di arousal emotivo a metà
della terapia. Questo studio, quindi, ha mostrato che una combinazione fra arousal
emotivo ed esperienza emotiva era un migliore predittore dell’esito rispetto a ciascuno
dei due indici isolati.
17
La terapia emotion-focused per la depressione
Warwar, Greenberg e Perepeluk (2003) hanno misurato le emozioni espresse in
opposizione a quelle vissute, riscontrando che i resoconti dei clienti sull’intensità emotiva sperimentata nel corso della seduta, non erano collegati ad un cambiamento terapeutico positivo. Hanno descritto una discrepanza fra i resoconti dei clienti sulle emozioni vissute nella seduta e i resoconti degli osservatori delle emozioni espresse, sulla
base dei giudizi di arousal di segmenti videoregistrati della terapia. Per esempio, un
cliente poteva riferire di aver provato un forte dolore emotivo nel corso di una seduta,
ma il suo livello di arousal espresso poteva essere giudicato molto basso.
Greenberg e Pedersen (2001) hanno trovato che la risoluzione nel corso delle sedute di due tecniche terapeutiche fondamentali focalizzate sulle emozioni, era predittore
dell’esito alla fine del trattamento e a 18 mesi di follow-up e, cosa più importante, della
bassa probabilità di ricaduta nel corso del periodo di follow-up. Queste tecniche – risoluzione dei conflitti e completamento di questioni irrisolte – aiutavano i soggetti a
ristrutturare gli schemi alla base dei ricordi e risposte emotive. Questi risultati pertanto
supportano l’ipotesi secondo cui l’elaborazione emotiva profonda e la ristrutturazione
degli schemi emotivi, inducono un cambiamento più durevole.
La terapia centrata-sul-cliente e quella processuale esperienziale, pertanto, si sono
dimostrate efficaci nell’alleviare i sintomi depressivi, con la terapia processuale esperienziale che mostra complessivamente un’efficacia maggiore. Indipendentemente dalla
tipologia del trattamento, il grado di arousal emotivo e la profondità dell’esperienza
emotiva, si sono dimostrati predittori dell’esito terapeutico.
Il contenuto del libro
I Capitoli 2 e 3, in cui si discutono rispettivamente il ruolo delle emozioni nel
funzionamento umano e nella depressione, costituiscono la base teorica del testo. In
questi capitoli passiamo in rassegna la letteratura psicologica e quella delle neuroscienze
affettive, per mostrare come i processi affettivi che si verificano all’interno del sistema
limbico, giochino un ruolo fondamentale nel funzionamento umano e nella depressione. Presentiamo anche una teoria costruttivista dialettica della depressione, in cui
esperienze di perdita, umiliazione o senso di intrappolamento, evocano un’organizzazione disadattiva del sé ed in cui il sé viene rafforzato attraverso la sintesi di esperienze
emotive preverbali, attraverso la simbolizzazione verbale di esperienze tacite in nuove
identità narrative. Coloro che siano interessati al solo approccio terapeutico, possono
saltare i capitoli 2 e 3 e ritornarvi in seguito per approfondire alcuni aspetti teorici.
I due capitoli successivi, presentano i princìpi di trattamento e la cornice di intervento. Nel capitolo 4 presentiamo alcuni princìpi specifici della valutazione delle
emozioni e dell’intervento sulle emozioni con basi empiriche. Il Capitolo 5 introduce
il trattamento presentando tre fasi principali, ovvero costruzione del legame e consapevolezza, evocazione ed esplorazione, e trasformazione.
Nei due capitoli successivi, presentiamo i due processi più importanti e generali
nel trattamento della depressione che operano nel corso di tutte le fasi del trattamento. Il Capitolo 6 si concentra su un elemento chiave di questo approccio terapeutico,
18
Introduzione: natura, vissuto e trattamento della depressione
nonchè la creazione di un legame relazionale caratterizzato da presenza, empatia, accettazione positiva e coerenza. Nel Capitolo 7 descriviamo un approccio diagnostico
processuale alla formulazione del caso.
I Capitoli dall’8 al 14 descrivono le principali tecniche terapeutiche. Il Capitolo
8 si concentra sull’importanza di accrescere la consapevolezza emotiva nella prima fase
del trattamento della depressione, mentre il Capitolo 9 descrive alcune tecniche specifiche per accrescere la consapevolezza emotiva. Il Capitolo 10 si concentra sul ruolo
dell’evocazione delle emozioni e sull’arousal emotivo nella fase centrale del trattamento. I capitoli 11 e 12, descrivono alcune tecniche specifiche per evocare le emozioni che
vengono utilizzate nel corso di questa fase.
Il libro si conclude con i Capitoli 13 e 14, relativi alla trasformazione delle emozioni nell’ultima fase del trattamento. Nel Capitolo 13 descriviamo il processo attraverso
cui si generano alternative modificando alcune emozioni con altre, e, nel Capitolo 14,
mostriamo il ruolo cruciale della riflessione sull’esperienza emotiva nel creare e consolidare nuovi significati.
19
CAPITOLO 2
LE EMOZIONI NEL FUNZIONAMENTO UMANO E
NELLA DEPRESSIONE
Sentivo ancora prima di pensare: cosa comune a molti uomini.
Rousseau (1781/1981, p. 19)
Secondo il nostro punto di vista, le emozioni sono un aspetto fondante della costruzione del senso del sé e una determinante chiave dell’organizzazione del sé. Al livello più basilare di funzionamento, le emozioni sono una forma adattiva di elaborazione
dell’informazione e di preparazione all’azione che orientano le persone nell’ambiente
e promuovono il benessere, predisponendole ad agire nel proprio interesse in una data
situazione (Frijda, 1986; Greenberg & Paivio, 1997; Greenberg & Safran, 1987; Lang,
1995). Secondo una serie di teorie, un’importante fonte di emozioni a livello psicologico (anche se non l’unica), è la valutazione implicita di una situazione in termini
di obiettivi, interessi o bisogni personali (Frijda, 1986; Oatley & Jenkins, 1992). Le
valutazioni sono giudizi non linguistici che si fondano su dimensioni collegate alla
sopravvivenza, come l’importanza di un obiettivo, l’incertezza, il pericolo, la novità, il
piacere o la capacità di affrontare una situazione (Scherer, 1984). Pertanto le emozioni
sono importanti perché informano le persone sul fatto che, in una data situazione, si
possa soddisfare un bisogno, un valore o un obiettivo importante, o sul fatto che l’individuo sia in pericolo (Frijda, 1986) ed in quanto indice di come egli valuti se stesso ed il
proprio mondo (Greenberg & Korman, 1993; Lazarus, 1991). Le emozioni, pertanto,
sono implicate nello stabilire la priorità di alcuni obiettivi (Oatley & Jenkins, 1992) ed
influenzano le modalità di elaborazione tipica dei singoli individui (Damasio, 1999,
2003).
Le emozioni generano tendenze relazionali, con base biologica, all’azione, che derivano dalla valutazione della situazione (Frijda, 1986; Greenberg & Korman, 1993;
Greenberg & Safran, 1987, 1989; Oatley & Jenkins, 1992). La tendenza all’azione è
stata definita come la prontezza ad agire in un determinato modo, per instaurare, mantenere o modificare la relazione con il proprio ambiente (Arnold, 1984; Frijda, 1986).
Differenti tendenze all’azione corrispondono ad emozioni differenti. Per esempio, la
21
La terapia emotion-focused per la depressione
paura è associata alla mobilitazione per la fuga, mentre la rabbia implica l’impulso ad
attaccare, respingere o liberarsi.
Le emozioni, quindi, implicano un sistema di significati primario che informa le
persone sull’importanza degli eventi in relazione al proprio benessere, organizzando,
inoltre, una risposta adattiva rapida (Frijda, 1986, Izard, 1991, Tomkins, 1968). Dalla nascita in poi, le emozioni rappresentano un sistema di segnalazione primario che
comunica le intenzioni e che regola l’interazione (Sroufe, 1996). Infatti esse aiutano
a regolare le interazioni con il sé e con gli altri, fornendo alla vita gran parte del suo
significato. La depressione, come sosterremo, deriva da difficoltà nella regolazione delle
emozioni.
Recenti ricerche, hanno dimostrato come una vecchia concettualizzazione molto
diffusa, ossia che le emozioni siano post-cognitive, fosse del tutto sbagliata (Le Doux,
1996, Zajonc, 2000). Le emozioni non solo possono precedere, ma spesso, in effetti, precedono la cognizione e, cosa più importante, contribuiscono significativamente
all’elaborazione delle informazioni in quanto tali (Forgas, 2000a; 2000b; Greenberg,
2002; Greenberg & Safran, 1987). Le neuroscienze hanno dimostrato che le emozioni sono il fondamento indispensabile di molte attività cognitive, in particolar modo
quelle coinvolte nei processi decisionali (Bechera et al., 1995; Damasio, 1994), e che
cambiamenti nelle emozioni portano a cambiamenti nelle modalità di elaborazione cognitiva. Tucker et al. (2003) hanno recentemente messo in evidenza che una valutazione inizia con la raccolta delle influenze motivazionali e semantiche all’interno delle reti
limbiche, e che queste influenze sembrano modellare il processo decisionale all’interno
di differenti aree della neocorteccia. Le emozioni, essendo così strettamente collegate
con altre aree cerebrali, hanno un impatto significativo sui processi decisionali. Cognizione ed emozione sono intrinsecamente collegate, di modo che la prima spesso lavori
in direzione di obiettivi affettivi e che la seconda spesso costituisca una risposta a questa
attività cognitiva. Sono le emozioni, tuttavia, a stabilire le modalità di elaborazione in
tempo reale, orientando la coscienza ad analizzare in maniera differente situazioni di
perdita, pericolo, intrusione, violazione, novità o piacere. Sono essenzialmente le emozioni a presentare alla mente i problemi da risolvere (Greenberg, 2002; Greenberg &
Pascual-Leone, 2001).
La cognizione, studiata molto più approfonditamente rispetto alle emozioni, si
è rivelata importante nella depressione. La triade cognitiva delle visioni negative di
sé, del mondo e del futuro, chiaramente opera in molti casi di depressione (Beck,
1996). Tuttavia, ricerche meno estese ma egualmente importanti sul ruolo delle emozioni nella depressione, hanno mostrato che la cognizione e il ricordo sono dipendenti
dall’umore (Blaney, 1986; Forgas, 2000b; Palfai & Salovey, 1993). Forgas (2000a) nel
suo modello, ha mostrato che l’influenza delle emozioni sull’attività cognitiva dipende
dalla tipologia di elaborazione in atto: quando l’elaborazione è approfondita e si verifica in situazioni aperte e ambigue, come in gran parte delle esperienze interpersonali,
l’emozione ha maggiori probabilità di influenzare la costruzione di convinzioni; al contrario, un’elaborazione più ristretta in situazioni di problem-solving chiaramente definite, è meno soggetta all’influenza delle emozioni. Le emozioni quindi hanno una chiara
influenza sull’attività cognitiva in situazioni di elaborazione complessa. In definitiva,
è importante comprendere il contributo indipendente di emozioni e cognizioni nello
22
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
stress e nella depressione, ed è ancora più importante comprendere come queste interagiscano tra di esse. Il vissuto e l’espressione emotiva quindi, chiaramente implicano
affetto, cognizione, motivazione e, a livello di esperienza adulta cosciente, l’emozione e
la cognizione si determinano reciprocamente e sono essenzialmente non separabili.
Risultati recenti, importanti ai fini della comprensione della depressione, fanno
luce sulla relazione fra emozioni positive e resilienza psicologica. Fredrickson (2001)
ha contribuito ad identificare la funzione adattiva delle emozioni positive. Le emozioni
positive migliorano il problem-solving rendendo i processi di pensiero più flessibili,
creativi ed efficienti. La creatività associata ad emozioni come la gioia e l’interesse,
motiva le persone ad apprendere e ad ottenere di più, e ciò le agevola nell’incremento
delle risorse personali e sociali. Fredrickson ha, inoltre, riscontrato che le emozioni
positive costruiscono resilienza contrastando gli effetti delle emozioni negative, risultato
che potrebbe essere importante per il recupero dalle conseguenze degli effetti dell’autocritica depressiva (Fredrickson, 2001). Inoltre, la ricerca neuropsicologica di Davidson
(2000a, 2000b), ha indicato che la tendenza alla sperimentazione di emozioni negative,
predisponeva ad una vulnerabilità maggiore alla depressione, mentre emozioni positive
stabili costruivano una buona capacità di resilienza psicologica. La capacità di ricorrere
ad emozioni positive di fronte ad uno stress, sembra essere una componente cruciale
della resistenza psicologica (Davidson, 2000a, 2000b). La speranza, per esempio, è
un aspetto importante della forza psicologica ed è importante nel combattere la
depressione.
L’evoluzione, tuttavia, ha regalato all’umanità più emozioni fondamentali “negative” che positive. Dal punto di vista evoluzionistico, è importante sottolineare le
emozioni negative, spesso, sono fondamentali per la sopravvivenza. L’ansia, la rabbia, il
dolore e il rimorso svolgono funzioni utili, altrimenti non esisterebbero. Le sensazioni
spiacevoli, portano l’attenzione delle persone su questioni rilevanti per il proprio benessere e promuovono l’azione adattiva. Quando, però, le emozioni spiacevoli perdurano
oltre le circostanze che le hanno evocate, oppure quando sono così intense da sopraffare
o evocare perdite e traumi passati, possono diventare depressogene. Pertanto un sano
adattamento richiede la consapevolezza, l’accettazione, la regolazione e l’utilizzo delle
emozioni negative (Frijda, 1986; Tomkins, 1962), oltre che godere delle emozioni positive per i benefici che comportano (Fredrickson, 1998). Disfunzioni nella capacità di
accedere ed elaborare le informazioni emotive, positive e negative, privano l’individuo
di una delle spinte maggiormente adattive e di uno dei principali sistemi di significato
(Frijda, 1986; Izard, 1991) e sono implicate nei disturbi dell’umore.
Nel libro The Feeling of What Happens Damasio (1999) ha assegnato un ruolo
così centrale alle emozioni nel funzionamento umano, da attribuire la nascita della
coscienza stessa alla consapevolezza emotiva. Secondo Damasio, sono le emozioni a
fornire le principali informazioni sullo stato del sé-corpo nell’ambiente e, sulla base di
queste informazioni, a promuovere la vita nella storia dei cambiamenti di questo stato.
Il sentimento, quindi, è la consapevolezza dell’impatto emotivo dell’ambiente fisico sul
corpo ed è questo impatto che fa nascere la coscienza. Secondo questo punto di vista,
la prima narrazione deriva dal collegamento fra un resoconto non verbale di una modificazione dello stato sé e la sua causa. La coscienza nasce all’interno della creazione di
questo resoconto e si manifesta come sentimento di conoscenza; solo dopo emergono
23
La terapia emotion-focused per la depressione
la coscienza autoriflessiva e la rappresentazione linguistica. Pertanto, il cervello possiede
due importanti sistemi di significato, uno che si basa su un linguaggio sensomotorio
e l’altro che si basa su un linguaggio simbolico concettuale. Il linguaggio del corpo è,
quindi, un linguaggio intelligente e, da una prospettiva evoluzionistica adattiva, se le
persone vogliono beneficiare consapevolmente di ciò che offre, devono fare attenzione
al “sentimento di conoscenza” per assegnargli un significato sulla base delle proprie
capacità linguistiche concettuali.
La dimensione del sentimento costituisce, quindi, una fonte importante per la
coscienza. Tuttavia, la complessità dell’emozione, sta nel fatto che le emozioni sono
qualcosa di più di sentimenti e sensazioni, che sorgono e non sono diretti verso nulla.
L’emozione implica anche componenti più intenzionali come la cognizione, la valutazione e la motivazione, tutte collegate a oggetti e situazioni. La componente cognitiva
dell’elaborazione emotiva è costituita dalle informazioni sulle situazioni, mentre quella
valutativa dal giudizio sul significato personale che quelle informazioni hanno per il
singolo individuo. La componente motivazionale concerne i bisogni, i desideri e gli
obiettivi personali, oltre alla prontezza ad agire in una determinata situazione. Gli stati
emotivi depressivi, come il sentimento di inutilità, inadeguatezza o impossibilità di essere amati, non sono entità separate, ma, piuttosto, aspetti differenti di un quadro più
ampio che definiremo schema emotivo.
Nel suo testo più recente, Damasio (2003) ha suggerito che esistono tre tipologie di emozioni, che vanno oltre gli elementi fondamentali dei riflessi, quali dolore e
piacere, pulsioni e motivazioni. Queste sono le emozioni di sottofondo, le emozioni
primarie e le emozioni sociali. Questi livelli sarebbero gerarchicamente innestati l’uno
nell’altro, con le emozioni sociali al vertice, che incorporano le risposte categorizzate
come emozioni di sottofondo e primarie. Così, per esempio, l’emozione sociale del
disdegno, incorpora l’emozione primaria del disgusto e quella di sottofondo dell’avversione, mentre l’emozione sociale dell’imbarazzo, si basa su quella primaria di vergogna
e su quella di sottofondo di fuga. Le emozioni sociali, aggiungono una componente
cognitiva e sociale alle emozioni primarie. In conclusione, la depressione è costituita da
una serie di componenti, biologiche, esperienziali, cognitive e sociali, che si fondono e
che si completano l’un l’altra; implica, inoltre, aspetti corporei sensoriali, come sentimenti di pesantezza, emozioni, come la tristezza, giudizi, come «Sono un fallimento», e
aspetti sociali, come l’isolamento, e tutti i sopraelencati aspetti interagiscono fra loro.
La depressione e le neuroscienze affettive
Alcuni recenti sviluppi all’interno delle neuroscienze affettive, suggeriscono che
l’elaborazione emotiva delle caratteristiche sensoriali semplici, si verifica molto precocemente nella sequenza dell’elaborazione (Forgas, 2000a, 2000b; LeDoux, 1996).
Gran parte degli stimoli sensoriali vengono ri-trasmessi dal talamo all’amigdala (LeDoux, 1996) e poi alla corteccia. Le informazioni vengono elaborate dall’amigdala prima di diventare coscienti e le persone generano delle risposte emotive prima ancora di
pensare. LeDoux (1996) ha concluso che esistono due differenti vie di generazione di
24
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
un’emozione. Una, definita la “via bassa”: l’amigdala percepisce un pericolo sulla base
di una valutazione generale di determinati pattern, ed invia un segnale di emergenza al
cervello e al corpo. L’altra via, più lenta, è la “via alta”, in cui la stessa informazione viene trasmessa attraverso il talamo alla neocorteccia, in cui viene sottoposta ad un’analisi
più dettagliata. Dal momento che la via più breve dell’amigdala trasmette i segnali a
una velocità quasi doppia rispetto alla via neocorticale, il cervello razionale spesso non
riesce ad intervenire in tempo per bloccare una risposta emotiva. Pertanto, la risposta emotiva automatica, che sia l’allontanarsi da un serpente, schiaffeggiare il coniuge
sconsiderato, gridare a un figlio disobbediente o voler sprofondare dalla vergogna, di
solito si verificano prima che uno possa intervenire per interromperle.
L’autonomia dell’elaborazione emotiva, è evidenziata anche nel lavoro di Ladavas,
Cimatti, del Pesce e Tuozzi (1993) sull’identificazione dell’emozione in stimoli subliminali. Questi autori sostengono che il processo automatico e inconscio di generazione
delle emozioni, sia impenetrabile sul piano cognitivo. Ritengono che l’emozione abbia
un’organizzazione modulare, suggerendo che se l’output dei moduli emotivi può essere
grezzo e vago, i moduli diventano il substrato per ulteriori elaborazioni cognitive, che
sono, invece, cognitivamente penetrabili. Questa visione dei moduli emotivi, ha un
senso quando si prende in considerazione il significato evoluzionistico delle risposte
emotive: di fronte ad un ambiente pericoloso e imprevedibile, i nostri antenati si basavano sul sistema accurato e automatico di identificazione degli elementi “positivi” e
“negativi” dell’ambiente e, così, potevano generare delle risposte adeguate velocemente.
Öhman e Mineka (2001), per esempio, hanno proposto un modulo emotivo della
paura su base evoluzionistica. Per supportarlo, hanno elencato le prove secondo cui la
risposta di paura viene elicitata da stimoli di significatività evoluzionistica (per es. un
serpente); queste risposte vengono elicitate automaticamente e sono libere dall’influenza dell’aspettativa cognitiva o dell’istruzione.
L’elaborazione rapida degli stimoli da parte dei meccanismi di valutazione della via
bassa, predispone il comportamento di un individuo a dirigersi verso stimoli appetibili
e a rifuggire quelli avversivi prima che avvenga un’elaborazione più dettagliata dello
stimolo stesso (Cacioppo, 2003). Bargh e Chartrand (1999), in un articolo intitolato
The Unbearable Automaticity of Being, hanno commentato come gli eventi e gli oggetti
percepiti vengano immediatamente e inconsapevolmente classificati come positivi o
negativi nell’arco di millisecondi e come ciò generi una predisposizione comportamentale incline o contraria allo stimolo stesso. I processi automatici di giudizio, pertanto, preparano le persone alle risposte appropriate, mentre la mente cosciente viene
coinvolta per altre vie. Come ha sottolineato LeDoux (1996), l’elaborazione emotiva
iniziale “precognitiva” e preconcettuale ad opera della via bassa, è fortemente adattiva
perché consente alle persone di rispondere velocemente ad eventi importanti prima che
si verifichino processi elaborativi più complessi e dispendiosi sul piano temporale.
Evidenze attuali, suggeriscono che l’amigdala svolge un ruolo importante nella
generazione delle emozioni negative, che potrebbe essere un caso specifico all’interno
del ruolo più generale che svolge nel direzionare l’attenzione e le risorse fisiche verso
stimoli emotivamente salienti, e nel comunicare la necessità di un’ulteriore elaborazione degli stimoli potenzialmente più significativi per l’individuo. L’amigdala ha un’importanza critica nell’innescare e coordinare l’arousal corticale e l’attenzione vigile. È
25
La terapia emotion-focused per la depressione
anche importante nell’ottimizzazione dell’elaborazione di stimoli sensoriali e percettivi
associati a contingenze indeterminate, come stimoli nuovi, sorprendenti o ambigui,
che spesso vengono interpretati negativamente, in particolare dalle persone inclini alla
depressione (Davis & Whalen, 2001; Holland & Gallagher, 1999; Whalen, 1998).
In aggiunta al coinvolgimento centrale dell’amigdala nelle emozioni, è stato riscontrato che anche l’emisfero destro è fortemente implicato nella ricezione e nell’espressione degli stati affettivi e ci sono prove considerevoli a favore della lateralizzazione di
strutture subcorticali e corticali (Schore, 2003). Pertanto, l’amigdala destra, i gangli
della base a destra e il talamo destro, hanno tutti un ruolo importante nella mediazione
dell’elaborazione emotiva e facciale e nell’attivazione della paura. Le prove raccolte dalle neuroscienze affettive, indicano che esiste una regolazione delle emozioni implicita
(emisfero destro) ed esplicita (emisfero sinistro), che la forma implicita è fondamentale
ai fini del benessere e che gli effetti neurologici della trascuratezza e dei traumi infantili
si verificano principalmente nell’emisfero destro (Schore, 2003).
Philips, Drevets, Rauch e Lane (2003) hanno suggerito che esistono due sistemi implicati nella regolazione degli stati affettivi e del comportamento emotivo. Il
sistema ventrale, che comprende la corteccia orbitofrontale e prefrontale, l’insula, il
cingolo ventrale anteriore e l’amigdala, sarebbe determinante nell’identificazione implicita della rilevanza emotiva degli stimoli ambientali e nella produzione degli stati
affettivi. Sarebbe, inoltre, centrale anche nei processi regolativi automatici e nella
mediazione delle risposte autonome agli stimoli emotivi e ai contesti collegati alla
generazione di stati affettivi. Il sistema dorsale (corteccia prefrontale dorsolaterale,
cingolo dorsale anteriore non limbico, ippocampo) sarebbe coinvolto nei compiti di
denominazione esplicita delle emozioni e sarebbe associato alle componenti verbali
degli stimoli emotivi. Questo sistema è importante per il direzionamento cosciente
dell’attenzione e degli stati affettivi. Sulla base di questo lavoro, i processi affettivi
autoregolatori fondamentali, si verificano principalmente al di sotto della consapevolezza cosciente, probabilmente nella corteccia orbitofrontale, che, invece, nelle elaborazioni complesse, controlla l’amigdala e i livelli di funzionamento inferiori dell’emisfero destro (Derryberry & Tucker, 1992; Joseph, 1996; Rolls, 1996a, 1996b). La
corteccia orbitofrontale destra, [regolatore esecutivo dell’emisfero destro] è implicata
nell’introcezione, o valutazione soggettiva delle condizioni fisiche del corpo, e nella
differenziazione dell’emozione associata a una sensazione corporea (Craig, 2002).
Il trattamento di difficoltà collegate alla regolazione automatica delle emozioni è,
quindi, più efficace quando impostato su forme di terapia relazionale, piuttosto che
su modalità di intervento cognitive mediate verbalmente, che coinvolgono principalmente l’emisfero sinistro.
Nella depressione maggiore sono state riferite anomalie strutturali e funzionali
nell’amigdala. Numerose ricerche recenti, hanno riportato un’associazione fra un aumento del volume dell’amigdala e la depressione (Davidson, Pizzagalli, Nitschke &
Putnam, 2002). I ricercatori hanno anche riferito una correlazione positiva fra l’attivazione amigdalare e la gravità della depressione, con emozioni negative disposizionali in clienti con disturbo depressivo maggiore (Abercrombie et al., 1998; Drevets
et al., 1992). Dopo una remissione dei sintomi depressivi indotta da farmacoterapia,
l’attivazione amigdalare ritorna a livelli normali (Drevets, 2001). Alla luce del ruolo
26
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
fondamentale dell’amigdala nell’innescare e coordinare il comportamento di vigilanza
in direzione di stimoli in contingenze indeterminate, la sua iperattivazione nella depressione maggiore, potrebbe distorcere in direzione negativa la valutazione iniziale di
informazioni in ingresso o che generano un arousal emotivo, un fenomeno chiaramente osservabile nella depressione.
Ci sono anche alcune prove fornite dalle scienze affettive che supportano la visione
della depressione come una condizione eterogenea, più che come un fenomeno monolitico. Differenti parti del cervello si sono mostrate coinvolte in processi differenti
tra forme diverse depressione (Davidson et al., 2002; Drevets, 1998; goodwin, 1996;
Kennedy, Javanmard & Vaccarino, 1997). La depressione sembra implicare differenti
processi affettivi non ancora del tutto compresi. L’ansia, l’agitazione e l’intorpidimento tipici della depressione, hanno tutti una base affettiva. Similmente, le risposte di
perfezionismo, evitamento o dipendenza possono essere rispettivamente il riflesso di
differenti substrati neurologici. Mayberg, Lewis, Regenold e Wagner (1994) suggerivano la presenza di disfunzioni selettive di regioni cerebrali paralimbiche in clienti
con depressione clinica, supportando l’idea dell’esistenza di specifici sistemi neurali
che regolano l’umore. Mayberg et al. hanno concluso che l’individuazione di queste
anomalie regionali, potrebbe avere un’utilità clinica sul piano della diagnosi e del trattamento della depressione.
L’analisi dei sottotipi o dei sintomi specifici della depressione, pertanto, potrebbe
dare più informazioni dello studio della sindrome nel suo complesso. Questa conclusione risulta evidente anche in uno studio (Brody et al., 2001) che ha riscontrato come
un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, la paroxetina, normalizzava
significativamente il metabolismo frontale ventrale, alleviando la depressione in un
sottogruppo di clienti che presentavano come sintomatologia primaria ansia, tristezza
e lentezza psicomotoria. Questo risultato implica che alcuni sintomi specifici della depressione, possono essere contrastati con farmaci che innescano specifici cambiamenti
in alcune regioni cerebrali. Nell’EFT, un aspetto di centrale importanza è quello di
attenersi a questi stili differenti ed applicare interventi specifici per apportare miglioramenti e cambiamenti.
Le prove al momento disponibili, suggeriscono anche un collegamento fra l’attivazione amigdalare e i processi di immagazzinamento e consolidamento in memoria di
conoscenze dichiarative a lungo termine relative ad informazioni con salienza emotiva
(Davidson et al., 2002). Una maggiore attivazione amigdalare nel corso degli episodi
depressivi, potrebbe favorire l’attività di ruminazione in seguito a una maggiore disponibilità di ricordi negativi sul piano emozionale (Drevets, 2001). Ci sono delle differenze individuali alla baseline nell’attivazione dell’amigdala (Schaefer et al., 2000), così
come nella risposta a situazioni di pericolo (vedere Davidson & Irwin, 1999), e queste
differenze sono importanti nella vulnerabilità individuale alla depressione e ad altri
disturbi. L’iperattivazione dell’amigdala nella depressione è più facilmente associata a
componenti sintomatologiche fobiche e ansiose, che ad umore triste e anedonia. Un’eccessiva attivazione dell’amigdala nei clienti con depressione, potrebbe anche essere associata ad uno stato di ipervigilanza, in particolare in relazione ad indizi di minaccia
e a rabbia ed irritabilità in altre forme depressive. Queste risposte esasperano gli altri
sintomi della depressione.
27
La terapia emotion-focused per la depressione
Nella depressione è molto importante anche l’influenza che l’amigdala ha sulla
corteccia prefrontale (CPF). Davidson (2000a, 2000b) sostiene che in ambito affettivo
la CPF sia responsabile dei processi di anticipazione guidati dalle emozioni. La CPF ha
un ruolo cruciale nella rappresentazione e conseguimento degli obiettivi. L’amigdala,
però, invia rilevanti proiezioni in direzione della corteccia che favoriscono o distorcono
l’elaborazione corticale, in funzione della valutazione precoce di stimoli affettivamente
significativi. L’amigdala pertanto influenza la rappresentazione e il conseguimento degli
obiettivi. Le regioni sinistre della CPF sono, in particolare, coinvolte nell’approccio a
obiettivi appetibili, mentre le regioni destre sono implicate in obiettivi che richiedono
un’inibizione del comportamento. Davidson et al. (2002) sostengono che le anomalie
nel funzionamento della CPF potrebbero compromettere la fissazione di obiettivi in
soggetti depressi. L’ipoattivazione delle zone sinistre, potrebbe risultare in deficit specifici nel coinvolgimento di emozioni positive pre-obiettivo, mentre un’iperattivazione
destra potrebbe risultare in un’eccessiva inibizione comportamentale e ansia anticipatoria.
In una serie di ricerche sulla rabbia, Harmon-Jones, Vaughn-Scott, Mohr, Sigelman
e Harmon-Jones (2004) hanno trovato che, in risposta a un insulto verbale, l’attività
frontale sinistra aumentava, mentre quella destra diminuiva, ma che la comprensione
verso la persona che pronunciava l’insulto, eliminava entrambi gli effetti. Hanno concluso che la comprensione verso l’altro fosse importante nella riduzione della tendenza
ad arrabbiarsi e che l’attività frontale sinistra sia un indicatore maggiore di inclinazione
alla rabbia che alla rabbia auto-riferita.
L’amigdala, oltre ad essere attivata automaticamente, riceve anche input dalla corteccia, consentendo all’elaborazione cosciente di influenzare l’emotività. Inizia così una
seconda forma, più cosciente, di elaborazione emotiva che coinvolge le percezioni e i
concetti complessi inviati dalla corteccia, ma, spesso, solo dopo che il cervello emotivo
(l’amigdala) ha già dato una valutazione immediata e più “intuitiva” dell’input. Davidson (2000a) ha riferito che l’ipoattivazione di regioni della CPF connesse con l’amigdala, potrebbe risultare in una diminuzione dell’influenza regolatoria sull’amigdala
stessa e in un’attivazione amigdalare prolungata in risposta al pericolo; questo processo
potrebbe esprimersi, sul piano fenomenologico, con la perseverazione di emozioni negative e la ruminazione. Myberg et al. (1999) hanno trovato che il vissuto di tristezza
attivava delle aree limbiche, ma disattivava, allo stesso tempo, alcune regioni corticali
note per la funzione di mediazione nei processi attentivi, risultando in modificazioni
nella consapevolezza dell’ambiente e in una compromissione dell’attenzione. Le persone con una depressione in fase di remissione, mostravano, invece, una soppressione
nell’attivazione limbica e una maggiore attivazione corticale. Gli autori hanno concluso
che l’interazione fra queste aree, sia importante nell’intervento e cruciale nella regolazione dell’umore. Hanno suggerito che la remissione della depressione potrebbe, non
solo fondarsi su cambiamenti nelle singole aree limbiche o corticali, ma anche su una
ri-configurazione complessiva delle interconnessioni esistenti, attraverso vie bottom-up
(limbico-corteccia) o top-down (corteccia-limbico).
È nostra convinzione che la depressione s’instauri quando vengono attivati schemi mnestici emotivi rapidi costruiti dal sistema limbico, insieme alle risposte ad essi
associate di vergogna, tristezza, paura o ansia. L’individuo depresso non è in grado di
28
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
regolare queste emozioni e sono anche assenti emozioni positive, attuali o passate, che
possano modulare l’esperienza depressiva. Le risposte rapide e automatiche di vergogna,
ansia e tristezza, influenzano grandemente l’organizzazione del sé e le modalità di elaborazione. Una volta che un soggetto entra in uno stato affettivo depressivo, ne risultano
una serie di processi fisiologici e cognitivi. Il giudizio emotivo condotto dall’amigdala
e le risposte in reazione al fallimento e alla perdita, sembrano essere incredibilmente
difficili da estinguere, in particolare quando sono accompagnate da un’ipoattivazione
della corteccia prefrontale sinistra e da un’iperattivazione della corteccia prefrontale destra; l’individuo è meno in grado di andare alla ricerca di esperienze piacevoli che possano controbilanciare le emozioni negative e l’inibizione comportamentale (LeDoux,
1996). Pertanto, la sfida di qualunque psicoterapia che voglia definirsi efficace, che sia
essa per la depressione, l’ansia, o i traumi, è quella di aiutare il cliente a regolare con
maggiore efficacia i propri livelli di arousal emotivo e a sviluppare modalità alternative
di comportamento che possano promuovere l’esperienza di emozioni più positive e di
una minore inibizione comportamentale. Schore (2003), all’interno del suo approccio
psiconeurobiologico, suggerisce, al fine di regolare l’intensità emotiva, l’applicazione di
interventi relazionali riparatori, più che di interventi mediati verbalmente.
Inoltre, gli individui possono essere aiutati a codificare le esperienze emotive intense nella memoria verbale per migliorare il proprio livello di arousal. È probabile che
l’elaborazione simbolica di esperienze emotive intense, ristrutturi il sistema emotivo
in maniera che l’individuo non reagisca più alle situazioni attuali e ai ricordi di quelle
passate con la stessa intensità e gli stessi sentimenti di abbandono, impotenza e umiliazione. Uno studio che utilizzava le tecniche di scansione cerebrale (Rauch et al., 1996),
ha dimostrato che quando le persone rivivono esperienze relativamente traumatiche,
presentano una riduzione dell’attivazione dell’area di Broca ed una maggiore attivazione del sistema limbico nell’emisfero destro. Questo risultato suggerisce che quando le
persone rivivono esperienze molto intense, hanno grandi difficoltà a verbalizzare l’esperienza vissuta. Infatti, una relativa maggiore attivazione dell’emisfero destro rispetto al
sinistro, implica che quando una persona rivive un’esperienza emotiva traumatica, è
completamente assorta dall’esperienza stessa – ossia ha un flashback – e non possiede,
pertanto, la capacità di analizzare in parole, e in una cornice spazio-temporale, quello
che sta accadendo.
Ci sono, inoltre, sempre più prove che mostrano che l’amigdala, fino a un certo
punto, può essere soggetta alla modulazione di certe forme di compiti cognitivi, come la definizione verbale dello stimolo (Hariri, Mattay, Tessitore, Frea & Weinberger,
2003). Recenti indicazioni raccolte grazie alle immagini cerebrali, hanno mostrato che
quando si dice ad un soggetto di regolare la propria risposta emotiva, lo sforzo cosciente può modulare l’attivazione amigdalare. La valutazione delle proprie risposte emotive
è associata con un una riduzione dell’attività nell’amigdala, rispetto alla passività di
fronte a stimoli emotivi (Lange et al., 2003; Phan et al., 2003; S. F. Taylor, Phan, Decker & Liberzon, 2003). Una riduzione dell’attivazione amigdalare in risposta a stimoli
emotivi, può essere il risultato dell’applicazione di strategie di ristrutturazione cognitiva (Ochsner, Bunge, Gross & Gabrieli, 2002), mentre l’attivazione dell’amigdala si può
accrescere chiedendo ad una persona di perseverare in un determinato stato emotivo
(Schaefer et al., 2002).
29
La terapia emotion-focused per la depressione
Lane et al. (1998) hanno identificato un gruppo di strutture paralimbiche e neocorticali coinvolte nelle emozioni di sottofondo e nella focalizzazione dell’attenzione
su questi sentimenti, mentre altri hanno mostrato l’implicazione della corteccia cingolata anteriore nell’inibizione dell’arousal sessuale, in risposta all’attivazione amigdalare (Beauregard, Levesque & Bourgouin, 2001), nel rilassamento (Critchley, Melmed,
Featherstone, Mathias & Dolan, 2001), nel monitoraggio e nella modulazione degli
stati somatici. Questi risultati sono di grande importanza per la psicoterapia, dal momento che mostrano come le risposte emotive automatiche possano essere modulate
grazie alla consapevolezza e ad altre forme di attività prefrontale. Le prove relative alla
capacità dell’attività prefrontale e dell’elaborazione cognitiva di regolare le emozioni,
suggeriscono che la consapevolezza, l’attenzione, la verbalizzazione, la ristrutturazione
e la costruzione di significati, sono tutti processi più importanti del ragionamento o dei
processi decisionali nella regolazione delle emozioni.
Non tutti gli individui sono in grado di contrastare emozioni intense sul piano razionale, e potrebbero essere necessarie strategie alternative per coloro che sono
dolorosamente bloccati dall’attivazione limbica. La conferma di queste osservazioni
proviene da studi sulla conduttanza cutanea e l’attivazione amigdalare. Determinate
risposte automatiche modulate dall’amigdala, come la conduttanza cutanea (Mangina
& Beuzeron-Mangina, 1996), non sono influenzate dall’informazione finchè la scossa
associata a un determinato stimolo è pari a zero. In altre parole, le risposte condizionate
(come la conduttanza cutanea) agli stimoli persistono nonostante si sappia che sono
cambiate le contingenze (Hugdahl & Öhman, 1977). Sempre più prove sostengono
l’importanza dei fattori relazionali non verbali nell’alleviare il grado di arousal e nell’influenzare l’emisfero destro non verbale, sia nello sviluppo infantile, sia nel trauma
(Schore, 2003), indicando che la riparazione interpersonale spesso dà migliori risultati
nell’indurre uno stato di calma rispetto al ragionamento.
Le neuroscienze affettive e la terapia emotion-focused
La rassegna sui risultati delle ricerche nelle neuroscienze affettive indica che l’empatia relazionale, la consapevolezza, la definizione verbale e la costruzione di significati
sono processi in grado di modulare l’attivazione amigdalare. Inoltre, i vissuti generati
dall’amigdala, possono essere trasformati attraverso l’attivazione di processi emisferici
alternativi e stati differenti che promuovono emozioni positive con cui trasformare
il ritiro depressogeno e le emozioni negative. La terapia emotion-focused si concentra
sulla costruzione di una relazione empatica; aiutando i clienti a dare un significato
all’esperienza emotiva, in modo da regolare il sistema affettivo automatico e rapido, e a
trasformare gli stati emotivi disadattivi attivando stati emotivi adattivi alternativi.
Quando una persona depressa percepisce una minaccia, attiva le relative valutazioni fondamentali e le sequenze motorie e fisiologiche prefissate. In risposta al pericolo,
si attiva il riflesso di trasalimento e una serie di espressioni collegate alla risposta fuggio-combatti o alla risposta di “congelamento” (Cacioppo, 2003). In risposta alla perdita,
all’umiliazione e al sentimento di intrappolamento, si attivano i programmi affettivo30
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
psicomotori di lutto, ritiro e sconfitta (Gilbert, 2003). Panksepp (2001) ha suggerito
che le tendenze fondamentali per cui esistono valutazioni e programmi motori affettivi
innati negli animali, sono quelle di ricerca, rabbia, paura, sessualità, cura, panico e
gioco. Altri teorici delle emozioni hanno ipotizzato l’esistenza di sei/nove programmi emotivi fondamentali che includono rabbia, tristezza, paura, disgusto, sorpresa/
interesse ed eccitazione/gioia (Ekman & Friesen, 1975; Tomkins, 1962). Il grado in
cui queste risposte basilari e automatiche possono essere inibite, dipende in parte dal
livello relativo di arousal emotivo individuale, che a sua volta è funzione dell’attivazione dei centri di arousal siti nel peduncolo cerebrale. In condizioni normali, le persone
riescono a modulare la rabbia o l’irritazione oppure ad ignorare la sensazione di fame o
di eccitazione sessuale, anche quando sono in atto i processi fisiologici che si associano
a questi stati, come una pressione sanguigna più elevata, maggiore secrezione salivare
e contrazione dei muscoli dello stomaco. Livelli più elevati di elaborazione top-down
possono, e spesso riescono, a controllare, dirigere o interrompere i livelli inferiori o ad
interferire con l’elaborazione emotiva o sensomotoria.
Gran parte dell’attività adulta si fonda sull’elaborazione top-down, in cui le aree
corticali superiori agiscono come centro di controllo cosciente. Le persone spesso si
sollevano dalle esperienze somatiche e sensoriali, sapendo che ci sono, ma non consentendogli di dominare le azioni. In condizioni normali, la consapevolezza consente
alle persone di raggiungere un equilibrio e di controllare l’espressione di emozioni e di
regolare i sistemi corporei. Questa forma di elaborazione top-down può anche generare
emozioni senza attivare l’amigdala (Teasdale et al., 1999). Queste emozioni che hanno
un’origine più cognitiva, però, sono le emozioni sociali complesse, che si collocano
alla cima della gerarchia emozionale e che dipendono maggiormente dall’elaborazione
cosciente.
Le risposte rapide di paura e rabbia, che derivano dall’attivazione dell’amigdala,
sono automatiche e influenzano fortemente la successiva modalità di elaborazione e i
processi decisionali. I sentimenti immediati ed intensi, come la vergogna e la tristezza
così importanti nella depressione, vengono attivati in questo modo. Queste emozioni
non sono semplici da regolare attraverso l’elaborazione top-down. Il cervello emotivo
funge da “rivelatore di fumo” che valuta se le informazioni sensoriali in ingresso rappresentano una minaccia alla sicurezza, all’identità o una perdita. È implicato nella
formazione e nell’attivazione dei ricordi emotivi in risposta a particolari sensazioni,
come suoni e immagini, associate alla minaccia verso il sé e alla perdita.
Il ricordo è molto importante nella generazione di emozioni. Due sistemi di memoria si sono dimostrati coinvolti nelle esperienze emotive intense: uno è il sistema
verbale dei ricordi autobiografici che assolve ad una funzione sociale, ovvero comunicare le proprie esperienze agli altri; l’altro sistema di memoria, spesso definito memoria
implicita, è maggiormente influenzato dall’amigdala e da altre regioni subcorticali e
contiene le impressioni emotive e sensoriali di eventi particolari che determinano il
valore che le persone assegnano a queste impressioni (Van der Kolk & van der Hart,
1991). In terapia è importante lavorare su entrambi questi sistemi. Le regioni subcorticali implicate nella memoria implicita, che non sono sotto il controllo cosciente e
che non hanno alcuna rappresentazione linguistica, presentano modalità di ricordo
differenti rispetto a quelle dei livelli superiori della corteccia prefrontale. In condizioni
31
La terapia emotion-focused per la depressione
normali, i due sistemi mnestici si integrano. In condizioni di arousal intenso, però, il
sistema limbico genera emozioni e sensazioni che possono essere in contrasto con gli
atteggiamenti e le convinzioni di una persona.
Nella EFT il terapeuta lavora sia sulle emozioni e i ricordi generati dall’attivazione
dell’amigdala, sia sulla loro rappresentazione verbale. La EFT garantisce una relazione
empatica e facilita il processo di verbalizzazione delle emozioni intense, modulando
così l’attivazione amigdalare. Questo approccio è in contrasto con quelli che cercano
di attenuare le risposte emotive e che utilizzano tecniche top-down per la gestione di
emozioni e sensazioni, considerate un intralcio indesiderato al funzionamento “normale” che deve essere controllato dalla ragione. L’elaborazione concettuale che si focalizza
sull’inibizione delle sensazioni e delle emozioni spiacevoli, più che sul vivere fino in
fondo, non ne facilita l’elaborazione e l’integrazione. Alcuni clienti hanno bisogno di
trascorrere del tempo in una relazione empatica e di diventare consapevoli, definire
verbalmente e comprendere le proprie risposte emotive, prima di poter rivolgere l’attenzione alla modulazione di queste risposte. La EFT utilizza strategie di elaborazione
bottom-up per consentire ai clienti di regolare gli stati affettivi.
Nell’elaborazione esperienziale bottom-up, i clienti sperimentano un ambiente sintonizzato empaticamente, che di per sé riduce il livello di arousal, e questo li aiuta a diventare consapevoli e a tenere traccia della sequenza delle sensazioni e degli impulsi fisici
(processi sensomotori) mano a mano che si verificano all’interno del corpo (Perls, Hafferline & Goodman, 1951); diventano, così, consapevoli o coscienti del proprio vissuto
(Greenberg, 2002; Greenberg & Safran, 1987; Kabat-Zinn, 1990; Kennedy-Moore &
Watson, 1999). I terapeuti aiutano i clienti ad abbandonare temporaneamente la modalità cognitiva top-down e a concentrarsi sulle sensazioni e gli impulsi corporei, fintanto
che non li avranno risolti o non li avranno concretizzati in significati chiari (Gendlin,
1996). È attraverso la definizione verbale e la simbolizzazione dell’esperienza che i clienti arrivano a comprenderne il significato. Una volta che gli individui hanno articolato
questi significati, sono nella posizione di rifletterci su e di valutarne l’appropriatezza,
l’espressione e il grado di adattamento agli obiettivi e ai bisogni attuali (Kennedy-Moore
& Watson, 1999; Watson & Greenberg, 1996). L’elemento bottom-up dell’elaborazione, consente ai clienti di imparare ad osservare e a seguire le reazioni sensomotorie non
integrate che vengono attivate nel presente. La consapevolezza e l’elaborazione dell’esperienza corporea sono punti focali della EFT per la depressione.
La riparazione relazionale e l’elaborazione bottom-up, di per sé, non risolvono tutti
i problemi psicologici, ma sono un elemento essenziale della regolazione delle emozioni
e del funzionamento ottimale. Nella EFT il cliente viene indirizzato all’interno di un
contesto relazionale empatico, per seguire e verbalizzare l’esperienza sensomotoria inibendo, allo stesso tempo, i processi di pensiero analitici o interpretativi sul contenuto,
in modo che le esperienze sensoriali e affettive non integrate, possano essere verbalizzate
e ricodificate nella memoria linguistica insieme all’esperienza di sicurezza relazionale. In
questo modo i clienti assimilano gradualmente la propria esperienza. La consapevolezza
degli stati interiori, al contrario dell’evitamento, consente di conoscere i sentimenti e
di utilizzarli come guida per l’azione. Una simile consapevolezza è necessaria se i clienti
devono rispondere adattivamente alle situazioni attuali e gestire le proprie vite in maniera soddisfacente. Diventando consapevoli e riuscendo a tollerare le proprie emozioni e
32
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
sensazioni, i clienti hanno nuove opportunità per risolvere i problemi, che consentono
di reagire meno automaticamente e di individuare i migliori mezzi di adattamento.
Schemi emotivi
I neuroscienziati come Damasio (1994), sostengono che la formazione di connessioni sistematiche fra categorie di oggetti e situazioni da un lato, ed emozioni primitive non organizzate dall’altro, consentano all’essere umano di sperimentare esperienze
emotive automatiche. Questa esperienza automatica è di ordine superiore rispetto alla
risposta dell’amigdala, perchè è maggiormente organizzata. Gran parte dell’esperienza
emotiva adulta appartiene a questo livello superiore, generata da schemi idiosincratici appresi che producono l’esperienza emotiva e le risposte aiutando l’individuo ad
anticipare gli esiti futuri. Questa sintesi di livello superiore di una serie di livelli di
elaborazione, genera gli schemi emotivi (Oatley, 1992; J. Pascual-Leone, 1991) e gli
schemi di ricordi emotivi (Leventhal, 1984). Nel nostro modello consideriamo centrale
lo schema emotivo (Greenberg & Paivio, 1997; Greenberg, Rice & Elliott, 1993) e
l’elaborazione degli schemi emotivi depressivi come il focus principale dell’intervento
per la depressione.
Gli schemi emotivi si formano nel modo seguente: gli esseri umani filtrano, interpretano, trasformano e assegnano significati costantemente a tutti gli input sensoriali
che possono provenire dall’interno del corpo (per es. attività muscolare o viscerale,
reazioni chimiche, respirazione e affaticamento) oppure dall’ambiente esterno (per es.
immagini, sensazioni tattili, profumi, suoni). Queste sensazioni vengono interpretate e
associate ad altre sensazioni, configurazioni e ad uno schema più ampio che si riferisce
al significato. Un compito fondamentale della mente umana, è quello di valutare la
significatività di tutte le informazioni in ingresso e di integrarle in un significato cognitivo affettivo unificato. Gli schemi di ricordi emotivi si formano in questo modo, mano
a mano che la mente scansiona le molteplici, possibili connessioni e associazioni per
generare un’interpretazione cosciente della loro importanza esistenziale. La mente deve
anche fornire una risposta che non solo genera soddisfazione interiore, ma che è anche
in armonia con le richieste e le aspettative dell’ambiente. Tutti questi input e output,
sono rappresentati all’interno della mente dal flusso di attività neurale in una serie di
circuiti con differenze nella distribuzione spaziale. Questi circuiti diventano collegati
sul piano funzionale, raggruppano le informazioni in categorie, estraggono le proprietà
generali, formano contrasti e costruiscono risposte. L’attività neurale che ne deriva, è
una struttura schematica che, quando attivata, crea una cascata di processi sensomotori
e rappresentazionali che costituiscono il nucleo del flusso dell’esperienza.
Una volta formati, gli schemi emotivi producono sensazioni corporee e tendenze
all’azione complesse. Queste risposte non sono più il risultato di risposte emotive puramente innate ad indizi specifici, come la rabbia in risposta alla violazione o la paura in
risposta alla minaccia, ma di risposte acquisite, basate sull’esperienza emotiva vissuta.
Con lo sviluppo, l’esperienza emotiva, invece di essere governata semplicemente, su base biologica ed evoluzionistica, dai programmi motori sotto il controllo dell’amigdala,
è prodotta da strutture altamente differenziate che sono state affinate con l’esperienza
33
La terapia emotion-focused per la depressione
e che la cultura ha unificato in schemi o unità organizzate all’interno della memoria.
Così, con il passare del tempo e con uno sviluppo sano, le risposte innate di gioia ad
un volto umano, si differenziano in sentimenti di piacere verso uno specifico caregiver
e contribuiscono allo sviluppo della fiducia di base. Sentire un’emozione, implica la
sperimentazione di modificazioni corporee in integrazione con l’oggetto o la situazione
che la evocano e con gli apprendimenti emotivi passati.
Lo schema emotivo, quindi, è un’organizzazione interna che genera delle risposte,
che sintetizza una varietà di livelli e di tipologie di informazione, fra cui stimoli sensomotori, ricordi emotivi e informazioni concettuali. Diversamente da uno schema
cognitivo, lo schema emotivo è una struttura che include una componente importante di esperienza affettiva non verbale. Rappresenta un’integrazione della biologia e
dell’esperienza delle persone, dal momento che è il prodotto della sintesi che le persone
costruiscono in seguito alla codifica delle proprie esperienze emotive in determinate
situazioni, alla rappresentazione degli indici situazionali elicitanti e delle conseguenti
convinzioni o regole apprese che governano questa esperienza. Tutta questa attività
avviene ad un livello automatico, al di fuori della sfera della consapevolezza (Greenberg
et al., 1993; Greenberg & Safran, 1987).
Pertanto, in un modello semplificato del funzionamento, mostrato nella Figura
2.1, suggeriamo, per semplicità, la successiva sequenza: uno stimolo (S) evoca rapidamente una valutazione fondamentale (E) influenzata dall’evoluzione e dall’esperienza
(apprendimento). Queste elaborazioni di schemi emotivi (ES) generano l’ABC dell’esistenza: un aspetto sensoriale che dà l’esperienza affettiva (A), un aspetto motorio che
genera un comportamento sotto forma di disposizione all’azione (B) e un aspetto cognitivo semantico che fornisce il significato di base (C). L’elaborazione degli schemi
emotivi, determina la modalità di elaborazione che va ad interagire con quella concettuale (CP), influenzata principalmente dalla cultura, che viene attivata più lentamente
e che analizza la situazione in maggiore dettaglio, ma influenzata nei particolari dalle
modalità elaborative dello schema emotivo. Queste fonti interagiscono per generare il
pensiero cosciente (T), il sentimento (F) e le azioni (AC), che interagiscono tutte per
influenzarsi l’una con l’altra. Non crediamo che questo processo segua realmente la
semplice sequenza lineare appena descritta; abbiamo presentato il modello sequenziale
solo per semplicità. Piuttosto, il sé è un sistema dinamico, auto-organizzante, in cui
tutti i processi interni interagiscono in maniera circolare, simultanea e riflettente.
Per semplificare ulteriormente, ipotizziamo che nella sequenza che dà luogo a una
depressione, uno stimolo (S) evochi un’elaborazione emotiva schematica automatica
che implica una valutazione fondamentale di un bisogno che a sua volta genera un
affetto (A). Questo mette in moto l’elaborazione concettuale. Pertanto, le valutazioni
fondamentali di novità, minaccia, violazione, perdita o isolamento, intrusione o piacere, evocano rispettivamente gli affetti fondamentali di eccitazione, paura, rabbia, tristezza, disgusto e gioia. Questi affetti influenzano l’elaborazione concettuale successiva.
I messaggi del cervello emotivo alla corteccia prefrontale, lo preparano ad analizzare
una novità, un pericolo, un attacco, una perdita e così via. Nelle persone depresse, la
valutazione fondamentale è spesso di svalutazione e umiliazione, oppure di insicurezza
e ansia, e queste portano a convinzioni disfunzionali e pensieri negativi e ad emozioni secondarie negative. Nella EFT, la valutazione fondamentale e la modalità di ela34
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
borazione permeata dall’emozione, sono l’obiettivo del cambiamento. Per modificare
l’elaborazione degli schemi emotivi, l’emozione fondamentale deve essere portata alla
consapevolezza e si deve fornire un antidoto emotivo.
Gli schemi emotivi che formano il nucleo fondamentale del sé sono essi stessi
integrati in strutture affettive-comportamentali-cognitive. Gran parte delle emozioni,
come abbiamo visto, implicano valutazioni automatiche di alcune situazioni in relazione al proprio benessere. Queste valutazioni sono essenzialmente giudizi cognitivopercettivi impliciti e non verbali, che includono ciò che è buono e ciò che è negativo
per il sé. Questi schemi, tuttavia, sono lontani dall’essere puramente strutture cognitive. Le valutazioni non linguistiche vengono fatte in riferimento a obiettivi, bisogni
e preoccupazioni soggiacenti, che sono le componenti motivazionali delle emozioni.
La motivazione è stata definita come la disposizione a desiderare il verificarsi o il non
verificarsi di una situazione (Frijda, 1986). Pertanto bisogni, obiettivi e preoccupazioni
sono internamente rappresentati come standard sulla cui base giudicare le situazioni.
Se la valutazione della situazione e il bisogno o la preoccupazione non sono coerenti,
proviamo un’emozione negativa, che porta con sé le relative tendenze all’azione e i
relativi processi sensoriali. La tendenza all’azione organizza l’individuo per farlo agire
in modo da conseguire o proteggere un obiettivo. La risposta sensoriale informa la
persona sull’importanza di ciò che sta accadendo e sulla necessità di farvi attenzione.
Nella depressione, la valutazione predominante è che gli obiettivi non possono essere
raggiunti e che i bisogni non possono essere soddisfatti, e la persona si sente disperata
ed impotente in relazione al conseguimento degli obiettivi desiderati.
Figura 2.1 Sequenza di risposte emotive ad una situazione. A = esperienza affettiva;
AC = azioni; B = disposizione comportamentale; C = elaborazione cognitivo
semantica; CP = elaborazione concettuale; E = valutazione; ES = elaborazione dello schema emotivo; F = sentimento; M = modalità di elaborazione;
S = stimolo; T = pensieri.
CP
S
Culture
M
T
ES
E
A
B
F
C
AC
35
La terapia emotion-focused per la depressione
L’attenzione
Il coinvolgimento dell’attenzione selettiva, sembra essere un requisito dell’elaborazione delle informazioni emotive automatiche nella memoria esplicita. Le persone
depresse, spesso, hanno un atteggiamento evitante e non si concentrano sulle emozioni fondamentali che stanno provando, ma sulle sensazioni sintomatiche. La codifica
dell’esperienza nella coscienza spesso non si verifica, perché questa esperienza è spesso
troppo rapida e ci sono troppe informazioni da elaborare, oppure perché la simbolizzazione potrebbe risultare compromessa in stati emotivi non risolti di grande intensità.
In una ricerca che indagava gli effetti sul benessere emotivo dal fare attenzione alle
sensazioni, Lischetzke ed Eid (2003) hanno trovato che gli individui che riuscivano a
regolare l’umore, si sentivano meglio dopo essersi concentrati sulle emozioni, mentre
i soggetti con cattiva regolazione si sentivano peggio, sottolineando l’importanza della
relazione terapeutica nell’aiutare gli individui con una depressione a risolvere gli stati
emotivi negativi.
L’utilizzo dell’attenzione selettiva per concentrarsi sulle sensazioni corporee, sulle
immagini del passato, e sulle esperienze dolorose fino a quel momento evitate, è una
procedura centrale nella EFT che contribuisce a rendere esplicito l’implicito e a costruire una nuova esperienza. Come aveva evidenziato per primo James (1890), l’esperienza
personale è ciò su cui una persona accetta di concentrarsi. Aiutare i clienti a portare
la propria attenzione su aspetti delle rappresentazioni di esperienze passate, li aiuta a
creare l’opportunità per ulteriori elaborazioni delle informazioni emotive. Uno degli
obiettivi più importanti dell’intervento della terapia emotion-focused, è il direzionamento dell’attenzione del cliente. Il terapeuta può influenzare il target dell’attenzione del
cliente e la quantità di attenzione disponibile per l’elaborazione. Il target dell’attenzione
influenza l’esperienza personale, oltre che le relative attribuzioni.
L’utilizzo terapeutico della focalizzazione dell’attenzione su differenti livelli di elaborazione, fra cui immagini, emozioni, sensazioni corporee, giudizi linguistici generali
e percezioni originate da ricordi, è un processo di cambiamento unico e importante
nell’approccio emotion-focused per la depressione. La focalizzazione a-razionale e non
lineare dell’attenzione su differenti livelli di informazione, genera nuove configurazioni
elaborative delle informazioni all’interno del cervello. Questa strategia terapeutica può
portare alla formazione di nuovi schemi attraverso l’associazione nuova di vari elementi. Come ha suggerito Hebb (1949), i neuroni che scaricano contemporaneamente
si legano l’uno con l’altro. L’emozione sembra del tutto intrecciata con la capacità
cerebrale di integrazione e autoregolazione, e le emozioni attivanti sembrano stimolare le reti neurali e generare connessioni che non potrebbero essere fatte su un piano
solo razionale. All’interno di una relazione terapeutica empatica e sicura, un simile
processo multifocale promuove la creazione di nuove associazioni mnestiche. Questa
nuova combinazione di elementi, potrebbe essere essenziale per il consolidamento e la
risoluzione dei ricordi o delle esperienze dolorose non risolte. Un simile processo terapeutico, spesso, porta all’integrazione delle esperienze emotive precedentemente isolate
perché vissute come schiaccianti.
36
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
Le disfunzionalità emotive nella depressione
Anche se è importante riconoscere la funzione adattiva delle emozioni, è chiaro che dato che queste, in quanto riflesso dell’esperienza, possono diventare risposte
disadattive alle situazioni. Le emozioni diventano disadattive attraverso un processo
di apprendimento e socializzazione, e sono particolarmente vulnerabili ai fallimenti precoci nella regolazione diadica degli affetti. Inoltre, il repertorio affettivo mostra
differenze individuali innate: i sistemi affettivi di alcune persone sono più sensibili o
più intensi di quelli di altri. Dalla nascita in poi, i processi interpersonali forniscono i
significati fondamentali e i contesti per le sensazioni e le emozioni. Se i bambini sono
curati, associano i segnali corporei di disagio a una serie di modalità per sentirsi meglio.
Pertanto imparano ad utilizzare i segnali del corpo e le emozioni come guida per l’azione, interiorizzano la consolazione dei propri caregiver e l’esperienza corporea riflette la
qualità di queste esperienze precoci di accudimento. Questa consapevolezza resta alla
base della coscienza e le persone cercano continuamente di comprendere il significato
delle proprie sensazioni e di dare un senso alle emozioni che provano.
Dal nostro punto di vista, la regolazione affettiva è importante nella depressione.
Difficoltà nella modulazione emotiva, portano a umore depresso e ad una tendenza
ad azioni disadattive. Le persone che hanno subìto perdite traumatiche, che sono state
vittime di abusi o trascuratezza e che, quindi, non hanno avuto l’opportunità di sperimentare il coinvolgimento in una sana relazione di regolazione affettiva, perdono la
capacità di regolare con efficacia i propri stati emotivi. Questa incapacità di regolare le
emozioni, le lascia ipersensibili alle esperienze negative e l’esperienza emotiva viene vissuta come una minaccia esistenziale. Nel tentativo di contrastare i sentimenti negativi,
potrebbero adottare modalità patologiche di autoconsolazione o di autocontrollo, fra
cui l’automutilazione, l’alimentazione incontrollata, il digiuno, o l’ingestione di alcol
o droghe. Tutti questi strumenti disfunzionali devono essere trattati diversamente nel
corso del trattamento.
Abbiamo osservato che nella maggior parte dei clienti che hanno partecipato alle
nostre ricerche, si poteva risalire ad un trauma del passato. Molti dei vissuti depressivi
onnipresenti di abbandono, umiliazione, intrappolamento e impotenza nell’infanzia,
possono essere considerati traumi “con la t minuscola” (Shapiro, 1995, 2001). Una
causa di numerose depressioni adulte potrebbero essere esperienze precoci intense di
umiliazione e di abuso, o di intrappolamento o abbandono, associate a vissuti di impotenza e paura. Nel corso di queste esperienze, un’emozione intensa collegata al senso del sé dell’individuo – un’emozione che non poteva essere del tutto elaborata nel
momento in cui veniva vissuta – resta impressa nella memoria e lascia effetti durevoli.
Essere criticati e umiliati da bambini, in particolare se si tratta di esperienze ripetute,
evoca vergogna, e questa emozione evoca paura di sopravvivenza. La perdita, la paura
dell’abbandono, la mancanza di amore o esperienze di sconfitta, fanno sorgere egualmente il timore per la sopravvivenza del sé. Qualunque evento che minacci la coerenza
dell’identità del sé e la sicurezza dell’attaccamento, può causare l’immagazzinamento di
queste esperienze sotto forma di pericoli significativi. Un senso di minaccia associato
ad umiliazione, impotenza e sconfitta, può risultare in una depressione. Questi sentimenti ed esperienze contribuiscono, certamente, all’iperattivazione dell’amigdala e al
37
La terapia emotion-focused per la depressione
funzionamento asimmetrico della corteccia prefrontale. Pertanto, le persone soggette a
stati emotivi negativi, potrebbero non avere avuto quelle esperienze che gli avrebbero
permesso di incamerare emozioni positive in presenza di eventi stressanti. Tutti questi
fattori compromettono la loro forza psicologica e le rendono più vulnerabili alla depressione.
Mano a mano che gli individui crescono, sviluppano una capacità sempre maggiore di creare associazioni significative con specifiche sensazioni corporee, di autoconsolarsi e di prevenire l’insorgere dell’ansia. Tuttavia, quando le sensazioni corporee
vengono associate a vergogna o paura estrema mai consolate, le persone potrebbero
non essere in grado di regolarle in ottica adattiva. Queste sensazioni non sono mai state
associate alle possibili soluzioni e, quando vengono rivissute nel presente, portano le
persone a reagire con paura o terrore o chiusura emotiva, nel tentativo di ignorare o di
allontanare la sensazione stessa. Nella depressione gli schemi fondamentali disadattivi
producono sensazioni di intorpidimento, impotenza, contrazione, ritiro, desolazione,
dolore e vuoto. Le persone affrontano questi sentimenti in un modo disadattivo, che
contribuisce al mantenimento della loro depressione. Oltre a cercare di diventare insensibili e di distrarsi, le persone depresse si ritirano e si isolano, dormono più del
necessario e diventano meno attive nel tentativo di interrompere queste sensazioni.
Questa smobilitazione peggiora la depressione. Gli individui sviluppano anche differenti stili di adattamento alle circostanze traumatiche, alcuni sviluppando modalità di
coping perfezionistiche, mentre altri diventando più evitanti, altri ancora dipendenti.
La EFT, quindi, si focalizza sui differenti stili affettivi e di coping implicati nelle diverse
forme di depressione in differenti persone.
L’indifferenziazione fra le risposte emotive somatiche del passato e del presente, è
un aspetto centrale della risposta emotiva disadattiva nella depressione a base traumatica. Per esempio, se un uomo che ha subìto abusi fisici e verbali da parte del padre per
tutta la propria infanzia, non è in grado di elaborare queste esperienze, le sensazioni
fisiche di impotenza e vergogna in risposta alla violazione e all’umiliazione, che prima
erano appropriate alla situazione, vengono immagazzinate sotto forma di schema e
restano pronte alla successiva attivazione. Da adulto, ogni esperienza di impotenza
o vergogna che richiami quella infantile, può portare alla luce le stesse sensazioni fisiologiche e dà un determinato colore alla percezione della realtà attuale. Potrebbe
sperimentare gli stessi sentimenti, non riuscendo ad essere assertivo, ad allontanarsi, a
stabilire dei confini, o ad evocare reazioni di resistenza più positive che un adulto sano
avrebbe di fronte ad un trattamento ingiusto. Il passato si ripete nel presente e, a causa
delle modalità di risposta incorporate nello schema, il cliente non riesce ad affermare
se stesso. Anche se potrebbe cercare di acquisire un controllo razionale o un’insight,
non ha la capacità di scegliere le risposte automatiche nel presente. Queste sono dettate
sul piano biochimico e fisiologico dalle risposte affettive immagazzinate in seguito agli
eventi passati.
Nella EFT l’attivazione delle esperienze disadattive fondamentali è il primo passo
del cambiamento dell’esperienza emotiva depressiva nella terapia. Le esperienze basilari
d’impotenza, abbandono, o umiliazione, il disprezzo di sé e la vergogna alla base della
disperazione depressiva, devono essere trasformate accedendo ad emozioni positive,
come una sana sofferenza per ciò che non si è potuto avere, che riapre le porte alla
38
Le emozioni nel funzionamento umano e nella depressione
capacità di amore e di intimità, oppure accedendo ad una rabbia adattiva di fronte al
maltrattamento, che apre la porta all’orgoglio e al senso del proprio valore. Ci si deve
focalizzare su queste emozioni adattive, che devono essere convalidate e poi utilizzate
per dare vita ad un senso di sé più forte che aiuti a trasformare le emozioni disadattive ed a mettere esplicitamente in discussione le convinzioni disfunzionali. In questo
modo le nuove esperienze del sé e le nuove percezioni, vengono integrate con quelle
negative già esistenti, per consolidare una nuova organizzazione del sé (Greenberg,
2002; Greenberg & Paivio, 1997).
39
CAPITOLO 3
LA DEPRESSIONE: UN PUNTO DI VISTA
COSTRUTTIVISTA DIALETTICO
Sono le emozioni a dare importanza alle cose.
Frijda (1986, p. 5)
In questo capitolo presentiamo il modello costruttivista dialettico del funzionamento psichico e lo applichiamo più specificamente alla depressione.
Un modello costruttivista dialettico che integra
biologia e cultura
Oltre a provare delle emozioni, le persone costruiscono anche dei significati a
partire da queste emozioni. Abbiamo proposto un punto di vista costruttivista dialettico del funzionamento umano, per riuscire a spiegare questo processo (Greenberg
& Pascual-Leone, 1995, 2001; Greenberg, Rice & Elliott, 1993; Guidano, 1991,
1995a, 1995b; Mahoney, 1991; Neimeyer & Mahoney, 1995; J. Pascual-Leone,
1987, 1990, 1991; Watson & Greenberg, 1996; Watson & Rennie, 1994). Secondo questo punto di vista, il sé è un’organizzazione multiprocesso e multilivello che
emerge dall’interazione dialettica di molti singoli elementi. La dialettica di ordine
superiore, quella che più interessa agli psicoterapeuti, è quella che genera significato.
Questa dialettica si basa sull’esperienza implicita costante, momento-per-momento,
e su processi riflessivi espliciti di ordine superiore che servono per interpretare, ordinare e spiegare i processi esperienziali elementari. L’elaborazione affettiva preverbale
e preconscia, viene considerata una fonte importante di esperienza del sé ed è di per
sé generata da numerosi processi dialettici a differenti livelli. Verbalizzare, organizzare e ordinare questa esperienza sul piano linguistico all’interno di una narrativa
coerente, è l’altro importante elemento che implica, anche questo, una serie di processi dialettici soggiacenti. Questo punto di vista, suggerisce si verifichi una comu41
La terapia emotion-focused per la depressione
nicazione a due vie fra il sistema implicito ed esplicito che costituisce il sé dialogico
(Hermans, 1996).
Gli esseri umani, secondo il nostro modello, funzionano come sistemi dinamici
che integrano molti processi dialettici a differenti livelli, da quello neurochimico a
quello conscio e concettuale (Mahoney, 1991; J. Pascual-Leone, 1987, 1990, 1991;
J. Pascual-Leone & Johnson, 2004) e questa interazione fa sì che l’emozione e la
cognizione siano profondamente interconnesse. Pertanto, gli individui creano costantemente il sé che stanno per diventare, sintetizzando informazioni biologiche
ed apprendimenti acquisiti attraverso la cultura. Anche se la biologia e la cultura
possono occasionalmente essere in conflitto, non sono di per sé in contrasto fra loro.
Piuttosto, sono due correnti necessarie di una sintesi dialettica, e le persone sono più
vitali se riescono ad integrare l’interno e l’esterno, il biologico e il sociale, l’emotivo
e il razionale.
La Figura 3.1 mostra come questi due afflussi principali contribuiscono all’esperienza cosciente. Una corrente, che proviene dall’interno, è di natura affettiva; l’altra,
che proviene dall’esterno, è di natura culturale. Inoltre, entrambi questi flussi sono
in costante interazione con gli altri e con l’ambiente, all’interno di un processo dialogico di costruzione di significati. La corrente affettiva interna, che si fonda principalmente sulla biologia, fornisce i mattoni dell’organizzazione fondamentale del sé
di una persona. Con il tempo, questo livello viene sempre più influenzato dalle pratiche culturali (come le pratiche di accudimento dei bambini), dall’apprendimento
e dall’esperienza, e viene organizzata in schemi che si basano sulle esperienze emotive collegate a determinate situazioni. Questi schemi diventano i generatori primari
dell’esperienza. In ogni dato momento, lo status della persona è funzione di una
sintesi tacita di una serie di questi schemi emotivi in una delle molte possibili organizzazioni del sé: per esempio vulnerabile, ritirato, aperto o di buon umore. Questa
organizzazione tacita è quella che ci fornisce “la sensazione di ciò che sta accadendo”,
oppure un senso corporeo di chi siamo. L’esperienza cosciente si presenta quando si
presta attenzione a questa sensazione implicita e quando questa viene simbolizzata
esplicitamente.
Quando l’esperienza di questa organizzazione del sé viene simbolizzata (di solito attraverso le parole) ed è oggetto di riflessione, si generano significati. Il processo
simbolico, linguistico viene acquisito attraverso gli apprendimenti culturali e viene
arricchito da narrazioni, miti e simboli culturali. Il significato, la narrazione e l’identità
vengono costruiti attraverso la riflessione sull’esperienza, la generazione di significati e
la spiegazione che ne diamo a noi stessi all’interno di una costante interazione dialettica
fra simboli ed esperienze corporee (Gendlin, 1962). Il cliente, pertanto, è un soggetto
che costruisce attivamente significati.
Un modello delle fasi dell’elaborazione emotiva che descriva come si arrivi alla consapevolezza e all’espressione dell’esperienza emotiva, aiuta nell’elaborazione
del processo dialettico di costruzione dei significati (Kennedy-Moore & Watson,
1999).
42
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
Figura 3.1 La costruzione dialettica del sé.
Identità narrativaa:
credenze e rappresentazioni verbalizzate del sé
Spiegazione
Cultura, linguaggio
Ciclo dialettico della
costruzione di significati
Vissuto
Esperienza corporea
Altre possibili
organizzazioni del sé
Elaborazione Cognitiva
- Attenzione
- Processi esecutivi
Organizzazione del sé
Processo di sintesi degli
schemi emotivi
Schemi emotivi
Elementi fondamentali: fenomeni neurochimici,
limbici, ghiandolari, e altri fenomeni fisiologici.
a
Questi sono influenzati anche dalle interazioni con gli altri, rendendo così la costruzione del sé
un processo intrapersonale e interpersonale.
In questo modello a cinque fasi, le prime due riguardano la reazione iniziale preriflessiva e la percezione cosciente della risposta evocata (l’aspetto corporeo della dialettica). I tre passaggi successivi, invece, sono la denominazione e l’interpretazione della
risposta, la valutazione della risposta e il contesto percepito per l’espressione (l’aspetto
più sociale e concettuale della dialettica). Questo modello presenta l’interazione complessa fra emozioni generate automaticamente e la riflessione intenzionale nella creazione dell’esperienza e dell’espressione.
43
La terapia emotion-focused per la depressione
La reazione iniziale preriflessiva, parte dalla percezione dello stimolo che include
l’elaborazione cognitiva ed emotiva preconscia e le relative modificazioni fisiologiche.
Di solito questa percezione viene vissuta con un determinato livello di arousal, indice
che qualcosa richiede attenzione. Di solito segue la percezione cosciente della risposta,
mano a mano che la persona diventa consapevole della propria risposta affettiva, che
porta alla terza fase di denominazione della risposta. La denominazione della risposta
di arousal, si basa su indici situazionali interni ed esterni per determinare la natura della
risposta stessa. La persona, poi, giudica la risposta accettabile o meno; questa valutazione è influenzata dai valori e dalle convinzioni di ciò che è importante o desiderabile.
Infine, la persona giudica il contesto sociale per l’espressione dell’emozione, per stabilire se l’espressione verrà supportata o meno.
Dal nostro punto di vista, l’esperienza corporea e simbolica interagiscono per generare ulteriore significato, e l’esperienza così simbolizzata viene organizzata in modalità differenti per costruire nuove visioni. Prestare attenzione e scoprire gli elementi
preconcettuali dell’esperienza sono fasi che influenzano il processo di costruzione del
significato. Le persone, pertanto, si sforzano costantemente di dare senso a questa esperienza preconcettuale simbolizzandola, spiegandola e mettendola in forma narrativa. Il
significato implicito preconcettuale ha delle implicazioni e, in qualche modo, direziona
il significato anche se non lo determina del tutto. Piuttosto, viene sintetizzato con il
significato concettuale esplicito per generare spiegazioni vincolate dall’esperienza (Greenberg & Pascual-Leone, 1995, 2001). Blocchi e rigidità nel processo di costruzione
dei significati emotivi fanno parte delle cause della depressione, dal momento che impediscono all’emozione di essere elaborata.
Queste disfunzioni possono derivare da una serie di meccanismi, fra cui:
•
•
•
•
I particolari significati e la specifica narrativa generata (creazione del significato);
Incoerenza fra ciò che viene simbolizzato attraverso la riflessione e la gamma delle
possibilità vissute (esperienze manifeste o non simbolizzate);
La tipologia di esperienza che viene generata dalla sintesi degli schemi che si basano sulle esperienze precedenti (apprendimento);
Spostamenti problematici fra una pluralità di organizzazioni del sé o scarsa coerenza o integrazione fra di essi (conflitti e scissioni).
La costruzione del sé
Secondo il nostro punto di vista, il sé è prima di tutto un processo, non una struttura (Elliott, Watson, Goldman & Greenberg, 2004; Greenberg & Pascual-Leone, 1995;
Whelton & Greenberg, 2001). Le persone sono sistemi dinamici auto-organizzanti e
il sé emerge momento-per-momento come una sintesi di influenze interne ed esterne.
Non esiste alcuna organizzazione permanente, gerarchica, alla cui cima si trova un
“Sé esecutivo” o un “Io” unitario che governa tutto. Piuttosto, in momenti differenti,
differenti voci o aspetti si alternano nella posizione gerarchica, agiscono per costruire
un senso di coerenza o unità, integrando differenti aspetti dell’esperienza emotiva in
44
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
una data situazione e nel tempo (attraverso la memoria). Il sé momentaneo è qualcosa
che si avvicina molto al prodotto di un coro di cantanti jazz in cui le voci differenti
cantano improvvisando, a volte all’unisono, a volte in armonia, altre volte in contrasto
e altre volte ancora in dissonanza. Il risultato è un’organizzazione emergente che sorge
in quel momento.
Anche se non esiste nulla che possa definirsi il “vero sé”, nella prospettiva costruttivista dialettica esiste qualcosa che può definirsi “vera esperienza del sé” (Fosha, 2000,
2004). Questa la ritroviamo in quegli attimi di esperienza in cui l’intellettualizzazione,
la negazione, le interruzioni e gli evitamenti non sono più in funzione ed in cui il
cliente vive un’esperienza emotiva profonda e significativa che dà un significato agli
eventi della sua vita. Questi momenti esperienziali, spesso, si verificano accedendo alle
emozioni fondamentali o durante momenti di profonda intimità con gli altri. Vi sono
circostanze in cui, sul piano soggettivo, il cliente sente essenzialmente di aver vissuto
un’esperienza reale, profonda e vera. Egli arriva a considerare questa, un’esperienza del
proprio vero sé, anche se sperimenta questa per la prima volta. I clienti producono delle
affermazioni del tipo: «Finalmente sono me stesso», oppure «Sto iniziando a scoprire
chi sono veramente». Questi attimi di esperienza vera, sono una costruzione e un’affermazione di valore e una scoperta di chi si è veramente. Costituiscono una dichiarazione
su chi il cliente scopre di essere.
Nel modello costruttivista dialettico del funzionamento, la stabilità deriva da costruzioni ripetute dello stesso stato a partire da una serie di elementi costituenti multipli. Le persone si stabilizzano intorno ad organizzazioni caratteristiche del sé, che
sono costellazioni uniche di emozioni e cognizioni che vengono costruite ogni volta da
capo. In termini dinamici, questi sono definiti tratti (Whelton & Greenberg, 2001).
Queste organizzazioni caratteristiche, sono ciò che definisce il carattere di una persona
e sono responsabili degli aspetti più persistenti della personalità. Tuttavia, aggiungere
o sottrarre alcuni elementi dal processo di costruzione, può alterare questi tratti rendendo possibile il cambiamento. Questi tratti sono tentativi organizzati di minimizzare
le emozioni negative, massimizzare quelle positive e consentire un livello di espressione delle emozioni che sia socialmente adeguato (Magai & Haviland-Jones, 2002).
Queste organizzazioni agiscono anche come filtri selettivi per l’immagazzinamento di
informazioni ed implicano un insieme di strategie per gestire obiettivi emotivamente
rilevanti.
L’elaborazione a cura degli schemi emotivi
Il sistema di schemi emotivi, è il catalizzatore fondamentale dell’organizzazione
del sé e, pertanto, anche dell’organizzazione depressiva del sé ed è, alla fine, la strada
maestra per la cura della depressione. Come mostrato nella Figura 3.1, l’esperienza e la
prestazione non sono il prodotto di un singolo schema emotivo o di un singolo livello
di elaborazione. Piuttosto, sono generate da una sintesi implicita di una serie di schemi
che vengono attivati ed applicati contemporaneamente. Questi schemi vengono sintetizzati per configurare una risposta ad una situazione con l’aiuto di altre operazioni
mentali come l’attenzione, processi esecutivi e la riflessione, che promuovono ed in45
La terapia emotion-focused per la depressione
terrompono l’applicazione di determinati schemi (Greenberg & Pascual-Leone, 1995,
2001; Pascual-Leone, 1990, 1991). Per semplicità, ci riferiremo al complesso processo
di sintesi, in cui una serie di schemi emotivi attivati contemporaneamente, vengono
applicati simultaneamente per arrivare ad un senso unificato del sé che si relaziona
con il mondo, ossia all’elaborazione a cura degli schemi emotivi. Lo stato esperienziale
in sui si trova il sé momento-per-momento verrà definito organizzazione del sé. Nella
depressione, il sé possiede un’organizzazione esperienziale che lo vede come indegno di
amore, o privo di valore e impotente, o incompetente, perché vengono attivati i ricordi
appartenenti a schemi emotivi collegati a perdite importanti, umiliazioni o fallimenti.
Questi ricordi emotivi, vengono evocati in risposta a perdite o a fallimenti attuali e
fanno perdere forza al sé facendolo collassare nell’impotenza. Questo stato viene simbolizzato sotto forma di disperazione, spesso inutilità o insicurezza ansiosa. In aggiunta
al possesso di sistemi di significati ed espressivi su base biologica che generano la depressione, gli individui, che non cessano mai di costruire attivamente significati, creano
il sé depresso che si accingono a diventare.
Il Sé Narrativo
Un livello superiore di organizzazione del sé rispetto all’organizzazione degli schemi (ossia, sentire chi siamo), può essere definito identità narrativa (Greenberg & Angus, 2004; Whelton & Greenberg, 2001). Questa identità implica l’integrazione di una
serie di esperienze accumulate e di varie rappresentazioni del sé all’interno di una storia
o narrativa coerente. L’identità non può essere compresa al di fuori di questa narrativa.
Per acquisire coerenza e significato, le vite umane vanno “riprodotte” all’interno di una
storia; in questo processo le persone organizzano gli eventi in un discorso narrativo,
in modo che azioni ed esperienze disparate della vita vadano a formare una narrativa
coerente. Queste storie sono influenzate dalle culture differenti, che seguono regole
complesse relative alla forma che possono assumere le narrative complesse.
Le storie che le persone raccontano per spiegare chi sono, emergono in un’interazione dialettica fra il vissuto e la spiegazione di una serie di aspetti del funzionamento
del sé. Fondamentalmente, il sé è immerso in un corpo, ma un corpo ha bisogno di una
storia per agire in maniera significativa, per relazionarsi con il passato e con il futuro e
per trovare una collocazione a sogni, obiettivi, rimpianti, progetti, opportunità mancate,
speranze e a tutto ciò che forma una reale vita umana (Whelton & Greenberg, 2001).
La vita è, per sua natura, una storia, di cui noi rendiamo esplicita la struttura quando
riflettiamo sul nostro passato e sul possibile futuro. Dato che sul piano esperienziale il
sé è un flusso costante di un insieme di organizzazioni complesse, la creazione di una
narrazione è cruciale ai fini della costruzione di un’identità stabile (Greenberg & Angus,
2004). I ricordi immagazzinati negli schemi emotivi relativi ad eventi di vita ripetuti,
quelli che Philippot e Schaefer (2001) definiscono ricordi autobiografici generici, giocano
un ruolo importante nella narrativa. I ricordi schematici generici che contengono una
tematica o un’organizzazione ricorrente del sé in una serie di situazioni (come «Ogni
volta a cena era come camminare sui gusci d’uovo»), vengono associati ad un maggiore
livello di arousal affettivo. L’accesso a questi ricordi, così come quello ai ricordi episo46
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
dici di momenti altamente significativi, sono aspetti importanti del trattamento della
depressione emotion-focused. Uno studio preliminare concernente le narrazioni di fatti
da parte dei clienti (quando parlavano di ciò che gli era accaduto), ha riscontrato che i
clienti che avevano avuto un esito positivo, riferivano un numero maggiore di ricordi
autobiografici generici nelle sedute terapeutiche, rispetto ai clienti che avevano avuto
esiti non tanto positivi (Rotondi-Trevisan, Angus & Greenberg, 2004.)
Quello che suggerisce il punto di vista costruttivista dialettico, è che le voci più
importanti che vanno a comporre il sé, vengono coerentemente unificate all’interno
delle storie che le persone raccontano per spiegare se stesse. La narrazione, pertanto, è
uno dei poli della dialettica. La coerenza riguarda anche il corpo, e questo colloca inevitabilmente il sé all’interno di un ambiente (Damasio, 1999; Gendlin, 1996; Mahoney,
1991). Quest’altro polo, la rete intricata di sottosistemi corporei, sensomotori e affettivi, le cui informazioni vengono organizzate e sintetizzate dalla memoria all’interno
di stati del sé disponibili su un piano esperienziale, è fondamentale per rappresentare
l’esperienza umana. Tutte le emozioni, quindi, vanno a creare una storia e tutte le storie
personali sono modellate – ed inserite – dalla traiettoria di tematiche emotive emergenti (Greenberg & Angus, 2004). è spesso la narrazione del sali e scendi delle tematiche emotive – e dei desideri conflittuali, delle intenzioni, degli obiettivi e degli scopi
che rappresentano – a costituire il filo che collega in una trama unitaria le esperienze
disparate e gli eventi per creare un tutt’uno significativo e coerente, un’esperienza che
si dipana in una storia. Essenzialmente, la narrazione unifica sequenze di emozioni
all’interno di storie coerenti.
Il compito della terapia emotion-focused (EFT) è quello di aiutare i clienti a formare nuovi schemi di ricordi emotivi che portano a nuove risposte e al consolidamento
narrativo di questi cambiamenti. Questo tipo di trasformazione non è così semplice
come “raccontare” una nuova storia. Piuttosto, si tratta di “vivere” una nuova storia,
sperimentare fisicamente nuove possibilità e avere nuove esperienze che possano mettersi in contrasto con quelle precedenti e stimolare risposte flessibili.
La teoria della depressione emotion-focused
All’interno di un punto di vista costruttivista dialettico, la depressione è un disturbo emotivo del sé che implica la perdita del senso della vitalità del sé e della capacità
di avere un’organizzazione flessibile e forte. Invece di considerarsi forti, vitali e felici,
le persone depresse si considerano deboli, danneggiate e biasimabili, e reagiscono agli
ostacoli con una significativa perdita di autostima. Il sé assume un’organizzazione di
disperazione, impotenza, incompetenza e insicurezza, e ciò a causa dell’attivazione di
schemi di ricordi emotivi che evocano perdite importanti, fallimenti, umiliazioni o
trascuratezza. Questi ricordi generici provengono dal vissuto di determinati sentimenti
in fasi precoci di vita, spesso negli anni più formativi. Una volta attivate queste organizzazioni del sé, che si basano su emozioni vissute, compromettono la capacità delle
persone di elaborare e regolare le proprie esperienze emotive nel presente. L’obiettivo
della terapia è quello di ripristinare la spontanea capacità di funzionamento del sé, e di
47
La terapia emotion-focused per la depressione
attivare e promuovere le risorse esistenti della personalità che consentono la trasformazione dell’organizzazione depressiva del sé.
All’interno di questa visione processuale del sé, già spiegata nella parte iniziale
del capitolo, la depressione consta in una forma di organizzazione che si struttura nel
tentativo di regolare il sé e di far fronte ad una determinata situazione. I sintomi sono
sia un’espressione di vitalità, sia un tentativo di reprimerla. L’autoregolazione depressiva possiede, infatti, alcuni aspetti positivi: può rappresentare un modo inventivo per
esprimere l’unicità e gli aspetti creativi del funzionamento del sé ed ha anche un significato nella sopravvivenza evoluzionistica. All’inizio, la depressione, probabilmente era
una risposta adattiva alle perdite molto importanti, all’impotenza o alla sconfitta (Gilbert, 1998). L’umore negativo, la disperazione e anche il senso di inutilità, aiutavano,
in qualche modo, la persona ad affrontare le situazioni che considerava superiori alle
proprie forze, proclamando la propria sconfitta ed evitando così ulteriori attacchi. La
depressione è dunque un adattamento creativo del sé ad una situazione difficile (Perls,
Hefferline & Goodman, 1951).
La depressione, pertanto, agisce come adattamento creativo all’attivazione degli
stati affettivi dolorosi che la persona non si sente in grado di regolare; spesso questi stati emergono in relazione ad altri, in particolare al senso di inutilità legato alla
vergogna e all’insicurezza legata all’ansia. Quando questi stati affettivi non vengono
accettati, elaborati e regolati, ne deriva un senso di disperazione depressiva. Nel corso
degli episodi depressivi, le persone spesso non hanno accesso alle emozioni fondamentali dolorose. Non sono in contatto con la vergogna, l’ansia, la tristezza o la rabbia, e
non sono consapevoli delle voci interiori che sconfermano e nascondono l’esperienza
interna. Piuttosto, provano un livello di disagio complessivo, non hanno motivazione
e sentono di non poter riuscire a far niente. Non sono consapevoli del fatto che questo malessere viene esasperato dall’incapacità di discriminare ed elaborare le emozioni
fondamentali.
Precursori evolutivi della depressione adulta: la depressione negli
adolescenti
Harter (1998) ha sviluppato un modello dello sviluppo della depressione negli
adolescenti, in cui il senso del proprio valore e le emozioni mostravano una correlazione molto forte con la depressione. Sulla base di un modello precedente e semplificato,
che suggeriva che i pensieri fossero la causa principale della depressione, ha sviluppato
un modello più complesso in cui il senso del valore del sé, le emozioni e la disperazione
in generale, erano un indicatore composito di rischio di depressione negli adolescenti.
La sua ricerca ha identificato due ambiti di adeguatezza/competenza e due ambiti di
supporto sociale importanti nella previsione di una depressione. I due ambiti di adeguatezza/competenza si riferiscono, uno maggiormente ai coetanei e include l’aspetto
fisico, il grado di accettazione da parte dei pari e le capacità sportive, e l’altro all’approvazione genitoriale, includendo la competenza scolastica e la condotta comportamentale (ossia il grado in cui il ragazzo si conforma alle regole e alle norme sociali). Il due
ambiti di supporto sociale erano, invece, il sostegno dei coetanei e quello genitoriale.
48
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
Un elevato rischio di depressione era associato ad un’interazione fra un senso d’inadeguatezza nelle abilità giudicate importanti dal gruppo dei pari nel Dominio 1 e una
mancanza di sostegno dei coetanei nel Dominio 2, e fra un’adeguatezza in competenze
importanti per i genitori nel Dominio 1 e l’assenza di sostegno genitoriale nel Dominio
2. Pertanto, un’interazione fra il senso d’inadeguatezza e la mancanza di supporto dalle
persone coinvolte in quelle abilità, faceva aumentare il rischio di depressione nell’adolescenza. Gli adolescenti che avevano un vissuto di impopolarità, scarsa attraenza fisica
ed incompetenza atletica, e che non avevano alcun sostegno da parte dei pari, erano a
maggiore rischio di depressione, proprio come quelli che non avevano buoni risultati
scolastici o che avevano comportamenti negativi e che non si sentivano supportati dai
propri genitori.
Harter (1998) ha riferito che un modello in cui esiste un percorso diretto che va
dalle emozioni depressive al senso del proprio valore, era altrettanto esemplificativo
di quello in cui il percorso andava, invece, dal senso del proprio valore alle emozioni
depressive. Questo modello bidirezionale è stato confermato dai dati provenienti da
interviste le quali rivelavano che molti adolescenti sperimentavano le emozioni depressive prima di uno scarso senso del proprio valore personale. Molti ricercatori e terapeuti sono caduti vittime della convinzione che i pensieri precedano le emozioni nella
depressione, abbracciando il punto di vista secondo cui il giudizio cognitivo implicato
nel senso del proprio valore sia precedente all’emozione depressiva. Tuttavia, è divenuto
presto chiaro che la direzionalità di questo legame varia a seconda delle particolari emozioni e cognizioni in questione (per es., emozioni primarie vs. secondarie o strumentali,
processi cognitivi inconsci vs. consci) e delle specifiche differenze individuali ed evolutive (Greenberg, 2002; Leventhal & Scherer, 1987). è necessaria una comprensione
più articolata dei processi psicologici nella depressione.
Nel campione di studenti della Harter (1998) che sperimentavano un basso valore
personale che portava a emozioni depressive, l’aspetto fisico era la motivazione prevalente del giudizio negativo di sé. Per quelli che, invece, riferivano che le emozioni depressive precedevano uno scarso senso del proprio valore, le cause principali addotte erano
il rifiuto ed il conflitto interpersonale. Secondo il resoconto degli studenti, sembrava
che le reazioni depressive derivassero di solito dal senso d’inadeguatezza e dalla perdita
reale di altri significativi o della loro approvazione. Per coloro i quali un basso valore di
sé derivava dall’autocritica, sembrerebbe che l’organizzazione autocritica del sé dovesse
essere il focus del trattamento. Per coloro in cui l’emozione depressa portava, invece, al
basso valore di sé, sembrerebbe che il focus del trattamento dovesse essere maggiormente
centrato sulle relazioni conflittuali e non gratificanti con altri significativi.
Questi adolescenti riferivano anche di sperimentare la depressione come un insieme di tristezza e rabbia (Harter, 1998). L’80% del campione sceglieva la tristezza e la
rabbia come le due emozioni preminenti nel proprio vissuto depressivo. Un’adolescente depressa lamentava di sentirsi triste perché altre persone l’avevano ferita, ma anche di
provare rabbia nei loro confronti per non essersi prese cura di lei e per averla rifiutata.
Pertanto, nella depressione, la tristezza, di solito risultante dalla perdita di un altro
significativo, è spesso accompagnata dalla rabbia per essere stati abbandonati o trattati
ingiustamente. Il 39% degli adolescenti del campione totale, riferiva di provare rabbia
verso gli altri, mentre il 40% riferiva di provare rabbia sia verso gli altri che verso se
49
La terapia emotion-focused per la depressione
stessi. Questi risultati suggeriscono che potrebbero esservi almeno due pattern importanti nella depressione in adolescenza. Nel primo, è presente una profonda tristezza in
associazione a rabbia verso gli altri. Nel secondo, la tristezza è accompagnata da rabbia
diretta verso gli altri e verso se stessi.
La depressione negli adulti
La depressione negli adulti sembra fondarsi su sentimenti di inadeguatezza e di
mancanza di supporto nell’adolescenza. Sembra, tuttavia, che fra l’adolescenza e l’età
adulta si verifichi uno spostamento in direzione dell’ambito affettivo, dal momento che
nella depressione adulta emerge fortemente il senso di vergogna. Gli adulti sembrano
assumersi una maggiore responsabilità del proprio ruolo nelle interazioni sociali negative divendando maggiormente autocritici, in particolare se non hanno avuto alcuna
forma di sostegno nella crescita. Pertanto, provano un maggiore senso di vergogna o
sono maggiormente in grado di darle voce. Come gli adolescenti, gli adulti provano
rabbia verso gli altri, ma la esprimono con minore facilità, sembrano aver sviluppato
delle difese più forti o delle inibizioni contro la manifestazione degli impulsi di rabbia
o aggressivi. Numerosi ricercatori hanno riferito la presenza di rabbia e ostilità represse
in adulti depressi (Biaggio & Godwin, 1987; E. Frank, Carpenter & Kupfer, 1988;
Riley, Treiber & Woods, 1989). In aggiunta alla vergogna, gli adulti depressi che hanno
vissuto una perdita o che sono stati trascurati da bambini, portano in sé l’insicurezza
dell’abbandono ed hanno un forte vissuto di paura.
La depressione negli adulti deriva da tre principali eventi stressanti: perdita, umiliazione e senso di intrappolamento (Brown, Harris & Hepworth, 1995; Kendler, Hettema, Butera, Gardner & Prescott, 2003). La perdita, da tempo considerata come il
principale evento precipitante nella depressione, è stata descritta come una diminuzione nel senso di connessione e benessere, che include una perdita reale, o percepita come
reale, di una persona, di un possesso materiale, della salute, del rispetto, del lavoro, di
un’idea importante per il sé o di un legame forte. L’umiliazione è stata definita come
un sentimento di svalutazione da parte degli altri o del sé, di solito associato a rifiuto o
ad un fallimento di ruolo. L’intrappolamento si verifica in una circostanza continua di
marcata difficoltà che perdura da almeno 6 mesi ed in cui la persona si aspetta ragionevolmente un peggioramento, con scarse o assenti possibilità di risoluzione in seguito
ad azioni possibili.
Gilbert (1992) suggerisce che il senso di intrappolamento che si prova a vivere in
ambienti non responsivi, o l’incapacità di fuggire da altri abusanti od ostili, potrebbe
avere un effetto più depressogeno di una perdita reale. Gilbert e Allan (1998) hanno
trovato che il senso di sconfitta, il sentirsi in trappola e le motivazioni alla fuga, erano
tutti fattori significativamente associati alla depressione. Quando un’emozione avversiva forte si associa all’incapacità di fuggire, ne deriva una smobilitazione depressiva.
Un simile processo di sconfitta si verifica nella perdita, in cui il fallimento sta nel non
riuscire a raggiungere l’oggetto perduto o nel non essere in grado di lasciar andare il
bisogno di connessione o intimità. Kendler et al. (2003) hanno trovato che la perdita
e l’umiliazione erano i più importanti antecedenti della depressione pura, mentre il
50
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
senso di intrappolamento e la perdita erano migliori predittori della depressione mista
ad ansia.
Pertanto, la depressione spesso si verifica quando le persone si sentono impotenti
e perdono la propria forza ed il senso di controllo sugli eventi. Tuttavia, come Gilbert
(1992) ha evidenziato, è importante riconoscere che, anche se i sentimenti d’inutilità e
fallimento sono caratteristiche centrali nella maggioranza delle depressioni, non sono
presenti in tutti i clienti depressi. L’impotenza che deriva dalla perdita del controllo su
risorse importanti, anche senza sensazioni di inutilità personale e visioni negative di sé,
può essere sufficiente, in alcuni individui, al precipitare della depressione. Per esempio,
le persone possono diventare depresse quando la persona che amano le lascia, o quando
vengono umiliate e non riescono a trovare un altro lavoro, o quando vengono colpite
da una malattia o dall’amputazione di un arto; in queste situazioni, potrebbero non
incolpare se stesse, ma diventare comunque depresse. è lo stato emotivo fondamentale
di impotenza la chiave di numerose depressioni. Le persone depresse hanno perso la
capacità di sopportare e di elaborare le esperienze emotive fondamentali di tristezza e
di rabbia; ciò che prevale è, invece, un senso di impotenza. Perdono la spontaneità e
l’accesso alle risorse interiori, si chiudono in se stesse, diventano passive e perdendo la
capacità di rispondere ai problemi in maniera più ottimistica, attiva e flessibile.
La regolazione delle emozioni nella depressione
Nella vita adulta, anche se il fallimento e l’isolamento, con la relativa perdita di
uno status o di una relazione, possono precipitare in una depressione, alla fine, è l’incapacità del sé di regolare le proprie risposte emotive a questi eventi stressanti il fattore
veramente importante nell’insorgenza e nel mantenimento della depressione e della
sensazione di scarso valore personale. Esperienze di vita precoci di perdita, umiliazione
o intrappolamento (o esperienze traumatiche come queste in fasi successive della vita),
compromettono la capacità delle persone di elaborare l’esperienza emotiva e portano
alla costruzione di schemi emotivi disfunzionali, dove lo schema emotivo è il principale
catalizzatore delle organizzazioni del sé. Le esperienze di impotenza, rifiuto, perdita e
mancanza di sostegno, in particolare nelle fasi precoci della vita, spesso hanno come
risultato emozioni che diventano insopportabili, e queste esperienze vengono codificate all’interno di schemi emotivi. I disturbi depressivi maggiori, spesso, si presentano in
associazione a disturbi d’ansia, rendendo l’ansia e il senso d’impotenza, in aggiunta alla
vergogna e alla disperazione, aspetti importanti di schemi emotivi del sé insicuro che è
il nucleo della depressione. La tristezza ed il bisogno vissuti nelle esperienze di perdita
e deprivazione dell’infanzia, vengono codificate come inadeguatezza del sé. I rifiuti, le
delusioni, o le offese del presente vengono vissute come una conferma dell’inadeguatezza e della ferita ricevuta. Il nucleo affettivo disadattivo della depressione è costituito
da intensi sentimenti di disprezzo di sé e di vergogna per le ferite subìte, in associazione
ad ansia e dipendenza; la tristezza per la perdita e la rabbia in risposta ad una violazione, quando vengono adeguatamente elaborate e supportate, formano invece un nucleo
adattivo. Qualunque siano gli antecedenti, l’antidoto sembra essere la riacquisizione
del senso di forza personale e di connessione; rivivere la capacità di provare una rabbia
51
La terapia emotion-focused per la depressione
e una tristezza adattive sono la chiave per il superamento della depressione e dell’impotenza.
Un sé sicuro, secondo il nostro punto di vista, si forma principalmente attraverso
la regolazione diadica delle emozioni, e un fallimento in questa regolazione porta ad un
sé insicuro (Fosha, 2000; Schore, 2003; Siegel, 2003; Stern, 1995; Trevarthen, 2000).
Il bambino entra nel mondo con un insieme basilare di emozioni adattive che devono
essere regolate tramite l’interazione; il fallimento nella regolazione diadica di queste
emozioni porta ad un indebolimento del senso del sé. La trascuratezza o l’abuso, emotivo e fisico da parte dei genitori, che include minacce, umiliazioni e critiche, mettono
il sé che si sta sviluppando, in una situazione di pericolo e di impotenza accrescendo la
vulnerabilità della persona alla depressione. Schore (2003) ha evidenziato che il modo
in cui i caregiver trattano i bambini, influenza la maturazione cerebrale dei neonati e la
loro capacità di autoconsolazione.
In aggiunta alla capacità di regolare le emozioni, i vissuti collegati alle emozioni
che gli altri manifestano verso il sé, sono l’altro fondamento dell’esperienza di sé e della
visione del sé che viene immagazzinata negli schemi emotivi. La sensazione di un sé
sicuro e il punto di vista «Sono una persona degna di amore», sono il risultato di numerose esperienze d’amore veicolato dagli altri al bambino (Gilbert, 2003). Per contro,
un bambino che subisce un abuso sessuale, immagazzina nella memoria esperienze
di paura e di disgusto che si trasformano nel vissuto «Sono una persona ripugnante
e cattiva». Tomkins (1962) sosteneva che la vergogna e altre emozioni di imbarazzo,
vengono incamerate nella memoria sotto forma di scene e immagini del sé all’interno
delle relazioni. Poi le persone vivono all’interno delle proprie menti secondo come sono state trattate dagli altri. Le convinzioni sul sé, quindi, si basano su ricordi emotivi,
codificati attraverso la via veloce limbica, che successivamente trasmette le informazioni ai sistemi corticali superiori che vanno a costruire l’identità del sé. Ecco come una
cliente può arrivare a dire «So che il mio corpo non è disgustoso e che mio marito non
è pericoloso, ma ogni volta che mi si avvicina con intenzioni sessuali provo paura e un
senso di disgusto».
Il maltrattamento infantile è una fonte importante di disregolazione affettiva, di
costruzione di schemi disadattivi e di una conseguente depressione. Dal momento
che la fonte principale di sicurezza e conforto è allo stesso tempo pericolosa, perché
genera paura e umiliazione, l’impossibilità di ricevere protezione o consolazione
dal caregiver genera uno stato insopportabile di ansia e isolamento. Ne derivano
paura e vergogna patologiche e, a volte, rabbia. Si forma un senso di sé svuotato,
percepito come non degno di amore, cattivo, difettoso, inutile e impotente. Il sé
sperimenta disperazione, impotenza e sconforto. Può presentarsi anche un senso
di frammentazione, di disgregazione e di incapacità nella regolazione delle proprie
emozioni. La formazione di un senso del sé impotente e vulnerabile e la difficoltà
nella regolazione emotiva, possono, però, essere il risultato anche di altre esperienze
di una costante mancata sintonizzazione empatica da parte dei caregiver, o di intense
esperienze di perdita, umiliazione o intrappolamento, in dati momenti della vita, che
non ricevono le risposte adeguate di conferma, miglioramento, cura, consolazione e
conforto, o di esperienze casuali di abuso o trauma in cui l’individuo si sente solo,
violato, impaurito e impotente. Le difficoltà nella regolazione affettiva, possono essere
52
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
una conseguenza di queste situazioni e potrebbero svilupparsi modalità disadattive di
affrontare le emozioni dolorose.
Un’organizzazione debole e negativa del sé
Nel modello costruttivista dialettico, il sé ha una natura modulare e differenti
aspetti del sé tendono a svilupparsi in seguito a particolari stati psicologici ed emozioni che si riflettono nell’esperienza e nel comportamento. Questi sé parziali non sono
strutture reificate, ma piuttosto sistemi dinamici auto-organizzantisi che emergono
come differenti voci della personalità. Non sono parti permanenti, fisse, “reali” da sé;
piuttosto ciascuna componente è in un processo di costante costruzione attraverso
l’integrazione di una serie di input. Inoltre, ciascun aspetto del sé contiene molto di
più di ciò che può essere catturato con qualunque descrizione esplicita. Queste organizzazioni del sé, basate sulla sintesi di schemi emotivi, sono come “voci” all’interno
della persona (Elliott & Greenberg, 1997; Stiles, 1999) che a volte parlano da sole, ma
che più spesso parlano in contemporanea ad altre voci, in sincronia o in discordanza.
è di vitale importanza che i terapeuti riconoscano e rispettino questa molteplicità di
organizzazioni del sé o voci, perché rappresentano una fonte importante di crescita e
di adattamento creativo.
Sulla base delle nostre osservazioni cliniche, sembra che la depressione si verifichi
in seguito all’attivazione di un’organizzazione del sé debole o negativa o quando questa
diventa l’organizzazione predominante. Questa organizzazione del sé, come abbiamo
detto, è qualcosa di più di una visione negativa del sé, degli altri e del mondo, e qualcosa di più anche della disfunzionalità sul piano interpersonale, anche se tutti questi
fattori sono importanti. Un’organizzazione debole o negativa del sé, piuttosto, implica
l’evocazione di vissuti d’impotenza, caratterizzati prevalentemente da vergogna e paura,
e di modalità disfunzionali di gestire le emozioni conseguenti. Il problema della depressione, pertanto, si presenta in seguito a come vengono evocate le emozioni, gestite, e
regolate. Una vergogna intensa, che si basa su un giudizio fondamentale di svilimento,
viene evocata da un fallimento percepito, mentre la rottura di una relazione evoca un
giudizio di abbandono o di isolamento, con la relativa ansia schiacciante e insicurezza di
base propria delle personalità dipendenti. Queste esperienze affettive portano all’attivazione di un’organizzazione depressiva del sé, basata sugli schemi emotivi, caratterizzata
da senso di sconfitta, impotenza, imbarazzo, inutilità e dal non essere degni di amore.
Le modalità disfunzionali del soggetto di affrontare queste sensazioni, attraverso l’evitamento ed il ritiro, peggiorano lo stato depressivo. La depressione, pertanto, s’incista
quando diviene dominante la combinazione di sentimenti emotivi di non essere amati,
di umiliazione, intrappolamento e impotenza, e quando la persona non è in grado di
mobilitare risposte alternative.
Alcuni teorici hanno fatto una distinzione fra depressioni del tipo dipendente e del
tipo perfezionistico (Blatt, 1974). La depressione del tipo dipendente sarebbe il risultato
di esperienze di vita che hanno lasciato all’individuo un senso del sé debole e non degno
di amore, a causa di cattive relazioni di attaccamento o perdite. Di conseguenza, sono
più vulnerabili alla perdita interpersonale e all’abbandono, si sentono fondamentalmen53
La terapia emotion-focused per la depressione
te insicure e si ritirano dalle relazioni (Blatt, 1974, 2004). La verbalizzazione del vissuto
potrebbe presentarsi sotto queste forme «Non sono in grado di sopravvivere da solo»
oppure «Sono solo e nessuno mi ama». Al contrario, le depressioni del tipo perfezionistico sarebbero il risultato dell’essere stati sottoposti ad eccessive richieste, di aver avuto
uno scarso sostegno interpersonale, di essere stati trattati male e di non aver formato un
senso del sé come competente. Queste persone sono fortemente critiche, si considerano
in modo negativo, si sentono prive di valore e provano disprezzo di sé. Il sé, quindi,
prova un forte senso di vergogna e cerca di reprimere le emozioni. Questo processo
genera quelle forme di depressione con forte auto-critica associate al perfezionismo
che si sono dimostrate resistenti ai trattamenti brevi (Blatt, 2004). Il vissuto viene
verbalizzato sotto forma di espressioni come «Non sono abbastanza bravo», oppure
ancora, ad esempio «Non valgo nulla». Nella terapia, l’organizzazione autocritica che si
fonda sulla vergogna e l’organizzazione ansioso-dipendente, spesso, sono strettamente
interconnesse, ma a volte emergono in alternanza, come stati momentanei di vergogna
o ansia nucleari.
Tematiche depressive orientate al Sé o agli Altri
Per comprendere più approfonditamente le differenti tipologie di depressione,
abbiamo condotto uno studio qualitativo sui resoconti post-seduta e post-terapia di
72 clienti e dei loro terapeuti che hanno partecipato alle ricerche York sulla EFT per
la depressione. Questo studio ha rivelato due principali meta-tematiche terapeutiche,
insieme ad una serie di sotto-argomenti. Questi sotto-argomenti rappresentavano, sotto forma narrativa, le differenti organizzazioni del sé su cui abbiamo lavorato nella
terapia. La sezione che segue, descrive brevemente le due tematiche principali, definibili come orientate al sé e orientate agli altri, ed i relativi sotto-argomenti (Goldman,
1997; Kagan, 2003). Ciascun cliente poteva presentare più di una tematica e più di un
sotto-argomento ricorrenti nel corso della terapia. Gran parte dei clienti presentavano
tematiche che appartenevano al dominio del sé e degli altri, e sotto-argomenti afferenti
all’ambito dell’autocritica e dell’abbandono.
Tematiche orientate al sé
Le tematiche orientate al sé, ruotano intorno a questioni intrapersonali relative
al senso di valore e all’accettazione di sé. Queste tematiche sono corrispondenti alle
descrizioni di Blatt (1974) delle depressioni autocritiche e implicano un senso negativo
del sé (Greenberg & Paivio, 1997); una fissazione negativa sul sé, caratterizzata da autocondanna, disprezzo di sé e dubbio di sé. Sono presenti anche una concentrazione su
stati affettivi negativi (per es. «Sto male», «Sono arrabbiato», «Ho paura», «Mi vergogno») o blocchi nella capacità di provare sensazioni (per es. «Mi sento inibito in relazione alla mia rabbia», «Ho paura della mia debolezza», «Mi fa rabbia provare tristezza»).
Questo gruppo includeva anche il perfezionismo e le persone riferivano di avere elevati
standard di prestazione in una serie di ambiti, paura di fallire e una preoccupazione
eccessiva di sbagliare.
54
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
Un’analisi teorica costituita da 36 resoconti post-seduta di clienti e terapeuti sugli
eventi della seduta, compilati dopo ciascun incontro, ha portato all’individuazione di
quattro categorie all’interno delle tematiche orientate al sé: autocritica, chiusura, mancanza di una direzione e impotenza (Kagan, 2003). Fatta eccezione per tre individui,
ogni soggetto dello studio presentava almeno una tematica relativa la sé. L’autocritica
era la categoria più prevalente nelle tematiche orientate al sé (92%), seguita dalla chiusura (47%). Quasi tutti i clienti, pertanto, vivevano e lavoravano sull’autocritica nel
corso delle sedute terapeutiche.
Sono poi state identificate quattro forme di autocritica:
1. confronto e disperazione, o sentimenti di inferiorità rispetto agli altri;
2. eccessiva sensibilità o senso di bisogno, oppure autocritica verso la necessità di affiliazione;
3. “doveri” interiorizzati e sentimenti inaccettabili, o fallimento nel soddisfare le aspettative o gli ideali o presenza di sentimenti non accettabili;
4. senso di inutilità, o visione del sé come indegno di amore, non desiderabile o non
all’altezza.
In uno studio qualitativo relativo all’autocritica sulle differenze nelle trascrizioni
di dialogo fra due sedie (Whelton & Greenberg, in stampa; Whelton & Henkelman,
2002), otto erano i raggruppamenti che descrivevano l’azione della critica: la critica che
impone delle richieste e dà ordini; che ammonisce e fa raccomandazioni; che spiega e
giustifica; che induce paura e ansia; che genera preoccupazione, protezione e supporto;
che descrive; che indaga e pone domande e che attacca il sé e condanna.
Tematiche orientate agli altri
La seconda tematica fondamentale si concentra attorno ad una forte necessità di
approvazione, accettazione ed affezione ad altri significativi. Questa categoria corrispondeva, nella letteratura, alle descrizioni della depressione di tipo dipendente (Blatt, 1974)
che abbiamo definito come il sé debole (Greenberg & Paivio, 1997). In un queste forme
di depressione, il focus è sulle azioni e sui sentimenti degli altri, ed è presente un locus
di responsabilità esterno anche per i sentimenti del cliente (per esempio «I miei figli mi
ignorano», «Mi sento escluso e non apprezzato», «Ho bisogno di un amore incondizionato»). I clienti che presentano tematiche orientate agli altri, trascorrono gran parte del
tempo nella terapia, a parlare dei propri sentimenti in relazione ad altre persone delle
loro vite, delle perdite che hanno subìto, degli abbandoni, delle aspettative percepite che
gli altri avevano su di loro e della frustrazione derivante dal fatto di non avere le relazioni
che avrebbero desiderato. Spesso sentono di aver perso l’amore o che gli altri pretendono
troppo da loro. Hanno paura di essere rifiutati, puniti, e giudicati male se non soddisfano le aspettative degli altri. Spesso ricercano l’approvazione e sentono di non poter dire
di no, a meno di non rischiare il rifiuto e la disapprovazione di altri significativi.
Tutti i 36 clienti presentavano tematiche orientate agli altri. Dall’analisi sono
emerse quattro tipologie di tematiche orientate agli altri: abbandono o rifiuto, isola55
La terapia emotion-focused per la depressione
mento, perdita e colpa (Kagan, 2003). Le esperienze di abbandono o di rifiuto erano
prominenti nei 36 casi di depressione studiati, andando a costituire l’83% delle tematiche orientate agli altri, seguite dall’isolamento (31%). I due principali sotto-argomenti
relativi all’abbandono e al rifiuto, erano l’abbandono e la ricerca di approvazione, e
l’autocritica. L’abbandono e la ricerca di approvazione a sua volta si suddividevano in
due ulteriori sottotipi: la cura e il fare piacere.
Molti clienti presentavano tematiche depressive miste che includevano entrambe
le tematiche. Alcuni componenti di questo gruppo misto di clienti, riferiva un elevato
livello di preoccupazione per il rifiuto e le aspettative degli altri da un lato, e per il valore di sé e l’accettazione di sé dall’altro. Altri clienti, dimostravano un elevato bisogno di
successo associato ad un forte desiderio di affiliazione, di appartenenza e accettazione
da parte degli altri. Questi individui, quindi, presentavano elementi afferenti sia alla
depressione autocritica sia a quella dipendente. Questo risultato mostra che l’organizzazione autocritica, che si fonda sulla vergogna, e quella ansioso-dipendente, sono spesso
interconnesse.
Secondo il nostro punto di vista, la depressione sembra realizzarsi nel punto di
collegamento fra sé e gli altri. In questo studio, solo tre clienti (8%) avevano tematiche solo orientate al sé o agli altri. Quasi tutte le depressioni, pertanto, sembrano
coinvolgere una combinazione di tematiche relative al sé e agli altri. Tuttavia, le prove
raccolte indicano la paura dell’abbandono o del rifiuto come la categoria principale
attorno a cui si raggruppavano quasi tutte le depressioni presenti in questo studio.
Anche i clienti che presentavano una componente autocritica molto forte avevano
preoccupazioni relative all’abbandono. Molti clienti autocritici, alla fine, rivelavano
che il desiderio di essere sempre perfetti, di essere sempre forti, o di non fallire mai,
era funzione della necessità di essere amati e della convinzione che solo la capacità,
la padronanza e la perfezione gli avrebbero procurato quell’amore di cui avevano
bisogno. L’autocritica era la tematica relativa al sé più comune (92%), presente in
tutti ad eccezione di tre, i clienti dello studio. Nella maggior parte dei casi, l’autocritica si associava all’abbandono o al rifiuto, rendendo la coppia autocritica – paura
dell’abbandono del rifiuto – quella più comune nelle tematiche condivise (75%).
L’autocritica si accompagnava anche a molte altre tematiche relative al sé e agli altri,
e sembrava funzionare da amplificatore delle tematiche esistenti, combinando e intensificando tematiche come la mancanza di una direzione, la chiusura, l’impotenza,
l’isolamento e la perdita.
Potrebbe essere che le due forme di depressione – introiettiva (orientata al sé,
perfezionistica) e anaclitica (dipendente, impotente, che ricerca approvazione) – siano
indicative di due differenti metodi per gestire le minacce di abbandono e di rifiuto
(Blatt, 2004). Per alcune persone, la migliore linea di difesa contro il rifiuto è una
buona offesa, anche se contro il sé, che si manifesta sotto forma di autocritica. Anche
se la depressione introiettiva, in teoria, implica standard irrealisticamente elevati ed un
intenso bisogno di riuscire, è attinente chiedersi quale possa essere la ragione più profonda di un simile comportamento. É chiaro che il perfezionismo non è un obiettivo
di per sé, ma che agisce come una sorta di assicurazione contro un esito temuto, come
l’abbandono. I clienti perfezionisti di questo studio, esprimevano la necessità di curarsi
degli altri, di sembrare perfetti, di essere sempre forti e di non manifestare mai rabbia,
56
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
come condizioni necessarie per avere un’intimità o per essere considerati dagli altri.
Spesso, un esame più profondo della depressione introiettiva rivela delle tematiche
dipendenti latenti. Pertanto l’autocritica potrebbe essere meglio compresa come un
tentativo di far fronte ai sentimenti di dipendenza, alla necessità di sentirsi amati e ai
bisogni di attaccamento, invece di essere considerata una caratteristica completamente
differente con una specifica vulnerabilità alla depressione.
Gli schemi emotivi e la depressione
Nel nostro modello l’organizzazione nucleare depressogena del sé debole o negativo, viene attivata da un’esperienza emotiva attuale di perdita, umiliazione o intrappolamento. Da questo punto di vista, è il significato emotivo implicito di un evento,
più che i pensieri o le convinzioni da sole o le aspettative delle risposte altrui verso il
sé, a dirigere il funzionamento. Quando le persone sperimentano un evento di vita
depressogeno, vengono attivate sensazioni quali quella di non sentirsi amati, di essere
soli, tristi, delusi, arrabbiati, impotenti e di vergogna. Ipotizziamo che siano queste
esperienze ad agire come principali agenti scatenanti di un’esperienza fondamentale del
sé come profondamente inadeguato o insicuro. La valutazione fondamentale evocata
dalle emozioni, basata sui ricordi emotivi e sull’organizzazione tacita dell’esperienza di
vulnerabilità precedenti, innesca un processo di sconfitta. Il sé si giudica svilito, non
degno di amore, abbandonato o incapace di sopravvivere da solo. Come risultato, non
è più organizzato in termini di forze e risorse, ma intorno ad un senso di impotenza,
inadeguatezza e insicurezza. Si perde resistenza psicologica mano a mano che la persona
sperimenta vergogna, ansia e impotenza, e un senso di debolezza o negatività del sé. In
risposta alla perdita, all’umiliazione, o al fallimento, le persone inclini alla depressione
perdono la capacità di resistere e si lasciano andare. Certamente, molte teorie della depressione catturano l’essenza di “una battaglia persa” all’insorgenza della depressione,
che si verifica quando un individuo, che all’inizio aveva la forza di perseguire un obiettivo, viene smobilitato quando questi sforzi diventano vani. I teorici dell’attaccamento
hanno osservato che la disperazione segue la fase di protesta (Bowlby, 1980), mentre
nella teoria dell’impotenza appresa, un animale che compie tentativi di fuga senza risultato, alla fine, si arrende (Seligman, 1975).
Come mostrato nella Figura 3.2 la risposta ad un evento, spesso un importante
evento stressante o la convinzione di aver perso qualcosa o di aver fallito, genera
un’emozione adattiva, di tristezza e disagio di fronte alla perdita. Questa emozione,
con la relativa tendenza a cercare conforto e sollievo, è la risposta emotiva primaria.
Tuttavia, nelle persone inclini alla depressione, ipotizziamo che questa reazione emotiva adattiva iniziale agli ostacoli, evochi un prototipo di schema contenente esperienze emotive collegate immagazzinate nella memoria che producono un giudizio fondamentale di svilimento o abbandono, le quali avevano accompagnato le esperienze
precoci di tristezza e perdita (Smith, 1996). Questo schema, quindi, arriva a governare la modalità di elaborazione della persona. L’evocazione di emozioni disadattive, si
verifica perché i ricordi vengono immagazzinati al livello emotivo e, in questo caso, la
tristezza evoca ricordi tristi e le relative emozioni non risolte. L’attivazione di schemi
57
La terapia emotion-focused per la depressione
emotivi fondamentali disadattivi da parte dell’emozione primaria iniziale adattiva, è
un aspetto centrale nella produzione di un insieme di pensieri negativi persistenti e
di un senso di disperazione del sé caratteristico della depressione. L’elaborazione dei
ricordi immagazzinati in schemi emotivi disadattivi, genera le emozioni patogene
della vergogna, paura e ansia. Pertanto, provare tristezza o disagio in risposta ad una
perdita o a un fallimento, evoca lo stato depressivo della vergogna e della paura fondamentali, e il senso di debolezza, negatività o sconfitta del sé che si è formato nelle
esperienze di vita precedenti. Una volta che questa risposta è stata attivata, la persona
si sente inutile, non amata, abbandonata, sola e vuota. Prevale un sentimento fondamentale d’impotenza, di sconfitta, d’intrappolamento e d’immobilizzazione.
Figura 3.2 Ciclo dello schema emotivo di risposta alla perdita che conduce alla
depressione.
Stimolo
Nuova perdita/fallimento
Pensiero Comportamento
Emozione primaria
secondario
Scarsa energia
tristezza/delusione
«Dovrei darmi
Coping disadattivo
una mossa»
Emozioni secondarie
disadattive:
umore negativo/disperazione
Paura
vergogna
disadattive
«Non posso
sopravvivere»
«Sono debole»
«Sono inutile»
Pertanto, è la reazione emotiva della persona a una data situazione, che attiva gli
schemi emotivi disadattivi e un’organizzazione depressiva del sé che identifichiamo
come voci nella personalità. Questo stato disadattivo, spesso, include l’introiezione di
valutazioni negative, come «Sono inutile» e di disprezzo di sé. L’attivazione di questa
sensazione di impotenza e di intrappolamento, genera una risposta emotiva secondaria
di disperazione, rassegnazione e di depressione.
Quindi le persone che soffrono di depressione, in risposta alle sfide, si organizzano automaticamente intorno ad una struttura fondamentale di debolezza, si aspettano di perdere e di essere svilite o umiliate. Le possibilità di fuga sembrano tutte
bloccate e la persona prova colpa, paura e senso d’inferiorità. Le persone inclini alla
58
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
depressione, pertanto, reagiscono alla propria sottomissione sentendosi ancora più
deboli, inferiori, bloccate, e intrappolate perché si sono arrese o sottomesse (Gilbert,
2004). Queste sensazioni generano lo stato di disperazione secondario. Quando le
persone hanno avuto esperienze in cui sono riuscite a superare degli ostacoli o hanno
scoperto delle isole di speranza in situazioni difficili precedenti, sono molto più resistenti. Le risposte di forza non depressogene implicano assertività e rabbia di fronte
a ostacoli o impedimenti, e queste risposte possono generare un senso di controllo o
la capacità di accettare la sconfitta e di lasciar andare un obiettivo che non può essere
conseguito. Inoltre, se le persone con atteggiamento non depressogeno sfuggono,
provano un senso di sollievo, oppure accettano il compromesso e non sentono di
essersi arrese o di aver abbandonato una lotta. Se un individuo riesce ad accettare la
sconfitta e ad andare avanti, la depressione che ne deriva è lieve e di breve durata. È
quando gli individui si sentono sconfitti e non riescono a lasciar andare questa emozione per progredire o non riescono a modificare i propri obiettivi e aspirazioni, che si
verifica con maggiore probabilità una depressione più grave. Aiutare i clienti a lasciar
andare un obiettivo o a cambiarlo è, quindi, un obiettivo importante nella EFT per
la depressione.
Tutti questi elementi – la voce che giudica negativamente la vergogna o la paura
primaria, un senso di debolezza o negatività del sé e la disperazione secondaria – vengono sintetizzati all’interno delle complesse “emozioni negative” della depressione, con la
relativa letargia e inattività. Il processo della depressione implica anche un’escalation di
autocritica. La persona inizia a rimproverarsi per il fatto di essere depressa, e da questo
potrebbero derivare tentativi di “addestrare” il sé in maniera coercitiva e dispregiativa,
a “tirarsi fuori da questa situazione”. Questo, a sua volta, genera ulteriori esperienze di
fallimento e senso di inutilità, che evocano sempre più gli schemi emotivi collegati al
fallimento e alla perdita. Questa è una forma di depressione secondaria. Inoltre, s’instaura una forma di coping disadattivo; le persone si ritirano dall’interazione sociale,
cercano di curarsi da sole e cercano di sfuggire le emozioni negative.
Le modalità di affrontare le emozioni negative, pertanto, diventano una parte importante della depressione di per sé. Invece di gestire le emozioni negative fondamentali, le persone si smobilitano, si ritirano dagli altri ed evitano di affrontare le situazioni;
si sentono disperate, si rimproverano per ciò che provano e, quindi, non riescono a
far nulla. Parte della motivazione alla base dell’evitamento potrebbe essere l’impotenza appresa, dal momento che l’individuo non è riuscito a soddisfare i propri bisogni
in precedenza, oppure non ha imparato delle risposte alternative che riescano a farlo
sentire meglio. Potrebbero cercare di trovare delle modalità problematiche per alleviare
il dolore; potrebbero interrompere automaticamente il flusso delle emozioni e sperimentare uno stato di confusione, che fa sorgere uno stato generale di malessere. Altre
volte dormono, si distraggono, fanno uso di sostanze per sfuggire il dolore. Fintanto
che particolari strategie difensive di coping o comportamentali vengono associate alla
regolazione degli stati affettivi avversivi, diventano soluzioni disadattive automatiche
ai problemi emotivi. Le strategie di coping come l’evitamento, la distrazione o l’intorpidimento, sono forme di conoscenza procedurale che vengono attivate non appena si
sperimenti una determinata emozione. Le persone cercano automaticamente di sopprimere l’emozione e di distrarsi; si isolano dagli altri, privando se stessi del supporto
59
La terapia emotion-focused per la depressione
sociale necessario.
In sintesi, quindi, il nostro modello di depressione suggerisce che a condurre ad
organizzazioni depressive del sé, siano l’attivazione e la sintesi di schemi emotivi fondamentali depressogeni, e l’incapacità di gestire le emozioni (Greenberg, Elliott & Foerster, 1990; Paivio & Greenberg, 1998). L’esperienza depressiva che viene innescata
dall’attivazione di schemi emotivi, viene, poi, simbolizzata all’interno della sfera della
consapevolezza sotto forma di convinzioni relative al sé, agli altri e al mondo, e viene
vissuta sotto forma di sensazioni di paura, abbandono, insicurezza di base e vergogna
e, sul piano comportamentale, come l’incapacità di uscire dalla situazione. In risposta
ad emozioni fondamentali dolorose e all’esperienza del sé, le persone creano anche
strategie di coping disfunzionali come l’evitamento, l’intorpidimento, l’elaborazione
incompleta delle emozioni e il ritiro, modalità che portano tutte ad un’esasperazione
della depressione.
Gli schemi emotivi depressogeni basati sulla perdita, sull’umiliazione e sul senso
di intrappolamento, immagazzinano le informazioni in forma primitiva. Quando nel
presente si verificano situazioni che hanno caratteristiche simili a quelle di esperienze
precoci, gli schemi depressogeni vengono attivati e, una volta attivati, influenzano le
percezioni e le esperienze attuali. Le persone inclini alla depressione vengono sopraffatte dalle proprie emozioni negative e i modi in cui cercano di regolarle sono fonte di
ulteriori difficoltà (Kennedy-Moore & Watson, 1999). Le risposte intense di disperazione e sconforto al proprio stato fondamentale emotivo di vulnerabilità, oltre che alla
propria incapacità di affrontare le emozioni, sono parti importanti della depressione
che devono essere entrambe affrontate nel corso della terapia.
Le emozioni nella depressione
Anche se si sente spesso dire «Mi sento depresso», la depressione non è un’emozione. La tristezza, la delusione, la paura e la vergogna lo sono. La depressione è una
sindrome e, spesso, l’evitamento delle emozioni fondamentali è una caratteristica di
questa sindrome. Le persone depresse hanno paura delle proprie emozioni fondamentali. Le donne, molto spesso, non riconoscono la propria rabbia e gli uomini la tristezza
e le proprie vulnerabilità. Invece di sperimentare le normali fluttuazioni di felicità,
tristezza, delusione, rabbia e desiderio, alcune persone depresse provano una grigia
monotonia.
Quali sono queste emozioni dolorose e temute in cui le persone depresse si sentono intrappolate e che cercano di evitare? Nello studio descritto nella sezione precedente
(Kagan, 2003), erano emersi quattro principali raggruppamenti emotivi che descrivevano meglio le principali emozioni su cui i clienti, in terapia per una depressione,
si concentravano maggiormente: vergogna o senso di colpa, paura o ansia, tristezza e
rabbia. Non erano presenti storie di depressione che non includessero almeno una di
queste quattro categorie emotive. Questo risultato supporta il punto di vista secondo
cui l’emozione è parte integrante di tutte le narrative depressive. Molti clienti si focalizzavano su più di un’emozione nel corso del trattamento. La frequenza delle tematiche
emotive nelle 36 terapie era la seguente: rabbia 66%; vergogna o senso di colpa 56%;
60
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
paura o ansia 50% e tristezza 39%. Queste tematiche vengono brevemente discusse
nella sezione seguente.
Vergogna e senso di colpa
I clienti con una depressione, spesso, esprimono sentimenti di vergogna. La vergogna è un’emozione particolarmente dolorosa perché è una di quelle emozioni più
strettamente associate all’identità personale. Nella vergogna, si presume l’esistenza di
un sé difettoso; il vissuto di vergogna fa chiudere il sé in stesso e lo induce a ritirarsi.
Le emozioni fondamentali di vergogna sono fortemente dolorose e i clienti spesso cercano di evitarle allo scopo di minimizzare questo dolore. La risoluzione della vergogna
sta nell’accettazione e nel rafforzamento del sé; il terapeuta deve lottare per facilitare
l’accettazione di sé immergendosi ripetutamente nelle profondità di questa vergogna e
confermando costantemente il valore dell’identità del cliente.
Anche se il senso di colpa era il focus di gran parte della teoria psicoanalitica e del
trattamento freudiano della depressione, la vergogna sembra essere più strettamente
connessa con la depressione e sembra essere il fondamento di quelle forme depressive
più pericolose.
I clienti si sentono in colpa per cose che fanno o che non fanno, ma si vergognano
di chi sono. Nella vergogna, le persone si considerano inutili, goffe, ripugnanti o stupide. Come aveva evidenziato Tomkins (1962) per primo, anche se la tristezza o il disagio
sono le emozioni proprie della sofferenza e se la paura è l’anticipazione della propria
fine, la vergogna è un’emozione che evoca la convinzione di non essere degni, la sconfitta, la trasgressione e l’alienazione. Proprio come sono dolorose la tristezza, il disagio,
l’ansia e la paura, la vergogna colpisce il cuore degli uomini nel profondo; essa viene
vissuta come un tormento interiore, una malattia dell’anima da cui non si può fuggire.
Non importa se la persona umiliata provi vergogna perché è stata derisa o a causa di un
processo di derisione interiore; in entrambe le situazioni, la persona si sente denudata,
rifiutata, spregevole, alienata e priva di qualunque dignità o senso di valore.
La vergogna è l’emozione della bassa autostima ed è l’emozione fondamentale che
deve essere contrastata e sradicata in numerose persone che soffrono di depressione
autocritica. Queste persone, spesso, sembrano sentirsi inferiori agli altri, si considerano
meno attraenti e diverse; il voler sprofondare è una delle tendenze all’azione più tipiche
della vergogna. La vergogna è un’emozione organizzante fondamentale che può entrare
a far parte della personalità di un individuo in molti modi. Quando le persone provano vergogna, si sentono sminuite agli occhi degli altri e credono di aver evocato, o di
evocare in questi, delle emozioni negative, disprezzo, ridicolo, disgusto o disinteresse.
Di conseguenza, non desiderano formare alcuna relazione; si allontanano, rifiutano
attivamente il sé o, addirittura, lo attaccano. Quando viene interiorizzata la vergogna,
le persone trattano se stesse con lo stesso disprezzo con cui sono state trattate, e si giudicano allo stesso modo con cui sono state giudicate in precedenza (Gilbert, 1998).
Le persone che hanno interiorizzato fortemente la vergogna, si detestano; si sentono
interiormente perseguitate, hanno difficoltà a fidarsi del terapeuta e, spesso, ignorano i
tentativi di rassicurazione e conforto. Nei casi più estremi, possono presentare convin61
La terapia emotion-focused per la depressione
zioni quali «Sono un essere fondamentalmente negativo» oppure «Se conoscesse il vero
me, non vorrebbe mai guardarlo».
La vergogna è strettamente collegata al disprezzo. Di solito viene indotta e generata
con maggiore efficacia dal disprezzo espresso da un partner sociale, che sia un genitore,
un coetaneo o un compagno. Il disprezzo può variare nell’intensità, da espressioni che
generano solo una lieve vergogna, ad altre di disgusto che annichiliscono il sé e che generano una tendenza a liberarsi o ad eliminare l’oggetto incriminato. Se questo oggetto
è il sé, ci troviamo di fronte ad una tendenza alla distruzione del sé. Parleremo ancora
del lavoro sull’autocritica nel capitolo 11.
Le persone sviluppano maniere differenti di gestire la vergogna e queste diventano
materiale per l’indagine terapeutica. A volte le persone imparano da bambine a contrapporsi e ad arrabbiarsi per contrastare il disprezzo del genitore, spesso esprimendo
lo stesso disprezzo verso il genitore stesso. Oppure questo disprezzo del genitore viene
interiorizzato, così che una parte del sé disprezza l’altra parte del sé; quindi una parte
del sé disprezza e condanna un’altra parte del sé che prova vergogna. Il disprezzo di sé
si associa spesso al disprezzo per gli altri. In alcune persone la vergogna è così integrata
all’interno del senso fondamentale di sé, che il sé prova questa vergogna senza manifestare disprezzo per sé o per gli altri. La vergogna, inoltre, spesso si mescola anche ad
altre emozioni. Sul piano dinamico la vergogna sembra essere collegata alla rabbia.
Anche altre emozioni spesso attivano la vergogna, dal momento che questa si associa
ad espressioni emotive che in precedenza sono state oggetto di vergogna esse stesse.
Pertanto, un individuo si vergogna della propria rabbia o della propria vulnerabilità.
Nel nostro studio qualitativo su 36 clienti con depressione, la vergogna si presentava con grande frequenza nella terapia e sembrava essere sempre un’emozione disadattiva. Quindici dei 36 clienti, presentavano una forte tematica esplicita ricorrente di vergogna nella propria storia e, per molti altri, la vergogna di sé ricorreva nelle tematiche
dominanti di autocritica e abbandono, anche se non era l’emozione prevalente o quella
più esplicita. I clienti esprimevano vergogna per non essere “abbastanza bravi” e per
essere vulnerabili, “deboli” o “diversi”. Nel lavoro terapeutico erano state differenziate
tre categorie di vergogna: vergogna fondamentale, vergogna sociale e vergogna di sé.
La vergogna fondamentale, basata sul senso di inutilità, implicava un senso pervasivo di vergogna lasciato in eredità da un’esperienza di abuso. Per esempio, Anne
sperimentava uno stato di vergogna di base e credeva di non essere degna di amore. Fin
da quando era bambina, diceva, nessuno si era mai preso cura di lei. Il messaggio che
riceveva dagli altri significativi era: «Sei marcia, sei sporca», e lei lo aveva interiorizzato.
Diceva di non possedere «Alcuna forza interiore» ed era convinta che non l’avrebbe mai
trovata. Una disabilità mentale nell’infanzia aveva portato un altro cliente, Brian, a sentirsi inferiore, mentre Deidre provava una vergogna fondamentale per il proprio corpo,
credeva di essere una cicciona disgustosa e che gli altri desiderassero solo evitarla.
La vergogna sociale si fonda sull’umiliazione, come nel caso della vergogna che si
prova quando si perde un lavoro ben retribuito o quando si divorzia. Questi clienti
si vergognavano agli occhi degli altri. Per esempio, Steven si era presentato in terapia
dopo aver perso il proprio lavoro e il proprio senso di identità. Provava vergogna per la
disoccupazione e per la propria depressione. Anche Sandy presentava una vergogna sociale a causa del marito alcolista; si vergognava della propria vita con lui e si nascondeva
62
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
dagli altri. Credeva che aver scelto due mariti alcolizzati desse una cattiva impressione
di lei e si vergognava delle sue scarse capacità di giudizio.
La vergogna di sé è più interiore e riflette un fallimento nel riuscire a vivere secondo
i propri standard. Per esempio, Raymond sperimentava una vergogna che aveva basi
più interiori; credeva di essere una delusione totale e quindi evitava le proprie emozioni. Si vergognava di sfuggire le proprie emozioni fondamentali, ma il vissuto di vergogna era così doloroso da lasciarlo intrappolato in un ciclo di vergogna che implicava
evitamento e giudizio. Per stordirsi, Raymond, beveva e questo comprometteva la sua
capacità di agire razionalmente e responsabilmente, portandolo a vergognarsi ancora
di più. Si stava sempre più indebolendo. Teresa, un’altra cliente, aveva interiorizzato il
messaggio genitoriale «In te c’è qualcosa che non va», e provava un senso di vergogna
per non essere “normale”. Si sentiva anche “inferiore” ai fratelli che avevano abusato di
lei sessualmente e che avevano contribuito a crearle confusione in relazione all’amore.
Il senso di colpa ha origini differenti, deriva da sentimenti di dovere, dall’incapacità di soddisfare determinati standard e dal senso di obbligo verso gli altri. La colpa
può essere descritta come la sensazione di non essere riusciti a soddisfare le aspettative
altrui o di sentirsi eccessivamente responsabili del benessere degli altri. Se le persone
hanno un codice morale molto rigido e sbagliano o commettono un errore, possono
provare senso di colpa. La colpa, in grado moderato, assolve uno scopo sociale. Ma
nella depressione, da questo senso di colpa, spesso, derivano negazione e sacrificio di
sé. Il senso di colpa, perché si prova rabbia, perché si desidera vendetta o perché si
provano impulsi sessuali, è un aspetto importante di molte depressioni. Quando, per
esempio, la moglie sottomessa di un marito abusante, provava rabbia nei suoi confronti, interrompeva immediatamente queste emozioni e non permetteva a se stessa di
provare rabbia. Se la rabbia arrivava alla consapevolezza, generava senso di colpa. Così
era diventata depressa.
Le persone hanno anche desideri di cui non sono del tutto consapevoli, ma per cui
si sentono comunque in colpa. Quando le persone negano i propri desideri sessuali o la
propria rabbia, provano comunque colpa per avere impulsi inaccettabili. è interessante
notare che tutti i casi di vergogna o colpa implicavano autocritica, e che la vergogna e
il senso di colpa spesso si presentavano associati.
I clienti di questo studio esprimevano colpa, per lo più, per non essere riusciti a
conseguire importanti obiettivi personali, per non essere riusciti ad agire come credevano più opportuno nelle relazioni, o per essere egoisti, oppure era una colpa indotta
dalle aspettative altrui. I clienti di questo campione provavano colpa, soprattutto, perché cercavano di soddisfare i propri bisogni o il proprio piacere, credendo di doverli
sacrificare per gli altri. Per esempio, Helen provava colpa per aver rotto con il fidanzato,
anche se lei non era felice con lui e se lui non stava rispondendo ai suoi bisogni. Riteneva che avrebbe “dovuto” sacrificare i propri bisogni a quelli degli altri; spesso faceva
l’avvocato dei bisognosi e “collezionava uccellini feriti”. Prendersi cura di sé la faceva
sentire in colpa. Un’altra cliente, Melissa, si sentiva in colpa per l’ambivalenza che
provava verso il dover essere un genitore responsabile e su cui si può fare affidamento.
Provava colpa perchè una parte di lei desiderava sfuggire tutte le responsabilità ed essere
libera.
63
La terapia emotion-focused per la depressione
Paura o Ansia
Quando la vergogna o il senso di colpa non erano le emozioni fondamentali nella depressione, lo erano l’ansia e la paura sotto forma di insicurezza di base. L’ansia
nella depressione è generata da un senso di insicurezza e vulnerabilità del sé che viene
cronicamente attivato nelle situazioni interpersonali di perdita del legame. è questo
senso del sé olistico, multicomponenziale, di inefficacia e vulnerabilità, che richiede
un’attenzione terapeutica e che deve essere modificato. Nel lavoro su questa insicurezza
primaria, è importante riconoscere l’esistenza di altre possibili organizzazioni del sé,
in particolare l’aspetto del sé nascosto in cui risiedono le risorse e i punti di forza. I
clienti, spesso, si riferiscono ad una parte nascosta, essenziale di sé costituita da desideri
e bisogni adattivi di sopravvivenza e di benessere (Greenberg & Paivio, 1997). Attraverso esperienze negative di apprendimento, questa parte essenziale del sé è stata ritirata
per protezione, ma può venire alla luce in un ambiente sicuro ed è disponibile come
risorsa interiore quando si è in grado di individuarla e di validarla. Quando questa
parte viene contattata, sorgono spontaneamente i desideri adattivi di contatto, libertà e
spontaneità. Gli interventi focalizzati sulle emozioni, supportano l’emergere di questa
essenziale organizzazione del sé per promuovere lo sviluppo di un senso del sé più forte
e più sicuro.
La paura e l’ansia costituivano una categoria emotiva prevalente nel nostro studio,
presente in circa la metà dei casi (18 su 36). Come per tutti gli altri raggruppamenti
emotivi della ricerca, non c’era una paura “che si adattasse a qualunque situazione”.
I 36 clienti esprimevano una serie di paure che sono state suddivise in cinque sottocategorie:
1. Paura del rifiuto o del giudizio, che impediva ai clienti di esprimersi e di assumersi
i rischi necessari per raggiungere un’accettazione autentica di sé;
2. Paure fondamentali disadattive, che si raggruppavano intorno ad un senso del mondo come posto negativo e pericoloso;
3. Paura di ripetere pattern familiari, che implicano paura di ripetere esperienze emotive, come trovarsi in relazioni fredde o ripetere con i propri figli ciò che si è subìto;
4. Paura di cambiare, che implicava il sentirsi bloccati o l’incapacità di effettuare dei
cambiamenti a causa della paura;
5. Infine, la paura dei sentimenti, che implicava l’occultazione delle emozioni primarie adattive che devono essere ritrovate per facilitare il cambiamento emotivo.
La paura dell’abbandono o del rifiuto e la paura del fallimento, impedivano ai
clienti di esprimersi e di assumersi i rischi che volevano invece prendere. Per esempio,
Michael aveva paura di non riuscire a soddisfare le aspettative dei genitori e della società e aveva difficoltà a restare in contatto con i propri valori interiori.
Alcune paure fondamentali disadattive erano chiaramente il risultato di un’eredità
emotiva di un’infanzia difficile. Queste paure si concentravano intorno ad una percezione del mondo come luogo funesto ed intorno al maltrattamento del sé. I clienti non
si sentivano supportati dall’esterno e si preoccupavano che il peggio potesse presentarsi
64
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
in qualunque momento. Per esempio, fin dalla tenera età, Melissa aveva avuto due genitori bisognosi e insicuri ed aveva sempre sperimentato la sensazione di non potergli
mai dargli conforto. Di conseguenza, sentiva di dover riuscire a controllare ogni cosa
per compensare l’ansia e la premonizione che il mondo “le sarebbe caduto addosso”.
Diceva di sentirsi «Impaurita, sempre sulla difensiva, intrappolata e soffocata». Nel
caso di Peter, un’infanzia di abusi da parte del padre violento, aveva colorato di nero la
sua visione di sé e del mondo e lo aveva portato ad aspettarsi sempre che gli sarebbero
accadute “cose terribili”. Peter temeva particolarmente la rabbia, dal momento che la
riteneva un sinonimo di “padre”. Le sue esperienze infantili gli avevano lasciato la paura
di esprimere o provare emozioni intense. Ricordava che gli veniva detto di non piangere quando il padre lo picchiava. Nella terapia, Peter aveva capito che l’attuale senso di
rovina era la forma parallela delle emozioni precoci provate con il padre. Era riuscito a
provare dolore per quell’infanzia perduta e per la mancanza di fiducia nel poter essere
felice. La paura della rabbia e del confronto non facevano altro che aumentare questa
rabbia; pertanto Peter stava imparando come accettarla e come esprimerla in maniera
più costruttiva, invece che chiudersi nella paura.
Alcuni clienti avevano paura di ripetere il passato. Per Brenda, la sua esperienza di
ansia debilitante era collegata alla paura di trovarsi in una relazione fredda e priva di emozioni, proprio come quella dei suoi genitori. Era arrabbiata con la famiglia e aveva paura
di diventare come loro. Janice, una donna che aveva dei figli, aveva paura di ricreare la
sua stessa esperienza familiare di abbandono se avesse seguito i propri desideri di essere
più esuberante, avventurosa e di prendersi cura di sé. La paura di cambiare ricorreva in
numerose storie di depressione. Bill, un uomo divorziato con figli, era arrivato in terapia
perchè si sentiva bloccato e perché non riusciva più a cambiare a causa della paura, un
lascito della sua esperienza infantile di instabilità e agitazione. Diceva di essersi ritirato in
un “bozzolo sicuro” per difendersi dalle discussioni dei genitori all’ora di cena.
Tristezza
La depressione viene spesso confusa con la tristezza e i sentimenti di tristezza sono presenti in molte forme di depressione. Tuttavia, la tristezza non è una depressione. L’inclinazione umana all’attaccamento predispone le persone alla tristezza quando
questi legami si rompono. Esiste la tristezza acuta a causa di una perdita improvvisa e
quella cronica del lutto per una perdita passata. I sentimenti di tristezza si dipanano
lungo un continuum che va dalla nostalgia alla piena disperazione. La tristezza può essere un’emozione adattiva, che mette una persona in allerta verso una perdita e che può
incoraggiarla a prestare attenzione al processo del lutto. La tristezza può anche essere
secondaria e mascherare altre emozioni più minacciose come la rabbia, la paura o la
vergogna. La tristezza genera meno difese rispetto alla rabbia, anche se molti clienti si
rimproverano per essere tristi o perchè si sentono depressi, e questo può generare una
depressione secondaria. Quando i clienti piangono, le lacrime possono provenire da
luoghi differenti della psiche: potrebbero essere lacrime di auto-compassione, lacrime
di coccodrillo o un soffocamento per vecchie ferite non riconosciute. I terapeuti cercano di accedervi nel corso della terapia.
65
La terapia emotion-focused per la depressione
La tristezza era una tematica emotiva fondamentale nel 39% dei casi del nostro
campione. Nella metà di questi casi, la tristezza si presentava insieme alla rabbia; le
due tendono ad essere collegate. L’espressione della rabbia, spesso, si manifesta come
tristezza e l’espressione della tristezza può essere rabbia mascherata. Nei clienti con
una depressione che si difendevano dalla rabbia perché ne temevano il potenziale distruttivo, o perchè credevano che avrebbe portato all’abbandono, la tristezza era spesso
l’emozione predominante espressa.
Le categorie di tristezza identificate erano: presenza di bisogni non soddisfatti, rimorso, perdita attuale di relazioni, speranze o ideali, e lutto non risolto. La presenza di
bisogni non soddisfatti e delusione implicava la verbalizzazione di sentimenti di delusione
per non aver visto soddisfatti i propri bisogni. Il rimorso si focalizzava su vecchie ferite
inflitte agli altri o sul dolore sofferto. Il rimorso si presentava come una forma di tristezza combinata a senso di colpa, e implicava il desiderio di poter annullare azioni fatte in
precedenza. La perdita attuale implicava una perdita presente di speranze, ideali, di uno
status, o di una relazione. Il lutto non risolto era caratterizzato da tristezza che derivava
da emozioni non elaborate dopo la morte di una persona. Questo lutto comprendeva
rabbia, dolore per non essere amati, vergogna e paura per l’abuso.
Molti clienti entravano in terapia dando voce a sentimenti di delusione per non
essere riusciti a soddisfare alcuni bisogni. Per esempio, Sharon esprimeva la sensazione
di «Aver visto infrangersi tutte le sue speranze e i suoi desideri più profondi». Teresa riferiva di sentirsi «stanca e di sentire di volersi lasciar andare» dal momento che provava
così tanta tristezza per essere stata trascurata dai genitori e per il fatto che la sua famiglia
non aveva saputo venire incontro ai suoi bisogni. Nel caso di Greg, quella che a prima
vista si presentava come rabbia verso la madre e il suo comportamento stile “barracuda”, si era poi manifestata in tristezza per non essere mai stato accettato e riconosciuto
da lei, e per i suoi bisogni non soddisfatti dell’infanzia. Il lutto per ciò che era andato
perduto era stato utile per tutti questi clienti.
Numerosi clienti riferivano sentimenti di rimorso per il dolore inflitto ad altri o
per aver sofferto essi stessi. Il rimorso si presentava come una forma di tristezza combinata con senso di colpa e con il desiderio di poter ritornare indietro e non commettere
più determinate azioni. John aveva espresso una profonda tristezza per la fine del proprio matrimonio e dolorosi sentimenti di rimorso per aver involontariamente ferito la
ex moglie. Un altro cliente, Ellis, riferiva sentimenti di rimorso e tristezza relativi alla
ex moglie.
Per molti clienti, la depressione era stata provocata da una perdita attuale di speranze, ideali, di uno status o di una relazione. La tristezza che provavano era collegata
ad un sentimento di perdita. Glenda presentava una tematica di tristezza sotto forma
di perdita, nella propria storia di depressione, che implicava sentimenti di tristezza
per la fine del proprio matrimonio, il quale aveva attivato la paura di tutta una vita
dell’abbandono. Un’altra cliente, Jennifer, sperimentava tristezza per la fine della propria relazione e per aver perso il senso di direzione. Aveva elaborato questa tristezza per
le perdite nel corso della terapia e, alla fine, era arrivata ad accettare i propri sentimenti
e a riconoscerli come parte del processo di cura.
Infine, numerose storie di depressione presentavano una tristezza che derivava da
lutti non risolti. Linda era ancora in lutto per la morte della madre e aveva bisogno di
66
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
piangere per la famiglia che non aveva mai potuto avere. Piangeva anche per la morte del
padre mentre, allo stesso tempo, elaborava la propria rabbia nei suoi confronti. Leslie si
portava dentro un grande dolore e lutto per non essersi sentita amata dai genitori, che
si erano separati preoccupandosi quasi per nulla degli effetti che questo avrebbe avuto
su di lei. Era riuscita ad elaborare questa tematica ed era arrivata ad accettare il fatto
che non era lei a non essere degna di amore, ma erano i suoi genitori ad essere persone
e genitori non adeguati. Tutti questi clienti avevano evocato, elaborato e lavorato sulla
propria tristezza. La tristezza, a volte, era essa stessa l’oggetto del cambiamento, mentre,
altre volte, aveva portato cambiamenti nella visione di sé, degli altri e del mondo.
Rabbia
La rabbia è un’emozione particolarmente problematica per molte persone che
hanno una depressione. La rabbia, come tutte le altre emozioni, non è né buona né
negativa in se stessa; è solo una risposta innata alla frustrazione e alla violazione. La
rabbia può essere utilizzata per molti scopi utili; è il carburante che nutre il desiderio di
giustizia delle persone, quello che le fa desiderare di mettere le cose a posto. La rabbia
è un sentimento che dice alle persone che devono proteggersi dal pericolo; può essere
protettiva e costruttiva, ma può anche essere distruttiva. Quello che spaventa alcune
persone è il fatto che la rabbia possa diventare incontrollabile. La rabbia non è sinonimo di comportamenti aggressivi o di violenza; la rabbia è un’emozione. La violenza è
un comportamento e implica una scelta e l’apprendimento. La rabbia non può essere
rifuggita, ma i clienti possono imparare a renderla sicura e anche ad utilizzarla per scopi
produttivi. Esercitarsi nella comunicazione e nel comportamento assertivo, ci aiuta ad
assicurarci ad esprimere la rabbia in maniera costruttiva ed in un modo che non ferisca
gli altri. Mano a mano che i clienti sviluppano competenze assertive, trovano che si
sentono meno risentite e isolate e, quindi, hanno meno motivi per essere arrabbiati.
Agli uomini si insegna spesso ad ignorare i propri sentimenti e a dissociarsi da qualunque emozione che non sia rabbia o eccitazione sessuale. Se si presentano sentimenti
di disperazione, inutilità o impotenza, gli uomini provano solo un vago senso di vulnerabilità. L’incapacità di gestire queste emozioni deriva dall’aver imparato a pensare e a
fare, invece che a sentire e vivere, portando gli uomini a chiudersi. Le emozioni, però,
spingono per essere espresse e gli uomini spesso le gestiscono nel solo modo che sanno,
ovvero con rabbia e comportamenti distruttivi. Magari si arrabbiano con gli altri o si
fanno coinvolgere in comportamenti autodistruttivi, come un consumo eccessivo di
alcol e comportamenti pericolosi per la salute. La rabbia, quindi, è spesso espressione
di depressione negli uomini. Mentre le donne sono più spesso intra-punitive e in grado
di ammettere la propria tristezza e il proprio disagio, gli uomini tendono ad agire e ad
esprimere rabbia quando sono depressi, un pattern che non è esclusivo degli uomini ma
che è in essi più prevalente.
Anche se l’irritabilità e la rabbia possono essere sintomi di depressione, molte depressioni sono caratterizzate invece dall’assenza di rabbia. Il fallimento nell’utilizzare la
rabbia o ad agire assertivamente (o ad arrivare a dei compromessi) non solo conferma
l’impotenza, e il trovarsi in una situazione di subordinazione, ma accresce anche il
67
La terapia emotion-focused per la depressione
desiderio di fuga. La ricerca ha mostrato che la soppressione della rabbia è significativamente correlata con sentimenti di intrappolamento e il desiderio di fuga (Allan
& Gilbert, 2002). Anche se un’espressione eccessiva della rabbia è associata a cattiva
salute e cattive relazioni sociali rispetto ad un’espressione moderata (Broman & Johnson, 1988), è stato anche riscontrato che l’inibizione della rabbia, il comportamento
sottomesso e una scarsa assertività, in particolare disagio emotivo nel manifestare comportamenti assertivi, sono collegati con la depressione (Akhavan, 2001; Harmon Jones
et al., 2002). Risulta evidente che numerosi clienti depressi sperimentino un maggior
grado di rabbia non espressa. La rabbia è spesso la prima risposta emotiva in risposta
alla negazione di un obiettivo, ma se la persona si sente intrappolata e la rabbia non ha
alcun effetto, allora si trasforma in rassegnazione. Pertanto, essere in grado di mobilitare la rabbia è molto utile nel trattamento della depressione, perché la smobilitazione
della rabbia genera impotenza.
La rabbia era la tematica emotiva predominante nei 36 casi di depressione del nostro studio (Kagan, 2003). Si presentava nel 66% delle narrative depressive. Sono stati
identificati quattro sottotipi di rabbia all’interno di questo campione: risentimento e
frustrazione, violazione di legami, paura della rabbia e rabbia di condanna. Il risentimento
è una rabbia amara relativa ad una situazione del passato, accompagnata da un senso di
frustrazione a causa dell’incapacità di manifestare apertamente questa ostilità. L’aspetto
chiave del risentimento, è la sensazione di non riuscire ad esprimere direttamente la
rabbia. La rabbia in seguito alla violazione di un legame è una risposta ad una violazione
o ad una forma di abuso. Spesso i clienti che sono stati vittime di abusi nell’infanzia
manifestano questa forma di rabbia. La paura della rabbia, solitamente, deriva dall’essere stati vittime o testimoni di un abuso. La rabbia di condanna, invece, si rivolge alla
rabbia diretta verso gli altri. L’autocritica era associata alla rabbia in 22 dei 24 casi e,
spesso, si presentava anche in associazione a tristezza.
Una cliente, Judith, era entrata in terapia provando risentimento e frustrazione.
Era oberata da senso di responsabilità nei confronti di tutti e tutto. Aveva trascorso
l’intera vita facendo ciò che gli altri desideravano perché non voleva “agitare le acque”.
Aveva soffocato la propria rabbia per paura di ferire gli altri, ma si sentiva costantemente fraintesa e non rispettata. Un’altra donna, Janice, sentiva che «Stava per cedere sotto
la pressione del tentativo di essere tutto per tutti». Come conseguenza di questa costante pressione, provava rabbia perché doveva mettere in disparte le proprie necessità ogni
volta, un pattern appreso molto presto all’interno della propria famiglia di origine.
Una variante comune della rabbia affine al risentimento, era la frustrazione per
non riuscire ad esprimere i propri sentimenti e bisogni. Molti terapeuti riferivano che
i clienti esprimevano questo risentimento all’interno delle sedute terapeutiche. Per
esempio, Amy sentiva di non poter esprimere i propri bisogni e desideri agli altri, e
per questo provava una grande frustrazione. Sentiva molta rabbia nei confronti del
padre, ma aveva paura di riconoscerla a causa delle possibili conseguenze. Un’altra
cliente, Sharon, era entrata in terapia affermando di «Non avere valvola di sfogo per le
proprie emozioni, dal momento che queste si accumulavano dentro di lei per formare
un bacino di raccolta che la buttava giù e le faceva provare sensazioni negative verso se
stessa».
La rabbia per la violazione di un legame, era una risposta alla violazione o a qual68
La depressione: un punto di vista costruttivista dialettico
che forma di abuso. Spesso i clienti che erano stati vittime di abuso sessuale infantile
manifestavano questa forma di rabbia. Anche forme meno gravi di ferite infantili potevano generare un senso di violazione. Una cliente, Monica, desiderava liberarsi della
rabbia verso il padre, ma disperava di poter portare a riconoscere i danni che le aveva
procurato. Provava molta rabbia verso i genitori perché non erano stati amorevoli. In
un altro caso, Andrea provava rabbia per gli abusi subìti da bambina. Tuttavia l’espressione di questa rabbia entrava in conflitto con la rabbia verso se stessa per non essere
stata in grado di prevenire l’abuso.
Alcuni clienti del campione provavano paura della rabbia a causa di esperienze
passate di violenza. Per esempio, Peter era stato cresciuto da un padre violento e abusante ed era cresciuto carico di rabbia. Si sentiva a disagio con la rabbia, ma desiderava
imparare a gestirla in maniera costruttiva invece di reprimerla. Considerava la rabbia
un segnale che stava “escludendo” qualcuno dalla propria vita e tagliandolo fuori. Peter
aveva un forte conflitto a causa della rabbia che provava per la ex moglie e il suo compagno, ma impediva a se stesso di provarla perché percepiva queste emozioni come minacciose. Attraverso la terapia, Peter era arrivato a constatare che la paura del confronto
non faceva altro che accrescere la sua rabbia.
La rabbia di condanna può dirigersi verso l’esterno o l’interno. Craig condannava
la sua ex moglie per aver distrutto la sua vita e sentiva di non poterla perdonare. Inoltre,
condannava i propri genitori a causa dell’infanzia che aveva vissuto e si sentiva imbrogliato dall’amore che non aveva avuto. Si condannava anche per essere così infelice.
Le emozioni, e in particolare la rabbia, la tristezza, la paura e la vergogna, hanno
un ruolo centrale nella depressione. Come abbiamo visto, ogni emozione è incorporata
in una narrazione significativa e le narrazioni sono la struttura sulla cui base le emozioni si dipanano in storie coerenti. Le narrative più presenti sono quelle di un sé debole
e pauroso, dipendente dall’approvazione e dall’accettazione degli altri, e una narrativa
basata su un sé negativo e sulla vergogna dove non c’è senso del proprio valore, non c’è
accettazione di sé, dal momento che non si è riusciti a soddisfare standard di perfezione. I capitoli seguenti si occupano del lavoro su queste emozioni e su queste storie per
aiutare i clienti a trasformarle in esperienze di sé più forti.
69
CAPITOLO 4
LINEE GUIDA PER IL LAVORO SULLE EMOZIONI
NELLA DEPRESSIONE
Ecco il più grande paradosso: non ci si può fidare delle emozioni, tuttavia sono esse a
raccontarci le più grandi verità.
Parafrasata da Don Herold, commediografo
Nel lavoro sulle emozioni, all’interno della psicopatologia depressiva, è importante operare una distinzione fra differenti forme di esperienza emotiva e le relative
espressioni che richiedono differenti interventi all’interno delle sedute. Inoltre, è importante seguire un insieme di princìpi che guidino l’intervento. Li presentiamo in
questo capitolo.
Abbiamo sottolineato l’importanza del processo diagnostico e della differenziazione fra emozioni primarie e secondarie, ed esperienza emotiva adattiva e disadattiva
(Greenberg & Safran, 1987; Greenberg, Rice & Elliott, 1993; Greenberg & Paivio,
1997). In aggiunta al processo diagnostico, si devono differenziare molti altri processi
per valutare l’esperienza emotiva e l’espressione:
•
•
•
Il primo aspetto da valutare è se un’emozione sia un’espressione nuova che implica la liberazione di un affetto prima bloccato, o se si tratti di un’espressione
vecchia, stantia che è solo la ripetizione di un affetto espresso con eccessiva libertà. Nella depressione, l’espressione nuova di tristezza o rabbia precedentemente
inibite è di solito utile, mentre lo sfogo di rabbia o tristezza stantìe, già troppo
espresse, non è né terapeutico né porta ad una riduzione di questa espressione
stessa.
Il secondo, è se l’emozione vissuta ed espressa sia un segnale di disagio o sia un
segnale della risoluzione del disagio (Kennedy-Moore & Watson, 1999). Per esempio, il pianto di fronte ad un senso di oppressione e all’incapacità di farvi fronte,
è un segno di depressione e deve essere distinto dal pianto che è parte di un sano
processo di lutto che potrebbe portare alla risoluzione della depressione.
Il terzo aspetto, se l’emozione sia sovra-controllata o sotto-controllata. I clienti
depressi che hanno una regolazione eccessiva delle emozioni, devono svolgere un
71
La terapia emotion-focused per la depressione
•
lavoro evocativo, mentre i clienti che hanno uno scarso controllo delle emozioni
devono lavorare sulla regolazione (Greenberg, 2002).
Il quarto ed ultimo aspetto, infine, concerne una valutazione delle potenzialità del
cliente, ovvero se questi sia in grado o meno di regolare l’intensità delle proprie
emozioni.
Fondamenti dell’assessment emotivo
Le emozioni primarie nella depressione sono le reazioni immediate, fondamentali
e dirette dell’individuo a una data situazione, come la tristezza che segue immediatamente una perdita, o la rabbia dopo una violazione subìta. I sentimenti primari
sono fondamentali perchè non possono essere ricondotti a nessun altro sentimento (il
termine emozione e sentimento vengono utilizzati come sinonimi all’interno di questo
volume). Le emozioni primarie possono essere o meno riconosciute ed in quest’ultimo caso si troverebbero, dunque, al di fuori della sfera della consapevolezza. Le
emozioni secondarie nella depressione, sono le risposte secondarie a processi interiori
primari e possono essere delle protezioni (difese) contro questi, come la disperazione
di fronte ad un ostacolo o la rabbia per aver subìto una perdita. Queste sono reazioni apprese a processi soggiacenti. Le emozioni secondarie possono essere risposte a
pensieri, sentimenti precedenti o ad una sequenza di pensieri e sentimenti, oppure
possono essere emozioni relative ad altre emozioni. La rabbia in risposta al sentirsi
feriti o impauriti, o il senso di colpa in risposta alla rabbia, si presentano spesso nella
depressione. Le emozioni secondarie devono essere analizzate per arrivare ai generatori primari. Gran parte dei sintomi depressivi di disperazione, impotenza e sconforto
sono emozioni secondarie.
I sentimenti strumentali sono pattern di comportamento emotivo che le persone
hanno appreso ad utilizzare per influenzare o manipolare. In altre parole, i sentimenti
strumentali sono complessi di emozioni-pensiero-espressione appresi più volte che una
persona utilizza per un qualche scopo, come quello di dominanza o di sicurezza. Per
esempio, una reazione di rabbia-impotenza può aiutare un individuo a controllare gli
altri ed evitare così di assumersi rischi e responsabilità. Questi comportamenti emotivi sono spesso il modo in cui le persone depresse manifestano il proprio disagio e
coinvolgono le altre persone. Per esempio, alcune persone che soffrono di depressione
si lamentano quando si sentono tristi, mentre altre parlano in un modo che sollecita
gli altri a salvarli o accudirli. Queste sono modalità di affrontare e sopravvivere ad
una situazione. Anche se i sentimenti strumentali sembrano sovrapporsi alle emozioni
secondarie, i primi sono più parte della personalità di un individuo e sono elementi
riconoscibili del suo carattere.
La successiva distinzione cruciale che si deve compiere, è quella fra emozioni
primarie adattive, a cui si accede per il loro valore utile ai fini del benessere dell’individuo, ed emozioni primarie disadattive, che, invece, richiedono una trasformazione.
La consapevolezza delle emozioni adattive primarie, fornisce accesso ad informazioni
utili che promuovono l’orientamento nel mondo e il problem-solving. Quindi, l’acces-
72
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
so alla sana rabbia di fronte all’ingiustizia, alla base del senso di impotenza presente in
alcune depressioni, promuove l’adattamento e l’accesso alla sana vergogna o tristezza
di fronte alla perdita di stima alla base della rabbia, può promuovere attaccamento al
posto della distruttività. Le risposte emotive disadattive, invece, sono risposte che sono funzione dell’apprendimento e della sopravvivenza. Alla base delle risposte emotive
disadattive della depressione vi sono profonde paure, come quella dell’abbandono,
dell’intimità, dell’annichilimento, e profondi sentimenti di vergogna per essere persone difettose, non degne di valore o miserabili. Le risposte disadattive, in precedenza, erano risposte adattive sviluppate come strategie di sopravvivenza in reazione alla
paura della perdita, della distruzione del sé o dell’umiliazione e della trascuratezza
nell’infanzia o nella prima età adulta (per es. paura di avvicinarsi ad una figura di
attaccamento abusante, vergogna di proteggere il sé dalla mancanza di supporto o di
riconoscimento).
Le emozioni disadattive primarie, sono vecchi sentimenti familiari che si presentano costantemente e che non si modificano. Nella depressione, possono essere
identificati come il senso fondamentale di solitudine, di tristezza, abbandono o maledetta inutilità, oppure come sentimenti ricorrenti d’inadeguatezza; queste emozioni
disadattive primarie possono affliggere le persone per tutta una vita e non forniscono
informazioni adattive che possano guidare il comportamento. Inoltre non cambiano
in risposta al cambiamento delle circostanze e, quando espresse, non forniscono direzioni alternative alla risoluzione dei problemi. Piuttosto, lasciano la persona in uno
stato di immobilità, disperazione, impotenza e sconforto. Alcune emozioni disadattive collegate al sé, prevalenti nella depressione, sono la vergogna, il disprezzo e l’odio
di sé e sentimenti di indegnità, inadeguatezza, inferiorità, disamore, di non essere
all’altezza, di imbarazzo, scarsa attrazione, vulnerabilità e insicurezza. Queste emozioni e sentimenti sono generalmente accompagnati da pensieri come «Sono pigro»,
«Non ce la posso fare», «Non vado bene», «Non riesco ad affrontare tutto questo», «è
colpa mia», «Sono un fallimento», «Sono diverso», «Non vado bene», «Sono incompetente», «Non sono degno di amore» e «Non riesco a sopravvivere da solo». Entrare
semplicemente in contatto con queste emozioni non è sufficiente; queste devono essere sostituite o trasformate.
Le emozioni disadattive collegate agli altri, sono invece l’ira, la rabbia incostante,
la paura e la sfiducia. Le emozioni disadattive si manifestano prevalentemente come
sentimenti in cui predominano paura o vergogna e possono implicare una miscela
di emozioni, in generale disadattive per il sé perchè implicano una minaccia rappresentata dalla paura o dalla vergogna (A. Pascual-Leone & Greenberg, 2004). Pertanto i terapeuti, spesso, considerano la tristezza basata sulla paura o sulla vergogna
come una miscela di emozioni disadattive. Le emozioni disadattive maggiormente
focalizzate all’esterno e socialmente disadattive, di solito, includono forme di rabbia
distruttiva.
Un’altra importante distinzione da operare, è se un’emozione primaria sia
un’emozione fondamentale collegata ad una preoccupazione fondamentale (Fosha,
2000, 2004). Un’emozione primaria è la prima emozione in assoluto che un individuo prova, basata su una preoccupazione presente, mentre un’emozione secondaria si
73
La terapia emotion-focused per la depressione
presenta successivamente, oscurando quella primaria. Un’emozione primaria fondamentale, tuttavia, è il fondamento della problematica del cliente ed è collegata ad un
bisogno o ad una preoccupazione basilare non soddisfatta; la paura dell’abbandono
o la vergogna per un’umiliazione, potrebbero essere il nucleo di una depressione.
Un’emozione fondamentale non deve per forza essere provata al momento. Piuttosto,
è una parte più persistente dell’individuo che ne influenza la personalità. Il concetto
di fondamentale è più strutturale che fenomenologico. Mentre primario, secondario e
strumentale si riferiscono a ciò che viene sperimentato direttamente in un dato momento, il termine fondamentale si riferisce ad emozioni permanenti e a bisogni che,
al momento, potrebbero trovarsi al di fuori della sfera della consapevolezza e, quindi,
non essere vissuti, ma che comunque sono aspetti latenti importanti della depressione
del cliente.
Pertanto, un’emozione fondamentale di rabbia o vergogna potrebbe essere in contrasto con un’emozione secondaria di disperazione o ansia, che non è il nucleo del
problema del sé, ma che è invece più una caratteristica della modalità di reazione della
persona a ciò che sta attualmente accadendo. Una reazione emotiva di disperazione o
ansia, anche se spesso secondaria in un dato momento, diventa primaria se vissuta per
la prima volta in risposta alla preoccupazione attuale (ossia è primaria, ma non fondamentale). Una cliente il cui marito è morto molti anni prima, ha sempre cercato di
essere una persona forte (fare da mamma ai bambini, essere figlia per i genitori, essere
una donna di successo ed essere quella che mantiene la famiglia). In una delle prime
sedute, provò la sensazione che fosse semplicemente troppo per lei, provando disperazione ed impotenza per la prima volta nel corso della terapia. Iniziò a piangere e, di
fronte alla propria sconfitta, per la prima volta, disse: «Tutto quello che è accaduto,
è semplicemente troppo, non posso più andare avanti così, qualcosa deve cambiare.
Non posso farcela a sopportare ancora tutto questo sulle mie spalle, ma non so cosa
potrebbe cambiare». In quel momento stava sperimentando un’emozione primaria di
disperazione, ma questa non era comunque l’emozione fondamentale al nucleo della
sua depressione. Per questa cliente, la tristezza del lutto non risolto per la morte del
marito era l’emozione fondamentale alla base della depressione e il suo bisogno fondamentale era di supporto. Affrontare la perdita subìta, piangere la morte del marito e
ricercare un supporto, erano tutti aspetti importanti della terapia per alleviare i sintomi
di depressione.
Queste distinzioni fra differenti tipologie di emozioni guidano l’intervento. Si deve accedere alle emozioni primarie per il loro valore adattivo e per la capacità di organizzare il comportamento, mentre le emozioni disadattive devono essere regolate e trasformate. Le emozioni secondarie devono essere regolate e analizzate per arrivare a ciò
che le ha generate sul piano cognitivo ed emotivo. Pertanto la terapia emotion-focused
(EFT) implica l’accesso alle emozioni primarie adattive per simbolizzare le informazioni adattive che contengono e l’evocazione delle emozioni disadattive per renderle
disponibili al cambiamento esponendole a nuove informazioni ed esperienze. Quando
i terapeuti lavorano sulla rabbia secondaria, è importante, prima di tutto, valutare i
sentimenti di rabbia e comprenderli, aiutando il cliente ad esprimerli per accedere alle
emozioni soggiacenti di tristezza. Mano a mano che i clienti imparano a comprendere
74
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
come il vissuto secondario oscuri quello primario, questa consapevolezza crescente li
aiuta ad individuare più velocemente le emozioni soggiacenti. Di solito vi sono delle
buone ragioni sul perché un individuo esprima rabbia invece che paura, ma invece di
rimuovere queste difese, sarebbe più utile e più amorevole comprendere il perchè le
persone agiscano in un dato modo.
Quando si lavora sulle emozioni secondarie, i terapeuti possono porre ai clienti
alcune domande per aiutarli ad identificare le emozioni primarie:
•
•
•
•
•
•
•
«Cosa hai provato prima di tutto in quella situazione?»
«C’erano altre emozioni di fondo?»
«Hai avuto altre emozioni che in quel momento non hai manifestato?»
«Questa emozione rappresenta una reazione a cosa?»
«Che impatto ha avuto all’inizio l’evento su di te?»
«Come ti ha influenzato in quel momento?»
«Cosa ti ha portato a desiderare di fare?».
Inoltre, i terapeuti possono chiedersi: «C’è qualcos’altro?»; «C’è un’emozione più
profonda?»; «Questo è sintomo di qualche altra cosa?»; «C’è qualcosa di fondo che
porta a questo sentimento?».
In generale, il modo più utile per lavorare sulle emozioni strumentali, è accrescere
la consapevolezza del cliente che sta utilizzando un’espressione emotiva per raggiungere
uno scopo e aiutarlo a scoprirne la funzione. Per esempio, con una cliente che sembrava
provare rabbia nei confronti di ogni cosa che le accadesse, era stato per lei utile diventare consapevole della sua modalità di espressione. Dopo un po’, divenne chiaro che
l’espressione della rabbia era parte della sua modalità di sopravvivenza; teneva lontane le
persone, le si consentiva di essere arrabbiata e di manifestare così il proprio disagio. La
rabbia, inoltre, la aiutava anche ad evitare di riflettere su cosa stesse accadendo, dentro
di lei e nell’ambiente esterno. La cliente era intrappolata in un ciclo infinito di rabbialamentela e il terapeuta l’aveva aiutata a concentrarsi su questo ciclo, all’interno delle
sedute, in relazione alle lamentele che aveva per ciò che stava accadendo nella seduta e
fuori dalla seduta. Il terapeuta aveva osservato che questa cliente, quando doveva rispondere a domande su altri argomenti nel mezzo della sua rabbia, riusciva ad interrompere
l’espressione di questa emozione e ad iniziare a parlare di altre cose; un segno che indicava che la cliente riusciva a tollerare un focus sull’utilizzo strumentale dell’emozione
perché questo sentimento strumentale era sotto il suo controllo.
Le domande che i terapeuti possono porre ai clienti nel lavoro sui sentimenti strumentali sono:
•
•
•
•
•
«Questo è un tuo stile di espressione?»
«Questa emozione ha uno scopo preciso?»
«Cosa fa per te?»
«Secondo gli altri quale è la tua modalità espressiva tipica per ottenere qualcosa da
loro?»
«Cosa stai cercando di ottenere quando esprimi questo sentimento?».
75
La terapia emotion-focused per la depressione
Le domande che i terapeuti possono porsi per aiutare ad identificare l’esperienza primaria sono:
•
•
•
•
•
«Questa è un’esperienza primaria oppure il cliente sta evitando, distogliendo l’attenzione da o negando un’emozione?»
«Il cliente si sta proteggendo?»
«Questo cliente può avere accesso alla propria esperienza fondamentale?»
«Il cliente si sente di avere il diritto di provare questa emozione?»
«Le emozioni primarie sono sovra-regolate o sotto-regolate?».
Le domande che i terapeuti possono porsi per favorire l’identificazione delle emozioni
disadattive includono le seguenti:
•
•
•
•
•
•
•
•
«Questa emozione è utile?»
«Il cliente è bloccato in questo sentimento?»
«Il cliente è vittima di questa emozione?»
«Il cliente è schiacciato dall’emozione?»
«La reazione del cliente è eccessiva?»
«Questa emozione è collegata ad un altro momento o un altro luogo?»
«Il cliente è inconsapevole di avere un problema nella regolazione di questa emozione?»
«Il cliente sta male con se stesso?».
Offriamo questo elenco di domande nel tentativo di esplicitare l’elaborazione implicita del terapeuta e non come suggerimenti da seguire. Il terapeuta non ha la presunzione di voler essere un esperto che possa giudicare l’esperienza del cliente; piuttosto,
è completamente presente e in contatto con il cliente, ed aperto a percepire che è
presente un’emozione più profonda o che questa sia il nucleo del problema. Tuttavia, le
assunzioni sui sentimenti del cliente sono sempre esplorative e servono solo a guidare
l’azione terapeutica successiva per aiutare i clienti ad indagare ulteriormente e ad arrivare a comprendere cosa sia giusto per loro.
La misurazione dell’esperienza emotiva produttiva e
improduttiva all’interno delle sedute
Nel tentativo di valutare, dalle videoregistrazioni delle sedute, le emozioni primarie, secondarie o strumentali e quelle disadattive e adattive, abbiamo incontrato
delle difficoltà nello stabilire l’affidabilità di piccoli segmenti di sedute (2-4 minuti).
Tuttavia abbiamo trovato che era possibile giudicare con affidabilità se un episodio
emotivo si rivelasse produttivo o improduttivo a livello terapeutico. Abbiamo costruito
la Productivity Scale (Greenberg, Auszra & Herrmann, 2004) per differenziare fra gli
stati emotivi produttivi e non nella terapia, riscontrando che la presenza di emozioni
produttive era chiaramente predittiva dell’esito terapeutico in un’analisi intensiva di
otto clienti depressi (Auszra, Herrmann & Greenberg, 2004).
76
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
Uno stato emotivo sperimentato nel presente è produttivo se (a) si tratta di un’emozione adattiva primaria che viene elaborata in maniera che le informazioni adattive
possano essere estratte ed utilizzate, e se (b) si tratta di un’emozione disadattiva primaria che viene elaborata in modo da poter essere potenzialmente trasformata in un’emozione più adattiva o se si trovi attualmente in un processo di trasformazione. Per essere produttivo, lo stato emotivo deve essere primario, dal momento che le emozioni
secondarie e strumentali non consentono né l’accesso agli schemi emotivi disadattivi
soggiacenti, né contengono informazioni adattive sul significato degli eventi per il benessere dell’organismo. Pertanto, uno stato emotivo viene valutato come produttivo sul
piano terapeutico, quando il cliente sperimenta un’emozione primaria fondamentale in
maniera consapevole, entrando in contatto con l’emozione stessa e senza restare bloccato in essa. Inoltre, per essere produttiva sul piano terapeutico, l’emozione, deve essere
rilevante ai fini di una tematica terapeutica fondamentale.
Sulla base di questa definizione, un cliente è consapevolmente in contatto con
un’emozione quando si assume la responsabilità dell’emozione che prova (non assume
l’atteggiamento di vittima) e quando non è sopraffatto dall’emozione stessa. Il cliente,
pertanto, non attribuisce la responsabilità delle emozioni provate a fonti esterne, né
attribuisce la responsabilità della risoluzione di una situazione problematica a fonti
esterne. Per esempio, quando esprime rabbia, non condanna semplicemente gli altri,
oppure quando esprime dolore, non si concentra solo sui fattori esterni responsabili
della situazione. Inoltre, un cliente non è in contatto con l’emozione in maniera consapevole se l’emozione è soverchiante, se non riesce a regolarla adeguatamente, o se il
cliente sta mettendo in atto una dissociazione; in questi casi l’emozione non contiene
valore informativo per il cliente. Un’emozione non è soverchiante quando si riesce a
creare una distanza per lavorare su quell’emozione e quando il cliente riesce a trarre da
essa una serie di informazioni o cambiare in seguito al contatto con essa.
Un cliente è “bloccato” se sperimenta un’emozione disadattiva primaria sempre
nello stesso modo, ossia in un modo che non consente alla consapevolezza emotiva
di progredire. Un’emozione disadattiva primaria che si presenta in terapia, è bloccata
quando ci troviamo di fronte ad una risposta ripetitiva di fronte alla stessa situazione evocativa (per es. rabbia verso il padre abusante), una risposta similare ripetuta in
differenti situazioni evocative (per es. rabbia di fronte alle critiche di un genitore, del
partner, dei colleghi), o quando costituisce uno stile di reazione emotiva generale caratteristica di quel cliente (per es. impotenza come risposta generale a tutte le tipologie di
situazioni complicate). L’emozione disadattiva primaria è bloccata se il cliente non mostra alcun miglioramento nella capacità di sopportarla meglio (per es. il cliente ripete
incessantemente «Non ce la faccio», oppure «è troppo forte»), di regolarla meglio (per
es. di fronte ad una certa emozione, il cliente sperimenta sempre e automaticamente
un elevato livello di arousal e, spesso, le transizioni fra un arousal elevato o basso sono
improvvise), o di accettarla meglio (il cliente rifiuta ripetutamente il vissuto emotivo;
ad esempio dicendo «Non voglio provare rabbia», oppure «Detesto trovarmi in questo
stato»). Inoltre non si sviluppa consapevolezza emotiva (ossia l’emozione non si differenzia in emozioni più complesse, in significati o in una sequenza di altre emozioni e
significati) quando un’emozione è bloccata. La Tabella 4.1 riassume gli indicatori di
emozioni produttive e improduttive.
77
La terapia emotion-focused per la depressione
Tabella 4.1 Indicatori di emozioni produttive e improduttive
Produttive
Improduttive
L’emozione adattiva primaria è produttiva se è presente Discorso concettuale sulle emozioni
consapevolezza
L’emozione disadattiva primaria è produttiva se viene Emozione evitata, soppressa o temuta.
elaborata con consapevolezza e se si entra in contatto
con essa.
Il cliente si sperimenta come agente e non come Il cliente ha un vissuto da vittima.
vittima dell’emozione.
L’emozione non è soverchiante.
L’emozione non è bloccata o fissa.
L’emozione è soverchiante.
L’emozione è bloccata.
Fondamenti della terapia emotion-focused per la
depressione
La EFT si basa su quattro fondamentali princìpi guida supportati empiricamente per accrescere l’esperienza emotiva. I princìpi sono incorporati in una cornice di
riferimento globale che enfatizza l’importanza del supporto emotivo e sociale nella
promozione del cambiamento e, in particolare, nel trattamento della depressione. Nella terapia, il supporto sociale ed emotivo viene implementato attraverso una relazione
caratterizzata da sintonizzazione affettiva, validazione dell’esperienza e responsività
empatica. Al di fuori della terapia, implica l’incoraggiamento dell’acquisizione il supporto emotivo interpersonale caratterizzato da ascolto, da relazioni validanti e sostegno
strumentale, quando necessario. Il supporto emotivo all’interno della terapia è il fondamento dell’efficacia terapeutica dei seguenti quattro princìpi di elaborazione emotiva:
(a) accrescimento della consapevolezza emotiva, (b) accrescimento della regolazione
emotiva, (c) riflessione sull’emozione e (d) trasformazione dell’emozione. Questi quattro princìpi agiscono come guida generale per il lavoro sulle emozioni. Costituiscono il
fondamento dei diversi obiettivi dell’intervento emotion-focused e indicano come lavorare con differenti tipologie di emozioni in momenti differenti.
La consapevolezza emotiva
Il primo e più generale obiettivo della EFT per la depressione, è quello di promuovere la consapevolezza emotiva. La capacità dei clienti di verbalizzare il vissuto interiore
è un focus centrale della EFT per la depressione. Il terapeuta lavora con i clienti per
aiutarli ad avvicinarsi, tollerare e regolare le proprie emozioni, oltre che a trasformarle.
L’accettazione dell’esperienza emotiva, in opposizione all’evitamento, è il primo passo nel lavoro sulla consapevolezza; la consapevolezza emotiva sembra essere cruciale
per lo sviluppo emotivo. Fintanto che i clienti prestano attenzione agli indici emotivi
78
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
interni ed esterni, l’elaborazione cognitiva di queste informazioni contribuisce al problem-solving e allo sviluppo. L’attenzione verso un’esperienza emotiva, necessariamente
precede e facilita la descrizione di quell’esperienza attraverso il linguaggio o altre modalità rappresentazionali. Questo, a sua volta, contribuisce all’ulteriore elaborazione
e raffinamento degli schemi utilizzati per elaborare l’esperienza emotiva nel futuro.
Levitt, Brown, Orsillo e Barlow (in stampa) hanno recentemente messo in evidenza che
l’accettazione delle emozioni porta ad un rapido recupero rispetto alla repressione.
La consapevolezza implica una forma di elaborazione duale costituita da distacco e sperimentazione profonda del vissuto attuale; una forma di vivere l’esperienza.
Pertanto la consapevolezza implica sia un distacco consapevole, sia un salto nel flusso
esperienziale, in modo che il cliente possa simultaneamente osservare ed entrare in
contatto con l’esperienza.
Con i clienti che possiedono una regolazione eccessiva, l’intervento dovrebbe guidarli ad una maggiore consapevolezza dell’intervento e ad un vissuto pieno e viscerale
dell’emozione in una modalità progressiva allo stesso tempo. Gli individui con una
regolazione eccessiva sono tentati dall’essere consapevoli della propria esperienza senza
viverla appieno. Ad un certo punto, devono semplicemente smettere di osservare, e
sperimentare. I terapeuti devono aiutarli ad osservare e vivere allo stesso tempo, e ciascuno di questi aspetti della consapevolezza potrebbe risultare utile in tempi differenti
per clienti diversi.
Per i soggetti che invece hanno una cattiva regolazione, che sono costantemente
inondati da più di quanto riescano a gestire, la terapia si deve concentrare sullo sviluppo di capacità di coping o sull’apprendimento di un miglior utilizzo delle capacità già
possedute, di modo che possa essere utile una forma di consapevolezza più distaccata
promossa dalla presenza mentale. I terapeuti dovrebbero tenere a mente che i clienti
con un disturbo borderline di personalità, non hanno le capacità interiori di autoconsolazione; il supporto alle capacità di autoconsolazione di questi clienti fragili verrà discusso con maggiore dettaglio nella sezione seguente sulla regolazione delle emozioni.
L’obiettivo nel trattamento della depressione, è che i clienti diventino consapevoli
delle emozioni primarie e che, alla fine, abbiano accesso alle emozioni adattive primarie. Nella depressione, queste emozioni adattive, di solito, sono rabbia in risposta alla
violazione o all’ingiustizia e tristezza in risposta ad una perdita. Le emozioni adattive
primarie includono anche stati più piacevoli come la gioia, la compassione la calma.
La vergogna fondamentale, il senso di inutilità, l’ansia profonda e l’insicurezza, gli stati
temuti che di solito i clienti cercano di evitare, spesso bloccano l’accesso anche agli stati
adattivi. Aiutare i clienti a riconoscere queste emozioni ed elaborarle è uno dei compiti
principali della EFT.
Una maggiore consapevolezza emotiva aiuta a smantellare la depressione. Prendere
consapevolezza e simbolizzare l’esperienza emotiva in parole, consente di accedere alle
informazioni adattive e alle tendenze all’azione implicate nelle emozioni. La consapevolezza aiuta le persone a dare un senso alla propria esperienza ed a promuove la loro
capacità di assimilare questa esperienza nelle auto-narrazioni. Consapevolezza emotiva
non significa pensare alle emozioni; implica vivere l’emozione in piena consapevolezza.
Solo quando un’emozione viene vissuta appieno la sua verbalizzazione diventa una
componente importante della consapevolezza. Un ulteriore beneficio della simbolizza79
La terapia emotion-focused per la depressione
zione nella consapevolezza, come suggerito da Rimé, Finkenauer, Luminet, Zech e Philippot (1998), è che questa consente la condivisione emotiva. Tali autori hanno trovato
che i soggetti del campione condividevano gran parte delle esperienze emotive con gli
altri, suggerendo come questa condivisione promuovesse l’accesso al supporto sociale,
contribuisse alla costruzione e al consolidamento dei ricordi di eventi importanti per il
sé e accrescesse l’elaborazione ed il completamento dei ricordi emotivi.
Una volta che il cliente abbia accettato un’emozione fondamentale, invece di evitarla, il terapeuta lo aiuta ad utilizzare o trasformare quell’emozione. Il cliente impara
come accettare ed utilizzare le emozioni adattive di cui è diventato consapevole per
migliorare il coping. Il terapeuta aiuta i clienti a dare un senso a quello che le emozioni
gli dicono e ad identificare l’obiettivo, il bisogno o la preoccupazione che l’emozione li
spinge a soddisfare. L’emozione adattiva viene utilizzata per raccogliere informazioni e
cambiare. L’emozione disadattiva, dall’altro lato, viene riconosciuta per renderla accessibile a nuovi input.
Mano a mano che il cliente va avanti nella terapia, l’obiettivo è quello di progredire verso livelli sempre maggiori di consapevolezza emotiva. Il livello di consapevolezza
emotiva (LEAS), uno strumento sviluppato da Lane e colleghi (Lane, Quinlan, Schwartz, Walker & Zeitlin, 1990; Lane & Schwartz, 1992) misura cinque livelli di consapevolezza emotiva: sensazioni fisiche, tendenze all’azione, emozioni singole, miscele
di emozioni e miscele di miscele di esperienze emotive (ossia la capacità di apprezzare
la complessità nell’esperienza di sé e degli altri). Lane e Schwartz (1992) hanno parlato
della comprensione emotiva in psicoterapia, come di un processo evolutivo che inizia
quando i clienti entrano in terapia con una comprensione semplicistica delle emozioni.
Più comunemente, un cliente riferisce solo di «Sentirsi male» o di «Sentire qualcosa nello stomaco». Nelle sedute iniziali, i terapeuti devono lavorare per accrescere la
consapevolezza dei clienti sulle proprie sensazioni corporee, sul trovarsi a proprio agio
con queste sensazioni e sulla flessibilità nel rispondervi. La consapevolezza corporea in
psicoterapia ha assunto una serie di forme, fra cui l’addestramento alla consapevolezza
(Kabat-Zinn, 1990; Linehan, 1993; Orsillo, Roemer & Barlow, in stampa; Segal, Williams & Teasdale, 2002), la focalizzazione (Gendlin, 1996) ed il rilassamento muscolare progressivo (D. A. Bernstein, Borkovec & Hazlett-Stevens, 2000).
I processi fondamentali implicati nell’elaborazione cognitiva delle emozioni di cui
si occupa la LEAS, sono le interazioni dinamiche fra il diventare consapevoli dell’esperienza fenomenologica, crearne una rappresentazione, elaborare la rappresentazione
(identificare la fonte delle risposte emotive) ed integrarla con altre emozioni e processi
cognitivi. è stato riscontrato che i punteggi alla LEAS correlano significativamente
con l’auto-limitazione ed il controllo degli impulsi (Barrett, Lane, Sechrest & Schwartz, 2000). Questo risultato, replicato in campioni indipendenti, indica che una
maggiore consapevolezza emotiva sia associata ad un maggiore controllo degli impulsi
auto-riferiti. Elevati punteggi alla LEAS sono stati anche associati ad un migliore riconoscimento delle emozioni negli altri in compiti puramente verbali e non verbali (Lane
et al., 1996; Lane, Shapiro, Sechrest & Riedel, 1998).
Salovey, Mayer, Goldman, Turvey e Palfai (1995) hanno trovato che le differenze
individuali nella consapevolezza emotiva, erano predittori del recupero di un umore
positivo e della diminuzione dei pensieri ossessivi in seguito ad uno stimolo stressante.
80
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
Gli individui che riferivano di “avere ben chiaro ciò che sentivano” avevano maggiori
probabilità di recuperare un umore positivo dopo un evento stressante, anche dopo
aver condotto un controllo per depressione, nevrosi, adattamento e umore. Inoltre,
dopo un evento stressante gli individui che riferivano di aver chiare le emozioni vissute, provavano una diminuzione significativa nei pensieri ossessivi nel corso del tempo,
rispetto ai soggetti che, invece, non avevano chiarezza emotiva.
L’arousal emotivo e la promozione dell’elaborazione emotiva (Foa & Kozak, 1986;
Greenberg & Safran, 1984, 1987) sono aspetti importanti nel processo di consapevolezza emotiva. L’elaborazione emotiva è stata misurata come risposta emotiva maggiore o minore, derivante dall’esposizione ad uno stato di paura e ad un’informazione
inconsistente con la struttura cognitivo-affettiva attivata in risposta alla paura (Foa
& Kozak, 1986). Numerose prove raccolte sull’efficacia dell’esposizione ad emozioni,
prima evitate, di paura, ne supporta l’applicazione nella gestione del trauma e di altri
disturbi correlati all’ansia (Foa & Jaycox, 1999). L’abituazione aiuta i clienti a superare
l’evitamento e ad avvicinarsi alle emozioni precedentemente evitate con paura. Affrontando le emozioni temute e accorgendosi di riuscire a sopravvivere, i clienti accrescono
il proprio senso di controllo e diventano maggiormente in grado di riconoscere le emozioni dolorose (Daldrup, Engle, Holiman & Beutler, 1994; Greenberg & Bolger, 2001;
Williams, Stiles & Shapiro, 1999).
Secondo il nostro punto di vista, l’elaborazione emotiva, tuttavia, implica più di
una semplice esposizione, ovvero un insieme di elaborazioni cognitivo-affettive che
da sempre vengono definite nella terapia esperienziale come intensificazione dell’esperienza (Klein, Mathieu-Coughlan & Kiesler, 1986). In questo processo, all’inizio, i
clienti devono avvicinarsi alla sensazione corporea quando si concentrano sull’esperienza emotiva. Successivamente devono riuscire a tollerare l’ingresso in un contatto
vivo con le proprie emozioni. Queste due fasi sono in qualche modo coerenti con i
concetti più comportamentali di esposizione. Dalla prospettiva esperienziale, tuttavia, l’avvicinamento, l’arousal e la tolleranza dell’esperienza emotiva, sono necessari ma
non sufficienti. L’elaborazione emotiva ottimale implica l’integrazione di cognizione ed
emozione (Greenberg, 2002; Greenberg & Pascual-Leone, 1995; Greenberg & Safran,
1987).
Una volta entrati in contatto con la propria esperienza emotiva, i clienti devono
anche orientare l’attività cognitiva su questa esperienza come fonte d’informazione,
analizzarla e darle un senso (Pos, Greenberg, Goldman & Korman, 2003). Questo
processo prevede l’analisi delle convinzioni collegate alle emozioni vissute, dar voce
all’esperienza emotiva ed individuare bisogni che possano motivare il cambiamento
in significati e convinzioni personali. Se si verifica questa analisi, possono emergere
potenzialmente nuove reazioni emotive e nuovi significati, che possono essere successivamente integrati, e che, quindi, possono modificare le strutture di significato cognitivo-affettive esistenti (Greenberg & Safran, 1987). Elaborazione emotiva, pertanto,
significa superare l’evitamento, arrivare alla consapevolezza, tollerare l’arousal emotivo,
analizzare e riflettere sull’emozione e generare un nuovo significato. È stato dimostrato
che questa elaborazione e un predittore di esito positivo della psicoterapia per la depressione (Castonguay, Goldfried, Wiser, Raue & Hayes, 1996; Goldman & Greenberg, in
stampa; Pos et al., 2003).
81
La terapia emotion-focused per la depressione
La consapevolezza e l’esperienza emotiva devono essere promosse, quindi, come
competenza di base nel trattamento della depressione. Con i clienti iper-controllati e
con costrizione emotiva, il terapeuta può incoraggiare un focus costante sul qui-e-ora,
sulle reazioni momento-per-momento, su ciò di cui si sta parlando per aiutarlo a sviluppare questa capacità. I terapeuti devono incoraggiare i clienti a diventare consapevoli delle proprie emozioni, delle sensazioni corporee e delle loro attuali emozioni. La
consapevolezza delle sensazioni corporee nel qui-e-ora può portare alla consapevolezza
altre emozioni che non erano nella sfera di consapevolezza immediata del cliente. Per
i clienti con una depressione, questo focus porterà alla consapevolezza di emozioni
precedentemente non riconosciute di rabbia, tristezza, paura e vergogna. Queste emozioni, non solo devono essere attivate e tollerate, ma devono anche essere simbolizzate
e analizzate, sia per le informazioni utili che forniscono, sia per identificare eventuali
aspetti disadattivi.
L’espressione emotiva, di recente, si è dimostrata essere un aspetto unico dell’elaborazione emotiva che è predittore dell’adattamento al cancro al seno (Stanton et al.,
2000). Le donne che affrontavano il cancro esprimendo le loro emozioni, avevano un
numero minore di appuntamenti medici, maggiore forza e vigore fisico e un livello minore di stress rispetto a quelle con una scarsa espressione emotiva. Il coping espressivo
era anche collegato ad una maggiore qualità della vita per quelle che percepivano di
avere un ambiente sociale molto recettivo. Le analisi suggerivano che il coping espressivo accresceva il perseguimento di obiettivi, ma era anche mediato dalla speranza.
Coloro che, in una ricerca, manifestavano grande speranza (ossia che avevano un più
forte senso di azione e la capacità di pianificare per raggiungere determinati obiettivi)
ottenevano maggiori successi nell’arrivare ad una risoluzione adattiva di emozioni complesse attraverso il coping espressivo, rispetto a coloro con un grado minore di speranza.
Il coping espressivo potrebbe favorire la concentrazione e la chiarificazione di preoccupazioni centrali e promuovere il perseguimento degli obiettivi. L’arousal emotivo, la
consapevolezza e, in alcune situazioni, l’espressione, sembrano pertanto essere aspetti
terapeutici dell’elaborazione emotiva nella gestione della perdita e della paura implicate
nella depressione.
Diventare consapevoli delle emozioni richiede che si verifichino alcuni microprocessi molto specifici, che comprendono elementi di emozioni che devono essere
presenti alla mente per poter dire che un cliente sia completamente in contatto con
l’esperienza di un’emozione. Questi elementi sono la situazione stimolo, l’arousal fisiologico e la sensazione, il simbolo o etichetta cognitiva, la mobilitazione di un impulso
o una tendenza all’azione e il bisogno. Tutti, o alcuni di questi elementi, possono non
essere presenti nella consapevolezza del cliente per ragioni che vanno dall’evitamento
alla mancanza d’informazione. Per esempio, un cliente più istrionico potrebbe riferire
elevati livelli di arousal fisiologico, ma non essere in grado di simbolizzare cognitivamente l’emozione che sta provando. Questo blocco nella chiarificazione cognitiva
potrebbe essere il target dell’intervento terapeutico. Dall’altro lato, un cliente narcisista
che riesce a verbalizzare ciò che sente e cosa vorrebbe fare alla persona che lo ha offeso,
potrebbe trovarsi in uno stato di freddo e distaccato evitamento dell’esperienza viscerale dell’emozione. Per questo cliente, il focus sull’arousal e sulla sensazione potrebbe
aiutarlo a diventare più consapevole dell’emozione.
82
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
La valutazione di quali siano gli elementi mancanti, guida il processo dell’intervento sulla consapevolezza emotiva in maniera sistematica; l’obiettivo è quello di aiutare i
clienti a diventare consapevoli di tutti e cinque gli elementi. Il processo di acquisizione
di una consapevolezza cosciente delle risposte emotive, di per sé, ha un effetto fisiologico auto-regolatorio; pertanto, consentire a se stessi di vivere fino in fondo il disagio
emotivo e poi concentrarsi sull’emozione, può condurre al cambiamento (Greenberg,
2002).
La regolazione delle emozioni
Il secondo principio di elaborazione emotiva implica la regolazione delle emozioni. La regolazione delle emozioni si riferisce al processo con cui le persone influenzano
le emozioni che provano, quando le provano e, cosa più importante, come le vivono
e le esprimono. L’autoregolazione delle emozioni viene di solito definita in termini di
regolazione cosciente delle emozioni, e dell’insieme di processi di controllo con cui le
persone controllano volontariamente quando, dove e come vivere queste emozioni.
Cicchetti, Ackerman e Izard (1995) hanno evidenziato che una componente centrale
della regolazione emotiva è «L’intercoordinazione delle emozioni con i sistemi cognitivi» (p. 4). L’attività cognitiva sulle emozioni è un aspetto essenziale della regolazione
cosciente delle emozioni. Per esempio, è stato riscontrato che la rivalutazione favorisce
la regolazione emotiva più della soppressione (Gross, 2002). Pertanto, la creazione
di nuovi significati può favorire l’acquisizione di un maggiore senso di controllo o di
vedere le cose sotto una luce differente, e questo aiuta la regolazione delle emozioni.
La regolazione emotiva descrive anche la capacità del sistema cognitivo di acquisire
informazioni dal sistema emotivo (Cicchetti et al., 1995).
Come evidenziato nel capitolo 2, LeDoux (1996), Damasio (1994) e Davidson
(2000a) hanno mostrato che la corteccia prefrontale è collegata con l’amigdala e può
influenzarla. Ma l’enfasi sul cambiamento dei sentimenti, modifica consciamente il
modo in cui pensiamo ed è il risultato dell’attuale dominanza dell’approccio cognitivo
in psicologia. Come abbiamo detto, le prove delle neuroscienze affettive, indicano che
esiste una regolazione affettiva implicita (emisfero destro) e una esplicita (emisfero sinistro) (Schore, 2003) e che nei clienti più fragili, il problema sia un deficit nelle modalità più implicite di regolazione dell’intensità emotiva. I processi auto-regolatori affettivi
essenziali si verificano, per lo più, a livelli al di sotto della sfera della consapevolezza,
probabilmente all’interno della corteccia orbitofrontale, che subentra all’amigdala e al
funzionamento inferiore dell’emisfero destro, per effettuare un’elaborazione più complessa (Derryberry & Tucker, 1992; Joseph, 1996; Rolls, 1996a, 1996b). La regolazione affettiva implicita, che si verifica attraverso i processi dell’emisfero destro, non ha
mediazione verbale ed è più direttamente influenzata dalla comunicazione relazionale
ed emotiva attraverso le espressioni facciali, la qualità vocale ed il contatto oculare.
Invece di adottare il classico punto di vista bifattoriale della regolazione delle emozioni, in cui si considera che un sistema generi l’emozione e un altro la regoli successivamente, consideriamo la regolazione delle emozioni un aspetto che fa parte della
generazione dell’emozione ed è confinante con questa (Campos, Frankel & Camras,
83
La terapia emotion-focused per la depressione
2004). Pertanto, la regolazione non si raggiunge facilmente con il solo sistema cognitivo. Aiutare i clienti a trovare modalità di affrontare consciamente o intenzionalmente
le proprie emozioni, spesso è il primo passaggio terapeutico per coloro che provano un
elevato grado di stress.
Nel trattamento della depressione è importante chiedersi quali emozioni debbano
essere regolate e come. Le emozioni che richiedono una regolazione nella depressione,
di solito, includono emozioni secondarie come la disperazione e lo sconforto, ed emozioni disadattive primarie come la vergogna o l’ansia dell’insicurezza o del panico fondamentali. Anche un dolore schiacciante o una rabbia instabile potrebbero necessitare
di una regolazione. La capacità di down-regulation dell’arousal emotivo è chiaramente
importante per poter lavorare con efficacia. Inoltre, la capacità di contenere la propria
rabbia o il proprio dolore, in particolare in contesti pubblici, sono aspetti importanti
della regolazione emotiva, come la capacità di calmare le proprie ansie e modulare la
vergogna.
La regolazione delle emozioni nella depressione implica non solo la moderazione
di determinate emozioni, ma anche il mantenimento e l’accrescimento di altre emozioni; può essere utile anche una up-regulation. Accentuare le esperienze piacevoli e
accedere alle esperienze emotive negative, represse e spiacevoli, sono aspetti importanti
della terapia. Per esempio, un cliente depresso che si sente stordito, potrebbe imparare
ad ascoltare un pezzo di musica malinconica che lo aiuti ad attivare emozioni tristi,
consentendogli di uscire da questo stallo. Inoltre, la capacità di comunicare le emozioni
negative agli altri per elaborarle, è spesso utile nell’alleviare la depressione.
Nella depressione, due capacità regolatorie particolarmente importanti che i clienti possono sviluppare, sono l’assunzione della posizione di osservatore per acquisire una
distanza e lavorare sulla disperazione e lo sconforto schiaccianti, e lo sviluppo di capacità più implicite di autoconsolazione per quietare e confortare ansie fondamentali e
l’umiliazione, e per regolare il livello generale di arousal. Nella depressione, l’esperienza
secondaria di paura e disperazione che derivano dalla ruminazione sui fallimenti o sulle
ferite emotive, spesso, devono essere regolate. Invece di dilungarsi su queste esperienze,
il cliente deve riuscire ad accedere alle esperienze emotive ed al supporto intrapersonale
e interpersonale.
La consolazione interpersonale assume la forma della sintonizzazione empatica e
della responsività alle emozioni, attraverso l’accettazione e la validazione dell’altro. Riuscire a consolare se stessi è inizialmente una capacità che deriva dall’interiorizzazione
delle funzioni consolatorie dell’altro protettivo (Stern, 1985, 1995). I clienti con una
scarsa capacità di regolare le emozioni, traggono anche beneficio dalla validazione e
dall’apprendimento di capacità di regolazione emotiva, e di competenze per la tolleranza dello stress (Linehan, 1993). La presenza di un ambiente sicuro, validante, supportivo ed empatico, aiuta a calmare lo stress non regolato che viene generato automaticamente (Bohart & Greenberg, 1997), aiuta i clienti ad interiorizzare la consolazione
del terapeuta, e rafforza il sé dei clienti con una depressione. Le capacità di regolazione delle emozioni utili nel trattamento della depressione, implicano l’identificazione
consapevole e la denominazione delle emozioni, la costruzione di una distanza dalla
disperazione e dal senso di inutilità, l’accrescimento delle emozioni positive come gioia
o speranza, la riduzione della vulnerabilità di fronte a paura, vergogna e disperazione
84
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
schiaccianti, e l’apprendimento di tecniche di autoconsolazione, respirazione e di evitamento della distrazione dall’attività di ruminazione.
Le forme di esercizio meditativo e di auto-accettazione, spesso, sono utili per raggiungere una certa distanza dalle emozioni schiaccianti e disadattive di vergogna e
vulnerabilità. La capacità di regolare la respirazione e di osservare le emozioni mentre
vanno e vengono, sono processi importanti che aiutano nella regolazione di gran parte
dello stress emotivo. I trattamenti per la consapevolezza si sono dimostrati efficaci nel
trattamento dei disturbi d’ansia generalizzati e nel panico (Kabat-Zinn et al., 1992),
del dolore cronico (Kabat-Zinn, Lipworth & Burney, 1985) e nella prevenzione di ricadute nella depressione (Teasdale et al., 2000). Inoltre, è utile guidare i clienti con una
cattiva regolazione, a diventare consapevoli di ciò che sta accadendo al di fuori della
loro esperienza emotiva immediata, ridirezionando l’attenzione sull’ambiente esterno.
Essere consapevoli del corpo a contatto con la sedia, dello sguardo sul volto del terapeuta, o della luce che entra dalla finestra, li aiuta ad essere più presenti ed a migliorare
la regolazione.
L’attenuazione fisiologica, implica l’attivazione del sistema nervoso simpatico che
regola la frequenza cardiaca, la respirazione e altre funzioni simpatiche che, invece, si
velocizzano in risposta allo stress. Ad un livello più intenzionale, promuovere le capacità del cliente ad accogliere e provare compassione verso l’emergente esperienza emotiva dolorosa, aiuta a sopportare l’emozione e favorisce l’autoconsolazione. In questo
processo, i clienti possono anche utilizzare centri cerebrali superiori per riconoscere
consciamente i messaggi depressogeni inviati da un livello inferiore, e poi agire per
calmare lo stato di attivazione utilizzando come coping il discorso interiore ed altre
strategie coscienti.
La capacità di regolare intenzionalmente emozioni rilevanti nella depressione e
nell’ansia ad essa collegata, può essere promossa attraverso interventi psicoeducativi.
Insegnare ai clienti che spesso la disperazione è secondaria rispetto ad un’emozione
fondamentale che deve essere riconosciuta, e che la depressione e l’ansia spesso sorgono
perché si cerca di evitare questa emozione fondamentale, li prepara ad affrontarla. I
terapeuti possono insegnare ai clienti che è importante dare un nome alle emozioni per
il loro valore informativo, per comprendere meglio le informazioni motivazionali implicate nelle emozioni. Un elenco delle emozioni e delle corrispondenti informazioni
motivazionali, e anche altre forme di supporto, possono aiutare i clienti ad identificare,
denominare e differenziare varie esperienze emotive primarie. I clienti possono essere,
inoltre, incoraggiati a scrivere una narrazione delle esperienze depressive e a registrare le
emozioni, i sintomi fisici, i pensieri e i comportamenti implicati in questi episodi.
Per i clienti con personalità disturbate, estremamente fragili, come quelli con un
disturbo borderline di personalità, è importante costruire nel tempo capacità implicite
o automatiche di regolazione delle emozioni. Sperimentare direttamente l’abbassamento del livello di arousal per mezzo di strumenti relazionali o non verbali – un processo
mediato dall’emisfero destro (Schore, 2003) – è uno dei modi migliori per costruire
una capacità interiore di autoconsolazione. Dal momento che l’obiettivo terapeutico
primario per i clienti fragili è quello di riuscire a regolare automaticamente l’intensità
dell’arousal emotivo in modo che non diventi schiacciante, per i clienti che si sentono
completamente fuori controllo, possono essere utili, all’inizio, forme di regolazione
85
La terapia emotion-focused per la depressione
cognitiva o comportamentale intenzionale (un processo mediato soprattutto dall’emisfero sinistro). Pertanto, farsi un bagno caldo per calmarsi (regolazione sensoriale) o
imparare a distrarsi o a fare una pausa quando si prova rabbia (regolazione cognitivocomportamentale) può migliorare il coping.
I clienti depressi con disturbi di personalità e funzionamento borderline, hanno
quasi tutti bisogno di sviluppare questa capacità automatica di regolazione affettiva
per riuscire a calmare l’ansia schiacciante e l’intensità delle emozioni che provano. Lo
sviluppo di queste capacità avviene principalmente attraverso un buon legame emotivo
con un terapeuta responsivo. Il terapeuta e il cliente regolano l’arousal affettivo nella relazione diadica, negoziando positivamente le transizioni da uno stato all’altro. Il
processo del rivivere emozioni positive dopo un’esperienza negativa, aiuta il cliente ad
imparare che l’emozione negativa può essere sopportata e trasformata.
Nella depressione, l’arousal emotivo basato sull’attivazione amigdalare relativo alla
minaccia, alla perdita e all’umiliazione, deve essere affrontato, accolto e accettato, invece che evitato o controllato. Sembra che riconoscere, consentire e tollerare le emozioni
siano aspetti importanti della regolazione, che aiutano i clienti a sviluppare compassione ed empatia verso se stessi. Gli individui possono fornire questa consolazione
dell’emozione a se stessi attraverso un’azione interiore (per es. attraverso la respirazione
diaframmatica, il rilassamento, lo sviluppo di auto-empatia e compassione, il discorso
interiore) o può fornirglielo un’altra persona. Spesso, tuttavia, una relazione con un
altro sintonizzato ed empatico è essenziale per sviluppare una regolazione delle emozioni.
La riflessione sulle emozioni
Ciò che le persone fanno della propria esperienza emotiva li rende ciò che sono. In aggiunta al valore informativo della consapevolezza emotiva, la simbolizzazione
consapevole delle emozioni promuove la riflessione sull’esperienza per generare nuovi
significati e questo aiuta le persone a sviluppare nuove narrative per spiegare la loro
esperienza (Greenberg & Pascual-Leone, 1995; Guidano, 1995a, 1995b; Pennebaker,
1990; Watson & Greenberg, 1996; Whelton & Greenberg, 2001). Per esempio, la
simbolizzazione di ricordi emotivi traumatici in parole, aiuta a promuovere la loro integrazione nell’auto-narrazione del cliente (Van der Kolk, 1994). Mettere le emozioni
in parole, pertanto, consente ad esperienze di ricordi emotivi precedentemente non
simbolizzate, di essere assimilate all’interno della coscienza dell’individuo, della comprensione concettuale del sé e del mondo dove possono essere organizzate in una storia
coerente. Pennebaker e colleghi hanno mostrato gli effetti positivi che la narrazione
scritta dell’esperienza emotiva ha sul sistema nervoso autonomo, sul sistema immunitario e sulla salute fisica ed emotiva (vedere Pennebaker, 1990, 1995). Pennebaker
(1995) è giunto alla conclusione che attraverso il linguaggio, gli individui riescono ad
organizzare, strutturare e, alla fine, ad assimilare le esperienze emotive e gli eventi che
hanno generato determinate emozioni. Inoltre, una volta che sono riusciti a mettere in
parole le emozioni, le persone riescono a riflettere su come si sentono, a creare nuovi
significati e a valutare la propria esperienza emotiva.
86
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
All’interno del campo della ricerca sulla coscienza, si opera una distinzione fra
consapevolezza fenomenologica e riflessiva. La consapevolezza fenomenologica si riferisce al reale contenuto della coscienza (l’attenzione focale a sentimenti ed emozioni di
sottofondo), mentre la consapevolezza riflessiva implica attenzione o coinvolgimento in
un’operazione cognitiva relativa ai contenuti dell’esperienza cosciente (Farthing, 1992).
La consapevolezza riflessiva, o metacognizione, richiede la creazione di una rappresentazione dell’esperienza, e questa rappresentazione influenzerà le future informazioni
emotive, ovvero la modalità con cui verranno interpretate e vissute. La consapevolezza
riflessiva è una competenza fondamentale necessaria per un esito psicoterapeutico positivo ed è un obiettivo chiave del trattamento.
L’insight e la riconcettualizzazione dell’esperienza emotiva, da sempre, sono state considerate importanti nella modificazione delle emozioni. Sono uno strumento
importante, ma non l’unico e nemmeno il più importante, per raggiungere il cambiamento emotivo. Frank J. (1963) ha condotto lavori molto importanti nella sua ricerca
sui fattori comuni a differenti teorie psicoterapeutiche, basando il proprio lavoro sul
concetto che ogni persona possiede il proprio unico “mondo di postulati” che è costituito dalla totalità dell’esperienza presente, conscia ed inconscia. Questo concetto ha
evidenziato il ruolo delle cornici di significato nel determinare l’esperienza. Il ruolo,
all’interno della psicoterapia, della capacità di avere una consapevolezza cosciente dei
processi e dei contenuti della propria mente, affinché la ragione e l’insight possano far
luce sulle motivazioni inconsce, è da sempre stato sostanziale, dai primordi della psicoanalisi fino ai giorni nostri. Anche se le questioni teoriche e le tecniche psicoanalitiche
di Freud (1915/1957, 1923/1961) si concentravano sulle motivazioni inconsce e sulle
emozioni represse, le procedure per affrontarle erano fortemente cognitive e interpretative. Lo scopo manifesto era quello di far raggiungere al cliente un’insight consapevole
sulle radici dei propri disturbi psichici.
L’insight è stato uno dei primi strumenti di cambiamento in psicoterapia ad essere
proposto. La consapevolezza e l’insight sono spesso associate tra loro, ma differiscono
per alcuni aspetti importanti. Diventare consapevoli di un’emozione, come quando si
riconosce l’esperienza della rabbia o della tristezza a livello corporeo, o simbolizzare i
suoni e gli odori di un evento del passato a forte carica emotiva, differisce in maniera
significativa dalla costruzione riflessiva di un significato o dalla narrazione di un’esperienza. Quest’ultima richiede una spiegazione, che è un passo ulteriore rispetto alla
simbolizzazione. Pertanto, la narrativa che il cliente crea sul perché della fine di una
relazione, è molto diversa dalla reale esperienza di perdita della relazione. Una volta
che il cliente riconosce di provare tristezza per una perdita, il modo in cui crea una
spiegazione di questa perdita è molto importante ed influenzerà grandemente il suo
stato emotivo. Una spiegazione che include un rifiuto a causa di mancanze personali
porta alla vergogna. Una spiegazione che ricorre alla reciproca incompatibilità, invece,
genererà solo sentimenti di perdita.
In modo simile, riconoscere la rabbia per non aver ottenuto ciò che si desiderava
in una relazione, è un passaggio del processo di cambiamento emotivo. Comprendere
questa rabbia o spiegarla come funzione dell’incapacità dell’altro di vivere secondo
standard elevati, provoca una reazione, mentre, spiegarla come un proprio bisogno di
essere apprezzati, avrà un impatto esperienziale e relazionale molto diverso. Pertanto,
87
La terapia emotion-focused per la depressione
il modo in cui il cliente comprende le proprie emozioni sul piano concettuale e la
storia in cui incorpora queste emozioni, influenzano il significato che assumeranno le
emozioni stesse. Esiste una fluente letteratura empirica sull’influenza delle attribuzioni
e della cognizione in generale sulle emozioni e sulla depressione (Abramson, Seligan &
Teasdale, 1978; D. D. Clarke & Blake, 1997) e tutte queste attestano l’importanza di
riflettere sulle emozioni. Numerosi terapeuti hanno scritto sull’importanza di modificare le cornici di riferimento dei clienti nel corso della terapia (Beck, 1983; J. Frank,
1963; Frankl, 1959).
Fondamentale in quest’ottica, è che il sé viene rappresentato nella memoria come
un sistema dinamico e complesso di strutture cognitive (self-schemata). Queste vengono costruite attraverso l’interazione con l’ambiente, e funzionano al di fuori della sfera
della consapevolezza per organizzare ed elaborare informazioni rilevanti per il sé, per
generare significati e fungono da cornice interpretativa che collega le risposte emotive e
comportamentali individuali con gli eventi del mondo esterno. I self-schemata influenzano il modo in cui un individuo percepisce, interpreta e risponde alle informazioni
sociali (Bargh, 1982); il modo in cui regola il comportamento e l’umore, influenzando,
altresì, il processo responsabile della generazione di giudizi sul sé e sugli altri (Markus
& Wurf, 1987). La ricerca indica anche che gli individui con elevato livello di complessità del sé (ossia, con numerosi e articolati concetti di sé) mostrano una minore
resistenza al feedback che mette in discussione una visione stabile del sé e una minore
reattività emotiva ad eventi di vita stressanti, rispetto ai soggetti con bassa complessità
del sé (Linville, 1985, 1987). Stein e Markus (1994, 1996) sostengono che i concetti di
sé giocano un ruolo cruciale nel promuovere od ostacolare il processo di adattamento,
asserendo, inoltre, che è il modo in cui i self-schemata sono organizzati che consente
flessibilità e capacità di adattamento nelle risposte comportamentali ed emotive.
Il sé è fortemente implicato nello sviluppo della depressione. Beck (1996) sostiene
che un cambiamento delle emozioni depressive, richiede interventi che si focalizzino
principalmente sul contenuto negativo (per es. immagini, pensieri) dei self-schemata.
Blatt (1974, 2004), dall’altro lato, ha proposto che la riflessività del sé, la capacità di
tollerare ed integrare le esperienze emotive e un senso di azione, siano aspetti critici
nello sviluppo del senso di sé di un individuo. Ha suggerito che distorsioni in tutti gli
aspetti del sé siano fondamentali per le esperienze di dipendenza e di autocritica delle
persone depresse, e che entrambe queste esperienze debbano essere affrontate nel trattamento della depressione.
In maniera simile, la psicoterapia esperienziale e quella costruttivista sostengono
che la depressione sia l’espressionedell’incapacità di un soggetto o del non riuscire ad
elaborare e a dare un significato alle esperienze interiori (Greenberg, Watson & Lietaer,
1998; Guidano, 1995a, 1995b; Neimeyer & Mahoney, 1995; Rogers, 1959; Toukmanian, 1992). Sostengono, ancora, che il cambiamento nei concetti di sé implichi le
trasformazioni negli schemi che derivano dalla riflessione e dalla ristrutturazione delle
informazioni importanti per il sé, più che dal cambiamento nel solo contenuto degli
schemi (Guidano, 1991; 1995a, 1995b; Mahoney, 1991, 1995; Neimeyer & Mahoney, 1995; Toukmanian, 1990, 1992). I clienti arrivano in terapia con percezioni di
sé rigide, bloccate, che impediscono la generazione di prospettive alternative per dare
risposte più adattive. Dal momento che il cambiamento si verifica al livello dei pro88
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
cessi inferenziali e dei significati dei clienti, la terapia deve aiutare i clienti ad imparare
a scegliere modalità più flessibili e produttive di elaborazione, in modo che possano
essere modificate le forme abituali di costruzione dell’esperienza (Toukmanian, 1992,
1996). Questo processo crea un significato che riorganizza e differenzia ulteriormente
i self-schemata, portando alla creazione di nuovi significati, ad un senso più pieno e
più differenziato dell’io e del me, ad una maggiore flessibilità nei costrutti del sé e del
sé in relazione ad altri, e ad un maggiore adattamento nel funzionamento quotidiano
(Guidano, 1991).
Trasformare le emozioni
L’ultimo principio dell’elaborazione emotiva implica la trasformazione delle emozioni aprendo l’accesso ad altre. Questo principio viene utilizzato per favorire la trasformazione delle emozioni fondamentali disadattive. Anche se le emozioni possono essere
trasformate dalle tecniche più tradizionali che prevedono di viverle ed esprimerle fino
in fondo (abituazione) o attraverso la riflessione su di esse per arrivare ad una nuova
comprensione (insight o ristrutturazione), abbiamo individuato un altro processo ancora più importante: quello di un’emozione che si trasforma in un’altra emozione. Questo
nuovo principio suggerisce che uno stato emotivo disadattivo, possa essere trasformato
positivamente, debellandolo attraverso un altro stato emotivo adattivo. L’attivazione
contemporanea dell’emozione adattiva, insieme o in risposta a quella disadattiva, aiuta
la trasformazione. Questo principio suggerisce che i clienti possano allontanare lo stato
emotivo disadattivo depressivo, come l’insicurezza che si fonda sulla paura o il senso
di inutilità che si fonda sulla vergogna, attraverso l’accesso ad altre emozioni adattive,
come la rabbia o la tristezza. Suggerisce anche che sviluppare la capacità di collegare
gli stati emotivi negativi e positivi, e di operare transizioni da uno stato all’altro, sia
una parte importante del cambiamento terapeutico. Mano a mano che stati differenti vengono attivati contemporaneamente, l’emozione adattiva, con i relativi bisogni,
tendenze all’azione e significati, si fonde con lo stato emotivo disadattivo e aiuta a
trasformarlo.
Spinoza (1675-1967) è stato il primo a sottolineare come sia necessaria un’emozione per cambiarne un’altra, affermando che «Un’emozione non può essere limitata o
rimossa se non attraverso un’altra emozione opposta e più forte» (p. 195). La ragione
è, chiaramente, raramente sufficiente per modificare le risposte emotive automatiche
basate sull’emergenza. Darwin (1897-1998), sobbalzando indietro per il colpo sferrato
contro una vetrata da un serpente chiuso all’interno di questa, notava di essersi avvicinato ad esso con l’intenzione di non sobbalzare indietro, ma, contrariamente, la sua
volontà e la sua ragione erano impotenti di fronte al pericolo immaginato di cui non
aveva mai avuto esperienza. Invece che sostituire la ragione all’emozione, si dovrebbe
sostituire un’emozione con un’altra. Come aveva osservato Shakespeare: «Un fuoco
viene spento da un altro che brucia; un dolore viene diminuito da un’altra angoscia»
(Romeo & Giulietta, Atto I, Scena 2). Guidano (1991), similmente, ha evidenziato
che «Mentre di solito l’azione di pensare modifica i pensieri, solo i sentimenti possono
modificare le emozioni» (p. 61).
89
La terapia emotion-focused per la depressione
Differenti tipologie di prove empiriche, supportano questo principio della trasformazione delle emozioni attraverso la sostituzione di un’emozione problematica con
risposte emotive che entrino in competizione con essa. Parrott e Sabini (1990) hanno
riferito prove relative al richiamo di un umore incongruente con quello attuale, come
forma di regolazione dell’umore. Hanno, infatti, riscontrato che l’umore si modificava
quando le persone ricordavano eventi che neutralizzavano l’umore positivo e negativo
e che questo processo si verificava al di fuori della sfera della consapevolezza. In un’ulteriore ed interessante linea di ricerca, si è riscontrato che le emozioni positive sono
incompatibili con quelle negative. Fredrickson (2001) suggerisce che, ampliando il
repertorio momentaneo pensiero-azione di un cliente, un’emozione positiva possa allentare il morso che quella negativa ha sulla sua mente. I vissuti di gioia e contentezza
producono una ripresa cardiovascolare più rapida da un’emozione negativa, rispetto
ad esperienze neutrali. Questi risultati suggeriscono che le emozioni positive siano nutrimento per la forza psicologica. Un altro studio di Tugade e Fredrickson (2000) ha
riscontrato che i soggetti più resistenti affrontano le situazioni chiamando a raccolta le
emozioni positive che possano regolare le esperienze emotive negative. Hanno trovato
che questi individui manifestavano una ripresa fisiologica che li aiutava a ritornare alla
baseline cardiovascolare più velocemente.
In uno studio sulla gestione dell’autocritica, Whelton e Greenberg (in stampa)
hanno trovato che le persone che erano maggiormente vulnerabili alla depressione,
mostravano maggior disprezzo di sé, ma anche minore resistenza all’autocritica rispetto
a soggetti non inclini alla depressione. Le persone meno vulnerabili alla depressione
erano in grado di ricorrere alle risorse emotive positive, come l’orgoglio e la rabbia,
per contrastare il contenuto depressogeno ed i pensieri negativi. In altre parole, le persone più resistenti, dopo un’esperienza stressante, sembravano generare un’emozione
positiva, spesso attraverso l’immaginazione o il ricordo, per calmarsi, e riuscivano a
contrastare le emozioni e le visioni negative del sé in questo stato di maggiore forza
psicologica. L’accesso ad uno stato emotivo positivo, pertanto, favorisce il controbilanciamento dell’effetto dello stato emotivo negativo. Tutte queste ricerche, indicano
che le emozioni possano essere utilizzate per cambiare altre emozioni e che le emozioni
positive regolano quelle negative.
Davidson (2000a, 2000b) ha suggerito che il sistema affettivo negativo, basato sul
ritiro e sull’elaborazione emisferica destra, possa essere trasformato tramite l’attivazione
del sistema di approccio della corteccia prefrontale sinistra. Egli ha definito la resilienza
come il mantenimento di elevati livelli di emozioni positive e di benessere di fronte alle
avversità, ed ha enfatizzato che non è che le persone con una maggiore resistenza non
provino emozioni negative, bensì, ciò che caratterizza la resistenza, è la non persistenza
dell’affetto negativo. Levenson (1992) ha passato in rassegna la ricerca che indica che
emozioni specifiche sono associate a pattern specifici di attività del sistema nervoso
autonomo, fornendo le prove che differenti emozioni modificano in modo diverso la
fisiologia. Inoltre, è stato dimostrato che le emozioni vengono trasformate in maniera
differente dalla diversa capacità delle persone di auto-generare immagini che possano
sostituire le emozioni generate a livello automatico, con copioni più desiderabili (Derryberry & Reed, 1996), suggerendo l’importanza delle differenze individuali anche in
questo ambito.
90
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
I sentimenti negativi, pertanto, sembrano poter essere sostituiti da sentimenti felici, non in maniera semplice (ossia solo “cercando di vedere il lato positivo delle cose”),
ma attraverso l’evocazione di esperienze alternative significative che possano smantellare
l’emozione negativa. Per esempio, nel lutto, è stato dimostrato che la capacità di ridere
fosse un buon predittore del recupero; che essere in grado di ricordare i tempi felici e di
sperimentare gioia fosse un antidoto alla tristezza (Bonanno & Keltner, 1997). Il calore
e l’affetto, similmente, spesso sono un antidoto all’ansia. Nella depressione, un senso
d’inutilità sottomesso e carico di proteste, può essere trasformato, a livello terapeutico,
conducendo i clienti alla comprensione del bisogno che guida questa protesta, quali, ad
esempio, il desiderio di liberarsi delle proprie gabbie e di accedere alle emozioni di gioia
ed eccitazione per la vita. Isen (1999) ha ipotizzato che almeno alcuni degli effetti delle
emozioni positive, dipendono dagli effetti dei neurotrasmettitori implicati nelle emozioni di gioia su specifiche parti del cervello che influenzano il pensiero finalizzato; Isen
ha, dunque, citato prove rilevanti a sostegno di come le emozioni positive promuovano
flessibilità, problem-solving e socievolezza.
Anche Fredrickson (2001) ha dimostrato come le emozioni positive possano ampliare e costruire strategie che accrescono il problem-solving. Emozioni positive come
la gioia, l’interesse, l’orgoglio e l’amore, ampliano i repertori momentanei di pensieroazione delle persone, cosa che a sua volta serve a costruire le risorse permanenti per far
fronte alla vita. Inoltre, la ricerca sulle valutazioni congruenti all’umore, ha mostrato
come l’umore possa influenzare il pensiero (Mayer & Hanson, 1995). Il buon umore
porta all’ottimismo; l’umore negativo al pessimismo. Sbalzi nell’umore portano a sbalzi
nel pensiero ed è stato dimostrato che questi comportano chiaramente differenti modalità di ragionamento (Palfai & Salovey, 1993).
In una differente linea di ricerca sull’effetto dell’espressione motoria sull’esperienza, Berkowitz (2000) ha riferito di uno studio sull’effetto dell’attività muscolare
sull’umore. I soggetti che parlavano di un episodio che aveva scatenato rabbia, mentre serravano il pugno della mano, riferivano di provare maggiori sentimenti di rabbia, mentre il pugno chiuso portava ad una riduzione della tristezza mentre si parlava
di un incidente triste. Questo indica come l’espressione motoria possa intensificare le
emozioni ad essa coerenti, ma, allo stesso tempo, diminuirne altre. Pertanto, sembra
che anche l’espressione muscolare di un’emozione possa cambiare un’altra emozione.
Inoltre, in linea con la teoria di James-Lange (James, 1890), Flack, Laird e Cavallaro
(1999b) hanno dimostrato che l’espressione facciale, posturale e vocale di un’emozione, ne accresceva il vissuto, sia che i soggetti fossero o meno consapevoli dell’emozione che stavano esprimendo. L’esperienza di un’emozione, quindi, fino ad un certo
punto, può essere indotta od intensificata coinvolgendo il corpo in questa espressione. È interessante notare che vi sono differenze individuali in questa capacità, ove,
ad esempio, i soggetti maggiormente sensibili nel corpo manifestano maggiormente
questa tendenza.
Anche una linea di ricerca più generale in psicologia sociale sugli effetti del roleplay nel cambiamento di atteggiamenti, supporta l’idea che agire all’interno di un ruolo porti le persone a vivere un’esperienza e degli atteggiamenti coerenti con il ruolo
(Zimbardo, Ebbesen &Malasch, 1997). Pertanto, il role-play può trasformare qualcosa
che all’inizio non è reale, in qualcosa di reale, proprio come quando si sostiene che
91
La terapia emotion-focused per la depressione
dire qualcosa spesso ci porta a crederci (Myers, 1996). Pertanto una modalità possibile
di evocare un’altra emozione, è quella di farla esprimere ai clienti all’interno di un
role-play. L’espressione dell’emozione gli farà cambiare il vissuto legato all’espressione
stessa.
Nella ricerca sulla psicoterapia, la musica si è dimostrata utile nell’evocare emozioni alternative e sembra essere, addirittura, migliore dell’immaginazione per modificare le emozioni (Kerr, Walsh & Marshall, 2001). L’attivazione frontale destra visibile
nell’elettroencefalogramma (EEG), normalmente associata ad emozioni tristi, registrava un’attivazione simmetrica in seguito ad un massaggio ed all’ascolto di musica (Field,
1998; Jones, Field, Fox, Davalos & Gomez, 2001). La transizione verso un umore più
positivo, o almeno una simmetria fra emozioni tristi e felici, era accompagnato da spostamenti nell’attivazione nell’EEG frontale destra e sinistra nelle mamme e nei bambini
(Fields, 1998).
In una linea di ricerca sull’espressione delle emozioni nella EFT per la depressione (Greenberg & Watson, 1998), abbiamo trovato pattern clinicamente interessanti
di modificazione delle emozioni. Korman (1998) ha dimostrato che i casi di esito
positivo e negativo, potevano essere discriminati sulla base del grado di cambiamento delle emozioni nel corso della terapia. Un’analisi intensiva di piccoli campioni
di clienti in questo trattamento per la depressione, ha rilevato come cambiavano le
emozioni. I risultati delle nostre indagini sui singoli casi combinati con ricerche su
gruppi più ampi che collegavano l’arousal emotivo e il cambiamento all’esito (Korman, 1998; Warwar & Greenberg, 2000), hanno indicato che il livello di arousal
emotivo a metà del trattamento era predittivo dell’esito, e che una diminuzione di
un’emozione associata all’aumento di un’altra, si verificasse maggiormente nei casi di
esito positivo che in quelli di esito negativo. In una serie di casi con esito positivo,
alla riduzione della vergogna e della paura corrispondevano un aumento di tristezza
e rabbia.
Nell’analisi intensiva di un campione casuale di 4 clienti con esito positivo e 4 con
esito negativo presi da un bacino più ampio di 34 clienti depressi, l’espressione della
paura nelle sedute terapeutiche, in relazione alla tematica fondamentale della visione di
sé, si riduceva col progredire dell’intervento in tutti e quattro i casi con esito positivo
(Avagyan, 2001) e non avveniva nessun cambiamento paragonabile nei casi di esito
negativo. Le emozioni che sostituivano la paura erano differenti caso per caso. Per
esempio, in un caso di esito positivo, la paura del fallimento era stata sostituita dalla
rabbia alla metà del trattamento; in un altro, la paura del rifiuto era stata sostituita
dalla tristezza nella fase finale della terapia. In quel contesto terapeutico, la rabbia e la
tristezza erano state giudicate più adattive rispetto alla paura. Al contrario, nei casi di
esito negativo, la paura del fallimento o del rifiuto restavano presenti e non venivano
mai sostituite, o riorganizzate, dall’emergere di nuove emozioni.
In un altro piccolo campione, erano emersi altri pattern di sostituzione di emozioni con altre emozioni (Florence, 2001). Per esempio, in un caso, le tre emozioni
dominanti espresse nella prima fase della terapia (rispetto a tutte le emozioni di quella fase), erano paura/ansia (28%), vergogna/senso di colpa (28%) e disperazione/
impotenza (17%). Le emozioni dominanti della fase mediana erano tristezza (43%),
dolore/sofferenza (29%) e rabbia/risentimento (10%). Nell’ultima fase, le emozio92
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
ni dominanti erano paura/ansia (16%), dolore/sofferenza (13%), gioia/eccitazione
(13%) e contentezza/calma/sollievo (13%). In altri casi, un’emozione dominante di
vergogna, era stata sostituita con rabbia o gioia nelle ultime fasi e, in altri casi ancora,
le emozioni dominanti di paura o tristezza erano sostituite con la rabbia. Nei casi di
esito negativo, questa trasformazione nella frequenza del vissuto di un’emozione e
nella sostituzione di un’emozione con un’altra, non erano riscontrabili. Nei casi di
esito negativo si riscontrava, inoltre, un livello complessivamente minore di arousal emotivo. Sembrerebbe che la mancanza di arousal interferisca con l’elaborazione
emotiva e questo lascerebbe il cliente ed il terapeuta bloccati nelle prime emozioni
problematiche.
Un altro insieme di studi su singoli casi di clienti presi da una popolazione di
individui depressi, ha indagato il processo di assimilazione delle esperienze negative
all’interno della sfera della consapevolezza (Honos-Webb, Stiles, Greenberg & Goldman, 1998; Honos-Webb, Surko, Stiles & Greenberg, 1999). Queste ricerche hanno
mostrato che cambiamenti nella terapia si verificavano in seguito alla sostituzione di
una voce dominante disadattiva della personalità, che escludeva le esperienze emotive,
con una voce emotivamente più adattiva, che consentiva all’emozione di essere assimilata. L’oggetto rilevante, in queste ricerche, era la presenza di pattern idiosincratici di
trasformazione emotiva; le emozioni che andavano a sostituirne altre erano specifiche
per ogni cliente.
Tale principio basato sulla sostituzione di un’emozione con un’altra, supera i concetti di catarsi, esposizione o abituazione, in quanto l’emozione disadattiva non viene
semplicemente epurata o attenuata; piuttosto, un’altra emozione viene utilizzata per
trasformarla o smantellarla. In questi casi, il cambiamento emotivo si verifica attivando
esperienze incompatibili, più adattive, che possano sostituire o trasformare le vecchie
modalità di risposta. Le osservazioni cliniche e la ricerca suggeriscono che la trasformazione emotiva si verifichi attraverso un processo di sintesi dialettica fra schemi opposti.
Quando vengono attivati contemporaneamente schemi opposti, vengono sintetizzate
le informazioni compatibili di ciascuno schema attivato per andare a formare schemi
di livelli superiore, proprio come nel corso dello sviluppo, dove lo schema relativo allo
stare in piedi e quello del cadere di un bambino che impara a camminare, vengono dinamicamente sintetizzati nello schema di livello superiore “camminare” (Greenberg &
Pascual-Leone, 1995; J. Pascual-Leone, 1991). Pertanto, nella terapia, la paura disadattiva, una volta attivata, può essere trasformata in emozioni più adattive, che stabiliscono più limiti come la rabbia o il disgusto, o in sentimenti più tollerabili di compassione
o perdono. Similmente, la rabbia disadattiva può essere smantellata da una tristezza
adattiva. Lo schema disadattivo può essere sostituito dall’accesso alla rabbia in seguito
ad una violazione subìta, da sentimenti di auto-confronto, dall’orgoglio e dal senso di
valore personale. Pertanto, la tendenza a sprofondare al suolo per la vergogna, viene
sostituita da una tendenza a venir fuori, che deriva dall’accesso alla rabbia in seguito
alla violazione. Le emozioni di ritiro proprie di un emisfero cerebrale, vengono sostituite con emozioni di avvicinamento dell’altro emisfero o viceversa (Davidson, 2000a,
2000b). Una volta che si è avuto accesso all’emozione alternativa, questa si fonde con
lo stato originario, trasformandolo con il tempo.
93
La terapia emotion-focused per la depressione
Quando focalizzarsi su un’emozione e quando regolarla
Un altro aspetto importante della regolazione delle emozioni, concerne l’imparare
quale sia il momento giusto per concentrare l’attenzione più nel profondo sulla propria esperienza emotiva, e quando, invece, questo potrebbe essere controproducente. I
clienti depressi possono presentare una regolazione eccessiva o inadeguata. Gli obiettivi
delle sedute con clienti differenti ed in momenti differenti, sono chiaramente non assimilabili. Sono di grande importanza i criteri secondo cui concentrarsi, entrare dentro,
approfondire ed esplorare un’emozione, e su quando regolarla. È utile immaginare un
continuum intensità-chiarezza e lavorare con i clienti per aiutarli ad individuare un
punto in cui l’emozione diventa disorganizzante, schiacciante e confusionaria, e quindi
deve essere regolata. Potrebbe essere d’aiuto concentrarsi ed esplorare un’emozione,
ma quando il cliente giunge ad una mancanza di regolazione (per es. manifesta segnali
di dissociazione, intorpidimento, prova ansia, inizia a manifestare oscuramento), ciò
significa che l’amigdala sta prendendo il sopravvento sui processi di pensiero e sul
problem-solving, e, dunque, il cliente necessita di regolazione.
Il primo e più importante criterio di facilitazione delle emozioni, consiste nella
presenza di un legame relazionale che riesca a contenere l’emozione da smuovere, insieme ad un accordo e una collaborazione a voler indagare oltre. Il terapeuta deve valutare
la capacità del cliente di tollerare l’ansia e le emozioni, ed il tipo di evitamento e di
modalità d’interruzione che utilizza. Il compito principale della terapia dovrebbe essere
coerente con l’idea che il terapeuta si è fatto della capacità emotiva del cliente. Dal momento che i sistemi diagnostici standard, come il Manuale Statistico e Diagnostico dei
Disturbi Mentali, non valutano la capacità emotiva, non sono utili in questo frangente.
Due persone possono presentare lo stesso raggruppamento sintomatologico sull’Asse I
e II, ma avere differenti capacità emotive.
In generale, l’evitamento di un’emozione, è un indicatore della necessità di una
maggiore consapevolezza emotiva. Quando i clienti stanno provando qualcosa e cercano di interrompere questa sensazione, o di evitarla razionalizzando o distraendosi,
potrebbe, invece, essere terapeutico aiutarli ad avvicinarsi all’emozione. I clienti che
arrivano alla disperazione quando evitano la tristezza o la rabbia, potrebbero trarre
grande beneficio da una maggiore consapevolezza emotiva e da un miglior accesso alle
tendenze comportamentali guidate dalle emozioni. Affrontare i sentimenti immagazzinati nei ricordi emotivi e verbalizzare le emozioni, può aiutare quei clienti che devono
rielaborare esperienze traumatiche. I terapeuti dovrebbero aiutare i clienti a provare
direttamente un’emozione quando l’alleanza è buona e quando l’evitamento è basso.
Quando l’evitamento è da moderato a elevato, e il cliente diventa teso (per es. ha i
muscoli contratti ed espressioni linguistiche discontinue) il lavoro deve concentrarsi
maggiormente sulla consapevolezza dell’evitamento e sui processi discontinui, piuttosto che sull’emozione in se stessa. Quando i clienti si appiattiscono, somatizzano o si
confondono nell’avvicinarsi ad un’emozione, i terapeuti devono utilizzare un approccio
graduale per rafforzare la capacità del cliente di tollerare l’ansia e le emozioni.
Una controindicazione alla facilitazione del processo di evocazione di un’emozione, è quando la relazione terapeutica non è in grado di supportarla perchè il cliente
non si sente sicuro. Le emozioni non dovrebbero essere evocate fintanto che non esista
94
Linee guida per il lavoro sulle emozioni nella depressione
fiducia da parte del cliente, e finchè il terapeuta non abbia una conoscenza sufficiente
del cliente e della sua situazione. La controindicazione più importante per l’accrescimento dell’arousal emotivo, è che il cliente si senta schiacciato dall’emozione e manifesti segnali di disorganizzazione. Quando i clienti sono estremamente fragili (ossia, non
riescono a tollerare nessuna emozione senza sentirsi persi o senza iniziare a proiettare
emozioni e pensieri sugli altri), hanno bisogno di regolazione, calma e di integrazione
per costruire una struttura più forte e sviluppare la capacità di tollerare, prima l’ansia e
poi emozioni e sentimenti sempre più profondi. Una storia precedente di aggressioni o
di incapacità di far fronte a determinate contingenze, è un’altra importante controindicazione all’evocazione di rabbia o di sentimenti di vulnerabilità. L’arousal emotivo,
inoltre, è in genere controindicato per quei clienti che manifestano forme distruttive
di coping; se fanno uso di sostanze, si abbuffano, o manifestano comportamenti autolesionistici per gestire lo stress, non è consigliabile attivare questo stress fintanto che non
abbiano appreso modalità più adattive di coping.
95
CAPITOLO 5
IL PROCESSO DI TRATTAMENTO NELLA TERAPIA
EMOTION-FOCUSED
Esperienza significa conoscenza, tutto il resto è solo informazione.
Anonimo
Si può considerare che la terapia emotion-focused (EFT) operi sulla base di due
princìpi guida fondamentali: la facilitazione di una relazione terapeutica e la promozione del lavoro terapeutico. Questi princìpi, che Greenberg, Rice ed Elliott (1993)
hanno inizialmente presentato in una variante manualizzata precedente, nota come
terapia processuale esperienziale, operano per tutto il corso delle differenti fasi terapeutiche. La facilitazione della relazione terapeutica opera sulla base di tre sotto-princìpi:
sintonizzazione empatica, costruzione del legame e collaborazione su un compito
specifico. La sintonizzazione empatica si riferisce alla presenza del terapeuta e alla sintonizzazione momento-per-momento con l’esperienza affettiva differente del cliente.
Il focus di questo principio riguarda lo stato ed i processi percettivi del terapeuta; il
terapeuta si concentra sull’esperienza emotiva del cliente e vi entra in contatto. La costruzione di un legame si riferisce all’esprimere o al comunicare ciò che è stato compreso; il terapeuta per tutto il tempo comunica empatia, accettazione e genuinità. La collaborazione su un compito, il terzo principio relazionale, si riferisce alla collaborazione
complessiva e momento-per-momento sugli obiettivi e sui compiti della terapia.
Anche la promozione del lavoro terapeutico opera sulla base di tre sotto-princìpi:
elaborazione esperienziale differenziale, crescita, scelta e completamento di compiti.
L’elaborazione esperienziale differenziale si riferisce alle differenti modalità di elaborazione e ai differenti compiti che devono essere promossi, in fasi diverse della terapia,
per promuovere un ampliamento del vissuto del cliente. In un momento, il terapeuta potrebbe promuovere un focus più interno; in un altro, l’espressione attiva di
un’emozione; in un altro ancora, attribuire un significato ad un’emozione e, ancora,
in un’altra situazione, alla connessione interpersonale. La focalizzazione dell’attenzione, la ricerca esperienziale, l’espressione attiva, il contatto interpersonale e l’autoriflessione sono solo alcune delle differenti modalità di elaborazione che il terapeuta
potrebbe promuovere. Inoltre, compiti differenti vengono scelti come indicatori spe97
La terapia emotion-focused per la depressione
cifici dell’elaborazione di diverse difficoltà emotive. Così, per esempio, quando un
cliente presenta un unfinished business, il terapeuta potrebbe suggerire il dialogo con
la sedia vuota; in un altro momento, quando il cliente è meno concentrato sull’aspetto corporeo, il terapeuta può utilizzare la focalizzazione dell’attenzione.
La crescita e la scelta, che privilegiano l’autodeterminazione del cliente, sono il
secondo principio relativo al lavoro terapeutico. Il terapeuta supporta il potenziale e
la motivazione del cliente all’autodeterminazione, all’indipendenza, al controllo e allo
sviluppo di sé. La crescita viene promossa, prima di tutto, attraverso un processo di
ascolto attento dei punti di forza del cliente e delle sue risorse interiori, aiutandolo ad
esaminare il margine di crescita della propria esperienza e a concentrarsi sulle possibilità. La scelta e l’autodeterminazione vengono facilitate anche incoraggiando il cliente
a prendere decisioni nelle singole sedute sugli obiettivi, sui compiti e sulle attività della
terapia, e a condividere il controllo del lavoro con il terapeuta.
L’ultimo principio riguarda il completamento di compiti. Questo principio promuove un attenzione tematica al completamento di un compito iniziato che si dimostri coerente con gli obiettivi del cliente. Quando il compito è vissuto come contrario
rispetto agli obiettivi del cliente, il terapeuta deve seguire il processo momento-permomento, al fine di sintonizzarsi meglio con questi obiettivi. L’adozione di questo principio consente di seguire e guidare momento-per-momento l’esperienza del
cliente.
In termini più generali, la terapia si costruisce su una relazione empatica che dà
giudizi genuini e sul terapeuta che è altamente presente, rispettoso e responsivo nei
confronti dell’esperienza del cliente. Allo stesso tempo, i terapeuti assumono che sia
utile guidare l’elaborazione emotiva del cliente in modi differenti in momenti diversi. La situazione ottimale in questo approccio è una collaborazione attiva fra cliente
e terapeuta, dove nessuno dei due si sente guidato o seguito dall’altro. Piuttosto,
l’ideale è un senso di co-esplorazione; quando c’è disaccordo o fraintendimento, il
cliente deve essere considerato l’esperto della propria condizione e il terapeuta deve
sempre fare riferimento alla sua esperienza. Pertanto, gli interventi del terapeuta
vengono offerti in modalità non impositiva e propositiva sotto forma di ipotesi,
prospettive, esperimenti o suggerimenti, non come giudizi di un esperto, lezioni o
assunzioni di verità.
La combinazione della relazione con gli interventi orientati al compito nella EFT,
porta ad una tensione creativa che rende possibile combinare i benefici di entrambi
gli stili, diminuendo, allo stesso tempo, i singoli svantaggi. Il terapeuta monitorizza
costantemente lo stato dell’alleanza terapeutica ed i compiti terapeutici, per giudicare
quale sia l’equilibrio migliore fra stimolazione affettiva e sintonizzazione responsiva. La
relazione ha sempre la precedenza sullo svolgimento di un compito. Buber (1958) ha
scritto che un volto umano compassionevole, privo di dissimulazione, ruolo o assunzione di superiorità, offre all’altro più speranza rispetto alle tecniche psicologiche più
sofisticate. Anche se il terapeuta può essere un esperto dei possibili passaggi terapeutici
potenzialmente facilitatori, deve essere presente, prima di tutto, come essere umano
compassionevole, il cui compito è facilitare l’esperienza del cliente. Il significato, quindi, sorge da un processo di co-costruzione, non dall’arrivo ad una qualche realtà predeterminata dal terapeuta.
98
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
Seguendo questi princìpi, siamo arrivati a considerare il terapeuta un coach di emozioni (Greenberg, 2002). Il coaching prevede accettazione e cambiamento (Linehan,
1993); il terapeuta promuove consapevolezza e accettazione dell’esperienza emotiva,
insegnando ai clienti nuove modalità di elaborazione delle emozioni. Il seguire indica
accettazione, mentre il guidare introduce aspetti di novità e possibilità di cambiamento.
La guida fornisce direzione per l’esplorazione, senza, dunque, dar suggerimenti circa
i contenuti su cui i clienti dovrebbero concentrarsi o interpretando il significato della
loro esperienza, ma piuttosto, guidando la forma di elaborazione che scelgono di seguire.
Addestrare i clienti depressi a diventare consapevoli delle proprie emozioni, implica aiutarli a dare un nome alle emozioni che vivono, aiutarli ad accettarle e parlare di
cosa significhi vivere un’emozione. Implica anche la facilitazione di nuove modalità di
elaborazione dell’emozione e guidare i clienti su nuove strade per calmarsi e regolare
l’emozione. Inoltre, il coaching di clienti depressi prevede la facilitazione nell’utilizzo
di emozioni adattive, di solito rabbia e tristezza, così come il farsi da guida nell’azione
e nella trasformazione delle emozioni disadattive, di solito paura, vergogna, o rabbia.
È importante notare che, spesso, non si possono semplicemente insegnare ai clienti
nuove strategie sul piano concettuale per gestire le emozioni difficili; piuttosto, di solito, hanno bisogno di una facilitazione esperienziale per farsi coinvolgere in una nuova
elaborazione, e solo dopo il terapeuta può insegnare loro esplicitamente cosa fare. Per
esempio, accedere alla rabbia, ad un bisogno o ad un obiettivo, potrebbe essere molto
utile nel superare il senso di disperazione o sconfitta depressiva. Tuttavia, insegnare
esplicitamente ai clienti quello che dovrebbero fare, non è neanche lontanamente utile
quanto facilitare sul piano interpersonale questo accesso chiedendo, al momento giusto
e nel modo giusto, cosa sentono o quale sia il loro bisogno.
Per guidare la relazione ed il lavoro terapeutico, abbiamo sviluppato un approccio
alla formulazione del caso sensibile al contesto, che aiuti a promuovere lo sviluppo
di un focus per trattamenti brevi. La formulazione del caso si basa su una diagnosi
processuale, sulla scelta di un focus e sullo sviluppo di una tematica, più che solo sulla
sindrome o sulla diagnosi. In un approccio al trattamento orientato al processo, la formulazione del caso è un processo costante, sensibile al momento e al contesto specifico
della seduta come lo è alla comprensione della persona. Questa responsività è necessaria sia per mantenere una relazione rispettosa, sia per mantenere una certa coerenza con
il punto di vista secondo cui i clienti sono gli agenti attivi parte di un flusso costante,
che creano continuamente significati. I clienti sono sistemi dinamici, auto-organizzantisi, che entrano in differenti organizzazioni del sé in momenti differenti. Lo stato
in cui il cliente si trova in un dato momento e la sua attuale narrazione, determinano
maggiormente l’esperienza e la potenzialità rispetto a qualunque concettualizzazione di
un pattern più persistente di concetti di sé reificati, i quali potrebbero essersi costruiti
nella fase iniziale del trattamento. Pertanto, in un approccio diagnostico processuale,
il terapeuta mantiene un focus costante sullo stato mentale attuale del cliente e sull’attuale stato dei problemi affettivo-cognitivi. La principale preoccupazione del terapeuta,
è seguire il processo del cliente, identificandone il dolore fondamentale e gli indicatori
delle preoccupazioni emotive presenti, più che formulare un quadro della personalità
persistente del cliente o del suo carattere o del pattern fondamentale. Un focus collabo99
La terapia emotion-focused per la depressione
rativo e una tematica coerente, si sviluppano grazie alla concentrazione sull’esperienza
attuale e sull’esplorazione di esperienze particolari fino ai limiti più estremi, più che
sullo stabilire pattern di esperienze e di comportamenti in differenti situazioni nel mondo esterno.
Fasi della terapia emotion-focused per la depressione
La EFT per la depressione comprende tre fasi principali. La prima fase, costruzione del legame e consapevolezza, è seguita da una fase intermedia di evocazione ed
esplorazione. Infine, la terapia si conclude con una fase di trasformazione, la quale
implica la costruzione di nuove alternative attraverso la generazione di nuove emozioni e la riflessione allo scopo di creare nuovi significati. Le fasi ed i passaggi, descritti
in dettaglio nei paragrafi che seguono, guidano l’applicazione dei due fondamentali
principi della EFT: facilitare la relazione terapeutica e promuovere il lavoro terapeutico.
La prima fase fondamentale del trattamento, la costruzione del legame e la consapevolezza, ha tre obiettivi principali: promuovere un legame relazionale di fiducia,
promuovere la consapevolezza emotiva nel cliente e decidere collaborativamente un
focus iniziale per il trattamento. Il lavoro su questi obiettivi continua per tutto il corso della terapia. Una volta stabiliti un ambiente sicuro, un’alleanza per lavorare sulla
consapevolezza emotiva e un focus iniziale su aspetti dell’esperienza che generano la
depressione, si verifica la transizione alla seconda fase.
La seconda fase, di evocazione ed esplorazione di materiale a forte carica emotiva, è
quella che principalmente caratterizza la EFT come approccio esperienziale alla terapia. In questa fase è cruciale che i clienti sperimentino nella seduta ciò di cui parlano,
e che vivano sul piano esperienziale le preoccupazioni fondamentali, dal momento che
la conoscenza intellettuale non è sufficiente. Per promuovere l’esperienza, i terapeuti
devono valutare i supporti interni ed esterni del cliente per entrare in contatto con
l’esperienza e la sua capacità di contenere ed elaborare ciò con cui entra in contatto. Se
i sostegni non sono adeguati, i terapeuti devono aiutare i clienti a sviluppare le risorse
e la capacità di elaborare questa esperienza.
La EFT lavora sul principio fondamentale secondo cui non è possibile abbandonare un luogo (ossia modificare un’esperienza emotiva) senza esservi arrivati (ossia
fino a che si è vissuta appieno un’emozione). I clienti, pertanto, devono rivendicare le
esperienze rinnegate prima di poterne essere cambiati o di cambiarle. In questo processo, i clienti non scoprono semplicemente cose che non conoscevano, ma, piuttosto,
sperimentano sul piano corporeo aspetti di sé che non hanno mai consciamente vissuto
o che, precedentemente, erano stati negati (Greenberg & van Balen, 1998). Questo
rimpossessarsi dell’esperienza, fa della EFT una terapia esperienziale. I terapeuti aiutano i clienti a vivere ciò di cui parlano, di modo che possano diventare consapevoli delle
emozioni e dell’impatto degli eventi. In questo modo, possono vivere chiaramente, e
con un impatto profondo, il messaggio o il significato dei loro sentimenti, ed in seguito utilizzare, trasformare e riflettere su queste emozioni per generare nuovi significati.
100
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
In questa fase i terapeuti offrono la propria esperienza in qualità di facilitatori di un
processo, grazie, inoltre, alle loro conoscenze su come aiutare i clienti ad arrivare ad
un certo punto e ad elaborare il vissuto fondamentale. Per riuscire in ciò, devono essere in grado di stabilire collaborativamente un contesto sufficientemente supportivo.
L’obiettivo della fase evocativa è aiutare i clienti a sperimentare le loro vulnerabilità
fondamentali, accedendo, nel corso della seduta, agli schemi disadattivi fondamentali.
Questa fase implica un duplice focus sulla facilitazione nell’accesso a fonti di supporto
esterne ed interne, al fine di promuovere il contatto con esperienze precedentemente
disconosciute ed aiutare i clienti a non interrompere e impedire che queste esperienze
entrino nella sfera della consapevolezza.
La Fase 3 implica la trasformazione. Appena i clienti lasciano il luogo in cui sono
giunti nella Fase 2, l’enfasi si sposta sulla costruzione di modalità alternative di risposta
emotiva, cognitiva e comportamentale, tramite l’accesso a nuove risorse interiori sotto
forma di risposte emotive adattive ed assegnando all’esperienza nuovi significati. La
transizione a questa fase, si verifica quando l’esperienza emotiva alla fonte del problema è stata evocata nelle sedute, riacquisita e dopo che ne sono state analizzate origini
e conseguenze.
Nella fase di trasformazione, il terapeuta offre l’esperienza che ha del processo, per
aiutare il cliente a concentrarsi su come accedere alle nuove risposte emotive adattive
e per facilitare la costruzione di nuovi significati. Il cliente genera nuove esperienze
accedendo alle proprie emozioni e correggendo la propria narrazione; in questo modo
emerge una nuova storia vissuta, oltre che raccontata. Nel corso della fase di trasformazione, il processo dialettico di costruzione di significati per nuove sintesi di esperienze, è più evidente nella produzione di un cambiamento. I clienti consolidano i nuovi
significati e generano nuove spiegazioni e narrative che li aiutano a dare un senso ai
cambiamenti nella loro esperienza di sé e del mondo.
Le tre fasi di solito si sovrappongono, sono spesso di natura interattiva e possono
ripetersi se si presentano nuove problematiche. I processi fondamentali della EFT
per la depressione, sono dunque: la creazione di un legame di fiducia e accrescimento
della consapevolezza emotiva; evocazione o rievocazione dell’esperienza, più che il
semplice parlare dell’esperienza stessa; sviluppo di nuove risposte emotive e creazione
di nuovi significati. Per tutto il corso della terapia il cliente viene considerato una
persona attiva, l’esperto della propria esperienza. Il terapeuta viene considerato un
esperto del processo che può guidare e facilitare lo spostamento del cliente verso i
propri obiettivi.
Le tre fasi di costruzione del legame e consapevolezza, evocazione ed esplorazione,
e trasformazione, possono essere divise in passaggi, come sintetizzato nella Tabella 5.1.
Queste fasi e passaggi si sovrappongono più di quanto farebbe intendere una sequenza
lineare. Pertanto, per esempio, la prima fase di costruzione del legame e consapevolezza, continua per tutto il corso del trattamento sino alla fase finale. Anche l’esplorazione e la riflessione sono quasi costanti, ma l’evocazione e la generazione di emozioni
alternative, anche se possono verificarsi in qualunque momento, di solito, sono più
frequenti nella parte finale della terapia.
101
La terapia emotion-focused per la depressione
Tabella 5.1 Passaggi delle Fasi di Trattamento
Fase
Passaggio
1. Costruzione del legame e consapevolezza
1.Attenzione, empatia e validazione delle emozioni del cliente e dell’attuale senso del sé.
2.Fornire le motivazioni per il lavoro sulle
emozioni.
3.Promuovere consapevolezza delle esperienze
interiori.
4.Stabilire un focus collaborativo.
2. Evocazione ed esplorazione
1.Creare supporto.
2.Evocare e sollevare emozioni problematiche.
3.Eliminare le interruzioni.
4.Aiutare i clienti ad accedere alle emozioni
primarie o agli schemi emotivi disadattivi
fondamentali.
3. Trasformazione
1.Aiutare i clienti a generare nuove risposte
emotive per trasformare gli schemi disadattivi fondamentali.
2.Promuovere la riflessione per dare un significato all’esperienza.
3.Validare nuove emozioni e supportare il nuovo senso emergente di sé.
Fase 1: Costruzione del legame e Consapevolezza
Nel corso della fase 1, costruzione del legame e consapevolezza, il terapeuta:
•
•
•
•
dà attenzione e manifesta empatia, confermando le emozioni del cliente e l’attuale
senso del sé;
fornisce le motivazioni alla base del lavoro sulle emozioni;
promuove consapevolezza dell’esperienza interiore;
stabilisce un focus collaborativo.
Dare attenzione, manifestare empatia e confermare le emozioni del cliente
I clienti hanno bisogno, per tutto il corso del trattamento, di un ambiente facilitante in cui farsi coinvolgere dal processo della EFT. Hanno bisogno di una relazione
sicura e convalidante in cui individuare le emozioni, e di una relazione di accettazione e
calmante che li aiuti a regolarle. Parlare con il terapeuta aiuta i clienti ad individuare le
emozioni utili e sane, e quelle problematiche che necessitano di essere cambiate. I clien102
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
ti hanno bisogno che i terapeuti confermino e rafforzino le nuove emozioni emergenti
ed il nuovo senso del sé. Il riconoscimento degli altri, è una delle componenti cruciali
in un nuovo senso del sé e un ingrediente importante per superare il senso fondamentale di inutilità o di abbandono presenti nella depressione.
Negli stadi iniziali della terapia, l’obiettivo è entrare in contatto con il cliente e
stabilire un legame caloroso, empatico e collaborativo. I clienti depressi, spesso, si sentono molto isolati e disperati, e un ascolto attivo attento li aiuta a sentirsi compresi, a
rilassarsi e a concentrarsi su di sé. Il terapeuta, pertanto, inizia subito a fare attenzione
alle esperienze interiori implicite del cliente, sintonizzandosi empaticamente con i suoi
sentimenti. Dall’inizio il cliente viene implicitamente addestrato, attraverso l’attenzione empatica costante del terapeuta sull’esperienza interiore, a fare anch’esso attenzione
alla propria esperienza interiore. I terapeuti, in questa fase, comunicano comprensione,
riconoscimento del dolore e conferma dei conflitti, grazie al focus sull’impatto emotivo degli eventi della vita del cliente. è attraverso l’ascolto attivo del terapeuta, la sua
presenza, la sua cura ed il suo atteggiamento comunicato tramite la postura, le mani
e gli occhi, che viene confermata l’unicità del cliente che, grazie a ciò, arriva a sentirsi
compreso, considerato e rispettato, diventando, quindi, più incline alla fiducia e apertura. Concentrandosi sull’umanità del cliente ed esprimendo una fiducia incondizionata nella sua forza e capacità di crescita, il terapeuta aiuta a far uscire fuori l’unicità e la
resilienza. Quando qualcuno vede una possibilità di crescita in un altro essere umano,
questa possibilità viene stimolata.
Il profondo atteggiamento empatico del terapeuta, il rispetto ed il focus sui punti
di forza e sulle risorse del cliente, aiutano la costruzione di un legame di fiducia e rispetto, consentendo, inoltre, lo sviluppo di un ambiente sicuro e una base sicura per
l’esplorazione che si verificherà con il progredire della terapia. In aggiunta alla creazione di un legame, il terapeuta fornisce, da subito, le motivazioni alla base dell’obiettivo
di entrare in contatto e diventare consapevoli delle emozioni soggiacenti e dei bisogni
implicati nella depressione. Se le emozioni del cliente sono regolate male, il terapeuta
fornisce un motivo anche all’obiettivo di individuare migliori modalità di coping nei
confronti di emozioni che sembrano essere schiaccianti.
Il terapeuta fa comprendere al cliente che le emozioni sono un’importante fonte
d’informazione su come le persone reagiscano alle situazioni e che è importante fare
chiarezza su cosa queste emozioni intendano comunicare loro. Il terapeuta pone una
forte enfasi, sin dall’inizio, sul bisogno del cliente di confermare e accettare il dolore
che prova. Quando i clienti arrivano in terapia, lo fanno perché soffrono e perché
provano dolore, spesso sentono che qualcosa, nella loro vita o dentro di loro, non va.
Per creare un legame emotivo ed un senso di collaborazione, il terapeuta deve cogliere
velocemente e con sicurezza la natura del dolore del cliente. Una volta che il cliente sia
riuscito ad esprimere questo dolore, il senso di isolamento si rompe. Il cliente prova
una sensazione di sollievo per aver descritto questo dolore, per il fatto che ci sia qualcuno che riesca a comprenderlo e per il fatto di sapere che adesso non è più solo in questa
battaglia. Si genera speranza, e l’accordo sul lavoro per risolvere il dolore cronico, crea
un’alleanza sollecitata da questa speranza. La risoluzione del dolore cronico espresso
diventa l’obiettivo del trattamento e la base per l’alleanza terapeutica.
103
La terapia emotion-focused per la depressione
Fornire le motivazioni alla base del lavoro sulle emozioni
È necessario, nelle prime fasi della terapia, fornire esplicitamente le motivazioni
alla base del lavoro sulle emozioni e raggiungere un accordo con il cliente sugli obiettivi
del trattamento. Per i clienti che riconoscono che le emozioni sono l’origine del disagio che provano, l’importanza del focus sulle emozioni è evidente di per sé; per altri,
il lavoro sulle emozioni è un punto di vista completamente nuovo da cui osservare i
problemi. Per prima cosa, il terapeuta spiega che le emozioni sono importanti fonti di
informazione su come reagiamo alle situazioni ed alle nostre principali preoccupazioni,
e che la consapevolezza di queste emozioni, la capacità di gestirle ed il messaggio che
portano con sé, sono aspetti centrali di un sano funzionamento. Il terapeuta dice al
cliente, in forma rispettosa e conversazionale, che la mancanza di consapevolezza, di regolazione e la soppressione possono portare al disagio, mettendo in risalto la relazione
fra sintomi depressivi, come disperazione e ruminazione, e l’evitamento delle emozioni
alla base di questi.
Con il progredire del trattamento, il terapeuta presenta aspetti sempre più specifici
di queste motivazioni. Quando, per esempio, il terapeuta sente che si renda necessario
esplicitare direttamente al cliente di fare attenzione alla propria esperienza interiore,
potrebbe spiegargli che il corpo gli sta comunicando qualcosa sulla reazione avuta e che
è importante accogliere questo messaggio. Quando il cliente blocca un’emozione in
un dato momento, il terapeuta conduce la sua attenzione sull’interruzione e discute le
difficoltà generate dalla paura e dall’evitamento dell’emozione. Il terapeuta offre queste spiegazioni in una forma il più possibile individualizzata, e rilevante ai fini di una
comprensione condivisa dei problemi specifici di quel cliente. Il principio generale da
comunicare è che le emozioni sono guide adattive per l’azione, forniscono informazioni sulle reazioni, sono qualcosa che deve essere riconosciuto e su cui si deve riflettere e,
quando disfunzionali, qualcosa che deve essere trasformato.
Nella seduta iniziale, il terapeuta potrebbe anche fornire alcune informazioni sulla
depressione e sul suo trattamento, in modo che i clienti possano orientarsi sugli obiettivi del trattamento e sul modo in cui questo verrà condotto; è importante che i clienti
scelgano di collaborare con lo scopo della EFT di lavorare sulle emozioni, e che questi
riescano a comprendere come questo lavoro si colleghi ai loro obiettivi di trattamento.
Se è rilevante, in questa fase, il terapeuta può anche educare il cliente all’importanza
di regolare le emozioni e trasmettere le competenze necessarie per acquisire questa capacità. Parlando del vissuto relativo al disturbo dell’umore, i clienti iniziano a vedere
come l’esperienza emotiva non elaborata si colleghi ad episodi di depressione ed ansia.
Questa comprensione aiuta il terapeuta a fornire motivazioni pratiche alla base del lavoro sulle emozioni di base. Similmente, l’esplorazione delle origini evolutive della depressione, aiuta i clienti ad acquisire una migliore comprensione di come siano arrivati
a quella condizione. Successivamente possono iniziare a riconoscere che determinate
reazioni emotive che hanno da sempre avuto nel corso del tempo, come sentimenti di
abbandono o vergogna, sono implicate nella depressione.
Insieme alla motivazione logica, la psicoeducazione può essere utile per dare ai
clienti una cornice di riferimento e prepararli per la successiva trasformazione. Noi
privilegiamo un approccio esperienziale anche alla psicoeducazione, in cui le informa104
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
zioni sono specificamente adeguate allo stato del cliente e vengono date solo quando
il cliente è nella condizione di apprendere. Per esempio, quando un cliente blocca la
rabbia e prova rassegnazione, il terapeuta potrebbe commentare che la soppressione
della rabbia può portare a disperazione e depressione. Oppure, in momenti di disperazione, potrebbe suggerire ai clienti che possono imparare a regolare lo stato di disagio,
prima di tutto, controllando la respirazione e, poi, cercando di verbalizzare il senso di
minaccia. Così il terapeuta potrebbe dire qualcosa come «Prova a dire “Non riuscirò
a sopravvivere”; poi inspira e chiediti “Cosa devo fare per aiutare me stesso e sentirmi
più sicuro?”.
La consapevolezza dell’esperienza interiore
Fin dalla prima seduta, le risposte del terapeuta portano il focus del cliente sulla consapevolezza cosciente della propria esperienza interiore. I terapeuti sottolineano
continuamente l’importanza di mantenere il focus sull’esperienza interiore e, cosa più
importante, sull’attuale esperienza emotiva del cliente. I problemi vengono definiti in
termini di emozioni. Il terapeuta porta il cliente a concentrarsi sull’aspetto corporeo di
ciò di cui sta parlando, con l’obiettivo finale di accedere allo schema emotivo fondamentale che genera il significato personale. Un simile focus, alla fine, aiuta i clienti a
fare attenzione, a superare l’evitamento, a riconoscere ed a vivere appieno le emozioni
dolorose e i significati emotivi, nella sicurezza del contesto terapeutico. Una volta che
queste emozioni vengono allo scoperto, il cliente può differenziare, chiarire e comprendere la propria esperienza e, insieme al terapeuta, modificare i processi disfunzionali.
Successivamente può accedere a bisogni, obiettivi e preoccupazioni alternative e convogliare le risorse interiori verso la promozione del cambiamento.
Alcuni clienti hanno un focus particolarmente esterno, e aiutarli ad entrare in
contatto con i loro sentimenti può essere un compito particolarmente complesso. Il
terapeuta può fare una gentile, ma costante, pressione, a focalizzarsi sull’esperienza interiore momentanea, prima, attraverso una risposta empatica e domande sulle emozioni e, in seguito, guidando l’attenzione del cliente sull’esperienza interiore. Il terapeuta,
pertanto, incoraggia costantemente il cliente a divenire consapevole della propria esperienza interiore e a sviluppare presenza mentale (Kabat-Zinn, 1990; Perls, Hefferline
& Goodman, 1951). In seguito, possono essere utilizzate indicazioni processuali, come
suggerire al cliente di ripetere delle affermazioni chiave che stimolano l’attivazione
dell’emozione nelle sedute, per intensificare l’esperienza e renderla maggiormente vivida. Bisogna arrivare ad uno stato di equilibrio fra il consentire ai clienti di raccontare la
propria storia e tenere traccia delle loro reazioni da un alto, ed il dirigere esplicitamente
l’attenzione all’interno. Esempi di alcune domande che possiamo ritrovare all’interno
del corso della terapia, sono: «Di cosa sei consapevole mentre dici tutto questo?»; «Cosa
accade nel tuo corpo?»; «Cosa senti dentro adesso?».
Attraverso risposte esplorative ed empatiche, e domande sulla consapevolezza
emotiva, il terapeuta lavora per aiutare i clienti ad entrare in contatto, tollerare, regolare ed accettare l’esperienza emotiva. L’accettazione dell’esperienza emotiva, in opposizione all’evitamento, è un passaggio importante del lavoro sulla consapevolezza. Una
105
La terapia emotion-focused per la depressione
volta che il cliente abbia accettato l’emozione, invece di evitarla, allora il terapeuta
può aiutarlo ad utilizzarla per capire cosa essa cerchi di comunicargli e ad identificare
l’obiettivo, il bisogno o la preoccupazione che inconsapevolmente il soggetto cerca di
conseguire. L’emozione viene, dunque, utilizzata come fonte d’informazione e guida al
cambiamento.
Dal momento che il modo migliore per uscire da uno stato emotivo, spesso, sia
attraversarlo (Hunt, 1998), i terapeuti aiutano i clienti, prima, ad arrivare alle emozioni
e, poi, a costruire nuove risposte, a lasciare o trasformare gli stati emotivi disadattivi e
ad andare oltre. I terapeuti aiutano anche i clienti che si sentono sopraffatti dalle proprie emozioni, a sviluppare capacità di regolazione che li aiutino nell’affrontare questi
stati. Aiutare i clienti ad entrare in contatto, accettare e regolare le proprie emozioni
implica aiutarli a:
•
•
•
•
diventare pienamente consapevoli delle emozioni;
accettare, tollerare e accogliere la propria esperienza emotiva (per i clienti con
eccessiva regolazione), oppure a sviluppare capacità di regolazione delle emozioni
che consentano di tollerarle (per i clienti con cattiva regolazione);
dare un nome e descrivere i sentimenti in parole per favorire il problem-solving e
diminuire il livello di arousal;
identificare le emozioni primarie e fondamentali relative a una determinata situazione (Greenberg, 2002).
La EFT è essenzialmente un processo esplorativo. Il cliente e il terapeuta trascorrono molto tempo a focalizzare e simbolizzare il significato idiosincratico dell’esperienza. Il
terapeuta non cerca di utilizzare una nozione predeterminata della causa del problema o
di concentrarsi su particolari emozioni o pensieri considerati la radice della depressione.
Piuttosto, cliente e terapeuta insieme cercano di descrivere l’esperienza unica del cliente.
Questa forma meticolosa di esplorazione co-costruttiva, assicura che, uniti ed insieme,
riescano a cogliere la vera natura delle emozioni e dei significati del cliente. Questa versione particolare e idiosincratica dell’esperienza soggettiva del cliente, potrebbe rivelare,
non solo che il cliente è triste, ma anche che è presente un sentimento disperato di
abbandono che si coglie nelle parole «Mi sento come un bambino orfano». In un altro
cliente il processo esplorativo potrebbe rivelare che la tristezza ha una natura disperata
del tipo «A che serve?»; oppure che è presente un sentimento esplosivo di perdita. Il
tentativo collaborativo di catturare e differenziare la sensazione corporea dell’emozione,
chiarisce e genera significati laddove prima c’erano solo confusione e dubbio.
In ogni momento la possibilità di consapevolezza è sempre maggiore di ciò che
il cliente sta simbolizzando e l’esplorazione dei confini indeterminati della coscienza
porta nuove informazioni. L’esplorazione, poi, implica concentrazione dell’attenzione
sull’esperienza interiore nel tentativo di simbolizzare chiaramente i significati vissuti
che sono al limite della consapevolezza, ma non ancora del tutto coscienti e, di seguito, la riflessione su questi significati. L’identificazione dell’emozione e del significato è
alquanto problematica per numerosi clienti. Potrebbero divenire consapevoli del fatto
che serrano le mascelle e che costringono il torace o del fatto di avere un nodo nello stomaco, senza riuscire a simbolizzare ciò che stanno provando. Potrebbero anche
106
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
mal interpretare un’esperienza, per esempio, definendo come rabbia un’emozione che
potrebbe essere meglio identificata come ansia o timore. Il focus sulla simbolizzazione
adeguata dell’esperienza, richiede concentrazione e presenza mentale, oltre ad un processo di ricerca esperienziale del significato idiosincratico dell’esperienza. La risposta
empatica all’esperienza del cliente è uno dei modi migliori per favorire la chiarezza e
generare nuovi significati. I clienti possono anche essere incoraggiati a narrare le proprie esperienze depressive e a registrare separatamente emozioni, sintomi fisici, pensieri
e comportamenti implicati in questi episodi all’interno di diari emotivi (Greenberg,
2002). I clienti possono anche essere incoraggiati ad esercitare la consapevolezza cosciente delle emozioni come compito a casa.
I clienti che sono sopraffatti dalle proprie emozioni, traggono benefici dall’apprendere abilità di regolazione delle emozioni che accrescono la loro capacità di tollerarle
e di utilizzarle senza ricorrere a strategie di controllo, come l’evitamento o la preoccupazione. Le prime sedute potrebbero concentrarsi sullo sviluppo della consapevolezza
somatica, per aiutare i clienti a diventare maggiormente coscienti delle reazioni fisiche alle emozioni senza interromperle. Un altro focus potrebbe essere una maggiore
comprensione dell’esperienza emotiva, della regolazione e delle strategie per regolare le
emozioni e soddisfare i propri bisogni nelle relazioni intime e sociali e lavorative.
L’obiettivo con i clienti auto-punitivi e che si trascurano, oppure che rifiutano gli
altri, è quello di cercare di aiutarli ad accettarsi di più, ad essere più compassionevoli
e a prendersi cura di sé. In primo luogo, l’atteggiamento empatico e responsivo del
terapeuta è modello di un modo di essere con i clienti che questi possono interiorizzare.
Secondariamente, i terapeuti possono insegnare ai clienti l’importanza di concentrarsi
e di divenire consapevoli dell’esperienza interiore come guida per i bisogni e le azioni. Altre modalità attraverso le quali i terapeuti possono incoraggiare comportamenti
differenti, consistono, ad esempio, nel chiedere ai clienti come potrebbero rispondere
a qualcun altro che si trovi nella stessa situazione o chiedergli di pensare a dei modi
in cui potrebbero essere più compassionevoli e prendersi cura di sé, per esempio, concedendosi cibi particolari, coccolandosi con un bagno caldo, ricercando un maggiore
supporto sociale o facendosi coinvolgere in attività divertenti. Si può anche chiedere ai
clienti di immaginare di essere compassionevoli con se stessi; infatti, anche un compito
di immaginazione guidata può aiutarli. Anche riconoscere i propri limiti è un altra
modalità con cui i terapeuti possono aiutare i clienti a prendersi cura di sé; i clienti
depressi, spesso, hanno bisogno di essere aiutati a dire di no alle richieste che fanno a
se stessi e a quelle che provengono dagli altri. La sintonizzazione con le proprie reazioni
corporee e con i sentimenti, li aiuterà ad essere più sensibili alle sensazioni di stanchezza
ed esaurimento, e più consapevoli di avere bisogno di riposo. I terapeuti incoraggiano i
clienti a rispettare queste emozioni affinché li guidino nel comportamento.
Scegliere un focus
La scelta del focus può essere considerata un aspetto della formulazione del caso
nella EFT. Una caratteristica distintiva dell’intervento emotion-focused è che essa possiede una diagnosi orientata al processo (Greenberg et al., 1993) più che alla persona.
107
La terapia emotion-focused per la depressione
Pertanto, il terapeuta considera, per la scelta di un focus, le modalità di elaborazione
del cliente, come indicatori intra-seduta di stati emotivi problematici e tematiche terapeutiche che si evolvono contemporaneamente. Anche se il cliente ha una diagnosi
di depressione, questa diagnosi di per sé non fornisce molte informazioni su quale
dovrebbe essere il focus del trattamento. Questo focus dovrebbe riflettere le determinanti alla base della depressione del cliente e una comprensione collaborativa del dolore
fondamentale del cliente.
Il terapeuta presta attenzione ad una serie di indicatori differenti a differenti livelli di elaborazione mano a mano che emergono. Gli indicatori sono affermazioni o
comportamenti del cliente che mettono il terapeuta in allerta su una serie di aspetti del
funzionamento che potrebbero richiedere attenzione. È questo a guidare l’intervento,
più della diagnosi o di un’esplicita formulazione del caso (Goldman & Greenberg,
1997). Il vissuto esperienziale attuale del cliente, indica quale sia la difficoltà e se le
determinanti del problema siano attualmente accessibili e disponibili per l’intervento.
La scelta precoce di un focus e la discussione sulle problematiche che hanno portato
alla depressione, fungono solo da cornice più ampia per l’esplorazione iniziale. Il focus
è sempre soggetto a cambiamento e sviluppo, e una diagnosi processuale dei problemi
intra-seduta è uno strumento per scegliere il focus volta per volta.
I terapeuti lavorano su una varietà di indicatori a differenti livelli. Iniziando con la
prima seduta, il primo livello a cui un terapeuta deve fare attenzione, è la modalità di
elaborazione che il cliente presenta momento-per-momento. Questi indicatori iniziali
includono i micro-indicatori della qualità espressiva, della profondità del vissuto e del
grado di arousal emotivo, e il terapeuta valuta la presenza di questi indicatori sintonizzandosi, sia sul linguaggio del cliente, sia sul comportamento non verbale. Di particolare importanza, è la valutazione del grado di coinvolgimento e distanza del cliente dal
vissuto momento-per-momento. Inoltre, sono importanti anche gli indicatori dello
stile caratteristico del cliente; questi ultimi rivelano importanti aspetti generali su come
i clienti trattino se stessi e gli altri e sono desumibili dai resoconti che i clienti fanno
delle proprie storie di attaccamento e dalle descrizioni delle loro interazioni con gli altri
e con se stessi.
Il livello successivo di elaborazione a cui si rivolgono i terapeuti, riguarda le tipologie di stati problematici cognitivo-affettivi in cui il cliente entra. L’emergere di alcuni
indicatori, identifica particolari problematiche cognitivo-affettive intra-seduta, come
scissioni conflittuali o reazioni problematiche, le quali indicano che il cliente si trova
in un determinato stato ed è pronto a essere coinvolto in specifici interventi terapeutici
o compiti.
Un ultimo livello di elaborazione a cui si rivolgono i terapeuti, e che si trova
sempre in sottofondo, è quello del contenuto e delle tematiche. I terapeuti e i clienti
sviluppano nel tempo una visione condivisa delle determinanti alla base della depressione, e questa visione condivisa genera il focus collaborativo e le tematiche chiave del
trattamento. Il focus, generalmente, emerge tra la terza e la quinta seduta, nel corso di
una terapia che va da sedici a venti sedute. Se il focus non fosse ancora emerso per quel
momento, il terapeuta ed il cliente dovrebbero fare attenzione a sceglierlo.
Questi livelli differenti di elaborazione, insieme, costituiscono una sequenza di
comprensione. Per prima cosa, i terapeuti prestano molta attenzione all’elaborazione
108
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
momento-per-momento dei clienti all’interno della seduta e a come sono coinvolti nel
lavoro di elaborazione della propria esperienza emotiva. In secondo luogo, ascoltano le
storie di vita dei clienti per identificare il loro modo caratteristico di essere con se stessi
e con gli altri. Il terzo punto consiste nell’ascoltare gli indicatori di specifici compiti o
stati problematici cognitivo-affettivi e, infine, per tutto il corso della terapia, ascoltano
i principali problemi che emergono. Pertanto i terapeuti della EFT, nel lavoro con i
clienti, mettono insieme informazioni che provengono da molteplici livelli. I terapeuti
sono sensibilizzati a teorie sulle determinanti della depressione (per es. l’autocritica,
la dipendenza, la perdita, la rabbia irrisolta, l’impotenza), ma queste teorie sono strumenti utili che aiutano ad avere una prospettiva, non a ritenere questi determinati
aspetti come definitivi. Pertanto, i terapeuti cercano di comprendere i clienti per quello
che sono, e ciascuna comprensione del cliente è comunque interlocutoria e aperta a
riformulazioni e cambiamenti mano a mano che si verificano ulteriori esplorazioni. Il
trattamento non è guidato da una teoria delle cause della depressione, ma, piuttosto,
dall’ascolto, dall’empatia, dal seguire le elaborazioni del cliente e dall’identificazione
di indicatori; il senso che il terapeuta si costruisce delle determinanti della depressione
viene dal basso, utilizzando il cliente come pietra di paragone per stabilire ciò che è
vero. Il trattamento è, pertanto, tagliato specificamente su ciascun cliente.
Identificare e descrivere i processi affettivo-cognitivi problematici fondamentali
che generano la depressione e il vissuto sintomatico, è uno sforzo collaborativo fra terapeuta e cliente. L’arrivo ad un accordo sulle determinanti della depressione, favorisce
lo sviluppo dell’alleanza perché suggerisce che l’obiettivo del trattamento sia la risoluzione di quel dato problema. A volte questo accordo è implicito, oppure, al contrario,
è così chiaro che non serve discutere esplicitamente alcun obiettivo. A volte l’obiettivo
stesso è la costruzione di una relazione validante. Per i clienti che non sono in grado di
focalizzarsi sull’interiorità e di essere consapevoli della propria esperienza, la capacità
di far attenzione alle proprie emozioni e dargli un significato potrebbe essere il focus
del trattamento. In generale, il terapeuta ed il cliente raggiungono un accordo esplicito
sul fatto che il trattamento riguardi l’affrontare le determinanti alla base della depressione. Pertanto, un focus e un obiettivo per un cliente depresso, potrebbero essere il
riconoscere e opporre resistenza alla critica interiore esageratamente ostile che genera
sentimenti d’inadeguatezza. Per un cliente con bassa autostima, il focus e l’obiettivo
potrebbero essere il diventare maggiormente consapevole ed in grado di esprimere i
propri sentimenti e bisogni. Per un cliente dipendente, il focus e l’obiettivo potrebbero
essere quelli del riuscire ad esprimersi assertivamente, e risolvere il risentimento derivante dal sentirsi dominati dal coniuge. Così come, per un cliente ansioso, potrebbe
essere sviluppare mezzi di auto-consolazione e auto-sostegno, e per un altro, affrontare
la profonda paura dell’abbandono e l’insicurezza basate su traumi o su perdite passate.
Nella scelta del focus per la terapia, è importante che si verifichi uno spostamento nel contenuto della seduta: dal parlare dei sintomi e delle reazioni del cliente,
all’esplorazione del ruolo del cliente nella generazione dell’esperienza problematica. La realizzazione del fatto che l’esperienza attuale non sia inevitabile, ma che, in
qualche modo, dipenda dal modo in cui il cliente regola le emozioni e costruisce
significati, è all’essenza dell’assunzione della responsabilità personale. Spostarsi da
un’esperienza interiore di evitamento o di condanna degli altri, alla focalizzazione ed
109
La terapia emotion-focused per la depressione
esplorazione delle determinanti interiori delle proprie reazioni, è centrale per lo sviluppo della consapevolezza di come l’azione generi esperienza. Pertanto è importante
aiutare il cliente a spostarsi da affermazioni del tipo : «Questo evento mi ha devastato», oppure «Mi ha fatto arrabbiare», a domande come «Cosa accade dentro me che
genera queste reazioni?».
Il focus, pertanto, diventa assumersi la responsabilità del proprio ruolo attivo
nella costruzione della realtà personale (Neimeyer & Mahoney, 1995). Il terapeuta
deve aiutare il cliente ad assumersi la propria responsabilità, senza condannarsi, quando si trova ad esplorare un problema. I terapeuti non vogliono trasmettere ai clienti
il messaggio che li vede i responsabili del disagio che provano, quanto, pittosto, che
una ricerca collaborativa può portare a stabilire come i processi psicologici del cliente
contribuiscano al disagio. Il messaggio è: «Esploriamo cosa accade in te che porta a
queste emozioni».
La consapevolezza del ruolo attivo promuove un senso di controllo sull’esperienza
e un sano distacco da determinate forme di esperienza. Diventare pienamente consapevoli che, per esempio, siamo persone che attivamente generano pensieri autocritici, è
molto diverso dal credere vero un pensiero e sentirsi sopraffatti dalle sue implicazioni.
Pertanto, quando i clienti riescono a dire «Sono consapevole di essere io a pensare “Sono un fallimento’’», oppure «Sono io che mi metto nelle condizioni di provare senso di
colpa», così facendo, stanno adottando un atteggiamento alquanto differente verso la
propria esperienza rispetto a quando dicono «Sono un fallimento», oppure «Sono colpevole». Affermazioni del terapeuta come «Quindi stai male quando ti critichi perché
sei inferiore», oppure «Quindi quando senti di non riuscire a sopravvivere, inizi ad andare nel panico», sottolineano delle sequenze e il ruolo attivo del cliente nella creazione
della propria esperienza. L’enfasi sottile sull’azione e sulla responsabilità personale, aiuta i clienti a sperimentare la propria responsabilità sulla creazione del proprio vissuto,
più che esserne vittime passive, e di avere un qualche controllo sulla propria esperienza.
Il focus della terapia, quindi, si sposta dall’aiutare i clienti, all’esplorazione consapevole
del proprio ruolo nella creazione dell’esperienza.
Fase 2: Evocazione ed esplorazione
Nel corso della fase di evocazione ed esplorazione, il terapeuta:
•
•
•
•
fornisce supporto per entrare in contatto con le emozioni;
evoca ed attiva sentimenti problematici;
smantella le interruzioni;
aiuta il cliente ad accedere alle emozioni primarie.
Fornire supporto per entrare in contatto con le emozioni
I terapeuti devono valutare quanto il cliente sia pronto per l’evocazione, assicurandosi che abbia adeguati supporti interiori prima di evocare un’emozione dolorosa.
110
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
Per alcuni clienti, il focus primario, spesso, è posto sulla costruzione di supporti per
favorire l’entrata in contatto con le emozioni. Alcuni clienti dissociano, evitano le
proprie emozioni, oppure diventano molto tesi all’idea di doversi confrontare con i
vissuti emotivi. Se il terapeuta dovese notare che un cliente abbia iniziato a nascondersi o a diventare teso, potrebbe suggerirgli di respirare profondamente, di mettere
i piedi al suolo, oppure di sentire il contatto con la sedia. Se il cliente sembra manifestare una leggera dissociazione (ossia si distanzia), il terapeuta può suggerire al
cliente di guardarlo o di descrivere quello che vede nella stanza per promuovere un
senso di connessione con il terapeuta o con la realtà presente. Prima dell’evocazione
e dell’arousal, il terapeuta può aiutare il cliente ad esercitarsi su nuove modalità per
calmarsi, oppure ad immaginare di rifugiarsi in un luogo sicuro quando le cose diventano troppo difficili.
Due difficoltà che impediscono ad un cliente di provare le emozioni, sono l’ansia
relativa ai sentimenti interiori e l’incapacità di dare un nome all’esperienza emotiva.
Nel caso dell’ansia rispetto alle emozioni, una forma di esposizione graduale o di desensibilizzazione è più utile nell’aiutare i clienti ad avvicinarsi e tollerare le proprie
emozioni. È importante non forzare i clienti ad affrontare ciò che temono, perché
questo semplicemente non fa che accrescere le difese. L’obiettivo della EFT è quello di
sciogliere le barriere difensive e protettive, non di buttarle giù. Questo si fa attraverso il
supporto empatico ed aiutando i clienti a diventare consapevoli dei blocchi che hanno.
In presenza di difficoltà nel dare un nome alle emozioni, come nel caso dell’alessitimia,
i terapeuti devono aiutare questi clienti a diventare consapevoli di non avere questa
capacità, fornendo, successivamente, dei compiti, come tenere un diario o una registrazione giornaliera delle emozioni, che li aiutino a svilupparla (Greenberg, 2002). Spesso
queste tecniche non funzionano e i terapeuti devono manifestare una massima empatia
o sintonizzarsi con ancora più sensibilità, in modo da poter aiutare questi clienti a descrivere la propria esperienza interiore.
Con i clienti più fragili che non hanno sviluppato un forte senso del sé o confini
fra il sé e gli altri, lo sviluppo di una maggiore consapevolezza e l’evocazione delle emozioni è un obiettivo più a lungo termine. Promuovere l’accesso all’esperienza e porre
domande orientate alle emozioni è inutile, dal momento che questi clienti devono
ancora sviluppare sostegni interiori per compiere un esperienza più profonda. Con i
clienti fragili la relazione viene considerata il punto di partenza del trattamento. Pertanto, si deve seguire una forma più relazionale di lavoro, in cui il processo di contatto
con il terapeuta diventa il focus prima di qualunque forma di evocazione. Inoltre, con
i clienti che hanno subìto un trauma o che sono a rischio di suicidio o autolesionismo,
i problemi relativi alla sicurezza devono essere gestiti per primi, prima di qualunque
altra esplorazione o evocazione.
I problemi nella relazione fra il cliente e il terapeuta sono una fonte potenziale
di vergogna per i clienti e devono essere affrontati per aiutarli a sviluppare supporto
per la consapevolezza emotiva e per consentire nuove esperienze e apprendimenti. I
terapeuti devono essere fortemente consapevoli dell’impatto che hanno sull’esperienza
momentanea dei clienti, concentrandosi sulle disfunzionalità del contatto relazionale
come fonte di vergogna per il cliente, ma anche di scoperta e opportunità per fare
nuove esperienze.
111
La terapia emotion-focused per la depressione
Evocare e attivare emozioni problematiche
Per modificare l’esperienza depressiva, il cliente deve evocarla all’interno della seduta. Il terapeuta, quindi, presta attenzione ad indici processuali del momento presente per intensificare ed evocare al meglio l’esperienza e alcuni ricordi fondamentali.
Per mantenere l’alleanza in questa fase molto dolorosa del trattamento, il cliente deve
concordare con l’idea che sia importante rivelare l’esperienza dolorosa, e che anche
i compiti intrapresi per accedere ed attivare emozioni negative siano rilevanti (Bordin, 1979; Horvath & Greenberg, 1994; Watson & Greenberg, 1994, 1996). Come e
quando vengano attivate le emozioni depressive nelle sedute, dipende dalla valutazione
processuale che il terapeuta fa delle specifiche condizioni scatenanti di quel cliente
(per es. disperazione sconfortante, impotenza ansiosa, rassegnazione, senso di vuoto).
Il lavoro sull’evocazione dell’esperienza, implica anche un lavoro sulla consapevolezza
dell’evitamento e dell’interruzione dell’esperienza emotiva, che verranno discussi nel
passaggio successivo.
Il terapeuta può utilizzare tecniche di stimolazione per rendere l’esperienza del
cliente ancora più vivida. Far rivivere un’esperienza di disperazione, per esempio, potrebbe implicare l’utilizzo di un dialogo fra le due sedie in cui una parte dà voce a
possibili conseguenze disastrose e l’altra parte, invece, all’esperienza di disperazione
conseguente. L’evocazione delle emozioni implica anche fare attenzione a caratteristiche del vissuto del cliente come un sospiro, un’alzata di spalle o un’affermazione di rassegnazione per amplificarle attraverso tecniche più espressive come un dialogo sé-sé o
sé-altro. Il terapeuta potrebbe chiedere al cliente di svolgere un dialogo con le due sedie
e di esprimere nella sedia critica quello che fa con se stesso per arrivare a sentirsi inutile
e privo di speranza. Dicendo attivamente a se stessi «Sei inutile» o «Non cambierà mai
nulla» ed elaborando queste auto-affermazioni, i clienti iniziano ad attivare le emozioni
di disperazione all’interno della seduta. Una volta che l’esperienza emotiva di disperazione del cliente sia stata evocata, questo può accedere alle informazioni caratteristiche
di questa esperienza.
In generale, vengono evocate prima le emozioni secondarie o reattive, spesso quelle
di cui il cliente desidera liberarsi, come la disperazione, lo sconforto o la rassegnazione. Poi queste si esplorano per arrivare alle emozioni primarie, più profonde, come
la vergogna, l’ansia, o il risentimento, il cui evitamento porta al vissuto dell’emozione secondaria negativa. Nel processo di evocazione viene indagato anche il significato
emotivo, lo si simbolizza e vi si riflette su. Questo nuovo significato, a sua volta, attiva
ulteriori schemi emotivi o modula quelli esistenti. Pertanto il «Mi sento senza speranza», si trasforma in «Provo un senso di vuoto, come se non fossi nessuno se nessuno mi
approva»; così si accede al senso di inadeguatezza di base che si fonda sulla vergogna.
Una volta che questo schema emotivo fondamentale di inutilità sia stato attivato, da
quel momento in poi, si rende maggiormente disponibile a nuovi input e cambiamenti. Quando i clienti iniziano una seduta parlando di ciò che li agita e raccontando un
episodio passato, l’obiettivo della seduta diventa l’entrare in contatto con quella parte
della storia più viva per il cliente in quel momento e rievocare il vissuto di cui si sta parlando. Il cambiamento è più efficace quando si riesce ad accedere allo schema emotivo
che ha generato l’esperienza e ci si riflette all’interno della seduta.
112
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
Possono essere utilizzare numerose tecniche per far rivivere un’esperienza emotiva,
come, ad esempio, la risposta empatica, la focalizzazione e l’immaginazione, in aggiunta allo psicodramma. L’utilizzo dell’immaginazione, del linguaggio metaforico e delle
supposizioni empatiche, che vanno oltre l’aspetto superficiale e più vicino alle emozioni implicite, sono tecniche molto utili per evocare emozioni. Per esempio, i terapeuti
potrebbero fare domande ai clienti che non sono in contatto con la propria esperienza
emotiva, ed il solo parlare delle situazioni esterne, li porta a prestare attenzione alle sensazioni corporee della situazione. Oppure, potrebbero chiedere ai clienti che dicono di
sentirsi dei falliti di immaginare una situazione o un’interazione specifica che ha innescato questa emozione, per promuovere un’esplorazione più differenziata dell’emozione
e dei pensieri di quella situazione. Oppure, ancora, il terapeuta può notare che mentre
il cliente parla, sembrano esserci lacrime dietro una risata, oppure chiedere «Come ti
fa sentire adesso, mentre ne parli?»; oppure rispondere con una frase del tipo «Questo
è l’aspetto che ancora ti ferisce o ti tormenta». Le esperienze della Gestalt, strutturate e
costruite per cogliere il momento, sono spesso gli strumenti più potenti di evocazione
dell’esperienza; il terapeuta chiede al cliente di fare qualcosa all’interno della seduta e
poi di concentrarsi sul vissuto generato.
Nel caso di clienti depressi con una cattiva regolazione delle emozioni, l’obiettivo
è quello di regolare, più che attivare ulteriormente, l’emozione negativa già iperattivata. Per esempio, i clienti che provano una forte disperazione potrebbero piangere per
come tutto sia senza speranza e quelli che si condannano eccessivamente potrebbero
diventare furenti. Il terapeuta, per ridurre l’arousal, può suggerire tecniche come la
respirazione, assumendo l’atteggiamento di osservatore e descrivendo le sensazioni, o
identificando i pensieri che hanno generato l’affetto per aiutare il cliente a regolare
l’emozione eccessiva e a stabilire una distanza sufficiente da essa per lavorarci su. Una
volta regolate le reazioni secondarie, l’emozione primaria diventa più accessibile. Esplosioni inconsapevoli di sfoghi emotivi non sono l’obiettivo della fase di evocazione; piuttosto, si incoraggia a sperimentare appieno l’impatto dell’emozione e a simbolizzarlo
nella consapevolezza, per facilitare l’abbassamento del livello di arousal e la creazione di
nuovi significati e corsi d’azione.
Eliminare le interruzioni
Esplorare e superare i blocchi alle emozioni, l’evitamento e i processi di interruzione, è un sotto-obiettivo importante della EFT per la depressione. Affrontare ciò
che si teme, può essere minaccioso, ma la collaborazione in questa direzione fornisce
un senso di sicurezza e minimizza lo sviluppo di resistenza, mésalliance, o impasse nel
trattamento.
Le modalità con cui il cliente impedisce o interrompe l’esperienza emotiva
emergente vengono affrontate man mano che si presentano. Mentre il terapeuta e il
cliente iniziano a lavorare sull’evocazione dell’esperienza emotiva, i blocchi si manifestano, oppure potrebbero già essere osservabili negli atteggiamenti del cliente o nel
processo narrativo. Il terapeuta, quindi, deve focalizzarsi sui processi d’interruzione
in quanto tali e aiutare i clienti a diventare consapevoli e a sperimentare appieno
113
La terapia emotion-focused per la depressione
il modo in cui interrompono le emozioni o i bisogni. Man mano che i blocchi
emergono all’interno della seduta, i terapeuti chiedono ai clienti, prima di tutto, di
rendersi conto del fatto che stanno interrompendo un’esperienza emotiva e, poi, di
identificare come lo fanno, invitandoli, infine, a prendere consapevolezza dei sentimenti e bisogni che hanno interrotto. I blocchi possono includere i due estremi di
dissociazione e intorpidimento, così come cambiamenti di argomento e lacrime che
vengono soffocate.
La paura ed il timore delle emozioni rivestono spesso il problema principale.
Un cliente, per esempio, aveva paura che se si arrabbiava o provava tristezza, sarebbe
andato in pezzi. Mano a mano che aveva analizzato quest’idea nel corso della terapia,
era divenuto chiaro che la madre lo aveva spesso umiliato per aver manifestato delle
emozioni. Questo cliente aveva dovuto elaborare le modalità cognitive (aspettative
catastrofiche), fisiche (digrignare le mandibole) e comportamentali (cambiare argomento), con cui impediva a se stesso di provare un’emozione, oltre che a lavorare
sull’umiliazione immaginata e la paura di andare in pezzi, per riuscire a superare il
blocco. Chiedere ai clienti che bloccano le proprie esperienze emotive di inscenare i
processi di interruzione, li può aiutare a diventare consapevoli, rendendo più vividi
tali processi.
La tecnica esperienziale di provare qualcosa all’interno della seduta per vedere cosa
sperimenta il cliente, aiuta a portare alla luce le sue modalità di impedire il completamento di un compito e le modalità per evitare le esperienze. I dialoghi con due sedie,
spesso, sono utili per lavorare con le auto-interruzioni. I clienti inscenano i processi di
interruzione e li drammatizzano per rendersi conto di come abbiano un ruolo attivo in
queste modalità. La consapevolezza di questo ruolo attivo accresce la probabilità che
il cliente scelga di interrompere il processo, oppure, se questo avviene in una sfera del
tutto automatica, di lavorare per diventarne più consapevole. Dopo un po’, la messa
in scena dei processi d’interruzione e la consapevolezza di come il cliente interrompa
l’esperienza emotiva, riesce ad evocare l’emozione repressa e favorisce l’accesso ai bisogni non soddisfatti.
I terapeuti in training si chiedono spesso come gestire i clienti che hanno un blocco. Di frequente, il fattore più importante è la relazione empatica. È attraverso la sicurezza ed il supporto nel tempo, che i blocchi arrivano a dissolversi. Nella EFT per la
depressione, il terapeuta cerca di essere strettamente sintonizzato alla parte più profonda del cliente che è orientata alla crescita. È attraverso l’esperienza di sicurezza personale e la sintonizzazione del terapeuta alle potenzialità del cliente, che questo, spesso,
riesce ad eliminare le interruzioni, ad abbassare le difese e ad accedere all’esperienza
emotiva fondamentale. È importante anche il tempo che il terapeuta si dà per accedere
all’emozione fondamentale. È cruciale affondare l’argomento solo quando il terreno è
già pronto e iniziare ad evocare le emozioni solo quando queste sono chiaramente presenti o sono appena al di sotto della superficie, ma vengono interrotte. Poi, per aiutare
l’emozione ad incanalarsi nel flusso espressivo, il terapeuta può indicare, al momento
giusto e con empatia, l’emozione che ha colto in una forma che comunica chiaramente
che lui è dalla parte del cliente, utilizzando espressioni come: «So quanto possa far
male», oppure «Quanto deve averti fatto sentire abbandonato», o ancora «Non c’è da
meravigliarsi che tu sia così spaventato».
114
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
Aiutare il cliente ad accedere alle emozioni primarie
L’obiettivo dell’evocazione e dell’esplorazione è quello di accedere a nuove emozioni primarie come base per la riorganizzazione del sé. Il cliente deve scoprire ed
analizzare le emozioni evocate per arrivare a quelle primarie. Nella depressione, i primi
sentimenti negativi evocati, come abbiamo già detto, spesso sono le reazioni secondarie, sentimenti di disperazione, sconforto o rassegnazione. Questi sono costituiti
da complesse sequenze cognitivo-affettive. L’obiettivo, una volta che queste emozioni
vengano evocate, è quello di allentare e far venire alla luce le sequenze responsabili,
differenziare le emozioni ed arrivare alle emozioni primarie soggiacenti e alle relative
percezioni automatiche e valutazioni, per giungere, infine, ai bisogni del cliente. Le
risposte emotive adattive adeguate, di solito, sono calmanti o forniscono nuove energie
perché offrono guida e protezione. Pertanto, la rabbia adattiva implica la costruzione di
energia che aiuta nel superamento degli ostacoli. La tristezza adattiva consente il ritiro
ed il recupero, oppure la ricerca di conforto, lascia un senso di calma e la capacità di
restare in contatto con il mondo e di agire. Questa rivelazione e differenziazione viene
facilitata dalla comprensione empatica del terapeuta e dal processo con cui il cliente
inscena differenti aspetti del sé.
Gli interventi utilizzati per facilitare l’esplorazione del cliente, implicano sempre
un equilibrio fra direttività del processo e comprensione empatica (Greenberg et al.,
1993). L’intervento è guidato dalla sintonizzazione costante alle elaborazioni del cliente
e dall’impercettibilità di alcune espressioni. Nel processo di esplorazione dell’esperienza, i clienti potrebbero ricordare momenti concreti, rivivere alcuni aspetti di eventi
passati, oppure uscire ed entrare in dialoghi fra diverse parti del sé o fra il sé e gli altri.
Mano a mano che il processo va avanti, un cliente spesso inizia a vedere o a sperimentare le cose in un modo nuovo e a realizzare che l’autocritica è un messaggio genitoriale
del passato, che la sensazione di essere giudicati dagli altri è l’attribuzione della propria
autocritica a loro, oppure che un’esperienza di rabbia non risolta o un lutto non elaborato si risolvono in modo da portare alla luce i bisogni non soddisfatti (Greenberg
et al., 1993).
I terapeuti nella fase di evocazione ed esplorazione, si focalizzano prevalentemente
sull’aiutare i clienti ad impossessarsi dei vissuti fondamentali. La nuova emozione fondamentale si presenta sotto forma di un’emozione adattiva primaria oppure di un’emozione disadattiva generata da uno schema emotivo disfunzionale. Lo spostamento più
importante si verifica in questo punto del trattamento della depressione. Il cliente,
adesso, non è più concentrato sui sintomi depressivi di disperazione; o è entrato in contatto con le risposte adattive, oppure sta lottando con le problematiche fondamentali,
come il senso di inutilità o di insicurezza di base, che hanno generato la depressione. I
clienti, quindi, devono essere aiutati a fidarsi della voce interiore adattiva o a gestire il
disprezzo interiorizzato; le voci interiori che promuovono annichilimento, le esperienze precoci di abbandono, umiliazione, o trauma; oppure sensazioni di non essere amati
né degni di amore.
Una volta che sia stata evocata un’emozione primaria, se il cliente riesce a tollerarla, questa segue il suo corso naturale di intensità prima elevata e poi progressivamente minore. Una diminuzione nell’intensità consente la riflessione. L’arousal porta
115
La terapia emotion-focused per la depressione
anche all’associazione e provoca l’attivazione di nuovi schemi, in particolare quando
l’attenzione viene esplicitamente focalizzata sul compito del dare un senso all’emozione attivata. Pertanto, è la combinazione di arousal, simbolizzazione e riflessione che
porta avanti il processo di costruzione del significato e che, alla fine, consente di generare alternative agli aspetti disadattivi dell’esperienza. Una volta che l’esperienza sia
stata evocata, un’emozione segue un’altra, in un processo che consente di accoglierle,
esprimerle, simbolizzarle e viverle appieno, e che, a sua volta, permette ad una nuova
emozione o ad un nuovo significato di emergere. Così, la paura o la tristezza alla base
della depressione del cliente, una volta espresse, simbolizzate e differenziate, vengono
spesso seguite da una nuova rabbia emergente. In altri clienti, la rabbia potrebbe essere
seguita da tristezza o vergogna, così come il risentimento dall’apprezzamento, l’odio
dall’amore e l’avversione dal desiderio.
L’obiettivo della EFT è che il cliente arrivi a riconoscere e vivere appieno emozioni
adattive e bisogni precedentemente evitati o non simbolizzati. Non è solo l’esperienza
dell’emozione primaria di per sé ad essere importante, ma anche l’accesso a bisogni,
obiettivi, preoccupazioni e tendenze all’azione associate alle emozioni. Così, riconoscendo la tristezza di una perdita alla base di una depressione, un cliente potrebbe sperimentare il bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui e che curi la sua sofferenza,
oppure un cliente maltrattato, provando rabbia perché privato della propria dignità,
potrebbe stabilire dei confini. I bisogni e le tendenze all’azione associate all’emozione
primaria, portano ad azioni adattive. È spostando l’esperienza sull’emozione primaria
e utilizzandola come una risorsa, che avviene il cambiamento. In alcuni casi, il cambiamento si verifica semplicemente perché un cliente accede alla rabbia soggiacente e
si riorganizza per stabilire dei confini, o se un altro cliente accede alla tristezza, soffre
per una perdita e si organizza per lasciar andare e recuperare, oppure ricerca conforto e
supporto. Entrare in contatto con il bisogno e realizzare quali siano le tendenze all’azione, fornisce motivazione e direzione al cambiamento, così come modalità alternative
di risposta. L’azione sostituisce la rassegnazione e il desiderio motivato prende, così, il
posto della disperazione.
In molti casi in questa fase, però, più che accedere alle emozioni adattive primarie
non espresse come la tristezza o la rabbia, si accede agli schemi emotivi disadattivi alla
base della depressione. La complessità del processo di cambiamento sta nel distinguere
fra esperienze fondamentali adattive e disadattive. Una volta che i clienti siano arrivati
ad un’esperienza fondamentale, devono decidere se si tratti di un’esperienza sana. Se
dovessero avere la sensazione che l’emozione fondamentale accresca il loro benessere,
allora possono permanere in questa esperienza ed essere guidati dalle informazioni che
essa fornisce. Se, invece, questa emozione fondamentale rivela di non arricchire loro o i
loro legami, è disadattiva. Quando i clienti, insieme al terapeuta, decidono di non potersi fidare delle emozioni a cui sono arrivati come fonte di informazioni utili, devono
trasformare questa emozione.
Gli schemi disadattivi fondamentali generano sentimenti di impotenza o invisibilità, o un profondo senso di essere stati feriti, di vergogna, insicurezza, senso di
inutilità o di essere non amati e non degni di amore. Questi sentimenti si trovano al
fondamento delle emozioni negative secondarie di disperazione depressiva. Le esperienze fondamentali depressive, spesso, si collegano ad un profondo senso d’inutilità
116
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
o a una dipendenza ansiosa. Alla base della depressione autocritica, vi è la sensazione
di essere inutili, di essere un fallimento e negativi, mentre alla base della depressione
dipendente, ritroviamo un sentimento di fragilità, insicurezza e di non essere in grado
di cadere in pezzi senza un supporto. Questi sentimenti vengono generati da una debolezza fondamentale e da schemi depressivi e negativi del sé. In questi casi, il cliente
deve accedere alle emozioni disadattive primarie di inutilità, debolezza o insicurezza
per riuscire a cambiare. Quello che è curativo, è la capacità, prima, di simbolizzare
queste emozioni di inutilità o debolezza e, poi, di accedere a schemi alternativi adattivi
di sé. La generazione di schemi alternativi si basa sull’accesso ad emozioni adattive e a
bisogni che vengono attivati in risposta al disagio emotivo attualmente vissuto. La risposta del cliente al proprio disagio simbolizzato è adattiva e accedervi è già una risorsa
importante.
Un filmato di psicoterapia disponibile per i professionisti, consente di operare
un confronto fra l’enfasi che la EFT pone sull’accedere alle emozioni fondamentali
con quelle di altri approcci (Shostrom, 1986). In questo filmato, un uomo depresso,
divorziato di recente, è stato sottoposto ad una terapia cognitivo-comportamentale
(CBT) con Beck (1996) e ad una terapia dinamica interpersonale con Strupp (Strupp
& Binder, 1984), entrambi ideatori del proprio approccio. Il cliente parlava di quanto
diventasse depresso il sabato pomeriggio quando era solo in casa senza niente da fare.
Parlava della solitudine che provava e della sua convinzione di non piacere a nessuno.
Nella EFT, questo stato di solitudine, perdita e umiliazione (collegati al fatto di essere
senza amici e figlio unico di due genitori alcolizzati) sarebbe diventato il focus del trattamento fin dalla prima seduta. Nella CBT con Beck, il focus è diventato la veridicità
della convinzione «A nessuno importa di me». Tuttavia, noi consideriamo le convinzioni dipendenti da un determinato stato, come prodotte dall’emozione di solitudine
e vulnerabilità. Nella EFT le convinzioni non vengono considerate le cause primarie
o i primari agenti di cambiamento nella depressione, ma, piuttosto, articolazioni degli
stati affettivi fondamentali. Ossia, le convinzioni, di solito, sono considerate come la
verbalizzazione di percezioni di esperienze sensoriali immagazzinate. La convinzione
formulata sul piano linguistico, di per sé, non è la causa dell’esperienza depressiva,
secondo questo punto di vista, quanto l’articolazione in parole dello schema implicito
dell’esperienza emotiva. Le convinzioni possono certamente contribuire a, e mantenere, gli stati affettivi negativi, ma non ne sono la causa primaria. Le convinzioni sono
descrizioni linguistiche e spiegazioni narrative di un’esperienza corporea complessa, più
che la causa.
Nel filmato, la convinzione di Richard che a nessuno importasse di lui, descriveva alcuni aspetti del suo senso di solitudine e di perdita d’amore, generando sentimenti secondari di tristezza e rifiuto. Nella EFT i terapeuti considererebbero la
solitudine depressiva come il prodotto di un’evocazione automatica, in seguito ad
uno stimolo, di uno stato affettivo di solitudine costruito in anni di esperienze di
solitudine e di mancanza d’amore immagazzinati nel ricordo dello schema emotivo di
Richard. Nella EFT non è importante se questa convinzione sia o meno vera, quanto,
piuttosto, se sia utile o adattiva. Pertanto, i terapeuti della EFT non contestano la
convinzione e non la confrontano con altre prove per dimostrarne la validità; piuttosto la considerano disadattiva e lavorano non per sconfermarla, ma per generare
117
La terapia emotion-focused per la depressione
stati emotivi alternativi e differenti modalità di elaborazione più funzionali. La teoria
cognitivo-comportamentale si propone, dunque, di lavorare nell’ambito della verità
e della validità; la EFT, invece, nell’ambito del valore e della funzionalità, di ciò che
è utile e positivo.
L’approccio dinamico interpersonale mostrato nelle sedute di Strupp, si concentrava sulle risposte interpersonali problematiche di Richard – ossia, sul non essere in
grado di cercare aiuto o sulle interazioni aggressive con gli altri – come fonte della depressione e come focus del cambiamento. I terapeuti della EFT, invece, si focalizzano
direttamente sulla valutazione dell’esperienza affettiva fondamentale di Richard dell’essere sempre stato un bambino solo, abbandonato, che influenza il suo comportamento
interpersonale, per trasformarla. Anche se questo potrebbe essere un focus della terapia
interpersonale, non viene considerato come la determinante alla base della depressione
come nella EFT.
Una volta che il cliente ha vissuto e simbolizzato il senso di inutilità o insicurezza, gli elementi delle convinzioni disfunzionali o le aspettative implicate nello schema
emotivo disadattivo diventano accessibili alla descrizione. Nello stato di attivazione, gli
elementi più significativi delle convinzioni dipendenti da quello stato, vengono raccolti
nella forma più profonda ed essenziale. Ora possono essere descritti e concettualizzati
nel contesto del significato emotivo in cui operano. Questi pensieri caldi, quindi, vengono ottenuti a partire dal vissuto emotivo e non sono solo affermazioni concettuali
fatte senza alcun investimento emotivo. La convinzione che rappresenta lo schema
emotivo fondamentale viene resa più facilmente accessibile alla descrizione attraverso
l’arousal emotivo ed è maggiormente disponibile ad input di nuove informazioni ed
esperienze e quindi al cambiamento (Greenberg & Safran, 1987).
La verbalizzazione del cliente «Mi vedo in un determinato modo» è un aspetto
molto importante dell’articolazione della convinzione rappresentativa dello schema
emotivo fondamentale. Questa scorporazione dal proprio punto di vista per assumere
una posizione meta-rappresentativa su di sé e sul mondo, apre al cambiamento. Una
volta che il cliente abbia dato voce ad una convinzione, il terapeuta non la mette in
discussione ma, piuttosto, vi riflette, la trattiene per sottoporla ad ulteriori analisi.
Simili convinzioni non riguardano necessariamente il sé; possono anche riguardare
l’anticipazione o l’aspettativa di esperienze interpersonali. Possono implicare aspettative come «Se cerco qualcuno verrò rifiutato», oppure «Se gli altri sapessero davvero
chi sono, mi giudicherebbero o mi rifiuterebbero». Queste convinzioni sono state
descritte come cicli interpersonali disadattivi e contengono i bisogni fondamentali,
come quello di vicinanza, di controllo o di accettazione. Le emozioni e gli schemi che
si formano intorno a questi bisogni fondamentali, includono pensieri, tendenze relazionali all’azione e bisogni; pertanto, il modo in cui vengono verbalizzati può essere
descritto in termini di componente cognitiva, componente emotiva, o componente
di bisogno, oppure in termini di relazione fra le componenti o fra le componenti e
gli altri.
Identificare le emozioni disadattive aiuta i clienti a verbalizzare le convinzioni distruttive e i bisogni non soddisfatti che fanno parte di loro. Le emozioni disadattive
sono quasi sempre accompagnate da pensieri di ostilità verso il sé o di condanna verso
gli altri. Per essere superati, i processi di pensiero e le convinzioni depressogene devono
118
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
prima essere identificate. Le convinzioni come «Sono inutile», oppure «Non riesco a
sopravvivere da solo», spesso accompagnano, oppure favoriscono, l’articolazione di uno
stato emotivo disadattivo complesso. Non è che la convinzione sia sempre lì presente
nelle menti dei clienti, verbalizzata, né è questa la vera causa del problema. Queste sono
un aspetto di una narrativa che descrive l’esperienza vissuta; quando sono coscienti e
si presentano sotto forma di pensieri ripetitivi, aiutano a mantenere e ad intensificare
gli stati emotivi depressivi. Così, pensare «Sono un fallimento», oppure «Non posso
farcela», intensifica lo stato che genera questi pensieri.
I clienti, spesso, sperimentano queste convinzioni come una voce negativa nella
propria testa. Molti hanno interiorizzato questa dura voce interiore in seguito a precedenti maltrattamenti, voce che è distruttiva per il sé sano. L’ostilità interiorizzata ed
il disprezzo, spesso, portano a brutali attacchi al sé che lasciano il cliente bloccato in
queste emozioni disadattive. Per modificare il disprezzo, le convinzioni distruttive e
la totalità dell’esperienza che questi rappresentano, i clienti devono, prima di tutto,
descrivere in parole queste convinzioni. Questa verbalizzazione, definita come affermazione di una convinzione, dà al cliente qualcosa a cui aggrapparsi nel gestire le emozioni
e nell’identificare quali bisogni debbano essere cambiati. La EFT implica la modificazione delle convinzioni espresse non mettendone in discussione la razionalità o la
validità, ma accedendo ad emozioni e visioni di sé alternative che mettano in dubbio
l’utilità delle convinzioni distruttive e che consentano a convinzioni alternative di diventare accessibili.
Le convinzioni, pertanto, sono rappresentazioni linguistiche degli schemi emotivi fondamentali che devono essere modificati. Verbalizzare le convinzioni consente ai
clienti di discuterle, rivalutarle e contestarle. Accedere alle emozioni disadattive primarie e identificare i pensieri e le convinzioni distruttive, facilita il cambiamento fornendo
accesso ad uno stato che deve essere esposto a nuove esperienze e che deve, paradossalmente, stimolare la mobilitazione di un’organizzazione del sé più sana attraverso un
meccanismo di processo opposto. Gli stati del sé, spesso, sono strettamente collegati ai
loro opposti.
Fase 3: Trasformazione
In questa fase il terapeuta:
•
•
•
Aiuta il cliente a generare nuove risposte emotive per trasformare gli schemi disadattivi fondamentali;
Incoraggia la riflessione per dare un senso all’esperienza;
Conferma le nuove emozioni e supporta gli stati emergenti del sé.
Generare Nuove Risposte Emotive
Il primo passo nella trasformazione consiste nell’aiutare i clienti ad accedere alle
risorse interiori che oppongono resistenza, utilizzarle per trasformare le emozioni disadattive e mettere in discussione le convinzioni disfunzionali. Una volta che il cliente
119
La terapia emotion-focused per la depressione
sia stato aiutato a raggiungere e sperimentare un’emozione primaria fondamentale, il
terapeuta ed il cliente, insieme, valutano se si tratti di una risposta adattiva o disadattiva
alla situazione attuale. Spesso questo è alquanto palese; per esempio, quando qualcuno si sente inutile o prova disgusto di sé, è chiaro che ha una risposta non utile e non
desiderabile. Nei casi in cui è meno evidente, come per la rabbia in seguito alle offese
o per sentimenti d’impotenza, il cliente ed il terapeuta analizzano insieme se si tratti
di un’emozione disadattiva e, forse, basata su una ferita psicologica o su un trauma di
qualche tipo del passato, nel cui caso si dovrebbe elaborare prima di tutto il dolore prima di promuovere qualunque cambiamento. Se l’emozione alla base della depressione
è sana, come la rabbia o la tristezza inespresse, questa emozione viene utilizzata come
guida per l’azione. Se si tratta, invece, di un’emozione disadattiva fondamentale, come
la vergogna o la paura, deve essere modificata.
Per valutare se l’emozione sia disadattiva, è possibile identificare la voce e le convinzioni negative ad essa associate. Il terapeuta non mette in discussione le voci negative della personalità e non cerca di far venire il cliente a patti con esse. Piuttosto, lo
aiuta ad accedere ad un’organizzazione di sé alternativa, più adattiva, per mettere in
dubbio lo stato disfunzionale; insieme, daranno forza ad una nuova voce. La nuova
voce, che rappresenta nuove possibilità, viene da dentro, da un nuovo stato emotivo a
cui si accede nel corso della seduta. Il focus, in seguito, diventa la generazione di nuove
possibilità all’interno della personalità, formando e confidando su organizzazioni del
sé alternative che il cliente costruisce dalle nuove risposte e i bisogni emotivi a cui ha
avuto accesso. I terapeuti incoraggiano i clienti ad utilizzare queste nuove risorse per
trasformare le emozioni disadattive e per mettere in discussione i pensieri distruttivi
dei loro stati emotivi disadattivi. I clienti possono accedere a nuove emozioni facendo
attenzione alle emozioni sottodominanti che esprimono di solito, ma che non hanno
vissuto appieno, e facendo attenzione ai propri bisogni (Greenberg, 2002). Ulteriori
modalità per accedere alle emozioni sane sono trattate nel capitolo 13.
Quando i clienti sperimentano l’emozione disadattiva primaria della vergogna e
dell’inutilità, quando sono in grado di simbolizzarla e realizzano che quello è proprio
ciò che stanno provando (invece di evitarlo), possono iniziare a guadagnare una sorta
di controllo riflessivo sulle emozioni. Con la consapevolezza e la verbalizzazione di
questa emozione fondamentale, diventano più accessibili il desiderio di liberarsene e la
necessità di sentirsi accettabili, e il cliente inizia a sentire con maggiore forza che è suo
diritto soddisfare questo bisogno di riduzione della sofferenza. Questa sensazione di
avere diritto alla soddisfazione del bisogno di essere valorizzati o accettati, si presenta,
in particolare, in un contesto terapeutico empatico, validante e supportivo. I clienti sono maggiormente in grado di essere empatici verso se stessi quando vivono appieno la
propria sofferenza e ricevono empatia e compassione da un altro. Devono sperimentare
simultaneamente il disagio ed essere a una distanza sufficiente per osservarsi, provare
empatia per se stessi, simbolizzare l’esperienza e riflettere sul proprio dolore e la propria
sofferenza. Una volta che si trovano ad una certa distanza per osservarsi, hanno già
dato il via ad un processo di riorganizzazione. Diventano più consapevoli; adesso sono
pronti, con l’aiuto del terapeuta, a lasciar andare l’emozione negativa e a costruire nuove risposte alternative alla situazione che li aiuteranno a trasformare le vecchie risposte;
adesso possono lasciar andare la vergogna e opporre resistenza per difendere il sé. Svi120
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
luppando questa organizzazione del sé alternativa e più assertiva e simbolizzandola in
parole, emerge una nuova voce che si contrappone alla vecchia.
L’emergere di nuove emozioni crea nuovi bisogni e obiettivi; per soddisfare questi
nuovi bisogni e obiettivi il cliente deve accedere a nuove risorse. Lavorare sulle emozioni non significa focalizzarsi solo sulle emozioni, ma anche sulla motivazione e sugli
obiettivi. Le persone sono altamente motivate e desiderano creare possibilità, oltre che
soddisfare i bisogni non soddisfatti. Aiutare a chiarire questi bisogni e desideri favorisce
la costruzione di un nuovo percorso per il cliente. Il nucleo del processo di cambiamento prevede che il cliente acceda alle proprie forze interiori sulla base dell’esperienza
emotiva adattiva primaria, e che diriga la propria attenzione ai nuovi bisogni e obiettivi alternativi ed emergenti che si basano sulle emozioni. La generazione di risposte
alternative nella EFT, pertanto, si basa sulla trasformazione delle emozioni e deriva
dal lasciar andare l’emozione disadattiva e dal modificare un’emozione con un’altra
emozione.
Come abbiamo visto in questo processo, i clienti trasformano gli stati emotivi disadattivi diventandone consapevoli, vivendoli appieno e accedendo ad altre emozioni
più adattive. Con il tempo, le emozioni più adattive trasformano le emozioni disadattive integrandole all’interno di un nuovo schema.
Riflettere sull’esperienza e simbolizzare sul piano linguistico quella nuova appena
vissuta, rafforza la formazione di nuovi schemi.
Come parte di questo processo, la convinzione disfunzionale, a cui si è avuto accesso attraverso l’arousal emotivo e che è stata simbolizzata in un contesto emotivamente carico, viene messa in dubbio dall’interno dal nuovo bisogno o obiettivo che
è stato validato e a cui stata data voce, e dalle risorse aggiuntive mobilitate da questo
bisogno. Pertanto, il terapeuta aiuta il cliente ad accedere al bisogno di essere amato o
riconosciuto che è al fondamento del sentimento di inutilità, supportando l’utilizzo di
questo bisogno per contrastare la convinzione del cliente di essere inutile e non degno
di amore. Il cliente impara a dire «Ho bisogno di sostegno, non di critiche; merito di
più. Ero solo un bambino. Avevo bisogno di amore».
Il terapeuta supporta l’emergere delle forze interiori, della competenza e delle risorse interiori per combattere i pensieri negativi e gli schemi disadattivi fondamentali.
Si evocano anche le fonti di sostegno interiori del cliente – ossia l’autocompassione e
le capacità di auto-consolazione – in risposta alla simbolizzazione del disagio e al riconoscimento dell’emozione e del bisogno fondamentale, aiutando la regolazione della
disperazione, dell’ansia o dell’isolamento. Ma la chiave del cambiamento nel cliente, è
l’entrare in contatto con il senso fondamentale di vitalità e di voglia di vivere. Una volta
che i clienti entrano in contatto con la propria forza, divengono, poi, in grado di fornire
a se stessi il sostegno che non hanno avuto dagli altri, iniziando ad affermarsi e a sfidare
le convinzioni auto-denigratorie o invalidanti sul sé o le assunzioni catastrofiche relative
alla separazione e all’abbandono. La combinazione fra consapevolezza, lasciar andare
l’emozione negativa e accedere a nuovi bisogni e obiettivi e alle proprie risorse interiori,
oltre al supporto e alla conferma del terapeuta, danno al cliente la forza di combattere le
convinzioni disfunzionali.
La EFT, pertanto, implica l’esporre i clienti alle emozioni non sane che sono al
fondamento della loro depressione, per andare in direzione di esperienze interiori for121
La terapia emotion-focused per la depressione
tificanti. Aiutare il cliente ad entrare in contatto con le emozioni di sana tristezza o
rabbia, espone la loro paura e vergogna a nuovi input. Le emozioni disadattive e le
tendenze all’azione riduttive, iniziano ad essere sostituite con l’apertura, la ricerca, così
come le tendenze di recupero e le visioni autocritiche di sé come persone negative o
inutili, vengono messe in dubbio dal senso di valore a cui hanno avuto accesso nel corso
di stati emotivi più salutari. I clienti, quindi, vengono aiutati ad integrare tutte le parti
della propria esperienza in un nuovo senso di sé e ad accettarsi di più.
I clienti cambiano continuamente alla luce di obiettivi emergenti e nuove opportunità. Una volta che hanno vissuto la vergogna per essere stati maltrattati o la paura del rifiuto, possono anche entrare in contatto con il bisogno di essere considerati.
Con lo spostamento dell’attenzione su questo nuovo obiettivo, si pongono un nuovo
problema da risolvere, come, ad esempio, il sentirsi apprezzati. Quando i clienti scoprono che possono fare qualcosa per le proprie emozioni, iniziano a prepararsi per la
risoluzione dei problemi. Motivati da una sana avversione al dolore e dalla necessità
di controllo, contatto umano, sicurezza e adeguatezza, i clienti mobilitano nuove risorse per fare meglio fronte alle situazioni. In questo processo, portano alla luce una
parte alternativa, più sana di sé, che possono poi utilizzare per mettere in discussione e
modificare alcune emozioni fondamentali disadattive, convinzioni e pensieri ostili. La
novità di questo processo viene da dentro, perché si accede ad emozioni e bisogni sani
precedentemente non riconosciuti, e da fuori, attraverso la sintonizzazione affettiva e
la conferma di un altro empatico.
A volte i clienti hanno anche bisogno di prendere le distanze dalle emozioni che li
schiacciano. Affinché il processo di sostituzione di un’emozione con un’altra funzioni,
i clienti devono essere in grado di dare un nome alle emozioni, giudicarle e identificare
le voci negative. Quando i clienti sono sopraffatti dalle proprie emozioni, non possono farlo. Con questi i terapeuti devono aiutarli a creare una distanza per lavorare sulle
emozioni, insegnando loro e facilitando le capacità di regolazione delle emozioni. Sono
particolarmente utili l’apprendimento di una respirazione corretta e l’assunzione di una
posizione da osservatore, che consenta loro di notare che stanno vivendo un’esperienza,
invece che, semplicemente, esservi dentro.
Anche i compiti a casa possono essere utili per promuovere e consolidare la trasformazione. I compiti a casa sono per lo più usati nella EFT per promuovere consapevolezza emotiva, regolazione e trasformazione dell’emozione. Lo scopo principale dei
compiti a casa nella terapia emotion-focused, è quello di consolidare e rinforzare i cambiamenti avvenuti nella seduta, attraverso l’esercizio al di fuori della seduta. L’esercizio
migliora l’apprendimento e i cambiamenti avvenuti nella seduta devono essere completamente integrati (Goldfried & Davison, 1994). Pertanto, una volta che i clienti siano
diventati consapevoli di qualcosa come di una nuova emozione o di una voce critica, i
terapeuti chiedono loro di esercitare questa consapevolezza nel corso della settimana.
I clienti che hanno intrapreso una trasformazione significativa in una seduta, come
l’indebolimento di una voce critica o la mobilitazione di un bisogno non soddisfatto,
possono esercitare compassione verso di sé o affermazione di propri bisogni nel corso
della settimana, per integrare appieno questi cambiamenti.
122
Il processo di trattamento nella terapia Emotion Focused
Incoraggiare la riflessione
I nuovi significati si creano attraverso la riflessione sull’esperienza, per trovarvi un
senso e sviluppare una nuova narrativa verbalizzata su come l’esperienza di trasformazione si adatti o cambi l’identità del cliente. La nuova esperienza vissuta viene consolidata in una nuova storia; il cliente costruisce significati alternativi, sviluppa una narrativa più forte ed esplora le implicazioni di questo nuovo punto di vista auto-validante.
Gli obiettivi, adesso, sono quelli di dar chiarezza ad una storia non depressiva basata
sull’esperienza fatta di sé, del proprio passato e del futuro che si basa su un senso del
valore personale e sulle risorse, promuovendo azioni basate su queste nuove comprensioni. Nel generare nuovi significati, i clienti riflettono sulla propria esperienza, spesso
fanno collegamenti fra elementi della propria vita, modificano le visioni di sé o della
propria storia e affermano l’intenzione ed il desiderio di raggiungere una sensazione di
maggiore connessione e controllo della propria vita. Per esempio, un cliente che aveva
iniziato con una narrativa di fallimento e incapacità, arriva ad una narrativa di forza.
Molte delle donne presenti nella nostra ricerca, avevano iniziato con storie d’impotenza
e di silenzio forzato per arrivare a sentirsi più forti e riuscire ad individuare la propria
voce.
La riflessione e la creazione di significati, avvengono per tutto il corso del trattamento e continuando al di là di ogni singolo episodio a carica emotiva, ma i clienti,
spesso, fanno riferimento a questi episodi e alle metafore fondamentali che sono emerse
in quei momenti. Così, le metafore generare in un contesto esperienziale, come “essere
soli in un immenso campo”, “in una gabbia di vetro”, “in mare in una barca senza
timone” o “gettati in un mucchio di spazzatura”, diventano simboli di un problema,
mentre “uscire da un fosso”, oppure “riuscire ad opporsi” o “poter di nuovo vedere con
chiarezza”, sono metafore che catturano l’emergere, lo sviluppo e la creazione di nuovi
significati e soluzioni.
L’esperienza di sé viene, così, riorganizzata in modo che il cliente riesca a simbolizzare e ad organizzare l’esperienza emotiva in termini di una nuova e più forte visione
di sé. Così, il sé non è più giudicato come un fallimento, oppure, la separazione da un
oggetto di attaccamento non viene più percepita come pericolosa per il sé. La visione
di sé e del mondo e l’esperienza di sé nel mondo, cambiano.
Supportare e confermare il nuovo senso emergente di sé
Quando emerge un senso del sé più sicuro, assertivo ed accettante, e il cliente vi
riflette su, il terapeuta riconosce e conferma questo senso di sé, aiutando il cliente a
collegarlo alla vita fuori dalla terapia per risolvere problemi. Il nuovo senso di valore
personale viene utilizzato come base per l’azione nel mondo. Dopo che il cliente abbia
sperimentato uno spostamento nei processi emotivi e si sia riorganizzato, collabora
con il terapeuta per proporre azioni che possano consolidare questo cambiamento.
Spesso queste possibilità emergono spontaneamente. Se così non fosse, il terapeuta
può proporre nuovi modi di affrontare le situazioni, incoraggiando i clienti ad entrare
in contatto con gli altri invece che ritirarsi, ad assumersi dei rischi e a cercare nuove
123
La terapia emotion-focused per la depressione
cose. Si incoraggia l’espressione più che la depressione. Il terapeuta potrebbe anche farsi
coinvolgere in un insegnamento esperienziale per consolidare, a livello cognitivo, i
cambiamenti di prospettiva. Così, potrebbe sottolineare come nei momenti di disperazione, la focalizzazione sull’interiorità e la simbolizzazione della propria esperienza a se
stessi, come dire «Mi sento devastato», possono aiutare il cliente ad ottenere un senso
di controllo.
Oppure il cliente potrebbe capire come mettersi al centro dell’esperienza e diventare un agente attivo, invece che una vittima passiva, e questo favorisce la regolazione
delle esperienze. I compiti a casa sono utili per consolidare anche queste forme di
insight.
124
CAPITOLO 6
LA RELAZIONE TERAPEUTICA
In questo capitolo analizziamo i ruolo della relazione terapeutica nella terapia emotion-focused (EFT) per la depressione. Ci focalizziamo sul contributo del cliente e del
terapeuta alla relazione. I due punti fondamentali di un ambiente terapeutico ottimale
nella EFT, sono: (a) la relazione come legame che regola le emozioni, caratterizzato
dalla presenza del terapeuta e dalla comunicazione di empatia, accettazione positiva e
congruenza, e (b) la facilitazione di specifiche modalità di elaborazione emotiva e di
vissuti in determinati momenti. Il risultato è una modalità relazionale che implica una
combinazione fra seguire e guidare, che include tutte le qualità relazionali rogersiane e
che enfatizza la sintonizzazione empatica alle emozioni (Rogers, 1965).
È stato dimostrato che l’empatia è uno dei tre aspetti della relazione che ha un
fondamento empirico, un’aspetto che ha un’elevata correlazione (r = .317) con l’esito
(Bohart, Elliott, Greenberg & Watson, 2002; Watson, 2001). I deficit nell’empatia
e nella connessione emotiva fra i bambini e i caregiver, influenzano lo sviluppo di
alcune zone dell’emisfero destro coinvolte nell’empatia e nella compassione. Quando
il cliente entra in connessione empatica con il terapeuta, i centri cerebrali vengono
toccati e si aprono nuove possibilità. Inoltre, le componenti rogersiane di accettazione
e congruenza, non solo creano un contesto terapeutico ottimale in cui il cliente si
sente sicuro di farsi coinvolgere appieno nel processo di auto-esplorazione e di nuovi
apprendimenti, ma contribuiscono anche alla regolazione emotiva fornendo una fonte
di consolazione interpersonale. Nel tempo, il cliente interiorizza questa regolazione
interpersonale delle emozioni nell’autoconsolazione, che è la capacità di regolare i propri stati interiori. Queste qualità terapeutiche relazionali ottimali, pertanto, facilitano
la regolazione diadica delle emozioni attraverso il rifornimento di sicurezza, fiducia e
contatto, rompendo il senso di isolamento del cliente, confermando la sua esperienza
di sé e promuovendo l’auto-empatia e l’auto-esplorazione. La costruzione di una connessione empatica fra terapeuta e cliente, inizia nella fase 1 ed influenza i passaggi e le
fasi successive del trattamento.
I terapeuti, prima di tutto, creano un clima di accoglienza, sicurezza e di conferma
attraverso le modalità con cui si relazionano con i clienti. Uno degli elementi centrali
di questo modo di essere, è il clima affettivo che si genera in seguito ad indici visivi,
125
La terapia emotion-focused per la depressione
gestuali e posturali. Il clima emotivo ha a che fare con l’atteggiamento complessivo
del terapeuta, che comunica la propria ricettività e sintonizzazione al cliente attraverso le espressioni verbali, la postura e le espressioni facciali e visive. È chiaro che
l’atteggiamento complessivo del terapeuta, non solo le tecniche, influenzano le risposte
del cliente e il modo in cui questo esprime e sperimenta le emozioni nella relazione
terapeutica. Il terapeuta che comunica un interesse genuino, accettazione, cura, compassione e gioia, e che evita, invece, rabbia, disprezzo, disgusto e paura, crea il contesto
per un legame emotivo sicuro. Una serie di filmati classici Approaches to Pyshcotherapy
(Shostrom, 1965), mostra la conduzione di sedute terapeutiche, effettuata dagli psicologi Rogers, Perls ed Ellis, con una donna, Gloria. Un’analisi recente condotta da
Magai e Haviland-Jones (2002), ha sondato il clima emotivo che ciascuno dei terapeuti
creava. Nei loro comportamenti del filmato, nelle teorie e, più in generale, nelle loro
personalità e vite personali, i terapeuti esprimevano, e si focalizzavano su, emozioni
molto diverse. Rogers si concentrava sull’interesse, sulla gioia e sulla vergogna. Perls
sul disprezzo e sulla paura ed Ellis sulla rabbia e sulla paura. L’espressione facciale delle
emozioni nei terapeuti e la qualità vocale, creava climi emotivi chiaramente differenti
che sono aspetti del loro modo di essere.
Gli emisferi destri dei clienti, rispondono alla comunicazione micro-affettiva dei
terapeuti oltre che alle loro parole, e tutte queste influenzano i processi dei clienti di
auto-organizzazione dinamica. In aggiunta alle emozioni categoriche espresse dal terapeuta, come interesse, rabbia, tristezza, paura e vergogna, nella sintonizzazione affettiva
sono anche importanti gli aspetti vitali dell’espressione emotiva del terapeuta, come il
ritmo, la cadenza e l’energia. La comunicazione facciale delle emozioni del terapeuta è
uno degli aspetti centrali del clima emotivo. Come ha sostenuto Levinas (1998), vedere
la faccia di un altro, evoca un’esperienza in chi osserva. Il viso è un testo molto potente, anche se ambiguo, da cui si può leggere molto e l’espressione facciale è un aspetto
centrale della sintonizzazione relazionale. Si è visto che le persone leggono le emozioni
facciali automaticamente ad una velocità incredibilmente elevata, in particolare emozioni come la rabbia e la paura, che hanno implicazioni per la sopravvivenza. È stato
dimostrato che l’abuso infantile influenza l’accuratezza dell’interpretazione degli indici
facciali e che porta ad un’esagerata attribuzione di ostilità alle espressioni facciali degli
altri. I clienti, così, apprendono chi sono e quanto vengono accettati, dalle espressioni
facciali del terapeuta che evoca in loro determinate emozioni.
Anche la modalità comunicativa possiede un’influenza critica sul clima emotivo:
il tono, l’energia, il ritmo e la cadenza del terapeuta devono essere adeguati affinché
si possa lavorare sulle emozioni. Un tono e un atteggiamento lento e calmante, sono
cruciali quando il cliente accede ad emozioni vulnerabili fondamentali come la tristezza, mentre un tono incoraggiante e più energico, è utile nel supportare emozioni che
tendono a stabilire confini, come la rabbia e il disgusto.
I clienti vedono la propria esperienza riflessa nel viso del terapeuta e nelle sue
modalità di risposta. Se i clienti vedono comprensione sul volto del terapeuta e ascoltano risposte di conferma, vengono aiutati a riconoscere che, in effetti, stanno vivendo
qualcosa e che sono in grado di comunicare le proprie emozioni. Sperimentano che
queste emozioni hanno un impatto non solo su di loro, ma anche sugli altri, che, a
loro volta, hanno un impatto su di loro. Per dirla più semplicemente, il cliente sente
126
La formulazione del caso nella depressione
dentro di sé, e pensa, una frase del tipo «Oh, hai capito, capisci me e io capisco te!». Per
esempio, quando i clienti sperimentano sofferenza o tristezza, i terapeuti rispondono al
loro dolore in modi diversi: la faccia del terapeuta registra dolore, gli occhi potrebbero
riempirsi di lacrime, potrebbe inclinarsi in avanti ascoltando più da vicino (queste comunicazioni sono emisfero destro - emisfero destro; Schore, 2003). Per portare ancora
oltre questa esperienza e darle una consistenza insieme al cliente, il terapeuta potrebbe
chiedergli come si sente a condividere queste emozioni con lui, come percepisce il
terapeuta, oppure quale è il suo vissuto del terapeuta in quel momento. Il terapeuta
potrebbe anche chiedere cosa il cliente veda nel suo volto e come questo lo faccia sentire. I terapeuti potrebbero anche condividere con i propri clienti sentimenti di intimità,
mano a mano che rivelano le proprie emozioni. Questa comunicazione conferma la
capacità del cliente di essere con queste emozioni e, anche, di consentire al terapeuta di
entrare nell’esperienza. In questo modo, i terapeuti possono approfondire l’esperienza
diadica (Fosha, 2004).
Oltre a fornire un clima emotivo sicuro e responsivo, sintonizzato con le emozioni
dei clienti, i terapeuti facilitano differenti modalità di elaborazione, utilizzando anche
specifici interventi che si sono rivelati utili per aiutare i clienti a risolvere particolari problematiche affettivo-cognitive. Questi sono, ad esempio, il dirigere l’attenzione
all’interno quando il cliente è concentrato sull’esterno, promuovere comunicazione
fra differenti parti del sé per facilitare l’integrazione, facilitare una visione più ampia
di un altro significativo attraverso il lavoro con la sedia vuota, focalizzarsi su un’emozione non chiara e promuovere una rivelazione evocativa per comprendere le reazioni
problematiche.
Equilibrare gli aspetti ricettivi e di approfondimento della relazione terapeutica,
può porre alcune difficoltà specifiche con i clienti depressi. I clienti potrebbero avere
difficoltà a focalizzarsi sull’esperienza corporea. Simili clienti potrebbero anche essere
scollegati dal flusso di esperienza interiore, e l’unica cosa di cui potrebbero essere
consapevoli è quel senso cronico di pesantezza, d’indifferenza e di apatia così tipici
dello stato depressivo. Altri clienti potrebbero essere stati così trascurati da bambini,
da non avere né le parole per descrivere la propria esperienza soggettiva, né le capacità
di concentrarsi sull’interiorità dell’impatto emotivo di un evento. Per questi clienti, i
terapeuti che si concentrano sulla loro esperienza interiore e sugli stati affettivi, parlano un’altra lingua. La pazienza è un requisito fondamentale per i terapeuti, fintanto
che questi clienti apprendono un vocabolario emotivo e le competenze per riuscire a
lavorare efficacemente nella EFT e, poi, per focalizzarsi sulla propria esperienza nel
mondo esterno.
Le persone depresse possono essere molto sensibili alle critiche e suscettibili a
sensazioni di fallimento. Come risultato, alcuni clienti sperimentano sentimenti di
vergogna, inadeguatezza o fallimento quando i terapeuti chiedono loro di focalizzarsi
sulle emozioni o propongono un compito per aiutarli a superare un senso passivo di
impotenza o per superare un senso passato di vittimizzazione. I tentativi del terapeuta
di promuovere un focus interno, o l’esplorazione del contributo del cliente a determinati problemi, possono generare vissuti di vergogna e creare un senso di fallimento nei
clienti che si sentono esageratamente responsabili o che si condannano per le intense
emozioni di disperazione e sconforto. I terapeuti devono essere particolarmente sensi127
La terapia emotion-focused per la depressione
bili alle risposte che i clienti danno alle loro formulazioni e consigli.
Numerose ricerche hanno mostrato che in aggiunta all’empatia, un’alleanza terapeutica positiva è associata a un buon esito terapeutico (Horvath & Greenberg,
1994; Safran & Muran, 1998). Lo sviluppo di collaborazione, è stato riconosciuto
come un aspetto importante della relazione terapeutica. Pertanto, oltre a creare un
clima emotivo che assicuri un legame caldo e di fiducia, è importante promuovere e
nutrire un’alleanza collaborativa per tutto il corso della terapia. L’alleanza riflette tre
importanti aspetti del lavoro terapeutico: il legame, o i sentimenti che i partecipanti
provano l’uno nei confronti dell’altro; il punto fino a cui concordano sugli obiettivi
della terapia, ed il modo in cui si propongono di raggiungere questi obiettivi (Bordin,
1979).
Ci sono molti modi per sviluppare e mantenere l’alleanza terapeutica. Il primo
implica il fornire una spiegazione, ai clienti, circa il processo terapeutico (Watson &
Greenberg, 1995). A questo livello, i terapeuti definiscono la relazione in termini di
riservatezza, confini, tempo e struttura delle sedute, comunicando che il focus primario
del trattamento sono le preoccupazioni del cliente. L’intenzione principale del terapeuta, con questa introduzione, è quella di aiutare i clienti ad aprirsi e a rivelare i pensieri,
le emozioni e le paure più profonde; in altre parole, rischiare di essere vulnerabili con
i terapeuti nella speranza che insieme potranno arrivare ad una migliore comprensione
del mondo interno ed esterno del cliente e ad indurre un cambiamento significativo
che darà una miglior direzione al senso di disperazione. Se questo obiettivo esplorativo
non viene negoziato adeguatamente fra le due parti, la terapia probabilmente finirà
prima o si bloccherà.
Una volta che sia stata negoziata positivamente la fase introduttiva, terapeuta e
cliente entrano nella fase di lavoro. I compiti relazionali, che sono importanti nel corso
di questa fase, includono la comunicazione delle motivazioni alla base del lavoro e l’accordo sul farsi coinvolgere in specifici compiti di elaborazione che meglio si adattano
alla formulazione dei problemi del cliente e agli obiettivi concordati per la terapia.
L’applicazione di compiti esperienziali pone dei problemi specifici ai clienti depressi.
Un obiettivo importante della EFT è promuovere il dialogo fra il sé interiore riflessivo
dei clienti e quello che vive in prima persona. Tuttavia, entrambi questi aspetti del funzionamento sono compromessi nella depressione. Nella depressione, infatti, i clienti
perdono la capacità di sperimentare e di osservare dal di fuori la propria esperienza per
esaminarla e rifletterci sopra. Come risultato, i terapeuti lavorano per stimolare l’esperienza e promuovere la capacità del cliente di prestare attenzione, osservare e riflettere
sulla propria esperienza interiore.
Un’altra potenziale difficoltà della relazione terapeutica, nelle prime fasi e in quelle
intermedie della terapia, consiste nella discrepanza fra il punto di vista che il terapeuta e
il cliente hanno sul cliente stesso. I terapeuti considerano i clienti degli agenti attivi nella vita in generale e, nello specifico, nel processo terapeutico. Tuttavia, i clienti depressi
si considerano vittime passive, sommerse dalle proprie emozioni e con quasi nessun
controllo sul processo in corso. Inoltre, la mancanza di energia ed il malessere generale
possono frustrare i terapeuti, che devono lavorare davvero duro per promuovere uno
spostamento dell’umore nei clienti. Insieme, terapeuti e clienti creano congiuntamente
un ambiente terapeutico negativo o positivo.
128
La formulazione del caso nella depressione
Il contributo del terapeuta all’alleanza
Negli anni ’40 e ’50 Rogers ha descritto il contributo del terapeuta alla terapia
enfatizzando l’importanza dell’empatia, dell’accettazione e del rispetto, come elementi
essenziali per creare un ambiente in cui i clienti potessero sentirsi sicuri di esplorare le
proprie esperienze (Rogers, 1957, 1959). Rogers aveva suggerito che:
«I terapeuti devono creare un contesto non giudicante, di accettazione e sicurezza, per rispondere con profonda comprensione all’esperienza emotiva del cliente, per
stabilire dei limiti ai comportamenti, ma non agli atteggiamenti e alle emozioni, e per
riuscire ad evitare di suggerire, giudicare, interpretare, rassicurare o persuadere» (citato
in Bozarth & Wilkins, 2001, p. ii).
In questo modo il terapeuta può dare il massimo contributo alla creazione di
un’alleanza terapeutica positiva. Uno studio recente che ha osservato i clienti in trattamento per una depressione nella psicoterapia cognitivo-comportamentale e in quella
processuale-esperienziale, ha trovato che le percezioni, da parte clienti, delle condizioni
relazionali erano fortemente correlate con il giudizio che davano dell’alleanza terapeutica in entrambi gli approcci (Watson & Geller, 2005). Inoltre, la loro percezione
della relazione era associata a cambiamenti nel livello di autostima e di rivelazione di
difficoltà interpersonali, mentre l’accettazione da parte del terapeuta dei loro clienti era
un buon predittore di cambiamento nella depressione.
Discuteremo in breve ciascuno degli atteggiamenti del terapeuta – presenza, congruenza, empatia e accettazione – nelle sezioni che seguono. Li discutiamo separatamente, come se fossero uno distinto dall’altro, ma è probabilmente più giusto considerarli tutti parte di una singola modalità terapeutica di essere del tutto presenti e
di comprendere un altro (Geller & Greenberg, 2002). Se non si è del tutto presenti,
non è possibile comunicare un’empatia che risani; anche se è possibile provare empatia per un’altra persona senza necessariamente mostrare accettazione, questa empatia
sarebbe fredda, clinica. In modo simile, anche se è possibile, per i terapeuti, comunicare intenzionalmente che comprendono i clienti e che ci tengono a loro, se questa
comunicazione non fosse sincera, rischierebbero di sembrare artificiali e, così facendo,
difficilmente i clienti si fideranno per rivelare gli aspetti più intimi e vulnerabili della
propria psiche.
Presenza
Per creare un’alleanza positiva, è importante che i terapeuti siano presenti. La
presenza terapeutica implica, fra le altre qualità, l’essere recettivi e sensibili all’esperienza mutevole dei clienti e momento-per-momento, l’essere completamente immersi
nell’attimo, provare un senso di espansione e spaziosità ed essere con e per il cliente
(Geller & Greenberg, 2002). Il tipo di presenza che sembra essere terapeutica è la consapevolezza delle reazioni emotive momento-per-momento, così come dei pensieri e
delle percezioni, che si verificano nel cliente, nel terapeuta e fra di loro nella relazione
terapeutica. I terapeuti devono lasciar andare le proprie preoccupazioni specifiche (per
es. conflitti con il coniuge, crollo nel valore del dollaro, la vacanza che si avvicina) e
129
La terapia emotion-focused per la depressione
mostrarsi genuinamente nella seduta. Essere presenti per un cliente significa svuotarsi,
liberare uno spazio per essere in grado di ascoltare con chiarezza i racconti ed i problemi che il cliente presenta in quel momento. I terapeuti devono osservare i volti dei
clienti e ascoltarne le voci. È attraverso l’attenzione unica e focalizzata del terapeuta che
il cliente si sente valorizzato e riesce a distinguere con chiarezza le proprie difficoltà e
preoccupazioni. Dando ai clienti la completa attenzione, i terapeuti riescono ad entrare
maggiormente in risonanza con le emozioni ed il vissuto dei clienti e a fornire il livello
di risposta empatica che sarà quello ottimale in differenti momenti della seduta.
La presenza garantisce quella sintonizzazione che mantiene il contatto fra due
persone vive e consente all’interazione di svolgersi con facilità e secondo un flusso costante. Le comprensioni implicite e le intenzioni che si adattano al momento appena
passato dall’altro, sono quelle che guidano principalmente quello che le due parti fanno
momento-per-momento nella terapia. Quando la risposta del terapeuta non si adatta
al vissuto del cliente, avviene una sconnessione e una potenziale rottura nell’esperienza
uniforme co-costruita. La diade deve negoziare qualunque potenziale rottura, implicitamente, correggendo e riadattando le risposte l’uno verso l’altro, ed esplicitamente,
verbalizzando intenzioni, emozioni e bisogni e rinegoziando il passaggio successivo.
Questa forma di presenza costante genera quell’interazione uniforme e continua di un
vero dialogo. Un dialogo di questo tipo spesso porta a momenti intensi di incontro, o
a quello che Buber (1958) definiva il contatto “Io-Tu”. In questi momenti, le persone
condividono la vita attraverso un’esperienza emotiva comune. Un’esperienza intersoggettiva viene vissuta nel momento in cui accade. È la condivisione di attenzione e di
vissuto della stessa esperienza, della stessa cosa nello stesso tempo e di sapere che l’altro
sta vivendo lo stesso. Ognuno vive qualcosa dell’esperienza dell’altro e sa che questo
sta succedendo. Tale esperienza condivisa crea un forte legame, un senso di unione che
rompe qualunque sentimento di isolamento esistenziale e che promuove fiducia e apertura. È anche un momento di esperienza vissuta che resta indelebile nella memoria.
Questi momenti generano cambiamenti terapeutici nel senso di sé dei clienti e nel loro
modo di relazionarsi.
Congruenza
La congruenza, o autenticità, può, ad un livello iniziale di analisi, esser scissa in
due componenti separate (Lietaer, 1993): (a) consapevolezza della propria esperienza
interiore e (b) trasparenza, o volontà di comunicare all’altro quello che accade all’interno. Per mostrare una congruenza che possa essere facilitante, i terapeuti devono
anche essere dediti alla comprensione ed al rispetto del cliente. Devono operare sia con
un desiderio genuino di non esercitare alcun potere sui clienti, sia con la convinzione
sull’importanza terapeutica di accettare come valida l’esperienza dei propri clienti. Infine, devono essere completamente presenti e in contatto con i clienti oltre che con se
stessi. Queste intenzioni precedono la congruenza facilitante e sono esse stesse aspetti
importanti della congruenza terapeutica.
Gli aspetti comunicativi della congruenza implicano la capacità di tradurre l’esperienza intrapersonale in determinate tipologie di risposte interpersonali che sono co130
La formulazione del caso nella depressione
erenti con alcune intenzioni implicite (Greenberg & Geller, 2001). Le intenzioni di
livello più profondo includono, oltre a dare valore e a comprendere l’altro, l’intenzione
di facilitare lo sviluppo dell’altro, di mostrare accettazione e di non criticare l’altro, di
confermare l’esperienza dell’altro, di focalizzarsi sulle forze e soprattutto di non fare
danni. Queste intenzioni sono quelle che determinano una congruenza terapeutica. Se,
per esempio, una persona ha un desiderio genuino di ferire, la congruenza non sarebbe
terapeutica.
Essere consapevoli del proprio flusso di esperienza interiore e della connessione
con l’essenza dei propri sentimenti, è un aspetto centrale della congruenza ed è quello
più semplice da sottoscrivere come terapeutico. Nel nostro punto di vista è sempre
terapeutico, per i terapeuti, essere consapevoli delle proprie emozioni e reazioni, dal
momento che questa consapevolezza li orienta e li aiuta a manifestare chiarezza interpersonale e senso di essere degni di fiducia. Questa consapevolezza interiore e contatto,
fluiscono naturalmente dall’esperienza di presenza terapeutica.
Il caso della trasparenza, o della componente comunicativa della congruenza, è
molto più complesso rispetto alla componente di autoconsapevolezza. Essere trasparenti implica numerose competenze interpersonali (Greenberg & Geller, 2002). Questa
componente implica la capacità, non solo di esprimere quello che uno sente davvero,
ma anche di esprimerlo in un modo che possa facilitare l’altro. La trasparenza, quindi,
è un termine generale che indica un complesso insieme di competenze interpersonali
incorporate in un altro insieme di atteggiamenti terapeutici. Queste abilità dipendono
da tre fattori: in primo luogo, dagli atteggiamenti del terapeuta; secondariamente, da
determinati processi quali la capacità di facilitare i processi, la presenza di disciplina e
la completezza espositiva; il terzo fattore, infine, è costituito dall’atteggiamento interpersonale del terapeuta.
Il primo, e probabilmente più importante, concerne il fatto che le risposte congruenti debbano sempre essere comunicate con atteggiamento non giudicante. Nella
vita, chiaramente, uno può essere congruentemente distruttivo; può congruentemente
attaccare o uccidere. Ciò, ovviamente, non è quello che noi intendiamo con il termine
congruenza in terapia, dal momento che il termine viene tacitamente caratterizzato da
una serie di altre convinzioni e punti di vista. Pertanto, riteniamo utile utilizzare le
parole facilitante o terapeutica per qualificare la parola congruenza.
Riguardo il secondo punto, la genuinità terapeutica significa anche essere trasparenti ma secondo una certa disciplina. I terapeuti, prima di tutto, devono essere consapevoli del proprio livello più profondo dell’esperienza e questo potrebbe richiedere
tempo e riflessione. Poi, devono essere chiari sulle intenzioni relative alla condivisione
di questa esperienza (che sia per il cliente o per la relazione e non per se stessi). È anche
sempre importante, per i terapeuti, essere sensibili ai tempi dell’apertura e rivelazione
di sé e, se i clienti sono aperti o troppo vulnerabili, pronti a ricevere quello che hanno
da offrirgli. Disciplina, quindi, significa restrizioni nel comunicare quello che il terapeuta sente e prendersi del tempo per assicurarsi, per esempio, che quella che il cliente
sta esprimendo è un’emozione fondamentale o primaria, invece che una secondaria.
Un altro concetto qualificante che ci aiuta a chiarire l’aspetto della trasparenza della
congruenza, è la completezza, con cui intendiamo “dirla tutta”. Il terapeuta esprime
non solo l’aspetto centrale o focale vissuto, ma anche la meta-esperienza, ovvero quello
131
La terapia emotion-focused per la depressione
che sente in relazione a ciò che sta vivendo e comunicando. Pertanto, un terapeuta che
dice di sentirsi irritato o annoiato, non la sta dicendo tutta. I terapeuti devono anche
comunicare la propria preoccupazione sul fatto che questo possa potenzialmente ferire
i propri clienti, ed esprimere che lo stanno comunicando per il desiderio di chiarire e
migliorare la connessione, non per distruggerla; questo significa “dirla tutta”.
L’atteggiamento interpersonale è il terzo fattore. L’interazione congruente può essere esaminata in termini di atteggiamento interpersonale che i terapeuti assumono
in relazione ad un reticolo complesso di interazioni interpersonali (Benjamin, 1996).
Questo reticolo si basa sulle due dimensioni principali di autonomia-controllo e vicinanza-affiliazione. In coerenza con la teoria interpersonale, questo reticolo delinea un
insieme di risposte complementari che si adattano fra loro e che, sul piano interazionale, si “spingono” fra loro. Così, l’attacco spinge alla difensiva ed al ritiro, mentre la conferma promuove apertura e rivelazione. La capacità di rispondere congruentemente,
implica il non reagire in maniera complementare ad una spinta interpersonale negativa
da parte del cliente, come tirarsi indietro se attaccati, ma piuttosto agire con modalità
che spingono in direzione di una risposta più produttiva sul piano terapeutico da parte
del cliente, come un’espressione chiara. Questo si potrebbe raggiungere attraverso una
risposta empatica e comprensiva ad un attacco, più che con la ritirata.
Una risposta che proviene da un atteggiamento di conferma, probabilmente, avrà
un effetto facilitante. La conferma è la risposta di base nelle terapie supportive e spinge
all’apertura e alla fiducia. Ma cosa può fare un terapeuta quando non prova sentimenti
di conferma, ma prova rabbia, critica e rifiuto e non riesce a superare queste emozioni
per andare verso altre di maggiore affiliazione? Una risposta interpersonale congruente
e facilitante, implica prima di tutto la connessione con gli atteggiamenti fondamentali
o le intenzioni di essere utile, di comprendere, dare importanza, rispettare ed essere
non intrusivi e non dominanti. Questa connessione porterà il terapeuta ad esprimere
queste emozioni come rivelazioni. Se si adotta l’atteggiamento interpersonale di rivelazione delle emozioni negative, invece che l’atteggiamento complementare di attaccare,
rifiutare, o sedurre, allora questa risposta congruente ha maggiori probabilità di essere
facilitante. Non è il contenuto della rivelazione ad essere centrale nella facilitazione,
quanto, piuttosto, l’atteggiamento interpersonale di rivelazione con atteggiamento facilitante. Quello che è congruente, è il desiderio di aprirsi con l’obiettivo di facilitare la
relazione e l’azione effettiva di rivelazione.
I differenti modi di promuovere una congruenza facilitante nella gestione delle
diverse classi di emozioni difficili, sono in qualche modo identificabili. Implicano tutti
l’assunzione di una posizione di apertura. Esprimere un’emozione che potrebbe essere
percepita come negativa in un atteggiamento di apertura, invece che con il solito atteggiamento che la accompagna, la renderà più facilitante. La rivelazione implica, in
maniera implicita o esplicita, la volontà o l’interesse di esplorare con l’altro quello che
stiamo rivelando. Per esempio, quando si sentono attaccati o arrabbiati, i terapeuti
non attaccano l’altro, ma piuttosto rivelano che si sentono attaccati o arrabbiati. Non
utilizzano il messaggio con un “tu” di condanna, ma si assumono la responsabilità della
propria emozione e utilizzano messaggi contenenti la parola “io” per rivelare come si
sentono. Soprattutto, non si fanno coinvolgere in una escalation al gradino più alto
in questa comunicazione, ma rivelano apertamente sentimenti di paura, rabbia o sof132
La formulazione del caso nella depressione
ferenza. Quando il terapeuta prova sentimenti di mancata affiliazione, di rifiuto o di
perdita di interesse per l’esperienza del cliente, la competenza interpersonale implica
il riuscire a rivelare ciò nel contesto di una comunicazione congruente attraverso la
quale il terapeuta afferma che non desidererebbe sentirsi così. Oppure, i terapeuti possono rivelare queste emozioni come problemi che si trovano sulla via e dire che stanno
cercando di trovare un rimedio per riuscire ad essere più comprensivi ed a sentirsi più
vicini al cliente. La chiave nel comunicare quelle che potrebbero essere percepite come
emozioni negative in un modo congruente facilitante, sta nel farlo con modalità non
dominanti, affiliative e di apertura.
Per esempio, una cliente molto fragile ed esplosiva aveva detto al terapeuta, in
un incontro intenso, che temeva e odiava il terapeuta perché era così falso e agiva in
maniera così presuntuosa, che pretendeva di capire come lei si sentisse. Diceva che lo
vedeva come una sanguisuga che le succhiava la vita emotiva e che, anche se professava di avere buone intenzioni, in realtà desiderava distruggerla. Sotto questo attacco
inesorabile, il terapeuta le aveva detto che aveva paura della sua rabbia. Gli vennero le
lacrime agli occhi e le aveva detto quanto si sentisse ferito, senza attaccarla o recriminare, e senza un’esplicita intenzione, collegata al potere o al controllo, di farla smettere; si
era trattato solo di una rivelazione di come si sentiva dentro in quel momento. Questa
apertura aveva portato ad un cambiamento nell’interazione e fece venir fuori dalla
cliente alcune preoccupazioni per il terapeuta.
Empatia
Se i terapeuti non mostrano sintonizzazione empatica con le emozioni e significati
dei clienti, non sono in grado di percepire gli obiettivi dei clienti o di lavorare con
loro per identificare compiti che potrebbero essere utili nel raggiungimento di questi
obiettivi. Con i clienti depressi, il ruolo dell’empatia e dell’accettazione è particolarmente importante. In aggiunta al suo essere essenziale nello sviluppo di una relazione
terapeutica facilitante, l’empatia è uno strumento importante per aiutare i clienti a
regolare le proprie emozioni. La sintonizzazione del terapeuta e la comunicazione verbale e non verbale (per es. facciale) della comprensione degli stati affettivi interiori del
cliente, forniscono, per la prima volta, l’esperienza che i propri stati affettivi possano
essere visti e condivisi con un’altra persona. Questo è cruciale nell’aiutare i clienti a
rafforzarsi come sé connessi, ma separati. L’empatia del terapeuta aiuta, inoltre, i clienti
a diventare consapevoli e a simbolizzare la propria esperienza. La risposta empatica del
terapeuta aiuta i clienti a prendere consapevolezza della propria esperienza emotiva, a
darle un nome consapevole e a modularla in modo che non sia schiacciante o che non
venga a messa a tacere e ne venga perso il messaggio. Le risposte di comprensione empatica e le affermazioni empatiche, amplificano il vissuto del cliente in modo che possa
essere inteso più chiaramente, mentre le riflessioni evocative e le ipotesi empatiche ne
facilitano la differenziazione, la modulazione e la valutazione. L’esplorazione empatica
facilita la concentrazione del cliente sull’interiorità per esplorare e scoprire le visioni
del mondo soggettive e interiori e le emozioni relative agli eventi. I terapeuti accompagnano con gentilezza e circospezione i clienti mentre questi cercano di descrivere la
133
La terapia emotion-focused per la depressione
propria esperienza interiore. Il senso di comunanza e di unità che emerge da questo
sforzo comune, aiuta la costruzione di un legame terapeutico ed assiste il terapeuta
nell’identificare correttamente gli obiettivi del trattamento. L’esplorazione empatica
non è solo un compito importante di per sé perchè facilita la consapevolezza dei clienti
e la differenziazione della loro esperienza interiore, ma è fondamentale allo sviluppo di
un’alleanza terapeutica produttiva.
L’empatia evidenzia anche la soggettività delle percezioni e del vissuto dei clienti.
I terapeuti sottolineano il ruolo dei clienti nella costruzione della propria esperienza
enfatizzando la soggettività delle loro percezioni e costruzioni della realtà. Per esempio,
l’utilizzo della parola sembra in espressioni quali «Sembra così disperata», suggerisce che
la costruzione depressogena sia uno stato soggettivo aperto alla riformulazione e con
una durata temporale limitata. Come ha osservato Troeml-Ploetz (1980), le riflessioni
che i terapeuti fanno sugli stati attuali dei clienti e sulle espressioni del sé, agiscono da
interventi paradossali che implicano visioni alternative. Per esempio, un intervento del
terapeuta che conferma una visione negativa del mondo, rispetto a uno che la contraddice, ha l’effetto paradossale di portare il cliente a rendersi conto che non è poi tutto così
nero. Così, le riflessioni del terapeuta aiutano ad attivare i processi riflessivi del cliente e
li incoraggiano a valutare ed esaminare la rappresentatività delle parole che scelgono, per
dare un nome alla propria esperienza e la completezza delle proprie narrazioni.
Accettazione
Il calore, la compassione, l’apertura ed il rispetto verso il cliente e la sua esperienza,
oltre che prendersi cura di lui come persona con il permesso di condividere le sue emozioni ed esperienze, sono tutti aspetti cruciali della terapia. La sensazione dell’accettazione da parte dell’altro e l’idea che ci si possa fidare, fino al punto che uno percepisce
l’altro come congruente e sincero, è molto importante per la sensazione di avere un
valore e di essere graditi all’altro. L’accettazione da parte dell’altro, conferma la nostra
esistenza e promuove un senso di appartenenza e di partecipazione, dal momento che
ci consente simultaneamente di accettare la nostra esperienza. Accettando i clienti,
i terapeuti forniscono un clima in cui questi possono prendere consapevolezza della
propria esperienza, integrarla ed elaborarla in modi che possono facilitare lo sviluppo di nuove modalità d’essere. Accettare il vissuto non significa considerarlo positivo;
piuttosto, è un modo per riconoscere che questo è ciò che sta vivendo il cliente in quel
momento, che quella è l’esperienza presente.
L’accettazione implica anche una fiducia incondizionata nelle potenzialità intrinseche fondamentali del cliente. Percependo l’accettazione incondizionata della propria
esperienza da parte del terapeuta, i clienti smettono di preoccuparsi di questo e rendono disponibile questa energia per rivolgerla all’interno ed entrare in contatto con i
propri vissuti. La riduzione dell’ansia interpersonale porta alla capacità di tollerare una
maggiore ansia intrapersonale. I clienti riescono ad accettare e affrontare maggiormente le proprie esperienze con l’accettazione incondizionata di un altro. L’accettazione
sembra essere particolarmente importante nel trattamento della depressione. Uno studio recente sulle condizioni relazionali ha trovato che di tutte le condizioni, i resoconti
134
La formulazione del caso nella depressione
post-seduta che i clienti facevano dell’accettazione del terapeuta erano i migliori predittori di una diminuzione nella depressione (Watson & Geller, 2005).
Difficoltà relazionali con i clienti depressi
È facile essere presenti e incarnare atteggiamenti di accettazione, empatia e congruenza quando i clienti sono soggetti semplici con cui lavorare, sono concentrati e
condividono le esperienze emotive interiori, sono auto-motivati e sembrano essere responsivi all’intervento. Tuttavia, può essere più difficile mantenere questi atteggiamenti
quando i terapeuti hanno clienti che si oppongono ai loro tentativi o che sono, in qualche modo, incapaci di rispondere ai tentativi che fanno per aiutarli con le emozioni di
disperazione e sconforto. Alcuni terapeuti potrebbero temere di restare bloccati a causa
delle emozioni depressive dei clienti. Potrebbero sentirsi frustrati dalla vaghezza dei
clienti o dalle difficoltà evidenti nel presentare ciò che stanno vivendo. Alcuni terapeuti
potrebbero essere spaventati e schiacciati dalla profondità della disperazione di alcuni
clienti; potrebbero essere così ansiosi da focalizzarsi rigidamente sul fatto che i clienti
possano fare del male a se stessi e prevenire qualunque verbalizzazione o espressione del
dolore dei clienti. Questi terapeuti potrebbero lavorare per cercare consolarli e migliorarne l’umore rassicurandoli eccessivamente o risolvendo i problemi al posto loro. Tutte
queste emozioni sono piuttosto naturali, tuttavia devono essere monitorate con attenzione e regolate, in quanto possono lasciare un senso di critica, sconferma e impotenza
nel cliente. Anche se l’obiettivo finale è quello di aiutare i clienti a migliorare l’umore e
ad ottenere una prospettiva più piena di speranza e ottimistica, è importante fornire un
clima emotivo facilitante e le condizioni ottimali di empatia, accettazione e coerenza.
Quando incontrano resistenza nei clienti, i terapeuti dovrebbero essere meno focalizzati sulla propria agenda e più aperti ai clienti. In questi casi è meglio che i terapeuti lascino perdere gli obiettivi e provino nuovamente ad essere del tutto presenti,
cercando di entrare in contatto con l’esperienza soggettiva dei clienti. Questa apertura
li aiuterà a raggiungere una migliore comprensione di quali siano gli obiettivi dei clienti
e di come raggiungerli insieme. Sempre in queste situazioni, a volte, può essere utile
cercare una serie di alternative per individuare quella che si adatta meglio allo stile del
cliente, ai suoi scopi e ai suoi problemi. Come i clienti, i terapeuti devono essere in grado di controllare la propria critica interiore e le parole che contribuiscono ai sentimenti
d’inefficacia e di fallimento quando i clienti non rispondono come previsto. I terapeuti
possono calmare la propria ansia, nei momenti di difficoltà, utilizzando strategie di
regolazione delle emozioni come immaginare un luogo sicuro, essere in contatto con
gli altri e accettare le difficoltà dei propri clienti.
Il contributo del cliente all’alleanza
Gran parte della ricerca sulle caratteristiche di una buona alleanza, si è concertata sul comportamento cliente-terapeuta all’interno della seduta (Henry, Schacht &
135
La terapia emotion-focused per la depressione
Strupp, 1990; Horvath & Greenberg, 1994; Safran & Muran, 1998). Altre ricerche
hanno analizzato le caratteristiche demografiche dei clienti e i pattern di attaccamento
nello sviluppo dell’alleanza (Beutler, Harwood, Alimohamed & Malik, 2002). Più di
recente Kwan, Watson e Stermac (2000) hanno analizzato gli atteggiamenti che i clienti
depressi avevano nei confronti della terapia. I clienti riferivano le proprie percezioni sulla potenziale utilità della terapia, sulla quantità di supporto sociale che si aspettavano di
ricevere e sulle possibili conseguenze negative che potevano derivare dall’intraprendere
una terapia. Hanno trovato che, quando i clienti depressi entravano in terapia con un
atteggiamento aperto e fiducioso verso i terapeuti e la propria esperienza, sviluppavano
alleanze più positive. Al contrario, i clienti che erano scettici sui benefici della terapia,
che temevano di perdere supporto sociale e approvazione e si vergognavano, formavano
alleanze peggiori con i terapeuti e avevano maggiori probabilità di abbandonare. Così,
i clienti che entrano in terapia con un atteggiamento mentale collaborativo sono predisposti a stabilire alleanze positive con i propri terapeuti. Questi clienti considerano il
trattamento utile, si aspettano dei benefici ed hanno fiducia nel servizio che riceveranno e lavoreranno con più facilità nella terapia, al contrario di quei clienti che entrano
in terapia sentendosi scettici, oppure non in grado di farsi coinvolgere.
I blocchi al coinvolgimento
I clienti potrebbero presentare uno o più di cinque problemi principali nel farsi
coinvolgere nella terapia:
1. 2. 3. 4. 5. Si vergognano;
Sono scettici in relazione al processo;
Sono oltremodo passivi;
Hanno difficoltà a costruire narrative e ad accedere ai ricordi;
Hanno difficoltà ad esplorare le proprie emozioni.
Dubbi sulle tecniche utilizzate, sulla lunghezza della terapia e sulla riluttanza ad
esplorare le emozioni, possono verificarsi in qualsiasi momento della terapia. Le sezioni
seguenti trattano questi problemi relazionali e come vengono affrontati nella EFT.
Vergogna
Molti clienti entrano in terapia vergognandosi e provando un senso di sconfitta,
uno stato associato a gran parte delle depressioni. I terapeuti devono fare particolarmente attenzione agli indici di vergogna e demoralizzazione nei clienti. A volte questo
stato viene comunicato con il linguaggio del corpo (per esempio sguardo abbattuto e
postura accasciata). Altre volte, questo stato è meno manifesto e meno ovvio: i clienti
potrebbero avere difficoltà a parlare dei dettagli delle loro vite; potrebbero cercare di
divertire il terapeuta mantenendo un’apparenza per distrarre l’attenzione del terapeuta
dal profondo senso di sconfitta e vergogna che stanno vivendo. Le culture occidentali
136
La formulazione del caso nella depressione
hanno atteggiamenti molto ambivalenti in relazione alla ricerca di aiuto e, in particolare, nei confronti della psicoterapia. Molte culture, fra cui quelle asiatiche, hanno convinzioni che potrebbero indurre vergogna in chi cerca e si fa coinvolgere nella
psicoterapia. C’è ancora uno stigma attaccato a chi cerca una psicoterapia in molte
culture e sottoculture. La ricerca d’aiuto, anche se può indicare il fatto che vi sia una
persona che si prende carico e che cerca di trovare delle soluzioni alle attuali difficoltà
di funzionamento, mette anche l’individuo in una posizione di subordinazione verso
chi aiuta e verso gli altri che sembrano in grado di condurre una vita indipendente
senza assistenza.
I terapeuti cercano di essere sensibili alle emozioni di vergogna dei clienti rispettando la loro autonomia e minimizzando lo squilibrio di potere fra terapeuta e cliente.
I clienti vengono incoraggiati ad essere attivi nella terapia mano a mano che esplorano
i vissuti, e ad iniziare ad esaminare le fonti della propria depressione. Vengono considerati gli unici esperti della loro esperienza. Inoltre, l’accettazione del terapeuta e la
comunicazione di un atteggiamento non giudicante, sono vitali nell’aiutare i clienti
a superare il senso di fallimento per il fatto di aver bisogno di un aiuto. Per alcuni
clienti, l’esperienza della terapia può alterare queste emozioni verso la ricerca di aiuto.
Per esempio, invece di perdere supporto sociale, molti si accorgono che la famiglia e
gli amici, in realtà, corrono in loro aiuto quando sanno che stanno cercando un’assistenza esterna; questo potrebbe essere vero anche sul luogo di lavoro e in altri contesti
sociali. In questo modo le aspettative dei clienti di come gli altri reagiranno, vengono
sconfermate.
Tuttavia non sempre va così e i clienti che vedono le proprie relazioni messe in
pericolo come risultato dell’essere in terapia, potrebbero scegliere di ritirarsi invece
che affrontare le perdite o i conflitti. Questi clienti possono essere considerati come in
uno stadio pre-contemplativo in relazione al coinvolgimento terapeutico (Prochaska,
DiClemente & Norcross, 1992). Risolvere l’ambivalenza dei clienti in relazione alla
terapia e al rivelare aspetti nascosti del sé, potrebbe implicare l’analisi empatica di queste problematiche, in modo che i clienti possano seriamente soppesare i benefici e le
conseguenze legate al rimanere o all’abbandonare la terapia. La tecnica utilizzata dipenderà da quanto precocemente emergono questi sentimenti e dalla qualità complessiva
dell’alleanza. Per i clienti più deferenti, i terapeuti potrebbero suggerire un dialogo a
due sedie per lavorare sull’ambivalenza. Tuttavia, se queste resistenze compaiono molto
precocemente nella terapia e il cliente è più resistente, allora potrebbe essere più utile
un approccio meno direttivo, più esplorativo, che aiuti il cliente a prendere attivamente
una decisione sul corso preferito dell’azione.
Scetticismo
Alcuni clienti esprimono la propria riluttanza al coinvolgimento ed anche una
sfiducia nel processo, manifestando scetticismo verso le tecniche, e pochi esprimono
scetticismo anche nei confronti del processo in quanto tale. Alcuni clienti potrebbero
operare secondo un altro modo di vedere il mondo che considera i problemi in termini
per lo più fisiologici, e, quindi, potrebbero non essere aperti ai processi psicologici. Al137
La terapia emotion-focused per la depressione
tri potrebbero mettere in dubbio il focus che il terapeuta ha sulle emozioni, credendo
che parlare delle emozioni non sarà di alcuna utilità, in particolare quando causano
così tanto dolore. Altri clienti potrebbero non vedere benefici nel parlare con gli altri. I
clienti che si preoccupano della durata della terapia, in particolare dei trattamenti brevi, potrebbero dubitare di essere trattati adeguatamente in un lasso di tempo così breve.
Altri ancora, potrebbero credere che il trattamento sia troppo lungo, pensano che una
o due sedute è tutto ciò di cui hanno bisogno per stare di nuovo bene.
I clienti, a volte, si trattengono intenzionalmente dall’esprimere le proprie emozioni in terapia perché le giudicano schiaccianti, sbagliate o disdicevoli; questo è spesso un
problema all’inizio della terapia. I clienti potrebbero essere riluttanti a focalizzarsi sulle
emozioni e temerne le conseguenze. La ricerca sulla psicoterapia mostra l’importanza di
portare i clienti e i terapeuti a concordare gli specifici obiettivi e interventi da utilizzare
in terapia (Horvath & Greenberg, 1994); pertanto, è importante fornire un contesto
sicuro, non minaccioso, in cui i clienti possano esprimere le emozioni. Per quei clienti per cui un contesto di accettazione non è abbastanza, potrebbe essere importante
affrontare gli atteggiamenti negativi verso le emozioni, prima di applicare qualunque
tecnica che sia mirata ad accrescere l’espressione emotiva.
I terapeuti che seguono i princìpi della terapia emotion-focused, fanno molta attenzione a non bistrattare l’espressione emotiva dei clienti e le convinzioni collegate, in
particolare quando queste non siano concordi alle convinzioni del terapeuta sul valore
del lavoro sulle emozioni. L’atteggiamento negativo dei clienti verso le emozioni, potrebbe essere profondamente radicato nel loro senso d’identità e basato su esperienze
molto forti o su valori familiari o culturali altamente significativi. Semplicemente ignorare queste convinzioni o forzare i clienti ad agire in un modo contrario ai loro valori,
potrebbe impedire lo sviluppo di una buona alleanza e difficilmente ciò conduce ad
un esito terapeutico favorevole. Quando i clienti hanno atteggiamenti negativi verso
le emozioni, i terapeuti possono aiutarli a verbalizzare gli obiettivi e i valori personali
relativi al comportamento emotivo. L’esplicitazione di queste convinzioni dà ai clienti
l’opportunità di riesaminarle e, forse, rivederle. Un’esplorazione empatica ed il dialogo
a due sedie, potrebbero essere utili nell’aiutare questi clienti ad indagare queste convinzioni. Anche attività di psicoeducazione possono essere utili; informare i clienti sulle
ricerche e le osservazioni cliniche relative ai benefici delle emozioni, potrebbe essere
molto utile nel risolvere gli atteggiamenti negativi relativi al valore del lavoro sulle
emozioni.
Lo scetticismo dei clienti deve essere affrontato prima del procedere della terapia.
Per alcuni clienti, potrebbe essere sufficiente ricevere una cornice teorica che li aiuti a
comprendere i potenziali benefici del lavoro sulle emozioni in terapia o del discutere i
loro problemi con qualcun altro. Tuttavia, i terapeuti nella EFT, devono fare attenzione
a non sconfermare le preoccupazioni dei clienti essendo troppo persuasivi. Si tratta di
un equilibrio delicato tra il fornire le motivazioni teoriche alla base del trattamento,
ed il rispetto, allo stesso tempo, dell’autonomia e della libertà di scelta del cliente. Se
lo scetticismo persiste, potrebbe essere più utile esplorare la riluttanza del cliente in
modo che il terapeuta possa comprenderla meglio e affinchè il cliente possa avere l’opportunità di esaminare le proprie convinzioni e paure, prima di decidere se impegnarsi
completamente nel processo terapeutico della EFT.
138
La formulazione del caso nella depressione
Passività
Alcuni clienti depressi sono oltremodo passivi, dipendenti o negativi, ed incapaci
di assumersi la responsabilità della terapia. Questi clienti sembrano sperare che il terapeuta li curi senza che essi debbano farsi coinvolgere attivamente nel processo. Di solito
questi clienti non pensano a ciò di cui si è parlato, nel tempo fra una seduta e l’altra, e
non si fanno coinvolgere attivamente nella comprensione della propria depressione e
non cercano mezzi per migliorarla; non sembrano sapere come farsi coinvolgere attivamente nel processo; hanno difficoltà ad essere riflessivi e non riescono a vedere come
il loro comportamento contribuisca ai problemi presenti; hanno la tendenza ad essere,
per certi versi, impulsivi nel tentativo di trovare soluzioni semplici. Con questi clienti,
è importante che il terapeuta cerchi di aiutarli a diventare più riflessivi. L’assegnazione
dei compiti può prevedere la richiesta di osservare i propri comportamenti e reazioni,
per notare quando sembrano eccessive o confuse, e di portare queste osservazioni in
analisi. Chiedere loro di tenere una registrazione o un diario delle emozioni, può essere utile (Greenberg, 2002). I terapeuti devono lavorare duro per aiutare i clienti a
formulare domande sulla propria esperienza che, successivamente, possono seguire per
promuovere una maggiore riflessività e senso d’azione.
Difficoltà nella costruzione narrativa
Alcuni clienti hanno difficoltà a parlare dei dettagli delle proprie vite, mentre altri
potrebbero non accedere facilmente a ricordi precoci. I clienti depressi, spesso dicono
di sentirsi come persi nella nebbia; si sentono scollegati dal mondo che li circonda;
hanno span di attenzione limitati, difficoltà di concentrazione e non riescono a pensare
con chiarezza. Questi clienti potrebbero essere così ritirati dal flusso di vita quotidiano,
dal lavoro o da altri legami, da non avere molto da condividere. Potrebbero anche avere
difficoltà a costruire narrazioni o storie della propria vita perché hanno pochi ricordi
del passato e pochi ricordi autobiografici; questo è molto frequente in clienti che sono
stati trascurati o che hanno vissuto altre forme di trauma. Questi clienti, spesso, hanno
tremende difficoltà nel cercare di collegare le emozioni ad eventi specifici; potrebbero
dire che non c’è ragione per cui debbano sentirsi così. Sembrano, inoltre, non avere un
barometro interiore di ciò che è bene o positivo per loro, deficit, questo, spesso esasperato dai sentimenti depressivi.
I clienti depressi che hanno difficoltà a costruire narrazioni o a fornire ai terapeuti resoconti della vita passata e attuale, potrebbero incontrare difficoltà nelle terapie
brevi ed avere bisogno di terapie più lunghe per riuscire a diventare consapevoli delle
emozioni e ad esprimerle. I terapeuti devono essere particolarmente clienti con questi
clienti; è facile sentirsi frustrati e bloccati. Questi clienti possono sembrare difficili e
ostinati, con il risultato che a volte il terapeuta sente di essere coinvolto in una lotta
di potere. Per esempio, quando ad un uomo di 47 anni, figlio unico, è stato chiesto di
parlare dei suoi ricordi o delle emozioni precoci più dolorose, egli non riusciva a ricordare nulla; tutto quello che poteva dire, è che i suoi genitori gli davano da mangiare e lo
vestivano e che gli piacevano i fumetti. Aveva risposto a tutte le domande sulle emozio139
La terapia emotion-focused per la depressione
ni dicendo che stava o bene o era frustrato. Il terapeuta aveva cercato di comprendere
queste difficoltà e di lasciar perdere l’agenda, affinché il cliente potesse rispondere in un
determinato modo al trattamento.
Per assistere questi clienti nella terapia, i terapeuti sono fortemente sintonizzati
ai comportamenti non verbali e alle espressioni facciali. Queste potrebbero essere attenuate e fuggevoli, ma possono comunque fornire degli indici su cosa sta accadendo
all’interno dei clienti in momenti differenti e quando si discutono diversi argomenti.
È spesso utile, per i terapeuti, avanzare delle ipotesi empatiche sulla base della postura
corporea del cliente e delle espressioni facciali, oltre che sul contenuto che forniscono,
per aiutarli a prendere consapevolezza e a dare un nome alle emozioni. Inoltre, potrebbe essere importante accrescere le sensazioni dei clienti e lavorare con l’immaginazione
visiva per rendere la loro esperienza più vivida e disponibile al momento. Nel lavoro
con il cliente discusso nel precedente paragrafo, il terapeuta aveva continuato ad incoraggiarlo a simbolizzare le emozioni. Con l’aiuto di un diario delle emozioni, era
riuscito a riportare alla mente i ricordi infantili di solitudine e di disadattamento, ed era
stato, a poco a poco, in grado di dire che si sentiva triste e arrabbiato. Nel corso della
terapia, la fidanzata con cui conviveva era andata via ed era riuscito a dire che si sentiva
solo e scartato. Questa riflessione gli aveva consentito di identificare e dare un nome al
bisogno che aveva di lei, cosa che lo aveva portato a cercarla. Lei rispose alla sua ricerca
e questo aumentò la capacità di rivelarle i suoi sentimenti.
Difficoltà ad esplorare le emozioni
Molti clienti non sono in grado di descrivere cosa sentono. L’alessitimia è un termine proposto per descrivere l’incapacità di descrivere le emozioni in parole. Per alcuni
clienti questo potrebbe essere un deficit di competenze; per altri, la sfiducia verso gli
altri o verso le proprie percezioni ed emozioni, potrebbero renderli riluttanti a parlarne
in un contesto terapeutico. I terapeuti potrebbero essere allertati dalla mancanza di
consapevolezza dei clienti della propria esperienza emotiva quando nelle narrazioni
non ci sono riferimenti alle emozioni. Questi clienti, a volte, parlano di quello che
accade nelle loro vite, ma fanno poca attenzione all’impatto che gli eventi hanno su di
loro e alle loro risposte interiori agli eventi. Possono parlare con tonalità ben modulate,
ritmiche, come se stessero presentando un discorso ben ripassato o chiacchierando con
un amico. Non sono immediatamente in contatto con le proprie emozioni; piuttosto,
sembrano distanti da loro e sembrano parlare delle emozioni, più che viverle o esprimerle nel momento. Al contrario, quando i clienti sono in contatto con le emozioni, le
voci sono focalizzate sull’interiorità e sono sottili ed esitanti, con pause scomposte ed
enfasi in momenti inaspettati (Rice & Kerr, 1986). Il loro linguaggio è spesso intenso
e vivido a tal punto che c’è un senso di immediatezza e di vivacità.
Le difficoltà dei clienti nell’esprimere le emozioni, possono derivare da difficoltà
a comprendere le emozioni a causa di limitate capacità di elaborazione, blocchi nella
consapevolezza emotiva, atteggiamenti negativi verso le emozioni, o da una comprensione limitata dell’esperienza emotiva. Molti clienti depressi hanno difficoltà a prestare
attenzione alle proprie emozioni e non hanno le capacità necessarie per dare loro un
140
La formulazione del caso nella depressione
nome e per interpretarle. Spesso questi clienti hanno perso il contatto con il flusso
dell’esperienza emotiva interiore, perché bloccati in uno stato cronico di depressione.
Anche se alcuni clienti potrebbero trovare relativamente semplice ascoltare la propria
esperienza soggettiva interiore ed essere abbastanza abili a renderla in parole, altri, invece, potrebbero essere persi e capaci di concentrarsi solo su segnali e sintomi fisiologici,
come un senso generale di malessere o pesantezza. Questi clienti spesso dicono cose
come «Non so cosa sento», oppure «Non trovo le parole». Potrebbero sembrare confusi
quando gli si chiede come si sentono. Il focus dell’attenzione è sul mondo esterno (Leijssen, 1996, 1998; Polster & Polster, 1973). Una serie di tecniche possono essere utili
per accrescere le capacità di elaborazione emotiva dei clienti, fra cui la focalizzazione,
la risposta empatica (in particolare le risposte evocative), sottolineare i comportamenti
non verbali dei clienti ed assegnare compiti a casa per identificare le situazioni problematiche ed i pensieri e le emozioni collegate. È difficile aiutare i clienti ad esplorare
le emozioni quando stanno cercando attivamente di escluderle dalla consapevolezza.
Weston (2005) ha trovato che i clienti depressi, spesso erano consapevoli di cercare attivamente di interrompere o prevenire che un vissuto emotivo emergesse nella seduta. I
clienti evitanti, tuttavia, spesso non sono consciamente consapevoli delle proprie emozioni, perché considerate minacciose. Con i clienti evitanti è particolarmente importante fornire delle condizioni di sicurezza in modo che possano iniziare a confrontarsi
con le emozioni dolorose che cercano di tenere fuori dalla consapevolezza. Se questi
sono in grado di esprimere le proprie emozioni in un contesto sicuro e supportivo,
potrebbero riuscire a vedere che queste emozioni sono dolorose ma sopportabili. Tale
realizzazione li renderà più a loro agio e più favorevoli a lavorare secondo una modalità
esperienziale avendo meno bisogno di evitarle.
I comportamenti non verbali dei clienti e le presentazioni nelle sedute, possono
allertare i terapeuti verso eventuali blocchi emotivi. Per esempio, i clienti potrebbero
cambiare velocemente argomento quando si avvicinano a materiale emotivamente rilevante, oppure potrebbero improvvisamente “raggelarsi” mentre discutono di eventi
o problemi a forte carica emotiva. Un eloquio ritmico, “da chiacchierata”, che fa sembrare i clienti degli annunciatori di telegiornale che riferiscono materiale ben ripassato,
può essere un segnale di blocco emotivo (Rice, Koke, Greenberg & Wagstaff, 1979).
I clienti potrebbero anche avere difficoltà ad esplorare le emozioni perché hanno una
conoscenza o una comprensione limitata della propria esperienza emotiva. Quando sono confusi o incerti su come si sentono, i terapeuti possono suggerire la focalizzazione,
possono chiedere di fare attenzione all’esperienza interiore e identificare l’emozione o il
problema principale. I terapeuti possono alternativamente utilizzare riflessioni evocative o esplorative per aiutare i clienti ad entrare in contatto con l’esperienza interiore.
La riparazione della relazione
Quando la relazione deraglia, i terapeuti possono farsi coinvolgere nella metacomunicazione, o per chiarire la natura dei compiti e degli obiettivi, o per discutere
la relazione più in generale (Watson & Greenberg, 1995; Watson & Rennie, 1994).
141
La terapia emotion-focused per la depressione
La congruenza dei terapeuti è particolarmente importante. I clienti possono trarre beneficio dalla conoscenza del vissuto del terapeuta e potrebbero richiedere un feedback
specifico da parte del terapeuta su alcuni aspetti dell’interazione. I clienti con storie di
abuso potrebbero lavorare per correggere la verifica della realtà in un contesto interpersonale differente insieme ai terapeuti.
Le lacrime o le tensioni nell’alleanza devono essere considerate e riparate se la
terapia deve progredire. Il terapeuta deve sondare i segnali di insoddisfazione, ostilità,
o ritiro in una maniera congruente, non giudicante (Safran & Muran, 1998; Watson
& Greenberg, 1995). L’obiettivo è quello di ascoltare e comprendere le emozioni del
cliente e le preoccupazioni sul terapeuta o la terapia, senza difendere a priori le azioni
del terapeuta. Le risposte difensive accrescono la rottura o lasciano al cliente un sensazione di essere criticato. L’obiettivo è di comprendere empaticamente i precedenti
fallimenti empatici. Per questi clienti, il fatto che l’esperienza dell’essere stati fraintesi
nelle proprie emozioni dagli altri venga compresa e trovi una risposta, rompe il senso
di isolamento e rappresenta una forte esperienza curativa. Il processo grazie al quale si
arriva a sentirsi capiti, fa emergere la speranza di essere riconosciuti e compresi.
142
CAPITOLO 7
LA FORMULAZIONE DEL CASO NELLA DEPRESSIONE
Questo capitolo presenta il ruolo e la natura della formulazione del caso nella terapia emotion-focused (EFT) per la depressione. La formulazione del caso è basata sulle
elaborazioni dei clienti, in opposizione allo specifico contenuto delle loro narrative
(Goldman & Greenberg, 1997). La formulazione è un processo complesso che cerca
costantemente di integrare le informazioni relative ad una serie di differenti livelli relativi all’esperienza immediata del cliente nella seduta. Quando trattano i clienti depressi,
i terapeuti integrano i seguenti livelli d’informazione sul loro funzionamento:
•
•
•
•
Il modo in cui elaborano le esperienze emotive momento-per-momento all’interno della seduta e come le regolano;
Le storie di vita e le esperienze precoci di attaccamento;
I problemi specifici che portano all’interno di ciascuna seduta;
Il comportamento verbale e non verbale momento-per-momento all’interno della
seduta.
Si privilegia il processo al contenuto, e la diagnosi processuale viene preferita a
quella personale. Nella EFT, i terapeuti fanno esplicitamente attenzione agli indicatori
intra-seduta di come il cliente elabori le difficoltà ed interviene per facilitare elaborazioni produttive. I terapeuti sviluppano le modalità di concettualizzazione sui problemi dei
clienti basandosi su precisi stati intra-seduta, in modo da essere in grado di scegliere fra
differenti interventi che si adattino a questi stati. Inoltre, restano centrati sul presente e
responsivi all’esperienza momento-per-momento dei clienti, oltre che presenti mentalmente in relazione al background relativo ai contesti e alle esperienze passate dei clienti.
La formulazione del caso è un processo costante. Per facilitare lo sviluppo della
relazione terapeutica e degli obiettivi e compiti terapeutici, i terapeuti si concentrano
sugli indicatori dello stile caratteristico dei clienti e sulle loro modalità di elaborazione
dell’esperienza lungo tutte le fasi del trattamento, al fine di fornire interventi focalizzati
sulle emozioni che siano rilevanti per le problematiche specifiche del cliente. È importante essere aperti a nuove informazioni mano a mano che si introduce una nuova fase
di trattamento, per assicurarsi che vi sia un buon adattamento.
143
La terapia emotion-focused per la depressione
La formulazione del caso è utile per orientare i terapeuti verso gli aspetti salienti
dell’esperienza del cliente che potrebbe essere importante esplorare. La ricerca indica
che i terapeuti centrati-sul-cliente che non riescono ad aiutare i propri clienti a strutturare le sedute per esplorare efficacemente alcune questioni esperienziali, hanno maggiori probabilità di ottenere esiti sfavorevoli (Watson, Enright, Kalogerakos & Greenberg,
1998). Così, è importante che i terapeuti sappiano quando e come essere massimamente responsivi con i clienti. Lo sviluppo di una formulazione del caso, aiuta i terapeuti
ad organizzare le informazioni, a formarsi un’idea delle esperienze dei clienti, a dirigere
l’attenzione e a determinare il focus della seduta sulla base di ciò che è importante per
il cliente momento-per-momento.
Nella EFT, la formulazione del caso ha una funzione di orientamento che è sempre bilanciata con quanto il cliente vi si adatti. Portando l’attenzione dei terapeuti
sulle parti difficili, intense del vissuto dei clienti che devono essere elaborate, la formulazione del caso aiuta a strutturare la seduta. Tuttavia i terapeuti sanno che una
formulazione del caso è solo temporanea e sono costantemente aperti a rivederla sulla
base di nuove informazioni ed input da parte dei clienti. La formulazione del caso delle
determinanti alla base della depressione, delle tematiche fondamentali o dei compiti,
viene dopo le preoccupazioni immediate e più pressanti dei clienti, a meno che non
diventi ovvio che i due siaqno collegati e che possano essere facilmente esplorati con
l’accordo del cliente.
Gli approcci fenomenologici ed esperienziali non considerano necessaria la formulazione del caso, temendo che i terapeuti possano essere esageratamente investiti
da teorie e idee a spese del contatto genuino ed empatico con i clienti (Rogers, 1965).
Secondo questi approcci, le assunzioni a priori sul cliente lascerebbero il terapeuta
non sufficientemente aperto alle esperienze uniche dei clienti del momento e ad una
visione dei clienti come gli esperti della loro propria esperienza. Tuttavia, l’approccio
che Rogers sosteneva, presupponeva che tutti i clienti possano immediatamente e automaticamente farsi coinvolgere in un’esplorazione esperienziale, cosa che la ricerca
ha dimostrato non essere vera (Klein, Mathieu-Coughlan & Kiesler, 1986). Inoltre, è
chiaro che nei casi ad esito positivo, i terapeuti lavorano attivamente con i clienti per risolvere questioni specifiche. I terapeuti non devono rispondere a tutto ciò che il cliente
dice con la stessa attenzione: scelgono di focalizzarsi su differenti aspetti dell’esperienza
del cliente in momenti differenti. Per facilitare la comprensione, è importante chiarire
la conoscenza tacita che dirige l’attenzione dei terapeuti e che li aiuta a collaborare attivamente con i clienti per un esito positivo, anche se restano focalizzati sul presente e
se si fidano dei vissuti dei clienti.
Scegliere un focus
Nella EFT breve, la formulazione del caso è utile per facilitare la scelta di un focus,
per adattare i compiti terapeutici agli obiettivi dei clienti e per stabilire un’alleanza
produttiva (Elliott, Watson, Goldman & Greenberg, 2004; Watson & Bohart, 2001).
I seguenti otto passaggi sono stati identificati allo scopo di guidare i clinici nella formu144
La formulazione del caso nella depressione
lazione del caso e nella scelta di un focus nella EFT. I passaggi dal 3 al 5 devono essere
considerati concomitanti.
1. Identificare il problema presente e un focus per il trattamento in collaborazione
con i clienti.
2. Ascoltare ed esplorare le narrazioni dei clienti relative ai problemi presenti.
3. Raccogliere informazioni sulle storie precoci di attaccamento dei clienti collegate
all’identità ed alle relazioni attuali.
4. Identificare gli aspetti dolorosi dell’esperienza dei clienti.
5. Osservare come i clienti elaborano il materiale emotivo.
6. Identificare le problematiche intrapersonali e interpersonali che contribuiscono
alla sofferenza dei clienti.
7. Confermare questa comprensione con i clienti e suggerire compiti che facilitino la
risoluzione delle problematiche dolorose.
8. Fare attenzione e rispondere all’elaborazione momento-per-momento dei clienti
all’interno della seduta come guida per l’intervento.
I terapeuti prestano attenzione a differenti indicatori in differenti passaggi che
li aiutano a sviluppare una formulazione delle difficoltà dei clienti ed un focus per il
trattamento. Questi includono indicatori dello stile di elaborazione emotiva dei clienti
(Passaggio 5), indicatori degli stili caratteristici di risposta (Passaggio 6), indicatori di
compiti (Passaggio 7) e microindicatori (Passaggio 8). Qualunque formulazione è solo
temporanea e viene costantemente verificata con il cliente in relazione a salienza e adeguatezza, con le elaborazioni momento-per-momento che il cliente fa nella seduta che
restano la guida per eccellenza. È importante che i terapeuti contestualizzino i propri
interventi in maniera rilevante per gli obiettivi dei clienti, e che vi sia un accordo sui
comportamenti e le interazioni che contribuiscono alla depressione dei clienti. Si presume che un focus sull’esperienza corrente, rivelerà i processi alla base della disfunzione
così come quelli utilizzati per generare significati (Goldman & Greenberg, 1997). Nel
tracciare l’esperienza del cliente momento-per-momento, si crea un contesto emotivamente saliente in cui il materiale più significativo emerge insieme al suo significato
emotivo. Gli aspetti maggiormente distintivi dell’approccio della EFT alla formulazione del caso, sono l’attenzione al significato e all’intensità delle espressioni dei clienti, e
l’identificazione degli indicatori di problemi affettivi e dei compiti utili a facilitare lo
sviluppo di un focus sugli schemi disadattivi dei clienti.
Identificare il problema attuale e raccogliere le informazioni
I primi passi nello sviluppo di una formulazione del caso, implicano l’identificazione dei problemi attuali, l’esplorazione delle narrazioni che i clienti fanno della loro
attuale situazione di vita e dei loro problemi, e la raccolta di informazioni sulle esperienze infantili con i caregiver. I clienti, inizialmente, si presentano con sintomi di depressione, ma perchè la EFT abbia successo, il problema presente deve essere compreso
in termini di narrazioni che i clienti fanno dei contesti ambientali e relazionali, di mo145
La terapia emotion-focused per la depressione
do che si possano individuare e modificare le fonti del dolore dei clienti e le modalità
dolorose con cui trattano se stessi. I terapeuti devono esplorare le narrazioni dei clienti
sui problemi presenti per comprendere come si percepiscono e per raccogliere informazioni sulle attuali circostanze di vita, le relazioni, l’identità e le storie di attaccamento.
Identificare la sofferenza
Per una formulazione del caso efficace, i terapeuti sviluppano una bussola della
sofferenza che agisce da strumento che tiene traccia delle emozioni dei clienti. La sofferenza o altre emozioni intense, sono gli indici che allertano i terapeuti su aree che
potenzialmente sarebbe bene esplorare; l’esperienza momento-per-momento dei clienti
e le attuali circostanze di vita, aiutano i terapeuti a determinare gli ambiti rilevanti e
le domande da porre nel qui e ora. L’obiettivo principale dei terapeuti è accedere alle
informazioni che sono emotivamente vive. Per lavorare con efficacia, i terapeuti devono
utilizzare compiti di elaborazione emotiva che si adeguino agli obiettivi dei clienti e alle
loro modalità di elaborazione del materiale. Così, le formulazioni sono utili per aiutare
i terapeuti a determinare ciò che devono fare per essere massimamente responsivi ai
clienti e per negoziare gli obiettivi e i compiti della terapia in modo che vi sia sinergia
fra i partecipanti.
Per sviluppare una bussola della sofferenza, i terapeuti ascoltano le parti più intense
delle presentazioni dei clienti. Inoltre, iniziano immediatamente a segnalare gli eventi
di vita dolorosi che i clienti hanno affrontato. Gli eventi dolorosi sono degli indizi su
fonti di importanti schemi emotivi che i clienti possono essersi formati su di sé e sugli
altri, e forniscono ai terapeuti una comprensione delle fonti della sofferenza e della vulnerabilità dei clienti. Una serie di tematiche ricorrono nelle storie di attaccamento dei
clienti con depressioni persistenti e croniche o anche episodi molteplici, come perdite,
rifiuti, umiliazioni e conflitti. I clienti che sperimentano una depressione ricorrente o
cronica, spesso riferiscono la perdita di un caregiver in un’età molto precoce, seguita da
scarso supporto emotivo e sociale e da abuso fisico ed emotivo o trascuratezza. Nei casi
meno gravi, per i clienti che hanno vissuto molteplici o cronici episodi di depressione,
le attuali circostanze di vita possono far perpetuare la situazione lasciando loro un senso di impotenza e di sconfitta da parte degli eventi e mettendo gravemente in dubbio
il loro senso di competenza. I clienti possono, in alternativa, diventare depressi come
risultato del conflitto interpersonale che si trovano a sostenere, o perché non sono in
grado di risolverlo. Altri clienti si sentono intrappolati nelle proprie relazioni e situazioni di vita perché i loro valori rendono loro difficile il compito di abbandonarle, sono
riluttanti a violare le aspettative di altri significativi, oppure non hanno le capacità, le
risorse fisiche o psicologiche per distogliersi con successo da una situazione difficile.
Per esempio, Penny era una giovane madre di trent’anni; quando giunse dal terapeuta, riferì di sentirsi intrappolata nel matrimonio. Il marito era emotivamente abusante e lei era molto depressa. Penny si era sposata giovane per fuggire da una difficile
situazione familiare: il padre era un alcolista e trascurava la famiglia e la madre, che
aveva seri sbalzi dell’umore, era molto centrata su di sé e pretendeva molto da Penny, la
quale aveva sacrificato gran parte della sua infanzia e adolescenza per prendersi cura dei
146
La formulazione del caso nella depressione
genitori e dei fratelli. Penny si sentiva depressa e ansiosa quando arrivò in terapia. Sentiva che il matrimonio la stava “uccidendo” e che il conflitto era negativo per il figlio.
Tuttavia, aveva delle convinzioni religiose molto forti e non se la sentiva di separarsi,
né pensava di poter affrontare la situazione sul piano finanziario, perché era disoccupata e perché desiderava, più di ogni cosa, fare la madre a tempo pieno. Non appena il
terapeuta venne a conoscenza di maggiori particolari su Penny e la sua storia, divenne
chiaro che, spesso, la cliente sconfermava i propri pensieri ed emozioni, ed aveva grandi
difficoltà a stabilire dei limiti con le persone che la circondavano. La cliente ed il terapeuta concordarono insieme di lavorare per aiutare Penny a diventare più assertiva nel
suo matrimonio, così da vedere se riuscisse, in qualche modo, a migliorare la situazione, e di lavorare sul conflitto inerente al suo desiderio di lasciare il marito, per vedere
se riuscisse a risolverlo efficacemente.
Osservare le modalità e lo stile di elaborazione emotiva dei clienti
Mentre i terapeuti ascoltano le narrazioni dei clienti, fanno attenzione a come
questi elaborano l’esperienza emotiva. Valutano i punti di forza e le debolezze di questa elaborazione emotiva, le etichette verbali utilizzate, i giudizi dell’esperienza emotiva; valutano, inoltre, se i clienti siano schiacciati o distaccati dai vissuti emotivi e se
l’espressione emotiva sia congrua alle situazioni che l’hanno evocata.
Se i clienti siano o meno consapevoli della propria esperienza emotiva, è evidente dall’espressività all’interno della seduta, sul piano verbale e su quello non verbale.
Quando i clienti sono consapevoli delle proprie emozioni, le esprimono in parole e fanno riferimento agli stati emotivi; altrimenti, potrebbero rivelare le emozioni attraverso
comportamenti non verbali come piangere, ridere o agitarsi in continuazione sulla
sedia. Al contrario, quando i clienti non sono consapevoli delle proprie emozioni, non
vi fanno alcun riferimento; i comportamenti e le risposte che danno, sono determinati
dai valori dettati dalla cultura, dagli altri significativi e dalla società in senso lato. Il
focus delle narrazioni è di solito esterno, implica la descrizione di eventi e di azioni di
altre persone. I clienti consapevoli della propria esperienza emotiva sono in grado di
differenziare l’ira furente dalla rabbia vendicativa fredda, o la tristezza nostalgica dal
profondo rimpianto.
I clienti possono, inoltre, avere difficoltà a modulare l’esperienza emotiva: alcuni
non riescono a prendere distanza dalle emozioni e ne sono schiacciati o inondati. A
volte sentono di essere vittime di queste emozioni e di non riuscire ad assumere una
distanza sufficiente per utilizzare le informazioni in maniera costruttiva. Altri clienti,
invece, sono così distanti dalle proprie emozioni, che hanno un vissuto completamente
soffocato o completamente al di fuori della coscienza. I clienti dovrebbero idealmente
raggiungere uno stadio in cui riescano a muoversi con fluidità e facilità all’interno di
differenti reazioni emotive che vengono innescate da differenti situazioni ed interazioni
con gli altri (Mahoney, 1991; Rogers, 1959).
Penny, a volte, era alquanto distaccata e in altre, invece, inondata dalle reazioni
emotive. Era molto difficile per lei registrare gli effetti momento-per-momento delle
interazioni, in parte perchè la sua attenzione era così concentrata sull’altro che igno147
La terapia emotion-focused per la depressione
rava se stessa e non elaborava le proprie emozioni. Tuttavia, in altri momenti riusciva
ad essere molto sensibile e si sentiva facilmente ferita; veniva sopraffatta dall’intensità
delle emozioni e non era più in grado di regolarle. Era chiaro che Penny aveva bisogno
di focalizzarsi sulle proprie emozioni e di esprimerle a se stessa e agli altri. Una parte
importante della terapia, era stata aiutare Penny a prestare attenzione alla propria esperienza emotiva nella seduta e nelle sue interazioni con gli altri, ed aiutarla a modulare
quelle reazioni che diventavano troppo intense o schiaccianti.
Identificando le difficoltà nelle modalità di elaborazione emotiva dei clienti, i terapeuti riescono a decidere come lavorare meglio con essi. Per esempio, se un cliente non
è consapevole delle proprie emozioni, i terapeuti lavorano attivamente per metterle
in evidenza attraverso risposte empatiche, insegnare gentilmente ai clienti a rivolgersi
verso il proprio mondo interiore e a cercare di rappresentare le propria esperienza in
parole, oppure utilizzando tecniche più evocative e compiti attivi di espressione. Per
i clienti che hanno represso le esperienze emotive perché i caregiver non vi prestavano
attenzione o perché gli altri le sconfermavano attivamente, il compito principale della
terapia potrebbe essere aiutarli a descrivere i ricordi e le esperienze emotive precoci in
modo da rappresentare nella coscienza i relativi schemi emotivi che potrebbero essere
alla guida dei comportamenti presenti. I clienti, per i quali il compito principale è
descrivere il dolore e fare attenzione ai ricordi emotivi delle esperienze precoci, potrebbero opporre resistenza ai compiti di espressione attiva o ad altri interventi direttivi che
si concentrano sui loro costrutti o pensieri interiori. Questi clienti richiedono pazienza
da parte del terapeuta e un adeguato senso di sicurezza nella relazione terapeutica, di
modo che possano sentirsi in grado di accedere all’esperienza emotiva. I terapeuti potrebbero incoraggiare questi clienti a concentrarsi sulle reazioni corporee e sulle sensazioni fisiche, prima di aumentare il livello di arousal emotivo all’interno della seduta. I
terapeuti potrebbero anche stabilire alcuni parametri di sicurezza, di modo che i clienti
abbiano modo di interrompere l’esplorazione di materiale emotivamente complesso.
Per esempio, i terapeuti potrebbero rassicurare i clienti che possono fermarsi in qualunque momento se l’esperienza diventa eccessiva.
Per alcuni, il compito principale della terapia potrebbe essere la descrizione
dell’esperienza emotiva pre-verbale. Per i clienti con storie di attaccamento precoce
disturbate o molto difficili, i ricordi delle esperienze precoci, forse, devono essere ricostruiti ed elaborati affinché questi possano fare i conti con la modalità attraverso
cui vedono se stessi. Per esempio, Penny aveva grande difficoltà, all’inizio, a dare un
nome la sua esperienza e a comprendere le fonti dei propri problemi. Aveva paura di
essere rifiutata e metteva i bisogni degli altri davanti ai propri. Quando ha iniziato ad
esplorare la sua attuale situazione di vita ed il modo in cui si trattava, ha iniziato ad indagare anche l’ambiente precoce in cui era cresciuta. Dopo una seduta particolarmente intensa, arrivò ad un’immagine di sé piccola gettata su un mucchio di spazzatura.
All’inizio fu colta di sorpresa, ma lavorandoci su con il terapeuta, divenne chiaro che
questa era l’esperienza che aveva fatto di sé nella sua famiglia fin dai primi giorni. Dare
un nome a questa esperienza e simbolizzarla, era stato importante e, in seguito, fu in
grado d’impegnarsi a prendersi cura di sé. Aveva, dunque, iniziato a vedere come questo schema emotivo, costruito nei primi anni di vita, avesse influenzato le sue azioni e
l’avesse portata ad aspettarsi che gli altri l’avrebbero considerata non degna di amore e
148
La formulazione del caso nella depressione
che l’avrebbero rifiutata. Di conseguenza, aveva lavorato per sviluppare comportamenti
e relazioni che promuovessero la vita e non che la negassero.
I terapeuti osservano le tipologie e le varietà di strategie di coping che i clienti utilizzano per modulare le proprie emozioni. I clienti spesso mancano delle strategie di
coping che gli consentirebbero di modulare le emozioni al bisogno. Le strategie che le
persone tipicamente utilizzano quando sono inondate dall’esperienza emotiva, o quando vivono reazioni emotive avversive, sono state classificate in comportamentali (per es.
correre, fare i lavori di casa) o cognitive (per es. pensare al problema e cercare di risolverlo), coinvolte (per es., prendere consapevolezza delle emozioni, riflettere attivamente
sul significato delle emozioni) o distaccate (per es. guardare un film, farsi coinvolgere in
comportamenti di distrazione), basate sul sé (per es. guardarsi dentro per calmare l’emozione) o sugli altri (per es. cercare un altro quando si è sotto stress) e a breve o lungo
termine. Le persone apprendono queste strategie dai caregiver come modalità di gestire
il disagio e come mezzo per calmare le emozioni e le reazioni negative.
I clienti che hanno una depressione cronica potrebbero non avere simili capacità.
Contesti precoci di abuso e di trascuratezza, non forniscono ai clienti un album di ricordi felici a cui ricorrere nel momento del disagio, né è probabile che i caregiver fossero
in grado di mostrare loro come distrarsi e calmarsi da soli quando erano sopraffatti dalle emozioni negative. I clienti depressi, spesso sono distaccati dalle proprie esperienze,
non sono in grado di rivolgersi agli altri per cercare supporto e di solito fanno uso di
strategie più a lungo termine che a breve termine. Per esempio tendono ad evitare le
situazioni problematiche quando si presentano e, spesso, si dimenticano di ritornarvi
in seguito, provando eccessiva disperazione e senso di inefficacia. C’è anche una tendenza a ruminare per lunghi periodi di tempo e a sperimentare maggiori difficoltà
nell’equilibrare l’umore.
Una volta che le strategie di coping dei clienti diventano chiare, è più semplice
sapere quali risposte e comportamenti affrontare nelle sedute. Per esempio, se è chiaro
che un cliente tende a sconfermare i propri vissuti, il terapeuta potrebbe ricercare indicatori di auto-interruzione all’interno della seduta o utilizzare l’empatia per confermare
e supportare queste emozioni all’interno della seduta. Altri compiti che potrebbero
essere appropriati, includono il lavoro con le due sedie, per rendere i clienti più coscienti di come sconfermano se stessi e aiutarli a sviluppare comportamenti alternativi,
e, a volte, un lavoro con la sedia vuota con un altro significativo che ha sconfermato e
invalidato le loro emozioni quando erano bambini, per aiutarli a rielaborare gli eventi
e farsi coinvolgere in comportamenti interpersonali alternativi.
Identificare le problematiche intrapersonali e interpersonali dei
clienti
Gli indicatori degli stili caratteristici di risposta dei clienti rivelano come questi di
solito trattano se stessi e gli altri ed aiutano i terapeuti a comprendere le modalità di
elaborazione (Elliott et al., 2004; Watson & Bohart, 2001). Questi pattern interattivi
sono di solito palesi nelle storie di vita dei clienti, nelle narrazioni di come gli altri li
trattano e di come essi trattano se stessi. I terapeuti sviluppano una concettualizzazione
149
La terapia emotion-focused per la depressione
degli stili caratteristici dei clienti mano a mano che ne ascoltano le esperienze precoci
con i caregiver e le interazioni con gli altri significativi. Le storie dei clienti forniscono
indizi importanti per il materiale emotivamente significativo e fanno luce su come i
clienti sono stati trattati dagli altri, oltre che su come trattano se stessi. Le esperienze
precoci di impotenza, perdita e rifiuto, spesso portano a tristezza e senso del bisogno,
che vengono sperimentati come dimostrazioni di inadeguatezza personale e di non
essere intrinsecamente degni di amore, al disprezzo di sé e alla vulnerabilità nell’autostima.
Per esempio un cliente, che da bambino ha vissuto la perdita di un caregiver seguìta
da un supporto emotivo e psicologico inadeguato o che è stato emotivamente e fisicamente abusato, potrebbe aver bisogno di imparare come trattare se stesso in un modo
più positivo e come prendersi cura di sé. I clienti che non hanno avuto modelli comportamentali di auto-sostegno positivi, non sono capaci di accettarsi; non sanno ascoltare e provare empatia per le proprie esperienze, così come amare, nutrire e proteggersi.
Piuttosto, questi clienti spesso si fanno coinvolgere in comportamenti di controllo, punitivi, duri, di sconferma e di trascuratezza verso se stessi e potrebbero consentire agli
altri di fare lo stesso. Altri clienti potrebbero sperimentare un conflitto in relazione al
diritto di provare rabbia, potrebbero sentirsi autocritici a causa della propria debolezza
o del bisogno degli altri, oppure potrebbero idealizzare gli altri e sminuire se stessi.
Le informazioni che il terapeuta apprende sulle storie di vita precoci dei clienti e
sulle relazioni interpersonali, forniscono lo sfondo della seduta ed un contesto per i problemi dei clienti. I terapeuti formulano delle ipotesi temporanee che potrebbero essere
o meno confermate con il procedere della terapia. Formano una cornice concettuale per
comprendere la sofferenza del cliente e le interazioni intrapersonali ed interpersonali che
potrebbero contribuire alla depressione. Le storie di vita dei clienti sono un magazzino
di conoscenze su cui i terapeuti si basano come guida per rispondere all’interno delle
sedute, in particolare quando devono scegliere fra risposte in competizione fra loro o
quando stanno cercando di strutturare la seduta e di far focalizzare il cliente.
La modalità caratteristica di Penny di trattare se stessa, era quella di trascurarsi e
prendersi, invece, cura di tutti. Era cresciuta con genitori che non erano emotivamente
disponibili né in grado di soddisfare i suoi bisogni fisici di bambina. Fin dai primissimi
anni Penny aveva imparato ad ignorare le proprie emozioni e a focalizzarsi sugli altri
nel tentativo di mantenere un po’ di ordine in casa. Di conseguenza, nel suo matrimonio, Penny si trovò nuovamente a soggiogare i propri bisogni per prendersi cura di un
marito esigente e difficile. Era consapevole di sentirsi soffocata ed incapace di esprimere
questi bisogni agli altri o di soddisfarli. Desiderava lavorare su queste problematiche
nella terapia poiché concordava con l’ipotesi che fossero queste a contribuire alla sua
depressione.
Lavorare con compiti specifici
La pietra miliare della EFT è l’attenzione ai compiti specifici intra-seduta. Questi
compiti derivano dall’identificazione di specifici indicatori che sono segnali di difficoltà affettivo-cognitive non risolte. Mentre ascoltano le narrazioni dei clienti, i terapeuti
150
La formulazione del caso nella depressione
si chiedono quali specifici comportamenti intra-seduta contribuiscano alla depressione
dei clienti. Il focus su specifiche affermazioni è in parte influenzato dalla comprensione
del terapeuta degli aspetti dolorosi e complessi delle esperienze dei clienti che non sono
stati adeguatamente elaborati. Per esempio, il terapeuta era alquanto consapevole che
l’attenzione di Penny era diretta all’esterno; pertanto, concordarono presto che sarebbe
stato un bene per lei imparare come focalizzarsi sull’interiorità. Di conseguenza, hanno utilizzato il dialogo fra le due sedie per lavorare sulle auto-interruzioni, oltre che
sulla modalità con cui lei di solito sconfermava e criticava se stessa. Con il procedere
del lavoro, era diventato chiaro che aveva un unfinished business con i genitori; quindi,
procedettero con il dialogo con la sedia vuota per aiutarla a stabilire dei confini più
chiari e dei limiti con gli altri significativi. I compiti intra-seduta vengono discussi con
maggiore dettaglio nei capitoli 11 e 12.
Le due principali classi di indicatori di compiti specifici includono problematiche interpersonali e relazioni sé-sé. Gli indicatori interpersonali sono affermazioni che
allertano i terapeuti in direzione di difficoltà che i clienti hanno nelle relazioni interpersonali presenti o passate. Questi indicatori, di solito, indicano che il cliente ha dei
bisogni non soddisfatti e delle emozioni verso altri significativi che spesso emergono
quando i clienti hanno subìto perdite, negligenze o abusi. I compiti che possono essere
utilizzati con efficacia per risolvere questi problemi, consistono nel lavoro con la sedia
vuota e nell’esplorazione empatica.
Gli auto-indicatori sono segnali di come i clienti trattano se stessi ed elaborano
le emozioni. Di solito, i clienti con una depressione, o trascurano se stessi e la propria
esperienza, oppure sono controllanti e punitivi. Le auto-affermazioni di trascuratezza,
sono quelle che indicano che i clienti non sanno cosa provano, oppure che hanno
difficoltà a focalizzarsi sulle proprie emozioni. Altri auto-indicatori risultano evidenti
quando i clienti ignorano e ridimensionano quello che accade loro, oppure assumono
un focus esterno ed omettono qualunque riferimento a come si sentivano in relazione agli eventi che stanno raccontando. Per esempio, Beth proveniva da una famiglia
numerosa; era una bambina molto intelligente, ma non aveva ricevuto il supporto e
l’attenzione necessaria dai genitori che non erano istruiti e che erano schiacciati dalle
necessità di provvedere ad una famiglia così allargata. Beth aveva abbandonato l’università ed era diventata una commessa in un grande centro commerciale. Nel tempo libero, aveva scritto un romanzo. Era arrivata in terapia a causa di un’intensa depressione
presentatasi dopo che le avevano rifiutato la pubblicazione del romanzo. Sentiva che la
sua vita era stata gettata via, in parte perché non era riuscita a costruire una relazione
durevole e ad avere dei bambini, e anche perchè non vedeva alcuna prospettiva di
carriera. Divenne presto chiaro che Beth non era in contatto con le proprie emozioni.
Spesso era inconsapevole di come si sentiva e, se interrogata, esprimeva confusione.
Preferiva restare su un piano analitico degli eventi della vita e provava continuamente
a dimostrare come avesse fallito. Il focus principale del trattamento è stato aiutare
Beth a prendere maggiore consapevolezza delle emozioni attraverso compiti come la
focalizzazione e l’esplorazione empatica, ed aiutarla ad evocare ed esplorare la propria
esperienza in modo da poterla rappresentare in parole e iniziare ad avere un senso dei
propri bisogni e obiettivi, individuando i modi per raggiungerli.
Gli auto-indicatori di atteggiamenti controllanti e punitivi, includono affermazio151
La terapia emotion-focused per la depressione
ni che indicano che i clienti sono critici verso se stessi, hanno troppe pretese nel rispettare doveri, sconfermano le proprie emozioni ed interrompono l’esperienza emotiva;
questi indicatori vengono discussi nel paragrafi seguenti. Inoltre, la focalizzazione sui
bisogni degli altri ed il coinvolgimento in attività auto-lesionistiche come non mangiare, abusare di alcol, o provocarsi ferite, sono altri auto-indicatori della necessità di
specifici compiti intra-seduta.
Le affermazioni autocritiche sono semplici da individuare. I clienti si riferiscono
a se stessi come fallimenti o come inadeguati. A volte gli indicatori di autocritica non
sono immediatamente evidenti, ma possono essere evocati se il terapeuta chiede ai
clienti di fare attenzione a ciò che dicono a se stessi che contribuisce alla loro depressione. A volte i terapeuti possono sentire che i clienti sono autocritici se assumono
un atteggiamento difensivo nelle interazioni. Con l’autocritica, il compito primario
è quello di aiutare i clienti a diventare consapevoli delle auto-affermazioni negative e
rendersi conto di quanto stiano soffrendo attraverso il dialogo con le due sedie. Se i
clienti prendono consapevolezza del collegamento fra le auto-affermazioni e le conseguenti emozioni di tristezza e disperazione, spesso riescono anche a riconoscere che
devono interrompere quel comportamento e sollecitare il supporto e la conferma; a
questo punto, clienti e terapeuti possono iniziare a lavorare sulla costruzione di risposte
comportamentali alternative.
Alcuni clienti fanno auto-affermazioni coercitive, cosa che indica che hanno delle
pretese esagerate in relazione al raggiungimento di determinati standard e al non venir
meno alle aspettative altrui. Di solito questi clienti sono maggiormente sintonizzati con
gli standard esterni e con i bisogni degli altri, piuttosto che con se stessi. L’esaurimento
o la depressione, possono presentarsi quando il sé si sente svuotato ed esausto e non
riesce a soddisfare le continue ed incessanti richieste che i clienti pongono a se stessi.
Quando i clienti sconfermano le proprie emozioni, spesso dicono cose come «Che
differenza fa?», oppure «Non dovrei sentirmi così», o ancora «Non è importante come
mi sento». Sconfermando i propri sentimenti, i clienti perdono contatto con i bisogni.
Mano a mano che continuano a frenare le reazioni, si inabissano in uno stato di sconfitta
e di avvilimento perché smettono di comprendere e perseguire i propri obiettivi. Per
esempio, un cliente che era stato trascurato da bambino, aveva la tendenza a soffocare le
espressioni emotive. Dopo aver osservato questo auto-soffocamento, il terapeuta si era
particolarmente sintonizzato con affermazioni che indicavano che si stava mettendo a
tacere o che non si stava esprimendo con chiarezza. Il terapeuta ha suggerito un lavoro
con le due sedie per aiutare il cliente a diventare più consapevole di come stava elaborando le emozioni e l’impatto negativo che quella forma di elaborazione aveva su di lui.
Alcuni clienti interrompono intenzionalmente l’esperienza in modo che questa resti al di fuori della consapevolezza. Questi clienti, spesso non terminano le frasi, fanno
lunghe pause e perdono facilmente il flusso dei pensieri; potrebbero bloccarsi e restare
in silenzio ed essere molto riluttanti a farsi coinvolgere nell’esplorazione; potrebbero
cambiare spesso argomento o farsi facilmente distrarre da viste e suoni al di fuori della
stanza. L’obiettivo principale del terapeuta, di fronte a questi comportamenti, è aiutare
i clienti a diventare consapevoli di come blocchino l’esperienza in corso e dell’impatto
soggettivo di quel comportamento su di sé.
152
La formulazione del caso nella depressione
Fare attenzione all’elaborazione momento-per-momento
I microindicatori sono comportamenti verbali e non verbali che i clienti esprimono
nel corso della seduta, che allertano i terapeuti sull’elaborazione momento-per-momento e che consentono loro di adattare gli interventi per essere massimamente responsivi
ai clienti. I terapeuti sono sintonizzati sulla qualità delle descrizioni dei clienti, sulle parole che utilizzano e allo stile del discorso. I microindicatori, inoltre, forniscono un’idea
di quanto i clienti siano in contatto con la propria esperienza interiore e su quale sia
lo status dell’alleanza terapeutica. Per esempio, Penny spesso terminava le frasi dicendo «Beh, che ne so?». Riusciva a descrivere molto chiaramente gli eventi della propria
vita e a parlare di quello che faceva il marito, ma raramente faceva riferimento alle sue
emozioni e ai suoi bisogni. Spesso si rimproverava di essere egoista. Questi erano indici
del fatto che tendeva a svalutare la propria esperienza e che era fortemente autocritica.
All’inizio, la velocità dell’eloquio e la tonalità vocale stridula e acuta, indicative di ansia
e di un focus esterno, fecero comprendere al terapeuta che aveva bisogno d’aiuto per
spostare l’attenzione sull’interno attraverso compiti di empatia e focalizzazione.
Indicatori verbali
I terapeuti lavorano per individuare le sottili gradazioni nelle descrizioni dei clienti, facendo particolare attenzione alle differenti sfumature nei significati implicate nelle descrizioni degli eventi per arrivare ad una piena comprensione dell’esperienza dei
clienti. L’obiettivo è quello di arrivare con attenzione alla prospettiva unica e idiosincratica che il cliente ha degli eventi, per riuscire a entrare nel significato personale
che questi hanno per lui. I terapeuti aiutano i clienti a differenziare le emozioni, per
esempio, lavorando per capire se si sentono tristi e delusi oppure tristi e sollevati alla
fine di una relazione.
I terapeuti ascoltano i punti di maggiore intensità nelle storie dei clienti per riuscire
a tracciarne la sofferenza. L’intensità è il criterio che un terapeuta utilizza per decidere il
focus dell’intervento, perchè probabilmente ciò conduce a materiale emotivamente vivo e personalmente significativo per il cliente. Così, se il cliente dice di sentirsi confuso
su una relazione e che questa lo ha lasciato ferito, il terapeuta si concentrerà sul significato del suo sentirsi ferito, rispetto alla confusione. Il primo, infatti, indica sofferenza,
mentre il secondo è indice di un’attività più cognitiva del cliente che cerca di capire.
Il modo in cui i clienti descrivono la propria esperienza possono essere un indizio
importante del fatto che siano in contatto con le proprie emozioni o meno. Un linguaggio astratto che si basa su luoghi comuni è di solito un buon indicatore del non
coinvolgimento dei clienti sull’esperienza interiore. Quando i clienti sono attivamente
coinvolti nel rappresentare l’esperienza interiore, tendono ad utilizzare un linguaggio
più vivido e idiosincratico, attraverso metafore per comunicare descrizioni e significati.
Per esempio, un cliente che descrive una discussione con un amico potrebbe dire semplicemente «Abbiamo avuto una discussione»; mentre un altro potrebbe dire: «Ted mi
ha davvero preoccupato ieri, era abbastanza irritato e sprezzante nei confronti delle mie
opinioni, ed io sono rimasto ammutolito e confuso da questa reazione». L’ultima de153
La terapia emotion-focused per la depressione
scrizione rappresenta con maggiore chiarezza il vissuto e la percezione del cliente circa
quella interazione, mentre la prima affermazione non chiarisce l’accaduto, le percezioni
del cliente e le sue risposte.
I resoconti di emozioni o reazioni intense, di solito, sono un buon indice del fatto
che i clienti devono ancora elaborare determinate esperienze o che alcune questioni
sono problematiche. Dopo aver risposto con una comprensione empatica alle emozioni
dei clienti, i terapeuti potrebbero cercare di facilitare l’analisi delle reazioni emotive
attraverso l’esplorazione empatica. Per esempio, se un cliente si è trovato a “perdere le
staffe”, una risposta empatica con un’implicita investigazione emotiva, potrebbe essere:
«Sembra che non vi fosse altro modo di rispondere, eri così furioso. Cosa stava accadendo?». Questa risposta è empatica, comunica al cliente che il terapeuta ha colto il
senso della situazione ed apre anche alla possibilità che possa esservi una modalità alternativa di risposta, aiutando il cliente a focalizzare l’attenzione sulla propria reazione
e sulla situazione in modo da esaminarle più in profondità.
Similmente, se un cliente parla costantemente delle proprie reazioni emotive ma è
vago sui dettagli, è importante chiedere di fornire un migliore quadro della situazione
in modo che, con il terapeuta, possa comprenderla meglio. L’esplorazione empatica
aiuta clienti e terapeuti a collocare le reazioni dei clienti all’interno degli eventi reali, di
modo che divengano chiari i pattern di risposta e che possano essere esaminati appieno.
Per facilitare l’elaborazione completa di un’emozione, i terapeuti cercano di assicurarsi
che tutte e cinque le componenti di un’emozione vengano elaborate, fra cui la situazione stimolo, il significato, il sentimento provato, la tendenza all’azione ed il bisogno
o la preoccupazione.
Un altro modo in cui i terapeuti possono identificare materiale emotivamente
saliente, è quello di chiedersi se i clienti parlano con la testa o con il cuore. Quando i
terapeuti cercano di amplificare la consapevolezza emotiva dei clienti o di evocare delle
esperienze affettive nella seduta, evitano intenzionalmente di focalizzarsi sulle affermazioni analitiche e razionali dei clienti, a favore di affermazioni che, invece, rivelano
l’esperienza soggettiva del cliente. Tuttavia, se un cliente sta rielaborando un’esperienza
o sta riflettendo su una risposta, allora è giusto seguire l’orientamento più concettuale
fintanto che questo sia accompagnato da un senso di profonda esplorazione.
I terapeuti sanno bene quando le descrizioni dei clienti sembrano ripassate a mente
e confezionate su misura. Le descrizioni ripassate, spesso, si presentano nelle narrazioni
di clienti depressi come resoconti dei molti modi in cui hanno fallito o come descrizioni di quanto sia disperata una situazione. Dal momento che un obiettivo importante è
quello di aiutare i clienti ad uscire da vortici di pensiero ripetitivo, i terapeuti iniziano a
farli entrare maggiormente in contatto con le reazioni affettive, a vedere diversamente
gli eventi della vita e a riconsiderare le proprie assunzioni. Nelle descrizioni preparate, il
discorso è fluido. Al contrario, quando un cliente è coinvolto in una riflessione profonda, il discorso raramente è fluido e liscio; piuttosto, è irregolare in quanto si fermano al
fine di analizzare e cercare di esprimere pensieri e sentimenti in modo nuovo.
A volte, i clienti potrebbero essere vaghi, il che indica che non riescono a focalizzare le esplorazioni. I clienti che non sono in contatto con le proprie esperienze interiori
e che cercano attivamente di evitare le emozioni, potrebbero vagheggiare senza meta. I
clienti depressi possono avere molta paura di focalizzarsi sulle emozioni di disperazio154
La formulazione del caso nella depressione
ne e sconforto, dubitando di potersi mai sentire in maniera differente. Questi clienti
possono arrivare a produrre diverse teorizzazioni per spiegare il proprio comportamento senza riuscire a portare l’attenzione sull’interiorità e intraprendere un’esplorazione
interiore più focalizzata. Quando i clienti iniziano a vagheggiare, i terapeuti possono
lavorare con gentilezza e pazienza per riportare la loro attenzione sull’esperienza interiore ed aiutarli a darle un nome, in modo che possano rendersi conto che esperienze
ed emozioni possono variare e cambiare mano a mano che essi vi prestano attenzione e
le elaborano nella consapevolezza.
Indicatori non verbali
I terapeuti fanno grande attenzione alle pause nei discorsi dei clienti. Le pause,
spesso, indicano che i clienti sono coinvolti nell’esperienza e che stanno cercando un
nuovo modo di rappresentare le proprie esperienze o stanno considerando nuove prospettive. A volte, tuttavia, una pausa dopo una risposta del terapeuta, può essere indice
di disaccordo o di una difficoltà con il modo di procedere della terapia. Queste pause
sono importanti perché forniscono una lettura della qualità dell’alleanza e della necessità di ulteriori chiarificazioni.
Un altro indice di difficoltà nell’espressione delle emozioni, potrebbe essere un’incongruenza fra le emozioni espresse ed i comportamenti. Le espressioni ambigue possono assumere una varietà di forme, come segnali misti, espressioni di cui il mittente
non è consapevole, o espressioni che generano un’impressione non voluta. Per esempio,
i clienti potrebbero riferire ricordi molto tristi o traumatici sorridendo o mostrando
segnali di ansia nella seduta, ma negando di provare disagio. La caratteristica fondamentale delle espressioni ambigue, è che i clienti non sono in grado di comunicare il
messaggio emotivo desiderato agli altri.
Quando si lavora con clienti che hanno difficoltà ad entrare in contatto con l’esperienza emotiva, i terapeuti fanno attenzione al comportamento non verbale e fanno
caso a quando lo sguardo e il linguaggio del corpo sembrano dimessi, o quando gli
occhi si riempiono di lacrime anche se essi mantengono una facciata più razionale e
distaccata. Quando i terapeuti si accorgono di segnali di incongruenza nel dialogo della
seduta o nelle descrizioni di ciò che sta accadendo, possono comunicare empaticamente le proprie osservazioni e cercare di analizzare cosa stia accadendo. Il cliente potrebbe
sperimentare un conflitto, non avere delle competenze, oppure avere un unfinished
business che deve essere risolto. I terapeuti cercano, prima, di esplorare l’ambiguità per
capire cosa accade nell’interiorità del cliente. Poi, aiutano il cliente a comprendere le
proprie emozioni utilizzando tecniche che accrescono le capacità di elaborazione emotiva, come l’affermazione empatica, l’esplorazione empatica, le ipotesi empatiche, il
lavoro con le due sedie e la rivelazione evocativa sistematica. Quando i clienti riescono
a dare un nome accurato e ad interpretare le proprie emozioni, sono maggiormente in
grado di comunicare queste emozioni con chiarezza agli altri e, inoltre, vi sono minori
probabilità che questi sentimenti non compresi possano diffondersi in una maniera
socialmente sconveniente.
Un importante micro-indicatore è la qualità vocale del cliente. Rice, Koke, Gre155
La terapia emotion-focused per la depressione
enberg e Wagstaff (1979) hanno identificato l’esistenza di quattro tipologie di qualità
vocale – esterna, focalizzata, limitata ed emotiva – che forniscono informazioni sulla
modalità di elaborazione in cui il cliente è coinvolto nel corso della seduta. La voce
esterna sembra preparata; la voce focalizzata indica che i clienti stanno attivamente
cercando e provando a mettere insieme le cose in modo nuovo; la voce limitata ha una
tonalità acuta e acre, la quale suggerisce che i clienti sono ansiosi in relazione alla psicoterapia, mentre la voce emotiva è indice che i clienti stanno esprimendo attivamente
emozioni all’interno della seduta. I terapeuti idealmente cercano la voce focalizzata,
che aiuta ad individuare gli aspetti salienti ed importanti delle esperienze che i clienti
stanno cercando di riconfigurare. Nel trattamento della depressione, è anche importante fare attenzione alla voce emotiva e alla facilitazione dell’espressione di emozioni
e sentimenti, perché la libera manifestazione di tristezza, dolore, rabbia e risentimento,
spesso, è soffocata dalla depressione.
Casi esemplificativi
Nella EFT, i terapeuti fanno attenzione a molteplici indicatori. Mettono insieme
informazioni tratte dalle storie dei clienti, dallo stile di elaborazione emotiva e dai
comportamenti attuali per favorire l’individuazione di affermazioni che sono massimamente pertinenti ai problemi attuali dei clienti. La scelta dei compiti dipende dall’attuale elaborazione emotiva dei clienti all’interno della seduta e dalla sua rilevanza in
relazione ad aspetti salienti e dolorosi dell’esperienza dei clienti.
Jane, per esempio, un artista di 28 anni, era entrata in terapia perché si sentiva
molto depressa. Lamentava principalmente di non essere in grado di stare dietro agli
impegni lavorativi e di sperimentare grosse difficoltà nel matrimonio. Inizialmente era
frustrata per l’incapacità ad essere disciplinata e ad organizzare meglio il suo tempo.
Aveva riscontrato una riduzione della libido e uno scarso desiderio di contatto sessuale con il marito. Da subito era diventato chiaro che Jane era abbastanza autocritica,
presumendo che gran parte di ciò che non funzionava fosse per colpa sua. Tendeva
a sorvolare sulle proprie emozioni, parlava velocemente e spesso sminuiva gli aspetti
dolorosi della propria esperienza. All’inizio il terapeuta si focalizzò sull’autocritica di
Jane verso il lavoro per aiutarla ad assumere un atteggiamento meno punitivo verso
se stessa, per poi passare a compiti interpersonali mano a mano che Jane si era focalizzata sul disagio provocato dalla perdita d’interesse per il sesso e per i suoi sentimenti
di trascuratezza e abbandono vissuti da bambina. Quando Jane aveva 4 anni la madre
morì, e 2 anni dopo, il padre si ammalò gravemente; la sorella maggiore adolescente
si era presa carico di lei. Jane aveva bisogno dell’opportunità di fare attenzione e di
simbolizzare la propria esperienza interiore dal momento che questo non era stato
possibile quando era bambina; invece, nel tentativo di farvi fronte, aveva costretto le
emozioni e le aveva sconfermate. Il suo stile di elaborazione emotiva era evidente nel
discorso. Quando si era presentata per il trattamento, parlava con una voce limitata.
Con il procedere del trattamento, si era maggiormente focalizzata ed era diventata
più auto-assertiva, iniziando a dare voce e ad affermare i propri bisogni.
156
La formulazione del caso nella depressione
Un altro cliente, David, era un professionista di mezza età che aveva recentemente perso il lavoro ed era arrivato in terapia perchè si sentiva alquanto depresso. Il suo
matrimonio attraversava un brutto momento e stava iniziando a dubitare delle proprie
capacità e talenti. Nel corso della prima seduta, disse al terapeuta che l’espressione
emotiva, nella sua famiglia, era stata sempre fortemente scoraggiata e che ci si aspettava
che i bambini fossero razionali e che si auto-disciplinassero. Aveva imparato presto a
tagliare fuori le emozioni per tenerle al di fuori della consapevolezza. Anche se questa
strategia aveva funzionato fino a quel momento, si era accorto di non essere capace di
controllare la depressione da quando era stato licenziato.
Il terapeuta aveva notato che spesso interrompeva l’esperienza emotiva. Per prima
cosa, gli chiese di rallentare e di prestare attenzione all’esperienza interiore, per prendere consapevolezza del proprio corpo, delle sensazioni e delle emozioni. Poi, il terapeuta
lo aiutò a trovare un nome adeguato alle esperienze. Questa ricerca di etichette verbali
gli consentì di entrare in contatto con la sua profonda tristezza e senso di non valer
nulla dopo aver perso il lavoro. Si sentiva svalutato in casa perché non era più quello
che portava i soldi a casa e temeva che la moglie non lo trovasse più utile e attraente. Il
terapeuta ha introdotto il compito con le due sedie per modificare la sua autocritica, e
anche il lavoro con la sedia vuota con i genitori per riuscire a modificare lo stile interpersonale di relazione.
Mano a mano che era diventato più assertivo e che si accettava di più, e sotto
l’incoraggiamento del terapeuta, era riuscito a parlare con la moglie della situazione
e verificare quello che provava per lui. Era stato sollevato dal fatto che, in realtà, lei
era molto supportiva e non era per nulla a disagio dal portare il peso finanziario della
famiglia per il tempo necessario. Era primariamente preoccupata del suo umore e del
fatto che sembrava essersi ritirato ed aver perso interesse per lei. Da quel punto, iniziò a
contare di più su di lei, e il loro senso di vicinanza e intimità aumentò. Nel frattempo,
in terapia, aveva iniziato a considerare le possibilità di carriera e si era reso conto che,
nonostante il rimpianto di aver perso la propria posizione con il relativo status e sicurezza finanziaria, si sentiva sollevato. Era entrato in contatto con lo stress che aveva provato nella posizione pregressa, riconoscendo l’impatto negativo del lavoro precedente,
ed iniziando a considerare il licenziamento come un’opportunità per fare qualcosa di
più significativo e soddisfacente. Diventò meno depresso e cominciò a dedicarsi con
successo ad un’altra carriera.
Nella EFT, i terapeuti utilizzano molteplici fonti di informazione per essere massimamente responsivi alle esperienze che i clienti fanno nella seduta. Anche se il focus
primario è sull’elaborazione immediata nella seduta, i terapeuti integrano le modalità
di elaborazione intra-seduta con le informazioni raccolte dalle loro storie di vita, per
comprendere gli aspetti dolorosi e più intensi del loro vissuto e sviluppare un’idea di
come i clienti trattino se stessi e gli altri. Così come il terapeuta sceglie un focus ed una
tematica per il trattamento, allo stesso modo concorda con i clienti le cause della depressione e le modalità di lavoro nella EFT. L’accordo fra terapeuta e cliente sulle fonti
del disagio e sulle modalità di lavoro, sono essenziali per l’applicazione efficace di una
serie di compiti e per la risoluzione dei sentimenti di depressione del cliente.
157
CAPITOLO 8
COSTRUZIONE DEL LEGAME, CONSAPEVOLEZZA E
COLLABORAZIONE
I terapeuti che applicano la terapia emotion-focused, lavorano per promuovere
una serie di processi differenti per aiutare i clienti ad uscire dalla depressione. La fase di
costruzione del legame e della consapevolezza è quella iniziale ed è il fondamento del
trattamento. Vi sono tre importanti sotto-obiettivi nel corso di questa fase: creare un
legame relazionale solido, promuovere la consapevolezza emotiva del cliente e scegliere
insieme un focus costituito dalle condizioni che hanno portato alla depressione.
Le fasi del trattamento descritte nel capitolo 5 sono presentate come una serie di
passaggi sequenziali, tuttavia non si verificano necessariamente in sequenza lineare. La
costruzione del legame e la consapevolezza, l’evocazione, l’esplorazione e la trasformazione sono tutte interconnesse nel corso del processo terapeutico e vengono riepilogate
ed incrementate in presenza di altri processi; alcune, però, vengono enfatizzate o evidenziate di più rispetto ad altre in differenti fasi della terapia. Anche se la costruzione
del legame e la consapevolezza riguardano di solito le prime fasi del trattamento, la
consapevolezza può essere anche accresciuta dopo periodi di arousal e riflessione, ed
il legame emotivo fra terapeuta e cliente si sviluppa per tutto il corso del trattamento.
Similmente, anche se la riflessione ed il consolidamento di nuovi significati sono di
solito il focus della terza fase del trattamento, i clienti riflettono anche nella prima fase,
quando prendono consapevolezza delle proprie emozioni e delle differenti modalità
con cui costruiscono l’esperienza.
Come abbiamo evidenziato nel capitolo 3, l’espressione emotiva può essere considerata un’evoluzione che implica cinque passaggi di elaborazione emotiva: la reazione
iniziale pre-riflessiva, la percezione cosciente della risposta di arousal, il dare un nome
ed interpretare la risposta, la valutazione della risposta ed il contesto percepito per
l’espressione (Kennedy-Moore & Watson, 1999). I clienti depressi, di solito hanno
perso contatto con la gamma completa dell’espressione emotiva. Non hanno più informazioni sulle iniziali informazioni pre-riflessive agli eventi, dal momento che tutto
è oscurato dalla nuvola nera della depressione. L’umore è prevalentemente negativo e
basso, quindi non sono consapevoli delle sfumature dei sentimenti. Come risultato, il
159
La terapia emotion-focused per la depressione
flusso dell’esperienza è interrotto e perdono contatto con ciò che li circonda; si sentono
bloccati. Anche se la consapevolezza delle emozioni può essere dolorosa, i clienti devono prendere consapevolezza dei sentimenti prima di poterli modificare.
Un obiettivo importante nella terapia emotion-focused (EFT) per la depressione,
è aiutare i clienti a diventare consapevoli delle emozioni che hanno momento-permomento. All’inizio, questo potrebbe voler dire farli diventare più consapevoli delle
sfumature della depressione in modo che possano rendersi conto delle sottili variazioni
su come si sentono ed iniziare a prestare maggiore attenzione ai momenti in cui questi
sentimenti cambiano. Dal momento in cui iniziano a prestare maggiore attenzione alle
emozioni, i clienti possono diventare consapevoli delle reazioni ed emozioni degli altri
che hanno trascurato quando elaboravano tutti gli eventi della vita attraverso le lenti
della depressione.
Costruire un legame
L’importanza della relazione nella facilitazione dei compiti della terapia è stata
discussa nel capitolo 6. Tuttavia, è importante sottolineare, ancora una volta, come la
creazione di un legame caratterizzato da calore, empatia e rispetto sia centrale nel successivo lavoro sulle emozioni. La creazione del legame è il fine principale che ritroviamo
dalla terza alla quinta seduta. È una parte importante della costruzione dell’alleanza iniziale e continua ad esserlo per tutto il corso del trattamento. Il clima emotivo stabilito
dal terapeuta nelle prime sedute influenza fortemente quello che seguirà. La costruzione di un contesto emotivo amichevole è importante per aiutare i clienti ad avere accesso
e a focalizzarsi sulle emozioni dolorose. Se i clienti, inizialmente, sembrano riluttanti
o lenti nel rivelare le emozioni nel corso delle prime sedute, i terapeuti potrebbero
esplicitamente incoraggiarli ad esprimere le emozioni nel corso della seduta e ad essere
fortemente supportivi ed empatici nei confronti delle esperienze che emergono.
All’inizio del trattamento i terapeuti accettano le esperienze dei clienti come queste si presentano. Non tentano di mettere in discussione i punti di vista dei clienti, né
suggeriscono risposte alternative. Piuttosto, mano a mano che comunicano comprensione ed interesse per i clienti, iniziano a crearsi una concettualizzazione del funzionamento e delle modalità di elaborazione delle esperienze da parte dei clienti. In questa
fase iniziale del trattamento, i terapeuti lavorano per comunicare empatia e supporto
ai sentimenti di disperazione. Nel corso di questa fase è importante aiutare i clienti a
sentirsi confermati in modo che possano rivelare tutta la profondità delle emozioni
senza paura di essere criticati o di essere umiliati. Cosa più importante, i terapeuti, in
questa fase, non inviano il messaggio che i sentimenti debbano essere modificati o che
sono non giusti o sbagliati. L’obiettivo principale è far sì che i clienti si sentano sicuri
ed accettati in modo che possano trovare le risorse per iniziare a riflettere sullo stato
attuale e generare da soli alternative.
Gli obiettivi principali in questa fase consistono, quindi, nell’aiutare i clienti a
sentirsi sicuri e comprendere e facilitare l’auto-rivelazione. Oltre che sullo sviluppo del
legame, i terapeuti lavorano per portare i clienti a verbalizzare le emozioni e a focaliz160
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
zarsi sull’esperienza interiore. Se i clienti devono aprirsi e rivelare aspetti vulnerabili del
proprio sé, devono sentirsi sicuri e sapere che verranno compresi. La fiducia ed il supporto che si sviluppa fra i partecipanti, aiuta i clienti a condividere gli aspetti dolorosi
della propria esperienza che sarebbe difficile condividere con qualcun altro. Il processo
di rivelazione del sé ad un altro che comprende e dà sostegno, contribuisce allo sviluppo di un legame terapeutico, che a sua volta facilita e promuove il lavoro emotivo che
seguirà. Il legame è rafforzato mano a mano che i clienti iniziano a prendere sempre
più consapevolezza e che sperimentano il sollievo ed i benefici nell’analizzare le proprie
esperienze.
I clienti depressi hanno, in particolare, bisogno di sentirsi sicuri e accettati dal
momento che sono molto sensibili alle critiche e che si sentono giudicati male ed inutili a causa dello stato depressivo. Tuttavia, poiché sono meno sintonizzati sul flusso
dell’esperienza e sull’impatto che l’ambiente ha su di loro, possono aver bisogno di
tempo per percepire l’attenzione ed il sostegno del terapeuta. I terapeuti, quindi, trasmettono molta empatia e conferma all’inizio del trattamento per creare un ambiente
sicuro e supportivo, per costruire un legame di fiducia e creare un contesto che faciliti
l’esplorazione. I terapeuti devono riconoscere la profondità del dolore dei clienti e
confermarla, più che parlare dei sentimenti di disperazione. Mostrando empatia e riconoscendo quanto possano soffrire i clienti e quanto le cose gli sembrino disperate in
questo momento, i terapeuti forniscono la conferma necessaria ed il supporto di cui i
clienti hanno bisogno di modo che possano iniziare a cercare modalità alternative di
vedere l’esperienza.
I terapeuti lottano per creare un ambiente in cui i clienti depressi possano esprimere il proprio dolore e vulnerabilità senza paura di essere giudicati. Questi clienti vengono spesso incoraggiati a “tirarsi su” da amici ben intenzionati e dalla famiglia, pertanto
l’opportunità di condividere appieno l’intensità della disperazione nella terapia e di
sentirsi riconosciuti e confermati, può essere vissuta come un’importantissima fonte di
sollievo quando si rendono conto che non devono più mettersi una maschera per coprire quanto male sentono. L’obiettivo in questa fase non è spingere per l’esplorazione,
ma piuttosto dare ai clienti lo spazio per esprimere appieno il senso di fragilità e debolezza del proprio sé. I terapeuti non sono intrusivi e lavorano con i clienti per aiutarli
a rivelare la propria esperienza e ad esprimerla in parole. In questo modo, comunicano
che un compito importante per i clienti depressi è quello di diventare consapevoli e
verbalizzare il proprio dolore come parte del processo atto a prestare attenzione ed elaborare l’esperienza emotiva. In questa fase i terapeuti identificano anche come i clienti
elaborano le emozioni, mano a mano che raccolgono informazioni che possono esser
loro d’aiuto nella formulazione del caso.
Promuovere la consapevolezza
I teorici della Gestalt consideravano la consapevolezza una figura che si staglia
su uno sfondo o la configurazione di una realtà o di un’esperienza in una forma cosciente. Esistono due tipologie basilari di attenzione e consapevolezza: una analitica e
161
La terapia emotion-focused per la depressione
una sintetica, utilizzate rispettivamente per differenziare ed integrare l’esperienza. Entrambi questi processi sono importanti nella generazione di significati. Esistono anche
due livelli di consapevolezza. Un livello è associato alla consapevolezza immediata e al
vissuto di un fenomeno, l’altro invece deriva dalla riflessione sull’esperienza. I terapeuti incoraggiano i clienti, prima, a diventare consapevoli dell’esperienza fenomenologica, sensazioni, emozioni e significati che le situazioni e gli eventi hanno per loro.
In terapia, la consapevolezza dell’emozione è centrale ai fini del cambiamento. Avere
un’esperienza emotiva dice alle persone che sta accadendo qualcosa di importante per
loro e diventarne consapevoli suggerisce agli individui che stanno vivendo qualcosa. Il
livello riflessivo della consapevolezza, deriva dal guardare l’esperienza personale dalla
prospettiva di un osservatore esterno. I clienti, riflettendo sull’esperienza e, generando
narrazioni per spiegarle, diventano consapevoli del collegamento fra gli eventi, delle
proprie reazioni e degli altri, oltre che dei significati specifici che le situazioni hanno per
loro. Questo processo riflessivo viene descritto con maggiore dettaglio nel capitolo 13,
mentre in questo capitolo ci occupiamo principalmente del processo di accrescimento
della consapevolezza da parte dei clienti sull’esperienza immediata, sulle sensazioni, sui
sentimenti e sui significati che si presentano spontaneamente nel presente.
Con il procedere della seduta iniziale, mentre i clienti parlano della settimana,
dei sintomi depressivi e degli eventi passati, i terapeuti si concentrano costantemente sull’esperienza emotiva presente dei clienti e vi rispondono empaticamente. Così,
quando un cliente dice «Mi sento così male, non riesco a mettermi in moto al mattino», il terapeuta comprende empaticamente questa affermazione ma cerca anche di
cogliere le emozioni soggiacenti – forse di disperazione o irritazione – e di esplorarle
empaticamente. Se il cliente inizia a provare una profonda disperazione e a piangere,
il terapeuta conferma il suo dolore, riflette e comprende quanto possa essere difficile
mettersi in moto quando (per esempio) ci sembra di non avere più energie disponibili.
Affermazioni che confermano e che si focalizzano sull’esperienza soggettiva dei clienti,
favoriscono anche l’inizio del processo di evocazione dell’esperienza emotiva nella seduta. Quando i terapeuti riflettono su quanto debba essere difficile, i clienti potrebbero
piangere, e potrebbero iniziare a rivelare la propria esperienza, o potrebbero manifestamente reprimerla. Il terapeuta, pertanto, inizia ad intravedere le preoccupazioni
fondamentali dei clienti ed i conflitti interiori, sia in quello che questi provano, sia
nella modalità attraverso cui rispondono all’esperienza stessa. L’espressione o la repressione dell’esperienza emotiva all’interno della seduta, rivela come i clienti elaborino le
proprie emozioni e fornisce degli indicatori importanti delle attuali difficoltà di elaborazione cognitivo-affettiva. Quando le emozioni emergono nella seduta, sono una bandiera rossa che segnala “Questo aspetto è importante per il mio benessere” e che è stato
toccato un bisogno centrale. Il terapeuta che è sintonizzato sull’emozione, considererà
l’emergere di questo sentimento un’opportunità per l’intimità nella relazione terapeutica e si accosterà al vissuto del cliente, vi si avvicinerà e lo convaliderà. Il terapeuta può
avvicinarsi e confermare un’espressione di dolore dicendo «È chiaro che faccia molto
male mentre lo racconta» e può confermare la repressione di un’emozione dicendo «È
davvero difficile provare simili emozioni. Adesso è più sicuro tenerle a freno».
All’inizio il terapeuta invita il cliente a parlare, a riflettere su e a organizzare l’esperienza in una qualche forma di narrazione o spiegazione. Parlare ed aprirsi costituisco162
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
no il nucleo del processo terapeutico, dal momento che è dalla base – dalla narrazione
del cliente – che il cliente e il terapeuta riflettono su quanto detto e approfondiscono
l’esperienza. Attraverso la conversazione, arrivano entrambi e capire più di ciò che sta
accadendo e a considerarne più aspetti. Il primo compito del terapeuta è, quindi, quello di creare un clima in cui il cliente possa sentirsi libero di parlare. L’atteggiamento relazionale di base descritto dalla terapia centrata-sul-cliente aiuta in questo frangente.
All’inizio, i clienti potrebbero non accogliere l’invito del terapeuta a condividere
ed esplorare le emozioni ed i vissuti. Piuttosto, arrivano in terapia cercando le risposte
di un esperto. Arrivano pieni di domande e con un atteggiamento di richiesta, oppure
desiderano rassicurazione, o vogliono continuare ad analizzare logicamente e razionalizzare l’esperienza. All’inizio della terapia, i clienti di solito parlano dei sintomi depressivi e degli eventi, senza esplorare le emozioni, né facendo domande sull’esperienza
interiore, aspettando che il terapeuta dia loro una direzione e delle risposte. Spiegano
al terapeuta alcuni fatti della loro vita; vogliono lamentarsi della faticosità della loro
condizione e dei sintomi depressivi. Vogliono discutere con il terapeuta cosa fare per
questi problemi, e gli chiedono, implicitamente o esplicitamente, di curare la loro depressione. In sintesi, i clienti vogliono che il terapeuta fornisca loro la soluzione alla
depressione ed ai problemi psicologici.
Tuttavia, ad un certo punto, spesso grazie al contrasto relazionale sicuro, alle risposte empatiche del terapeuta e alla costruzione di una buona alleanza, i clienti fanno
un importante passo in avanti. Iniziano a parlare da soli di se stessi in una modalità
più esplorativa, invece che aspettare risposte o chiedere di essere guidati. Il cliente,
quindi, vuole, almeno in parte, essere coinvolto in un processo di accrescimento della
consapevolezza e di auto-esplorazione. Questo è il momento in cui è possibile dare il
via alla EFT. Lo spostamento da un focus esterno ad uno interno, segna il primo passo
nell’approfondimento del processo esperienziale. Ora che la vera terapia è iniziata, sono
più utili le tecniche per accrescere la consapevolezza.
I clienti nella EFT imparano come fare attenzione all’esperienza interiore, incluse
le sensazioni corporee e le emozioni, e all’esperienza esterna, fra cui le persone della
loro vita e gli eventi che si verificano. Un compito importante per i clienti è apprendere
a differenziare fra il mondo esterno e quello interno ed essere in grado di integrare le
informazioni di entrambi per formare nuove gestalt. La differenziazione di veri aspetti
del sé, dell’altro e del mondo, è molto utile per estrarre e per arrivare a comprendere
cosa si sta provando. Differenziando l’esperienza, i clienti possono spostarsi da un «Mi
sento male» a, per esempio, un «Mi sento trattato ingiustamente e umiliato dal modo
in cui mi ha scaricato per qualcun altro». Questa verbalizzazione consente ai clienti,
successivamente, di esplorare la natura della ferita e tutte le relative implicazioni a differenti livelli. Aiuta i clienti a definire la natura dei loro problemi ed apre percorsi di
esplorazione.
Dopo aver differenziato le esperienze, i clienti devono integrarle per dargli un senso e sviluppare nuove gestalt. Per esempio, una cliente, dopo aver esplorato l’impatto
che il partner abusante aveva avuto su di lei, aveva osservato che «La cosa peggiore è che
ho lasciato che abusasse di me; devo guardarmi da questo nel futuro, ma faccio fatica
a fidarmi di me stessa». Questa affermazione indica che la cliente ha integrato la comprensione di quanto accaduto e che si assume in parte la responsabilità di proteggere se
163
La terapia emotion-focused per la depressione
stessa nel futuro. La consapevolezza di ciò che ha innescato una reazione, fornisce alla
cliente una comprensione di come ha costruito ed interpretato una situazione e quale
sia il significato. Mano a mano che il cliente presta attenzione ed esplora i vissuti, emergono nuove e più sottili differenziazioni che risultano in cambiamenti nel panorama
esperienziale. La consapevolezza e la simbolizzazione dell’esperienza in parole forniscono un senso di padronanza. Il cliente non è più confuso o schiacciato dai sentimenti;
piuttosto sente «Oh, ecco perché mi sentivo così». La simbolizzazione della propria
esperienza in parole è un gancio per afferrarla che consente di lavorarci su per creare
nuovi significati e nuove narrazioni.
Per promuovere la consapevolezza, i terapeuti agiscono come elaboratori delle informazioni surrogati dei clienti e da regolatori emotivi. Come elaboratori delle informazioni, i terapeuti riflettono l’esperienza ai clienti e li aiutano a cercare di elaborarla e
a trovare parole per esprimerla. Come regolatori emozionali, la conferma e il supporto
che forniscono sono un balsamo calmante mentre riflettono e cercano di comprendere empaticamente il disagio dei clienti e le difficoltà che incontrano nelle loro vite.
Questo effetto calmante, spesso implica un senso di sollievo nei clienti mentre questi
si aprono, senza vergogna e rivelano la profondità della disperazione, della tristezza e
delle emozioni negative.
Le risposte empatiche aiutano a promuovere la regolazione degli affetti nei clienti in almeno quattro modi. Per prima cosa, rispondendo empaticamente al dolore
dei clienti, i terapeuti esperienziali forniscono sollievo nel momento in cui questi
si sentono riconosciuti e confermati. In secondo luogo, i clienti acquisiscono conoscenza dei propri sentimenti, cosa che potenzia il senso di padronanza e controllo.
Successivamente, nel dare un nome alle emozioni, i clienti apprendono a modulare il
livello di arousal. Mano a mano che le emozioni iniziano a mutare, i clienti iniziano
a capire che possono acquisirne il controllo. Acquistano una prospettiva mentre le
osservano fluire e rifluire nel tempo. Infine, il senso di sollievo ed allentamento della
tensione che segue dall’essere osservati e accettati, libera energia e risorse con cui i
clienti possono esplorare e risolvere problemi. Questa liberazione di energia è spesso
accompagnata da segnali di speranza di poter essere in grado di superare i sentimenti
di disperazione.
I terapeuti agiscono per accrescere la consapevolezza dei clienti della propria esperienza emotiva dopo le prime due o tre sedute. Se i clienti non sono responsivi, i
terapeuti fanno marcia indietro e lavorano per solidificare il legame cercando di comprendere meglio e di confermare ulteriormente il vissuto dei clienti. Inoltre, i terapeuti
potrebbero esplorare le ragioni che stanno alla base della riluttanza dei clienti a farsi
coinvolgere nell’elaborazione dell’esperienza emotiva più coscientemente ed intenzionalmente. I terapeuti incoraggiano i clienti a dirigere la propria attenzione all’immediatezza di tutti gli aspetti dell’esperienza, fra cui trigger emotivi, sensazioni corporee,
sentimenti, pensieri, bisogni e tendenze all’azione, e, in particolare, a quelli che potrebbero essere al di fuori della sfera della consapevolezza. Per esempio, se i clienti non sono
consapevoli dell’esperienza somatica, i terapeuti li aiutano a focalizzarsi sulle sensazioni
di nodo alla gola, sull’intorpidimento del corpo o sulle farfalle nello stomaco. Se manca
il nome per l’emozione, i terapeuti li aiutano a formulare l’esperienza in parole, come
tristi, arrabbiati, alla deriva o avviliti. Una volta che i clienti diventino consapevoli di
164
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
ciò che sta accadendo a livello corporeo e abbiano dato un nome alle esperienze, riescono a ricordare, riferire e riflettere sul vissuto per modificare tutto o parte dello schema
emotivo.
Dei sei differenti aspetti degli schemi emotivi dei clienti a cui i terapeuti della EFT
fanno attenzione (trigger emotivi, sensazioni corporee, sentimenti, pensieri, bisogni e
tendenze all’azione), i clienti potrebbero essere consapevoli di solo uno o due alla volta.
I terapeuti ascoltano per vedere quali aspetti degli schemi emotivi i clienti non hanno
rappresentato o descritto e, poi, si focalizzano sull’aiutare i clienti a fare attenzione e ad
incorporarli nelle narrazioni. Una volta che i clienti siano pienamente consapevoli di
tutte le componenti degli schemi emotivi, sono in una posizione migliore per dare un
senso alla propria esperienza e riflettervi sopra.
Trigger emotivi
È spesso importante identificare gli indici o i trigger che evocano differenti stati
emotivi. A volte i clienti depressi sono consapevoli di sentirsi male ma non sanno
identificare gli indici a cui stanno reagendo. Potrebbe sembrare loro che la depressione, semplicemente, scenda come una nebbia dal nulla. Chiarire i trigger è il primo
passaggio nello sviluppo della consapevolezza dei processi emotivi. I terapeuti aiutano i clienti a fare attenzione ai vari stimoli dell’ambiente che generano differenti reazioni. Possono fare attenzione alle reazioni dei clienti nella seduta mentre descrivono
gli eventi della vita ed aiutarli a creare collegamenti fra emozioni ed eventi specifici.
I terapeuti possono anche aiutare i clienti ad essere concreti e specifici nelle descrizioni per identificare i piccoli dettagli di una scena che potrebbero aver contribuito
alle emozioni dei clienti. Infine, i terapeuti possono incoraggiare i clienti ad immaginare altri significativi e rispondere a questi altri significativi per aiutarli a diventare
consapevoli degli indizi non verbali che gli altri inviano, degli atteggiamenti e delle
modalità di risposta e di essere con il cliente. Tutte queste tecniche hanno lo scopo
di accrescere la consapevolezza che i clienti hanno delle proprie e delle altrui reazioni
e dell’ambiente.
Sensazioni corporee
Quando si lavora con i clienti che non sono consapevoli delle emozioni, i terapeuti cercano di aiutarli ad aumentare la consapevolezza focalizzando l’attenzione sul
corpo. Fare attenzione e prendere contatto con le sensazioni è una forma non verbale
di conoscenza delle emozioni. I terapeuti guidano l’attenzione dei clienti verso il corpo
per aiutarli a prendere consapevolezza della sensazione di tuffo allo stomaco, o della
tristezza che si accumula negli occhi e nelle guance, o del peso al petto. Questa consapevolezza delle emozioni non è una comprensione intellettuale; i clienti non dovrebbero considerarsi osservatori esterni che si guardano, piuttosto dovrebbero assumere una
consapevolezza tutta corporea di quello che stanno vivendo dentro, come quando il
dente pulsa di dolore. I clienti vengono guidati all’interno della seduta a fare attenzione
165
La terapia emotion-focused per la depressione
alla qualità, all’intensità e alla forma delle sensazioni in un luogo specifico del corpo per
aiutarli a conoscere le reazioni fisiche. Per esempio, un cliente potrebbe rendersi conto
di sentire “un ammasso caldo pesante” nel petto.
In alternativa, i terapeuti potrebbero aiutare i clienti a prendere consapevolezza delle incoerenze fra comportamento verbale e non verbale. I terapeuti dirigono l’attenzione
dei clienti verso il comportamento non verbale e ai doppi messaggi che inviano. Per
esempio, un cliente potrebbe sorridere felicemente mentre comunica con le parole un
senso di tristezza e disagio. Quando il terapeuta ha commentato questa discrepanza, la
cliente si era resa conto che non sapeva come comunicare i sentimenti apertamente, in
parte perché temeva di esserne schiacciata, in parte perché credeva che nessuno l’avrebbe
ascoltata. I terapeuti portano, inoltre, i clienti a prestare attenzione ad altri movimenti
fisici, come chiudere i pugni, colpire il bracciolo, o dondolare un piede. Focalizzandosi
su queste attività non verbali, i terapeuti aiutano i clienti a diventare coscienti delle
diverse sensazioni corporee e ad individuare aree di tensione e di rilassamento, sottolineando la consapevolezza di come stanno reagendo a differenti situazioni.
Sentimenti
Utilizziamo in questo libro le parole emozioni e sentimenti interscambiabilmente,
anche se ad un livello più formale: il termine emozioni si riferisce a quelle emozioni
categoriali come rabbia, tristezza e così via, mentre la definizione di sentimenti si riferisce agli aspetti dell’emozione cognitivamente e socialmente differenziati. Un compito
importante della EFT è portare i clienti a prendere consapevolezza di emozioni e sentimenti. Devono prestare attenzione alle reazioni pre-riflessive e alle sensazioni corporee
di modo che possano comprendere l’impatto e il significato degli eventi. I sentimenti rappresentano la fusione fra la reazione pre-riflessiva ed il significato cognitivo di
un evento. Per conoscere i sentimenti, i clienti devono dare un nome all’esperienza
soggettiva. Vengono incoraggiati a concentrarsi su e a trovare un’etichetta verbale alle
emozioni. Per catturare appieno il significato dell’esperienza e comprendere le risposte
che danno agli eventi, vengono incoraggiati ad andare oltre descrizioni generali quali
«Mi sento male», per arrivare a descrizioni più caratterizzate dei sentimenti in modo
da poter iniziare a vedere ciò di cui hanno bisogno per sentirsi diversi in relazione a se
stessi o alle situazioni.
Una volta che i clienti siano diventati consapevoli del lato corporeo, possono concentrarsi sul significato di queste sensazioni corporee. Alcuni non accedono facilmente
alle etichette verbali delle emozioni e, un compito importante della EFT, è aiutarli a
prestare attenzione a queste etichette e a verbalizzare i sentimenti in modo da poterli
condividere ed utilizzarli come fonte d’informazione per risolvere problemi attuali e futuri. In contrasto con altri approcci, i terapeuti della EFT non credono che i sentimenti
debbano essere controllati, moderati e governati; piuttosto i clienti devono accedere ai
sentimenti e seguirli per comprendere le convinzioni, i valori, gli obiettivi e i bisogni
che per loro sono fondamentali. Dare un nome ai sentimenti nella consapevolezza
cosciente è un processo che favorisce la modulazione dell’arousal in modo che i clienti
possano utilizzare l’informazione sotto una forma meno calda per raccogliere informa166
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
zioni utili nei processi decisionali e nel problem-solving.
Pensieri
In aggiunta al prestare attenzione alle sensazioni, emozioni e sentimenti, i clienti
devono diventare consapevoli dei pensieri che accompagnano queste sensazioni. Tutte le emozioni includono pensieri oltre che sensazioni. Quando le persone provano
un’emozione, un dialogo interiore spesso la accompagna, insieme ad immagini e valutazioni di se stessi e degli altri. Per esempio, se un cliente si sente depresso, potrebbe pensare «Sono un perdente», oppure «Non otterrò mai ciò che desidero da mio
marito». I terapeuti devono guidare l’attenzione dei clienti verso i pensieri e i giudizi
che accompagnano le sensazioni. La consapevolezza emotiva implica una coscienza di
sentimenti, pensieri ed immagini che costruiscono l’esperienza emotiva.
Alcuni clienti riescono a rappresentare l’esperienza emotiva in immagini. Questi
potrebbero avere difficoltà a descrivere l’esperienza in parole, ma potrebbero essere in
grado di rappresentarla in figure o simboli. Per questi clienti, le riflessioni evocative e
la co-costruzione di immagini potrebbero essere più utili. Per esempio, Jenny, lasciata
di recente dal fidanzato, non riusciva a parlare liberamente dei sentimenti in terapia.
Aveva difficoltà a sapere cosa stava provando, ma a volte riusciva a costruire delle immagini. Mentre descriveva la paura di essere sola, aveva detto di sentirsi come se stesse
pattinando su una superficie il cui ghiaccio aveva iniziato a creparsi. In un’altra occasione, sempre mentre valutava le difficoltà della solitudine, aveva presentato l’immagine
di essere in mezzo ad un mare in tempesta. Queste immagini davano a lei e al terapeuta
un chiaro senso di come sperimentava il mondo e consentivano al terapeuta di rispondere empaticamente al senso di vulnerabilità e d’impotenza. Il focus della terapia era
quello di offrirle un luogo sicuro in cui potesse conoscere ed esprimere le emozioni e le
reazioni agli eventi, senza il timore di essere giudicata, in modo da poter sviluppare un
senso di sé più forte e più efficace per contrastare la depressione.
Bisogni e tendenze all’azione
Un importante obiettivo della EFT per la depressione è aiutare i clienti ad identificare i bisogni con maggiore chiarezza. Tutte le emozioni hanno bisogni impliciti; i sentimenti informano le persone su come devono agire per ristabilire un senso di benessere o
prendersi cura di sé. Spesso i clienti depressi sono schiacciati dai sentimenti di disperazione e impotenza, e questo li porta a ritirarsi dall’ambiente e lasciarsi andare. In questa fase
già hanno perso il contatto con le emozioni fondamentali e con i bisogni che possono
aver fatto precipitare la depressione (per esempio, un senso di vulnerabilità, di fragilità, o
di abbandono e i bisogni correlati di supporto, cura e accudimento). I terapeuti lavorano
per aiutare i clienti a potenziare e differenziare le emozioni, per prendere sempre più coscienza dei bisogni e per esplorare modalità per soddisfarli nella maniera giusta.
Le tendenze all’azione dei clienti che sono associate ad un’emozione o ad un bisogno, possono essere dirette verso l’esterno e rivelarsi nei comportamenti e nelle inte167
La terapia emotion-focused per la depressione
razioni interpersonali, oppure possono essere dirette all’interno e rivelarsi nell’orientamento intrapersonale e in come trattano se stessi. I terapeuti, quindi, fanno particolare
attenzione ad aiutare i clienti a diventare consapevoli di come trattano se stessi sul
piano intrapersonale, e gli altri sul piano interazionale, per aiutarli a comprendere quali
comportamenti sono innescati dalle emozioni.
Alcune emozioni, come il disprezzo o la rabbia, possono essere rivolte verso di
sé; la tendenza all’azione e il bisogno incorporati nel disprezzo potrebbero essere lo
svilimento o la distruzione del sé. I clienti esprimono anche disdegno per se stessi
ignorandosi. L’ansia e la paura di essere soli nella depressione e il bisogno di vicinanza,
portano le persone depresse ad essere appiccicose e disperate, oppure, per proteggersi,
ad essere rifiutanti.
Per esempio, una cliente, una donna con due figli piccoli, era arrivata in terapia perché si sentiva depressa a causa del marito che giocava sempre d’azzardo. Il suo
comportamento lo portava a stare molto lontano da casa, lasciandola con il peso del
prendersi cura dei bambini e a volte le perdite erano causa di gravi disagi economici. In
terapia si era resa conto che aveva imparato a non esprimere le proprie emozioni nelle
relazioni intime e a dover sottomettere i propri bisogni a quelli del marito. Si era resa
conto che aveva bisogno di dar voce ai propri bisogni e di trovare nuovi modi per cui
essere più indipendente all’interno del matrimonio. Anche se questa presa di coscienza
non avrebbe cambiato il comportamento del marito, sentiva di avere un maggior controllo e provava una maggiore soddisfazione per la vita e, quindi, era meno stressata dal
suo comportamento.
Stabilire collaborazione
Prima di applicare interventi specifici per accrescere la consapevolezza dei clienti
sulle reazioni emotive, è importante stabilire un accordo sui compiti e gli obiettivi della
terapia. I terapeuti devono costruire una cornice comune con i clienti per concettualizzare i problemi. I clienti devono concordare di avere difficoltà nell’elaborazione delle
esperienze emotive, o perché sono vissute come schiaccianti, o perché non riescono
a prestarvi attenzione. Se il cliente non concorda con la formulazione del terapeuta,
allora questo deve modificare la cornice concettuale per adattarla meglio alla prospettiva del cliente. Anche quando i terapeuti cercano di ridefinire i problemi dei clienti
in linguaggio psicologico, non devono mai perdere di vista che i clienti sono gli esperti
della propria esperienza. Una volta che sia stata creata una cornice comune di lavoro, i
terapeuti possono portare i clienti a focalizzarsi sulla consapevolezza e sulla tolleranza
dell’esperienza emotiva.
Accettare e tollerare le emozioni
I terapeuti facilitano non solo la consapevolezza delle emozioni, ma anche l’accoglienza dell’esperienza emotiva; aiutano i clienti a sviluppare la capacità di tollerare
168
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
ed accettare ciò che sentono, invece di evitarlo, e di essere fiduciosi sul fatto che le
emozioni dolorose passeranno. I clienti devono capire che non devono agire su tutte le
emozioni, ma che evitare o aggirare il dolore e le emozioni temute, non li aiuta. Con
l’aiuto del terapeuta i clienti arrivano a riconoscere le emozioni come un’opportunità
per raccogliere informazioni su qualcosa di importante per il loro benessere.
I clienti hanno anche bisogno di imparare che le emozioni non sono conclusioni
definitive ragionate su cui devono agire; possono provarle senza la paura di conseguenze terribili. Se un cliente presta attenzione ai sentimenti di disperazione, questo non
significa che le cose siano davvero senza speranza, né che il passaggio logico successivo
sia quello di lasciarsi andare. Un’emozione non è uno stato permanente dell’essere, ma
è, piuttosto, parte di un processo. L’emozione non riguarda una verità rivelata; essa
fornisce informazioni sui valori e sui giudizi di una persona in relazione a come le cose
influenzano il suo benessere in quel dato momento. Un’emozione dice di più di una
persona che della realtà delle cose. La rabbia ci dice che qualcuno si è sentito violato,
non che un altro sia un violatore. Le emozioni danno informazioni, non determinano.
Se un cliente è arrabbiato con il partner e si sente di dirgli «Ti odio per quello che hai
fatto», questo non significa necessariamente che la relazione debba finire. Piuttosto,
dice al cliente quanto isolato e furioso si senta. Dopo aver preso coscienza di questi
sentimenti, il passaggio successivo è accedere a queste emozioni chiedendosi «Cosa desidero, di cosa ho bisogno? Cosa dovrei fare?». Prendere coscienza delle emozioni aiuta
i clienti a comprendere l’impatto degli eventi, ad accedere ai bisogni e a trovare per i
problemi soluzioni significative.
Le emozioni non sono azioni. Le persone a volte desiderano controllare le proprie
azioni, ma non devono controllare il vissuto emotivo primario. Si può provare rabbia
per un amico senza colpirlo e anche senza dirglielo. Tuttavia, si deve sempre riconoscere
e sentire questa rabbia. Cercare di negare il sentimento dicendo «Non ho alcun diritto
di sentirmi arrabbiato», potrebbe far comparire la rabbia in momenti imprevisti ed in
maniera pericolosa.
Tuttavia, l’espressione manifesta delle emozioni deve essere adeguata al contesto
e i bisogni devono essere regolati. I clienti imparano ad esprimere le emozioni e a
comunicarle efficacemente se, prima di tutto, sono in grado di comprendere, provare
ed accogliere il vissuto emotivo primario. Invece di reprimere le emozioni fino a che
non esplodano o fintanto che non trovino sfogo ciecamente in qualunque occasione, i
clienti devono entrare in contatto, sviluppare l’esperienza ed apprendere dei modi per
esprimerla adeguatamente. Una volta che i clienti abbiano concesso alle emozioni di
dipanarsi, e dopo avergli dato un senso, possono decidere quando e cosa vogliono dire
agli altri su come si sentono. Questo consentirà loro di esprimere le emozioni nella
maniera più adeguata al contesto in cui si trovano.
Una volta che hanno prestato attenzione ad un’emozione, i clienti sono maggiormente in grado di lasciarla andare. Inoltre, prestando attenzione alle emozioni, apprendono che queste seguono un corso naturale di flussi e riflussi, vanno e vengono. Se i
clienti non cercano di bloccarle o evitarle, ma le lasciano semplicemente fluire, seguono
naturalmente un moto ondoso.
169
La terapia emotion-focused per la depressione
Dare un nome e descrivere le emozioni
La consapevolezza implica la piena comprensione, pertanto la coscienza di una
reazione fisica o emotiva non è sufficiente; i clienti devono darle un nome per comprenderla appieno. Dopo averli aiutati a prestare attenzione e a tollerare le emozioni,
i terapeuti li aiutano a descriverle in parole per capirle fino in fondo. Dare un nome
alle emozioni è particolarmente utile quando segnalano difficoltà che necessitano
di attenzione o quando richiedono riflessione e comunicazione con gli altri. I sentimenti, anche quando sono molto chiari, sono sempre complessi. In un sentimento
c’è sempre qualcosa di più di quello che una descrizione può cogliere. Per esempio,
una persona potrebbe essere arrabbiata, ma anche dispiacersi per questa rabbia; il
luogo da cui proviene questa rabbia potrebbe includere la paura di ritorsione o una
determinazione inflessibile senza alcuna paura. Descrivere un’emozione in parole
rende anche l’esperienza emotiva maggiormente disponibile per ricordi futuri. Per
esempio, una volta che i clienti sanno di sentirsi tristi, possono riflettere sul motivo
per cui si sentono tristi, su cosa significhi per loro e su cosa devono fare. Anche le
metafore possono essere utili nell’aiutare i clienti a simbolizzare l’esperienza interiore.
Le immagini convenzionali come sentirsi bloccati, sentirsi sporchi, o nuotare contro
corrente, oltre a metafore nuove e idiosincratiche come “un vulcano è in eruzione
dentro di me”, oppure “semplicemente è tutto irto di spine e pungente”, sono utili
nel descrivere sensazioni.
Dare un nome o un’etichetta alle emozioni è il primo passo per regolarle. Con
le parole, i clienti possono parlarne invece che agirle. Associare parole alle emozioni
fornisce ai clienti la capacità di comprenderle e controllarle. Essere in grado di descriverle consente loro di arrivare a capire cosa provano e può aiutarli a gestire i problemi.
Così, un cliente ha descritto il sentimento di difficoltà nel lasciarsi coinvolgere dalle
conversazioni sociali utilizzando le parole «Mi sento così escluso». Analizzandolo più
in profondità, era riuscito ad arrivare ad una nuova concettualizzazione dell’esperienza,
ovvero «Cerco così tanto di seguire la conversazione, ma in realtà spesso non mi interessa. Ecco perchè non ho nulla da dire; non la trovo davvero interessante». Il cliente,
a questo punto, si trovava in una nuova posizione; si era reso conto che spesso queste
conversazioni sociali non lo interessavano. Era emerso un nuovo significato e questa
nuova prospettiva non era più focalizzata sul sentirsi esclusi. Erano emerse nuove possibilità che non erano disponibili nello stato “sentirsi tagliati fuori”.
In un altro esempio, una cliente aveva descritto parte della confusione e della
difficoltà che provava nel parlare del lavoro di un altro in qualità di supervisore di un
gruppo. Aveva detto: «Ogni qual volta incontro il gruppo, mi sento come se vi fosse
un fantasma nella stanza [il vecchio supervisore] e non riesco mai ad entrare nei suoi
panni». La cliente poi era arrivata a riconoscere che «Non posso fare quello che faceva
lei. È semplicemente folle cercare di essere come lei. Io sono diversa, devo concentrarmi sulle mie qualità». In questi esempi, la descrizione in parole delle emozioni aveva
promosso la generazione di nuovi significati. I nuovi significati non emergono sempre
automaticamente, ma spesso sì, e i terapeuti devono promuoverli aiutando i clienti a
cogliere le sfumature delle emozioni in parole per differenziarne i significati centrali e
fare chiarezza sui propri bisogni in modo da generare anche nuovi comportamenti.
170
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
Sapere cosa si prova dà anche un senso di controllo sull’esperienza e rafforza la
convinzione di avere il potere di fare qualcosa per le proprie emozioni. Quando si è
capaci di esprimere i sentimenti in parole, avviene già un distacco dall’emozione stessa.
Mettendo l’emozione in parole, i clienti danno, allo stesso tempo, un’etichetta al sentimento stesso, sapendo come si sentono e creando una nuova prospettiva da cui vedere
l’emozione. Adesso c’è un “Io” che si sente “inutile” e questo “senso di inutilità” non è
tutto ciò che questo “Io” è. Si è creata una distanza. Il cliente adesso sente che “inutile”
è come si sente, non il termine che lo descrive completamente. Dare un nome alle emozioni consente, inoltre, ai clienti di viversi come responsabili dell’azione, più che come
vittime passive. L’emozione è considerata come una reazione momentanea, non una
rappresentazione reale o vera della realtà. La visione del sé come agente responsabile in
relazione alle emozioni, favorisce la creazione di una distanza dall’emozione, che a sua
volta genera forza e capacità di agire.
Mettere l’esperienza in parole, aiuta anche i clienti depressi con vissuti traumatici.
I terapeuti possono aiutare i clienti che hanno subìto un trauma o che hanno affrontato
esperienze profondamente dolorose, ad iniziare un processo di ricostruzione e gestione
del trauma con l’aiuto del linguaggio. Questo processo terapeutico consente anche di
sviluppare resoconti dell’accaduto (Pennebaker, 1995; Van der Kolk, 1994). La capacità
di descrivere esperienze emotivamente traumatiche consente ai clienti di dare un senso
all’esperienza. A meno che non riescano a codificarla su un piano linguistico, nella memoria verranno immagazzinate soltanto immagini, suoni e visioni. Riuscire a mettere
in parole l’esperienza vissuta in un contesto sicuro, consente di acquisire controllo sulle
esperienze terrificanti. I clienti diventano autori, non più vittime, dell’esperienza. Questo processo del dare un nome alle emozioni aiuta la fusione delle parti verbali e non
verbali del cervello, generando un’esperienza integrata in cui i clienti possono sentire e
pensare al vissuto allo stesso tempo.
Individuare l’esperienza primaria
I terapeuti e i clienti devono indagare se le reazioni emotive presenti siano emozioni fondamentali. Così, quando una cliente dice di sentirsi arrabbiata quando un collega
di lavoro è in disaccordo con lei, deve esplorare se, ad un qualche livello al di sotto della
rabbia, si sente minacciata. Oppure quando un cliente dice con rabbia che la moglie lo
ha accusato di essere distratto, deve esplorare se dietro la rabbia si sente non apprezzato.
I terapeuti possono aiutare un cliente che si preoccupa del figlio che se ne va da casa
per studiare all’università, riconoscendo che sotto la preoccupazione, si sente triste. La
capacità di identificare emozioni complesse è una delle competenze fondamentali che i
terapeuti aiutano a sviluppare nei clienti. I terapeuti promuovono questa capacità focalizzando costantemente l’attenzione dei clienti sulle sensazioni corporee e trasmettendo
empatia per queste sensazioni. Con la pratica, i clienti diventano abili nel monitorare
le proprie emozioni.
Le emozioni primarie si basano su valutazioni automatiche sul mondo e su ciò che
sta succedendo alla persona ed al suo corpo. Conoscere se stessi significa conoscere le
proprie emozioni fondamentali, le valutazioni e le risposte più basilari che diamo ad
171
La terapia emotion-focused per la depressione
una qualsivoglia situazione. Questo potrebbe implicare un lavoro molto duro. Tuttavia,
solo prendendo consapevolezza delle emozioni primarie, le persone arrivano trovarsi
nella posizione per cui scegliere di seguirle o meno. Con l’esercizio e l’onestà, le emozioni primarie dei clienti iniziano a presentarsi più spontaneamente. Proveranno tristezza per una perdita, rabbia per una violazione, e gioia per un senso di contatto o per
aver raggiunto un obiettivo. Riusciranno anche ad individuare più facilmente quando
la rabbia sta coprendo una paura o quando il pianto oscura, invece, la rabbia. I terapeuti sanno che i clienti hanno raggiunto il livello necessario di consapevolezza quando
riescono a valutare più facilmente la complessità delle emozioni, quando si rendono
conto di provare due differenti sentimenti, o realizzano che quello che provano in quel
momento non è l’emozione fondamentale. Alcuni clienti arrivano in terapia già con
queste capacità e i terapeuti passano facilmente alla Fase 2, al fine di aiutarli ad evocare
le emozioni. Tuttavia, altri clienti potrebbero aver bisogno di più tempo per prendere
consapevolezza delle loro emozioni. Per questi, l’esercizio, e ancora esercizio, si rende
necessario affinchè queste abilità si automatizzino.
Inoltre, per diventare consapevoli delle differenti componenti di elaborazione degli
schemi, è utile che i clienti si rendano conto di altri due processi importanti: il modo
in cui interrompono l’esperienza emotiva e lo stile di relazionarsi con se stessi e con gli
altri. Questi vengono discussi nella sezione seguente.
Eliminare le auto-interruzioni
I terapeuti, spesso, hanno bisogno di aiutare i clienti a diventare consapevoli di come evitano o interrompono le emozioni e, poi, ad identificare il modo in cui lo fanno.
I clienti che non sono consapevoli delle emozioni o che cercano di evitarle, spesso mettono in atto processi di interruzione che potrebbero includere costrizione del respiro,
tensione muscolare, irrigidimento o distrazioni.
Risposte fisiche
Molti clienti che hanno subìto traumi nella vita, tendono a contrarre il respiro in
particolare quando sono emozionati. Mano a mano che i clienti diventano più consapevoli del proprio corpo, i terapeuti possono aiutarli a focalizzare l’attenzione sulla
respirazione per stabilire se stanno trattenendo il respiro o se stanno respirando troppo
velocemente. Aiutare i clienti a prendere consapevolezza e regolare la respirazione, li
rende maggiormente consapevoli non solo del respiro, ma anche di come contraggono
il proprio corpo e dei punti in cui si concentra la tensione. Questa consapevolezza suggerisce modalità di regolazione affettiva. Mentre prestano attenzione alla respirazione,
i clienti possono diventare consapevoli della tensione alle spalle o dei nodi alla gola e
nel petto mentre cercano di governare la tristezza o il senso di disperazione. Altri clienti
cercano intenzionalmente di tagliare fuori le emozioni intorpidendosi nel tentativo
di evitare il dolore. Gran parte dei clienti ha sviluppato queste strategie da giovane e
adesso le utilizza senza esserne del tutto consapevole. Una volta che i clienti abbiano
172
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
preso consapevolezza dei differenti modi per regolare le emozioni, possono decidere
se queste strategie siano efficaci oppure contribuiscano ai sentimenti di depressione e
disperazione e, poi, possono impegnarsi per sviluppare strategie alternative attraverso
cui elaborare l’esperienza emotiva.
Descrizioni analitiche
Le descrizioni concettuali ed esteriorizzate degli eventi e delle esperienze possono intrappolare l’esperienza emotiva. I clienti che non hanno imparato ad elaborare
l’esperienza emotiva o che si sentono schiacciati dalle emozioni, potrebbero reprimerle
focalizzandosi su eventi esterni oppure diventando molto analitici nelle proprie descrizioni. Per esempio, Geoff, un giovane avvocato depresso, aveva grande difficoltà a
parlare delle proprie emozioni. Si sentiva scollegato dal lavoro, in cui viveva un elevato
grado di stress, e si preoccupava costantemente di un crollo nella prestazione o di fare
qualche errore di giudizio. Anche se la verbalizzazione era buona, focalizzava l’attenzione sui casi su cui stava lavorando e sulle reazioni ed opinioni dei colleghi verso il
suo lavoro. Il terapeuta cercava di dirigere l’attenzione verso le emozioni, chiedendogli
direttamente come si sentiva in determinate situazioni e cercando di immaginare come
avrebbe potuto essere restare intrappolati in quell’ambiente che Geoff descriveva e, di
seguito, presentava alcune impressioni ipotetiche per vedere se avevano un senso in
relazione all’esperienza di Geoff. Con il tempo, Geoff era gradualmente diventato più
consapevole ed aperto alla propria esperienza.
I terapeuti lavorano sulle interruzioni dei clienti in molti modi. Potrebbero condividere le proprie osservazioni con i clienti, evidenziare come le loro descrizioni siano
molto analitiche o che la respirazione sembri molto superficiale. Possono suggerire
ai clienti di prestare più attenzione alle reazioni corporee e prendere più coscienza di
quando hanno un respiro disarmonico o cercano di monitorarlo, e respirare più profondamente quando si accorgono di una respirazione superficiale. Possono chiedere ai
clienti di diventare consapevoli della respirazione per la settimana successiva ed esplorare con loro altri punti di tensione e costrizione muscolare, e qualunque altro ricordo
associato a quelle sensazioni. Se i clienti ricordano eventi specifici quando si rendono
contro di costringere la respirazione o di diventare molto tesi, i terapeuti lavorano
con loro per rielaborare questi ricordi accedendo alle emozioni associate che i clienti
potrebbero non aver avuto l’opportunità di esprimere ed elaborare in quel momento.
Se i clienti presentano descrizioni molto analitiche, i terapeuti possono chiedergli direttamente come si sentono in relazione agli eventi che stanno descrivendo, potrebbero
offrire ipotesi empatiche per verificare se la concettualizzazione si adatti al vissuto dei
clienti e per rendere queste emozioni più esplicite.
Per esempio, subito dopo che Richard aveva cercato un trattamento per la depressione, il terapeuta osservò che vi erano alcuni momenti nella seduta, in particolare
quando parlava del conflitto con la moglie, che sembrava trattenere il respiro mentre
parlava. Dopo che il terapeuta fece un commento e gli chiese di respirare più profondamente, a Richard si riempirono gli occhi di lacrime, esprimendo quanto fosse triste
e avvilito dei continui litigi con la moglie e della difficoltà a dimostrarsi tenerezza l’uno
173
La terapia emotion-focused per la depressione
con l’altro. In quel momento, si era anche reso conto che era molto difficile per lui
esprimere la vulnerabilità e la tristezza. Dopo che il terapeuta gli chiese quando si fosse
sentito così teso prima, egli ricordò delle cene a casa in famiglia, con la madre depressa
e arrabbiata. Non aveva mai capito cosa non andasse bene per lei nel suo comportamento e se lo trovasse o meno ridicolo. Ricordò che in quei momenti provava una forte
tensione e smetteva di respirare profondamente. Infatti, aveva ancora difficoltà a mangiare con la madre e perdeva del tutto l’appetito dopo una discussione con la moglie.
Una volta che questi ricordi vennero alla luce, il terapeuta suggerì un esercizio con la
sedia vuota per aiutare Richard ad esprimere le emozioni di rabbia e risentimento verso
la madre e per rilasciare la tensione nel petto e riuscire a respirare più profondamente.
Comprendere lo stile relazionale
I clienti depressi sono spesso duri e punitivi con se stessi, cosa evidente nel modo
in cui giudicano i propri comportamenti, negli standard elevati che si prefiggono di
seguire o nell’autocritica. In alternativa, potrebbero invece trascurarsi, dimenticarsi di
mangiare, non prendersi cura di sé o non curare i propri interessi. Nelle relazioni interpersonali, i clienti depressi potrebbero essere appiccicosi o rifiutare gli altri. Alcuni
clienti potrebbero essere sottomessi, trascurare del tutto i propri bisogni e mettersi a
tacere per mantenere un legame. Oppure, potrebbero essere esageratamente assertivi
ed ostili per paura che i propri bisogni non vengano soddisfatti e che vengano delusi.
In entrambi i casi, non sono in grado di esprimere il bisogno di cura e di accudimento
in modi a cui gli altri possano rispondere positivamente. I terapeuti devono aiutarli
a prendere coscienza dello stile con cui si relazionano con se stessi e con gli altri, in
generale, facendo attenzione all’esperienza momento-per-momento all’interno della
seduta.
I terapeuti sono sintonizzati su come i clienti trattano se stessi e gli altri e sulle tendenze all’azione implicate nelle emozioni, condividendo, con tatto, queste osservazioni
con i clienti. L’assenza di comportamenti positivi o la presenza di altri negativi, suggerisce alcuni punti su cui i terapeuti possono intervenire. Per esempio, i clienti molto
critici o quelli che pretendono molto da se stessi, possono essere incoraggiati a svolgere
un lavoro con le due sedie per iniziare a rendersi conto dell’impatto emotivo che queste
pretese hanno su loro stessi e gli altri. Con i clienti che, invece, si trascurano, i terapeuti concentrano i propri sforzi sull’empatia in modo che i clienti possano prendere
consapevolezza della propria esperienza interiore. Con questi clienti, potrebbe essere
necessario facilitare la coscienza delle sensazioni corporee prima di focalizzarsi sulle
emozioni. Se i clienti sfuggono dal contatto con il terapeuta, o provano vergogna nel
momento per qualcosa che il terapeuta dice o fa, queste emozioni e tendenze vengono
portate alla luce all’interno della seduta mano a mano che si presentano.
Scegliere un focus su cui lavorare insieme
Un focus su cui collaborare è una componente centrale nella costruzione dell’al174
Costruzione del legame, consapevolezza e collaborazione
leanza terapeutica. Mentre il cliente ed il terapeuta stanno sviluppando un legame e si
promuove la consapevolezza, è in corso un terzo processo importante: la scelta di un
focus per il trattamento. Si deve scegliere un focus relativo alle condizioni che sono
alla base della depressione e vi si deve trovare un accordo fra la terza e la quinta seduta.
Identificando con sicurezza e chiarezza la sofferenza che ha prodotto la depressione nel
cliente, i terapeuti facilitano il consolidamento del legame e la formazione di obiettivi
per il trattamento. L’alleanza si consolida mano a mano che i terapeuti aiutano i clienti
a verbalizzare le emozioni e via via che emerge una comprensione più chiara dei processi che contribuiscono alla depressione del cliente.
I terapeuti ascoltano per individuare indicatori di autocritica o di pretese eccessive
dei clienti verso se stessi. Una volta identificati, i terapeuti stabiliscono un accordo con
i clienti di modo che possano rendersi conto della loro parte attiva nella depressione e
che entrambi possano negoziare su come gestirli nella terapia. I terapeuti introducono
con cautela i clienti agli interventi specifici associati a differenti concettualizzazioni.
All’inizio, questi potrebbero sentirsi strani e meravigliati, ma una volta compreso il
funzionamento del processo e acquisita una nuova visione di sé o degli altri significativi, maggiormente desiderano partecipare e superare la riservatezza. Alcuni clienti
potrebbero trovare impossibile superare il senso di estraneità nel parlare con una sedia
vuota; in questi casi, per mantenere l’alleanza, il terapeuta potrebbe scegliere di lavorare
senza chiedere loro di spostarsi.
175
CAPITOLO 9
TECNICHE PER ACCRESCERE LA CONSAPEVOLEZZA
Nel proprio modello evolutivo della consapevolezza emotiva, Lane e Schwartz
(1992) hanno spiegato che molti clienti entrano in terapia con una concezione semplicistica delle emozioni. I nuovi clienti spesso riferiscono di “stare male” oppure “di
sentire qualcosa nello stomaco”. Nelle sedute iniziali i clienti potrebbero aver bisogno
di lavorare per accrescere la consapevolezza delle sensazioni corporee, per acquisire
familiarità con queste sensazioni e arrivare ad una flessibilità nella risposta. I terapeuti
li incoraggiano a mantenere un focus sul corpo senza staccarsi o cercare di controllare
l’esperienza. La consapevolezza corporea in psicoterapia ha assunto una serie di forme,
fra cui il training di presenza mentale (Kabat-Zinn, 1990), la focalizzazione (Gendlin,
1996), ed il rilassamento muscolare progressivo (D. A. Bernstein, Borkovec & HazlettStevens, 2000). Ognuna di queste tecniche può essere utilizzata in questa fase della
terapia emotion-focused (EFT).
Identificare i trigger
I terapeuti possono aiutare i clienti a diventare consapevoli ed a comprendere le
proprie emozioni facendo attenzione ai trigger, o stimoli situazionali che innescano
l’emozione. Identificare i trigger aiuta clienti e terapeuti a comprendere come i clienti
costruiscono gli eventi delle proprie vite e come vi reagiscono. I terapeuti, spesso utilizzano la risposta evocativa per aiutare i clienti ad individuare i trigger delle reazioni
depressive e per elaborare gli eventi traumatici. Lo scopo della risposta evocativa è
accedere alla memoria episodica dei clienti, relativa a particolari eventi della loro storia
personale, per ricostruirli ed evocare le emozioni associate. Prendere consapevolezza e
dare un nome ai trigger, aiuta i clienti ad identificare i collegamenti fra l’ambiente, le
risposte affettive ed i comportamenti.
In primo luogo, i terapeuti chiedono ai clienti di descrivere l’evento o la scena nel
dettaglio, di “proiettare un film” dell’accaduto, in modo che entrambi possano avere un
senso vivo di come sia stata l’esperienza per il cliente. I terapeuti possono aiutare i clien177
La terapia emotion-focused per la depressione
ti a costruire una descrizione concreta e dettagliata dell’evento aiutandoli a tracciare le
reazioni affettive, con l’intento di individuare il momento in cui la reazione è cambiata,
ed identificare il trigger o lo stimolo. Nel caso di un ricordo traumatico, i terapeuti si
preoccupano non tanto di individuare il trigger, quanto di aiutare i clienti a collegare
le reazioni affettive con i dettagli concreti della scena, di modo che i clienti possano
costruire una narrazione coerente dell’accaduto e rielaborare l’evento. Una volta che i
clienti abbiano identificato i trigger che hanno innescato le reazioni, sono in grado di
valutare le proprie reazioni e situazioni, e di sviluppare risposte alternative.
Per esempio, Paul, un ingegnere di 32 anni depresso, non sapeva cosa avesse innescato il suo cambiamento di umore. In una seduta aveva menzionato che la sera
precedente si era sentito peggio del solito. Aveva concordato di esaminare la situazione
per vedere se riuscisse a comprendere meglio la sua reazione.
Terapeuta: «Cerchi di darmi un senso di cosa è accaduto la scorsa notte. è
uscito dal lavoro, circa alle 6.30; giusto?»
Paul: «Sì. Poi sono andato a comprarmi un po’ di cibo per cena e sono
andato a casa. Mi sentivo davvero stanco, come se avessi dedicato
molte ore al lavoro di recente. Abbiamo questa scadenza la prossima settimana. Avevo deciso di stare a casa e guardare un po’ di
televisione».
Terapeuta: «Bene. Quindi è uscito dal lavoro e si sente stanco, non vede l’ora
di rilassarsi e riposare. Cosa accade quando arriva a casa?»
Paul: «Ho cenato e poi sono sceso di sotto, nel laboratorio, dove tengo
i miei utensili. Mi sono reso conto che domenica non avevo finito
di riordinare, dal momento che molti attrezzi erano fuori posto,
perché un amico era venuto a farmi visita. Mi ricordo di averli
messi via, di essere ritornato sopra e di essermi seduto davanti alla
televisione».
Terapeuta: «Bene. Arriva a casa e cena, e come si sente?»
Paul: «Stanco, molto stanco».
Terapeuta: «Quindi è stanco, poi scende al piano seminterrato e vede gli utensili in disordine. Dopo cosa è accaduto?»
Paul: «Oh, ricordo di essermi irritato con me stesso. Mio padre era così
maniacale nel riporre gli strumenti. Non so cosa stavo pensando:
di solito sono più particolareggiato».
Terapeuta: «Quindi vede gli utensili e prova rabbia verso se stesso; questo
comportamento sarebbe stato inaccettabile per suo padre?».
Paul: «Oh, sì, alla grande».
Terapeuta: «Quindi è in questo momento che l’umore si è modificato?»
Paul: «No, è stato dopo, quando mi trovavo sul divano, che ho iniziato
a sentirmi uno schifo, semplicemente inutile e pigro».
Terapeuta: «Oh, quindi è quando ha iniziato a vedersi come una persona inutile e pigra che l’umore è davvero peggiorato?»
Paul: «Sì, credo di non averci mai fatto caso prima, ma penso di sentirmi
uno schifo ogni volta che credo di aver deluso mio padre».
178
Tecniche per accrescere la consapevolezza
Il terapeuta ha portato il cliente a descrivere i dettagli della serata in modo che
potessero insieme individuare il momento in cui l’umore era cambiato ed anche l’evento che aveva causato questo cambiamento. Il trigger di Paul è l’autocritica e le elevate
aspettative, secondo cui deve sempre fare le cose perfettamente come il padre si aspettava da lui da bambino. Il terapeuta e il cliente, adesso, sanno che quando Paul si considera inutile e pigro, si sente depresso.
In seguito hanno esplorato ulteriormente questo sentimento. Paul ha analizzato
come mai fosse così critico verso se stesso. Ha ricordato che il padre era un professionista realizzato e molto impegnato che era vissuto negli anni della Depressione. Raccontava spesso ai figli delle storie su quanto fosse stata difficile la sua vita e di quanto
avesse dovuto lavorare duro per sostenere la madre e i due fratelli. Diceva che aveva
dovuto svolgere due lavori solo per poter mettere il cibo in tavola, e che ciò era andato
avanti fino all’università in cui si era dovuto mantenere da solo. Diceva che i suoi figli
avevano avuto una vita troppo semplice e che si aspettavano fosse tutto servito. Questo
aveva lasciato al cliente la sensazione che se non avesse fatto le cose perfettamente come
il padre, sarebbe stato pigro e inutile.
Paul ha iniziato a riflettere se questa fosse una valutazione corretta di sé. Aveva
notato che lui ed il padre erano vissuti in tempi differenti. Riconosceva che il padre era
dovuto sopravvivere ad un periodo difficile e che era stato fortunato ad esserne uscito
fuori, ma si era anche reso conto che anche lui stesso aveva prodotto qualcosa, che si
era realizzato da sè e che, quindi, non doveva essere così punitivo nei suoi confronti. In
seguito, Paul e il terapeuta hanno svolto un lavoro con le due sedie per risolvere l’autocritica di Paul ed aiutarlo a sviluppare una maggiore accettazione di sé. La rivelazione
focalizzata ed evocativa sistematica avevano aiutato a promuovere la consapevolezza in
Paul e la comprensione delle sue risposte affettive.
Potenziare la consapevolezza delle emozioni
I clienti potrebbero avere bisogno di apprendere delle competenze per identificare,
dare un nome e differenziare diversi stati emotivi. Le reazioni emotive primarie sono
risposte biologicamente adattive che forniscono informazioni sulle tendenze all’azione,
sui significati associati e sulle motivazioni al comportamento. Queste risposte includono emozioni categoriali come paura, gioia, rabbia e tristezza, oltre che stati emotivi
più complessi come spossatezza, scoraggiamento o sconforto. A causa del loro valore
informativo, accedere alle emozioni primarie è essenziale ai fini di un cambiamento
affettivo positivo e di una regolazione. Differenziare sentimenti più idiosincratici aiuta
i clienti a generare significato.
I terapeuti aiutano i clienti a focalizzarsi sulle loro emozioni utilizzando semplici
risposte empatiche, fra cui affermazioni e semplici riflessioni, esplorazioni, risposte empatiche e risposte evocative. Lo scopo di queste risposte è facilitare la consapevolezza dei
clienti e l’espressione dell’esperienza emotiva ai confini della consapevolezza cosciente.
Le risposte empatiche semplici comunicano la comprensione dell’esperienza del
cliente. Non hanno l’intenzione di generare esplorazione o di accrescere l’arousal del
179
La terapia emotion-focused per la depressione
cliente; piuttosto, dimostrano che i terapeuti stanno attivamente seguendo le narrazioni dei clienti e che si stanno impegnando ad essere presenti e responsivi a queste
esperienze. Tuttavia, le risposte empatiche, a volte hanno l’effetto paradossale di rivelare la soggettività delle percezioni dei clienti e le alternative nascoste in determinate
prospettive (Elliott, Watson, Goldman & Greenberg, 2004; Watson, 2001).
Le riflessioni empatiche comunicano la comprensione di ciò che il cliente ha detto.
Queste risposte cercano di filtrare l’essenza della comunicazione del cliente. Per fare
questo, i terapeuti cercano di rispecchiare ciò che sembra di maggiore intensità nelle
affermazioni dei clienti. Per esempio, un terapeuta ha utilizzato la riflessione empatica
con una cliente che era in lutto per la morte del figlio:
Cliente: «Mi sono sentita come se il mondo fosse caduto nell’oscurità dopo
la morte di Bobbie. Sembrava che tutti volessero che riprendessi
le mie attività, ma io mi sentivo così persa; niente significava più
nulla per me. So di avvilire gli altri, ma mi sembra di non poterci
fare proprio nulla».
Terapeuta: «Da quando è morto Bobbie, si sente persa nell’oscurità e incapace
di uscirne».
Il terapeuta ha confermato l’esperienza della cliente ma ha tenuto presenti le due
possibilità di essere bloccati e trovare una via d’uscita. Il terapeuta ha suggerito implicitamente che vi fosse una via d’uscita che potevano trovare insieme. Questa forma di
risposta, non solo indica comprensione e supporto per il cliente in quel momento, ma
inizia anche a contestualizzare i compiti e gli obiettivi della terapia, contribuendo così
alla costruzione del legame.
Le affermazioni empatiche comunicano che il terapeuta ha compreso appieno e
che si rende conto della sofferenza dei clienti. Vengono di solito utilizzate quando i
clienti hanno condiviso esperienze particolarmente dolorose e sembrano molto vulnerabili nella seduta, e servono a confermare l’esperienza del cliente. Per esempio:
Cliente: «Mi sento così incapace e inutile da quando mi hanno licenziato».
Terapeuta: «Il licenziamento e il modo in cui è accaduto sono semplicemente stati
troppo duri. Non meraviglia che l’abbia lasciato così scombussolato».
Quando i clienti provano in un disagio intenso, è importante aiutarli ad esprimere
la sofferenza e ascoltarla in modo che possano sentirsi supportati e contenuti. Lo scopo
delle risposte che confermano, è quello di rafforzare il sé, non di fornire nuove informazioni. Così, con un cliente che si sente depresso e che ha difficoltà nel funzionamento
quotidiano, potrebbe essere più utile che il terapeuta rispecchi la comprensione del
sentimento terribile di aver perso il controllo, invece che cercare di comprendere la
causa di una risposta turbata. La capacità del terapeuta di capire che i clienti a volte si
sentono come affogare senza riuscire a tenere la testa fuori dall’acqua, aiuterà i clienti a
contenere questa emozione e a rafforzare il loro senso del sé.
Le risposte evocative hanno lo scopo di evocare rappresentazioni vivide e figurali
dell’esperienza dei clienti, per aiutarli ad entrare in contatto con le emozioni. I terapeu180
Tecniche per accrescere la consapevolezza
ti esperienziali utilizzano un linguaggio figurativo e sensoriale concreto per cercare di
rendere visibile le esperienze dei clienti. Per esempio, Eric, un cliente di 45 anni, aveva
difficoltà a comprendere le proprie reazioni o a sapere come si sentiva in relazione agli
eventi. Per aiutarlo a raggiungere una migliore comprensione delle proprie reazioni, il
terapeuta ha utilizzato una riflessione evocativa:
Terapeuta: «Come sta?».
Eric: «Quasi sempre uguale. Mi sento così giù».
Terapeuta: «Osservandola qui seduto e sentendola parlare mi viene in mente
l’immagine di qualcuno che è stato schiacciato da un peso molto
grande, quasi soffocato. Si sente così?».
Eric: «Sì, esattamente; è come se la vita fosse schizzata via da me».
Le risposte di esplorazione empatica hanno l’intenzione di incoraggiare i clienti ad
esplorare i confini della propria esperienza, diversamente dalle riflessioni semplici, che
si focalizzano su ciò che è stato detto. Con le riflessioni empatiche i terapeuti cercano
di catturare le emozioni ed i significati che sono appena al di fuori della consapevolezza dei clienti. Ne esistono diverse forme, fra cui le risposte evocative, le riflessioni
orientate alla crescita, le domande esploratorie e “adatte”, le osservazioni processuali e
le esplorazioni. Queste risposte vengono utilizzate per stimolare i clienti ad esplorare la
propria esperienza.
Le riflessioni esplorative sono utili quando i terapeuti cercano di portare i clienti a
considerare nuove informazioni, a vedere le cose in maniera diversa, oppure ad esplorare i significati profondi degli eventi. Per esempio, il terapeuta di Eric aveva notato
che la sua voce era cambiata quando aveva iniziato a parlare della morte del fratello e
ha deciso di esplorare:
Terapeuta: «Eric, ho notato che quando ha menzionato la morte di Charles la
sua voce è cambiata. Mi chiedo come si sente … triste, nostalgico?».
Eric: «Non sono sicuro; non ci stavo facendo caso, ma adesso che me lo
ha fatto notare, mi rendo conto di questa sensazione di vuoto allo
stomaco».
Terapeuta: «Un senso di vuoto?».
Eric: «Sì, è un senso di perdita e di rimpianto per non aver avuto la
possibilità di conoscerlo meglio».
L’affermazione del terapeuta includeva sia una riflessione, sia un’osservazione processuale in cui si era reso conto del cambiamento nella voce del cliente. Le osservazioni
processuali possono fare riferimento ad un processo nel cliente, nell’interazione o nel
terapeuta.
Le esplorazioni empatiche sono tentativi del terapeuta di esprimere temporanea-mente quello che il cliente potrebbe provare senza riuscire ancora a dirlo. Il terapeuta prova ad intuire le emozioni del cliente e offre una risposta da verificare. Per
esempio, Connie una donna di 45 anni, stava lottando per trovare un equilibrio fra
181
La terapia emotion-focused per la depressione
le richieste della maternità e la ricostruzione di una vita personale dopo il divorzio:
Connie: «È che per me è molto importante che i bambini non ci rimettano a
causa del divorzio. Devo concentrare la maggior parte delle mie energie
su di loro. Quindi fra l’hockey, il pattinaggio, i compiti e la casa, sono
quasi sempre esausta alla fine della settimana. Questo non mi lascia il
tempo per rilassarmi o per incontrare i miei amici, per non parlare di
eventuali appuntamenti».
Terapeuta: «Sembra un programma davvero impegnativo. Ho ragione se dico che
si sente spremuta su tutti i fronti?».
Connie: «Sì! Sono così preoccupata che loro reagiscano malamente, il divorzio
è stato così duro per loro, hanno perso tutto».
Terapeuta: «Sembra che si sia dimenticata di inserire se stessa in questa figura.
Come se i suoi bisogni non fossero importanti».
Connie: «Sì, è vero. Non me ne ero resa conto, ma mi sento come se non avessi
il diritto di chiedere qualcosa, dal momento che sono stata io a voler
divorziare».
In alternativa, i terapeuti possono aiutare i clienti a prendere consapevolezza delle
loro emozioni ponendo domande esplorative. Nel caso di Connie, il terapeuta avrebbe
potuto dire «Vedo che è molto impegnata; come si sente?». Oppure «È molto importante proteggere i bambini, ma chi protegge lei?». Queste domande costituiscono dei
tentativi finalizzati a dirigere il cliente verso la propria interiorità, verso l’esperienza
soggettiva, di modo che possa iniziare a verbalizzare come si sente in relazione agli
eventi che sta descrivendo.
Una volta che i terapeuti iniziano a focalizzare l’attenzione dei clienti sulle emozioni e reazioni, i clienti sono nella posizione di osservare il proprio comportamento e di
riflettervi di più. Se i clienti non iniziano a farlo da soli, i terapeuti possono suggerire
loro di fare attenzione alle loro reazioni nel corso della settimana. Possono suggerire
anche di notare qualunque cambiamento nell’umore, o reazioni insolite, in modo da
poterle esplorare nella seduta seguente. Aiutare i clienti a prendere consapevolezza delle
proprie reazioni e ad iniziare a metterle in discussione, è il primo passo per aiutarli a
riflettere di più su emozioni e comportamenti.
Lavorare sui processi interruttivi
Un modo importante in cui i terapeuti lavorano per accrescere la consapevolezza
dei processi bloccati, è chiedere ai clienti come interrompono la propria esperienza e
cosa accade immediatamente prima del blak-out. Si può utilizzare un esercizio con le
due sedie per aiutare i clienti a prendere consapevolezza dei pensieri che accompagnano
le interruzioni. I clienti, spesso, interrompono l’esperienza con pensieri come «A nessuno interessa ciò che penso»; «A che serve parlarne»; «Non devo arrivare lì; è troppo
doloroso». È importante che i clienti prendano consapevolezza di come si reprimano e
182
Tecniche per accrescere la consapevolezza
che si formino un’idea più chiara di cosa accade quando si mettono a tacere, in modo
da poter accedere a delle risposte alternative. Per esempio, Abbey, un’artista di 27 anni
che soffriva di depressione cronica da quasi tutta la vita, non riusciva ad esprimere,
all’interno della seduta, la propria esperienza relativa alla depressione. Ella, spesso, nascondeva il viso nelle mani e guardava in basso, lontano dal terapeuta. Nella terapia
aveva grandi difficoltà a condividere ciò che accadeva nella sua vita. Il padre era un
alcolista depresso che non era stato emotivamente disponibile per lei, e la madre era
emotivamente non responsiva dal momento che cercava di negare la realtà. Abbey si
sentiva persa e desiderava avere qualcuno che si prendesse cura di lei e che la aiutasse a
realizzare i propri sogni. Interrompeva costantemente l’esperienza emotiva. A seguire
presentiamo un estratto di una delle sedute:
Terapeuta: «Come si sente oggi?».
Abbey: «Non saprei; come al solito».
Terapeuta: «Bene o male?»
Abbey: «Non so, è difficile saperlo».
Terapeuta: «Sembra che sia molto difficile sapere come si sente».
Abbey: «Sì» (Guarda in basso, si tiene il mento con le mani; sta in silenzio per 2 o
3 minuti).
Terapeuta: «Cosa sta accadendo adesso?»
Abbey: «Oh, mi sento vuota».
Terapeuta: «Cosa è successo poi? Sembra che quando le faccio delle domande sulle
sue emozioni, si chiude nel silenzio … qualcosa la blocca. Ho ragione?»
Abbey: «Uh-uh … Semplicemente ho un vuoto mentale. Non so cosa dire».
Terapeuta: «Quindi sembra che ci sia qualcosa che dice o fa a se stessa che in qualche modo le fa chiudere; che ne pensi?»
Abbey: «Forse; so per certo che mi chiudo e non sono sicura del perché».
Terapeuta: «Perchè non cerchiamo di individuare come arriva a chiudersi? Cerchiamo di separare la parte che la porta a chiudersi per vedere cosa
accade».
Abbey: «Va bene».
Terapeuta: «Bene, cosa dice a se stessa per non provare emozioni?»
Abbey: «Non saprei. Uhmn… ». (Alza le spalle).
Terapeuta: «Cosa significa quell’alzata di spalle? Che non interessa a nessuno?»
Abbey: «Sì. A che serve?»
Terapeuta: «Quindi è questo che ripete a se stessa? “A che serve parlare se nessuno
vuole sentire?” [Abbey annuisce]. Come la fa sentire tutto questo?»
Abbey: «Disperata, come se non ci fosse senso».
Terapeuta: «La deprime? Riesce a dire a questa parte di se come si sente quando lei
le dice che non c’è alcun senso?»
Abbey: «Mi sento disperata quando lo dice. Semplicemente mi porta a lasciarmi andare».
Terapeuta: «Cosa dobbiamo fare con questa parte?»
Abbey: «Questa parte deve essere fermata … deve smettere di dirmi che non
183
La terapia emotion-focused per la depressione
c’è speranza. Ho bisogno di incoraggiamento; ho bisogno che mi lasci
parlare».
In questo scambio il terapeuta aiuta la cliente a verbalizzare il dialogo interiore in
modo che possa rendersi conto, non solo di come mettere a tacere se stessa, ma anche
di come questo contribuisca alla sua depressione. Abbey aveva grande difficoltà ad
esprimere la propria esperienza interiore, così il terapeuta aveva lavorato con tatto e
pazienza, facendo attenzione agli indici non verbali, per aiutarla a dare voce al dialogo
interiore. Verso la fine dello scambio, il terapeuta ha aiutato Abbey a sviluppare una risposta alternativa, incoraggiandola ad esprimere le proprie emozioni e ad interrompere
l’auto-interruzione.
Accettare le emozioni
I clienti, anche dopo aver compiuto il passo verso l’esplorazione dell’esperienza
interiore, invece che aspettare che il terapeuta risolvesse i loro problemi, potrebbero
comunque avere difficoltà ad accettare la propria esperienza. Anche se i clienti cercano davvero di lavorare sulle proprie preoccupazioni, potrebbero cercare di plasmare
l’esperienza in quello che credono dovrebbe essere. Potrebbero dire cose come «Devo
accettare le cose per quello che sono», mentre allo stesso tempo negano quanto sia
difficile accettare alcune cose (Depestele, 2004). Esortano se stessi a fare meglio o ad
essere perfetti; si rimproverano, si condannano e si puniscono con parole di dura critica. Quando i clienti non possono accettare alcuni aspetti della propria esperienza, non
riescono ad ascoltare l’esperienza in maniera aperta e recettiva. Le emozioni generano
ansia, e quindi le evitano.
I terapeuti aiutano i clienti a passare, dal parlare dell’esperienza emotiva interiore,
al crearle uno spazio interiore focalizzandoli su di essa. I terapeuti possono portare i
clienti più vicino alla propria esperienza ponendo domande che fanno riferimento a
sentimenti interiori. Così, una domanda come «Cosa accade dentro di lei in risposta a
questa voce critica?» focalizza l’attenzione all’interno. Se i clienti riescono ad aspettare
che le risposte scaturiscano dal vissuto, invece che cercare di plasmarlo sulla base di
indicazioni esteriori o interiori, allora sono coinvolti nell’esplorazione dell’esperienza
interiore; non si lamentano più e non affermano semplicemente l’esistenza di un problema. Stanno sviluppando un atteggiamento e una modalità esploratoria, e stanno
iniziando a porsi domande rivolte all’interno; dunque non solo «Come mi sento?», ma
anche «Come questo mi influenza? Cosa significa?». Queste domande richiedono che i
clienti siano aperti alle esperienze e cerchino di seguire le informazioni che esse veicolano. Adesso il cliente ha un’esperienza più profonda, ne sonda il significato e sintetizza
le emozioni attualmente disponibili per risolvere i problemi (Klein, Mathieu-Coughlan
& Kiesler, 1986).
I clienti alessitimici, o altamente evitanti, possono avere un elenco di emozioni e di
motivazioni corrispondenti. Con l’aiuto di questa lista ed altri strumenti, possono imparare ad identificare, dare un nome e differenziare varie esperienze emotive primarie,
184
Tecniche per accrescere la consapevolezza
in aggiunta ad altre competenze collegate all’ambito emotivo. Possono imparare come
comprendere meglio le informazioni motivazionali implicate nelle emozioni identificando bisogni su cui possono agire. I terapeuti possono aiutare i clienti a parlare dei bisogni emotivamente salienti e della difficoltà di soddisfarli, in particolare, in relazione
alle emozioni associate con questi bisogni, e possono fornire loro modalità più dirette
di comunicare questi bisogni emotivi. Infine, le capacità di auto-calmarsi collegate
alla gestione delle esperienze emotive schiaccianti, includono il riuscire ad accrescere il
senso di sicurezza personale e a diminuire il livello di arousal emotivo. La capacità di
diminuire l’arousal emotivo si basa su esercizi di respirazione, sull’utilizzo di immagini
positive e sullo svolgimento di attività fisica (per es. correre). Un altro aspetto importante della regolazione emotiva è capire quando spingere l’attenzione più nel profondo
di sé fino al vissuto emotivo e quando questo potrebbe, invece, essere controproducente. Due importanti esercizi di consapevolezza che i terapeuti utilizzano per promuovere
la consapevolezza dei clienti depressi, sono la focalizzazione e la rivelazione evocativa
sistematica.
La focalizzazione
I terapeuti, di solito, utilizzano la focalizzazione quando i clienti desiderano
esplorare l’esperienza interiore ma non hanno chiaro come si sentono. C’è un senso
di annebbiamento o di incertezza, oppure di non essere in contatto con l’esperienza
soggettiva. In questi momenti, i terapeuti potrebbero suggerire ai clienti che stanno
cercando di focalizzarsi su un senso di sé non definito o assente. I clienti dovrebbero
identificare in quale luogo del corpo di solito registrano le emozioni. Poi il terapeuta
chiede loro di prestare attenzione a quello spazio interiore e di dare un nome a ciò che
vi si presenta. I clienti non devono riflettere su o monitorare quello che si trova lì, ma
semplicemente identificarlo per se stessi ed il terapeuta, e lasciarlo poi da parte. Una
volta che i clienti hanno dato un nome a tutte le sfumature dello stato soggettivo, i
terapeuti chiedono loro di identificare una delle emozioni, o delle problematiche, su
cui focalizzarsi e di seguire e concentrarsi solo sull’emozione per cercare di vedere cosa
accade. Se è un’etichetta verbale, gli si chiede di verificare nell’interiorità se sia adatta o
meno. Se l’etichetta non va bene, i clienti dovrebbero cercarne una che catturi meglio
il loro vissuto. I terapeuti li possono aiutare in questo processo offrendo con gentilezza
alcune ipotetiche alternative all’etichetta originaria. Terapeuti e clienti sono impegnati
vicendevolmente nella ricerca del nome più idoneo a quella esperienza, finchè non
l’abbiano trovato. Una volta che questo va bene, i clienti possono, di seguito, iniziare ad
esplorare il significato dell’emozione e ad identificare le problematiche o la situazione
a cui questa si collega.
Vi sono una serie di passaggi per guidare i clienti attraverso un compito di focalizzazione. Primo: il terapeuta identifica gli indicatori che segnalano che il cliente è vago,
bloccato o non chiaro in relazione alle proprie emozioni. Secondo: il terapeuta chiede
al cliente di prestare attenzione a questo senso del sé indefinito. Terzo: lo incoraggia a
cercare delle descrizioni possibili, che potrebbero includere un’immagine del senso del
185
La terapia emotion-focused per la depressione
sé o un nome per l’emozione. A questo punto, i clienti potrebbero sperimentare un
cambiamento nelle emozioni mano a mano che diventano più chiare; tuttavia, ciò non
accade sempre. Quarto: incoraggia i clienti a chiedersi cosa riguarda quell’emozione
o di esaminare se c’è qualche altra cosa, alla base di quel sentimento, che non hanno
rappresentato. Successivamente i clienti vengono incoraggiati ad apprezzare e consolidare qualunque cambiamento nelle emozioni che si sia verificato in seguito alla presa
di coscienza e alla sua chiarificazione. Si chiede ai clienti di mettere da parte qualunque
reazione critica o negativa verso le emozioni. Infine, questi esplorano l’emozione e la
situazione a cui queste si collegano (Depestele, 2004; Gendlin, 1996). Il terapeuta può
facilitare il processo di focalizzazione utilizzando riflessioni specifiche che guidano l’attenzione del cliente all’interno, verso le sensazioni corporee. I numerosi micro-processi
che seguono la focalizzazione sulle sensazioni corporee implicate nell’approfondimento
dell’esperienza, possono essere intrecciati uniformemente all’interno degli interventi
del terapeuta.
Per esempio, Frances era arrivata in terapia perché si era resa conto di essere molto depressa ma non riusciva a capirne il perché. Frances era una donna di 37 anni.
All’inizio della terapia, presentava un deciso orientamento all’esterno: riusciva a descrivere le situazioni e ad esprimere giudizi sugli altri, ma non riusciva a descrivere ciò
che sentiva. Gli unici riferimenti all’esperienza interiore erano descrizioni sui sintomi
fisici, come insonnia, irritazione e aumento dell’appetito. A volte faceva riferimento
a sensazioni corporee, come nodo alla gola o tensione alle spalle. Nel tentativo di
condurre la sua attenzione all’interno per iniziare a cogliere meglio come si sentisse,
il terapeuta le suggerì di tentare con la focalizzazione. In primo luogo, il terapeuta
individuò l’indicatore e si mise d’accordo con la cliente per lavorare insieme su questo
compito:
Terapeuta: «Sembra che sia difficile per lei capire come si sente momento-permomento. Ho ragione?».
Frances: «Sì, credo di sì. Spesso quando me lo chiede, ho un vuoto mentale;
non so cosa vorrebbe che le dicessi».
Terapeuta: «Perché non provare con un esercizio per vedere se possiamo arrivare ad una maggiore chiarezza su ciò che sente e su ciò che accade
dentro di lei?».
Frances: «Certo, se crede che possa essere d’aiuto».
Poi il terapeuta chiese alla cliente di spostare l’attenzione all’interno, di focalizzarsi sulla
sensazione:
Terapeuta: «Bene. Adesso le suggerisco di chiudere gli occhi e di portare la sua
attenzione all’interno. Di cosa si accorge se concentra l’attenzione
sul corpo?».
Frances: «Uhmm … Le mie mascelle sono strette e c’è anche contrazione
alle spalle».
Terapeuta: «Bene. Adesso è consapevole di questa tensione alle mascelle e alle
spalle. Se si concentra sulla tensione alle spalle, cosa sente?».
186
Tecniche per accrescere la consapevolezza
Frances: «Come una moltitudine di aghi che mi penetrano, oppure una
corda legata troppo stretta».
Dopo che la cliente prese consapevolezza di ciò che accadeva interiormente, il terapeuta iniziò a chiederle di simbolizzare l’esperienza con un’immagine o un nome:
Terapeuta: «Mentre si concentra sulla sensazione di dolore alle spalle, le viene
in mente nulla? Un’immagine, una parola, un’emozione?».
Frances: «Stanca… mi sento solo tanto stanca».
Poi la cliente si accorse di una mutazione nella sensazione. Non sentiva più
un’emozione indefinita, vaga e spiacevole, piuttosto l’emozione si era cristallizzata
in un senso di esaurimento. Ora terapeuta e cliente si trovavano in una posizione
migliore per scoprire cosa contribuisse alla sua depressione e per trovare dei modi per
alleviare questo esaurimento. Terapeuta e cliente esplorarono, dunque, cosa riguardasse quell’emozione:
Terapeuta: «Le sue spalle le dicono quanto si sente stanca. Di cosa è stanca?»
Frances: «Ho così tante cose da fare. Quando vado via da qui, devo correre
al lavoro per finire una relazione. Poi devo ritirare le cose in lavanderia e alcuni libri per mio figlio in biblioteca. Correre a casa e
preparare la cena e andare al consiglio dei genitori a scuola. Dopo
il consiglio, devo correre nuovamente a casa per preparare i vestiti
per domani, preparare il pranzo e pulire la casa prima di andare a
letto».
Terapeuta: «Wow! Sembra un’agenda pienissima. Sembra che le richieste fatte
al suo tempo e alle sue energie siano costanti. Posso immaginare
che si senta completamente esausta e svuotata. Non mi sorprende
che si senta depressa».
Frances: (Inizia a piangere sommessamente) «È così. Mi sento stanca per la
maggior parte del tempo; è come se mi trascinassi in giro e non
solo oggi, ma ogni giorno. Anche i fine settimana sono pieni di
commissioni, compiti e incontri sportivi dei figli. Sembra che non
ci sia mai il tempo di riposare».
Terapeuta: «Ha molte cose nel piatto; sembra che sia troppo. Riesci a restare
vicino a questo esaurimento ed a concentrare l’attenzione su tutti
i compiti e le richieste che deve soddisfare per vedere cosa succede?».
Frances: «Sento una pesantezza interiore».
Terapeuta: «Sì, mi sembra che stia sprofondando nella sedia. Ha un’aria così
consumata. È così che si sente?».
Frances: «Sì, esattamente. Sento il peso di tutto quello che devo fare che mi
schiaccia. Che posso fare? Non ho scelta».
Quando Frances parlò delle richieste pressanti, il terapeuta decise di potenziare
187
La terapia emotion-focused per la depressione
l’emozione per rendere la cliente ancora più conscia del peso che questa organizzazione
pressante stava assumendo, e per aiutarla ad entrare in contatto con i suoi bisogni al
fine di alterare le tendenze all’azione.
Terapeuta: «Frances, voglio che lei senta davvero la pressione di tutti questi
impegni che la schiacciano, che viva questo esaurimento appieno.
Adesso, di cosa ha bisogno la sua parte stanca?».
Frances: «Uhmm … non saprei … uhmm … di riposo. Credo».
Terapeuta: «Quindi sente di avere bisogno di riposo».
Frances: «Sì, ma come!»
Terapeuta: «Come può trovare il modo di farlo? Non c’è nulla che lei possa
spostare per avere un po’ di tempo per rilassarsi e distendersi?»
Frances: «Uhmm… Non è assolutamente essenziale che io vada all’incontro per i genitori questa sera a scuola. Semplicemente mi sento in
colpa e mi sento una cattiva mamma quando non ci vado».
In questa risposta è emerso un indicatore di autocritica. Il terapeuta lo notò e lo ha
mise da parte per esplorarlo in seguito con la cliente, continuando, invece, ad analizzare le modalità con cui Frances potesse alleggerire il carico e prendersi più tempo per
riposare e prendersi cura di sé nei giorni a venire.
La focalizzazione l’ha messa in contatto con il corpo in un modo diverso da prima.
È diventata più consapevole dei messaggi impliciti contenuti nelle sensazioni corporee,
e maggiormente in grado di descrivere le emozioni che li accompagnavano. Il terapeuta
e Frances diventarono maggiormente consapevoli di cosa contribuisse alla depressione
della cliente. Dall’esercizio, era risultato evidente che Frances pretendesse molto da se
stessa. Lei ed il terapeuta lavorarono per iniziare a modificare il comportamento, ma
questo era solo l’inizio, dal momento che Frances doveva prendere coscienza di come
arrivava a tal punto e doveva sviluppare alternative per relazionarsi con se stessa, assicurandosi una maggior cura di sè ed una maggior considerazione dei suoi bisogni. Nelle
ultime sedute, Frances e il terapeuta esplorarono le origini di questo comportamento e
il processo con cui pretendeva così tanto da sé. Identificarono i messaggi che mandava
a se stessa e svolsero un lavoro con le due sedie per modificare ulteriormente il comportamento.
La rivelazione evocativa sistematica
La rivelazione evocativa sistematica è un altro compito importante che può aiutare
i clienti a diventare più consapevoli di come elaborino le esperienze emotive. Spesso i
clienti depressi non sono in grado di individuare le ragioni o le cause dei sentimenti di
disperazione. Quando i clienti non sono sicuri dell’origine delle emozioni o quando le
considerano esagerate, i terapeuti possono suggerire una rivelazione evocativa sistematica. Il processo a sei fasi include, prima di tutto, l’identificazione della reazione depressiva che il cliente considera confusa. In secondo luogo, il terapeuta chiede al cliente di
fornire una descrizione vivida della scena in cui si è presentato, o è peggiorato, lo stato
188
Tecniche per accrescere la consapevolezza
depressivo. Insieme, il cliente ed il terapeuta lavorano per ricostruire e riacquisire un
senso grafico della situazione. Come terzo punto, una volta che il terapeuta e il cliente hanno ricreato con chiarezza la scena, il terapeuta dirige il cliente verso la ricerca
degli aspetti particolarmente salienti della situazione che hanno innescato la reazione
depressiva. Nel quarto step, dopo aver identificato gli aspetti salienti della situazione, il
cliente riesce a determinare come ha interpretato lo stimolo in modo da arrivare ad una
comprensione del significato personale, un processo noto come significato ponte.
Per aiutare i clienti a comprendere meglio la propria reazione, i terapeuti li aiutano
a focalizzarsi sulle differenziazioni qualitative fra reazioni affettive, al fine di determinare l’impatto di una situazione. Per esempio, i clienti potrebbero focalizzarsi sul proprio
senso di umiliazione in seguito all’espressione facciale di un altro senza descrivere lo
stimolo come “sprezzante”. Il quinto passo, consiste nell’aiuto che il terapeuta fornisce
al cliente nel riconoscere lo schema emotivo che è stato attivato dalla situazione problematica. Il cliente diventa consapevole del proprio stile personale e delle modalità generali di risposta che, poi, può esaminare per comprenderne le origini e determinare se
sono ancora utili. Per finire, il sesto ed ultimo punto prevede che, dopo l’esplorazione
dello schema emotivo, il cliente arrivi a modalità alternative di risposta o di interpretazione della situazione. Lo scopo dell’utilizzo della rivelazione evocativa sistematica è
quello di portare i clienti a rivivere il più pienamente possibile la situazione problematica, al fine di simbolizzarla più accuratamente nella coscienza fino a scoprirne l’impatto
o il significato personale ed identificare bisogni e tendenze all’azione alternativi (Rice,
1974).
L’importanza di sperimentare le reazioni agli eventi interiori ed esteriori collegate
alla risposta affettiva come mezzi di promozione di un’elaborazione ottimale nel cliente, si basa su due assunzioni fondamentali della EFT: la prima è che gli esseri umani
sono motivati alla crescita, alla pienezza e allo sviluppo completo del proprio potenziale
e la loro crescita è meglio facilitata se prestano attenzione all’esperienza olistica legata
alle emozioni; la seconda, che le persone possiedono la capacità di spostare la propria
attenzione sull’interiorità per rintracciare le esperienze emotive e prendere consapevolezza delle emozioni, dei bisogni, delle reazioni e percezioni del momento (Rice &
Greenberg, 1992). In altre parole, le persone sono in grado di scoprire il significato
personale della propria esperienza cercando di focalizzarsi all’interno e prestando attenzione alle emozioni.
Caso esemplificativo: paula
Paula, una donna sui 30 anni, era un architetto di professione, ma l’azienda presso
cui stava lavorando aveva dovuto ridursi e lei era stata licenziata. Inoltre, aveva divorziato di recente. Quando aveva iniziato la terapia, aveva deciso di ritornare a studiare
per completare un master. Era stato difficile individuare un focus chiaro sugli eventi
precipitanti della depressione. Il terapeuta le aveva suggerito di osservare i suoi comportamenti fra un appuntamento e l’altro per identificare le modificazioni nell’umore, in modo da poterle esplorare nella seduta seguente. Nella seduta successiva, Paula
189
La terapia emotion-focused per la depressione
aveva identificato una mutazione importante nell’umore nella settimana precedente, e
desiderava esplorarla meglio per comprendere cosa avesse innescato la depressione. La
cliente aveva iniziato descrivendo questa modificazione verso la depressione:
Paula: «Mi sentivo davvero di aver in mano la situazione, ma poi, questa
settimana, le cose si sono semplicemente disintegrate».
Terapeuta: «Cosa è accaduto questa settimana?».
Paula:
«Ho avuto un test in uno dei corsi per cui credevo di essere abbastanza preparata ed era … uhmm … sull’espressionismo. Quello
che dovevamo fare … essenzialmente, guardavamo delle diapositive, che non avevamo mai visto prima, e dovevamo individuare
l’artista e … uhmm … solo dire qualcosa su di lui. Ma non so se il
professore lo trovasse divertente o se credeva fosse spassoso, ma in
pratica ha proiettato delle diapositive, di cui molte non erano per
nulla caratteristiche di un autore… ».
Terapeuta: «Hmm… ».
Paula: « …E noi dovevamo in qualche modo, capirlo dal titolo».
Terapeuta: «Mm-hmm… ».
Paula: « …E questo va bene; tutti, nella classe hanno detto che era stato
“un po’ ingiusto”, ma io mi sono arrabbiata tanto e poi mi sono
resa conto che, per il resto della settimana, ero stata estremamente
depressa. Semplicemente l’ho trovato demoralizzante».
Terapeuta: «Uh-huh».
Paula:
«Quindi credo che abbia qualcosa a che fare con le persone che
giocano … che giocano sporco».
Terapeuta: «Hai sentito che fosse ingiusto?».
Paula: «Sì, sì e, voglio dire, so che probabilmente alla lunga non si tratta
di … non so, non importa se non tiene conto della diapositiva o
cos’altro, non è quello, non per me, non riesco nemmeno, non so,
forse è stato un abuso di potere, è stato … l’ho trovato … semplicemente mi ha fatto infuriare».
Terapeuta: «Quindi in qualche modo ha creduto che avesse infranto delle regole, o… ».
Paula: «Sì, e cosa peggiore, erano regole che lui aveva stabilito. Voglio
dire, è stato lui a dire che il test si sarebbe svolto secondo una
determinata modalità e questo è quello che noi avremmo dovuto
cercare di fare, cercare di imparare, e poi, invece, è stata una cosa
completamente diversa. Voglio dire, non era del tutto diversa, ma
in parte, ma … io considero queste situazioni estreme; voglio dire
mi fanno semplicemente uscire dai gangheri».
Terapeuta: «In qualche modo ha mischiato le carte, oppure sono state violate
le sue aspettative?».
Paula: «Suppongo di sì, perchè so che la mia reazione è stata sproporzionata…».
Terapeuta: «Sente che la sua reazione è stata sproporzionata per intensità?».
190
Tecniche per accrescere la consapevolezza
Paula: «Sì, sì. Voglio dire, deprimersi per il resto della settimana non va
bene, e, voglio dire, ho cercato di gestire il tutto, ma poi mi sono
resa conto che è cominciato tutto lì, perché prima mi sentivo bene».
Terapeuta: «Mm-hmm, quindi la sua reazione sproporzionata era la depressione? (Il terapeuta domanda quale sia stata la reazione che la cliente
ha vissuto come problematica).
Paula: (Sospira) «Il fatto che non potessi smuoverla».
Terapeuta: «Potrebbe essere più utile osservare il tutto più da vicino, cosa crede?».
Paula: «Sì, va bene».
In questo scambio Paula ha descritto la reazione problematica. Diversamente dalle
volte precedenti quando il suo umore era cambiato, questa volta era riuscita ad individuare lo spostamento dalla rabbia alla depressione. Tuttavia, era confusa dall’intensità
della rabbia e dal fatto che non fosse stata in grado di allontanare la depressione. Il
terapeuta aveva impiegato un po’ di tempo nel decidere che la reazione fosse problematica per la cliente e poi ha suggerito di esplorare l’evento nei dettagli, e la cliente è
stata d’accordo. A questo punto, il terapeuta ha cercato di portare Paula a ricordare gli
eventi con maggiore dettaglio. Le ha chiesto di essere concreta e specifica in relazione
all’accaduto come per rendere la scena più vivida e accessibile e riuscire ad accedere
meglio alla reazione emotiva di quel momento.
Terapeuta: «Bene, quindi secondo lei il problema sta nel fatto che non è riuscita a liberarsi della depressione. Mi dica allora cosa è accaduto
durante il test».
Paula: «Uhmm, mentre stavo scrivendo quello che mi sembrava più ragionevole, ipotesi ragionevoli, l’ultima diapositiva presentata era
astratta, quindi non c’era alcun modo di poter indovinare, ma si
supponeva che lo facessimo. È stato una sorta di gioco espressionistico per lui e, voglio dire, so che era proprio quello che cercava di
fare e va bene, ma questo mi ha … mi ha fatto arrabbiare moltissimo».
Terapeuta: «Quindi in qualche modo … uhmm … possiamo riuscire a cogliere meglio il senso di tutto ciò? Sta seduta nella classe e arriva a vedere questa diapositiva che non può essere ricollegata a nulla…».
Paula: «Uh-huh».
Terapeuta: «Viola le sue aspettative e il suo senso del contenuto del test».
Paula: «Mm-hmm, mm-hmm, mm-hmm».
Terapeuta: «Uhmm… e cosa accade? Non si arrabbia in quel momento perché…».
Paula: «No, no perché non sapevo che … dopo le abbiamo riviste e ci ha
detto, ci ha dato le risposte al test e quindi con l’ultima, mi sono
resa conto, ecco quando mi sono resa conto. Sì, dal momento che
tutti dicevano “Ma questa non è proprio caratteristica dell’artista”,
191
La terapia emotion-focused per la depressione
lui ha detto: “Beh, vi avevo detto che vi avrei dato i titoli e in gran
parte dei casi questi non sono importanti, ma in questo caso il titolo era molto importante, perchè è stato un gioco espressionistico
e voi dovevate capire dal titolo che si trattava di un gioco”. Voleva
dire: “Dovreste conoscere il surrealismo talmente più di noi per
avere solo una possibilità di indovinarlo, e non credo che potreste
mai riuscirci, a meno di non sapere di chi fosse questa tela”».
Il terapeuta, così, ha lavorato con la cliente per cogliere meglio il senso della situazione che aveva innescato la rabbia e la depressione. Poi il terapeuta ha cercato di comprendere l’interpretazione che Paula aveva dato alla situazione per capire come l’avesse
giudicata e, quindi, il significato idiosincratico che aveva per lei, e ha iniziato a sondare
le cose più salienti dell’evento per cercare di identificare quello che aveva originato le
reazioni della cliente.
Terapeuta: «Quindi è la domanda che dipende così tanto dal titolo che le
sembra ingiusta?».
Paula: «Non era dipendente; era ingiusta, perché nessuno di noi, a meno
che non avesse visto il quadro prima, cosa non possibile visto che il
presupposto era di non averli mai visti prima, aveva una possibilità
di indovinare, perché era solo una barzelletta».
Terapeuta: «Quindi è il fatto che ci fosse un trucco che l’ha portata a quella
reazione?».
Paula: «Sì, è il fatto che se c’è qualcosa nella vita che si suppone dovrebbe
essere giusto e seguire le regole, dovrebbero essere gli esami. Voglio
dire, ti dicono cosa dovresti studiare, e questo va bene, non ho
difficoltà con gli esami difficili o con il fatto che possano essere
estremamente difficili o che siano ambigui, ma quando non c’è
modo di conoscere la risposta senza … quando non c’è … quando
non c’è modo di sapere la risposta, voglio dire, quando c’è una
domanda ingannevole».
Terapeuta: «Quindi riguarda questo: è il fatto che la domanda fosse ingannevole che l’ha seccata?».
Paula: «Sì! Non stava giocando secondo le sue regole. Voglio dire, ha tutto
il potere in questa situazione; è lui che stabilisce le regole. Voglio
dire, non è nemmeno … le regole non sono nemmeno imposte da
qualcuno di esterno e qualcun altro, invece, deve fare l’esame, lui
è l’unico a dire cosa si deve studiare e ha barato sulle sue regole».
Terapeuta: «Quindi si è sentita imbrogliata».
Paula: «Sì, decisamente».
Terapeuta: «Come se in qualche modo si fosse approfittato di lei?».
Paula: «No, come se mi avesse sfilato via il tappeto da sotto i piedi. Non
importa quanto fossi preparata per l’esame».
Terapeuta: «É questo che l’ha fatta arrabbiare?».
Paula: «Oh, ero furiosa, furiosa. Poi subito dopo, quasi immediatamente
192
Tecniche per accrescere la consapevolezza
dopo, mi sono resa conto che mi ero tremendamente demoralizzata e poi da li è partito tutto, voglio dire… ».
Il terapeuta e la cliente hanno identificato cosa, della situazione, l’aveva fatta infuriare così tanto. Poi hanno iniziato ad esplorare la reazione di Paula in maggiore
profondità. Paula ha esplorato come gestiva le situazioni difficili e ha esaminato quanto
fosse difficile per lei confrontarsi con il cambiamento e le sfide.
Terapeuta: «Quindi si sente davvero arrabbiata e ha un senso di sconfitta,
demoralizzazione, abbattimento?».
Paula: «Mm-hm, il problema è che questo passaggio è velocissimo e poi
è come se venisse fuori un nastro automatico, come se uno dicesse
sempre la stessa cosa; sento me stessa ripetere, non sono sicura se
sia proprio questo, che non importa quanto io possa impegnarmi,
le regole possono essere modificate».
Terapeuta: «Quindi non importa cosa fa».
Paula: «Sì, ma in parte… Non so quanto fidarmi di questi pensieri, perchè sono … sono quello che esaspera la mia depressione. Voglio
dire, la fanno partire, costruiscono un senso di sconfitta».
Terapeuta: «Quindi, quale è il punto? Le carte verranno cambiate comunque».
Paula: «Sì e questo non fa che peggiorare il tutto. Poi … poi devo, e voglio dire, lo faccio, ho la tendenza … dovrei fare una presentazione
in classe e semplicemente non la faccio, non ci arrivo, come se gli
dimostrassi che ha ragione, non so … non provandoci … tutto si
mescola».
Terapeuta: «Quindi getta la spugna».
Paula: «Sì e mi sembra di non poter arrivare … se riuscissi a restare arrabbiata, andrebbe bene, oppure se potessi trattenerla per nutrirla;
credo che se riuscissi a restare arrabbiata, sarebbe meglio».
Terapeuta: «Mh-hm. È difficile restare arrabbiati».
Paula: «Sì, non credo, voglio dire, credo. Sì, mi arrabbio; non mi arrabbio nemmeno con me stessa, perché non è nemmeno così, non è
… mi arrabbio con me stessa dopo, perché, voglio dire è solo un
senso di sconfitta e di perdita. Voglio dire, è solo … diventa un
malessere da cui non sembra esserci via d’uscita».
Terapeuta: «Mm-hm, quindi sente il peso della sconfitta».
Paula: «Mm-hm, sì. Lo trovo [sospira] estremo; estremamente difficile.
Ero … ero davvero alquanto stupita dalla mia reazione. Voglio
dire, essere … era forse la prima volta che mi sono osservata. Mi
rendo conto che non voglio più giocare questo gioco».
Paula quindi è diventata più consapevole di come reagiva agli eventi. Era rimasta
sorpresa dalla sua reazione. Il terapeuta aveva continuato ad esplorare il significato della
sua reazione per comprenderla meglio.
193
La terapia emotion-focused per la depressione
Paula: «Ed è, credo lo sia, credo sia una reazione infantile … e, dire, adesso me ne vado a casa».
Terapeuta: «In qualche modo vedere qualcuno che cambia le proprie regole, è
difficile continuare a giocare».
Paula: «Sì, bene, quello che voglio fare prima di tutto è puntare i piedi e
arrabbiarmi davvero e dire: “Non puoi farlo!”».
Terapeuta: «Mm-hm».
Paula: «Solo che non lo faccio, voglio dire, vorrei [sospira]; credo che vorrei fare di più, perché credo che…».
Terapeuta: «Quindi vorrebbe dirgli…».
Paula: «Mm-hm».
Terapeuta: «…Che è stato ingiusto…».
Paula: «Mm-hm»
Terapeuta: «…Ma in qualche modo non ci riesce».
Paula: «Vado nel panico, perché comunque lui ha il potere».
Terapeuta: «Provi panico?».
Paula: «Sì, sì, divento … quando mi arrabbio, e permetto qualcosa come
quello sbaglio, inizio ad andare nel panico».
Terapeuta: «Cosa accade, haipaura?».
Paula: «Mm-hm».
Terapeuta: «Di che?». (Chiede alla cliente di indagare la fonte della paura di
esprimere agli altri le proprie reazioni).
Paula: (Sospira) «Perché di solito le persone che fanno cose come quelle
sono … adesso, non so se, e so da dove viene tutto, ma spesso
sono, spesso carine, persone dignitose. Voglio dire, spesso sono, sa
… e non so se … solo che non so se questo è … se loro [sospira] …
non so, divento confusa in relazione alla mia reazione. Voglio dire,
dovrei solo, bene, dovrei solo … anche solo dire a me stessa, bene,
sai “È stato proprio uno scemo” e andarmene, ma non ci riesco».
Terapeuta: «È davvero difficile per lei dire, hey, non credo che sia stato giusto».
Paula: «Mm-hm».
Terapeuta: «Di cosa si tratta?».
Paula: (Sospira) «Di tutto; voglio dire, sono così confusa. In parte, mmhm, oh beh, è davvero una persona gentile, non dovrei dire cose
come … che sarebbero offensive. Fa parte di questo, una sorta di
senso esagerato del mio potere e importanza in tutta questa faccenda».
Terapeuta: «Quindi in qualche modo sente di doverlo proteggere, o ».
Paula: «Sì».
Terapeuta: «E non è in linea con la gentilezza coglierlo in fallo».
Paula: «Sì, sì, o dire qualcosa del genere e una parte di questo è anche
che, che lui ha ancora, voglio dire, il gioco va ancora avanti e …
e ho paura che se lui, sa, se lui è cambiato … voglio dire, parte
della paura è che possa di nuovo cambiare le regole e che non sia
davvero una persona gentile e forse se ne accorgerà e cambierà di
194
Tecniche per accrescere la consapevolezza
nuovo le regole».
Terapeuta: «Mm-hm, quindi una parte di lei non crede di poter esprimere
come ti senti, perché potrebbe ferire l’altro…».
Paula: «Mm-hm».
Terapeuta: «…E un’altra parte che dice: “È pericoloso”».
Paula: «Sì».
Terapeuta: «…“Se dico ciò che provo, mi metterò in pericolo”…».
Paula: «Mm-hm, mm-hm».
Terapeuta: «“Potrei correre un pericolo maggiore”».
Paula: «Voglio dire, ci sono questi due lati conflittuali che si verificano
allo stesso momento».
Terapeuta: «Mm-hm».
Paula: «E poi io alla fine finisco per lasciar perdere ed è come se dicessi:
“Bene, non lascerò che tu ferisca me, ma ti ferirò io”; “Me ne andrò a casa e non giocherò più, e non… ”. Ma significa comunque
che alla fine perdo, non so come gestire tutto questo perchè non
posso rendere la vita più giusta».
Terapeuta: «Quindi sa che non potrai cambiarla».
Paula: «No, voglio dire ed è [sospira] bene, lo trovo frustrante, ma è …
ma … [inizia a piangere sommessamente]».
Terapeuta: «Cosa dicono queste lacrime?».
Paula: «Hmm?».
Terapeuta: «Cosa dicono queste lacrime?».
Paula: (Sospira) «Perché in qualche luogo lungo la strada, non so, credo
che qualcuno mi abbia detto che la vita era giusta e io mi aspettavo
che fosse così, ed è … e non importa quanto il mio senso razionale, il sé, dica che è ingiusta, comunque, io divento, io … io me la
prendo. Ma la cosa peggiore è che ogni volta che accade, è come se
sentissi una piccola scheggiatura, come se ogni volta mi portassero
via un pezzettino».
Terapeuta: «C’è davvero questo senso di distruzione? Ogni qual volta qualcuno le cambia le regole, una parte di lei si perde?».
Paula:
«Sì, perchè mi sento come quando le cose vanno bene, mi sento
come, dico a me stessa, bene, ci sto riuscendo, come se alla fine
riuscissi a comprendere le regole e … ed è per questo che anche
il minimo, quello che io vivo come una sorta di trasgressione alle
regole, mi fa sentire come se tutto mi crollasse addosso e non …
non riesco a capire più niente».
Terapeuta: «Per lei è davvero difficile affrontare il cambiamento».
Paula: «Mm-hm».
Il terapeuta ha identificato una difficoltà generale della cliente. Questo a portato
Paula ad analizzare altre occasioni della vita in cui ha agito nello stesso modo.
Terapeuta: «È davvero difficile quando le cose cambiano. Alla fine finisci per sentirti confusa».
195
La terapia emotion-focused per la depressione
Paula: «Sì, e credo che questo succeda da quando sono molto piccola. Trovo
i cambiamenti davvero difficili; li trovo, beh, semplicemente non li
affronto. E voglio dire, il solo pensiero delle cose che cambiano semplicemente mi manda nel panico, ed è … e credo che quello che ha
innescato tutto ciò, questa ultima crisi, sia il fatto che troppe cose sono
cambiate. Voglio dire, negli ultimi due anni ho divorziato e ho perso il
mio lavoro, ed è, è semplicemente troppo per me».
Terapeuta: «Mm-hm, quindi tanti tappeti le sono strati strappati da sotto i piedi».
Paula: «Mm-hm».
Paula alla fine ha compreso la reazione problematica. Si è resa conto che si sentiva
schiacciata dai numerosi cambiamenti che si erano verificati nella sua vita negli ultimi
anni. Una parte di lei avrebbe voluto ritirarsi e rallentare il tutto, invece che cercare di
affrontare le cose e gestire tutti i cambiamenti. La cliente si è anche resa conto di come
affrontava questi cambiamenti. Ha cercato di controllarsi e non ha permesso a se stessa
di cambiare, nel tentativo di minimizzare l’impatto. Tuttavia, nonostante la sua riluttanza, ha anche spinto se stessa troppo in là, indice del fatto che non stava rispettando
i propri sentimenti. Invece che ascoltare i propri bisogni, si era forzata a fare cose che
erano troppo pesanti e difficili. Si era resa conto che questo le aveva lasciato un senso
di intrappolamento.
Terapeuta: «Quindi spingere troppo su di lei non l’aiuta a risolvere le cose».
Paula: «No, in realtà e controproducente».
Terapeuta: «Uh-huh. Quindi una parte di lei non lo vorrebbe».
Paula: «No, oh, ma … è così frustrante, perché è frustrante anche guardare tutto quello che sta accadendo. Voglio dire, vederlo accadere,
vedere la rabbia che si trasforma in depressione e non … è … non
sembra esserci nulla che io possa fare».
Terapeuta: «Non pensa di avere alcuna possibilità?».
Paula: «Ci sono delle possibilità, ma non so come, non so come, sì, non
so come fare».
Terapeuta: «Non crede di riuscire a parlarne?».
Paula: «Non credo di riuscirci, è non so come farlo».
Terapeuta: «Crede di non sapere come esprimere… ».
Paula: « …Credo… ».
Terapeuta: « …Cosa le accade con gli altri?».
Paula: «Mm-hm, mm-hm».
Terapeuta: «In qualche modo le fa troppa paura».
Paula: (Sospira) «Sì, di solito; è divertente, perchè so che le persone che
conosco resterebbero davvero sorprese se gli dicessi che faccio fatica ad esprimermi, ma … ci sono alcune, ci sono alcune persone
in alcune situazioni che semplicemente, voglio dire, non riesco
proprio ad affrontarle».
Terapeuta: «Quindi ci sono alcune persone con cui non riesce a esprimersi».
196
Tecniche per accrescere la consapevolezza
Paula: «Sì, sì, alcune persone, trovo … credo … vorrei … sì, ci sono alcune persone, alcune situazioni che trovo più difficili di altre».
Terapeuta: «Mm-hm, non tutte le situazioni».
Paula: «Non credo».
Terapeuta: «Quali situazioni la mettono in difficoltà?».
Paula:
«Quando le persone non sono leali e c’è … e sono in una posizione
di potere, ma io non sono nella posizione per poter leggere quello
che sono, quindi è … ecco quello che trovo … trovo che davvero
… [sospira] Sì è, è … è molto più complicato di questo, perchè di
solito mi metto anche io in queste situazioni, e non riesco a separare, è come se ogni situazione avesse per me le stesse conseguenze di
vita o di morte. Voglio dire, è … non sono … [sospira] non penso
di poter semplicemente dire “Bene questo … quello che faccio
qui non è importante, quindi… ”. Voglio dire, “Non … non devi
prendertela troppo”, oppure “Non è importante”. Non ci riesco.
Tutto assume … per me assume le stesse proporzioni».
Terapeuta: «Quindi in qualche modo per lei è difficile dare la giusta proporzione alle cose? Si sente sempre come se stesse perdendo molto?».
Paula: «Mm-hm, voglio dire, sì, sembra davvero che sia esattamente così.
È come se tutto avesse esattamente lo stesso peso e credo che è per
questo che trovo così difficili le decisioni, anche, perché, voglio
dire, tutto, non so … non mi sembra di avere un modo per dare la
giusta priorità alle cose. È … le cose hanno tutte lo stesso peso o
la stessa valenza, o la stessa [sospira] … che non sembra nemmeno
giusto quando lo dico, ho davvero imparato a fare davvero, puramente a livello intellettuale, e … ma non su quello emotivo. Non
è così che mi sento. Parlare al telefono con qualcuno ha le stesse
possibili conseguenze di [sospira] … È … inoltre, le cose possono
ferirmi, ecco come mi sento».
Terapeuta: «Quindi si sente molto, molto vulnerabile».
Paula: «Mm-hm».
Terapeuta: «Sempre».
Paula: «Mm-hm, e … [sospira] è così, e io … voglio dire, anche questo
sorprenderebbe le persone, perché, voglio dire, è così ma non lo è
… no, è così, a livello emotivo mi sento sempre vulnerabile, sempre».
Terapeuta: «Quindi si sente costantemente in pericolo?».
Paula: «In parte, perché non so mai cosa … potrebbe essere qualcosa
di molto piccolo che innesca una settimana di depressione, cosa
che è semplicemente devastante. Voglio dire, mi tolgo intere settimane quando sto … [piange] così. Tutto quello che finisco per
fare è piangere, per giorni e giorni [sospira] e il problema è che è
quasi sempre una profezia che si auto-avvera, perchè quando sono
depressa per una settimana o per due settimane o per quanto sia,
voglio dire, non riesco a fare nulla e quindi è semplicemente … è
… è devastante».
197
La terapia emotion-focused per la depressione
Terapeuta: «Quindi in qualche modo, poiché è così sensibile, uhmm, si ritrova depressa e questo ha delle conseguenze per lei».
Paula: «Mm-hm, mm-hm».
Terapeuta: «Perché non raggiunge i tuoi obiettivi?».
Paula: «Sì».
Terapeuta: «Quindi a cosa si riferisce questa vulnerabilità?».
Paula: «Non lo so, voglio dire, davvero non lo so».
Terapeuta: «È forse la sensazione di sentirsi sempre minacciati dagli altri?».
Paula: «No, di deludere gli altri, di più».
Terapeuta: «Deludere le altre persone».
Paula: «Mm-hm, credo sia più questo che sentirsi minacciata».
Terapeuta: «Quindi si preoccupa di deludere gli altri. Questo sembra importante da poter esplorare in futuro. Cosa ne pensa? Dobbiamo terminare adesso, ma forse possiamo analizzarlo la prossima settimana».
Paula: «Sì … sembra importante».
Questa è stata una seduta di vero sblocco per Paula. Prima di questa seduta aveva
grandi difficoltà ad identificare le condizioni che contribuivano alla sua depressione.
Attraverso l’esplorazione delle sue reazioni intense a quello che, all’inizio, sembrava solo uno sciocco incidente senza grandi significati personali, Paula ha scoperto un importante modo di essere nel mondo: nascondere i propri sentimenti per proteggere quelli
degli altri. Nel corso della seduta, Paula si è resa conto che aveva difficoltà ad esprimere
le emozioni agli altri ed ha anche capito che la ragione di questo la sua costante preoccupazione di deluderli.
Di conseguenza, Paula aveva represso le proprie emozioni e bisogni, e questo silenzio imposto contribuiva alla sua depressione. Lei ed il terapeuta concordarono di
esplorare ulteriormente come si mettesse a tacere e quali potessero essere le possibili
origini di questo comportamento nelle sedute successive. Nella seduta seguente, Paula esplorò come si fosse sempre sentita ad aver deluso il padre e come lui non avesse
mai approvato le sue azioni. Si era anche resa conto che parte della riluttanza e della
difficoltà con i cambiamenti derivavano dal divorzio dal marito, che lei aveva sposato
convinta che nulla potesse andare storto. Infine, la cliente iniziò ad osservare in che
modo mettesse a tacere se stessa nelle attuali relazioni, e fu in grado di riconoscere la
sensazione di sentirsi trascurata, comunicandolo al partner in maniera cortese in modo
da rispettare i suoi sentimenti e quelli dell’altro.
Facendo focalizzare, lentamente e con attenzione, Paula sulle reazioni e sulle interpretazioni degli eventi, il terapeuta riuscì ad aiutarla ad individuare il suo stile personale di essere al mondo e a comprendere meglio quello che stava facendo a se stessa e che
contribuiva alla sua depressione. Di conseguenza, riuscirono ad esplorare il perchè lo
facesse e a rielaborare alcuni eventi della sua vita utilizzando l’unfinished business con il
padre e con l’ex marito, per creare nuovi significati e generare stili alternativi che meno
compromettessero il suo benessere.
198
CAPITOLO 10
10 EVOCAZIONE E AROUSAL DELLE EMOZIONI
La terapia emotion-focused (EFT) cerca di evocare il vissuto emotivo viscerale dei
clienti e di aiutarli ad esprimere queste emozioni nella seduta. L’emozione, quando evocata, diventa accessibile a nuovi input; ed i clienti devono provare l’emozione dolorosa
fino in fondo per poterla trasformare. I terapeuti aiutano i clienti a distinguere le emozioni che trasformano da quelle che, invece, devono essere trasformate. Così, la tristezza,
la colpa e le lamentele secondarie (ossia di difesa, di reazione, o di evitamento), oppure
un sentimento generale di disagio, devono essere esplorati per individuare le emozioni fondamentali, mentre la paura e la vergogna disadattive devono essere trasformate.
L’esperienza viscerale e l’espressione delle emozioni secondarie non è, di per se stessa,
terapeutica. È solo un passaggio verso il cambiamento. Al contrario, l’esperienza viscerale e l’espressione delle emozioni fondamentali adattive, genera una trasformazione
terapeutica. Quando il cliente sperimenta, a livello viscerale e corporeo, le emozioni
fondamentali adattive, senza evitarle o interromperle, si verifica un cambiamento. Il
flusso esperienziale e l’espressione delle emozioni fondamentali fornisce accesso, per
una reazione più adattiva, a ricordi, fantasie e risorse interiori non bloccate e precedentemente inaccessibili. L’accesso a tendenze all’azione prima nascoste e l’attivazione di
risorse e forze interiori sulla base di questi stati emotivi adattivi, è uno degli agenti terapeutici più importanti della EFT. L’accesso alle emozioni positive, inoltre, promuove il
problem-solving creativo ed il pensiero flessibile. Mentre l’accesso ad emozioni disagevoli
e spiacevoli promuove l’approfondimento e la rivelazione, gli stati emotivi positivi, a cui
si arriva dopo questa fase, servono ad ampliare l’orizzonte e costruire.
La domanda chiave che sorge in relazione all’espressione emotiva è se questa sia in
se stessa terapeutica, come Reich (1949) ha proposto, o se sia terapeutico il processo
più complesso di portare alla consapevolezza un pattern di espressione e di evitamento
e di esporre l’emozione espressa a nuovi input. In quest’ultimo caso, l’espressione definitiva implica un’integrazione dell’attività espressiva e della consapevolezza dei processi
di interruzione e dell’emozione interrotta, da un lato, e la trasformazione dell’emozione
con la creazione di nuovi significati dall’altro; è questa integrazione che è massimamente positiva. Così, non si tratta semplicemente di far uscire le emozioni. Piuttosto,
è importante, nell’espressione, un processo complesso di consapevolezza sui processi di
199
La terapia emotion-focused per la depressione
interruzione e sulle emozioni soppresse, sul rilassamento muscolare e sull’esecuzione di
programmi motori psicoaffettivi, seguita dall’esposizione a nuove esperienze ed informazioni e dalla costruzione di significati.
È importante ribadire che la guarigione si verifica quando un cliente sperimenta
le emozioni primarie all’interno di una relazione con un terapeuta emotivamente coinvolto, che convalida la sua esperienza ed empatico. La regolazione dell’emozione fornita da una relazione empatica consente di vivere delle esperienze emotive fondamentali,
precedentemente ignorate e temute perché insopportabili, per arrivare alla luce, essere
lenite ed utilizzate. Sono necessarie due persone per costruire la capacità di regolare le
emozioni in modo da poterne utilizzare il potenziale trasformativo (Fosha, 2000). A
volte, i clienti hanno anche bisogno di essere aiutati a prendere una certa distanza dalle
emozioni che si rivelano schiaccianti. Perché l’evocazione sia efficace, i clienti devono riuscire a dare un nome alle emozioni, sopportarle e accettarle. Quando risultano,
invece, sopraffatti da queste, ciò non può accadere e, anzichè evocare l’emozione, si
rende obbligatorio creare, prima, la distanza necessaria al lavoro emotivo insegnando e
facilitando competenze di regolazione affettiva. Queste tecniche vengono discusse più
approfonditamente nei capitoli 11 e 13.
L’evocazione delle emozioni e l’incoraggiamento dell’espressione relativamente
libera di queste nella terapia, è ciò che distingue la psicoterapia da altre forme di relazione, in cui le emozioni sono generalmente più controllate e regolate su basi sociali.
L’apprendimento che si verifica nel processo terapeutico è un apprendimento emotivo
e trovare nuove modalità di gestione delle emozioni diventa essenziale per apportare
cambiamenti nello stato depressivo. Il cambiamento nell’esperienza emotiva fondamentale disadattiva, dipende principalmente dall’attivazione delle esperienze disadattive di paura e vergogna che stanno alla base della disperazione e, poi, dall’accedere alle
emozioni adattive come la tristezza per ciò che si è perduto, il desiderio di intimità e la
rabbia in reazione ad un maltrattamento. Queste emozioni adattive vengono ascoltate,
confermate ed utilizzate per dare vita ad un senso più forte del sé in maniera da agevolare la trasformazione delle emozioni disadattive del cliente.
Infine, è importante notare che l’espressione emotiva in terapia è differente
dall’espressione emotiva nella vita quotidiana. In terapia sono le emozioni non elaborate, quelle problematiche, ad essere evocate e rielaborate, non le reazioni emotive impulsive. Reclamare un ruolo predominante per l’evocazione e l’espressione delle emozioni
in terapia, non è la stessa cosa che promuovere una forma di espressione emotiva nella
vita del tipo “fuori tutto”. L’espressione emotiva nella vita, deve tenere in considerazione molti fattori ed è una reazione attuale a situazioni molto differenti dalla terapia,
in cui l’emozione viene evocata in relazione a situazioni passate o interpretazioni o
ricostruzioni presenti.
L’evocazione e l’arousal delle emozioni all’interno della seduta va oltre il processo
della consapevolezza delle emozioni discusso nel capitolo 9, per arrivare ad un vissuto e
una modalità espressiva più viscerali. Nel processo evocativo, il terapeuta incoraggia: la
consapevolezza e l’eliminazione dei processi di interruzione; il libero flusso e l’accettazione delle emozioni dolorose, adattive e disadattive; l’utilizzo di queste emozioni come
fonte di informazioni per le azioni adattive e l’accesso a nuove emozioni adattive che
facilitino la crescita ed il cambiamento.
200
Evocazione e arousal delle emozioni
Una forma speciale di elaborazione si verifica quando si raggiungono livelli di
arousal emotivo da moderati ad elevati. Quando i clienti consentono ad un’emozione
di fluire e la esprimono liberamente, come quando piangono o esprimono una rabbia
precedentemente repressa, e quando vivono fino in fondo la paura, la vergogna, o il
disgusto, si verifica un insieme unico di processi neurochimici, fisiologici e psicologici.
È stato, infatti, dimostrato che l’espressione emotiva influenza i neurotrasmettitori,
l’arousal del sistema simpatico, l’esperienza cosciente, l’elaborazione cognitiva ed il
comportamento espressivo (Ekman & Friesen, 1975; Lane, Sechrest, Riedel, Shapiro
& Kaszniak, 2000; Panksepp, 2001). Questi processi non si verificano quando i clienti
non consentono all’emozione di fluire e quando non la esprimono. Molti clienti in
terapia provano moltissime emozioni senza consentirne il flusso esperienziale e, senza
esprimerle liberamente, esperienza ed espressione sembrano essere bloccate e soffocate.
È la capacità di vivere fino in fondo, riconoscere ed esprimere le emozioni, che aiuta i
clienti a provare chiaramente cosa è davvero importante per loro e ricevere con chiarezza il messaggio emotivo e trovare, in seguito, una nuova organizzazione. Con l’espressione si superano il controllo e l’inibizione, e il cliente accede liberamente a quello che
precedentemente era bloccato. L’espressione non porta all’espulsione dell’emozione,
piuttosto è attraverso l’espressione che il materiale fondamentale, e una rete di associazioni, diventano disponibili per ulteriori elaborazioni.
La nostra ricerca ha dimostrato che anche se i giudizi espressi sull’arousal emotivo
in psicoterapia erano predittivi del miglioramento terapeutico alla fine del trattamento,
i resoconti post-seduta dei clienti sull’arousal emotivo in seduta, non lo erano (Warwar
& Greenberg, 2000). Abbiamo trovato che determinati clienti riferivano, in questionari post-seduta, di aver provato spesso rabbia, dolore, tristezza e altre emozioni intense
nella seduta, senza aver mostrato segni osservabili di queste emozioni. In altre parole,
per i clienti maggiormente soffocati, la correlazione fra il grado autoriferito di arousal
emotivo nel corso di una seduta e il giudizio di un osservatore sul livello di arousal, era
debole. Dato che il grado di arousal emotivo osservato a metà della EFT per la depressione è predittivo dell’esito (Warwar, 2003; Warwar & Greenberg, 1999b), sembra che
sia l’espressione delle emozioni nella seduta, e non l’esperienza latente delle emozioni, ad avere un effetto terapeutico. Abbiamo anche trovato che la capacità dei clienti
di dare un senso alle emozioni e di utilizzarle per risolvere problemi, in particolare
nell’ultima fase del trattamento, si aggiungeva alla varianza prevista nell’esito. Sembra,
quindi, che sia l’utilizzo dell’emozione espressa per risolvere problemi, e non una sorta
di catarsi, a produrre il cambiamento.
Nella EFT siamo a favore dell’espressione delle emozioni in terapia a scopo terapeutico. Non stiamo suggerendo l’espressione delle emozioni nella vita quotidiana e in
ogni contesto. Aristotele (nella Retorica) suggeriva che nella vita reale ci vuole saggezza
per valutare quando, a chi e con quale intensità esprimere la rabbia. In terapia, le emozioni represse e problematiche che non sono state elaborate, vengono esplicitamente
evocate per essere rielaborate.
Anche se l’arousal e l’espressione sembrano essere processi terapeutici, vi sono differenti forme di arousal e di espressione emotiva anche in terapia; alcune utili ed altre
no. L’emozione può essere, o un segnale di disagio, o un segnale di elaborazione di
questo disagio. L’arousal può essere esageratamente regolato o mal regolato e l’emozio201
La terapia emotion-focused per la depressione
ne può essere adattiva o disadattiva, primaria o secondaria. Alcune forme di arousal e
di espressione possono essere utili per una serie di ragioni, mentre altre forme possono
essere anche controproducenti sul piano terapeutico, in particolare con alcuni clienti
ed in determinati momenti. Così, un terapeuta deve prendere decisioni coscienti in
relazione alla tipologia e al livello di arousal emotivo che giudichi potenzialmente utile
o dannoso per un determinato cliente in un dato momento. Anche se riconosciamo
che tutte le forme di arousal non sono utili in tutti i momenti per tutte le tipologie di
clienti, nel nostro studio abbiamo comunque trovato che il livello complessivo di arousal era predittivo dell’esito, indipendentemente dalla tipologia. La misura di arousal
che abbiamo utilizzato è illustrata nella Tabella 10.1 (Warwar & Greenberg, 1999a).
Così, anche se in questo studio non sono state fatte sottili discriminazioni sul fatto che
l’emozione evocata fosse fondamentale, adattiva o disadattiva, tollerata o schiacciante,
bloccata o elaborata, c’era comunque qualcosa nell’espressione complessiva dell’arousal, all’interno del trattamento emotion-focused, che sembrava migliorare l’esito. Una
discriminazione più sottile avrebbe probabilmente portato a migliori previsioni, ma è
chiaro che l’arousal e l’espressione emotiva in terapia, da parte di terapeuti addestrati
ad evocare le emozioni e a facilitare la riflessione su di esse, possano essere molto importanti nel processo terapeutico.
Tabella 10.1 Client Emotional Arousal Scale-III
Punteggio
Livello di arousal emotivo
1
Il cliente non esprime le emozioni. La voce o i gesti non rivelano alcun segnale di
arousal emotivo.
2
Il cliente potrebbe riconoscere le emozioni, ma l’arousal nella voce o nel corpo è
debole.
• I pattern normali di eloquio non sono alterati.
• Qualunque arousal viene praticamente soffocato.
3
A questo livello di arousal, come in altri livelli più elevati, il cliente è consapevole
delle emozioni. L’arousal è moderato nella voce e nel corpo.
• C’è poca espressione emotiva.
• L’arousal è comunque molto soffocato.
• I pattern normali di eloquio sono solo moderatamente alterati.
4
L’arousal è moderato nella voce e nel corpo.
• È presente una voce emotiva: i pattern ordinari di eloquio sono moderatamente
compromessi dalla fuoriuscita di emozioni, come risulta evidente dalla
modificazione dei pattern di accentazione, incidenza irregolare o cambiamenti
nell’intensità.
• Anche se c’è una parziale liberazione dal controllo e dalle restrizioni, l’arousal
potrebbe essere ancora in qualche modo soffocato.
cont...
202
Evocazione e arousal delle emozioni
5
L’arousal è abbastanza intenso e pienamente visibile nella voce e nel corpo.
• La traspirazione delle emozioni nei pattern di eloquio è notevole: questi, infatti,
deviano decisamente dalla baseline del cliente e sono frammentati o interrotti.
• L’intensità e il volume della voce sono elevati.
• L’arousal non sembra molto represso.
6
L’arousal è molto intenso ed estremamente pieno, dal momento che il cliente sta
esprimendo liberamente le emozioni nella voce e nel corpo.
• I pattern usuali dell’eloquio sono estremamente alterati, come indicato dalla
modificazione dei pattern di accentazione, incidenza irregolare o cambiamenti
nell’intensità e dal volume e dalla forza della voce.
• L’espressione delle emozioni è spontanea, e non è presente quasi alcuna
restrizione.
7
L’arousal è estremamente intenso e pienamente espresso nella voce e nel corpo.
• I pattern usuali dell’eloquio sono completamente alterati dalla rivelazione
emotiva.
• L’espressione è completamente spontanea e non controllata.
• L’arousal sembra incontrollabile e persistente.
• L’esperienza ha una caratteristica disgregante: anche se l’arousal può essere
un’esperienza terapeutica non soffocata, potrebbe anche essere un’esperienza
negativa disgregante in cui il cliente si sente come se si stesse disintegrando.
• La caratteristica che distingue il livello 6 dal 7 è che nel Livello 6, c’è ancora
un senso di possibile restrizione, il cliente potrebbe riuscire a contenere o
controllare il proprio arousal, mentre nel livello 7, l’espressione del cliente è
completamente libera e c’è il senso che egli non possa essere più in grado di
controllare l’arousal.
Le funzioni dell’arousal
L’espressione in terapia è un processo decisamente interpersonale. Implica l’espressione di emozioni, di fronte, oppure verso, un’altra persona. L’espressione emotiva viene accolta e trova una risposta nell’altro, quindi, sono in azione importanti processi relazionali. Inoltre il cliente sta elaborando le emozioni, il che implica accettare, tollerare,
simbolizzare e riflettere sull’esperienza, e, quindi, vi sono in azione anche importanti
processi intrapsichici. L’emozione viene evocata ed espressa in terapia, non allo scopo
di darle sfogo o di liberarsene, ma per promuoverne l’accettazione, l’utilizzo e la trasformazione.
I processi terapeutici relazionali che sono in azione, includono la regolazione diadica delle emozioni, in cui queste vengono regolate dalla presenza consolatoria dell’altro,
e un’esperienza emotiva correttiva, in cui la nuova esperienza vissuta con il terapeuta
sconferma quelle precedenti del sé con gli altri. In relazione alla regolazione diadica,
l’accettazione e la convalida delle emozioni da parte del terapeuta, costituiscono processi di cambiamento importanti di per sé. L’espressione dell’emozione, la sua accettazione
e conferma da parte dell’altro, la rendono un’esperienza che induce cambiamento. L’accettazione e la conferma di un altro aiutano a calmare l’ansia, i clienti interiorizzano
203
La terapia emotion-focused per la depressione
l’empatia del terapeuta verso le emozioni dolorose, cosa che, con il tempo, si trasforma in auto-empatia e capacità di auto-calmarsi. Esprimere le emozioni nella seduta,
inoltre, aiuta i clienti a superare la paura e la vergogna associate all’espressione stessa,
e anche questa è di per sé un’esperienza emotiva correttiva. I clienti, di solito, temono
che l’espressione porterà il terapeuta a giudicarli male o rifiutarli. Potrebbero anche
temere di essere sminuiti agli occhi dell’altro se piangono o si sfogano (ossia “perdono
il controllo”) e di rompere l’intimità. L’opportunità di sperimentare l’accettazione interpersonale è importante come esperienza emotiva correttiva in terapia.
In termini di aspetti più intrapsichici di cambiamento, l’arousal delle emozioni, come evidenziato da Frank (1963) in Persuasione e Guarigione, è un ingrediente importante nel cambiamento degli atteggiamenti. I clienti temono che l’espressione li porterà a
perdere il controllo, che non riusciranno a farvi fronte e che il proprio senso di coesione
e di identità verrà completamente disintegrato. Sperimentare che si può sopravvivere al
flusso di un’emozione temuta (esposizione) è un’esperienza correttiva. L’arousal, inoltre,
facilita il cambiamento cognitivo; un’importante funzione intrapsichica dell’arousal è
quella di ridirigere l’attenzione. L’arousal affettivo mobilita spontaneamente e monopolizza l’attenzione. La interrompe da un lato per dirigerla da un altro, modificando così
l’esperienza presente di un individuo. L’arousal di un’emozione significa che quello che
sta accadendo è importante, segnala che vi sono dei bisogni fondamentali che vengono
soddisfatti o trascurati, e, allo stesso tempo, fornisce accesso alle preoccupazioni e ai
significati fondamentali. Così l’arousal, attraverso una serie di connessioni, rende disponibile molto materiale immagazzinato in memoria per ulteriori elaborazioni.
La liberazione dalle restrizioni grazie all’espressione di pianto o rabbia, aiuta i
clienti a provare un’esperienza che prima consideravano insopportabile e consente loro
di riappropriarsi di questi sentimenti. Questo processo genera chiarezza; è come se
il flusso libero dell’emozione lubrificasse il cervello e mettesse in moto una serie di
connessioni e associazioni prima non disponibili. Si accede meglio alle convinzioni,
si stimolano i ricordi collegati ad un determinato stato del sé ed emergono immagini
importanti. L’esperienza fornisce accesso ai ricordi episodici, promuove un maggiore
dettaglio nelle questioni problematiche e promuove la verbalizzazione delle preoccupazioni fondamentali, oltre a stimolare collegamenti con le emozioni originarie. Per
esempio, dopo aver pianto sul ricordo relativo all’essere stati abbandonati da bambini
nel seminterrato, un cliente che si era emotivamente chiuso agli altri, disse: «Ho deciso che non avrei mai più avuto bisogno di nessuno per provare dolore, perché non
c’era nessuno che mi rispondesse». Un’altra cliente aveva assistito ad una scena in cui
aveva commesso un errore sul lavoro e si era sentita privo di valore; dopo aver vissuto
ed espresso con molte lacrime il proprio senso di umiliazione, disse: «Semplicemente
mi sento così esposta, come se tutti mi osservassero e vedessero il mio errore. È come
se fossi una bambina e mio padre di fronte a me criticasse il modo in cui faccio le
cose. Semplicemente non ero mai abbastanza brava». Queste affermazioni non erano
disponibili prima dell’arousal e dell’espressione. L’arousal emotivo, pertanto, aiuta i
clienti ad accedere e a verbalizzare i princìpi organizzanti fondamentali del sé e li rende
disponibili per una simbolizzazione e descrizione verbale cosciente sotto forma di pensieri. Si può considerare l’arousal un processo che promuove l’accesso a pensieri “caldi”
(Greenberg & Safran, 1984).
204
Evocazione e arousal delle emozioni
L’arousal favorisce anche l’esposizione e la tolleranza delle emozioni, facilitando il
processo di completamento. L’arousal segue il corso naturale di evocazione, aumento,
diminuzione e dissolvimento. Quindi un’espressione completa permette all’emozione
di fare il proprio corso, superando le inibizioni e portando ad un allentamento della
tensione. Non c’è più un conflitto fra tendenze all’espressione e alla repressione. Il
programma psico-affettivo-motorio fa il proprio corso e si completa, e questo porta ad
una riduzione dell’arousal. Invece di restare bloccati in un’emozione, i clienti la vivono
e poi la lasciano andare.
Interventi differenziali
L’obiettivo dell’arousal e dell’espressione delle emozioni, è evocare gli schemi depressogeni fondamentali per renderli più accessibili a nuove informazioni. L’evocazione di un’emozione non implica un ragionamento lineare, l’individuazione di pattern
trasversali a diverse situazioni, o il tenere traccia di comportamenti ed eventi. Piuttosto, implica attenzione, consapevolezza e stimolazione di esperienze corporee, oltre che
l’utilizzo di linguaggio evocativo per sottolineare significati importanti. Quindi, per
evocare, il terapeuta si sposta in una modalità non lineare dalla focalizzazione sul significato verbale a quella sull’espressione e l’esperienza non verbale, fra passato e presente e
fra esperienza corporea e immaginazione visiva, per individuare i differenti bisogni che
scaturiscono dagli schemi che generano le emozioni (Greenberg, Rice & Elliott, 1993;
Greenberg & Safran, 1987).
Il tipo di emozioni espresse e le relazioni che queste hanno con altre emozioni sono, tuttavia, importanti. Nella depressione caratterizzata da pianto disperato, è
l’evocazione della rabbia e dell’orgoglio che funge da antidoto, non l’intensificazione
dello sprofondamento nella disperazione. Nei clienti che, invece, sono arrabbiati e che
condannano, sono importanti il vissuto e l’espressione della tristezza per la perdita, o la
paura fondamentale dell’abbandono, o la vergogna per l’umiliazione. Nell’evocazione
e nella fase dell’arousal nella EFT, l’obiettivo è quello di evocare emozioni precedentemente inespresse per consentire a queste di fluire liberamente e di aprirsi ad ulteriori
elaborazioni. Le emozioni secondarie o sintomatiche con cui i clienti entrano in terapia
per liberarsene, come l’ansia, la disperazione, l’impotenza, la rassegnazione, la condanna di sé, il senso di colpa, il vuoto e la confusione, sono spesso le prime a comparire.
Anche se all’inizio potrebbe essere necessario evocare queste emozioni, il processo non
è di per sé terapeutico, ma serve solo ad arrivare agli schemi emotivi depressogeni fondamentali. Le emozioni secondarie, se non ancora presenti, vengono colte, di solito,
attraverso il dialogo e l’espressione terapeutica, come un passaggio della strada che
porta alle emozioni primarie, fondamentali. Alle emozioni primarie e fondamentali si
accede spesso attraverso la differenziazione e l’esplorazione delle emozioni secondarie, e
lo scopo fondamentale è proprio accedere ed evocare queste emozioni primarie.
Una volta che si è avuto accesso a queste, le emozioni primarie, o cambieranno
il cliente da sole, oppure sarà il cliente a doverle cambiare. Se l’emozione primaria a
cui si è arrivati è adattiva, fornisce informazioni utili, aiuta il cliente a rafforzarsi e a
205
La terapia emotion-focused per la depressione
combattere la depressione, trasformandolo. Se l’emozione primaria a cui si è arrivati è
disadattiva, come la paura, la vergogna, la rabbia e il senso di colpa, che spesso sono al
centro delle depressioni più croniche, dovrà essere trasformata.
L’obiettivo della terapia è quello di arrivare alle emozioni adattive fondamentali
e utilizzarle per favorire la trasformazione delle emozioni disadattive primarie. Nella
depressione, la rabbia smantella la disperazione, mentre la tristezza promuove una sana
sofferenza, l’accettazione e la trasformazione della rabbia. La rabbia e la tristezza spodestano entrambe la paura e la vergogna e le trasformano in stati emotivi di maggiore
connessione. La rabbia che rinforza trasforma anche la tristezza piagnucolosa e impotente in assertività, e la tristezza adattiva, che cerca consolazione, trasforma il rifiuto del
disprezzo e della denigrazione di sé nello stabilire confini interpersonali più sani.
La rabbia e la tristezza spesso si presentano in una strana relazione reciproca all’interno dell’esperienza umana. Una persona prova tristezza per la perdita di un oggetto desiderato e rabbia per la frustrazione successiva alla delusione del proprio desiderio. Spesso, nei casi più semplici di depressione, il nucleo della depressione è proprio il conflitto
fra sperimentare ed esprimere rabbia o tristezza. Invece di provare la rabbia o la tristezza,
la persona si chiude e ne deriva un senso di disperazione e sconfitta depressiva. La mobilitazione dell’emozione viva con i relativi bisogni e tendenze all’azione porta energia e
ridona vita alla persona. Una profonda sofferenza che è stata complicata e impedita dalla
rabbia, riesce così a fare il suo corso, oppure la rabbia che dà forza di reagire che è stata
bloccata dal senso di colpa o dalla paura del castigo, viene fuori e promuove assertività.
Nei casi più complessi di depressione, è l’emozione disadattiva al fondamento del
sé che deve essere trasformata, come la paura e l’ansia nell’insicurezza di base, la vergogna nell’inutilità, o la rabbia per essere stati umiliati e abusati. Il primo compito terapeutico, dopo aver elaborato la disperazione secondaria, è quello di arrivare all’emozione temuta e, poi, d’imparare a tollerarla e a calmarla fino a che non viene trasformata in
un nuovo input. Esempi di emozioni disadattive fondamentali primarie che si evocano
generalmente nel trattamento dei clienti depressi, sono: il senso di vittimizzazione di
impotenza e vergogna; sentimenti d’ansia per la propria debolezza; la rabbia invisibile
o distruttiva o la furia omicida. Le esperienze depressive fondamentali implicano un
profondo senso di vulnerabilità, sentimenti di sconfitta o inutilità, o sentimenti per cui
non ci si sente amati o non degni d’amore. Spesso, tuttavia, questi stati emotivi non
sono subito accessibili in quanto sono mascherati da emozioni secondarie di superficie,
come la preoccupazione, l’irritabilità o la frustrazione.
Le emozioni disadattive, quindi, devono essere costantemente distinte dalle quelle
adattive sane. La rabbia distruttiva deve essere distinta dalla rabbia salutare che consente la reazione, e la tristezza disperata dalla sofferenza curativa. La paura disadattiva che
dipende dal panico o da una dipendenza disperata, deve essere distinta dalla paura che
porta a ricercare sicurezza e protezione. La paura insana si impadronisce di ogni fibra
del corpo delle persone mentre rivivono qualcosa che non è più presente, mentre l’ansia
secondaria di non riuscire, si dissolve quando si pensa all’esame di domani. La paralisi e
la tensione in risposta ad un contatto sessuale consciamente desiderato da parte di una
persona amata, è un altro esempio di paura disadattiva, basata su traumi sessuali precedenti, in cui il cervello manda un segnale di allarme e pericolo, anche se al momento
non è presente alcun pericolo. La paura viene attivata immediatamente in risposta ad
206
Evocazione e arousal delle emozioni
indici innocui a causa di precedenti apprendimenti traumatici. La vergogna debilitante
deve essere distinta da quella che ci informa che abbiamo violato una norma o che ci
siamo sovraesposti. Per esempio, la vergogna primaria insana che fa sentire le persone
come fossero “difettose proprio al nucleo di se stesse” e che include l’identità completa
di una persona, differisce dal sano senso di colpa per il rimpianto di un’azione o una
non azione che è possibile riparare in qualche modo. Il senso di colpa può motivare
una persona a fare ammenda, mentre un senso primario di vergogna potrebbe farle
desiderare di sprofondare sotto terra. I terapeuti possono aiutare i clienti a trasformare
la vergogna di «Sono una persona che non va» in senso di colpa, espresso sotto forma
di «Ho commesso un errore» a cui è possibile cercare di riparare.
I sogni sono spesso strumenti utili per identificare rapidamente le emozioni primarie
al nucleo dell’organizzazione disadattiva di sé. Per esempio, una cliente aveva sognato di
essere intrappolata in un buco con solo la testa che usciva dal suolo. Le persone le camminavano vicino, non curanti della sua difficoltà. Aveva provato ad urlare per chiedere
aiuto, ma la voce le restava intrappolata nella gola. Entrando in contatto con lo stato
emotivo del sogno, era entrata in relazione con il profondo senso di impotenza e solitudine. Un’altra donna aveva sognato che il marito si avvicinava per baciarla, ma lei aveva
i denti rovinati. Il terapeuta le aveva chiesto di descrivere se stessa come i propri denti e
questo l’aveva aiutata ad entrare in contatto con il profondo sentimento di non essere
attraente e di avere dei difetti. Entrambe queste clienti erano entrate in contatto con il
senso disadattivo fondamentale di sé attraverso i propri sogni. Una volta che hanno simbolizzato le emozioni disadattive primarie nella consapevolezza, erano state in grado di
trasformare queste esperienze di solitudine o negatività del sé, accedendo alle emozioni
sane di sentirsi amate, arrabbiarsi per una violazione, piangere per una perdita e rendersi
conto del fondamentale bisogno umano di essere considerate per quello che si è.
Nell’attivare le emozioni, i terapeuti dovrebbero assicurarsi che tutte le componenti dello schema emotivo vengano prese in considerazione: situazione, emozione sensoriale, tendenze all’azione, bisogno e significato fondamentale. Assicurarsi che tutte le
componenti siano oggetto di focalizzazione aiuta il cliente ad evocare completamente
lo schema emotivo e ad elaborarlo. Quando i clienti vivono un’emozione evocata, i terapeuti devono supportarli nel provare e sopportare le sensazioni umilianti di vergogna,
la fragilità insopportabile, la paura di abbandono e dissociazione, oppure le paure di
annichilimento. Queste emozioni devono essere vissute, non come stati di vittimizzazione per cui condannare gli altri, ma piuttosto abbracciati come esperienza propria
che fornisce informazioni. Per esempio, nella vergogna, i clienti devono riconoscerla,
identificare cosa la inneschi e analizzarne il significato e, poi, devono sperimentare
l’esperienza di sprofondamento sotto al suolo e scomparire. Questa esperienza, poi,
fornisce accesso a ciò di cui il sé ha bisogno: sentirsi meglio. È l’accesso al bisogno che
rende possibile per i clienti sperimentare un’esperienza emotiva correttiva all’interno
della seduta che aprirà nuove possibilità e che aggiungerà qualcosa di nuovo al loro
repertorio di risposte emotive. Nella vergogna, il bisogno generale è di conferma e la
vergogna può essere trasformata accedendo all’assertività, all’orgoglio e ad un senso
di diritto. Quando i clienti sono bloccati nell’elaborazione delle emozioni, i terapeuti
dovrebbero verificare quali componenti non sono state prese in considerazione e focalizzarsi su quelle.
207
La terapia emotion-focused per la depressione
Evocare emozioni specifiche
La sezione seguente descrive i modi per evocare alcune delle emozioni fondamentali importanti nel trattamento della depressione.
Sofferenza adattiva e tristezza
Una sofferenza disfunzionale può portare alla depressione. Le reazioni di dolore
ritardate e distorte possono avere un valore depressogeno. Evocare la tristezza e la sofferenza per favorire il vissuto del lutto per la perdita subìta, è essenziale in queste forme
di depressione. Il dolore deve essere vissuto ed espresso: non se ne deve solo parlare, lo
si deve sentire. Il vissuto viscerale di una sofferenza sana non repressa, inizia con una
pressione crescente a piangere e singhiozzare che proviene dal petto e dalla testa, che
immediatamente si manifesta sotto forma di pianto ininterrotto con lacrime, di solito
accompagnato dal piegarsi in avanti o ripiegarsi su di sé. Spesso i clienti si coprono il
viso con le mani mentre piangono. Il “nodo in gola” della sofferenza spesso deriva dalla
costrizione, dalla tensione che si genera in seguito al blocco della spinta a piangere e
singhiozzare. Quando i clienti sperimentano la tristezza o la sofferenza, il terapeuta può
chiedere: «Stai cercando di trattenerti dal vivere appieno la tua tristezza [o sofferenza]
costringendo il petto e la gola?». Questa domanda spesso è utile, in particolare se seguita da incoraggiamento: «Non trattenerla; lasciala fluire». Un incoraggiamento gentile
ed empatico spesso aiuta i clienti a lasciar fluire la piena esperienza della sofferenza. Se
i clienti costringono la gola di fronte alla sofferenza o alla tristezza, di solito si tratta
dell’interruzione di un singhiozzo facilmente udibile e incontrollabile. Alcune forme
di tristezza fondamentale vengono sperimentate con minore intensità della sofferenza,
ma hanno alcune caratteristiche comuni e anche le lacrime sembrano importanti nello
sblocco della tristezza.
Il vissuto di una serie di emozioni negative collegate, come la colpa o la disperazione, che hanno alcune similitudini con la tristezza della sofferenza, ma che non sono
adattive, condividono alcune caratteristiche come il nodo nella gola ed il dolore al petto, ma differiscono anche per aspetti importanti. Nella sofferenza profonda è presente
un singhiozzo triste che proviene dal basso. Di solito è la perdita di una persona amata,
o di una cosa che non potrà mai realizzarsi, a generare un senso di lutto. Nelle emozioni
negative di colpa o disperazione, il dolore è di solito causato da un senso di negatività
del sé e questo sentimento non proviene dallo stesso luogo profondo e penoso. Nella
colpa, le persone si sentono male per la rabbia che provano verso persone amate o per
ciò che hanno fatto, e l’esperienza fisiologica e viscerale differisce da quella della sofferenza. La sofferenza porta rilassamento e sollievo. Le emozioni negative lasciano la
persona in uno stato di negatività. È importante districare questi sentimenti differenti
ed evocare il dolore senza evocare emozioni negative. In uno studio sul dolore, è stato
riscontrato che l’esperienza primaria era di “rovina” o una sensazione di disintegrazione
(Bolger, 1999; Greenberg & Bolger, 2001) e questa sensazione era sempre riferita al
corpo e a vissuti viscerali, profondi e oscuri. Questi clienti riferivano, per esempio, frasi
del tipo: «Mi sento andare in pezzi»; «Ho il cuore spezzato»; «È come se mi fosse stato
208
Evocazione e arousal delle emozioni
tolto un pezzo di me e la parte sia rimasta lì sanguinante»; «Mi sento disintegrato in
mille pezzi». La metafora del corpo martoriato aiuta a cogliere l’esperienza. Quando le
persone soffrono, si sentono a pezzi e questo è ciò che sentono di fronte al dolore. Gli
obiettivi, quindi, nella promozione della sofferenza, consistono nell’aiutare i clienti ad
affrontare la perdita ed il senso di rovina, ad esplorare le emozioni associate alla perdita,
eventuali sentimenti di rabbia, paura o colpa e a discutere il significato e le conseguenze
della perdita.
L’evocazione della tristezza è spesso facilitata dalla focalizzazione su ciò che manca.
Invece di chiedere ai clienti di dire per cosa sono tristi, i terapeuti possono chiedere
loro di cosa sentono la mancanza. La risposta a questa domanda aiuta a verbalizzare il
bisogno e la necessità con maggiore chiarezza. Per esempio, una cliente la cui madre si
era suicidata quando lei era bambina, aveva detto, parlando con la madre sulla sedia
vuota: «Mi è mancato poterti parlare quando avevo bisogno di te. Mi sei mancata
quando tornavo a casa da scuola. Mi sei mancata nei giorni dei miei compleanni».
Questa espressione di ciò che le era mancato aveva aperto alla cliente, per la prima volta
nel corso della terapia, la via alla sofferenza per la perdita subìta. Se i clienti piangono,
ma cercano di soffocare le lacrime, può essere utile chiedergli di dare voce alle lacrime
e dire: «Se le lacrime potessero parlare, cosa direbbero?». Questa domanda dà ai clienti
il permesso di piangere e li aiuta a mettere in parole la tristezza.
Rabbia adattiva
L’espressione della rabbia verso figure chiave è a volte centrale nella risoluzione
della depressione. In molti clienti, il sollievo da una depressione sembra dover richiedere la capacità di arrabbiarsi con chi li ha feriti. Alcuni clienti depressi possono reagire
esageratamente e restare bloccati nella rabbia, ma molti altri, invece, non reagiscono
per nulla e sentono di non avere alcun diritto di provare rabbia. Spesso, dopo che si
riesce ad accedere alla rabbia in seguito ad una violazione subita, segue la tristezza per la
perdita e il cliente riesce a soffrire per ciò che gli è mancato. Questa sofferenza porta alla
conclusione dell’elaborazione emotiva ed a lasciar andare il bisogno non soddisfatto.
Provare fino in fondo la rabbia o darle sfogo non costituiscono la stessa cosa. Il dare sfogo, che di solito implica lo sbraitare contro un’altra persona colpevole dell’offesa,
non è qualcosa di terapeutico, perché il cliente non è in collegamento con la propria
rabbia e non sente da dove proviene. La rabbia, in questi casi, può essere tanto un
sollievo quanto una catena. I clienti devono sentire la rabbia come propria e assumersi
la responsabilità di essa e di ciò che desiderano farne. Manifestare ad alta voce la rabbia verso un altro immaginario in una sedia vuota, guardandolo e dicendo “Ti odio”
e specificando cosa si odia o la natura della violazione subìta, spesso aiuta i clienti a
provare questa rabbia, invece che semplicemente a condannare qualcuno o a sfogarla.
Far parlare i clienti direttamente con la sedia vuota, con il terapeuta che li guida nel
differenziare desideri e bisogni, li aiuta a ridurre lo sforzo di cambiare l’altro perchè,
dopo tutto, risulta evidente che l’altro non è lì. Inoltre, portando i clienti a descrivere i
sentimenti di rabbia all’interno, sposta il focus dalla lamentela o dal tentativo di ottenere qualcosa dall’altro, alla differenziazione della propria esperienza. Quando i clienti si
209
La terapia emotion-focused per la depressione
concedono di provare questa rabbia, spesso attraversano anche il dolore e la sofferenza
e, poi, riescono a provarli più pienamente.
Alcuni clienti all’inizio sono troppo fragili per sperimentare ed esprimere la rabbia. Non riescono ad arrivare alla rabbia fondamentale a causa della vulnerabilità del
senso di sé. Per questi clienti, si deve prima di tutto rafforzare il sé prima di poter
accedere alla rabbia. Nel lavorare con la rabbia, spesso ci si accorge che non è la prima
emozione che deve essere gestita. Per esempio, una cliente che riferiva il ricordo dello
stupro subìto da bambina da parte del padre, era sopraffatta dalla paura e dal dolore
nelle prime sedute. Questo dolore e paura dovevano essere gestiti per primi. Attraverso
l’affermazione empatica di queste emozioni, era riuscita ad arrivare alla furia ed infine alla sofferenza. Tentativi troppo precoci di accedere alla rabbia non sarebbero stati
terapeutici, perchè non aveva ancora la forza e la sicurezza interiore per sopportare la
rabbia e, se fosse stata incoraggiata in quella direzione, si sarebbe solo riempita di paura
e dolore. Le emozioni dolorose devono essere elaborate per prime. Dopo una serie di
sedute, era arrivata a focalizzarsi sul fatto che fosse sopravvissuta e che “il peggio fosse
passato”. Con questa presa di coscienza, insieme all’aiuto di un’alleanza collaborativa
con il terapeuta, che le aveva offerto la sicurezza emotiva e la protezione di cui aveva
bisogno, aveva potuto accedere alla rabbia. Il terapeuta l’aveva aiutata a continuare ad
esprimere la rabbia verso il padre per alcune sedute, così, potè accedere al profondo
senso di violazione e ad una rabbia adattiva, rafforzandosi.
La depressione, spesso, non se ne va fino a che non si accede alla rabbia profonda e
fino a che non la si elabora. Tuttavia, il percorso verso la rabbia non è sempre diretto. La
manifestazione catartica della rabbia di condanna, non genera un vero cambiamento
nei problemi fondamentali. Inoltre, il lavoro per rafforzare il sé, in particolare quello
sulla compassione verso di sé, discusso nel capitolo 11, prende tempo e, spesso, è solo
dopo che il sé si è sviluppato e rafforzato nella terapia che si può arrivare alla sofferenza
per ciò che è accaduto. Questo lavoro preliminare, pertanto, spesso è seguito da risentimento vero e giustificabile per la violazione subìta ed è solo allora che la depressione
inizia ad andare via.
Secondo il nostro punto di vista, la rabbia in seguito ad una violazione è fortemente adattiva; all’origine, di solito, viene bloccata perchè la risposta della figura di
attaccamento è negativa. Quando si può accedere alla piena esperienza della rabbia
all’interno della sicurezza della situazione terapeutica, le tendenze adattive all’azione
possono venire alla luce e promuovere l’accesso ad emozioni precedentemente inaccessibili, come la sofferenza o la vergogna. Possono diventare disponibili nuovi ricordi
e significati, oppure, l’espressione della rabbia di per sé, potrebbe portare ad una modificazione nell’organizzazione del sé e ad un suo rafforzamento. I terapeuti devono
sempre prestare molta attenzione alle elaborazioni dei clienti, tenere traccia sul piano
esperienziale dei mutamenti affettivi all’interno del vissuto momento-per-momento
del cliente, restare vicini a dove lui si trovi ed evocare la rabbia solo quando è pronto.
Una tecnica che abbiamo trovato utile nell’evocare la rabbia bloccata, implica
che i terapeuti mostrino ai clienti come si manifesta l’arousal emotivo nel loro corpo.
Possono dire qualcosa come «Ti sei mai sentito così?». Potrebbero sollevare i pugni e
mostrare uno sguardo fiero oppure descrivere la sensazione della rabbia nello stomaco
o nel petto. I terapeuti dicono ai clienti di lasciar fluire la rabbia senza contenerla e di
210
Evocazione e arousal delle emozioni
prestare attenzione alle sensazioni e ai desideri che si manifestano nel corpo (ossia li
incoraggiano ad assumere la posizione di osservatori). Il terapeuta, così, diventa una
guida attiva. Alcune domande utili sono: «Cosa vorrebbe fare questa rabbia o questa
ira?», oppure «Quale è il suo bisogno?».
La gestione della rabbia narcisistica è, invece, per certi versi differente. Questa forma di rabbia potrebbe andare avanti per sempre e, di solito, è la vergogna alla base che
deve essere vissuta e simbolizzata. Sembra che questi clienti abbiano bisogno non solo
di capire la propria vulnerabilità narcisistica e di parlarne, ma anche di vivere a livello
viscerale l’emozione associata, di solito vergogna o tristezza, ma anche altro. Quello di
cui hanno bisogno questi clienti, con l’aiuto di una connessione emotiva con un terapeuta empatico, è di andare oltre la rabbia per arrivare alla vergogna fondamentale e
favorirne la regolazione sviluppando capacità di auto-consolazione.
La paura disadattiva
La paura e l’insicurezza sono alla base di alcune depressioni, ma spesso vengono
bloccate, senza potervi accedere, all’interno dell’amigdala e vengono nascoste da numerosi strati di coping. La paura in generale, o è una paura profonda dell’abbandono e
un’ansia che il sé non possa sopravvivere senza l’attaccamento perduto, oppure è una
paura di annichilimento, di pericolo e abuso. La paura disadattiva fondamentale dei
clienti deve essere attivata in terapia per poterla cambiare. La paura era probabilmente
adattiva al momento in cui si era presentata, ma adesso non è più adattiva e deve essere
evocata per essere esposta a nuovi input. Così, è importante ritornare alla paura fondamentale ed identificare i sentimenti di impotenza a essa associati. I clienti con una
paura fondamentale, all’inizio potrebbero essere maggiormente focalizzati sulla rabbia
o sulla tristezza, ma se non arrivano e non elaborano la paura per la propria sicurezza
nel presente, non risolveranno le problematiche fondamentali. Per fare questo i clienti
devono rivivere quella paura fondamentale e ciò che l’ha originata nel presente, sì da
sentirla nel proprio corpo.
Spesso la paura viene descritta come una sensazione nel petto, mentre l’ansia viene
spesso sentita nello stomaco, nelle spalle o nelle braccia. La paura è sempre al centro di
un abuso o di un trauma non elaborato e i terapeuti devono riconoscere i clienti con
questa storia. I clienti che sono cresciuti in ambienti violenti, spesso parlano di vissuti
come camminare sui gusci d’uovo, contrarre il corpo, trattenere il respiro e cercare di
non essere visti o sentiti per non dare scossoni alla situazione. Spesso è molto utile,
dopo che è stato creato un sufficiente clima di sicurezza, chiedere loro di tornare indietro, ricordare e rivivere l’esperienza di paura. Far sì che possano provarla nel corpo e
nel presente, vuol dire aiutarli ad allentare la tensione. Devono riuscire ad essere scossi
se necessario, invece che a trattenersi. Questo consente l’espressione di una tendenza
spesso necessaria per la guarigione dalla paura.
Il trauma possiede, di solito, quattro componenti presenti in gradi differenti in casi
diversi: arousal eccessivo, contrazione, dissociazione e immobilizzazione. Le ultime tre
componenti proteggono dalla prima; lavorano per proteggere la persona dalla minaccia
interna ed esterna quando l’energia sollevata non viene utilizzata per la difesa attiva.
211
La terapia emotion-focused per la depressione
Nel trauma, la contrazione avviene nel corpo e anche nella percezione. Tutti gli sforzi
si concentrano sulla minaccia. La respirazione, il tono muscolare e la postura sono tutti
in direzione dell’azione difensiva, mentre l’attenzione è diretta alla minaccia, e la consapevolezza diminuisce. Quando la contrazione fallisce, si presentano la dissociazione e
l’immobilizzazione per gestire l’emergenza. La persona si scollega dal corpo e si verifica
una sensazione di spazio o di limbo. Infine, l’impotenza più profonda assume la forma
dell’immobilizzazione, una sorta di paralisi corporea.
La trasformazione del processo traumatico che si fonda sulla paura, si verifica
nella sicurezza della terapia allentando la risposta di paura e sperimentando tutti gli
elementi, uno alla volta, in piena consapevolezza. Questo processo aiuta il cliente a
spezzettare l’esperienza, simbolizzarla nella coscienza ed assimilarla nella sua continua
comprensione di ciò che sta accadendo in una modalità tollerabile. Inoltre, il cliente
può accedere ad altre risposte emotive. Spesso emergono rabbia e sofferenza. Il cliente
si smobilita e diventano accessibili nuove risposte e nuovi materiali rispetto alla paura
e all’impotenza.
Una cliente era arrivata in terapia con una depressione e dolori al corpo. Non percepiva alcun collegamento fra questi sintomi e la paura che derivava dagli abusi fisici
di cui era stata vittima nell’infanzia. Dopo un po’ di tempo che si trovava in terapia,
iniziò a provare la rabbia che la sua depressione aveva mascherato. Era furiosa per gli
abusi che il padre aveva inflitto a lei e al fratello, e verso la madre che era stata così inefficace nel proteggerli. Arrivare a provare la paura e rivivere l’infanzia avvolta nell’ansia,
sono state esperienze cruciali per aiutarla a rafforzare il sé e a superare con forza la propria depressione. Era diventata consapevole di come le sue vecchie sensazioni di paura
si attivassero costantemente anche nelle relazioni attuali. Con la capacità di lenire la
paura, la rabbia non era più una risposta impotente senza alcuna possibile risoluzione,
ma piuttosto le aveva dato accesso alla rabbia fondamentale per la violazione subìta.
Questa rabbia l’ha rafforzata e ha agito per aiutarla a trasformare la paura rivissuta in
un senso più assertivo del sé.
Vergogna e senso di colpa disadattivi
La vergogna generalmente è collegata alla paura ma è, comunque, un’emozione importante di per sé, una che spesso deve essere affrontata e che è al nucleo di
una depressione. Affrontare la vergogna richiede coraggio e determinazione, perché i
clienti devono affrontare il peggio che provano verso se stessi. Il senso di inutilità e la
vergogna sono strettamente collegati. Quando i bisogni delle persone non vengono
soddisfatti, in particolare da bambini, queste arrivano a credere che vi debba essere
qualcosa di sbagliato in loro. Quando vengono trattate con disprezzo, si sentono disprezzabili. Il sentimento di un sé difettoso è la vergogna e, per romperne le catene, i
clienti devono riuscire a sentire la sensazione della propria inutilità. Quando i clienti
entrano in contatto con la propria vergogna e con il senso di inutilità, con l’aiuto dei
terapeuti possono entrare in collegamento con l’auto-compassione e con il senso di
orgoglio e valore personale. Devono riuscire ad ammirare la parte danneggiata del sé
per la sua capacità di sopravvivenza e per il suo essere in grado di provare compassio212
Evocazione e arousal delle emozioni
ne per questa sofferenza (questo processo viene ulteriormente discusso nei capitoli
11 e 13).
Anche l’essere in terapia può presentare un aspetto di vergogna intrinseco di per
sé. Il semplice atto di riconoscere che la vita è troppo difficile ed il mettere a nudo i
propri segreti più profondi ad un estraneo, è un’azione carica di vergogna. I terapeuti
devono sempre tenere a mente che i clienti depressi possono considerarsi notevolmente
difettosi e che il chiedere aiuto, spesso, è vissuto come un’ulteriore manifestazione di
questa deficienza. Richiede una notevole fiducia da parte dei clienti rivelare al terapeuta
quelli che giudicano i difetti più profondi, quello che in loro “non va” e quelle parti del
sé di cui si vergognano di più. Il primo obiettivo nel contrastare la vergogna, quindi, è
sviluppare una relazione supportiva, con sintonizzazione empatica. Il focus, poi, deve
spostarsi sull’aiutare i clienti a portare in vita la vergogna nell’immediatezza della seduta e aiutarli a restare in contatto con le particolari esperienze di vergogna abbastanza a
lungo da poter simbolizzare le emozioni nella consapevolezza. L’attivazione della vergogna li espone a nuove informazioni e questo trasforma gli schemi emotivi disadattivi
che generano la vergogna. Quindi contrastare la vergogna implica, prima di tutto,
rivelare materiale di cui ci si vergogna in terapia e condividere il segreto con un’altra
persona che viene vissuta come non rifiutante e confermante. Inoltre, di frequente, dopo si accede alla rabbia verso l’altro che ci fa vergognare e questa viene utilizzata come
risorsa adattiva per incolpare l’altro della ferita inferta. Questa rabbia poi trasforma la
vergogna. Un forte supporto del terapeuta nell’espressione del disprezzo e del disgusto,
dirette verso l’altro abusante più che verso il sé, aiuta a smantellare la vergogna. Spesso
ne segue la tristezza per ciò che si è perduto.
Il terapeuta, spesso, può aiutare il cliente ad accedere alla vergogna fondamentale
sottolineando empaticamente il dolore di ferite soggiacenti all’autostima e il dolore della
non appartenenza. Le risposte che convalidano quanto infamanti potessero essere le condizioni, il desiderio di appartenere e l’adattività di questo desiderio, sono molto utili. Le
risposte che aiutano ad evocare la vergogna che il cliente prova includono frasi del tipo
«Sì, da bambini abbiamo disperatamente bisogno di essere accettati, di appartenere»,
oppure «Quanto può essere umiliante sentirsi così esposti, presi sul vasino, con tutti che
ridono di te», oppure «C’è una tale senso di vergogna nell’essere una persona non desiderata». I clienti quindi potrebbero rivelare quanto si siano sentiti tristi e soli da bambini,
desiderando più di ogni altra cosa di essere graditi o amati nonostante i difetti.
La terapia con i clienti depressi deve maggiormente evocare i sentimenti della
vergogna fondamentale che sono stati generati dalla sensazione di non essere abbastanza buoni. Quando un cliente parlò della sensazione di non poter essere accettato,
il terapeuta rispose: «Tu vivi con la paura che, non importa quanto tu ci possa provare,
questo non accadrà mai, che non sarai mai del tutto accettato». Questa risposta aveva
evocato lacrime di disperazione e sconforto, e il terapeuta aiutò il cliente ad esplorare il
senso di non poter essere accettato o di essere inferiore. I clienti trovano questa esplorazione molto difficile e ciò richiede la creazione di una notevole fiducia e accettazione
incondizionata nella relazione, delicatezza e attenzione alla vulnerabilità del cliente.
Risposte sperimentali e riferimenti alle parti del sé che il cliente trova inaccettabili, rendono più semplice ai clienti riconoscere la vergogna ed il senso di inutilità, in quanto
aprono la possibilità all’idea che tutto il sé non sia accettabile.
213
La terapia emotion-focused per la depressione
A volte è necessario fornire una motivazione alla base del vivere e dell’esprimere
la vergogna, dal momento che questa sembra uno stato emotivo così dannoso per il
sé. Per esempio, quando i clienti sono riluttanti a parlare di materiale imbarazzante
o di cui si vergognano, i terapeuti possono incoraggiarli con risposte come «So che è
difficile, ma è così importante parlarne; altrimenti la divorerà», oppure «La farà restare
isolato». I clienti con un senso del sé fondato sulla vergogna, spesso sono fortemente
ansiosi e vivono nella costante paura che gli altri si accorgano delle loro mancanze. Le
risposte empatiche possono accrescere la consapevolezza di come la tendenza al ritiro,
che si associa alla vergogna, tagli il cliente fuori dai contatti sociali e metta in pericolo
i bisogni fondamentali della persona di appartenenza ed intimità. Questa osservazione
aiuta i clienti ad accedere ai bisogni sani e li motiva ad uscire dal nascondiglio e a rischiare di rivelare materiale di cui si vergognano.
Un segnale per evocare la vergogna, a cui i terapeuti devono fare attenzione e
rispondere prontamente, sono gli indicatori non verbali di esperienze collegate alla
vergogna all’interno della seduta. Questi indicatori includono occhi bassi, agitarsi e
dimenarsi sulla sedia, risate o minimizzazioni per coprire l’imbarazzo. Le affermazioni
empatiche, come: «È difficile, ci si sente in qualche modo dei pazzi a parlare di queste
cose», possono aprire la porta ad ulteriori esplorazioni. È anche importante sondare se
il terapeuta abbia involontariamente messo in imbarazzo il cliente non sintonizzandosi
con le sue emozioni o non riuscendo a supportalo quando era necessario.
Indicatori palesi e frequenti di processi latenti collegati alla vergogna, includono
esplicite affermazioni autocritiche, come i clienti che si definiscono “grassi”, o “pigri” o
“un casino”. Le risposte del terapeuta devono evidenziare la qualità affettiva del disprezzo e del disgusto nella tonalità di voce del cliente, nell’inclinazione arrogante della testa,
o nel ringhio o nelle pieghe del labbro e, cosa più importante, condurre l’attenzione su
come debba sentirsi colui che riceve questo disprezzo. Per esempio, quando un cliente
si riprende costantemente perché non vive secondo le proprie aspettative, il terapeuta
può rispondere: «Io ascolto quello che dice questa voce “non mi piaccio”. Questo deve
evocare una tale vergogna. Deve essere così doloroso essere trattati così».
Un intervento potente per l’evocazione della vergogna potrebbe essere il dialogo
con due sedie in cui il cliente interpreta i processi di auto-giudizio negativi e sprezzanti
che producono vergogna. In questi interventi il terapeuta chiede ai clienti di interpretare le due parti di sé: la critica o il giudice responsabili delle affermazioni di disprezzo
e la parte di sé che è oggetto di disprezzo e disgusto. Questo processo accresce la consapevolezza degli specifici messaggi interiorizzati, della qualità espressiva e dell’impatto
esperienziale del disprezzo e del disgusto; del dolore di queste ferite e del danno all’autostima del cliente. Mettere la vergogna in parole con un altro di cui ci si fida, consente
al cliente di restarne fuori di modo che la vergogna non lasci permeare più il suo essere
e così che possa emergere un po’ di auto-compassione.
Emozioni positive adattive
Oltre alle troppe emozioni negative, la depressione è caratterizzata da poche emozioni positive. Le cosiddette emozioni negative, tendono a focalizzare e restringere la
coscienza sullo stimolo (ossia la persona o l’evento che evocano paura, rabbia o vergo214
Evocazione e arousal delle emozioni
gna) e ad assumere il controllo delle azioni. In generale le emozioni positive ampliano
l’attenzione, espandono la coscienza ed evocano la capacità di chiarezza (riuscire a “vedere l’immagine d’insieme” di una data situazione).
Le emozioni positive, spesso, sono considerate in conseguenza di quelle negative
come tristezza, sofferenza, dolore o rabbia. C’è qualcosa di positivo nell’aver avuto
un’emozione; un senso di padronanza o chiarezza e la forza, possono derivare dalla
reale esperienza delle proprie emozioni. Inoltre, le tendenze adattive all’azione vengono
fuori quando si esplora l’esperienza delle emozioni positive. I terapeuti devono aiutare i
clienti ad esplorare ed espandere la presenza di emozioni positive. Potrebbe essere utile
cercare i sentimenti positivi, per quanto esigue sembrino le tracce, e portarle alla luce,
sapendo che possono condurre ad importanti risorse nel sé.
Per esempio, un cliente era arrivato in seduta riferendo che, per la prima volta
in diversi anni, aveva sperimentato un senso di sollievo dall’ansia e dallo stress. Aveva
condiviso per un momento questo senso di sollievo e poi affermò velocemente: «Ma …
l’ho perso in pochi giorni e l’ansia è tornata di nuovo». Invece di focalizzarsi sull’ansia,
il terapeuta si è focalizzato sull’esperienza positiva (il senso di sollievo che aveva provato). Nel corso della seduta aveva rivelato l’esperienza positiva e riuscì a provare un
grado più profondo di emozioni positive iniziando a vedersi in maniera diversa. Questa
esperienza gli aprì anche la strada verso la sofferenza per quella parte di sé che aveva
perso e verso la comprensione di quanto, sino ad allora, avesse sofferto. Tuttavia le
emozioni positive avevano continuato ad espandersi in una sensazione più profonda e
una comprensione di come le cose avrebbero potuto essere, di come poteva sentirsi e di
cosa avrebbe potuto accadere se si fosse aperto all’esperienza. Nulla di tutto ciò sarebbe
successo se non avessero esplorato l’esperienza positiva.
I terapeuti possono incoraggiare le emozioni positive esplorandole, ponendo domande, incoraggiando i clienti a restarvi in contatto e a viverle. Esempi specifici di
affermazioni per promuovere le emozioni positive includono frasi come: «Noto che
sorridi oggi», «Come ti senti quando sorridi?» e «Come senti nel corpo questo stato di
eccitazione?». Le emozioni positive possono anche essere promosse, attraverso la comunicazione non verbale, con il tono della voce, l’espressione facciale, il senso dell’umorismo, il calore ed un passo più rallentato. Il terapeuta, inoltre, può esplicitamente
incoraggiare il cliente a vivere l’emozione positiva dicendo: «Se ti prendessi solo un momento per vivere questa esperienza, cosa noteresti?», «Puoi svilupparla ulteriormente o
intensificarla?» oppure «Come potresti esprimerla?». Il terapeuta, inoltre, potrebbe dire
quanto sia bello vedere il cliente in uno stato positivo, valorizzare ad alta voce la vulnerabilità implicata nella manifestazione di questo stato d’animo e chiedere con gentilezza cosa si provi a condividere questo tipo di esperienza. Il contatto interpersonale,
di solito rende più profonda l’emozione positiva e contrasta l’ansia della solitudine o
la vergogna di sentirsi minimizzati dal non essere riconosciuti o dalla paura di essere
colpiti. Diversi clienti che provano molta vergogna, nascondono i propri punti di forza
e le gioie, ed è utile portarli a riappropriarsene di nuovo. La focalizzazione del terapeuta
su un’emozione positiva ha un certo effetto sul cliente e rende più profonda l’esperienza
dell’emozione positiva oppure evoca altre emozioni ad essa correlate.
Cercare, nei momenti giusti, di evocare ed amplificare le emozioni positive chiedendo ai clienti di ripetere alcune frasi e di elaborarle, li aiuta a superare l’imbarazzo e
215
La terapia emotion-focused per la depressione
la contrazione nell’espressione di queste emozioni. Incoraggiare i clienti a gloriarsi dei
propri successi li aiuta ad esprimere orgoglio e consente loro di viverle. In generale, un
training sull’espressività può aiutare i clienti a vivere ed esprimere le emozioni positive
in maniera più esuberante. È utile chiedere ai clienti, prima di lasciar fluire le emozioni
nel corpo, di provare l’eccitazione, lasciarla crescere e poi manifestarla in viso e nella
voce ed esprimerla anche nel corpo. Alcune emozioni positive, come l’eccitazione e
l’interesse, la gioia e l’orgoglio, l’amore e la compassione, ed infine la speranza, vengono
trattate in breve nella sezione che segue.
Eccitazione e interesse
Il modello dell’amplificazione e costruzione (Fredrickson, 2001), sostiene che le
emozioni positive amplificano il repertorio di pensieri e azioni temporanei, in opposizione alle emozioni negative che sono associate a pensieri e tendenze all’azione limitati.
Per esempio, l’interesse genera la spinta all’esplorazione e alla ricerca di nuove informazioni, mentre la paura si concentra sulla spinta alla fuga. Secondo questa teoria, le emozioni positive innescano “strategie di coping mentalmente aperte” caratterizzate dall’assunzione di una prospettiva più ampia sui problemi e sulla generazione di molteplici
soluzioni. Il coping aperto a molte soluzioni, facilita la gestione di circostanze negative e
migliora le probabilità di sperimentare emozioni positive in futuro. Con il ripetersi del
ciclo, i clienti costruiscono la resilienza psicologica e promuovono la propria salute.
L’interesse include esperienze di curiosità, intrigo, eccitazione o meraviglia; si presenta con situazioni nuove ed è fonte di motivazione intrinseca. L’interesse è un’emozione che si sperimenta molto di frequente, a volte senza essere notata ed è un’emozione
di fondo molto importante. Le tendenze all’azione collegate all’interesse, implicano il
fare attenzione, l’orientamento verso qualcosa e l’esplorazione. L’interesse genera una
sensazione di voglia di scoperta, coinvolgimento, estensione o espansione del sé, includendo nuove informazioni e facendo nuove esperienze con la persona o l’oggetto che
hanno generato l’interesse ed associato a sentimenti di animazione e rallegramento.
L’interesse è il principale promotore della crescita personale, dello sforzo creativo e dello sviluppo dell’intelligenza e la sua riaffermazione è molto importante nella cura della
depressione. Le persone depresse hanno perso interesse nella vita. Trovare anche solo un
barlume di interesse e aiutarlo ad evolvere in una fiamma di eccitazione, è importante
nel superamento della letargia e dell’intorpidimento. L’interesse proviene dall’entrare
in collegamento con i veri sentimenti e bisogni del sé. La relazione terapeutica e l’essere
in terapia sono importanti per ricreare un interesse di fondo. Il contatto con le proprie
emozioni, qualunque esse siano, e la loro convalida, rafforza e dà energia al sé.
Gioia e orgoglio
Le tendenze all’azione associate alla gioia, si attivano spontaneamente; si tratta,
in parte, di una prontezza senza alcun fine e non richiesta a farsi coinvolgere nelle
interazioni presenti di per sé, e, in parte, di una prontezza a farsi coinvolgere nella
216
Evocazione e arousal delle emozioni
gioia. La gioia genera la spinta al gioco e all’essere giocosi nel senso più ampio del
termine, includendo non solo il gioco fisico e sociale, ma anche quello intellettuale e
artistico. Il gioco implica esplorazione, inventiva e anche semplicemente fare i buffoni. Non essendo diretto a nessun insieme particolare di azioni, il gioco può assumere
molte forme. La gioia e le emozioni positive ad essa collegate, amplificano il repertorio pensiero-azione dell’individuo e promuovono le sue capacità di acquisizione.
Accedere alla gioia, chiaramente favorisce lo smantellamento del ritiro depressivo.
Non è che i terapeuti possano creare una gioia falsa o dire ai clienti di guardare al lato
positivo delle cose; piuttosto, dovrebbero essere sensibili ai momenti in cui è possibile
evocare la gioia. I sentimenti di gioia sorgono in contesti che vengono tacitamente
giudicati sicuri e familiari e che richiedono poco sforzo e, in alcuni casi, sono evocati
da eventi che vengono interpretati come successi o progressi verso i propri obiettivi
(Izard, 1991).
Dal momento che i clienti depressi sentono che c’è qualcosa di sbagliato in loro, la
gioia o la felicità, invece che trovarsi in un normale stato dell’essere che sperimentano,
devono essere attivati e supportati in terapia. I clienti depressi devono riconoscere i
successi ed esercitarsi a provare emozioni positive verso di sé. Quando si sentono felici,
devono esprimere queste emozioni agli altri. Quando provano orgoglio, devono essere
incoraggiati a sostenerlo. L’anedonia si riferisce all’incapacità della persona depressa di
provare gioia. Niente riesce a toccare le persone perse nei meandri di una depressione
maggiore, nè le attività più piacevoli, né i conforti della famiglia. Con la depressione
le persone possono arrivare ad una sorta di congelamento emotivo; si rassegnano alla
situazione difficile e niente sembra poterle far sentire meglio. Un problema diffuso fra
le persone depresse è il graduale ritiro nell’isolamento e l’indifferenza. Il sé si chiude su
se stesso e al mondo. Nella depressione, le persone perdono l’interesse o il piacere di
svolgere le normali attività e, quindi, la gamma si riduce. Smettono di fare cambiamenti, evitano le fonti di stimolo, giocano sul sicuro e iniziano a tagliarsi fuori da tutto ciò
che potrebbe dare loro una scossa, anche dalle persone amate.
Un allentamento nei sintomi della depressione, grazie al trattamento farmacologico o una terapia breve, spesso aiuta i clienti solo a ritornare ad un livello precedente
di funzionamento che, comunque, era privo di gioia, piacere e orgoglio. L’assenza di
emozioni rende la vita vuota. La regolazione della tristezza, della rabbia, della colpa e
della vergogna non è abbastanza per superare una depressione; i clienti devono anche
riuscire ad accedere ad emozioni positive. Molti clienti depressi temono le emozioni
positive e preferiscono giocare sul sicuro evitando o tenendo sotto controllo tutte le
emozioni. Il sé e le relazioni si deteriorano fino a diventare fredde, amare e vulnerabili. Anche se imparare di nuovo a provare qualcosa può generare una sorta di ansia
nei clienti depressi, si tratta dell’unica fonte di ricchezza e di significato presente nella
vita. La gioia apre le persone e le porta ad essere più socievoli. La gioia ravviva e porta
felicità sul volto delle persone e nei loro corpi, ed aiuta a cacciare via la tristezza. Le
persone possono anche piangere di felicità e questo pianto ha le sue radici in un senso
improvviso di gratitudine che si prova nel profondo ma che non ha questo nome. Alcune persone piangono quando provano deferenza. Una persona con una forte autostima
attraverserà la tristezza senza piangere, ma il pianto di felicità è spesso presente nelle
persone depresse. Quando si vive la felicità come un regalo da tempo desiderato, ma in
217
La terapia emotion-focused per la depressione
qualche modo non meritato, invece che come un diritto, le persone vengono sopraffatte dall’emozione e piangono.
La contentezza viene spesso utilizzata interscambiabilmente con termini di altre
emozioni positive a basso grado di arousal come tranquillità, calma o pace. A prima
vista, la contentezza sembrerebbe non avere tendenze reali all’azione o essere collegata
a inattività. Tuttavia, porta le persone ad assaporare le circostanze attuali di vita e i
successi recenti, a sperimentare il senso di essere tutt’uno con il mondo che li circonda
e ad integrare gli eventi recenti e i successi all’interno del concetto di sé e della visione
del mondo. La contentezza, quindi, non è semplice passività, ma piuttosto un’amplificazione consapevole del punto di vista che una persona ha sul proprio sé e sul mondo
ed è un antidoto alle lamentele depressive.
Nell’orgoglio le persone si tirano su e si sentono forti. L’orgoglio è quello che le
persone dovrebbero provare quando hanno ottenuto qualcosa, ma, come nel caso della
gioia, non è qualcosa che gli individui depressi vivono molto di frequente. Le persone
depresse che sono perfezioniste, raramente sentono che qualcosa che hanno soddisfi i
propri standard, quindi non si sentono orgogliosi. Una ragione del perché le persone
depresse non siano in grado di sperimentare le emozioni positive di gioia e orgoglio, è
la scarsa presenza di questi vissuti all’interno delle loro vite. Alcuni clienti reprimono
queste emozioni per il bisogno di restare sotto controllo tutto il tempo. Le emozioni
intense, di qualunque tipologia, sono destabilizzanti e mettono paura. Vivono anche
nella paura di dover pagare una pena per la gioia. Hanno imparato ad aspettarsi che
qualcosa di negativo segue inevitabilmente gli eventi positivi, quindi è meglio che non
si sentano troppo bene; meglio essere intorpiditi o neutrali che provare la delusione
cocente che segue le emozioni positive. Potrebbero anche evitare la gioia o l’orgoglio
perché evocano ricordi dolorosi di delusioni passate.
Amore e Compassione
Evocare l’amore e la compassione in terapia, spesso è possibile portando i clienti ad
esprimere ad alta voce le proprie emozioni in dialoghi immaginari con gli altri. Possono
essere utili anche compiti a casa in cui si devono esprimere amore e apprezzamento in
parole o fare alcuni gesti verso una persona nel mondo reale. Anche semplicemente
parlare in maniera dettagliata di queste emozioni spesso non elaborate, può essere utile.
Chiedere ai clienti quello che sentono nel corpo quando amano, e portarli a descrivere
questa sensazione, spesso porta alle lacrime. Aiutarli a crogiolarsi nel calore e nel palpito di queste emozioni positive dà vita, inspira e dà ai clienti un maggiore senso del
valore della vita. Chiedergli di ricordare queste sensazioni e cercare di accedervi con
uno scopo preciso in alcuni momenti, potrebbe anche essere utile.
Gran parte dei teorici riconoscono che l’amore non è un’emozione singola e che le
persone sperimentano una varietà di forme d’amore (per es. amore romantico o passionale, amore complice, amore genitoriale e amore per i caregiver). Le esperienze d’amore, probabilmente sono costituite da una serie di emozioni positive, fra cui interesse,
gioia e contentezza. Nel tempo le interazioni ispirate dall’amore aiutano a costruire e
rafforzano i legami sociali e l’attaccamento. Questi legami sociali non sono solo soddi218
Evocazione e arousal delle emozioni
sfacenti di per sé, ma sono anche la sede di un supporto sociale successivo. In questo
senso, l’amore e le varie emozioni positive che si sperimentano nelle relazioni d’amore
(ossia, interesse, gioia e contentezza), costruiscono e solidificano le risorse sociali di un
individuo.
Maslow (1971) distingueva fra amore “D” (difettoso) e amore “B” (per l’essere).
L’amore D viene dal bisogno di riempire qualcosa che manca, per esempio, sentirsi sicuri o provare qualcosa a se stessi o al mondo. L’amore B, invece esiste di per sé: è l’amore
per l’altro semplicemente per quello che è e per ciò che rappresenta, indipendentemente dal fatto che accresca chi ama in qualche modo. Nell’amore B sono presenti profonda stima e comprensione non macchiate dai bisogni, dai dubbi, dalle insicurezze e dalle
distorsioni dell’individuo. Nella visione psicodinamica, la depressione è considerata
una malattia dell’amore: la persona depressa si sente non amata. Un antidoto a questo
sentimento è amare; l’amore dà vigore, tira su e promuove il benessere. Focalizzarsi sul
lato positivo degli altri e su quello che di loro amiamo, può attivare l’amore.
La compassione implica il provare la profondità dell’esperienza di un altro in una
maniera profondamente attenta. Implica questa profonda attenzione, rispetto e il desiderio di lenire la sofferenza. Da una prospettiva buddista, la compassione la si può
definire come il desiderio che tutti gli esseri viventi siano liberi dalla sofferenza. I tre
aspetti della compassione, sono il sentimento di tenere all’altro e alla sua sofferenza, il
desiderio di ridurre quella sofferenza e le azioni intraprese per ridurre questa sofferenza.
Non è semplicemente un senso di compassione o cura; è anche una determinazione
pratica a fare tutto ciò che è possibile e necessario per alleviare la sofferenza dell’altro.
La compassione non è tale se non è attiva. La compassione può lasciar andare la rabbia
e, come abbiamo detto, accedere alla compassione per una persona che ci ha fatto del
male, modifica l’attivazione cerebrale associata alle tendenze all’azione tipiche della
rabbia (Harmon-Jones, Vaughn-Scott, Mohr, Sigelman & Harmon-Jones, 2004).
La speranza
Infine, alcune parole sulla speranza sono essenziali in relazione al lavoro sulla depressione. La demoralizzazione è un problema importante nella depressione. L’assenza
di speranza è, ovviamente, un sintomo di depressione ed è il principale ostacolo al
coinvolgimento nel trattamento. Coltivare la speranza, quindi, è un aspetto importante
della terapia della depressione, in particolare per alcuni clienti. Il terapeuta deve quindi
evocare e offrire speranza, ricordando ai clienti, quando le cose vanno male, che le persone depresse migliorano. La capacità di dare speranza viene, prima di tutto, dalla sicurezza che si possa invertire il corso della depressione, forse dall’esperienza del terapeuta
di aver visto altre persone o se stessi aver attraversato lo stesso processo. L’aspetto della
speranza che supporta l’impegno verso il cliente, forse, di solito non viene comunicato
in ciò che uno dice, ma piuttosto nel tono emotivo e nella convinzione con cui uno
parla.
La speranza è un antidoto alla disperazione. La speranza in terapia deriva per lo
più dallo sviluppo di fiducia e dalla convinzione che il terapeuta possa essere d’aiuto,
in particolare all’inizio del trattamento. Se i clienti, da subito, riescono a sperimentare
219
La terapia emotion-focused per la depressione
concretamente la disperazione e lo sconforto spesso vaghi, e a condividerli con il terapeuta, si genera speranza. La capacità del terapeuta di riconoscere il dolore sotto alla
disperazione, attiva il bisogno non soddisfatto di connessione del cliente. Questo desiderio poi apre il cliente al contatto umano e rompe il suo senso di isolamento. Quindi
emerge la speranza quando si comprende la disperazione. La speranza di essere in grado
di ricollegarsi alla razza umana, di essere compresi e soprattutto di avere un valore e di
ristabilire un collegamento, emerge così come la volontà di vivere.
Sperimentare la speranza significa consentire il desiderio. Molte persone depresse
evitano il desiderio. Se i clienti provengono da contesti di abuso, delusione cronica,
sfruttamento o perdita traumatica, potrebbero vivere il desiderio come una terribile
vulnerabilità o una debolezza che gli altri sfrutteranno o che lascerà spazio all’essere
feriti. Se i clienti hanno esperienze in cui la loro difficoltà a controllare le emozioni
o gli impulsi ha provocato loro dolore, potrebbero vivere il desiderio come una forza
schiacciante da essere evitata a tutti i costi. Provare un desiderio può essere pericoloso
per il nucleo del sé. La speranza implica sentire e desiderare di nuovo.
La speranza include l’agognare per un esito desiderato. Alcuni scrittori considerano la speranza, non un’emozione positiva, ma piuttosto l’illusione di riprendersi da
un’esperienza negativa. Camus (1955/1975) aveva colto questo concetto suggerendo
che la speranza è disperazione, non il suo antidoto. Questa speranza che può far deviare
le persone, si coglie in espressioni come “La speranza è la materia dei sogni” e “falsa speranza”. Tuttavia, molti considerano la speranza una virtù. La speranza, probabilmente,
non è un’esperienza singola, dal momento che varia con le condizioni che la generano.
La speranza sembra supportare le persone nei momenti di difficoltà ed è molto utile
alla terapia perché genera motivazione a lavorare per superare il problema. In terapia,
incoraggiare è una parte importante della costruzione dell’alleanza terapeutica, per il
fatto che la speranza attiva il senso di azione dei clienti, li motiva a lavorare su obiettivi
scelti insieme ed aiuta ad aprire strade per conseguirli. Le persone che hanno un’elevata
speranza di fronte a situazioni che le bloccano, arrivano a strade alternative (Snyder,
1994), indice del fatto che la speranza promuove le soluzioni ai problemi. La speranza
può essere considerata un principio vitale e ravvivante, come dice il detto “Finché c’è
vita c’é speranza”. Le ricerche hanno suggerito che la speranza possa contribuire al
mantenimento di stati fisiologici sani, fra cui una maggiore immunocompetenza sotto
lo stress di una perdita significativa (Udelman, 1986).
220
CAPITOLO 11
EVOCARE LE EMOZIONI: IL DIALOGO FRA LE DUE
SEDIE E LA DISPERAZIONE
Due importanti tecniche utilizzate per evocare l’esperienza emotiva nel trattamento della depressione sono le rappresentazioni psicodrammatiche, in particolare i dialoghi con le sedie e l’utilizzo dell’immaginazione emotivo-evocativa. Le tecniche della
focalizzazione e della rivelazione evocativa, discusse nel capitolo 10, aiutano anche ad
evocare le emozioni; similmente, le tecniche evocative descritte in questo capitolo promuovono la consapevolezza emotiva.
Il dialogo fra le due sedie per l’auto-critica e la
disperazione
Il dialogo fra due parti del sé in conflitto e fra una parte del sé e un aspetto disconosciuto o rinnegato dell’esperienza del sé, è importante nel trattamento della depressione. Nelle scissioni conflittuali di questo tipo, due parti del sé sono in opposizione fra
loro. In una forma, in cui una parte del sé è disconosciuta, si stabilisce un dialogo in cui
i clienti inscenano il rifiuto di una parte di sé come se non fosse propria e si rifiutano
di identificarsi con la parte rinnegata. Anche se l’autocritica è più caratteristica della
depressione, si verifica anche il disconoscimento dell’esperienza e, a volte, è al fondamento della depressione. Nel rinnegare, le persone disprezzano la propria dipendenza o
altri aspetti di sé, sconfermandoli. Questo processo di disconoscimento dell’esperienza
e di rinnegamento delle tendenze all’azione, conduce ad un bisogno non integrato o a
risentimento e, a volte, si esprime in atteggiamenti che sembrano fuori controllo. Le
persone, quindi, si deprimono perché non riescono a dare un senso a se stesse e alla
propria esperienza. Il lavoro terapeutico con questa tipologia di problema implica il
riconoscimento e l’integrazione delle emozioni e dei bisogni disconosciuti.
Nel trattamento della depressione, un trattamento che affronta direttamente l’autocritica e il disprezzo di sé, così diffusi quando sono presenti disperazione e senso
221
La terapia emotion-focused per la depressione
di inutilità, è il dialogo fra le due sedie. Questo dialogo è utilizzato per far rivivere
all’interno della seduta l’intero processo depressivo e di disperazione e per rendere questi stati disponibili ad una trasformazione intra-seduta. In questo processo, quando si
manifesta un indicatore di auto-critica nella presentazione del cliente, tipo «Sono un
tale incapace» oppure «Sono un fallimento totale», il terapeuta chiede di inscenare un
dialogo fra la parte critica del sé e quella che subisce la critica (Greenberg, Rice & Elliott, 1993). Nei primi dialoghi, l’obiettivo è aiutare il cliente a diventare consapevole
della costante presenza di una voce autocritica e del suo impatto depressogeno e di
disperazione.
Nel dialogo fra le due sedie, che abbiamo descritto più approfonditamente in
un’altra sede (Elliott, Watson, Goldman & Greenberg, 2004; Greenberg et al., 1993), i
terapeuti, dopo aver identificato la voce autocritica, incoraggiano i clienti a visualizzare
se stessi e ad iniziare a criticare se stessi. La parte critica viene addestrata a essere il più
specifica possibile nell’esprimere le critiche, in modo da evocare l’esperienza depressiva
il più dettagliatamente e concretamente possibile. Poi si chiede ai clienti di spostarsi
nell’altra sedia, quella del sé che subisce la critica, e di manifestare la reazione affettiva
alla critica; non si tratta solo di una reazione generale o un senso generale di malessere,
come «Mi sento male», ma una sensazione differenziata che si sente nel corpo, in quel
momento, come sentirsi paralizzati oppure desiderare di sprofondare al suolo. Più la
critica viene aiutata a colpire aspetti concreti dell’esperienza (per esempio, una debolezza o un errore in un incontro del giorno precedente) più i ricordi emotivi episodici
e situazionali verranno evocati.
Lo scambio fra Debra, una donna di 46 anni con un matrimonio problematico, ed
il suo terapeuta, è un buon esempio di scissione autocritica e individuazione della voce
critica. Seguiremo tutto il processo intra-seduta di Debra nel corso di questo capitolo.
Debra si sentiva fortemente controllata da un marito dominante e desiderava lasciarlo,
ma aveva paura che prendesse i bambini e andasse via. Non lavorava e l’incapacità di
motivarsi per cercare un nuovo lavoro era il problema attuale. Cercare un lavoro nel
tentativo di mantenersi, in modo da poter essere più indipendente, era stato il fattore
precipitante della depressione.
Debra: «Semplicemente non ho nulla; non c’è nulla di positivo … nulla a
cui io possa aggrapparmi e dire “Ho fatto qualcosa”. L’unica cosa
certa è che sono una persona inefficiente e senza spina dorsale».
Terapeuta: «Bene, in parte quello che sta facendo è dire a se stessa che non è
abbastanza brava, che è inadeguata».
Debra: «Mm-hm».
Terapeuta: «Riesce ad immaginarla e a dirglielo, a farlo ancora di più? La faccia sentire inadeguata: “Tu sei … non sei, non puoi…”».
Debra: «Credo sia: “Non sei all’altezza di quello che io vorrei essere, di
quello che mi aspetterei e io … io so che potrebbe esserci molto di
più, ma tu non mi permetti … non … non accade mai”. Non so,
perchè, non so… »
Terapeuta: «“Tu non riesci mai … mai a farlo, mai a farlo”».
222
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
Il processo con i clienti depressi nel primo periodo della terapia si focalizza, prima
di tutto, sull’evocazione dei giudizi autocritici, di solito accompagnati da disprezzo, e
sull’evocazione della reazione emotiva negativa attivata dalla critica, di solito la disperazione. È il disprezzo verso il sé che evoca le emozioni depressive di impotenza, senso di
incapacità, disperazione e vergogna fondamentale. Il dialogo autocritico va oltre l’accesso
ai pensieri negativi. L’autocritica si basa su un insieme di schemi cognitivo-affettivi, o su
un’organizzazione del sé, che contiene la sua emozione e motivazione. È importante che
i clienti colgano il sentimento e la motivazione della critica, oltre che il pensiero. I clienti,
spesso, non prestano attenzione alla modalità, ma solo al contenuto dei dialoghi interiori. Si concentrano su quello che viene detto, ma non sulla relazione fra le parti. Facendo
attenzione in particolare agli elementi non verbali del dialogo, i terapeuti riflettono non
solo i contenuti, ma anche l’intonazione, i gesti, la postura e l’espressione facciale, portando così l’attenzione del cliente sulla tonalità affettiva oltre che sul contenuto.
Il lavoro sull’autocritica non deve utilizzare per forza un dialogo e può essere fatto
anche su un piano conversazionale di domande e riflessione di sentimenti. Poi si lavora
su differenti parti del sé o vi si dà voce, una alla volta, in maniera sequenziale. Tuttavia,
l’utilizzo della drammatizzazione, dà vitalità al conflitto e presenta l’ulteriore vantaggio
di rendere gli elementi non verbali del dialogo interiore più accessibili.
Evocare l’organizzazione del sé collassata in uno
stato di disperazione
Il passaggio successivo nel dialogo, è dare voce all’esperienza del sé che risponde
alla critica. La risposta del sé che subisce la critica, nei clienti depressi, è in generale
caratterizzata dal crollo in uno stato assoluto di disperazione non resiliente. La voce
critica evoca la disperazione sintomatica e reattiva dicendo: «Sei un fallimento, non hai
futuro, la tua vita è vuota e sarai solo e inutile per il resto della tua vita». Lo stato di disperazione è uno stato più reattivo che fondamentale. Implica la chiusura o l’arrendersi,
oppure è una protezione contro un’emozione fondamentale temuta. La terapia, quindi,
deve elaborare questa disperazione secondaria, reattiva, per poter accedere ad un livello
più profondo di disagio. Spesso l’emozione fondamentale consiste nella vergogna per i
deficit del sé, nell’ansia o nel timore del sé di rimanere solo.
Il dialogo fra le due sedie di un cliente non depresso, fornisce, come componente
chiave della depressione, un esempio del ruolo importante della risposta del sé all’autocritica. Nella sedia critica, il cliente aveva detto: «Non meriti di occupare lo spazio in
questo mondo che potrebbe essere occupato da altre persone. Non meriti di consumare
l’ossigeno che potrebbero consumare altri». Questa critica fortemente dura e annichilente sembrava presentarsi al fine di produrre uno stato estremo di disperazione e di
sconforto nel sé. Il cliente, tuttavia, cambiando la sedia, disse spontaneamente: «Questo non è vero. Ho delle cose da offrire. Svolgo un lavoro per la comunità e mi prendo
cura degli altri». Questa è stata la risposta di un sé resiliente. Al contrario, una persona
depressa sarebbe collassata in una disperazione depressiva e nel senso di inutilità sotto
un simile attacco.
223
La terapia emotion-focused per la depressione
Nei clienti depressi, i terapeuti cercano di evocare la disperazione depressiva nella
seduta per elaborarla e generare nuove risposte come antidoto allo sconforto. È solo
quando la disperazione depressiva viene evocata che può essere elaborata e trasformata. Spesso il cliente deve evocarla e sopportare questo stato di disperazione secondaria per riuscire a differenziarla ed arrivare all’emozione fondamentale, più spesso
un’emozione disadattiva di inutilità o di vergogna, o una disperazione più profonda
e fondamentale di un sé completamente svuotato. I clienti collassati in uno stato
di disperazione, sono in grado solo di accedere alla risposta di sconfitta in seguito
all’attacco della critica o a future proiezioni di disastro. Le persone depresse si sentono impotenti e rassegnate e, spesso, provano questo da così tanto tempo da rendere
tale emozione una caratteristica della loro vita. Qualunque forza presente nel cliente
sta oltre l’attuale sfera di consapevolezza. I clienti in questo stato non rispondono
bene alle alternative razionali o all’esortazione a guardare il lato positivo delle cose.
L’unico modo per superare la depressione, è elaborarla per accedere alle emozioni
adattive primarie e ai bisogni di sopravvivenza e benessere. Attraversare l’esperienza
secondaria presente di disperazione e rassegnazione, invece che contrastarla, è la cosa
migliore. Così si entra in contatto con i sentimenti di impotenza, incapacità di riuscita e disperazione, che vengono convalidati ed esplorati. In un articolo dal titolo
“The Only Way Out Is Through” (L’unica via d’uscita è attraverso), Hunt (1998) ha
mostrato che un gruppo di clienti che si focalizzava su un’emozione negativa evocata
scrivendo qualcosa su di essa, aveva meno problemi una settimana dopo rispetto ad
un altro gruppo che combatteva l’emozione, sempre per iscritto, sul piano razionale.
L’obiettivo ultimo della terapia è accedere ai sentimenti di resilienza dei clienti come
antidoto al collasso nella disperazione, ma siamo d’accordo che la migliore via d’uscita sia attraversarla.
In un dialogo fra le due sedie che inizia con la critica che dice «Sei inutile, senza
alcun valore, un fallimento», o cose simili, spesso la risposta del sé è di accordo – «Hai
ragione» – e s’instaura un senso di depressione. È importante aiutare i clienti e far sì
che il processo non si blocchi in un dialogo sulla verità o sulla razionalità della critica.
Piuttosto, l’obiettivo è rivelare come vengono generate le emozioni ed evocarle per
renderle disponibili al cambiamento. Invece di rispondere alla critica con un accordo o
cercando di mettere in dubbio la verità della critica su base razionale o sulla base delle
prove disponibili, i terapeuti aiutano i clienti a prendere consapevolezza dell’impatto
emotivo che la critica ha su di loro. Gli si chiede come ci si senta a sentirsi dire «Non
vali nulla» e di parlare dell’aspetto corporeo della vergogna o della disperazione evocate.
Il cliente, così, sperimenta l’impatto della critica, invece che essere in accordo o disaccordo con la validità dei pensieri negativi.
Per evocare l’esperienza della disperazione depressiva che il cliente cerca spesso
di intrappolare, il terapeuta potrebbe empaticamente osservare gli indicatori non verbali e paralinguistici dell’attuale senso di sconfitta del cliente, dicendo: «Ti senti giù.
Vedo che sei sprofondato nella sedia e che la tua voce si è fatta piccola. Credo che tu
ti senta sconfitto». Un’altra possibilità per evocare la disperazione è che il terapeuta
offra dei suggerimenti empatici che “penetrano” lo stato di disperazione esperienziale
del cliente, di cui questo potrebbe essere, anche solo minimamente, consapevole, dicendo: «Credo quindi che arrivi solo questo terribile senso di disperazione». Oppure
224
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
il terapeuta potrebbe cogliere l’emozione di rassegnazione con una riflessione: «Così,
a che serve?».
La gestione della disperazione è tuttavia complessa. Accettare e restare in un senso
di sé sprofondato è, spesso, la parte più difficile di questo lavoro. Per prima cosa, la
tendenza del cliente è quella di evitare o fuggire questa emozione terribile. Il terapeuta
prova la stessa tendenza e cerca di provare ad “aiutare” o cambiare il cliente. Tuttavia,
invece di adottare un atteggiamento di modificazione, il terapeuta assume un atteggiamento di attenzione. Le prime azioni del terapeuta devono promuovere l’immersione
nell’esperienza presente di disperazione e seguirne il flusso. Ciò richiede che terapeuta
e cliente si esercitino nell’accettazione di “ciò che è”. L’obiettivo del terapeuta, quindi,
sta nel fornire un ambiente sicuro, di accettazione, convalidare l’esperienza e portare
verso l’interno l’attenzione del cliente per vivere appieno questa disperazione. Questa
attenzione all’interiorità aiuta i clienti ad iniziare a differenziare la disperazione nelle
sue componenti costitutive: situazione, valutazione, sensazione, tendenza all’azione e
bisogno, obiettivo o preoccupazione ed a svilupparla in emozioni più fondamentali.
L’obiettivo ultimo è quello di aiutare i clienti a trovare le fonti della forza all’interno di
sé, focalizzandosi sull’interno con l’aiuto di una relazione che regoli le emozioni e che
sia empaticamente sintonizzata con loro.
Lo scambio seguente mostra come il terapeuta di Debra sia rimasto nell’emozione
di disperazione e come l’abbia elaborata.
Terapeuta: «Quindi, è come sentire una domanda del tipo: “Che senso ha?”.
Quando osserva il tutto, è come se riuscisse a trovare che una cosa… ».
Debra: «Sì, esatto… ».
Terapeuta: «…E questo è così doloroso, è la paura che possa non esserci nulla».
Debra: «Sì, è, è … [dice piangendo] Non riesco a trovare nulla. Non riesco
a trovare nulla a cui aggrapparmi. Non riesco a vedere se ci sono
mai riuscita, ad essere efficace. Non … semplicemente non ho
alcuna sicurezza. Sono quasi ormai dall’altra parte, come … mi
preoccupo, ci sono persone matte e persone che non riescono mai
a mettere insieme i pezzi e queste devono essere persone che non
hanno nulla dentro di sé. Ecco come mi sento».
Terapeuta: «È come se dicesse: “Potrei non avere nulla dentro di me a cui
attingere. Potrei essere una di queste”».
Debra: «Sì, come “Fai attenzione”. Sì, mi sono guardata indietro e ho
detto: “Ci deve essere stato un tempo in cui l’ho già fatto”. Come
quando ho, sa cosa voglio dire, mi sono seduta e sono riuscita ad
ottenere qualcosa, quello che desideravo raggiungere, e poi quando ci penso, la risposta è no. Quando allora, quando?».
Terapeuta: «E quando pensa questo, scende un vuoto nella mente, c’è solo
disperazione».
Debra: «Sì, e poi non voglio nemmeno più provare».
Terapeuta: «La cosa peggiore è provare».
Debra: «Semplicemente non sono in grado di … mi lascia molto perples225
La terapia emotion-focused per la depressione
sa, è molto… È sorprendente, in un certo senso, perché dentro di
me sento che potrei farlo, che posso farlo, quindi mi sorprende».
In un’altra seduta, Debra si sentiva nuovamente disperata:
Debra: «Mi fa sentire davvero disperata; non c’è nessuna fine in vista, non
c’è nessun lieto fine».
Terapeuta: «Un’emozione depressiva che le dice, come … ecco da dove viene
la depressione?».
Debra: «Sì».
Terapeuta: «E quelle sono le emozioni, le dicono: “È semplicemente tutto senza speranza. Non c’è modo che tu possa mai farcela… ”».
Debra: «Sì… ».
Terapeuta: « …Tu non ci riuscirai mai… ».
Debra: «Sì… ».
Terapeuta: «Come, come si sente? Cosa accade dentro di lei?».
Debra: «Mi sento molto ferita, non saprei».
Terapeuta: «Riesce ad esprimere queste emozioni? Riesce a metterle in parole?».
Debra: «Uhh, mi fanno andare in un posto dove non voglio stare, questo
sentimento d’inadeguatezza, e … e credo che queste emozioni siano quello che mi trattiene indietro, e… ».
Terapeuta: «I sentimenti d’inadeguatezza sono molto dolorosi. È difficile restarci in contatto».
Debra: «Mm-hm».
Terapeuta: «Anche solo restare seduti in quella sedia e cercare di accedervi».
Debra: «Sì, è davvero difficile».
Terapeuta: «È molto doloroso».
Debra: «Sì».
Terapeuta: «Riesce ancora un po’ … cosa è, cerchi solo di vedere cosa è, cerchi
di averne un’idea più chiara, descriva ad alta voce cosa succede
dentro quando dice a se stessa che non c’è alcuna speranza».
Debra: «È semplicemente orribile, terribile, orrendo… ».
Terapeuta: «Mm-hm».
Debra: « …E mi sento bloccata, non riesco ad uscirne, ed è una sensazione orribile, terribile».
Terapeuta: «Sì, è orribile e terribile, e lei non fa nulla per allontanarsi da queste
sensazioni… ».
Debra: «Sì, sì… ».
Terapeuta: «Sì … è come stare seduti lì, come dire “Non voglio essere qui,
non voglio stare in questa emozione”».
Debra: «Mm-hm ed è un sentimento come: “Merito qualcosa”; come
“Non è giusto che questo accada proprio a me”».
Terapeuta: «Bene, bene… ».
Debra: «Non è giusto».
226
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
Terapeuta: «Non è giusto e come se dicesse: “Cosa ho fatto per meritarmi
tutto questo?”».
Debra: «Sì, sì; sì e continuo a chiedermi: “Perché?”».
Il terapeuta di Debra non ha spinto per alcun cambiamento, ma piuttosto ha
accettato la posizione in cui si trovava la cliente e Debra ha iniziato a smobilitare resilienza. Aiutare i clienti ad affrontare la disperazione o l’impotenza, è spesso un aspetto
chiave nella gestione della depressione e nell’accettazione del dolore che spesso è stato
evitato. Per differenziare ed elaborare una disperazione schiacciante ed assumere una
qualche prospettiva su di essa, il terapeuta potrebbe, oltre a focalizzarsi sugli aspetti sensomotori dell’emozione, riflettere empaticamente il significato della disperazione, cercando di capire a cosa si riferisce o quale è la sua parte peggiore. I terapeuti potrebbero
anche, nel momento più adatto, far comprendere al cliente lo scopo di “restare dentro”
alla disperazione. Il terapeuta può spiegare che le emozioni di disperazione portano alla
depressione e che quelli di impotenza generano ansia. Inoltre, il terapeuta potrebbe
sottolineare che la disperazione, spesso, è una reazione ad emozioni primarie, come la
tristezza e la rabbia, che sono state nascoste o bloccate e che è importante scoprire e
darne espressione. Queste emozioni oscurate e non risolte devono trovare espressione e
ciò, alla fine, porta ad un cambiamento nel sé e nelle difficoltà.
Il terapeuta, così facendo, potrebbe empaticamente suggerire che esista una reale
tristezza, o dolore o insicurezza o rabbia, al di sotto della disperazione. L’obiettivo è
accedere alla risposta emotiva soppressa che sta alla base del senso di sprofondamento o
rassegnazione. Un’affermazione empatica sulle emozioni fondamentali (ossia tristezza,
rabbia, paura e vergogna) ed un focus interno continuo sulle emozioni, e alla fine sui
bisogni, porta invariabilmente all’emergere di aspetti proattivi, più sani del sé, perché
le emozioni adattive primarie sono, per loro natura, auto-assertive e cercano costantemente di promuovere la sopravvivenza ed il benessere. Questo processo non è semplice
o stile Polyanna; implica sofferenza, lotta e coraggio, ma la voce sana può essere individuata.
Un altro modo per gestire la disperazione o la sconfitta nel dialogo fra le due sedie,
quando non emerge alcuna resilienza ed il cliente sembra bloccato, è quello di far tornare il cliente nella sedia della critica. Il terapeuta incoraggia la critica ad intensificare le
proprie azioni e a diventare più chiaramente consapevole di sé come responsabile nella
generazione di questa disperazione. È utile aiutare il cliente a prendere consapevolezza
del disprezzo, dell’ostilità, del potere e della superiorità che la critica riveste mentre toglie forza reattiva al sé. Questa azione persecutoria, paradossalmente, serve a stimolare
il sé oggetto della critica a reagire. La persona, allora, supera la posizione rassegnata e
disperata, lottando contro l’oppressore. Inoltre, attivando la persona nella sua globalità, fisiologica, affettiva e cognitiva, impersonando l’aggressore nella posizione critica,
si accresce il livello globale di energia del cliente. Quando il cliente ritorna nella parte
perseguitata del dialogo, è già attivato, e questa attivazione “in prestito” funziona al
servizio dell’auto-assertività contro la critica, portando il cliente fuori dallo stato di disperazione. Lo scambio seguente è un semplice esempio di questo processo con Rachel,
una donna di 39 anni depressa che si sentiva schiacciata dalle situazioni della vita.
227
La terapia emotion-focused per la depressione
Terapeuta: «Bene, ritorni qui [La cliente si sposta sulla sedia della critica]. Le
dica cosa c’è che non va in lei».
Rachel: «Uhmm … non fai abbastanza per i tuoi figli. Non gli dai abbastanza amore, abbastanza attenzione, ai figli, ai genitori, a tuo
marito. Quando hanno bisogno di te, non ci sei mai. Hai troppo
bisogno tu. Ecco cosa non va in te. Hai troppo bisogno tu».
Terapeuta: «Bene, allora l’affermazione è: “Sei tu una persona bisognosa”. Le
dica ancora qualcosa».
Rachel: «Sì, sei patetica».
Terapeuta: «Puoi spiegarle cosa c’è di così patetico nell’avere bisogno?».
Rachel: «Hai solo bisogno, bisogno, bisogno. Ricevi amore e attenzione a
sufficienza, ma non ne hai mai abbastanza».
Terapeuta: «Bene, cerca di essere più specifica. Quando avrebbe dovuto essere
soddisfatta?».
Rachel: «Beh, sì. Nei fine settimana, quando io desideravo uscire e tu non
volevi che lui uscisse, eri così patetica a non voler restare da sola.
Sei solo una bambina bisognosa».
Terapeuta: «è consapevole della sua bocca mentre dice tutto ciò? Cosa prova?».
Rachel: «Disprezzo, disgusto».
Terapeuta: «Sì. Lo faccia ancora di più. Le dica: “Sei disgustosa”».
Rachel: (Con tono sprezzante) «Sì, sei disgustosa. Vuoi troppo per te; sei
egoista e patetica».
Terapeuta: «Cambi posto. Cosa prova?».
Rachel: «Beh, non mi piace affatto. Mi sento furiosa [si gira verso la sedia
critica] non hai alcun diritto di trattare nessuno così, lasciami sola».
Mentre Rachel era nella sedia critica, il terapeuta la incoraggiò ad essere il più
specifica possibile, cercando, altresì, di potenziare la sua consapevolezza emotiva portandola ad esprimere il linguaggio corporeo. Il terapeuta ha anche aiutato la cliente a
simbolizzare e a dare un significato alle espressioni facciali. Nello scambio finale, è stata
evocata la risposta di resilienza della cliente, quella auto-protettiva.
Lavorare nella zona di sviluppo prossimale
Il focus complessivo, quando si lavora per evocare le emozioni adattive come antidoto alla disperazione o a uno stato disadattivo, è sempre sul lavorare in direzione dei
limiti di crescita del cliente. Le risposte del terapeuta devono essere all’interno della
zona di sviluppo prossimale del cliente, focalizzarsi su potenzialità che possano essere
colte. Per esempio, se mentre prova disperazione o senso di inutilità un cliente, per
228
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
quanto possa essere scosso, dice «Valgo qualcosa» o mostra un barlume di speranza o
di interesse, ci si deve concentrare su questi aspetti ed occorre supportarli. Rispondere
all’interno della zona di sviluppo prossimale, significa non essere troppo avanti o troppo
indietro al cliente e, a volte, allo stesso livello. La risposta del terapeuta può essere mezzo passo avanti, ma sufficientemente vicina a dove si trovi il cliente, rappresentando un
gradino che egli può utilizzare per uscire da questo senso d’inutilità e di disperazione.
Due passi avanti potrebbero essere troppi e restare indietro potrebbe essere potenzialmente un impedimento. Così, incoraggiare qualcuno ad affermare «Ho un valore»,
dopo che ha appena detto «Non ce la faccio più», potrebbe essere troppo. Dire «È semplicemente così orribile sentirsi così soli e sconfitti» quando il cliente ha appena detto
«Ho bisogno di incoraggiamento», potrebbe essere troppo indietro.
I terapeuti devono avere consapevolezza del momento in cui sembra emergere un
potenziale di crescita, e nuovi ed importanti modi di sperimentare la propria esperienza, che lasciano prevedere un possibile spostamento verso un livello più alto di organizzazione. Il terapeuta deve anche essere consapevole del fatto che il cliente potrebbe
essere prudente e restìo a spostarsi verso un nuovo livello di organizzazione, se sopraffatto dalla paura dell’ignoto. Il terapeuta deve, quindi, fornire un supporto sufficiente
per il livello in cui si trova il cliente e badare a comunicare comprensione della sua
paura della novità e del cambiamento e, allo stesso tempo, incoraggiare l’elaborazione
e l’espressione del margine di crescita più resiliente.
Accedere ai bisogni, oltre che alle emozioni, nel processo
di rafforzamento del sé
Il primo segnale di risoluzione di tutte le tipologie di scissioni auto-critiche, che
implichino o meno disperazione, è l’emergere di un nuovo vissuto nella fase più profonda del lavoro (Greenberg, 1984). A questo punto, è molto importante che il terapeuta affermi empaticamente la nuova esperienza emergente del cliente; questo è il sé
resiliente che inizia ad emergere. Quando i clienti hanno elaborato la disperazione o il
senso di inutilità per raggiungere un’emozione adattiva fondamentale, di solito provano tristezza o dolore, a volte rabbia. Associato ad ogni emozione primaria v’è un bisogno (Greenberg, 2002). I bisogni sono associati a tendenze all’azione e spesso dirigono
i clienti verso il conseguimento di obiettivi altamente rilevanti per il loro benessere.
Anche se è essenziale riconoscere ed affermare le emozioni latenti dei clienti, quando
si lavora sulle scissioni, il terapeuta deve anche ascoltare i bisogni relativi e dirigere il
cliente ad esprimerli alla parte critica in forma assertiva. I bisogni adattivi sono alla
base della tendenza del sé resiliente a sopravvivere e a lottare. A volte, il terapeuta può
incoraggiare un’affermazione di bisogno, allo scopo di potenziare l’arousal emotivo ed
aiutare i clienti a rafforzarsi, per rafforzare il sé e promuovere il cambiamento.
L’accesso ai bisogni soggiacenti (per es. di amore, conforto, riconoscimento, rispetto), che in parte li afferma e dà sollievo, potrebbe anche richiedere un’elaborazione
del dolore per non aver potuto soddisfare questi bisogni nel passato. L’abbandono di
questi bisogni, implica un lutto per ciò che si è perduto o ciò che non c’è mai stato.
229
La terapia emotion-focused per la depressione
Accedere ai bisogni, tuttavia, apre, a livello cerebrale, strade per nuovi stati emotivi e
modalità per raggiungerli (Davidson, 2000a, 2000b). Accedere ai bisogni è un passaggio cruciale nella mobilitazione della resilienza. Le scissioni auto-critiche, alla fine, si
risolvono attraverso l’indebolimento della voce critica che diventa più compassionevole
e che riconosce ed integra i bisogni, generando una maggiore accettazione di sé (vedere
Greenberg et al., 1993).
Un dialogo con l’auto-critica è utile quando il cliente si mostra sufficientemente
integrato e capace di entrare in contatto con le risorse interiori. Con alcuni clienti,
con forti tendenze all’auto-annichilimento o che hanno subìto gravi forme di abuso,
la critica è spesso solo distruttiva, dal momento che manca del tutto l’ansia alla sua
fonte o il valore che la motiva. Tali clienti è meglio coinvolgerli in un dialogo di autoconsolazione il cui lo scopo è evocare la compassione per il sé. È meglio iniziare dal
punto del dialogo in cui la critica è più leggera, sì da proteggere il cliente da una critica
molto aggressiva.
Una tecnica per promuovere l’auto-consolazione o la protezione (Thomas, 2003)
è chiedere al cliente di farsi coinvolgere in una particolare forma di dialogo consolatorio
con un bambino ferito. Il terapeuta potrebbe chiedere ai clienti cosa provano verso quel
bambino, oltre a ciò che desiderano dirgli e cosa farebbero con il bambino se potessero
essere lì proprio adesso. Oppure i terapeuti potrebbero chiedere ai clienti quello che
farebbero, come adulti, in difesa di quel bambino (per es., opporsi al persecutore, dire
qualcosa ai genitori). La domanda più generale da utilizzare è: «Cosa vorresti dire a quel
bambino o cosa vorresti fare con lui adesso?». Il terapeuta potrebbe anche dire: «I bambini devono essere protetti», «Non è stata colpa tua», «Insieme proteggeremo il bambino,
innalzeremo un muro intorno al suo sé vulnerabile», oppure «Riesci a prenderti cura di
questo piccolo bambino?». Queste affermazioni possono essere particolarmente importanti quando il cliente ha subìto una violazione da bambino all’interno della famiglia.
Utilizzando questo intervento, i terapeuti possono chiedere ai clienti di immaginare un bambino che siede nella sedia di fronte a loro, un bambino che ha sofferto le
stesse cose subìte dal cliente. Per evocare le difficoltà del bambino, il terapeuta potrebbe
descrivere i dettagli principali della storia del cliente e chiedere: «Cosa prova verso quel
bambino? Cosa vorrebbe dirgli?». Queste domande di solito evocano una risposta di
compassione verso il bambino, la sua situazione di vita ed il riconoscimento dei bisogni
del bambino. Lo scambio seguente è un esempio di questa tecnica:
Cliente: (Arricciando le labbra) «Vorrei solo che quella parte debole di me
riuscisse ad andare oltre. Così, mia madre mi ignorava e mio padre mi manipolava emotivamente. Quindi? Dovrei semplicemente
smettere di piagnucolare».
Terapeuta: «Immagina che seduta qui ci sia una bambina di 9 anni. La madre
non la guarda quasi mai, non le parla mai. Il padre è incestuoso sul
piano emotivo e poi la rifiuta quando non ne ha bisogno. Come
crede che si senta? Cosa vorrebbe dirle se fosse la sua bambina?».
Cliente: «Vorrei consolarla. Dirle che la proteggerò. Si sentirà così sola senza nessuno. Merita di più».
Terapeuta: «Potrebbe darle almeno qualcosa di cui ha bisogno?».
230
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
Una volta che la cliente riconosce i bisogni della bambina e risponde con atteggiamento consolatorio nei confronti della piccola, allora il terapeuta le chiede: «Potrebbe
rispondere alla bambina in questo modo?». Anche se i clienti, in realtà, sono adulti e
non hanno un bambino dentro di sé (Bradshaw, 1988), la metafora di prendersi cura del
“bambino ferito” dentro di loro, può aiutarli ad accedere a risposte auto-consolatorie.
Questo intervento si applica meglio quando un cliente esprime una notevole condanna di sé o disprezzo di sé e non sembra in grado di accedere a nessuna capacità di
auto-consolazione. L’aspetto temporale, in particolare per le domande relative a cosa
il cliente prova verso il sé più giovane, è importante. Non si possono porre queste domande troppo presto. Il cliente deve, in qualche modo, differenziarsi dal bambino per
riuscire ad arrivare lì. Se le emozioni non sono state abbastanza districate, se i clienti
sono ancora sconvolti per il proprio comportamento, se si vergognano ancora troppo,
o non sono in grado di differenziarsi chiaramente dal genitore o dalla propria paura,
allora non sono ancora pronti per iniziare ad esplorare o ad entrare in contatto con
sentimenti di compassione verso il sé. Per questa ragione, spesso è meglio iniziare con
un altro o con un bambino generico, non con il bambino interiore del cliente o con la
parte del sé che ha bisogno di consolazione. Quando i clienti ancora non differenziati
iniziano dal proprio bambino interiore, spesso viene evocato l’impulso più sprezzante
e distruttivo che, invece, deve essere trasformato.
Anche se i clienti comprendono le implicazioni di ciò che gli si chiede di fare
quando devono immaginare un bambino generico, sembrano riuscire meglio a consolare un bambino non specifico. Una volta che si sono ammorbiditi verso un bambino
in difficoltà, è più semplice trasferire questi sentimenti al sé. Il cliente potrebbe, tuttavia, spaventarsi nel vedere un bambino impaurito, perché non ha ancora la sensazione
di poterlo proteggere, di poter essere efficace, o di riuscire a non perdersi nella paura.
In questa fase è utile che il terapeuta funga da protettore surrogato. Per esempio, quando una cliente era spaventata dalla paura che vedeva in se stessa da bambina, lei ed il
terapeuta tornarono indietro insieme per confrontarsi con l’altro abusante. Il cliente
potrebbe immaginare il terapeuta proprio dietro di lei, o anche di fronte, mentre ferma
l’altro abusante. Il cliente prova sicurezza nella presenza del terapeuta e ne trae forza.
Utilizzando questa tecnica, con il tempo e in unione alla consolazione empatica
data dalla sintonizzazione affettiva del terapeuta, il cliente riesce a sviluppare delle capacità di auto-consolazione. Questo intervento è uno strumento molto potente per
generare l’auto-compassione, che manca a molti clienti, e che contrasta direttamente il
disprezzo di sé, la colpa e l’auto-critica. Spesso, per i clienti, è anche molto importante
rendersi conto di quanta poca compassione hanno provato per se stessi o erano inclini
a provare per il proprio sé bambino all’inizio.
Risolvere la disperazione di base
Nel nostro programma di ricerca abbiamo studiato come i clienti con depressione risolvano la disperazione di base con cui entrano in terapia. Sicoli (2005) ha
esaminato questo processo sia nel contesto dei dialoghi con le sedie che dell’empatia.
231
La terapia emotion-focused per la depressione
La disperazione è stata definita e valutata come qualcosa che implica almeno due affermazioni che riflettono un collasso del sé. In queste affermazioni, l’individuo esprime
un senso di inutilità verso il futuro e una mancanza di fiducia nella capacità del sé di
lottare. Nei campioni intra-seduta raccolti, i clienti affermavano di provare cose come sconforto, senso di inutilità, disperazione, sconfitta, abbattimento e desiderio di
lasciarsi andare o sottomettersi senza combattere; alcuni esprimevano anche pensieri
suicidari. Queste affermazioni erano accompagnate da un collasso non verbale che
rifletteva sconfitta, uno stato fisico di vuoto, fra cui lacrime, un abbassamento della
voce o della testa, spalle basse, singhiozzi, occhi bassi o alzate di spalle. Le affermazioni nella seduta riflettono anche emozioni di impotenza, sensazione di non farcela ed
incapacità nel far fronte alla situazione e modificarne l’esito. Queste affermazioni indicavano la mancanza di risorse interiori per fronteggiare la situazione (per esempio:
«Non credo di potercela fare»), una mancanza di forza o potere, l’assenza di controllo
sulle possibilità di modificare la situazione, sentimenti di piccolezza, di soffocamento,
di immobilizzazione, di intrappolamento, sconfitta, crollo o scombussolamento, così
come mancanza di potere o capacità d’azione (per esempio: «Non posso farcela»), oltre che emozioni di inadeguatezza e inutilità. Alcuni clienti che presentavano pensieri
suicidari entravano in uno stato più intenso di incoerenza, confusione, sensazione di
essere schiacciati e di sentirsi girare tutto intorno senza avere alcun controllo; questi
clienti richiedono una maggiore regolazione e gestione, e non erano inclusi nel nostro
campione.
Il processo di risoluzione degli stati che abbiamo studiato era caratterizzato da
cinque passaggi: (a) riconoscere la responsabilità personale nella costruzione della disperazione, (b) prendere coscienza di una nuova esperienza emotiva emergente, (c)
consentire e accettare una nuova emozione adattiva, (d) esprimere desideri e bisogni associati alla nuova emozione e (e) l’emergere di una risposta resiliente del sé. I primi due
passaggi erano quelli cruciali, necessari al terzo passaggio, ovvero consentire all’emozione di fluire. Gli ultimi due passaggi, di bisogno, di riconoscimento e di resilienza,
seguivano quasi subito l’atto di far fluire appieno l’emozione. Nello scambio seguente,
Debra attraversa tutti questi passaggi per risolvere uno stato di disperazione nel corso
della dodicesima seduta:
Debra: [sospira] «Semplicemente non so più cosa fare, proprio non lo
so».
Terapeuta: «Ecco dov’è stato, adesso, si trova nel punto in cui non sa? Può
dirmi dove si trova, proprio adesso?».
Debra: «Non riesco a vedere alcuna via d’uscita, nessuna [tira su con il
naso]».
Terapeuta: «Quindi, in un certo senso, si sente davvero disperata adesso».
Debra: «Sì, ma se fossi davvero, davvero disperata, credo che semplicemente mi lascerei andare, e non sono ancora pronta a farlo, non
sono ancora pronta a dire … [tira su con il naso]: “Adesso non ce la
faccio”».
Terapeuta: «Quindi c’è ancora un barlume di energia in lei per… ».
Debra: «Sì…».
232
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
Terapeuta: «…E dove la porta?».
Debra: «Non saprei. Mi sembra che non mi porti da nessuna parte… ».
Terapeuta: «Sì… ».
Debra: «…Non ho nulla e mi sento in colpa per questo senso di vuoto e
per il fatto che non resta più nulla per i miei bambini. Mi sento
in colpa perché ho lasciato che questo accadesse a loro. È come se
mi sentissi tirata da tutte le parti, e mi sento ai limiti [tira su con il
naso]».
Terapeuta: «Quindi sta soffrendo, sì. Adesso sente proprio che la corda è finita».
Fase 1: Riconoscere la responsabilità personale nella costruzione
della disperazione
I clienti che risolvono la disperazione in terapia devono, prima di tutto, riconoscere ed esplorare i propri processi interiori implicati nella generazione della disperazione.
Nel fare questo, si spostano da un atteggiamento passivo ad uno attivo. Non sono più
soltanto delle vittime, ma degli agenti. I clienti iniziano a capire che essi stessi contribuiscono al mantenimento dello stato di disperazione e che questa disperazione non
è semplicemente il risultato di una situazione esterna. Alla fine, attraverso l’esplorazione dei pensieri negativi (per esempio: «Nulla si risolve mai») delle reazioni emotive
disadattive (per es. paura, senso di colpa) e dei comportamenti, i clienti imparano a
comprendere come possano contribuire a rendersi disperati. Questa esplorazione del
sé come agente, spesso si fonda sulla scoperta di come le attuali tendenze all’azione
di sconfitta vengano mantenute da determinati comportamenti che impediscono la
soluzione dei problemi (per es. evitare di parlare con il coniuge, il ritiro sociale, la
procrastinazione), portando a sentimenti di disperazione. Lo strumento più accessibile
alla coscienza responsabile della persistenza della disperazione, sono i pensieri negativi,
che si focalizzano nella mancanza di fiducia verso le capacità del sé ad affrontare una
situazione, nelle affermazioni di auto-disprezzo, negli standard e nella condanna di sé.
Attivare le emozioni negative nella seduta, aiuta ad indurre lo stato di disperazione.
I dialoghi fra due sedie sono spesso molto utili per far sperimentare ai clienti questo
senso di responsabilità personale.
Una volta che i clienti siano in grado di riconoscere che il sé contribuisca come
agente attivo alla generazione dello stato di disperazione, si spostano da un senso di sopraffazione, vittimismo e blocco, ad una maggiore apertura e focalizzazione sull’autoesplorazione. Si aprono all’elaborazione dei pensieri negativi e delle reazioni emotive
disadattive, divenendo più specifici e concreti. Per esempio, un cliente che di recente
non era stato nuovamente assunto nella stessa posizione contrattuale, iniziò a manifestare disperazione nei confronti di se stesso nel dialogo fra due sedie. Dopo tutto il
procedimento, disse: «Adesso mi rendo conto di quanto induco me stesso a star male.
È come se fossi il persecutore di me stesso, se dico a me stesso che sono un fallimento e
un incompetente. Non sono gli altri; sono io che faccio tutto questo a me stesso. Sono
le mie aspettative e il mio perfezionismo».
233
La terapia emotion-focused per la depressione
Nello scambio seguente Debra attraversa la Fase 1:
Terapeuta: «Glielo dica, la faccia sentire disperata, le dica cosa accadrà».
Debra: «Non so … cosa sta accadendo adesso, credo [piangendo] andrebbe tutto in pezzi e poi peggiorerebbe e tu non riuscirai a gestire
tutto».
Terapeuta: «Uhmm, quale è il nucleo di tutto, il peggio per lei adesso? Cosa
diresti sia il peggio, adesso, proprio adesso?».
Debra: (Piangendo) «Non so, non posso dirlo… È solo il mondo, tutto,
non so cosa sia, è tutto … tutto è il peggio che potrebbe essere».
Terapeuta: «Sì, quindi si sente profondamente disperata. Bene, proviamo
questo per un minuto, venga qui… Sì su questa sedia».
Debra «Sì… ».
Terapeuta: «Bene, Debra le chiedo di sedersi su quella sedia e immaginare
questo sentimento di disperazione come parte di se, di immaginare
la parte più ferita di se e cerchiamo di vedere se possiamo accedere a
come si presenta. Quindi riesce a immaginarsi lì… Mi chiedo, quali pensieri riferisce a se stessa che la fanno sentire così disperata?».
Debra: «[Scoppiando in un pianto a dirotto] Mm-hm, il fatto che le cose
continuano a presentarsi una dopo l’altra, e credo, mi sembra a
volte di guadagnare un po’ di terreno ma poi tutte queste situazioni orribili e strane si presentano di nuovo, e rivedo tutto di nuovo
e poi penso, quando finirà tutto questo? Ci sarà una fine a … c’è
… forse non c’è … [piange]».
Terapeuta: «Quindi dice a se stessa che non ci sarà mai una fine. Glielo dica».
Debra: «Tu non possiedi quello che serve per vincere… ».
Terapeuta: «Sì… ».
Debra: « …Perché, non so perché ma è solo, significa che le cose continueranno a presentarsi per sempre».
Terapeuta: «Diglielo, falla sentire disperata, dille cosa accadrà».
Debra: (Piangendo) «Sembra come se queste cose si presentino più volte,
di nuovo e di nuovo e ce ne sono così tante. Non riuscirai a gestirle
tutte».
Terapeuta: «“Non riuscirai a gestirle”».
Debra: (Tira su con il naso) «Temo che tutte queste cose mi spingano di
nuovo giù e non riuscirò … non potrò più avere alcun aiuto [dice
piangendo]».
Terapeuta: «Bene, potrebbe adesso venire qui; credo che lei sia proprio qui in
questo momento… è semplicemente spaventata, davvero terrorizzata. Le parli della sua paura».
Debra: «Ho solo paura che continui tutto sempre così e che io non ce
la farò ad affrontare tutto e … [sospira] so che continuerà così,
ci sono ancora tante cose da affrontare, mi aspetta ancora molto
[afferma piangendo]».
234
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
Terapeuta: «è così spaventata da non riuscire ad avere la forza… ».
Debra: (Tira su con il naso] «Ho paura e tutto è così, così … continua…
Continuano ad accadere cose diverse, come i bambini, [piangendo] a volte mi cercano, mi parlano e io penso: “Oh mio Dio, cosa
accadrà quando saranno adulti? Avrò una relazione terrificante anche con loro? E … se li perdessi? Non mi resterebbe nulla” [dice
questo piangendo]».
Terapeuta: «Bene, venga qui [Debra cambia posto]. In qualche modo si sente
come se stesse per perdere tutto… ».
Debra: «Sì, come se perdessi tutto, se stesse accadendo e sì, come se venisse
da me, sono io la responsabile, perchè non riesco ad affrontarlo».
Terapeuta: «Le dica cosa “lei” sta facendo».
Debra: [piangendo] «Tu lasci che le cose accadano e… Tu lasci che le cose
negative accadano».
Terapeuta: «“È tutta colpa tua”, ecco cosa le dice; lei dice a se stessa che in
qualche modo “È tutta colpa tua”».
Debra: «Non riuscirai a gestire nulla di tutto ciò».
Terapeuta: «Venga qui [Debra cambia posto]. Cosa le risponde? Come le risponde?».
Debra: «Non saprei. Tutto quello che posso dire [chiudendo] è che proverò
di nuovo. È tutto quello che posso fare».
Fase 2: Riconoscere la nuova esperienza emotiva
Nella Fase 2, i clienti che si avviano verso la risoluzione, di seguito, sono in grado
di riconoscere ed identificare una nuova emozione emergente diversa dalla disperazione (per es. tristezza, dolore, rabbia, vergogna, paura). Questo riconoscimento, spesso,
si presenta in risposta all’aver identificato il proprio ruolo attivo ed i propri pensieri
negativi. Il cliente all’inizio sperimenta poco questa nuova emozione, ma spesso non
appieno. L’emozione è indifferenziata e c’è sempre una sorta di confusione su quello
che si prova. A volte, ma non sempre, le prime emozioni con cui si entra in contatto,
sono la vergogna disadattiva e la paura alla base della disperazione. Queste emozioni
disadattive, poi, devono essere riconosciute o elaborate.
I clienti con depressioni reattive, più semplici, non si imbattono necessariamente
in emozioni disadattive fondamentali, e spesso giungono direttamente ad un’emozione
adattiva. I clienti depressi, tuttavia, devono elaborare la disperazione per arrivare, alla
fine, ad un’emozione più adattiva. La nuova emozione, spesso emerge sotto forma interlocutoria, indicando che è nuova e che non era precedentemente accessibile. Questo
nuovo stato emotivo emergente è un’emozione fondamentale adattiva. Le emozioni
adattive che emergono, di solito, sono la tristezza o il dolore, quando la disperazione
riguarda conflitti interiori; invece, nel caso di conflitti interpersonali, emergono tristezza, dolore e rabbia. Il cliente deve vivere appieno l’emozione, e non dicendo di non
volerla provare. Nell’esempio seguente, il cliente non riconosce la nuova emozione:
Cliente: «Tutto è così negativo, tutte quelle che provo sono emozioni nega235
La terapia emotion-focused per la depressione
tive e io odio sentirmi così. Vorrei davvero non sentirmi così».
Terapeuta: «Vuole fuggire da questa emozione».
Cliente: «Sì, mm-hm. Semplicemente nemmeno … detesto queste emozioni. Non mi piace sentirmi così [tira su con il naso]».
Terapeuta: «Mm-hm».
Al contrario, il frammento seguente, mostra la cliente che riconosce immediatamente una nuova esperienza:
Terapeuta: «Cosa sente in relazione a tutto questo?».
Cliente: «[Piangendo] Mi sento triste. Molto triste. È stato così difficile».
Per promuovere una risoluzione, il terapeuta deve aiutare il cliente a restare focalizzato su questa emozione emergente ed aiutarlo a chiarirla e a svilupparla. Confermare
la validità della disperazione del cliente, riconoscendo per cosa e perché si sentivano
disperati, li rafforza. La sintonizzazione del terapeuta sulle emozioni del cliente e la
comunicazione di questa comprensione e della validità delle emozioni dei clienti, è
di per se stessa un’azione che rafforza il sé e, spesso, è sufficiente per poter accedere
alla resilienza dei clienti. Altrimenti, i terapeuti devono lavorare più specificamente
sull’accedere a nuovi sentimenti. Focalizzare l’attenzione dei clienti sulle possibilità
all’interno della loro zona di sviluppo prossimale, è un importante principio generale
per accedere a nuove emozioni (ulteriori modi per accedere a nuove emozioni sono
presentati nel capitolo 12).
Nello scambio seguente, Debra è entrata in contatto con una nuova emozione
attraverso la focalizzazione del terapeuta sui sospiri. In Debra, il riconoscimento ed il
consentire all’emozione di fluire, erano stati contemporanei al passaggio successivo,
quello di entrare in contatto con i bisogni, cosa che accade spesso. Alla fine di questo
scambio il terapeuta ha spostato il dialogo su un potenziale di auto-consolazione.
Debra: «Non saprei. Non so come ottenere la pace di cui ho bisogno …
[sospira] non so come riuscirci».
Terapeuta: «Ha fatto un grande sospiro; perché?».
Debra: «Solo per il desiderio di arrivarci e potrei arrivare in un posto dove…».
Terapeuta: «Bene, viene da qui…».
Debra: «…Potrei risposarmi un po’. Devo solo arrivare in un posto dove
posso rallentare un po’ e riposarmi [tira su con il naso]».
Terapeuta: «Bene, ecco la parte critica. Voglio che la immagini adesso e che
dica a questa parte di Debra che ha bisogno di un po’ di riposo; le
dica quello che stava dicendo adesso».
Debra: «Ho solo bisogno di pace. Non ce la faccio più. Non riesco a gestire tutto questo. Non posso farcela … [piange] e quindi ho bisogno
che vada via … [sospira] e non lo farà, quindi devo trovare un
modo per… ».
Terapeuta: «Vorrei che restasse in contatto con questo bisogno di pace. Riesce
236
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
a renderlo un po’ più concreto e metterci ciò di cui ha bisogno?».
«Ho bisogno di tutte quelle cose che mi possono permettere di affrontare la situazione, [esplode in lacrime] e non so più dove sono,
e non riesco a trovarle… ».
Terapeuta: «È difficile… ».
Debra: «…Ed è tutto così distante».
Terapeuta: «Sembra persa, davvero persa, come se un pezzo dentro di lei fosse
perso».
Debra: «[sospira profondamente] Mi sento come se stessi arrivando, non saprei, ho paura che sto arrivando a una crisi e che accadrà qualcosa,
ho paura, ma … non so».
Terapeuta: «Fa paura. Proviamo a restare in contatto con questo bisogno. Ho
sentito che lei … che è entrata in parte in contatto con quello di
cui hai bisogno».
Debra: «[piangendo] Beh, sembra come se ci fosse una me molto lontana e
scollegata da tutto ciò e credo che lì si trovi la mia forza ed è quello
che devo trovare».
Terapeuta: «Sì, sì, sì, bene, bene; Riesce ad arrivarci? [Debra cambia di posto]
Riesce a mettere questa “te”, questa parte di lei in quella sedia,
quella piccola parte di lei? Riesce ad immaginare quella parte di lei
che è così lontana? Riesce a dirmi cosa vede?».
Debra: Fase 3: Lasciar fluire e accettare la nuova emozione
Nei clienti che risolvono la propria disperazione, il passaggio successivo è lasciar
chiaramente fluire e accettare la nuova esperienza emotiva adattiva. Questa fase è cruciale per la risoluzione. Il cliente sperimenta e acconsente alla piena intensità della
nuova emozione e la differenzia. I clienti passano da una descrizione distaccata, più
concettuale, o da un riconoscimento parziale della propria esperienza, ad un’esperienza
più focalizzata e più autentica. Le emozioni fondamentali come rabbia, dolore e tristezza entrano nel vissuto, insieme all’espressione dei bisogni non soddisfatti. In essenza, i
clienti iniziano davvero a sentire e ad accettare le emozioni adattive emergenti e sono in
grado di esprimere queste emozioni sul piano verbale e non verbale. Attraverso questo
contatto più focalizzato con l’attuale esperienza emotiva, i clienti iniziano ad esplorarne il significato più in profondità e con maggiore specificità. L’accettazione di queste
emozioni adattive emergenti si esprime sotto forma esplicita, come con la descrizione
del senso di averne diritto o affermando l’importanza e il valore di un’emozione e, in
maniera implicita, lasciando andare il senso di collasso del sé o smettendo di interrompere l’esperienza emotiva adattiva.
Nello scambio seguente, Debra ha lasciato fluire la propria tristezza adattiva e ha
provato compassione, ma ha anche continuato a provare la paura disadattiva:
Debra: «[Tira su il naso, in chiusura] Non saprei, vedo solo una ragazzina
che non ha mai davvero affrontato nulla ed è davvero una ragazzina carina, molto sensibile, acqua e sapone, e desidero solo così
237
La terapia emotion-focused per la depressione
tanto … [piangendo] … riuscire… [sospira]».
Terapeuta: «Mi dica qualcosa di più».
Debra: «…Vorrei che quella parte si facesse sentire e… [piangendo]».
Terapeuta: «Vuole che si faccia sentire … vuole che sia ascoltata, sì?».
Debra: «Sì».
Terapeuta: «Riesce a dirle: “Voglio che ti fai sentire”? Riesci a dirle: “Ti voglio
bene, ho cura di te”? Riesce a dirglielo?».
Debra: «Mi curo di te e credo davvero che tu sia la parte migliore di me
che è andata perduta».
Terapeuta: «“Sei la parte migliore di me, quella che si è persa, ho paura che tu
ti sia persa per sempre”. Glielo dica».
Debra: «Ho paura che ti perderai e che non riuscirò più a trovarti».
Terapeuta: «Voglio che lei venga qui. Voglio che lei sia quella ragazza, Debra.
Come risponderebbe? Cosa dice quella ragazzina?».
Debra: «“Mi sento così triste e sola”».
Terapeuta: «Le dica qualcosa di più».
Debra: «Non so. Non so. Vorrebbe, ma si sente così bloccata e molto,
molto lontana».
Terapeuta: «Riesce a dirle che ha molta paura?».
Debra: «Sono così spaventata…».
Terapeuta: «Le dica quello che… ».
Debra: «…Sento di non avere la forza. Fluttuo qui intorno senza alcun
supporto e… [sospira]».
Terapeuta: «Dille di cosa hai paura».
Debra: «Ho solo paura che le cose che accadranno oggi … accadranno a
me. Ho paura che sarò, non so, non so cosa, non so. Mi sento che
lei si sta allontanando».
Fase 4: Esprimere desideri e bisogni associati alla nuova emozione
La Fase 4 segna l’inizio dell’emergere della resilienza del sé. I desideri e i bisogni
iniziano ad emergere insieme quando emozioni più profonde, spesso dolorose vengono
espresse, più chiaramente verbalizzate ed affermate con decisione. I clienti mostrano
accettazione della propria emozione e del bisogno, manifestandolo attraverso l’espressione di aver diritto a questo bisogno. Per esempio, un cliente, che si sentiva triste
per la mancanza di supporto da parte della moglie, era arrivato ad affermare: «Merito
che qualcuno mi sostenga e si prenda cura di me». I bisogni che i clienti una volta
negavano, o che affermavano con incertezza, adesso vengono espressi come validi e
legittimi ed in maniera convincente. Le nuove esperienze emotive aiutano a rafforzare
e consolidare il senso del sé, e i bisogni del sé vengono affermati con chiarezza e forza.
Il sé sente di avere diritto a soddisfare i propri bisogni ed inizia a muoversi da un senso
di impotenza a un senso di maggiore forza. Nel frammento clinico seguente, Debra è
entrata in contatto con il bisogno di divertirsi e con la sensazione di meritarselo:
Terapeuta: «Riesce a venire qui, riesce ad arrivare qui? È difficile, ma stai fa238
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
cendo progressi importanti. Riesce ancora ad immaginare questa
ragazzina? Riesce ad immaginarla qui? Può dirle … le dica che non
vuole che vada via».
Debra: «Non voglio che tu vada via, perchè sento che sei tutto quello che
ho; ho bisogno di te».
Terapeuta: «Le dica cosa le piace di lei».
Debra: «[Piangendo] Mi piace che sei una persona semplice e amabile e
io… [scoppia in lacrime]».
Terapeuta: «Che aspetto ha?».
Debra: «Non so, non so».
Terapeuta: «è confusa; non ha un senso chiaro, ma c’è qualcosa che riesci a
vedere…».
Debra: «Vedo, una luminosità, capelli scuri, lunghi capelli scuri e solo una
senso di luminosità… ».
Terapeuta: «…E uno spirito bellissimo; vorrebbe abbracciarla e tenerla con
se…».
Debra: «Sì…».
Terapeuta: «…Vorrebbe poter parlare al posto suo…».
Debra: «Sì, vorrei essere lei, vorrei esserlo [tirando su con il naso]».
Terapeuta: «Tu sei … lei è … ».
Debra: «Io sono … lo so che è così, che è lì, ma … [sospira, tira su con il
naso]».
Terapeuta: «Ha paura di qualcosa?».
Debra: «Non saprei, non sono sicura. Credo che abbia paura, che non
voglia uscire e che … credo sia “impaurita”, una paura di essere,
come dico sempre, schiacciata, travolta… ».
Terapeuta: «Mm-hm… ».
Debra: «…Calpestata, schiacciata, ferita… ».
Terapeuta: «Riesce a dirle che le dispiace di non essere stata in grado di proteggerla?».
Debra: «Mi dispiace molto [interrompendosi] di non essere stata in grado
di proteggerti».
Terapeuta: «Riesce a dirle che vuole abbracciarla e tenerla stretta?».
Debra: «Voglio prendermi cura di te e… [profondo respiro]».
Terapeuta: «Riesce ad arrivare fino a qui? Cosa ha da dire?».
Debra: «La stessa cosa, che proverà di nuovo e che … che sarà sempre lì,
che non scomparirà mai … [si interrompe] ma… ».
Terapeuta: «“Non scomparirò, non ti lascerò”».
Debra: «Sì; ma un qualche giorno, riuscirò a tornare da lei».
Terapeuta: «Uh-huh».
Debra: «Credo avverrà con l’età… ».
Terapeuta: «Uh-huh… ».
Debra: «…Una volta che ho sistemato altre cose, credo… [sospira profondamente]».
Terapeuta: «Riesce a dirmi cosa sente adesso, Debra?».
239
La terapia emotion-focused per la depressione
Debra: «Mi sento come, sì, come se potessi provare un’altra volta e credo
di poter … quando avrò davvero pace, credo di poterla trovare e
credo che mi darà molta forza».
Terapeuta: «Sì, lo credo anch’io…».
Debra: «…Senza nemmeno rendermene conto…».
Terapeuta: «Sì, sì credo che lo farà».
Debra: «Sono così confusa che non mi rendo conto che davvero sto entrando in contatto con quella parte di me e…».
Terapeuta: «Sì, sì quando tutto sembra scorrere confusamente nella sua testa
e ci sono così tante cosa da fuori che entrano per ferirla, per farla
male, per colpirla come piccoli coltelli, è così difficile chiudere tutto fuori ed entrare in quella parte di lei. Pensa di poterci provare?
Voglio dire, è qualcosa di cui si sente più sicura?».
Debra: «Sì, proverò a stare calma e ad accedere a quella parte di me».
Terapeuta: «Ho la sensazione che ci sia lì molto; che lei abbia solo toccato,
per dire, la superficie, ma dalla figura di qualcuno che è luminoso
con dei capelli scuri, sembra esserci molto di più. Ho sentito che
c’è molto nella sua emozione … uhmm … e mi ha ricordato del
tempo precedente, in cui era in quella sedia e parlava delle cose che
le sono accadute da giovane».
Debra: «Come se pensassi che c’è stato un periodo della mia vita quando
pensavo che quella persona fosse più…».
Terapeuta: «…Più predominante… ».
Debra: «…Predominante e credo di dover solo ricordare quei momenti
e pensare che tutto era così diverso e quelle sono che hanno così
influenzato … il modo in cui mi sento e … io desidero solo divertirmi, è passato così tanto tempo da quando ho giocato l’ultima
volta [scoppia a piangere]».
Terapeuta: «Può dirmi qualcosa di più?
Debra: «Io davvero … quella parte di me vuole solo … mi accontento
facilmente, sono una persona che diventa felice facilmente e ho bisogno di … riuscire solo a divertirmi e non pensare a nulla, quella
sensazione…».
Terapeuta: Sì, ecco quella parte di lei che è solo…».
Debra: «E credo di meritarmelo, credo di dovermi premiare…».
Terapeuta: «Sì…».
Debra: «…Ma non so come. Semplicemente non ho trovato il modo».
Fase 5: L’emergere di una risposta resiliente del sé
In questa fase finale, i clienti alla fine esprimono un ottimismo generale sul futuro
e si sentono più sicuri della propria capacità di far fronte agli eventi. I clienti si muovono da una sensazione di disperazione e impotenza, a nuova speranza e forza. Mostrano
maggiore assertività, verbale e non verbale, nella propria capacità di rifiutare le autocritiche o le convinzioni negative. I clienti, a volte, esprimono una nuova prospettiva o
240
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
una nuova modalità positiva di vedere la situazione o al sé e che promuove la crescita.
In questo processo, quindi, si spostano da un atteggiamento di disperazione e
impotenza ad uno di speranza e forza. Questo stato emergente di resilienza è di solito caratterizzato da una serie di qualità, ovvero: cambiamento dello stato emotivo,
cambiamento nelle convinzioni sul sé, emergere di una nuova prospettiva, possibilità
di affrontare le situazioni, speranza nel futuro, comportamenti di auto-consolazione,
capacità di conservare questa forza di fronte all’auto-critica o al rifiuto percepito o alle
critiche degli altri, lasciar andare le aspettative non realistiche sul sé o sugli altri e manifeste intenzioni di cambiamento. I clienti mostrano anche un cambiamento nei comportamenti non verbali, fra cui una voce più assertiva, un cambiamento nella postura,
assenza di lacrime, energia rinnovata, e questo atteggiamento più forte si mantiene fino
alla fine della seduta. Lo scambio seguente mostra come Debra abbia portato a termine
questa fase:
Terapeuta: «Non deve accadere tutto in una volta, ma passo per passo… ».
Debra: «Sì… ».
Terapeuta: «Riesce ad arrivarci? Abbiamo quasi finito il tempo. Riesci ad immaginare che lei si trova lì e dice che desidera divertirsi; riesci a
concedergliene un po’? Cosa può offrile in questo momento?».
Debra: «Quello a cui riesco a pensare è … il più vicino che riesco ad avvicinarmi è nel mio giardino e la natura… ».
Terapeuta: «MM-hm… ».
Debra: « …Mettere le mie mani sulla terra e… ».
Terapeuta: «Mm-hm… Quindi può farlo, metta le mani nel suo giardino, dà
se stessa, dà questa parte amabile e gioiosa di se, questa bellissima
luce splendente che è dentro di lei, una stanza per crescere, per
acquisire forza, entrando nel suo giardino, toccando la natura e
sentendo la terra e i fiori crescere e così via, e sentire che questo le
dà un po’ di forza… ».
Debra: «Sì… ».
Terapeuta: « …Lasci che questa parte di lei venga fuori… ».
Debra: «Mm-hm… ».
Terapeuta: «Può farcela… ».
Debra: «Sì… ».
Terapeuta: «Riesci a dirglielo?».
Debra: «Sì ce la posso fare, e che farò e cercherò di seguire anche altre
cose, la musica, e altre ancora che mi portano gioia… ».
Terapeuta: «Può fare molte cose, ce ne sono tante. Adesso, inizi solo concedendo a Debra un po’ di tempo nel suo giardino, perché è questo
che alla fine le darà la forza… ».
Debra: «Mm-hm… ».
Terapeuta: «…Dove l’animale ferito può riprendersi, dove lei puoi riacquistare forza in modo che quando sarai fuori nel mondo, in cui esistono
persone orribili, nel mondo, per qualunque ragione, che in qualche modo hanno il potere di immobilizzarla…».
241
La terapia emotion-focused per la depressione
Debra: «Mm-hm… ».
Terapeuta: «…A costruire questa staccionata che la protegga … sì, ho la sensazione, ho … lontana, ma non così lontana da essere impossibile… ».
Debra: «Sì… ».
Terapeuta: « …Forse oggi, ha visto che è possibile iniziare a trovare quella
parte di lei, che non è poi così lontano come credeva».
Debra: «Sì, è … ho avuto la sensazione che sta lì, e continuerò a potervi
accedere, e lo farò, senza nemmeno rendermene conto».
Terapeuta: «Mm-hm…».
Debra: «Devo solo consapevolmente, fare davvero uno sforzo…».
Terapeuta: «Sì…».
Debra: « …Per nutrire quella parte di me perché…».
Terapeuta: «Mm-hm…».
Debra: « …Quella è la parte che mi salverà».
Terapeuta: «Mm-hm… Sì».
Debra: «Credo di dover consapevolmente, adesso, mettere da parte tutte
le altre cose…».
Terapeuta: «Mm-hm…».
Debra: «Credo di dover davvero, credo … non accenderò più la televisione,…».
Terapeuta: «Una sorta di…».
Debra: «Credo di poter controllare, di dover controllare, e…».
Terapeuta: «Sì, sì conceda di farlo, ecco cosa stai dicendo, sembra che lei possa…».
Debra: «Mm-hm…».
Terapeuta: «Non deve…».
Debra: «No…».
Terapeuta: «…Affrontare ogni piccola cosa…».
Debra: «Mm-hm … quelle che non posso controllare…».
Terapeuta: «Esatto… ».
Debra: «…Ma tutto quello a cui riesco a pensare consapevolmente…».
Terapeuta: «Sì… ».
Debra: «…Quello che io faccio…».
Terapeuta: «Come se, adesso che sta ricostruendo la sua forza, non dovesse
prendere uno schiaffo in faccia per ogni cosa negativa».
Debra: «Sì».
Terapeuta: «Bene, credo che questo sia un buon punto dove fermarsi, sono
felice che lei sia riuscita a fare questo piccolo collegamento oggi…».
Debra: «Sì, sento di averlo fatto… ».
Terapeuta: «…Con questa parte di lei. Credo lei sia una persona meravigliosa.
Voglio solo che lei sappia che io ci sono, e che la sostengo…».
Debra: «Sì… ».
Terapeuta: «…Mentre lei attraversi questo momento difficile, molto duro,
bene?».
242
Evocare le emozioni: il dialogo fra le due sedie e la disperazione
Debra: «Bene».
La disperazione adattiva
È importante notare che alcune forme di disperazione e impotenza fondamentali
sono risposte adattive primarie e queste devono essere accettate come il primo passaggio cruciale del cambiamento. Di solito sembra che la disperazione non sia uno stato
desiderabile e che sia bene provare speranza. Anche la competenza è vista in un’ottica
positiva e l’impotenza come negativa. Nonostante tutto, lasciar stare una lotta inutile
contro avversità impossibili, genera sentimenti adattivi di sconforto o impotenza che a
volte sono necessari per un cambiamento. Queste forme adattive di disperazione sono
risposte a situazioni impossibili, più che risposte di un sé fragile. Affrontare questa
tipologia di disperazione primaria, invece che evitarla, implica un processo di cambiamento paradossale. Se il terapeuta riesce ad aiutare questi clienti a smettere di lottare
contro l’inevitabile e ad accettare di sentirsi disperati o impotenti, questo li porterà ad
abbandonare strategie che non possono funzionare e obiettivi che non possono essere
conseguiti. Riconoscere le emozioni di disperazione o impotenza, quindi, implica anche l’abbandono di sprechi inutili di energie e la possibilità di riorganizzarsi. Per esempio, un cliente che in terapia era riuscito ad accedere per la prima volta ad un senso di
disperazione, perché non sarebbe mai riuscito a conseguire gli obiettivi professionali
prefissati, aveva deciso che era inutile continuare a cercare di ottenere l’impossibile.
Alla fine della seduta, il cliente sottolineò che, nonostante la sofferenza per la perdita,
si sentiva più in pace.
Le emozioni di disperazione o impotenza adattive, in queste, e tutte, le situazioni,
non sono affermazioni razionali sulla realtà, ma sentimenti. Non sono conclusioni che
generano azioni. Non indicano necessariamente una depressione persistente o sconforto. Piuttosto, sentirle significa accettarle e rendersi conto che un obiettivo non è
conseguibile. L’accettazione di queste emozioni segna l’inizio di un’assunzione di responsabilità per nuovi impegni e nuovi obiettivi. Affrontare la disperazione non vuol
dire credere nell’affermazione «Io sono disperato», bensì, rendersi conto del feedback
del proprio corpo sul fatto che uno sforzo non sta dando i risultati previsti e che questo
sforzo, per superare gli ostacoli, non ha alcun senso. Impotenza significa riconoscere
che non possiamo semplicemente far nulla. Entrare in contatto ed accettare l’esperienza dell’inutilità di una lotta, è spesso un passaggio critico in un processo di cambiamento emotivo che implica affrontare ciò che prima si evitava per paura, lasciando andare
le soluzioni che non funzionano e stabilendo le condizioni per una riorganizzazione
creativa.
243
CAPITOLO 12
EVOCARE LE EMOZIONI BLOCCATE:
DRAMMATIZZAZIONE CON LE DUE SEDIE E
DIALOGHI SUGLI “UNFINISHED BUSINESS”
I tentativi di evocare le emozioni spesso portano al centro dell’attenzione i mezzi
con cui i clienti impediscono o interrompono le esperienze emergenti. Consideriamo
le difese contro le emozioni, o il loro evitamento, come tentativi di auto-protezione.
Perls, Hefferline e Goodman (1951) hanno suggerito che attraverso l’identificazione
con le resistenze, queste si trasformano in punti di aiuto. Questo processo implica
l’accettazione di ciò che è. Pertanto, aiuta i clienti a riconoscere le funzioni positive e
protettive dei processi d’interruzione, li porta alla consapevolezza e porta il cliente ad
identificarsi con questo processo come parte del sé.
Quando subentrano blocchi all’esperienza e all’espressione, i terapeuti devono focalizzarsi su di questi e aiutare i clienti a prendere consapevolezza e a sperimentare
come interrompono le emozioni o i bisogni. Gli interventi devono esplorare le varie
modalità con cui i clienti bloccano l’esperienza nella seduta. I blocchi possono andare
dalla dissociazione al trattenere le lacrime, a spingere la conversazione su altri punti.
Aiutare i clienti, prima, a diventare consapevoli che stanno evitando un’esperienza e,
poi, a comprendere come la evitano o la interrompono, li aiuta a rendersi conto del
proprio ruolo attivo nel processo di interruzione del flusso emotivo. Questa consapevolezza, alla lunga, li aiuta ad accettare l’esperienza emotiva evitata.
Un obiettivo importante della terapia emotion-focused (EFT) è aiutare i clienti a
prendere consapevolezza di come bloccano (Greenberg & Safran, 1987) le esperienze. Esistono due differenti aspetti delle interruzioni: l’interruzione dell’espressione
o inibizione, e l’interruzione dell’esperienza o evitamento. Entrambe le interruzioni
implicano un’attività, anche se è diventata automatica. La terapia aiuta a “disautomatizzare”, o ad interrompere la natura automatica delle attività di interruzione. Quando
i clienti esprimono un’emozione, la muscolatura partecipa all’emozione stessa come
aspetto fisiologico dell’evento. Quando l’emozione viene bloccata, lo si fa anche con
245
La terapia emotion-focused per la depressione
la complicità dei muscoli. Il cliente sarebbe tutto pronto per esprimere quell’emozione ma la trattiene. Il concetto di “tutto pronto” implica la presenza di un desiderio
costante di conclusione dell’intero processo. I muscoli continuamente contratti, tuttavia, impediscono al cliente di esprimere tristezza, furia, disperazione o depressione.
È importante notare che questo è differente dall’immagazzinare le emozioni di cui poi
ci si deve liberare. I terapeuti, allora, devono lavorare sul desiderio di esprimerle e sul
desiderio di inibirle e dare voce ad entrambe queste tendenze (sul piano verbale e non
verbale).
Prima di tutto viene la consapevolezza dell’interruzione e, successivamente, la disautomatizzazione, portando il processo di interruzione in primo piano, trasformandolo in un’attività ed esagerandolo. Il momento in cui il terapeuta può intervenire per
smantellare dei blocchi, è quando il cliente mobilita un po’ di energia, anche se bassa.
Per esempio, un cliente potrebbe guardare il terapeuta dritto negli occhi o esprimere
disaccordo e dire no. Il terapeuta, allora, sottolinea questi momenti e porta il cliente
alla consapevolezza del processo (come ha mobilitato l’energia in questo momento
specifico, cosa l’ha aiutato). Il cliente potrebbe essere in grado di sperimentare tutto ciò
come un successo; si sente più vivo e si sente meglio. Lentamente, in questo modo, i
clienti iniziano a trovare il proprio modo per mettere in moto energie, confermare se
stessi e agire.
L’analisi e il superamento dei processi d’interuzione sono importanti sotto-obiettivi della terapia per la depressione, e terapeuta e cliente devono stabilire una collaborazione per farlo e circa le modalità con cui farlo. Per definizione, affrontare quello
che si teme può incutere paura. La collaborazione fornisce sicurezza e minimizza lo
sviluppo di resistenze, alleanze sbagliate o impasse nel trattamento. Nella EFT per la
depressione, il terapeuta cerca di sintonizzarsi empaticamente e di essere molto attento
alla parte fondamentale del cliente che è orientata alla crescita. È attraverso l’esperienza
di questa sicurezza e di questa sintonizzazione con il terapeuta, che i clienti spesso riescono a smantellare le interruzioni, ad abbassare le barriere protettive e ad accedere alle
esperienze affettive fondamentali. Un cliente con importanti processi di interruzione e
di evitamento, spesso mostrano poche, se non alcuna, emozioni verso cui manifestare
empatia. Spesso, allora, è molto difficile costruire quel legame terapeutico intimo che è
essenziale per il trattamento con i clienti fortemente evitanti, dal momento che la loro
capacità e desiderio di legare non sono disponibili. Le tecniche che aiutano a sbloccare
questi clienti sono particolarmente utili, perché rendono possibile la costruzione del
legame terapeutico e la connessione con il terapeuta.
È tuttavia essenziale assicurarsi che i clienti abbiano fonti di supporto interiore
adeguate per entrare in contatto con le emozioni, prima di smantellare i blocchi e prima di evocare e far sperimentare le emozioni. Alcuni clienti diventano molto tesi alla
prospettiva di incontrare le proprie emozioni. Il terapeuta deve manifestare empatia
verso la paura, deve capire che il blocco è una forma di protezione e che è necessario
un supporto maggiore. Da un lato, è indicato un maggiore supporto relazionale sotto
forma di conferma e costruzione della fiducia; dall’altro lato, la costruzione di supporti
interiori, attraverso un approccio graduale e volto ad incrementare l’emozione, aiuta
i clienti a gestire l’ansia. Una certa forma di esposizione graduale o un processo di
desensibilizzazione sono molto utili nell’aiutare i clienti a costruire una forza interiore
246
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
per entrare in contatto e tollerare le emozioni. Il terapeuta, inoltre, aiuta i clienti a
smobilitare questi sostegni interiori, suggerendo ai clienti, per esempio, di respirare, di
poggiare i piedi per terra e di descrivere cosa sentono, al fine di accrescere il contatto
con la realtà sensoriale. Inoltre, i terapeuti possono chiedere ai clienti di valutare quando si sentono pronti per andare oltre, in maniera da assicurarsi che sentano di avere il
controllo della situazione. L’obiettivo è far sciogliere le barriere difensive e protettive,
non abbatterle. Questa lenta scomparsa della barriera si ottiene sia con il supporto
empatico e la consapevolezza della presenza di un blocco, sia riappropriandosi di questi
processi come attività protettive, così il cliente riesce ad avere il sostegno necessario per
lasciar andare l’interruzione.
Un’altra tecnica per gestire i blocchi è l’interpretazione o la messa in discussione
del blocco. Il confronto è utile nel superare i blocchi? È prima di tutto importante
evidenziare che il confronto non deve assumere per forza caratteristiche aggressive e,
similmente, che l’empatia non è necessariamente sempre sicura. Dal nostro punto di
vista l’empatia è una modalità relazionale molto potente e che, a volte, può essere molto simile ad uno scontro. Così, riflettere l’emozione mancante, può avere un impatto
altrettanto forte che quello di scontrarsi con il blocco che protegge il cliente. Il focus
dei due interventi, l’empatia verso l’emozione bloccata e lo scontro con il blocco, sono
però molto differenti. L’empatia cerca di promuovere un’alleanza contro la resistenza
attraverso l’affermazione delle sane spinte alla crescita presenti nel cliente, mentre il
confronto mette direttamente in discussione la resistenza. Il confronto con le resistenze
tende a far sorgere ansia e deve essere utilizzato con criterio, dal momento che l’obiettivo nella EFT è generare sicurezza. Confronti positivi come «Sembri perdere le forze»,
oppure «Diventa così difficile restare calmi», sono migliori rispetto ai confronti negativi
come «Sei paralizzato», oppure «Reagisci in maniera esagerata». L’eliminazione completa del confronto dal repertorio terapeutico, tuttavia, può portare ad una negligenza
terapeutica legata al timore di dover sembrare troppo provocatori.
Se il terapeuta reprime l’irritazione verso il cliente e poi, come ultima risorsa, si
confronta con lui, l’irritazione può venir fuori ed il confronto potrebbe essere prematuramento provocatorio. È meglio affrontare le problematiche dell’interruzione delle
emozioni e della mancanza di collaborazione mano a mano che si presentano nel corso
del trattamento. Le operazioni di confronto devono essere fatte al momento giusto e
quando il cliente è parte di un processo collaborativo, e sempre tenendo presente la
funzione protettiva del blocco. Inoltre, il confronto dovrebbe essere un intervento di
ultima risorsa, che arriva dopo una sequenza di altri interventi. Il terapeuta cerca di
promuovere prima di tutto la consapevolezza dei processi di interruzione, poi fornisce
chiarificazione e, solo allora, può metterli in discussione, al momento giusto e con la
collaborazione del cliente. Lo scambio seguente si è verificato con un cliente che era
collassato in uno stato di impotenza da dipendenza:
Terapeuta: «Cosa succede? è diventato un bambino piccolo; sembra che lei
abbia perso tutta la tua forza [confronto delicato dal momento che il
cliente sembra essere bloccato]».
Cliente: «Non ce la faccio a stare in piedi da me».
Terapeuta: «Come mai? Cosa succede?».
247
La terapia emotion-focused per la depressione
Cliente: «Non so».
Terapeuta: «È come se avesse perso la voce, è diventato piccolo. Riesce a stare
in piedi da solo?».
La drammatizzazione con le due sedie per
l’auto-interruzione delle emozioni
Un intervento particolarmente utile nel lavoro sui blocchi emotivi, è portare i
clienti ad inscenare il processo di interruzione in un dialogo immaginario fra le due
parti della personalità (Greenberg, Rice & Elliott, 1993). Questa drammatizzazione
con le due sedie sull’interruzione delle emozioni è differente dal dialogo sull’auto-critica, discusso nel capitolo 11. Una drammatizzazione con le due sedie si applica meglio
quando la parte del cliente, nel mezzo di un vissuto, inizia ad esprimere un’emozione,
un bisogno associato, un’azione interrotta da una parte di auto-censura che cerca di
impedire l’espressione o l’esperienza. In confronto alle scissioni auto-critiche, gli indicatori delle scissioni auto-interrompenti, di solito, hanno un importante aspetto non
verbale, corporeo e, a volte, vengono espresse solamente sul piano non verbale, come
con un mal di testa o un senso di costrizione al petto. Gli obiettivi del terapeuta nel
lavoro sull’auto-interruzione, consistono nell’accrescimento della consapevolezza sui
processi interruttivi e sull’aiuto al cliente ad accedere e a consentire il flusso dell’esperienza interiore bloccata o sconfessata.
In una drammatizzazione con le due sedie, in seguito ad un indicatore di autointerruzione, i clienti vengono incoraggiati ad inscenare come interrompono se stessi dall’esperienza emotiva, a verbalizzare le specifiche intimazioni che utilizzano o ad
esagerare le costrizioni muscolari implicate nell’interruzione (Greenberg et al., 1993).
Alla fine questo provoca una risposta, spesso una ribellione contro la soppressione, e il
sé, che sta vivendo l’esperienza, si oppone alle intimazioni, ai pensieri costrittivi, o ai
blocchi muscolari e l’emozione soppressa riesce a farsi strada fra le costrizioni. Questo
processo favorisce il sollievo dalla depressione.
I clienti possono anche essere aiutati, grazie a questo intervento, a superare reazioni emotive secondarie che bloccano l’evocazione di emozioni più primarie. Così, il senso di colpa per essere arrabbiati verso un genitore, potrebbe bloccare la consapevolezza
della rabbia e lasciare il cliente disperato, e la paura del rifiuto o l’ansia dell’abbandono
potrebbero interrompere l’espressione assertiva. La vergogna per aver perso il controllo,
o la debolezza, potrebbero interrompere una sofferenza adattiva. I terapeuti riconoscono, ma non intensificano, queste emozioni negative secondarie. Piuttosto, portano i
clienti a rappresentare il processo con cui interrompono le emozioni più fondamentali.
Si chiede ai clienti di provocare il senso di colpa o la vergogna in se stessi fino a che non
accedano ad un’emozione più fondamentale e vi si oppongano. L’evocazione, quindi,
implica sempre il prestare attenzione e far uscire le emozioni primarie fuori dalla consapevolezza. Le emozioni adattive primarie come la rabbia, devono essere distinte con
attenzione dalle emozioni secondarie difensive come la rabbia che nasconde la sofferenza o desideri non soddisfatti. La tristezza adattiva primaria che viene repressa e che
248
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
promuove la sofferenza, deve essere differenziata dall’impotenza secondaria e dal pianto
depressivo che esasperano i sentimenti di disperazione e vittimizzazione.
Le auto-interruzioni sono comuni nella depressione; i clienti o trattengono
l’espressione e la piena intensità della propria tristezza o della rabbia, oppure hanno
difficoltà ad accedere o ad affermare determinati bisogni. I clienti depressi interrompono l’espressione dei bisogni perché hanno paura che non trovino risposta e perché temono le emozioni associate di devastazione e delusione. Oppure bloccano l’emozione
per paura delle conseguenze. Gli uomini depressi, spesso non riescono ad esprimere la
rabbia perché hanno paura della propria potenziale distruttività, oppure considerano
la rabbia una sconfitta e non desiderano ammettere alcuna debolezza. Considerano
l’ammissione della rabbia come un’ammissione che qualcosa li ha colpiti e che non
hanno più il controllo della situazione. Le donne, spesso temono che la propria rabbia danneggerà le relazioni o che non sarà considerata accettabile. I clienti, inoltre,
interrompono la piena espressione delle emozioni e dei bisogni per paura di perdere
l’approvazione o l’attaccamento. L’iper-regolazione delle emozioni è molto frequente
nelle depressioni semplici ed è dovuta all’azione di catastrofizzazione delle possibili
conseguenze dell’espressione emotiva, o al senso di colpa per aver riconosciuto o espresso l’emozione. Vivere appieno ed esprimere la rabbia e la tristezza, sono spesso una cura
per le depressioni reattive semplici.
Gli indicatori più comuni delle auto-interruzioni nella depressione, sono la rassegnazione, la disperazione ed il senso di intrappolamento. Questi sono spesso accompagnati da sintomi fisici, come senso di oppressione, appesantimento, blocco, costrizione
al petto o un dolore al collo. In questi casi, le emozioni primarie o i bisogni, vengono
così efficacemente interrotti che restano al di fuori della sfera della consapevolezza. Per
esempio, Tony era un uomo di 40 anni che si sentiva intrappolato nel matrimonio e
nel lavoro. Era chiaramente arrabbiato, come visibile dal cipiglio sul volto ogni qual
volta parlava di queste situazioni, ma l’esperienza riferita era di letargia, stanchezza e
mal di testa. Diceva che forse era qualcosa di fisico. Nella seduta riferiva dolore al collo
e un senso di pesantezza alle spalle, come se avesse un peso molto grande che lo faceva cadere. La successiva drammatizzazione con le due sedie, aveva rivelato che questi
erano sintomi dell’auto-interruzione della sensazione di essere intrappolato: stava interrompendo la propria rabbia. Il processo di auto-interruzione di Tony nella seduta,
risulta evidente dall’estratto seguente delle fasi iniziali della terapia, in cui il terapeuta
si focalizza prima sulla semplice consapevolezza dell’interruzione dell’emozione:
Tony: «Beh, molte volte letteralmente … uhmm … mi vedo con un occhio negativo… ».
Terapeuta: «Uh-huh… ».
Tony: « …E questo fa male. Letteralmente penso a me stesso… ».
Terapeuta: «MM-hm… ».
Tony: « …Come uno che non è poi nulla di che… ».
Terapeuta: «Sì… ».
Tony: « …In modo da meritare ciò che stavo ottenendo».
Terapeuta: «Un-huh, uh-huh. Quindi, sì, sì, era così: “Il trattamento era così
negativo che, perché avesse un senso per me, dovevo iniziare a
249
La terapia emotion-focused per la depressione
sentirmi come se fossi stato un cattivo bambino eche me lo meritassi”. Che cosa terribile per un piccolo ragazzo prendersi su di sé
tutto questo [pausa]. Come si sente mentre pensa a tutto questo
adesso?».
Tony: «Beh, mi sento triste».
Terapeuta: «Sì».
Tony: «Mi sento… ».
Terapeuta: «Sì, si sente triste… ».
Tony: «Ma voglio anche tagliare fuori tutto [chiaro indicatore di interruzione]».
Terapeuta: «Sì… ».
Tony: «Vorrei… ».
Terapeuta: «Immagino che il dolore inizi a tornare di nuovo ed è semplicemente opprimente».
Tony: «Sì».
Terapeuta: «Bene».
Tony: «Non … non voglio affrontarlo».
Terapeuta: «Uh-huh., sì. Quindi vuole semplicemente escluderlo. Credo che
inizi … che inizi a sentirlo, se la tristezza sale e ti ricordi come
erano le cose e quanto fosse difficile non essere amato. Tutto quel
dolore è semplicemente troppo, giusto? Stai dicendo: “Non voglio
essere io, non voglio provarlo” [pausa]. Sì, quindi cosa succede? È
come se iniziassi a sentire un’onda di qualcosa e poi tu… ».
Tony: «Beh, mi viene mal di testa, i miei occhi si annebbiano».
Paura delle emozioni
Nella depressione collegata ad un trauma, processi di chiusura, vuoti mentali e dissociazioni, che forse sono stati adattivi al momento dell’evento traumatico, adesso interferiscono con l’integrazione dell’esperienza traumatica. Anche questi blocchi devono
essere superati. Questi clienti sono estremamente bloccati e non sembrano in grado di
rispondere, indipendentemente dagli interventi applicati. Restano distaccati, oppure il
terrore di osservare i sentimenti genera l’impossibilità di esplorare ulteriormente. Questo sembra accadere per l’esplorazione della fisiologia e degli impulsi collegati alla rabbia, ma anche alla tristezza e al dolore che temono possa disintegrarli (Bolger, 1999).
Weston (2005) ha condotto un’analisi sui ricordi, teoricamente ben fondata, attraverso videoregistrazioni di clienti depressi contenenti nove eventi di auto-interruzione. I clienti rivedevano i segmenti videoregistrati delle interruzioni e ricordavano
l’esperienza soggettiva al momento dell’interruzione. La categoria “paura dell’emozione” era emersa come categoria fondamentale nella descrizione dell’esperienza. Tutti i
partecipanti ricordavano l’esperienza di paura dell’emozione, ma la natura e la qualità
della paura variava nei partecipanti. Alcuni temevano un’emozione particolare, come la
rabbia, mentre altri temevano una serie di emozioni diverse, come rabbia, sofferenza o
tristezza. Sono state individuate quattro categorie per cogliere le differenti sfaccettature
250
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
del vissuto di paura dell’emozione: paura dell’ignoto, paura di perdere il controllo,
paura nella relazione terapeutica e paura di auto-annichilimento.
Tre clienti avevano espresso paura verso le caratteristiche sconosciute dell’esperienza emotiva. Per alcuni, era la natura non simbolizzata dell’esperienza emotiva a
generare paura. Un partecipante aveva descritto la paura di “un’onda” sconosciuta, di
un sentimento o “qualcosa” che aveva bisogno di “definire” prima di poter consentire a
se stesso di “attraversarla”. Un’altra donna disse circa il ricordo: «In realtà non provavo
nulla e questa è la cosa che mi spaventava. Sapevo di provare qualcosa, ma non ne ero
consapevole… Sto iniziando a rendermi conto che ci sono molte emozioni a cui non
riesco a dare un nome e vorrei perché … così non mi spaventerebbero».
Per un altro partecipante, la paura proveniva dal non conoscere dove l’esperienza
e l’espressione dell’emozione lo avrebbero portato. Un partecipante ricordava la paura
di esprimere la rabbia: «Non mi sentivo di gridarlo… Temevo che sarebbe accaduto
qualcosa … in qualche modo era ancora frenata … avevo paura di lasciarla salire al
massimo … non sapendo cosa avrebbe potuto fare o come sarebbe stato».
Il vissuto di un’emozione era schiacciante per una serie di partecipanti e questo era
collegato alla paura di perdere il controllo. Ricordavano l’improvvisa e non anticipata
esperienza dell’emozione, insieme ad un aumento dell’arousal fisiologico. Un partecipante ricordava la sua esperienza di «Vecchie reazioni a vecchi ferite, le reazioni fisiche
… nel petto, a volte nello stomaco e mi sento come una vampata nel viso e gli occhi
iniziano un po’ a lacrimare, e anche una sorta di … perdita del controllo». Un altro partecipante ricordava la qualità esplosiva dell’esperienza dell’emozione e la relativa paura
di “perdere il controllo”: «L’ho provata molte volte … la paura di “Oh mio Dio, esploderà proprio adesso nella stanza, e mi dovranno portare via con la camicia di forza”».
Alcuni partecipanti ricordavano di aver provato la paura dell’emozione nel contesto della relazione terapeutica. Una donna ricordava la paura di provare intimità emotiva con il terapeuta: «Ogni qual volta mi chiedeva: “Come ti senti adesso, in questo
momento?”, provavo una terribile paura, un senso di minaccia». Aveva descritto questa
paura come collegata all’idea che il terapeuta «Stesse avvicinandosi a qualcosa di decisamente sgradevole». Inoltre, “l’attenzione stretta” del terapeuta su di lei era nuova e si
sentiva “spaventata e minacciata”. Era come se, concedendosi di provare intimità con il
terapeuta, si avvicinasse allo stesso tempo alla propria esperienza emotiva. Anche altri
partecipanti ricordavano di aver provato paura o ansia in risposta alle etichette verbali
utilizzate dal terapeuta o alle specifiche domande relative all’esperienza emotiva. Una
donna disse di aver ricordato di pensare la frase: «Mi spaventa quando dice “sofferenza”
perché non voglio andare lì». Un altro partecipante maschio ricordava: «Non so come
rispondere quando mi dice: “Oh sembra una cosa alquanto triste”. Avevo paura di dire: “Ebbene, sì è triste” e mi sono accorto che lo facevo davvero tante volte». Un altro
partecipante aveva ipotizzato che i suoi sentimenti di “inquietudine e di ansia” quando
provava rabbia fossero collegati al “non volerli esprimere al terapeuta”.
La paura di morire era una tematica presente nei resoconti di alcuni partecipanti
che avevano paura delle emozioni. Una donna ricordava che mentre si sentiva triste:
«Avevo uno sconvolgimento nello stomaco … il cuore mi batteva all’impazzata …
temevo anche che nessuno sarebbe riuscito ad aiutarmi. Avevo paura di morire». Un
altro partecipante aveva descritto la paura di poter morire se avesse consentito l’accesso
251
La terapia emotion-focused per la depressione
all’esperienza di «Profondo dolore e sofferenza … così erano le mie emozioni in quel
momento; se lascio andare le mie emozioni e piango davvero, mi spezzerò. Mi spezzerò.
Potrei anche morire perchè non sarei in grado di sopportarlo … il dolore». Un uomo
aveva portato immagini tratte dal film Alien per descrivere la potenziale forza distruttiva della sua rabbia mentre ricordava la paura dell’auto-annichilimento: «Ecco di cosa
mi sono ricordato. Questo tipo ha delle cose che crescono dentro di lui e improvvisamente mastica e rosicchia tutto al punto che finisce per uccidere anche se stesso».
Una task analisys del ricordo audio assistito dei clienti, sull’esperienza momentoper-momento degli eventi di auto-interruzione, ha descritto le fasi del processo di interruzione, rivelando che un impulso iniziale, o l’espressione iniziale, venivano contrastati
da un’opposizione iniziale (Weston, 2005). In questa fase del processo di interruzione, il desiderio di esprimere le emozioni veniva immediatamente corrisposto da una
mancanza di desiderio; il riconoscimento o l’espressione dell’emozione era disponibile
alla consapevolezza. Mano a mano che i clienti differenziavano ulteriormente la propria opposizione all’emozione nella seduta terapeutica, descrivevano la consapevolezza
dell’esperienza di un sé vulnerabile che stavano cercando di bloccare, spesso per paura
o ansia e vergogna o imbarazzo.
In risposta all’esperienza di sé di paura o vergogna, consciamente mettevano in
atto azioni di evitamento, di auto-protezione e azioni di auto-controllo. Le azioni di
evitamento erano caratterizzate da “fuga” dall’esperienza, come se dicessero al sé di correre e “nascondersi”, intorpidirsi o di scindersi dal dolore. Le azioni di auto-controllo
implicavano un movimento verso l’esperienza emotiva con l’intenzione di controllarla.
Spesso, le azioni di auto-controllo implicavano un approccio sconfermante dell’emozione, come un attacco, un approccio critico alla rabbia o alla tristezza. Il controllo fisiologico e le convinzioni sulla necessità di controllare le emozioni, erano anche una conseguenza dell’intenzione di controllare l’emozione. Infine, il risultato dell’evitamento
e del controllo dell’emozione portava alla consapevolezza di un vuoto nell’esperienza
di sé. I clienti riconoscevano un senso di vuoto che implicava uno o più delle seguenti
sensazioni: impotenza, rassegnazione, disperazione, dolore fisico, stanchezza, intorpidimento, ritiro dell’attenzione, vuoto, confusione, emozioni negative, convinzioni negative sul sé e un senso di debolezza del sé. Il pattern d’interruzione di ciascun cliente
era iterativo e idiosincratico.
Queste analisi hanno mostrato che l’evitamento e l’auto-controllo, di fronte
alla paura dell’emozione, derubavano i clienti della loro vitalità lasciandoli con una
sensazione di svuotamento fisico, emotivo e psicologico (Weston, 2005). Questi
risultati suggeriscono che la risoluzione della paura dell’emozione in modi che non
implicano comportamenti evitanti e di auto-controllo, sia un importante focus del
cambiamento.
Le drammatizzazioni con due sedie per le scissioni auto-interrompenti, sono un
buon strumento per lavorare con questa forma di blocchi o soppressioni dell’espressione emotiva. Un modello del processo di risoluzione (Greenberg et al., 1993) suggerisce
che la drammatizzazione del processo interruttivo e la consapevolezza di come i clienti
interrompono l’esperienza, aiutano ad evocare l’emozione repressa e ad accedere ai
bisogni non soddisfatti. All’inizio della drammatizzazione, il terapeuta aiuta i clienti a
prendere consapevolezza di come interrompono l’esperienza e li porta a rappresentare,
252
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
in prima persona, l’azione di interruzione. Dopo che il cliente si è identificato con il
processo interruttivo, il terapeuta facilita l’espressione di ciò che è stato interrotto.
Segue l’esempio di un terapeuta che organizza una drammatizzazione. Il cliente,
Joe, era già coinvolto nel dialogo con una critica molto controllante ed aveva paura.
Dopo che i due ebbero chiarito che il cliente temeva di perdere il controllo, egli, successivamente, si concentrò sulle modalità con cui impauriva se stesso:
Joe: «Non so. Mi considero davvero stupido, perchè proprio adesso
sto perdendo il controllo. Mi sento molto, molto strano. Mi sento
spaventato».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: «Ecco perché».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: «Ed è questa la sensazione più strana».
Terapeuta: «Strana. Quindi per quanto lei cerchi di mantenere il controllo, sta
iniziando a perderlo».
Joe: «Mm-hm. Impaurito, ecco come ho iniziato a sentirmi proprio
adesso. Quella stessa situazione è proprio questa».
Terapeuta: «Sì. Quindi riesce a dire … a spaventarlo?».
Joe: «Non ho più il controllo».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Di non riuscire a ritrovare la forza che avevo prima. E di non
poter risolvere questi problemi. È come: “Riprendi il controllo”».
Terapeuta: «Quindi credo che lei lo freni. Quella parte che ha paura di discutere tutte queste cose arriva e la schiaccia. E così non glielo permette. Come: “Non dire tutte queste cose. Non esprimere queste
emozioni di Joe, perché saranno semplicemente troppo per te e tu
non riuscirai più ad avere il controllo”».
Joe: «Bene».
Terapeuta: «Le sembra abbia un senso? [Cerca di ottenere collaborazione, identificando la voce responsabile delle interruzioni]».
Joe: «In qualche modo sì».
Terapeuta: «Quindi quello che sto dicendo è “Sì, fallo”. Gli faccia provare
paura di perdere il controllo. Gli dica cosa accadrà se perderà il
controllo. Così come può dirgli cosa accadrà se perde il controllo».
Joe: «Ti troverai in imbarazzo».
Terapeuta: «Uh-huh. “Ti renderai ridicolo”».
Joe: «Ti sminuirai di fronte alle persone».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: «Rideranno di te».
Terapeuta: «Quindi: “Non esprimere quelle emozioni. Non esprimere la rabbia. Le persone rideranno di te” [Promuovere consapevolezza del
processo interuttivo]».
Joe: «Mm-hm».
253
La terapia emotion-focused per la depressione
Terapeuta: «Sì. Glielo dica».
Joe: «Penseranno che sei un pazzo. Tutti rideranno».
Terapeuta: «Tutti rideranno. Bene. Bene. Così, cosa dovremmo fare con queste emozioni? Forse metterle da parte? [Cerca di accrescere la consapevolezza del processo interruttivo]».
Joe: «Liberarmene. Semplicemente buttarle via».
Terapeuta: «Buttarle via. Liberarsene. MM-hm. Come potrebbe … farle andare via? Semplicemente le calpesta? Le sotterra? [Promuove consapevolezza delle modalità di interruzione del cliente]».
Joe: «Semplicemente le colpisco, le metto da parte».
Terapeuta: «Bene. Quindi le mette da parte. Come lo fa?».
Joe: «Le prendo … me ne libero».
Terapeuta: «Sì. Se ne libera. Le allontana. Bene, quindi le spinge via?».
Joe: «Proprio adesso le sto mettendo a tacere».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «In piedi, alza la testa».
Terapeuta: «Quindi ha molto controllo. è l’unico che sembra poterlo controllare e spingere a fare qualcosa. Lo faccia».
Joe: «Devi tenere la schiena bella dritta. Alzare la testa».
Terapeuta: «Bene».
Joe: «Devi essere più forte».
Terapeuta: «Sì, sì. Bene, cosa dovrebbe fare quindi con quelle emozioni?».
Joe: «Cerco di vedere le emozioni. Adesso sto cercando di trovare qualcosa di tangibile; di vedere se c’è una scatola di sentimenti. Tutto
quello che continuo a vedere è che sono dentro di lui. Non riesco
ad arrivarci».
Terapeuta: «Sì».
Joe: «Sto cercando qualcosa di tangibile a cui aggrapparmi e da gettare
via».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «E non riesco a vedere nulla. Non vedo».
Terapeuta: «Bene, facciamo finta… Metta le sue emozioni in una scatola [gli
passa una piccola scatola]. Le mandi via. Come potrebbe farlo? Vede, sto cercando di darle il senso di come lei … di come le rimandi
indietro. La controlla. Giusto?».
Joe: «Sì».
Terapeuta: «Allora lo faccia andare via».
Joe: «Va bene».
Terapeuta: «Lo sta facendo? [Promuove l’esperienza interruttiva]».
Joe: «Sì, sì. Ti prendi molto spazio».
Terapeuta: «Non vuole solo metterle in una scatola. Vuole gettarle via».
Joe: «Probabilmente».
Terapeuta: «MM-hm. Ritorni qui. Come si sente qui? [Si identifica con la
parte repressa]».
Joe: «Adesso molto strano».
254
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
Terapeuta: «Sì?».
Joe: «Molto, molto strano».
Terapeuta: «Quale è l’emozione strana che prova?».
Joe: «La sensazione strana che una cosa così stupida, come prendere
quella piccola scatola, mi dia una sensazione come questa. Mi sento di avere il controllo».
Terapeuta: «MM-hm. MM-hm. Sì, voglio dire, non saprei, bene. In qualche
modo c’è una sorta di controllo».
Joe: «Sì. Mi sento che potrei farcela da me invece che avere paura. Che
non c’è bisogno di avere così paura di perdere il controllo. C’è una
sorta di … non saprei. Sento di potercela fare da me».
Terapeuta: «Le dà una sorta di controllo, di potere. Cosa sente adesso? Glielo
dica».
Joe: «Onestamente?».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Sento che c’è un barlume di speranza».
Esprimere l’emozione repressa
Dopo aver disautomatizzato il processo d’interruzione portandolo alla consapevolezza e drammatizzandolo, e dopo aver individuato l’aspetto protettivo dell’interruzione e aver provato un senso di controllo, il cliente adesso è pronto per vivere appieno
quello che ha interrotto. Il terapeuta, alcuni momenti dopo, guida Joe ad esprimere
parte delle emozioni represse verso la madre acquisita, una persona verso cui provava
una notevole rabbia repressa e da cui aveva subìto abusi fisici da bambino.
Joe: «Le emozioni che cerco di scacciare sono tutte quelle che provo nei
confronti di mia madre».
Terapeuta: «Mm-hm. Riesce ad esprimerne alcune?».
Joe: «[Lunga pausa] Questo mi sta facendo tornare il mal di stomaco.
Adesso mi farà male».
Terapeuta: «Quando ho detto questo? Mm-hm».
Joe: «Uhmm. Uhh, non ho provato un dolore eccessivo. È più ira».
Terapeuta: «Uh-huh. La porti qui».
Joe: «Sì».
Terapeuta: «Glielo dica».
Joe: «[Lunga pausa] Mi hai davvero ferito».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Mi hai davvero, mi hai davvero preso a calci».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Più mi sentivo giù, più tu mi prendevi a calci. Stavi sulla mia
testa».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Riesci a vedere che casino hai combinato?».
255
La terapia emotion-focused per la depressione
Terapeuta: «“Mi hai davvero ferito. Mi hai preso a calci quando stavo giù”».
Terapeuta: «Cosa prova per lei in questo momento?».
Joe:
«Molta rabbia».
Terapeuta: «Sì. Glielo dica: “Sono arrabbiato con te”».
Joe: «Sono arrabbiato con te per quello che hai fatto. Non riesco a credere che tu mi abbia fatto cose simili, che mi abbia trattato così».
Terapeuta: «Mm-hm: “Ti odio per avermi trattato così” [amplifica]».
Joe: «Ti odio».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Davvero».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Il mio stomaco è impazzito».
Terapeuta: «Cosa dice il suo stomaco?».
Joe: «[Espira] Un nodo molto stretto».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Nodo. Non è più un dolore. È sofferenza [sospira]».
Terapeuta: «Una ferita molto profonda. La senti adesso?».
Joe: «Non è più un nodo. È più qualcosa che ferisce… ».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: « …Un’emozione».
Terapeuta: «Uh-huh. Glielo dica. Glielo dica: “Tu sei … tu … davvero, mi
hai davvero ferito… ”».
Joe: «La rabbia che provavo è solo sofferenza».
Terapeuta: «Quindi è entrambe le cose. E con cosa è maggiormente in contatto? [differenziazione]».
Joe: «La rabbia nello stomaco».
Terapeuta: «Mm-hm. Bene. Restt in contatto con questa ira. Gliene parli: “Ti
odio perché… ”».
Joe: «Ti odio perché mi hai mentito».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: «Perché mi hai messo contro mio padre».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: «Vorrei che potessi sentire cosa provo nel mio stomaco proprio
adesso».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: «Vorrei potessi sentire questa sofferenza».
Terapeuta: «Sì. Come potrebbe farla soffrire come soffri lei? “Ti odio perché…”. Riesce a scuoterla, proprio come fa con il suo stomaco?».
Joe: «No. Non voglio toccarla».
Terapeuta: «Hmm: “Ti odio così tanto, non voglio toccarti”. Glielo dica».
Joe: «Ti odio così tanto. Non voglio toccarti mai più».
Terapeuta: «Mm-hm».
Joe: «Voglio che tu senta quanta rabbia provo per te. L’odio che provo
per te».
Terapeuta: «Glielo dica».
256
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
Joe: «Il dolore che ho dentro».
Terapeuta: «Sì. Le dica della sofferenza».
Joe: «Mi hai distrutto».
Terapeuta: «Uh-huh».
Joe: «Quando vedevo che stavo giù, mi schiacciavi ancora di più. E non
te ne importava niente. Non te importava assolutamente niente».
Terapeuta: «Bene, e questo è ciò che fa così male … che “Quando ti accorgevi
che ero giù, mi opprimevi ancora di più”».
Joe: «Non te importava nulla di schiacciarmi».
Terapeuta: «“Non ti sei mai presa cura di me. Non hai mai nemmeno pensato
a me. E io ti odio per questo”».
Joe: «E io ti odio davvero per questo. Merito di più … ti odio davvero
per questo [sospira]».
Sollievo dopo aver smantellato l’interruzione
Dopo essere entrato in contatto ed aver espresso alcune delle emozioni precedentemente bloccate, Joe è entrato in uno stato di minor tensione e di sensazione di
maggiore forza.
Terapeuta: «Dove si trova adesso? [focalizzandosi sull’esperienza presente]».
Joe: «[Sospira] Cosa alquanto strana, mi sento un po’ sollevato. È come, nella parte posteriore della testa. È come una medicina; non fa
effetto subito. Ci vuole temo perché funzioni. Non dovresti avere
una reazione improvvisa e arrivare a una sorta di… ».
Terapeuta: «Sì… ».
Joe: «Ma ho avuto questa… ».
Terapeuta: «Questa… ».
Joe: « …Questa emozione davvero positiva oggi. Mi sento più forte.
Anche stanco».
Terapeuta: «Dobbiamo concludere. Forse ci torneremo su di nuovo e dovrai
… uhmm … vedere quello che accade anche durante la settimana.
Come si sente. Come dire, è all’interno del processo».
Joe: «Mm-hm».
Terapeuta: «Uhmm … ma in qualche modo, c’è una sorta di senso di “Sto
meglio” o “Mi sento più forte” ».
Terapeuta: «E anche stanco? Riesce a sentire come sta il suo corpo? Cosa sente
nel corpo?».
Joe: «Sì, un po’ stanco ad arrivare a provare le mie emozioni. Una sensazione migliore. Una sorta di calma ed eccitazione, tutto allo stesso tempo».
257
La terapia emotion-focused per la depressione
Il dialogo con la sedia vuota per gli unfinished business
La perdita non elaborata e l’umiliazione centrate sugli unfinished business con un
altro significativo, sono di solito alla base delle questioni non risolte di dipendenza
nell’esperienza depressiva. Come abbiamo visto, il processo di abbandono-perdita spesso è più fondamentale dell’autocritica così prevalente nella depressione ed è, allo stesso
tempo, fortemente intrecciata con questa. Gli unfinished business e la sofferenza non
risolta del passato, spesso sembrano essere cause più distali della depressione, innescata
a volte da un fallimento, un abbandono o una perdita attuali. Gli unfinished business,
spesso, sono lontani dalla sfera di consapevolezza dei clienti rispetto ai problemi attuali, ma più basilari. Inoltre, spesso è stata sviluppata un’auto-critica più evidente
nel tentativo di risolvere il bisogno non soddisfatto a causa degli unfinished business.
Potrebbe emergere una critica perfezionistica sulla base della premessa che «Se fossi
più perfetto, otterrei l’amore [o l’accettazione, o l’approvazione] di cui ho bisogno».
Tuttavia è la sensazione di non essere amati quella più fondamentale di tutte. Il lavoro
sull’auto-critica nella depressione, quindi, spesso riporta indietro alle emozioni non
risolte di rifiuto e abbandono e al bisogno di amore non soddisfatto. Il dialogo con
la sedia vuota si è dimostrato molto utile nella risoluzione degli unfinished business e
del trauma (Greenberg & Malcom, 2002; Paivio & Greenberg, 1995, 1998; Paivio,
Hall, Holowaty, Jellis & Tran, 2001; Paivio & Nieuwenhuis, 2001). L’intervento è
stato descritto a fondo in un’altra sede (Elliott, Watson, Goldman & Greenberg, 2004;
Greenberg et al., 1993).
Gli indicatori di un unfinished business emergono spesso nella terapia per la depressione. Il cliente si sente solo, non amato e spesso rassegnato, oltre che rifiutato e
arrabbiato con un’altra persona. Nella depressione è molto comune che gli indicatori
di un unfinished business implichino l’espressione di emozioni reattive secondarie, in
particolare la condanna o la lamentela. Per esempio, un cliente nella prima seduta
aveva espresso condanna e rassegnazione in relazione al padre, affermando: «È stato un
padre terribile. Lo è ancora, non è mai lì quando serve. Ho smesso di cercare di avere
una relazione con lui. Mi ha sempre detto che non valevo niente, non ho nulla da
dirgli adesso». Anche se il problema presente erano le critiche e l’abbandono da parte
della sorella maggiore, che era stata una figura materna nella sua vita, era la questione
irrisolta con il padre dell’Europa dell’Est che era emersa come la tematica fondamentale nel trattamento della depressione. Il terapeuta lo aveva messo nella sedia vuota e
dopo una serie di sedute era riuscito ad entrare in contatto con la propria ira e dire:
«Ti odio. Non avresti dovuto poter fare dei figli. Avrebbero dovuto castrarti nel campo
di concentramento in cui eri rinchiuso; allora non avresti potuti averne. Ti odio per
tutto il male che ci hai fatto». Dopo aver preso consapevolezza di questa rabbia e dopo
aver elaborato la perdita del padre che non aveva mai avuto, il dialogo con lui aveva
iniziato ad addolcirsi, riconoscendogli le difficoltà e le incapacità che aveva avuto, ed
era andato avanti per stringere con lui una relazione più stretta nella vita. La risoluzione
della questione irrisolta, in combinazione con il superamento della critica interiorizzata
derivante dal suo maltrattamento, era riusciti ad alleviare la depressione. Non sempre
l’odio e la rabbia sono le emozioni inespresse evocate come antidoto alla depressione. A
volte, nei clienti che hanno innalzato una barriera protettiva di forza, sono la sofferenza
258
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
e la solitudine dell’abbandono ad essere maggiormente repressi. La rabbia e la tristezza
spesso sono due facce della stessa moneta e devono entrambe essere espresse, in qualunque sequenza si presentino.
Gli unfinished business basati sul trauma sono tipicamente più intensi degli unfinished business collegati a cattiva genitorialità. Nelle depressioni traumatiche vi sono
spesso importanti difficoltà attuali di vita che precipitano la depressione, ma le attuali
difficoltà evocano ricordi indesiderati, sofferenza emotiva e fragilità. Per promuovere
un cambiamento durevole, è importante gestire la fonte delle emozioni non regolate.
I clienti con questa forma di depressione sono spesso ambivalenti in relazione al voler
affrontare la fonte del trauma o al farsi coinvolgere in un dialogo con la sedia vuota. Da
un lato, presentano la problematica nel tentativo di liberarsi dei ricordi intrusivi, ma
dall’altro lato, c’è una sofferenza significativa che minaccia di traumatizzare nuovamente il cliente. Come risultato, il lavoro con la sedia vuota dovrebbe essere proposto solo
dopo che ci si è assicurati una forte relazione terapeutica e quando i clienti si sentono
pronti ad affrontare chi ha abusato di loro (Paivio et al., 2001).
All’inizio di questo intervento, il terapeuta deve assicurarsi che il cliente stia entrando in contatto con l’altro immaginario. Evocare il senso della presenza dell’altro e
assicurarsi che il cliente stia attualmente sperimentando la presenza reale o immaginaria di qualcuno o qualcosa in una maniera diretta e immediata, è importante nell’evocare lo schema emotivo problematico. Portare la persona a drammatizzare in prima
persona il comportamento che l’ha ferita è importante nell’evocazione della reazione
emotiva nella persona. L’obiettivo di impersonare l’altro è quello di potenziare il valore
di stimolo del comportamento dell’altro per evocare, di contro, la reazione affettiva
del cliente. Una volta che le azioni negative e gli atteggiamenti dell’altro siano stati
ritrattati, il focus si sposta sulla reazione del cliente. Con il terapeuta, che segue con
attenzione e sintonizzazione il cliente e ne rispecchia le emozioni, possono emergere
emozioni importanti verso l’altro.
Per tutto il corso del dialogo, il terapeuta si focalizza sull’incoraggiare l’espressione
dell’esperienza concreta del cliente e le emozioni verso l’altro. Una volta che l’esperienza dell’altro è stata evocata a sufficienza, l’obiettivo del dialogo è andare oltre queste reazioni e differenziare i significati soggiacenti alle componenti fondamentali di rabbia e
tristezza. Le emozioni secondarie che di solito si esprimono nel lavoro con la sedia vuota sono disperazione, rassegnazione, depressione ed ansia. Queste emozioni vengono
spesso espresse in maniera diretta ed esteriorizzata e con tono di condanna. Il terapeuta
le riconosce ed aiuta il cliente ad elaborare queste emozioni secondarie, ma persegue
sempre lo scopo di incoraggiare l’espressione “pura” delle emozioni primarie, quali, per
esempio «Ti odio», oppure «Mi sei mancato», invece che «Sei stato un bastardo» oppure
«Perché mi hai trascurato?». Le emozioni secondarie e primarie vengono spesso vissute
ed espresse prima di tutto in maniera confusa e tutte mescolate. Per esempio, la lamentela che si manifesta con rabbia e tristezza, spesso, compare sotto forma di domanda,
per esempio: «Perché non hai potuto essere più… ?» oppure “Perché hai…? Voglio solo
sapere perché». È importante aiutare i clienti ad andare oltre l’espressione della lamentela e delle reazioni secondarie per esprimere emozioni primarie come la tristezza, la
rabbia, la paura e la vergogna all’altro immaginato. La rabbia e la tristezza si presentano
spesso insieme ed è utile assicurarsi che questi due stati emotivi primari vengano vissu259
La terapia emotion-focused per la depressione
ti, simbolizzati ed espressi separatamente. Nel caso di abuso, si accede prima di tutto ad
una combinazione di emozioni disadattive di paura, vergogna e disgusto, che devono
essere confermate e rielaborate fino al punto in cui il cliente è in grado di accedere alla
rabbia e alla tristezza primarie (Greenberg, 2002).
Nel lavoro con la rabbia, è importante distinguere fra la rabbia secondaria e primaria. La rabbia primaria, o rabbia in risposta alla violazione, è un’emozione essenziale
che deve essere confermata e la sua espressione incoraggiata. Negli unfinished business,
questa rabbia potrebbe essere disconosciuta perchè non si riteneva sicuro esprimerla
all’interno della relazione originaria. Nel non riuscire ad accedere alla rabbia primaria, i clienti non possono accedere alle risorse sane che promuovono i comportamenti
adattivi. Così, l’espressione della rabbia e lo stare di fronte all’altro e dire, per esempio
«Hai sbagliato a farmi così tanto male; tu eri una persona malata e io non meritavo
di essere trattato così», dà forza e cura. Per distinguere la rabbia primaria da quella
secondaria i terapeuti considerano che la rabbia adattiva in risposta ad una violazione,
implica un’affermazione del sé e dà forza. Al contrario, la rabbia secondaria ha una
qualità più esplosiva e distruttiva e serve ad allontanare l’altro o ad oscurare l’espressione di emozioni più vulnerabili. La sua espressione non porta sollievo e non promuove
l’elaborazione dell’esperienza. Anche le interruzioni dell’espressione delle emozioni primarie devono essere elaborate per accedere all’emozione fondamentale e consentirne
l’espressione piena.
Una volta che le emozioni sono state differenziate e le interruzioni eliminate,
emerge l’arousal emotivo che è condizione necessaria per la risoluzione di questo tipo
di problema. L’arousal emotivo si è dimostrato un importante precursore del passaggio successivo, una modificazione nella visione dell’altro. Senza l’arousal è improbabile
che si possa accedere a questa fase (Greenberg & Malcolm, 2002). Nel lavorare con le
emozioni a questo stadio, i terapeuti devono essere consapevoli che, una volta che sono
state espresse appieno e liberamente le emozioni primarie, queste svaniscono velocemente. La rabbia e la tristezza tendono a seguirsi in sequenza. Così, quando la tristezza
primaria viene espressa completamente, emerge la rabbia primaria adattiva molto rapidamente, e si creano i confini. Di contro, la piena espressione della rabbia adattiva
consente ai clienti di riconoscere il dolore della perdita e del tradimento o la sofferenza
per ciò che non si è avuto.
L’evocazione delle emozioni implica non solo l’espressione delle stesse, ma anche
l’espressione e la conferma dei bisogni interpersonali fondamentali, rimasti insoddisfatti, di attaccamento, separazione o conferma. Questi sono i bisogni che non sono
mai stati espressi nella relazione originaria, perché le persone credevano di non averne
il diritto e da cui, comunque, non avrebbero avuto risposta. Per essere produttivi,
questi bisogni devono essere espressi come parte del sé, come provenienti dal sé e
sentendo di averne il diritto, invece che sotto forma di privazioni o di accuse all’altro.
Così, sono un’affermazione dell’avere diritto a quel bisogno, piuttosto che la manifestazione di uno stato di disperata necessità. Questo passaggio è cruciale nell’aiutare
i clienti a creare un senso del sé come agente attivo, separato dall’altro, che esiste di
per sé. In questa fase il terapeuta segue semplicemente il cliente e lo incoraggia ad
esprimere emozioni e bisogni. Inoltre, il terapeuta aiuta il cliente a simbolizzare ed
a stabilire dei confini, a dire “no” alle intrusioni, per esempio, oppure a riaffermare i
260
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
propri diritti. I terapeuti sono consapevoli che nelle esperienze precoci i clienti spesso
hanno la necessità di sconfessare i bisogni fondamentali e che, come risultato, non
fanno automaticamente attenzione e non esprimono questi bisogni. I terapeuti, quindi, ascoltano i bisogni e, quando li trovano, li confermano e incoraggiano i clienti ad
esprimerli. Un’esplorazione profonda delle emozioni, di solito è seguita dall’affermazione dei bisogni correlati.
Nelle situazioni in cui il bisogno non può essere, o non viene, soddisfatto dall’altro, i clienti devono comunque arrivare a riconoscere il diritto che gli altri soddisfino i
suoi bisogni. Questo spesso segue il processo importante del lasciar andare il bisogno
non soddisfatto. A questo punto del dialogo, il terapeuta supporta e promuove la liberazione delle speranze e delle aspettative irrealizzate. Quando questa liberazione non
segue naturalmente l’espressione delle emozioni primarie, i terapeuti possono aiutare i
clienti ad esplorare e valutare se le aspettative irrealizzate verranno soddisfatte dall’altro;
se così non fosse, i terapeuti possono aiutare i clienti ad esplorare gli effetti del restare
aggrappati a queste aspettative. In questa situazione, i terapeuti possono considerare di
chiedere ai clienti di esprimere all’altro significativo frasi come «Non ti lascerò andare
via» oppure «Non perderò mai la speranza che tu possa cambiare». La liberazione spesso
produce un’altro turno di lavoro sulla sofferenza, in cui il cliente elabora il lutto della
perdita della possibilità di avere un bisogno soddisfatto da parte della figura di attaccamento. Questa è spesso la fase più intensa e dolorosa di tutto il processo; una volta
che i clienti riescono a soffrire davvero per il genitore che non hanno mai avuto, allora
possono lasciarlo andare e progredire oltre.
Attraverso l’arousal e l’espressione diretta delle emozioni e un forte senso di legittimazione dei propri bisogni, i clienti iniziano a lasciar andare percezioni prima importanti, ma manifestamente costrette, e ad espandere il proprio punto di vista sull’altro.
La risoluzione si verifica quando i clienti raggiungono un senso di valore personale e
quando riescono a lasciar andare le precedenti emozioni negative non risolte. Questo
lasciar andare si raggiunge in tre modi principali: ritenendo l’altro responsabile della
violazione subìta e affermando il sé, lasciando andare il bisogno non soddisfatto, oppure attraverso una maggiore comprensione dell’altro e un possibile perdono dell’altro
per gli errori passati. Nei casi di non abuso, il cliente riesce meglio a comprendere l’altro e a vederlo sotto un’ottica empatica, di compassione e, a volte, a perdonarlo. Nelle
situazioni di abuso o traumatiche, questo processo di lasciar andare, spesso implica il
ritenere l’altro responsabile e, nel guardare avanti, a volte possono presentarsi empatia
e perdono.
Per esempio, un uomo di 43 anni fortemente depresso, che piangeva sempre quando parlava della propria infanzia, aveva provato un forte disgusto di sé quando parlava
del padre. Nel descrivere per la prima volta gli episodi di abuso sessuale da parte del
padre, aveva iniziato a provare rabbia. Il terapeuta ha utilizzato una forma di unfinished business con l’immaginazione per aiutarlo ad immaginare di picchiare il padre. In
risposta alla domanda su come si sentisse dopo averlo fatto, aveva detto che si sentiva
potente e vincente e che per questo odiava se stesso, perché non era mai stato in grado
di ribellarsi al padre. Un’ulteriore esplorazione, lo aveva aiutato a dare un significato
agli atteggiamenti auto-punitivi e di disgusto di sé. Il terapeuta gli aveva chiesto cosa
avrebbe voluto dire a quel piccolo bambino abusato. Aveva detto: «Non eri tu ad esse261
La terapia emotion-focused per la depressione
re cattivo. I papà non dovrebbero trattare così i propri figli. Tu non hai fatto nulla di
male». Il terapeuta gli aveva chiesto di ripeterlo più volte. Aveva pianto di sollievo e si
sentiva meglio.
Si può lavorare sugli unfinished business, sia con il dialogo fra le sedie, sia utilizzando l’immaginazione senza portare il cliente a parlare davvero con una sedia vuota. L’immaginazione può anche essere utilizzata in molti altri modi per evocare le emozioni.
Il sistema visivo è altamente collegato alle emozioni, così l’immaginazione può essere
utilizzata per evocare un’emozione non risolta, per inscenare dialoghi immaginari, per
provare una nuova emozione o immaginare di aggiungere risorse o persone a situazioni
o a scene, oppure di vivere la scena diversamente. Così, il terapeuta può chiedere al
cliente di immaginare di ristrutturare una scena all’origine dannosa esprimendo quello
di cui aveva bisogno o portando il sé adulto nella scena. Il protettore adulto può offrire
la protezione che mancava o venire in aiuto per dar forza e proteggere, come fornire
un lucchetto e una chiave per chiudere la stanza o una gabbia in cui mettere la persona
temuta (Greenberg, 2002; Thomas, 2003).
In questa forma di ristrutturazione immaginaria il terapeuta potrebbe dire:
«Chiuda gli occhi e ricordi l’esperienza di se stesso in quella situazione. Cerchi
di creare un’immagine concreta, se ci riesce. Ci entri dentro. In questa scena
faccia come se fosse il bambino. Per favore, mi dica cosa sta accadendo. Cosa
vede, odori e ascolta in quella situazione? Come potrebbe intervenire? Cosa
passa per la sua mente?».
Dopo un po’ il terapeuta chiede al cliente di cambiare prospettiva e dice:
«Adesso vorrei che osservasse la scena da adulto. Cosa vede, sente e pensa?
Vede lo sguardo sul volto del bambino? Cosa vorrebbe fare? Lo faccia. Come
potrebbe intervenire? Lo provi nell’immaginazione».
Cambiando di nuovo prospettiva, il terapeuta chiede al cliente di tornare bambino:
«Come bambino, cosa prova e pensa? Dica cosa ha bisogno dall’adulto? Gli
chieda di cosa ha bisogno o cosa desidera. Cosa fa l’adulto? È abbastanza? Di
cosa altro ha bisogno? Glielo chieda. C’è qualcun altro che vorrebbe ti venisse
in aiuto? Riceva l’attenzione e la protezione offerte».
Questo intervento si conclude con il terapeuta che chiede:
«Come si sente adesso? Cosa ha significato tutto questo per lei, su lei e su ciò
di cui aveva bisogno? Ritorni al presente, a se stesso come adulto adesso. Come si sente? Riesce a dire arrivederci a quel bambino per adesso?».
Uno spostamento sul punto di vista dell’altro o una nuova esperienza dell’altro,
costituiscono un’ulteriore parte molto importante del processo di cambiamento. Que262
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
sto spostamento può essere promosso dal confronto fra quello di cui il bambino aveva
bisogno con ciò che in realtà ha ricevuto, come si può vedere nello scambio seguente:
Terapeuta: «Di cosa avrebbe voluto che si rendesse conto?».
Cliente: «Di essere stato così crudele e orribile verso di me!».
Terapeuta: «Come vorrebbe che si sentisse mentre si rende conto di questo?».
Cliente: «Che soffrisse, si sentisse colpevole, che le dispiacesse».
Terapeuta: «E come potrebbe esprimerle questa sofferenza, colpa e dolore?».
Cliente: «Dicendo: “Mi dispiace”».
Dopo questa immaginaria compassione per altro, il cliente prova un senso di sollievo, di consolazione, di sofferenza, di liberazione e forse di perdono (Malcolm, Warwar & Greenberg, in stampa), oltre che compassione per il sé. Se, dall’altro lato, l’altro
non si addolcisce ed il cliente dicesse qualcosa come «Vorrei che gli dispiacesse ma
non accadrà mai! Non chiederà mai scusa!», il terapeuta potrebbe dire «Che triste deve
essere stato per lei che sia stato così incapace di risponderle» oppure «Che lei si è fatto
così piccolo». Questa osservazione aiuta a raccogliere ulteriori emozioni da rielaborare
e fornisce consolazione attraverso l’empatia del terapeuta. Questo esempio indica come
è possibile farsi coinvolgere in un lavoro su una questione incompiuta in un’interazione
cliente-terapeuta senza utilizzare la sedia vuota o l’immaginazione.
Il lavoro sugli unfinished business, in qualunque maniera venga condotto, riguarda la modificazione dello schema emotivo immagazzinato. Le emozioni sono spesso
intricate in contesti relazionali. Collegano all’interno della memoria il sé con gli altri.
Così, le persone ricordano di aver provato vergogna di fronte ad un genitore sprezzante,
rabbia verso un altro intrusivo, o paura verso un genitore abusante. Accedere a visioni
dell’altro, aiuta ad evocare le emozioni e ad accedere a punti vista alternativi e la mobilitazione di nuove risposte favorisce il cambiamento nei ricordi emotivi.
Gli eventi personalmente rilevanti vengono immagazzinati nella memoria secondo un indirizzo emotivo. Così, un attuale delusione si collega con altre delusioni e un
senso di vergogna si collega con altri casi analoghi. Le attuali esperienze emotive, così,
sono sempre multilivello, perchè evocano allo stesso tempo precedenti casi di esperienze emotive simili o identiche. Aiutare i clienti a vivere nuove esperienze nella seduta li
aiuta a ristrutturare i ricordi emotivi. Inoltre, accedere ad un nuovo ricordo emotivo è
uno dei modi migliori per modificare un vecchio ricordo emotivo. Una volta che viene
evocato un ricordo emotivo precedentemente inaccessibile, il nuovo ricordo, o diventa
dominante, mentre quello vecchio finisce sullo sfondo, oppure si fonde con quello
vecchio e lo trasforma.
Una cliente aveva ricordi terrificanti ogni qual volta pensava alla madre; questa
cliente aveva trovato il corpo della madre che si era suicidata. La sua memoria era colma
di quell’orribile immagine della madre così come l’aveva trovata. Ogni qual volta pensava alla madre, le veniva quell’immagine alla mente. Si sentiva così fredda e umidiccia,
con una sensazione orribile di paura e di abbandono. Dopo aver elaborato la rabbia,
la vergogna e la tristezza, e dopo avere, alla fine, provato empatia ed aver perdonato la
madre, aveva detto di essere riuscita a sostituire quel ricordo orribile con ricordi pre263
La terapia emotion-focused per la depressione
cedenti felici della madre. Questi ricordi, al contrario, la facevano sentire al sicuro e
le donavano calore. In seguito aveva riferito che quando pensava alla madre, accedeva,
adesso, a questi ricordi amorevoli. Si era alla fine verificata una totale ristrutturazione
del ricordo emotivo e pensava alla madre come quella donna amorevole che aveva conosciuto prima del suicidio, provando emozioni positive ogni volta che la pensava.
I nuovi ricordi emotivi, in qualunque modo vi si acceda, aiutano a cambiare le
narrazioni. Nessuna storia importante è significativa senza le emozioni, e nessuna emozione si verifica al di fuori di una storia. Le storie che le persone raccontano per dare
un senso alla propria esperienza e per costruire le proprie identità, dipendono in grado
significativo dalla varietà di ricordi emotivi disponibili. Modificando i ricordi, o accedendo a ricordi differenti, le persone modificano le storie della propria vita e della
propria identità.
Un dialogo a metà percorso terapeutico
Questa sezione fornisce un esempio di dialogo con la sedia vuota in una seduta a
metà del percorso terapeutico con Beth, una cliente con un disturbo depressivo maggiore precipitato alla fine di una relazione d’amore, ma che era invece collegato ad un
contesto di abuso e trascuratezza. Beth, una donna di 28 anni, aveva difficoltà a focalizzarsi sull’esperienza interiore e spesso aveva un focus esterno, condannava gli altri, si
lamentava o si sentiva bloccata. La terapia si era focalizzata sulla sua relazione con i genitori adottivi. Anche se il dialogo con il padre adottivo termina a metà del processo di
risoluzione, è una dimostrazione di come si può lavorare con un cliente maggiormente
orientato all’esterno. Inoltre, mostra che non tutti i dialoghi si risolvono in una seduta;
piuttosto, ogni volta si lavora sulla questione irrisolta, il cliente fa un passo verso un
focus sempre più interno, verso l’evocazione ed infine la risoluzione.
Costruire il dialogo
Il terapeuta ha iniziato assicurandosi che Beth fosse in contatto con l’altro immaginario:
Terapeuta: «Sì, quindi mi dica: “Mi tratta proprio come un’estranea, o una
sorta di conoscente… ”».
Beth: «Sì… ».
Terapeuta: « …Come voglio qualcosa… ».
Beth: «Un po’ di più».
Terapeuta: «Sì. Direi di portarlo qui. Può dirgli alcune cose qui adesso. Lei
ha tutte queste emozioni a lui collegate che in qualche modo si
mischiano. Capisco che è complicato avere a che fare con lui, ma
lo sono anche tutte queste emozioni. So che non è facile. Bene,
proviamo. Immagini … veda se riesce a vederlo, cosa indossa; riesce a immaginarlo?».
264
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
Beth: «Sì».
Terapeuta: «Come si sente?».
Beth: «Provo tristezza perché non siamo … simili, non mi sento parte
della sua vita [piange in silenzio]».
Terapeuta: «Le dica cosa le è mancato, di cosa ha bisogno [evocando la tristezza]».
Beth: «Credo che… ».
Terapeuta: «Cerci di immaginare che si trovi qui e che lei gli stia davvero parlando. Gli dica come si sente dentro».
Beth: «Ho solo bisogno di qualcosa di più».
Terapeuta: «Uh-huh».
Beth: «Ho solo bisogno che tu mi mostri almeno un po’ più di attenzione, come se agissi, come se … se ti importasse. Quello che accade
nella mia vita e come mi sento oggi o durante la settimana. Perchè
non credo di averla, mi sento così perché tu credi che io sia forte,
mi allontani e ti concentri su di te, su mamma, o che sia, sul problema della settimana o del mese. Mi sento … trascurata [pianto
con tono di richiesta]».
Terapeuta: «“Ho bisogno di qualcosa, mi sento trascurata perchè ho bisogno di qualcosa” [focalizzandosi su un bisogno iniziale per arrivare
all’emozione]».
Beth: «Voglio solo sentire che non sono un inconveniente, ma che ti
importa di cosa mi succede».
Terapeuta: «Bene, bene. Gli dica come si sente quando si sente trascurata … e
quando non la chiama. È “Mi sembra di non contare nulla” o cose
simili [si focalizza sull’emozione]».
Beth: «Come [se lui dicesse]: “Tu puoi aspettare”. Non capisco. Se ti
chiamo e ho bisogno di te devo aspettare due giorni, sapendo che
c’è qualcosa che mi preoccupa, o anche se ho delle buone notizie,
come se tu mi dessi buca, come fossi un appuntamento o, non so.
[spostamento sul focus esterno]».
Terapeuta: «Uh-huh. “Mi fa sentire così: poco speciale, poco importante per
te” [ritorna su un focus interno]».
Beth: «Non è così importante. “Lei può aspettare” … una sorta di atteggiamento che hai [resta sull’esterno]».
Terapeuta: «Sì. Cerchi di dirgli: “Voglio essere importante per te. Voglio… ”
[si focalizza sul bisogno, cercando di provocare nella cliente uno spostamento verso l’interno]».
Beth: «Voglio mostrargli che sono importante».
Terapeuta: «Bene, bene. Gli dica: “Voglio che tu… ”».
Beth: «Voglio sentire che sono importante per te [si sposta a un focus
interno]».
Terapeuta: «Bene, ecco cosa vuole [5 secondi di pausa]. Cosa succede?».
Beth: «Niente; semplicemente, credo che non possa farlo. Non ha senso
provare [sospira]».
265
La terapia emotion-focused per la depressione
Spostare il focus sul processo di auto-interruzione
A questo punto il terapeuta, notando la rassegnazione, ha deciso di spostare il
focus su come la cliente ha interrotto l’emozione e a stabilito un dialogo fra la parte
che bloccava le sue emozioni e i bisogni e l’esperienza bloccata. Dopo aver lavorato
sull’auto-interruzione che aveva generato la rassegnazione, Beth era arrivata a sentire:
«Merito di avere questa attenzione» dicendo «La merito davvero. Non faccio nulla di
male». Il terapeuta poi ha diretto le nuove emozioni e il nuovo bisogno verso il padre
di Beth.
Terapeuta:«Uh-huh, uh-huh. Lo riporti lì. Gli dica: “Me lo merito. Merito
di più da te”».
Beth: «[Piangendo con forza] Me lo merito e lo voglio».
Terapeuta: «Mm-him, mm-hm. Gli dica qualcosa di più. Bene. Gli dica com’è
la sua vita, come è stata tutta la sua vita [promuove l’elaborazione
dell’emozione]».
Beth:
«Tutto, tutto il tempo che ho vissuto con te, anche prima, anche
quando vivevo in città e ti facevo visita…».
Terapeuta: «Bene…».
Beth: «Io sono, sono sempre stata brava; non c’era nulla di sbagliato…
[singhiozzando]».
Terapeuta: «Gli dica: “Sono sempre stata brava”».
Beth: «È come se, non so più quanto … non so che altro posso fare».
Terapeuta: «Bene».
Beth: «Come, tutti gli altri, fanno un casino intorno a te, tutta la famiglia e io ero l’unica…».
Terapeuta: «Gli dica: “Sono sempre stata brava…”».
Beth: «Ho sempre avuto buoni voti e ho fatto sempre tutto quello che
volevi e anche di più».
Terapeuta: «Gli dica: “Tutto quello che desideravi da me; sono stata una figlia
modello”».
Beth: «Ho…».
Terapeuta: «Sì, sì…».
Beth: «…E invece mi sento come se, non voglio nemmeno lo stesso impegno che ci ho messo io, solo un piccolo sforzo. E non l’ho mai
visto».
Terapeuta: «Bene: “Voglio un piccolo sforzo da te, un po’ di riconoscimento”.
Digli di quanto fa male non averlo avuto. “Tutta la mia vita…”
[focalizzando sull’interno]».
Beth: «È come se lo aspettassi da una vita [rabbia nella voce]».
Terapeuta: «Uh-huh. Gli dica perché è arrabbiata».
Beth: «Perchè non lo vede».
Terapeuta: «Uh-huh. Cerchi di vederlo e dirgli: “Sono arrabbiata con te” [favorendo il contatto con la rabbia]».
Beth: «Sono arrabbiata perché tu credi che tutto vada bene, e, quando
266
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
non è così, e tu, non sai come darmi ciò di cui ho bisogno».
Terapeuta: «Cosa senti?».
Beth: «Sono arrabbiata. Non so se sia rabbia, non so cosa sia [guarda in
basso, voce infantile]».
Terapeuta: «Sì, cosa accade? Non appena arriva questa rabbia, allora si trasforma in sofferenza. Accade questo?».
Beth: «In parte».
Terapeuta: «Mm-hm. Fai fatica a provare rabbia. Gli dica [identificando il riemergere di un processo interruttivo]».
Beth: «Perché mi sento in colpa a provare rabbia verso di lui».
Terapeuta: «Sì…».
Beth: «Ma non dovrei».
Terapeuta: «Bene, vienga qui. Faccia in modo di sentirsi in colpa. Come lo fa?
[focalizzandosi sull’auto-interruzione]».
Beth: «Si che lo faccio, perché penso a tutte le cose che ha fatto per
me».
Terapeuta: «Uh-huh».
Beth: «Ma credo di aver dato una buona dimostrazione come figlia… ».
Terapeuta: «Bene, ecco quello che ti dilania».
Beth: «Sì».
Terapeuta: «Portiamolo alla luce, adesso. Le dica: “Non hai diritto di essere
arrabbiata con lui”. Le dica quello che ha fatto per lei. Questa è
una parte».
Beth: «Ti ha portato via da una casa brutta e … molto … mi ha lasciato
vivere con lui nel BC. Mi ha mandato a scuola».
Terapeuta: «Bene».
Beth: «È stato lì…».
Terapeuta: «Così, è stato lì per lei. Quindi…».
Beth: «Dovresti sentirti in colpa quando dici di avercela con lui».
Terapeuta: «Bene: “Non hai il diritto di essere arrabbiata con lui, perchè vedi
quello che ha fatto per te”. Bene».
Beth: «Mi ha preso, mi ha fatto vivere con lui».
Terapeuta: «Sì, sì».
Beth: «Mi ha dato una casa stabile».
Terapeuta: «Bene».
Beth: «Mi ha mandato a scuola, mi ha fatto avere un’istruzione».
Terapeuta: «Si sta davvero immaginando lì? Mentre dice questo a se stessa?
[cercando un contatto]».
Beth: «Potrei totalmente…».
Terapeuta: «Sì, cosa?».
Beth: «Potrei prendere le mie parti, ecco cosa mi sto dicendo dentro».
Terapeuta: «Sì, sì. Cambi. Ma questo deve essere esattamente … prendere le
sue parti [promuovendo assertività]».
Beth: «Tutte queste cose sono finanziarie».
Terapeuta: «Gli dica».
267
La terapia emotion-focused per la depressione
Beth: «Ecco cosa è. Ha tutto a che fare con i soldi. Ed ecco come riesce
a farmi sentire in colpa».
Terapeuta: «Bene, cosa stai dicendo quindi? Che “Io voglio” … cosa?».
Beth: «Non voglio i soldi».
Terapeuta: «Bene. Cosa vuole? Lo dica all’altra parte di se».
Beth: «Non voglio i soldi; non sono importanti per me».
Terapeuta: «Bene: “Ciò che davvero voglio è…”».
Beth: «Voglio … sostegno emotivo».
Terapeuta: «Bene: “E lo merito”».
Beth: «Lo merito assolutamente. Non l’ho mai avuto. Ossia in minima
parte, ma… [piange con rabbia]».
Terapeuta: «Bene: “Desidero davvero un po’ di sostegno emotivo”. Adesso
prova: “Sono arrabbiata con te. Perché non me lo hai dato?”».
Beth: «O “Pensando che me lo hai dato”, ma questo è quello che lui
crede; crede di sostenermi».
Terapeuta: «Dica: “Sono arrabbiata con te perché non mi hai dato alcun sostegno emotivo” [supportando l’emozione primaria]».
Beth: «[Cercando di calmarsi e smettere di piangere] Odio dirlo».
Terapeuta: «Sì. È così difficile … inizia subito a sentirsi in colpa?».
Beth: «Mm-hm».
Terapeuta: «Cambi. Questa è la rappresentazione, giusto? … all’interno, come arrivi a sentirti in colpa? [focalizzandosi di nuovo sul processo di
generazione del senso di colpa]. Vienga qui. Adesso impersoni lui.
Impersoni suo padre, non se stessa. Cosa dice?».
Beth: «“Ti voglio bene, guarda tutto quello che faccio per te. Guarda
tutti i soldi che ti do”. Crede che se mi dà più soldi, o se mi compra una macchina, o se faccio un corso e lui me lo paga, ecco cosa
è l’amore per lui…».
Terapeuta: «Bene…».
Beth: «…Perché questo è quello che i suoi genitori hanno fatto con
lui».
Terapeuta: «Lo dica a lei stessa adesso: “L’unico modo in cui io so mostrare
il mio amore è attraverso i soldi” [guidandola nell’impersonare il
padre]».
Beth: «…È attraverso i soldi, e dando, dando, solo cose».
Terapeuta: «Bene, bene…».
Beth: «…E…».
Terapeuta: «Bene. Gli dica: “Ti mostro il mio amore…”».
Beth: «“…Dandoti i soldi, assicurandomi che tu abbia una casa o un
posto dove vivere ogni mese”. Ma è il primo a usare questo contro
di me, solo quello che basta…».
Terapeuta: «Uh-huh…».
Beth: «Come, se dovesse usare qualcosa, sarebbe perché ho fatto qualcosa di sbagliato…».
Terapeuta: «Sì…».
268
Evocare le emozioni bloccate: drammatizzazione con le due sedie e dialoghi sugli unfinished business
Beth: «…Sai, sarebbe: “Chi paga l’affitto?”».
Terapeuta: «Mm-hm, mm-hm».
Beth: «Lo userebbe contro di me se qualcosa…».
Terapeuta: «Sì, sì, sì. La colpa, o la trappola».
Beth: «La morsa… ».
Terapeuta: «Sì, “la morsa”. Bene, bene. Lo faccia con lei allora. Le dica, come ha potuto, cosa ha … provi: “Non hai diritto di lamentarti,
guarda tutto quello che ti ho dato” [cristallizzando la posizione del
padre]».
Beth: «Tu hai tutto».
Terapeuta: «Bene, le dica: “Tu hai…”».
Beth: «Cosa vuoi di più?».
Terapeuta: «Uh-huh… “Non hai il diritto di volere nulla di più. Non hai
diritto di lamentarti”».
Beth: «Ma lo faccio lo stesso. Lo faccio [voce piagnucolante]».
Terapeuta: «Cambi [la cliente ride perché ha tirato su con il naso]. Che succede,
è diventata una bambina piccola? [confrontazione gentile di fronte
al blocco]».
Beth: «Perché con lui non riesco a difendermi».
Terapeuta: «Perché? Cosa succede?».
Beth: «Non lo so».
Terapeuta: «È come, se perdesse la voce, diventa piccola. E così … non lo so,
come si sente?».
Beth: «Mi sento uno schifo perché non riesco a difendermi. Ed ecco
perché voglio essere completamente indipendente, in modo da
potermene andare per sempre e non avrà nulla a cui aggrapparsi.
Così potrei girarmi e dirgli: “Senti caro…”».
Terapeuta: «Sì…».
Beth: «“…Sai, potrai avermi supportato economicamente in tutti questi
anni, ma questo è quello che io desideravo”. E se non vuole darmelo, allora capirò, riesce a comprendere cosa sto dicendo? Così
non potrebbe voltarsi e trovare una scusa, del tipo: “Guarda quello
che ho fatto per te”».
Terapeuta: «Mm-hm».
Beth: «Oppure: “Ti levo l’affitto, così dovrai pagartelo da te”».
Terapeuta: «“E io mi sento intrappolata…”».
Beth: «Davvero, è una cosa completamente controllante, e non mi piace».
Terapeuta: «Bene, glielo dica; a lui, non a me. Voglio dire, qui, adesso, glielo
dica [promuovendo il contatto]».
Beth: «Mi sento che lo usa come, il suo … la tua forma di controllo».
Terapeuta: «Bene, entri in contatto con lui. “Mi sento controllata da te”. E gli
dica: “E lo detesto”».
Beth: «Non ci penso nemmeno, ma ce l’ho sempre di sottofondo nella
mia testa».
269
La terapia emotion-focused per la depressione
Terapeuta: «Bene…».
Beth: «Sai, come, se fai casini, sei nei guai».
Terapeuta: «Mm-hm. Gli dica cosa le dà fastidio».
Beth: «Mi dà fastidio che sotto a tutto, sotto a tutto, non so nemmeno…».
Terapeuta: «Quell’uncino sotto a tutto, sotto…».
Beth: «…Sta lì, me lo immagino che dice: “Avrai le tue conseguenze finanziarie”. Perché mia nonna non era per nulla gentile con
me…».
Terapeuta: «Bene… ».
Beth: «…Come, non ho fatto nulla di male, ero la migliore nipote del
mondo, e lei se ne approfittava, e io volevo dirle, e ho detto a mio
padre: “Non ce la faccio più”».
Terapeuta: «Mm-hm… ».
Beth: «“Devo dirglielo”. E lui dice: “Se glielo dici, avrai le conseguenze
economiche”. E io ero semplicemente, che roba è questa!».
Terapeuta: «Bene, gli dica quanto è arrabbiata. Gli dica: “Ti odio per avermi
controllato in questo modo”».
Beth: «Non si controllano gli altri, non è bello».
Terapeuta: «Uh-huh, uh-huh. Ma è ancora difficile arrabbiarsi, giusto? Sente… sente la sofferenza che le provoca. È lì che diventa…».
Beth: «Perché mi fa sentire come se non avessi alcun diritto di arrabbiarmi. Davvero».
Terapeuta: «Capisco. Pensa di avere il diritto di arrabbiarti?».
Beth: «Credo di sì, perchè lo sono».
Terapeuta: «Sono d’accordo. Glielo dica».
Beth: «Sono furiosa. Non posso sopportare il modo in cui mi manipoli.
Non riesco a sopportarlo».
Beth aveva lottato contro la propria rabbia, il bisogno di amore e approvazione
ed il senso di colpa. Il terapeuta era rimasto attaccato a lei, aiutandola a focalizzarsi e
a differenziare le emozioni e i differenti aspetti del conflitto. Beth aveva fatto piccoli
passi verso l’auto-assertività ed era arrivata ad una sorta di espressione della rabbia,
ma non riusciva a lasciar andare il bisogno di approvazione ed il desiderio che il padre
cambiasse. Aggrapparsi al desidero che gli altri possano cambiare mantiene le persone
bloccate in una posizione di dipendenza all’interno di una relazione. Alla fine, dopo
una serie di dialoghi come questo, Beth era riuscita a soffrire per il padre che non aveva
mai avuto e che non avrebbe mai avuto, ed aveva iniziato a liberarsi del desiderio che
lui diventasse come lei lo avrebbe voluto. Aveva lasciato andare via la rabbia, lo aveva
ritenuto responsabile di essere un alcolista non disponibile per lei, ne aveva compreso
i limiti e lo aveva accettato per quello che le aveva dato e che poteva ancora darle. Era
stato l’unico che quando era bambina le aveva offerto un po’ di sostegno e di amore, e
lei lo apprezzava per questo.
270
CAPITOLO 13
LA TRASFORMAZIONE: COSTRUIRE ALTERNATIVE
Il processo di trasformazione implica la generazione di risposte emotive nuove,
resilienti, la convalida delle nuove emozioni e della nuova organizzazione emergente
del sé. Una volta che i clienti hanno avuto accesso agli schemi emotivi disfunzionali
fondamentali alla base della depressione, come il sentirsi vergognosamente inutili o
insicuri senza via d’uscita, la scena è pronta per smobilitare risposte emotive alternative basate sui bisogni adattivi e sugli obiettivi che espandono il repertorio del cliente
e trasformano lo stato disadattivo. Dopo aver evocato l’esperienza disadattiva ed aver
descritto in parole alcune aspettative disfunzionali fondamentali, le visioni negative del
sé, le convinzioni sul sé, sul mondo e sull’altro, ed i pattern interpersonali negativi, è il
momento di abbandonare lo stato disadattivo ed andare oltre.
La trasformazione si verifica in seguito al processo dialettico basato sull’accesso
ad un’interiorità sana sì da trasformare quella malata attraverso una nuova sintesi. La
consapevolezza delle risorse salutari e dei punti di forza, promuove la messa in discussione di quelle disadattive dall’interno. Emerge una situazione nuova dalla sintesi
degli opposti. Un importante processo di trasformazione, quindi, implica l’accedere ad
un’organizzazione del sé più resiliente e consentirle di innalzarsi al ruolo di oppositore
verso l’organizzazione depressiva. La nuova organizzazione alternativa a cui si accede, come, per esempio, una di rabbia assertiva, sana tristezza, compassione, emozioni
d’amore, implica un cambiamento di stato che, a sua volta, modifica le modalità di
elaborazione del cliente. Il mondo non è più senza speranza, il sé non è più considerato
vuoto e isolato e le valutazioni fondamentali non sono più di impotenza, minaccia o
senso d’inferiorità. Adesso il quadro complessivo è di maggiore speranza; c’è un più
forte senso del sé, maggiore vitalità e disponibilità di risorse, il sé si sente di meritare
di più o si considera più degno di amore e il mondo viene considerato più gestibile o
responsivo. Le valutazioni chiave che risultano in un approccio al problema, invece che
in un ritiro, adesso sono al centro delle elaborazioni del cliente.
Il cambiamento durevole, tuttavia, richiede non solo un cambiamento nello stato
momentaneo, ma anche un cambiamento nelle organizzazioni del sé che sono prevalenti. La trasformazioni delle organizzazioni del sé si verificano costruendo nuovi
schemi attraverso il confronto e la sintesi di due organizzazioni precedenti, ossia at271
La terapia emotion-focused per la depressione
traverso un processo dialettico. Questo confronto è spesso fra una valutazione e un
bisogno. La valutazione potrebbe essere: «Non valgo nulla»; il bisogno: «Ho bisogno
di essere considerato». Questo bisogno mette in moto un nuovo insieme di emozioni
dirette ad un obiettivo, pensieri e azioni che mettono in discussione quelli associati
con la modalità di elaborazione “Non valgo nulla”. La sintesi che emerge integra i due
schemi precedenti, in modo che il cliente arriva a dire: «Sentivo di non valere nulla
perchè sono stato trattato così male e meritavo qualcosa di più. Merito qualcuno che
si prenda cura di me». L’accesso ad un’organizzazione del sé più resiliente è utile di per
sé, ma, inoltre, è importante che le nuove risposte resilienti influenzino le modalità
depressive mettendole esplicitamente in discussione e facendo emergere una nuova
sintesi. Le nuove emozioni smobilitate dal cliente, i nuovi bisogni e le risorse, quindi,
vengono utilizzate per trasformare le vecchie risposte emotive, per contrastare e mettere
in dubbio le visioni negative del cliente e le convinzioni negative sul sé fino a che non
si origini un nuovo punto di vista.
Emerge una nuova costruzione dalla sintesi degli elementi comuni ai due schemi
che sono stati attivati contemporaneamente e che possono essere applicati insieme. Dal
momento che i neuroni che scaricano insieme sono connessi fra loro (Hebb, 1949), la
nuova organizzazione di neuroni (ossia un nuovo repertorio di schemi) si associa con la
situazione attivante. Quando questa connessione associata più ampia viene attivata nel
futuro, lo fa come schema unico superiore. Quindi emerge una nuova miscela emotiva
e una nuova organizzazione che serve a coordinare i due sotto-schemi.
Nella depressione, per esempio, le risposte di ritiro del sé sconfitto e collassato che
derivano dall’insicurezza ansiosa o dalla vergogna fondamentale, ora si collegano con le
nuove risposte di avvicinamento associate alla rabbia che dà forza, alla tristezza che porta alla ricerca di aiuto o all’orgoglio espansivo e alle tendenze associate di sopravvivenza
e di lotta. Viene sintetizzata una nuova organizzazione del sé che si basa su uno schema
latente caratterizzata da un senso di confusa sicurezza infusa di speranza o possibilità,
invece che disperazione. Il precedente sotto-schema depressivo esiste ancora e potrebbe
riattivarsi in condizioni particolarmente stressanti. Pertanto, la risposta depressiva non
si estingue del tutto; si sposta semplicemente sul sottofondo, e la sintesi nuova, più
adattiva, inizia a dominare l’organizzazione del sé. Le vecchie modalità non vengono
disimparate, ma piuttosto elaborate, e da queste vecchie vie ne emergono di nuove. Il
prodotto finale del cambiamento e dello sviluppo include sempre la sintesi di tutti gli
apprendimenti cognitivo-affettivi di un individuo, i quali si costruiscono uno sopra
all’altro. La voce alternativa o le nuove possibilità che emergono per trasformare la
vecchia voce, pertanto, vengono dall’interno, da un nuovo stato emotivo a cui si accede
all’interno della seduta. Sono queste nuove voci adattive che forniscono la possibilità di
una nuova costruzione. Il focus per il terapeuta, allora, diventa quello di favorire la generazione di nuove possibilità all’interno della personalità promuovendo la formazione
di organizzazioni del sé alternative che vengono costruite a partire dalla sintesi di nuove
risposte emotive a cui si è avuto accesso, e di nuovi bisogni insieme a quelli vecchi e
meno adattivi. I clienti vengono incoraggiati ad utilizzare le risorse emotive a cui hanno avuto accesso, per trasformare le emozioni disadattive e per mettere in discussione
i pensieri distruttivi degli stati emotivi disadattivi da parte della nuova voce interiore,
sulla base delle emozioni e dei bisogni primari sani.
272
La trasformazione: costruire alternative
Promuovere l’accesso alle nuove emozioni
Ecco alcuni modi in cui i terapeuti possono intervenire per aiutare i clienti ad
accedere a nuove emozioni (Greenberg, 2002):
•
•
•
•
•
Confermare: la conferma innesca l’emergere spontaneo dell’emozione adattiva
all’interno di una relazione umana facilitante. La sintonizzazione del terapeuta con
quello che il cliente sente e la comunicazione della comprensione circa il valore
di quello che egli sente, a volte riescono a rafforzare a sufficienza il sé per favorire
l’emergere spontaneo di un nuovo stato emotivo resiliente.
Spostare l’attenzione: spostare il focus di attenzione dei clienti li aiuta a prestare
attenzione ad un’emozione di sottofondo, non dominante ma più adattiva. Lo
spostamento è una tecnica chiave per aiutare i clienti a modificare il proprio stato.
L’emozione non dominante è spesso presente nella stanza, sul piano non verbale,
nella tonalità della voce o nella modalità di espressione. Quello a cui i clienti prestano attenzione nella loro esperienza, influenza fortemente quali schemi emotivi
vengono attivati e, quindi, quali aspetti del sé diventano disponibili ad una nuova
sintesi. I terapeuti possono aiutare i clienti a modificare il vissuto aiutandoli a
prestare attenzione alle differenti componenti degli schemi o a schemi differenti.
Prestare attenzione alla sensazione corporea, invece che a una spiegazione concettuale, porta l’emozione nella stanza; similmente, prestare attenzione ad un’altra
possibilità, come alla tristezza primaria che alla rabbia secondaria, fa vivere un’altra
emozione.
Accedere a bisogni e obiettivi: un’altra tecnica chiave è chiedere ai clienti, quando
si trovano nel mezzo di un’emozione fondamentale o nel proprio dolore, cosa sia
ciò di cui hanno bisogno. Far emergere un bisogno o un obiettivo in un sistema
di organizzazione del sé cosciente, promuove il senso dell’essere agenti attivi. Se
un cliente in uno stato di vergogna sperimenta il bisogno di conferma, un senso
di orgoglio che si fonda sulla rabbia, spesso emerge un bisogno non soddisfatto.
Una volta che i clienti hanno simbolizzato cosa sentono e ciò di cui hanno bisogno, iniziano a spostarsi verso la risoluzione dei problemi per arrivare a ciò di cui
hanno bisogno. Aiutare i clienti ad accedere a bisogni e obiettivi è uno dei mezzi
più importanti attraverso cui un terapeuta può facilitare l’emergere di nuovi stati
emotivi.
Immaginazione positiva: il terapeuta può chiedere al cliente di immaginare di trovarsi in una situazione che evoca un’altra emozione, come trovarsi in un luogo
sicuro, o immaginare di provare un’altra emozione in risposta ad una situazione,
come provare rabbia per la violazione subìta invece che senso di sconfitta. Con
l’esercizio i clienti possono imparare come generare emozioni opposte attraverso
l’immaginazione e ad utilizzarle come antidoto alle emozioni negative.
Drammatizzazione espressiva dell’emozione: i terapeuti possono chiedere ai clienti
di adottare determinati atteggiamenti emotivi e aiutarli ad assumere intenzionalmente la postura espressiva di quell’emozione per poi intensificarla. Le drammatizzazioni psicodrammatiche sono molto utili; il terapeuta dà istruzioni al cliente,
come: «Cerca di dirgli “Sono arrabbiato”. Dillo di nuovo; sì, più forte. Riesci a
273
La terapia emotion-focused per la depressione
•
•
•
•
mettere i piedi sul pavimento e stare in piedi dritto?». Il terapeuta accompagna il
cliente nell’espressione fino a che non riesce a vivere l’emozione.
Ricordare un’altra emozione: i terapeuti possono chiedere ai clienti di ricordare un
momento in cui si sono sentiti arrabbiati o tristi. Ricordare una situazione in cui si
è presentata un’altra emozione può riportare in vita il ricordo nel presente.
Generare un nuovo significato sul piano cognitivo: i terapeuti possono suggerire ad
un cliente di pensare a, o focalizzarsi su, qualcosa in un modo differente, come
concentrarsi su quello che non gli piaceva dell’ex partner che lo ha rifiutato. Cambiare il modo in cui una persona vede una situazione, o parlare del significato di
un’esperienza emotiva, spesso aiuta i clienti a provare nuove emozioni.
Esprimere l’emozione al posto del cliente: i terapeuti potrebbero esprimere al posto
del cliente la rabbia, il dolore o la tristezza che lui non riesce ad esprimere.
Utilizzare la relazione terapeutica per generare una nuova emozione: si può evocare
una nuova emozione in risposta a nuove interazioni con il terapeuta. Il terapeuta
potrebbe, per esempio, aprirsi per creare un senso di vicinanza, oppure confrontarsi per evocare rabbia, od offrire compassione per evocare tristezza.
Modificare un’emozione con un’altra emozione
La trasformazione implica l’accesso a risorse emotive interiori opposte e l’utilizzo
per trasformare quelle disadattive e mettere in discussione le convinzioni disadattive
ad esse associate. Una volta che il cliente è stato aiutato a raggiungere e sperimentare
un’emozione primaria, di solito la paura o la vergogna, se non risulta evidente che
l’emozione è disadattiva, il terapeuta e il cliente, insieme, valutano se si tratta di vergogna o paura adattive, o di risposte disadattive alla situazione attuale. Insieme esplorano
l’emozione a cui si è arrivati e se può essere utile per raccogliere informazioni ai fini
dell’azione, oppure, se potrebbe basarsi su una ferita psicologica di qualche tipo e quindi deve essere cambiata. Se le emozioni sono disadattive, devono essere ulteriormente
elaborate per promuovere un cambiamento. Se l’emozione a cui si è arrivati è invece
sana, come la rabbia adattiva non espressa o la tristezza, questa emozione adattiva viene
utilizzata come guida per agire. Se, tuttavia, è un’emozione fondamentale, familiare ma
disadattiva che ricorre e non si modifica mai, come un senso di vergognosa inadeguatezza o di timorosa insicurezza, deve essere modificata. L’intelligenza emotiva implica la
conoscenza di quali emozioni cambiare e da quali emozioni farsi cambiare.
Quando i clienti sperimentano le emozioni disadattive primarie di vergogna e
inutilità, riescono a simbolizzarle nella consapevolezza, invece che evitarle, e riescono
a riconoscere che questo è quello che sentono nel profondo di sé, iniziando ad acquisire un controllo riflessivo sull’esperienza. Attraverso la simbolizzazione dell’emozione
fondamentale, si separano da essa. Questa emozione, adesso, non è semplicemente
un’esperienza schiacciante del tipo “Non valgo nulla”, ma piuttosto un’esperienza del
tipo “Mi sento inutile” che è un’emozione che ho, non una cosa che sono. L’emozione
diventa un oggetto o un prodotto del sé, che genera disagio, non si identifica più con
il sé e così può essere regolata con maggiore facilità. Inoltre, la relazione terapeutica
274
La trasformazione: costruire alternative
supportiva che dà costante conferma e che intravede i punti di forza, è sempre lì, aiutando ad attivare o ad accedere a voci più resilienti all’interno del sé. In questo contesto
il bisogno di essere amati e accettati diventa più accessibile ed il cliente inizia a sentire
di meritare che i propri bisogni vengano soddisfatti. L’ambiente terapeutico empatico,
confermante e supportivo, quindi, è un ingrediente fondamentale della nuova vitalità e
dell’accedere alla resilienza nei clienti depressi. Sono più in grado di accedere alle forze
interiori e a consolarsi da soli quando soffrono, invece che parlarne soltanto, focalizzandosi su ciò di cui hanno bisogno, esponendo la propria vulnerabilità ad un’altra
persona e ricevendo empatia da quella persona.
I clienti, pertanto, hanno simultaneamente bisogno di sperimentare il disagio e
di distanziarsi a sufficienza per riflettere sull’esperienza. Devono provare empatia per
se stessi, simbolizzare il proprio dolore e sofferenza, differenziarla e, infine, accedere ai
bisogni adattivi. Una volta che hanno preso le distanze e hanno un posto differente da
dove osservare se stessi, hanno già iniziato una riorganizzazione. Adesso sono pronti,
con l’aiuto del terapeuta, a costruire nuove risposte alternative alla situazione per trasformare le vecchie risposte depressive. Adesso, per esempio, possono fare attenzione
al proprio senso di ingiustizia e di umiliazione, spostare la propria attenzione, provare
rabbia per la violazione subìta e accedere al bisogno di inviolabilità. Accedere alle emozioni primarie per guidare la riorganizzazione, spesso è un processo che viene facilitato
dalla simbolizzazione verbale delle nuove sensazioni corporee emergenti. Descrivere le
sensazioni fisiologiche implicate nell’esperienza dell’emozione è di grande aiuto. Per
esempio, la tristezza potrebbe essere descritta con un senso di pesantezza al petto, un
abbassamento delle spalle e le lacrime che salgono agli occhi. La rabbia potrebbe essere
descritta come un’eruzione o un’esplosione nel petto, un pungo serrato ed il digrignare
le mascelle. Un’esplorazione della tendenza all’azione motoria potrebbe rivelare, nella
tristezza, un desiderio di raggomitolarsi o di essere confortati, o, nella rabbia, il desiderio di colpire. Queste tendenze possono anche esprimersi nella seduta a livello psicodrammatico o in drammatizzazione di fantasia. Una volta che l’emozione è stata attivata, si può accedere al giudizio e al bisogno intrecciati nell’emozione. Quando i clienti
hanno avuto accesso ad una nuova emozione, hanno adesso cambiato la loro modalità
di elaborazione e stanno operando con differenti giudizi e bisogni fondamentali. La
sensazione di avere il diritto al bisogno evoca il senso più resiliente del sé, che si innalza
per proteggere il sé; il sé, che opera come un sistema dinamico auto-organizzante, così
si riorganizza. Con lo sviluppo di questa alternativa organizzazione del sé, emerge una
nuova voce che mette in discussione quella vecchia.
L’estratto della seguente seduta terapeutica illustra l’attivazione e la trasformazione
dello schema emotivo disadattivo. Il cliente aveva appena iniziato ad accedere all’organizzazione del sé depressogena fondamentale:
Cecilia: «Sì. Mi sento inutile per non essere nessuna di queste cose».
Terapeuta: «Uh-huh… E questo è davvero il problema, giusto? Questa sensazione dolorosa e terribile di inutilità che la fa vivere secondo le
aspettative di qualcuno… [comprensione empatica]».
Cecilia: «Non sopporto di provarla [tira su con il naso]».
Terapeuta: «Cosa sente? [esplorazione empatica, investigazione emotiva]».
275
La terapia emotion-focused per la depressione
Cecilia: «Mi sento solo così disperata e … niente. Non mi sento nemmeno
una persona».
Terapeuta: «Uh-huh».
Cecilia: «Sto annegando [elaborazione dello schema emotivo]».
Terapeuta: «Uh-huh. Così, tutto il suo sé sta annegando e … Mi dica qualcosa di più. Voglio dire, sta dicendo: “Mi sento così… ” [investigazione emoti
va, esplorazione empatica]».
Cecilia: «Mi sento semplicemente vuota. Come fossi niente… Sono vuota.
Non sono niente. Non valgo nemmeno… Non vengo nemmeno
notata… Non ci sono nemmeno».
Terapeuta: «Uh-huh».
Cecilia: «Non sono nemmeno lì. Non vengo nemmeno riconosciuta da
nessuna parte senza essere tale».
Terapeuta: «Uh-huh. Così … “A meno che … non vivo all’altezza di certe
aspettative di … perfezione … non sono nulla. Sono inutile. Non
esisto nemmeno” [comprensione empatica]».
Cecilia: «Ecco come mi sento dentro. E semplicemente vado nel panico
e divento ansiosa e spaventata… [emozione sintomatica secondaria]».
Terapeuta: «Cambierebbe? La faccia sentire che non è nulla, che è inutile, a
meno che non viva all’altezza di una sorta di… Glielo dica: “Non
sei nulla a meno che… ”».
Cecilia: «Uhmm… [profondo sospiro]».
Terapeuta: «C’è questo sospiro pesante, pesante, proprio di… [sintonizzazione empatica]».
Cecilia: «Sì [gentilmente]».
Terapeuta: «Cosa significa portare tutto questo? [esplorazione empatica]».
Cecilia: «Pesantezza».
Terapeuta: «La faccia sentire come se fosse nulla. La faccia scomparire [guida
dell’elaborazione]».
Cecilia: «Voglio dire, lei è … lei non è lì… Non ho nulla da dire, perché lì
non c’è comunque».
Terapeuta: «Così, è come se non esistesse. L’unico modo in cui lei può essere
è essendo perfetta [comprensione empatica]».
Cecilia: «Sì».
Terapeuta: «E fintanto che … si ferma, non esiste davvero».
Cecilia: «Hmm».
Terapeuta: «E poi arriva tutto questo terribile dolore [Cecilia singhiozza]. Riesce a far uscire un po’ di queste lacrime? Queste sono lacrime che
non vorrebbe avere, ma sono lì [dare il permesso]».
Cecilia: «È troppo schiacciante [tira su con il naso]».
Terapeuta: «Mm-hm [Cecilia sospira]. Quindi è troppo opprimente per essere
eliminato a meno che lei non sia perfetta [comprensione empatica]».
Cecilia: «Sì. E si suppone che dovrei avere un funzionamento normale [tira
su con il naso] e prendermi cura di quattro bambini da sola e… ».
276
La trasformazione: costruire alternative
Terapeuta: «Mm-hm. “È semplicemente troppo. Non posso”».
Cecilia: «Sì, ma mi aspetto questo da me. Io do, ed è scontato, ma è… ».
Il terapeuta ha seguito l’approccio basilare a due fasi della terapia emotion-focused
(EFT) consistente nell’aiutare prima i clienti ad arrivare all’emozione disadattiva fondamentale, e poi, nella seconda fase, nel riuscire a lasciarla andare (Greenberg, 2002).
Nello scambio precedente, il terapeuta aveva aiutato Cecilia ad accedere all’emozione
di inutilità. Nella seconda fase, il processo si sposta per abbandonare il luogo in cui si
è arrivati. Nel segmento seguente Cecilia, focalizzandosi sul suo bisogno, ha iniziato a
mobilitare alcune risorse interiori ed è emersa un’organizzazione del sé alternativa, con
una voce più resiliente:
Cecilia: «Ero solita essere sempre così dura, usare quella voce cattiva con
me stessa. Non so perchè non riesco a farlo oggi [singhiozza]».
Terapeuta: «Mm-hm».
Terapeuta: «In qualche modo sente che è troppo [affermazione empatica]».
Cecilia: «Sono solo così stanca di sentire questa voce nella mia testa per
tutto il tempo [singhiozza]».
Terapeuta: «Uh-huh. Uh-huh. “Non voglio nemmeno esserlo”».
Cecilia: «No [piangendo]».
Terapeuta: «Mm-hm. “Ho solo bisogno di qualcosa di più confortante.
Più…”? [esplorazione empatica, focus sul bisogno]».
Cecilia: «Sì [singhiozzando]».
Terapeuta: «Che si prenda cura?».
Cecilia: «[Singhiozza] Oh, dio… [si calma, respira profondamente]».
Terapeuta: «“Ho solo bisogno di riposarmi da quella voce assillante… ” [focalizzandosi sul bisogno]».
Cecilia: «Sì [espira]».
Terapeuta: «Mm-hm».
Cecilia: «Sono così stanca che mi attacchi sempre…».
Terapeuta: «Uh-huh…».
Cecilia: «…In un modo così duro, duro. La ascolto sempre così prontamente e concordo con essa e perdo il senso di me quando la ascolto, e oggi non riesco a sopportarla».
Terapeuta: «Uh-huh».
Cecilia: «Non voglio sentirla [espira profondamente]».
Terapeuta: «Mm-hm, mm-hm. Quindi di cosa hai bisogno? “Ho solo bisogno
di…”».
Cecilia: «Voglio essere … voglio solo essere confortata».
In questo segmento la focalizzazione sui bisogni ha aiutato Cecilia ad effettuare
uno spostamento. Sulla base di questi bisogni, alla fine era arrivata in un luogo dove
sentiva maggiormente il proprio valore, di meritare qualcosa e di essere in grado di
affermare i propri bisogni in modo da non avere più così bisogno di approvazione. I
terapeuti, in generale, possono accedere ad una risposta emotiva più adattiva se aiutano
277
La terapia emotion-focused per la depressione
i clienti a verbalizzare un bisogno chiedendo “Di cosa hai bisogno?” quando il cliente
è nella sofferenza e l’ha accettata e tollerata. Il processo di cambiamento è fortemente
facilitato dall’accesso al bisogno non soddisfatto dell’emozione disadattiva, simbolizzandolo nella consapevolezza e portando il cliente a sentire di avere diritto alla soddisfazione di quel bisogno con il supporto del terapeuta. Con l’emergere di obiettivi o bisogni chiari, si accede a nuove risorse per conseguirli. Quando i clienti sentono il proprio
dolore, arrivano a capire di cosa hanno bisogno. Una volta che sanno di cosa hanno
bisogno in una situazione, spesso iniziano a sentire di avere una sorta di controllo su
di essa. Far sorgere un bisogno o un obiettivo in un sistema auto-organizzantesi, ha
una serie di effetti importanti sulla tipologia di elaborazione che induce. Ad un livello
conscio ed intenzionale, la focalizzazione sul bisogno crea uno spazio problematico in
cui cercare una soluzione. Una volta che i clienti verbalizzano un bisogno o un obiettivo, iniziano a chiedersi “Come posso soddisfarlo?”. Ad un livello affettivo, l’identificazione di un bisogno riporta alla mente la sensazione di cosa significa conseguire un
obiettivo, aprendo vie neurali verso l’emozione e verso l’obiettivo (Davidson, 2000a,
2000b). Le persone, dicendo “Ho bisogno di consolazione” ricordano la sensazione
di essere consolate, la assaporano, e questo le porta ad accedere all’emozione di per sé.
Accedendo all’emozione collegata al bisogno, si amplifica il desiderio di soddisfarlo. La
motivazione a provare di nuovo quella sensazione viene attivata e potenziata e vengono
innescate le modalità per arrivare all’obiettivo. Il sé, adesso, organizza le proprie attività
per soddisfare l’obiettivo. La conferma del bisogno da parte del terapeuta è anche un
importante elemento nel rafforzare il senso di diritto del sé a soddisfare quel bisogno.
Il fondamento del processo di cambiamento, pertanto, implica il dirigere l’attenzione
del cliente ai bisogni e agli obiettivi emergenti, alternativi, che si fondano sulle nuove
emozioni e l’aiutarlo ad accedere a nuove emozioni più adattive per soddisfare quel
bisogno. Una volta che il cliente ha sperimentato il bisogno di confini o di sicurezza,
prima incorporati nella vergogna e nella paura, si mobilita la rabbia. Una volta che il
bisogno di contatto o consolazione incorporati nell’abbandono e nell’insicurezza di
base vengono contattati, si provano tristezza e compassione per la perdita e si attiva un
processo di elaborazione del lutto.
Gli stati emotivi disadattivi vengono meglio trasformati sostituendoli con altri stati
emotivi più adattivi. Con il tempo l’emozione più adattiva trasforma quella disadattiva
integrandosi con essa per formare una nuova organizzazione del sé che si fonda su nuovi
schemi. Nelle forme depressive più complesse, i clienti di solito entrano in contatto con
le emozioni profonde di vergogna, insicurezza, solitudine e senso di non essere degni di
amore o con il dolore per i traumi subìti. Queste emozioni devono essere fatte fluire ed
elaborate. La vergogna adattiva porta alla consapevolezza del desiderio di appartenenza,
il dolore all’elaborazione del lutto, l’insicurezza al riconoscimento del bisogno di attaccamento e di supporto, la solitudine, in seguito, al bisogno di amore e di intimità e il
dolore per il bisogno di liberazione, sollievo e riorganizzazione, incluso il bisogno di
inviolabilità o sicurezza. Prestare attenzione a questi bisogni e obiettivi emergenti, velocizza la riorganizzazione ed il cliente inizia ad accedere alle risorse interiori per soddisfare
gli obiettivi e ai punti di vista alternativi che ne supportino il conseguimento.
A volte, la costruzione di alternative implica la discussione esplicita di come soddisfare nel mondo esterno i nuovi bisogni a cui si è avuto accesso e delle difficoltà che
278
La trasformazione: costruire alternative
il cliente potrebbe incontrare in questi tentativi. Potrebbe essere necessario un ulteriore
lavoro sullo sviluppo di competenze per soddisfare questi bisogni. Quando il problema
non è il deficit di competenze, ma la mancanza di consapevolezza, si richiede una maggiore consapevolezza e accettazione dell’esperienza emotiva e del bisogno. Per i clienti
dona chiarezza e costruisce sicurezza sapere cosa sentono, conoscere ciò di cui hanno
bisogno ed essere in grado di utilizzare i propri bisogni come guida per il comportamento. Vivere appieno le proprie emozioni e bisogni motiva e fa chiarezza e questo
consente di superare l’ansia e l’inadeguatezza che precedentemente bloccavano l’azione.
La EFT, pertanto, aiuta i clienti ad imparare a fidarsi della propria esperienza interiore e
ad utilizzarla come guida. La conferma del terapeuta dell’esperienza primaria è cruciale
per aiutare i clienti a rafforzare il proprio senso di sé, a fidarsi della propria esperienza
e ad agire nel proprio interesse.
Promuovere la relazione e il lavoro terapeutico
La trasformazione dell’esperienza emotiva si verifica tramite due importanti processi che interagiscono: la relazione e il lavoro terapeutico. La relazione con il terapeuta
dà ai clienti l’opportunità di esporre le proprie emozioni problematiche alla presenza e
all’aiuto del terapeuta. I clienti così vivono una nuova esperienza relazionale di regolazione delle emozioni. La nuova esperienza emotiva può sorgere sul piano relazionale in
uno di due modi principali. Uno implica la sconferma delle aspettative patogene o delle convinzioni attraverso la nuova esperienza interazionale con il terapeuta; un esempio
è il cliente che esprime per la prima volta nella sua vita un’emozione al terapeuta, come
rabbia o delusione, oppure che rivela un’esperienza di umiliazione e questi lo porta a
reagire in maniera responsiva invece che difensiva o di disapprovazione.
La seconda via implica il rafforzamento del sé, che si verifica attraverso la convalida
di un’emozione fondamentale o la sua comprensione da parte di un altro che conferma.
I clienti devono sperimentare e interiorizzare la convalida di almeno un’altra persona
per riuscire a regolare le proprie emozioni e a superare la depressione. È importante
riconoscere come il bisogno di conferma costituisca un importante ingrediente per
superare il senso fondamentale di inutilità o abbandono nella depressione.
Una relazione validante facilita il lavoro sul cambiamento fornendo un contesto
sicuro, facilitante per il lavoro esploratorio. Parlare con un terapeuta comprensivo aiuta
i clienti ad individuare quali emozioni sono sane e utili e quali sono problematiche e
devono essere cambiate. La relazione quindi funge da facilitatore del processo di chiarificazione. Il secondo aspetto, quello relativo al lavoro terapeutico, implica il processo di
presa di coscienza della nuova esperienza e la sua simbolizzazione in parole in modo che
esista per la coscienza e che ne influenzi l’identità narrativa. In questo processo il cliente
deve sentire la difficoltà e mettere le emozioni problematiche in parole. Il linguaggio
favorisce l’organizzazione delle emozioni problematiche simbolizzandole attraverso le
parole, che consentono di gestirle meglio. Il cliente adesso riesce a parlarne e ad esplorarne l’essenza, e può assegnare un posto a ciascuna sfumatura emotiva all’interno di
sé, dandole l’opportunità di trasmettere il suo messaggio. Il processo di cambiamento
279
La terapia emotion-focused per la depressione
fondamentale nel lavoro intrapsichico di generazione di nuovi significati, implica un
progresso attraverso i passaggi del processo esperienziale (Klein, Mathieu-Coughlan &
Kiesler, 1986), fra cui l’avvicinarsi alle sensazioni corporee, sperimentarne la novità,
mettere questa esperienza in parole in modo che possa essere un’esperienza simbolizzata e utilizzare le emozioni attualmente disponibili per risolvere i problemi. La novità
emerge come risultato di questo processo. Sorge una nuova esperienza nel sé che offre
un’alternativa a quella precedente. Il vissuto della nuova emozione e la designazione di
un linguaggio per descriverla, sono entrambi essenziali per la generazione di nuovi significati. La sensazione, la percezione e l’emozione esistono sempre prima del linguaggio all’interno di una persona, ma sono sempre alla ricerca di una forma linguistica per
poter sopravvivere. È la sintesi in nuove costruzioni a generare un cambiamento.
Così, un cliente aveva chiaramente simbolizzato nella consapevolezza la sensazione
di non avere alcun valore dicendo: «Mi sento così inutile, come se gli altri mi guardassero dall’alto in basso»; si trovò a singhiozzare nel vivere appieno quell’emozione strettamente connessa alle sue ferite infantili di svalutazione da parte dei coetanei e genitori.
Dopo la conferma e un’ulteriore articolazione della propria esperienza in un particolare
momento, che aveva agito da sistema dinamico auto-organizzantesi nel processo di
cambiamento, era riuscito a riorganizzarsi ed era emerso il suo bisogno di sopravvivenza e di attaccamento: «Non è vero che sono inutile. Erano solo crudeli e non curanti.
Io ero curioso e mi interessavo delle persone». Una volta che aveva avuto accesso a
questo nuovo bisogno adattivo di sopravvivenza e benessere basato sulle emozioni, era
divenuta disponibile una nuova organizzazione del sé. Aveva contattato un barlume di
senso del proprio valore dentro di sé ed era emersa una nuova voce. A questo punto
aveva guardato in alto e detto: «Sono utile. Merito di essere considerato» e «Ho amore
da dare e merito di essere amato».
Riconoscendo le emozioni primarie in un contesto terapeutico che conferma e che
si focalizza sui bisogni orientati alla crescita, i clienti depressi sono maggiormente in
grado di accedere alle forze e alle capacità intrinseche all’organismo. Poi sono in grado di utilizzarle per accedere ad una nuova visione di sé. A questo punto i clienti che
lottano con la sensazione di non essere degni di amore o di abbandono, sentono maggiormente di avere diritto alla soddisfazione di questi bisogni o di riuscire a sostenere
se stessi e, non sentendosi più dilaniati, sono in grado di dire cose come «Anche se non
mi rispondesse, lo meriterei comunque» oppure «Posso sopravvivere». Ora sono anche
in grado di rivalutare le conseguenze dei bisogni non soddisfatti da parte dell’altro.
Riescono a sentire di potercela fare e di poterlo superare. Con il supporto del terapeuta, i clienti, sentendosi più sicuri, entrano in contatto con il bisogno di controllo e di
evitamento del dolore e questi li aiuta ad accedere a nuove risorse per affrontare la vita.
In questo modo, diventano disponibili più capacità di auto-accrescimento e auto-consolazione che lo aiutano ad andare avanti. Il cliente potrebbe dire: «Merito di sentirmi
amato. Se non riesco ad averlo adesso, qui, posso averlo da dentro di me, o da qualcun
altro. Posso a sopravvivere se l’altro non mi risponde. So che non verrò disintegrato». I
clienti entrano in contatto con la realtà per cui essi sono più di ciò che è accaduto o di
ciò che hanno provato.
Un processo chiave di trasformazione, quindi, implica la generazione di esperienze
alternative che trasformano le modalità di elaborazione della persona. La generazione
280
La trasformazione: costruire alternative
di alternative, che appartengono all’emozione immagazzinata in memoria, è notevolmente facilitata dall’accedere al bisogno o all’obiettivo. Una volta che il bisogno o il
desiderio non soddisfatto – per fare qualche esempio, il bisogno intrinseco alla rabbia
di non essere violati o quello intrinseco alla tristezza di conforto e contatto – viene
smobilitato e portato alla consapevolezza, il cliente diventa più attivo. In qualità di
sistema dinamico, una volta attivato il senso attivo, il cliente inizia la riorganizzazione
per cercare di ridurre il disallineamento percepito fra il giudizio e l’esito desiderato.
Portare alla consapevolezza l’obiettivo desiderato apre le vie a possibili soluzioni all’interno della mente e attiva ricordi relativi a sensazioni legate al raggiungimento di un
obiettivo. Tutto questo, oltre al desiderio di lasciar andare l’emozione spiacevole, scuote
il cliente al fine d’iniziare a trasformare la propria esperienza in qualcosa di più adattivo e possibile. Si verifica, inoltre, una trasformazione, perché le emozioni dolorose, se
tollerate, tendono, in un certo senso, a diminuire d’intensità per un naturale processo
di alti e bassi.
Vivere fino in fondo e lasciar andare la sofferenza e
il dolore
Nella depressione il vivere fino in fondo la sofferenza ed il dolore rappresenta un
importante processo di cambiamento. Vivere in fondo significa lasciar emergere e trasformare. Implica l’attivazione di un processo naturale di cura che porta ad affrontare il
dolore, ad assimilare la perdita, a lasciar andare ed andare avanti. Ciò che è patologico
è l’evitamento della perdita e del dolore. Il dolore è essenzialmente una ferita per il sé.
Come tale, è un’emozione adattiva che ci dice che si è verificata una lacerazione. L’esperienza primaria del dolore implica una sensazione di “disintegrazione”, la sensazione
che il sé sia completamente dilaniato in piccoli pezzi o disintegrato (Bolger, 1999;
Greenberg & Bolger, 2001) o la sensazione di un legame spezzato (il nostro modo di
essere con un’altra persona è andato in pezzi). I clienti che hanno avuto il coraggio ed
il sostegno per affrontare il proprio dolore, non solo sopravvivono, ma riescono anche
a crescere in seguito a questa esperienza, se vissuta fino in fondo.
Si deve entrare in contatto con le emozioni dolorose, che devono essere lasciate
fluire, tollerate e alla fine accettate come parte del sé. Si deve vivere la perdita originaria
e la si deve affrontare per sperimentare che si può sopravvivere al dolore. Le persone
devono concedere a se stesse di provare devastazione, senso di perdita ed impotenza.
L’accettazione del dolore aiuta il cliente a sopportarlo e questo consente al bisogno, o
all’obiettivo associato all’emozione, di essere riconosciuto e smobilitato. L’accettazione
del dolore dà anche la forza ai clienti di combattere le convinzioni disfunzionali che potrebbero intensificarlo o che impediscono di affrontarlo. Consentire a se stessi di provare dolore genera un senso di sollievo per l’organismo e permette al cliente di emergere
più forte e non più depresso. Quando i clienti hanno a che fare principalmente con
aspetti dolorosi e temuti di sé, come sentirsi persone difettose, più che con la perdita,
imparano che riescono a sopravvivere a quello che prima consideravano insopportabile.
Affrontano metaforicamente la propria morte esistenziale e rinascono alla vita.
281
La terapia emotion-focused per la depressione
Per esempio, la figlia di una cliente l’aveva disconosciuta, era andata via e non
voleva vederla mai più. Questa cliente aveva dovuto affrontare in terapia il senso di
devastazione causato da questa rottura, oltre che la vergogna per essere stata rifiutata in
quel modo. Aveva affrontato la perdita ed era arrivata a vedere come tutta la sua vita,
da quella rottura, era stata solo una protezione da quel dolore. Nell’affrontare, infine,
questo dolore, aveva deciso anche di affrontare la vita, invece che nascondersi dietro un
muro di paura e vergogna. Era riuscita così a lasciar andare questo dolore e ad andare
avanti. Questo processo di lasciar fluire e accettare, quindi, richiede che il dolore venga
evocato e attraversato, non che semplicemente se ne parli. Provando il dolore nella sua
attualità, i clienti si trovano essenzialmente in una nuova situazione, in cui imparano
che il dolore è sopportabile e che non li distruggerà.
Il paradosso è che l’evitamento del dolore rende questo interminabile ed interferisce con le capacità di lasciarlo andare. I clienti devono abbracciare questo dolore e affrontare il senso di disperazione, di impotenza che hanno cercato di evitare, per riuscire
davvero ad andare avanti ristrutturando l’esperienza di sofferenza. Questo è quello che
si intende con l’espressione “attraversare” il dolore, in cui l’emergere di un’esperienza
nuova si può simbolizzare con l’immagine della fenice che risorge dalle proprie ceneri. In
questa immagine, l’organizzazione emerge dalla disorganizzazione e dalla distruzione.
Per esempio, una cliente che, per la prima volta, in terapia era entrata in contatto
con l’esperienza traumatica dolorosa collegata all’abuso sessuale subìto, aveva provato
un forte senso di vergogna e profonda tristezza per la perdita della propria innocenza.
Con il sostegno del terapeuta era riuscita a provare empatia per se stessa bambina e si
era velocemente spostata su una rabbia intensa verso chi l’aveva violata. Il terapeuta
aveva risposto empaticamente alla sua vulnerabilità e aveva convalidato la sua esperienza di violazione. Alla fine della seduta, la cliente aveva sottolineato che nonostante
il dolore, era speranzosa che «Le cose sarebbero cambiate. Almeno mi sento come se
queste emozioni fossero mie e abbia il diritto di provarle».
Uno spostamento verso un coping più positivo dopo aver affrontato il dolore, è in
parte governato dalla tendenza del cliente a “lasciar andare”, o a distaccarsi dalle emozioni
problematiche e ad “andare avanti”, o ricercare stati più positivi, agevoli e sani, piuttosto
che a restare nel dolore. Questo processo di distacco è facilitato dalla riduzione dell’elevato livello di arousal in seguito all’esposizione ripetuta, all’elaborazione dell’emozione
e del significato della perdita e alla capacità di spostare il focus dell’attenzione. L’ultimo
processo può essere favorito lavorando sullo spostare intenzionalmente il focus su altri
aspetti dell’esperienza, per esempio sulla propria respirazione, sul contatto sensoriale
con ciò che si vede e si sente nella realtà esterna presente, oppure sui ricordi degli aspetti
positivi dell’altro che si è perduto, dell’amore e dell’apprezzamento di questi.
Accedere alle emozioni positive
L’accesso alle emozioni positive anche è importante nel processo di trasformazione. Come ha mostrato Fredrickson (1998), l’accesso alle emozioni positive contrasta
quelle negative, apre orizzonti ed aiuta a costruire. Le emozioni come la compassione,
l’amore, la gioia e l’eccitazione, interagiscono tutte e trasformano rapidamente lo stato
282
La trasformazione: costruire alternative
del cliente e le sue modalità di elaborazione. Generano soluzioni più speranzose, altruistiche e creative ai problemi.
Fosha (2004) ha enfatizzato l’importanza del valore trasformativo delle emozioni
positive. Sostiene che determinate emozioni trasformative sono il segnale di un cambiamento adattivo in atto. Per esempio, una cliente stava elaborando una sensazione
molto dolorosa di abbandono e rifiuto, quando il terapeuta ha fatto una riflessione
empatica di queste emozioni e improvvisamente uno sguardo di gioia ha attraversato il
volto della cliente. Il terapeuta si è fermato per esplorare l’esperienza di quel momento
della cliente e ha scoperto che nel mezzo del dolore, la gioia aveva segnalato un’emozione positiva di apprezzamento e contatto. La cliente aveva sentito che il suo dolore era
compreso e riconosciuto e si sentiva in armonia con un altro essere umano che condivideva queste emozioni dolorose. Queste emozioni momentanee sono estremamente
importanti perchè segnalano al cliente e al terapeuta che si sta verificando il processo di
cambiamento e di guarigione. Il lavoro terapeutico non è solo accedere alle emozioni
disadattive fondamentali, ma anche accedere a quelle positive che emergono (amore,
compassione, eccitazione e orgoglio). Le emozioni spiacevoli devono essere affrontate
perchè promuovono l’approfondimento e l’apertura di sé, ma l’accesso alle emozioni
positive serve ad ampliare e a costruire.
Il focus sull’esperienza positiva è importante nella promozione del cambiamento.
Per esempio, le esperienze positive di controllo, cambiamento, aiuto ricevuto, comprensione, sfogo e intimità con un’altra persona, sono tutte emozioni importanti da
elaborare. Quando i terapeuti seguono l’esperienza di un nuovo stato emotivo positivo,
il cliente di solito sperimenta quelli che Fosha (2004) definisce emozioni curative. Secondo l’autrice, alcune emozioni curative si focalizzano sull’esperienza di trasformazione del sé: il cliente si sente “spostato”, “toccato” o “emozionato”. Altre emozioni curative sono collegate ad esperienze affettive recettive, che includono sentimenti di amore
e gratitudine verso il terapeuta; il cliente si sente aiutato, osservato o compreso. Gli
indicatori di queste esperienze, spesso sono lacrime di gioia o di senso di cambiamento.
Queste emozioni segnalano e promuovono il processo di guarigione. Quando i clienti
vivono delle emozioni curative, sono in grado di accedere a risorse più profonde, fra
cui calma, saggezza, empatia verso il sé e compassione verso gli altri. Queste emozioni
fluiscono e sono pienamente presenti al sé e all’altro. Le emozioni trasformative includono espansività, capacità di respirare, senso di leggerezza, una sensazione elettrizzante
scorrere per tutto il corpo, un senso improvviso di vitalità nel corpo e non solo nella
mente, ed un nuovo senso di integrità corporea. I terapeuti devono imparare a riconoscere ed accettare le emozioni curative, che consentono a lui e al cliente di sapere che si
è verificato un impatto curativo.
Modificare le convinzioni
La costruzione di alternative implica anche la modificazione del contenuto cognitivo. Il contenuto cognitivo viene elaborato dopo che è iniziato un cambiamento affettivo, mettendo esplicitamente in discussione la convinzione disfunzionale verbalizzata
283
La terapia emotion-focused per la depressione
a cui si è avuto accesso grazie all’arousal emotivo. Attraverso l’arousal dell’emozione, si
accede alle convinzioni fondamentali o le si verbalizza con maggiore facilità oltre che
con maggiore significatività. La “fredda” convinzione razionale “Non sono degno di
amore” è molto diversa dalla “calda” convinzione esperienziale accompagnata da tutte
le componenti viscerali, affettive e dalle associazioni cognitive. È questa convinzione
calda a cui si deve accedere perché avvenga una ristrutturazione. La verbalizzazione
della convinzione disadattiva all’interno della coscienza e la sua rivelazione ad alta voce
mentre viene vissuta sul piano esperienziale all’interno della seduta, la espone ad un
nuovo giudizio riflessivo e all’esplorazione. Questo è l’aspetto più esplicitamente cosciente del processo di cambiamento nella EFT.
La ristrutturazione riflessiva favorisce la formazione top-down di nuovi schemi e
serve a consolidare il cambiamento. Una volta che si è avuto accesso a risorse nuove,
più resilienti, attraverso un processo esperienziale bottom-up, queste risorse vengono esplicitamente utilizzate per mettere in discussione le visioni negative del sé. La
visione di un sé debole o difettoso viene messa in dubbio dall’interno da parte dei
nuovi bisogni convalidati a cui si è avuto accesso e dalle ulteriori risorse mobilitate
da questo bisogno. Così, si accede al bisogno di essere amato e riconosciuto che è al
fondamento di un senso di inutilità, questo viene supportato dal terapeuta e viene
utilizzato per combattere la convinzione che il cliente sia inutile o non degno di
amore. Un cliente potrebbe dire «Meritavo di meglio. Ero solo un bambino. Avevo
bisogno di amore» oppure «Ho bisogno di sostegno, non di critiche», contrapponendosi, così, esplicitamente alle convinzioni di inutilità o debolezza. Attraverso questo
contrasto cosciente delle convinzioni, si verbalizza un cambiamento nella visione che
il cliente ha del sé, dell’altro e del mondo e questo consolida la formazione della nuova organizzazione del sé.
Accedere e combattere le convinzioni auto-critiche in questo modo ha un’utilità
palese. Il lavoro sulle convinzioni, nel caso della dipendenza, non è altrettanto semplice. Le paure legate alla dipendenza sono più difficili da verbalizzare rispetto alle
convinzioni auto-critiche e, quindi, è molto più complicato metterle in discussione.
Hanno maggiormente a che fare con le aspettative relative alle risposte altrui che con
il sé. L’insicurezza non è semplice da descrivere in parole sotto forma di convinzione
e non può essere attivata dicendo a se stessi cose come “Non posso sopravvivere senza
di te o senza il tuo supporto”. L’insicurezza di base e le relative visioni del sé e degli
altri di solito sorgono dall’esperienza interpersonale e possono essere considerate parti
di un pattern di relazione sé-altro che è stato organizzato in schemi emotivi relazionali
sé-altro in cui l’elemento fondamentale è il sentimento dello stare con l’altro. Così, lo
schema in cui il sé viene vissuto come non degno di amore o di valore che si trova alla
base dell’esperienza di “debolezza” del sé, si associa alla sensazione di essere soli, ad un
bisogno non soddisfatto di amore e alla rappresentazione dell’altro come rifiutante,
più che a una convinzione come “Io non sono degno di amore”. Questa organizzazione del sé di abbandono e di impossibilità di essere amati, conduce all’aspettativa
di essere rifiutati dagli altri e al ritiro dalle persone per la paura di questo rifiuto. Lo
schema in cui il vissuto del sé è di abbandono senza speranza, attiva un sentimento
di “Non posso sopravvivere da solo”. Questo è il vissuto alla base dell’esperienza di
“debolezza” del sé, che è associata al bisogno di intimità e di cura, all’aspettativa di
284
La trasformazione: costruire alternative
abbandono da parte degli altri e all’aggrapparsi agli altri, più che ad una convinzione
più riflessiva sul sé.
L’insicurezza di base e l’ansia vengono, quindi, evocate automaticamente più nella
relazione e nell’interazione, che attraverso un dialogo interiore auto-critico o una convinzione. È utile verbalizzare il sentimento di insicurezza di un sé fragile e dipendente
in parole, per esempio: «È come se morissi quando non mi risponde con gentilezza»,
oppure «Provo un vuoto dentro senza di te. Come se non esistessi più», oppure «Ho
paura che tu [l’altro] scompaia, che tu non esista più, a meno che non senta la tua voce». Questo consente di mettere in parole la paura di base e in questo modo può essere
riconsiderata, ma l’insicurezza di base non può essere modificata solo attraverso un
processo razionale. La sensazione di insicurezza è un’ansia pervasiva collegata a precoci
esperienze di perdita di connessione e alla paura di restare soli e senza aiuto. In questo
caso, per il cambiamento, è importante accedere a nuovi stati resilienti del sé e alla
regolazione diadica delle emozioni, oltre che a condurre una rivalutazione cosciente
delle convinzioni.
È attraverso la sintonizzazione empatica dell’altro che inizia a svilupparsi e a consolidarsi un senso di base del sé come agente attivo, invece che vittima passiva. Essere
visti e compresi dall’altro, aiuta la formazione di un senso separato del sé, come un
tutt’uno coeso e come agente attivo, ed aiuta il cliente a vivere l’esperienza corporea di
nuovi modi di essere con l’altro (Stern, 1985). L’incapacità del cliente di aggrapparsi al
proprio senso di unione e la perdita della sensazione di permanenza in assenza dell’altro
o in mancanza di responsività da parte dell’altro, inizia a cambiare quando si entra in
contatto con un altro che è empaticamente sintonizzato. Non è una convinzione razionale relativa al sé a cambiare, ma un modo di essere emozionale. Si forma un senso
del sé come agente attivo capace di ricevere e dare amore attraverso l’interiorizzazione
della funzione empatica dell’altro. Questo va a sostituire il disperato senso di bisogno
dell’altro e la necessità assoluta di amore o conforto. Le sensazioni “Per stare bene devo
compiacerti” oppure “Senza di te non esisto” che portano all’incapacità di tollerare
la separazione o il rifiuto, vengono trasformate dall’esperienza di un nuovo sé attivo
nell’essere con l’altro.
Per consolidare questo cambiamento, il terapeuta, all’inizio supporta l’emergere
delle forze interiori del cliente, della sua competenza e delle sue risorse e, poi, lo incoraggia esplicitamente a contrastare le convinzioni negative. Una volta evocate le capacità di sostegno interiore e di auto-consolazione del cliente, questi entra nuovamente
in contatto con il proprio senso vitale e con la volontà di vivere. I clienti che si sentono
vulnerabili a causa della dipendenza dagli altri, adesso sono in grado di dare a se stessi il
sostegno che non hanno ottenuto altrove, mentre i clienti auto-critici riescono a trovare
un senso interiore del proprio valore. Adesso i clienti possono iniziare ad affermare se
stessi e a mettere in discussione le convinzioni auto-denigratorie o invalidanti relative al sé o eventuali assunzioni catastrofiche relative alla separazione e all’abbandono.
Sviluppando un più forte senso di coerenza del sé, di essere agenti attivi che riescono
a tollerare gli eventi nel tempo, i clienti provano maggiore sicurezza e senso del proprio valore. Riescono a sentire che sono più di ciò che sentono in un dato momento
e che quindi sono meno vulnerabili all’attimo presente. In risposta ad una minaccia
alla sicurezza, la consapevolezza che esistono ancora un passato e un futuro, che non
285
La terapia emotion-focused per la depressione
tutto viene distrutto e che “Siamo qualcosa di più di quello che ci è accaduto”, in associazione all’accedere a nuovi bisogni e risorse interiori e al supporto e alla conferma
del terapeuta, danno al cliente la forza di combattere le convinzioni disfunzionali sulla
capacità del sé di sopravvivere, di riuscire a vivere come entità separata e autonoma o
di avere un certo valore ed essere degno di amore.
L’approccio della EFT al lavoro sul cambiamento del punto di vista sé-altro e
delle convinzioni disfunzionali, quindi, non è di tipo interpretativo, o di confronto.
Non si focalizza sulla logica, sull’insight o sul cambiamento comportamentale di per
sé. La EFT non mira a raccogliere le prove o a ragionare con i clienti per vedere quanto siano irrazionali determinate convinzioni e non si focalizza sull’identificazione o
sull’interpretazione di pattern infantili o sul training di competenze. La EFT non
pone enfasi sull’aiutare i clienti a comprendere determinati pattern o a diventare più
razionali o realistici. La EFT, inoltre, non cerca di portare i clienti a collegare pattern
presenti e passati o a raccogliere prove pro o contro le convinzioni depressogene.
Tutti questi processi si verificano in gradi differenti e possono essere utili, ma dal
nostro punto di vista non è la veridicità o la validità delle origini dei pattern o delle
convinzioni ad essere la preoccupazione fondamentale, ma piuttosto l’utilità di questi
pattern o convinzioni. Dall’esterno presumiamo che le verbalizzazioni dei pattern e
delle convinzioni dei clienti non siano né utili né inutili. Piuttosto, essi sono in generale palesemente distruttivi. Si dà per scontato che le visioni negative e le convinzioni
depressive siano disadattive perché fanno star male le persone e i terapeuti lavorano
per dimostrarlo aiutando i clienti a sperimentare come questi pattern e convinzioni
li fanno sentire. Non ci sono prove più forti del sentire qualcosa. La consapevolezza
dei pattern, anche se utile, non porta di per sé al cambiamento. È l’esperienza emotiva
di nuove possibilità che porta il cambiamento. I terapeuti che utilizzano l’EFT quindi
lavorano per aiutare i clienti a scoprire come il modo in cui si sentono influenza
quello che dicono a se stessi e come interagiscono e agiscono. Inoltre non crediamo
nemmeno che le idee disadattive, le emozioni o i pattern non siano consapevoli o
siano inconsci, e che rendere cosciente l’inconscio renda libere le persone. Piuttosto,
le esperienze evitate, in generale, sono note ma vengono rifiutate o dissociate (ossia,
non vengono vissute fino in fondo). Riappropriarsi dell’esperienza è una parte importante del lavoro terapeutico, oltre al nuovo utilizzo e alla trasformazione di questa
esperienza.
La EFT, pertanto, implica l’esporre i clienti alle emozioni disfunzionali che sono
alla base della loro depressione per arrivare ad esperienze interiori più resilienti. Aiutare
i clienti ad accedere alle emozioni di sana tristezza o rabbia, espone la loro paura e la
loro vergogna a nuovi input. Le emozioni disadattive e la tendenza al ritiro iniziano ad
essere sostituite con la propensione fiduciosa, con la ricerca, così come i punti di vista
auto-critici che i clienti hanno di sé, come persone negative o inutili, vengono messi in
discussione dal senso di valore a cui si ha accesso negli stati emotivi più sani. I clienti
vengono quindi aiutati ad integrare tutte le parti della propria esperienza in un nuovo
senso del sé e a provare maggiore accettazione di sé. Accedere ad una nuova risposta
emotiva o ad una nuova voce, porta anche a cambiamenti nelle interazioni interpersonali. Una volta che ci si focalizza sui bisogni, e una volta che questi vengono reclamati,
i clienti iniziano ad agire più assertivamente per conseguire i propri obiettivi.
286
La trasformazione: costruire alternative
Gestire gli stati d’impasse
Spesso i clienti depressi si bloccano nella loro disperazione. Non riescono a vedere
altre possibilità. È del tutto impedita la costruzione di alternative o la conclusione di un
processo esperienziale. Sembrano incapaci di fare progressi, di lasciar andare le emozioni negative e di accedere alla propria resilienza. Metà della battaglia per il cambiamento
nella depressione, si vince quando i clienti riescono a vedere che in parte sono autori
del proprio disagio, invece che vittime di emozioni incontrollabili o dell’abbandono
degli altri. Questa presa di coscienza è un modo di assumersi la responsabilità della
propria esperienza. I clienti non hanno la colpa della propria depressione, piuttosto
devono vedere che sono parte attiva nella costruzione della propria realtà e che sono
coinvolti in un processo depressogeno che possono modificare. Il lavoro su come i
clienti interrompono la propria esperienza emotiva, discusso nel capitolo 12, è un modo importante per gestire le emozioni bloccate. Un altro è aiutare i clienti a vedere che
sono composti da molte parti e lavorare insieme per accedere a un’altra parte del sé.
Per esempio, un cliente era bloccato nello stato disadattivo di impotenza dipendente. Entrava in questo stato quando si trovava di fronte ai rifiuti o a messe in discussione della propria competenza. A volte si sentiva adeguato e gli sembrava di avere delle
cose da offrire, ma quando veniva criticato o rifiutato, entrava in questo stato e provava
disperate emozioni di impotenza e isolamento. Andava nel panico e vedeva le persone
come aggressori non supportivi e se stesso come uno smidollato. Veniva risucchiato in
un vortice di emozioni disadattive. In questo stato, non aveva alcuna solidità; diceva
di sentirsi come «Un abbozzo di me stesso, senza alcuna sostanza». Il compito del terapeuta era aiutare questo cliente a comprendere adeguatamente che questo stato di
impotenza dipendente era solo transitorio, creato dal sé e disfunzionale e a sviluppare
un’esperienza alternativa.
Invece che cercare di dimostrare ai clienti che hanno un vissuto di “negatività” e
“debolezza” del sé, che soffrono di una depressione cronica e che le loro convinzioni
non sono reali, abbiamo trovato più utile portarli a rendersi conto che questo è solo
uno fra molteplici stati in cui entrano e che è disadattivo; il problema è che non possono regolare questo stato e che a volte si bloccano, invece di convincerli che stanno commettendo un errore. Lo scopo è creare un senso di evoluzione del sé – ossia uno stato in
cui si entra e si resta bloccati – e che è uno solo di una serie di stati a loro disponibili.
Ogni qual volta sia possibile, è utile cercare di costruire dei ponti che colleghino questo
stato ad altri stati attraverso spostamenti dell’attenzione, cambiamenti nel significato,
ricordando ai clienti le volte in cui si sono trovati in altri stati, oppure evocando altri
stati all’interno della seduta. Lo scopo è creare l’esperienza attraverso cui riuscire a compiere una transizione fra uno stato e l’altro per riuscire a passare dalla disperazione alla
rabbia, dalla tristezza all’umorismo, e così via. Questa attività genera flessibilità nello
stile emotivo e rafforza i collegamenti fra stati differenti (Greenberg, 2002).
Questo processo di focalizzazione sulla generazione di alternative allo sconforto,
dipende completamente dalla capacità del terapeuta di mantenere l’alleanza e una posizione interazionale adeguata. I clienti devono sentire per tutto il corso della terapia che
il terapeuta è dalla loro parte, che lavora con loro contro lo stato problematico. Quando il cliente prova la solitudine depressiva e l’insicurezza, è importante che il terapeuta
287
La terapia emotion-focused per la depressione
enfatizzi quanto possa essere doloroso sentirsi così impotenti, fragili e dipendenti, e
quanto uno possa sentirsi ansiosamente insicuro sentendo di non poter esistere senza
il conforto o la presenza di un altro. Questa empatia con il sentirsi così incapaci di esistere, deve provenire da una reale comprensione e conferma da parte del terapeuta. Le
risposte tipo «Non c’è da meravigliarsi» possono essere molto utili in questo caso; per
esempio: «Non c’è da meravigliarsi che tu ti senta isolato e solo, dopo aver lottato tutta
la tua vita per essere ascoltato, senza aver mai potuto avere un genitore o un adulto che
rispondesse». Allo stesso tempo, oltre che a convalidare la vulnerabilità del cliente, il
terapeuta deve aggrapparsi alla conoscenza delle altre possibilità del cliente e deve proporle ad alta voce, anche se il cliente a volte non è in grado di vederle. Così, il terapeuta
potrebbe dire: «Il problema è trovare il valore in te quando ti senti scartato e solo».
Oppure ancora: «Il dilemma è come puoi trovare la tua strada quando ti trovi in questo
terribile stato di abbandono e come io posso aiutarti a fare questo». I clienti potrebbero insistere nel dire che loro sono così e che non esiste alcuna altra realtà. A questo
punto il terapeuta potrebbe affermare: «So che questa parte di esperienza è molto forte
per te e che quando sei in questo stato sembra che sia vero e che tutto il resto sia una
finzione». Invece che mostrare disaccordo, il terapeuta riconosce l’emozione ma lascia
aperta la possibilità che ci siano altre possibilità. Il terapeuta, quindi, deve aggrapparsi
alla possibilità di cambiamento anche quando il cliente non vi riesce.
Questi momenti, in cui il cliente si sente bloccato e arreso di fronte alle circostanze, sono momenti reali esistenziali in cui ci si trova ad affrontare un’impasse. In queste
situazioni è importante mettere in discussione la parte disadattiva del cliente e supportare la parte sana. È a questo punto che è cruciale che il terapeuta veda il fondamento
della persona che è orientato al progresso (le possibilità della persona). In questa occasione è importante il punto di vista di Buber (1958) secondo cui nella relazione “IoTu” si vede la possibilità negli altri che aiuta questa possibilità a realizzarsi. Il terapeuta
ha anche bisogno di rispondere in questo modo per stabilire obiettivi conseguibili per
i clienti all’interno del loro raggio motivazionale. L’obiettivo è scalzare il processo di
organizzazione del sé che non può essere addestrato direttamente al cambiamento, in
modo che possa prendere una nuova traiettoria. Questo non si fa con l’input di informazioni esplicite per cercare di modificare il contenuto delle elaborazioni del cliente,
ma promuovendo determinati elementi affettivi fino a che non si verifichi una riorganizzazione ed emerga una modalità di elaborazione maggiormente centrata sull’aspetto
affettivo. Il terapeuta, così, si focalizza su alcuni elementi di esperienza per amplificarli
o per alludere ad altre possibilità, ogni volta coinvolgendo i clienti nel compito di individuare le proprie forze e risorse mentre si trovano nello stato disadattivo. In questa
interazione, è importante il valore che il terapeuta dà alle possibilità interiori fondamentali del cliente. Il terapeuta dà per scontato che ci sia una volontà di sopravvivere e
lottare. Il terapeuta ha una fiducia incondizionata in quello che è il nucleo interiore del
cliente (Lietaer, 1993). Il problema non è se la risorsa ci sia o meno, ma piuttosto come
promuovere le nuove esperienze che consentiranno di accedervi. Il terapeuta non cerca
di dimostrare ai clienti che le loro convinzioni non sono vere, o fornire un’insight sulle
origini del loro problema, ma piuttosto lavora per accedere ad un’esperienza emotiva
alternativa. Questo si deve fare mentre il cliente prova l’emozione disadattiva, in modo
che non si tratti di una discussione concettuale, ma più di un’esperienza esistenziale.
288
La trasformazione: costruire alternative
I compiti a casa per promuovere la trasformazione
I compiti a casa vengono utilizzati nella EFT soprattutto per promuovere la consapevolezza emotiva, la regolazione e la trasformazione delle emozioni (Greenberg &
Warwar, in stampa). Lo scopo principale dei compiti a casa nella terapia esperienziale,
è consolidare e rinforzare questi cambiamenti intra-seduta attraverso l’esercizio fuori
seduta. I compiti a casa possono essere dati per accrescere la consapevolezza di qualcosa
appena scoperto o per promuovere esercizi di regolazione o di trasformazione verificatesi in terapia. Quindi vengono dati come strumenti chiave per esercitare e consolidare il cambiamento (Goldfried & Davison, 1994). I compiti a casa nella EFT non
sono standardizzati e consuetudinari, ma vengono creati in risposta a una situazione.
Spesso si adattano specificamente a quel cliente e a quelle circostanze e sono ideati per
agire nella zona di sviluppo prossimale del cliente (Vygotsky, 1986), qualcosa che non è
troppo avanti ma che può, invece, promuovere un passo ulteriore. I compiti vengono
anche dati quando il cliente è nella condizione di poter apprendere. La cosa più importante è che i suggerimenti dei compiti devono adattarsi alla situazione che emerge
nella terapia.
Per esempio, Anna aveva riferito nella seduta di sentirsi molto a disagio nelle situazioni sociali. Si lamentava di sentirsi sola ed isolata e desiderava sentirsi più a proprio
agio nelle interazioni sociali, ma il disagio e l’ansia la tenevano lontana dalle situazioni
sociali e rifiutava molti inviti dagli amici. Terapeuta e cliente avevano esplorato questo
problema nella seduta utilizzando il dialogo fra le due sedie. Anna era rimasta sorpresa
di scoprire che era la sua voce critica interiore che la faceva sentire non all’altezza, e
aveva riconosciuto che era questo a tenerla isolata. Il compito sulla consapevolezza serviva per portarla a prestare attenzione alle situazioni sociali e a prendere consapevolezza
delle critiche che la facevano sentire una nullità, scriverle e consentire a se stessa di provare l’impatto di queste critiche. Il compito di cambiamento, costituito dal chiederle
di esercitarsi ad opporsi a questa voce e mostrare disaccordo con la critica, potrebbe
essere un compito utile nelle fasi terminali del processo terapeutico dopo che v’è riuscita all’interno della seduta, ma questa assegnazione non rientra nella sua attuale zona
di sviluppo prossimale.
I compiti, pertanto, devono essere altamente sintonizzati con lo stato del cliente e
con le sue possibilità. I compiti che hanno lo scopo di dimostrare che la disperazione
non è realistica, mentre essi si sentono disperati, non daranno la conferma necessaria.
È solo quando un cliente ha già avuto l’esperienza dentro la seduta di una certa resilienza o ha avuto accesso ad alcuni punti di forza che i compiti a casa possono essere
utilizzati per esercitare e rafforzare una nuova risposta più piena di speranza. Allora, e
solo allora, il terapeuta potrebbe dire: «Nota durante la settimana cosa accade quando
provi disperazione e vedi se riesci a mettere in pratica questo nuovo modo di vedere le
cose dicendo “So di avere la forza. So di valere”». Oppure potrebbe chiedere al cliente
di scrivere su dei fogli cinque punti di forza e portarli in seduta la settimana successiva. I compiti a casa, quindi, devono restare nella zona di sviluppo prossimale e devono
prevedere esercizi che sono già stati sperimentati in seduta. I terapeuti, inoltre, devono
essere sintonizzati su quando assegnare ai clienti compiti che potrebbero essere eccessivi e correggersi, assumendosi la responsabilità del fallimento dei clienti, nel riuscire a
portarli a termine.
289
La terapia emotion-focused per la depressione
La consapevolezza dei processi interiori che interrompono o portano all’evitamento di un’emozione è un obiettivo importante dei compiti a casa. L’obiettivo è che i
clienti arrivino a sperimentare e a comprendere in che modo impediscono a se stessi
di vivere emozioni potenzialmente adattive. I clienti devono comprendere come reprimono le emozioni, in modo che l’interruzione non sia più automatica e che possano
riacquisire una parte di controllo o di scelta in relazione alle emozioni. Dopo aver
potenziato la consapevolezza dei clienti del processo d’interruzione nella seduta, per
esempio il ricacciare indietro le lacrime o deviare un sentimento, il terapeuta, allora,
potrebbe portarli a drammatizzare nella seduta come riescono a farlo. Una volta che
l’interruzione viene elaborata nella seduta, allora i compiti a casa possono essere utili sia
per potenziare la consapevolezza, sia per esercitarsi sui processi d’interruzione al di fuori della seduta. I terapeuti possono chiedere ai clienti di cercare di essere consapevoli,
durante la settimana, su quando e come impediscono a se stessi di sentire e di mettere
in atto l’interruzione volontariamente.
I compiti a casa possono anche essere assegnati chiedendo ai clienti di documentare le forze e le risorse discusse nella seduta. I clienti possono creare una lista su un foglio
che devono portare sempre con sé. Inoltre, si può chiedere loro di aggiungere a questa
lista altri punti di forza mano a mano che vengono sperimentati nel corso della settimana. Questa assegnazione non è un esercizio concettuale; piuttosto i clienti devono
elencare i propri punti di forza mano a mano che li sperimentano.
290
CAPITOLO 14
LA RIFLESSIONE E LA GENERAZIONE DI NUOVI
SIGNIFICATI
L’ultima fase del lavoro terapeutico consiste nel consolidamento di nuovi significati e nella ricostruzione di narrazioni che confermano o modificano le identità dei clienti
e le visioni che hanno di sé e delle proprie esperienze. Un obiettivo primario della terapia emotion-focused (EFT) è la sintesi dialettica di ragione ed emozione, o l’integrazione
di mente e cuore. Le tecniche focalizzate sull’emozione aiutano i clienti a comprendere,
simbolizzare ed integrare le informazioni che provengono dai sistemi razionali ed esperienziali (Epstein, 1994; Greenberg, Rice & Elliott, 1993). Mano a mano che i clienti
diventano consapevoli delle proprie emozioni ed iniziano a mettere in parole le proprie
storie in presenza di un altro, hanno l’opportunità di riflettere sulla propria esperienza
in modo nuovo. Nel corso di questo processo, si verificano dei cambiamenti nella conoscenza esperienziale dei clienti, fra cui l’esperienza sensoriale immediata, l’esperienza
corporea e il senso olistico di sé nel mondo.
Quando i clienti riflettono sulla propria esperienza, fanno collegamenti fra elementi differenti delle proprie vite, iniziano a porre spiegazioni alternative a queste
esperienze e rivedono i punti di vista che hanno su di sé e sulle loro storie, sviluppando
nuove narrative. Questo processo è spesso accompagnato da un senso di maggiore
connessione e padronanza della propria vita. L’obiettivo da raggiungere con i clienti
depressi, è quello di aiutarli a sviluppare un nuovo paio di lenti con cui vedere se stessi,
il passato ed il futuro in maniera più positiva e sulla base di un rinnovato senso del
valore personale e sull’energia, al fine di agire in modi che promuovano il sé, invece che
negarlo. Ricostruendo le visioni di sé, i clienti possono sviluppare narrative che enfatizzano la propria resilienza e un nuovo senso di capacità di agire attivamente.
La rappresentazione simbolica e l’esame riflessivo si promuovono e si facilitano
l’uno con l’altro mano a mano che generano e trasformano l’esperienza interiore soggettiva e le azioni. La capacità delle persone di simbolizzare il proprio ambiente è uno
degli strumenti primari che utilizzano per controllarlo e per sviluppare strategie d’azione (Dewey, 1933; Luria, 1976; C. Taylor, 1990; Vygotsky, 1962). Numerosi autori
hanno riconosciuto che è la capacità delle persone di simbolizzare la propria esperienza
291
La terapia emotion-focused per la depressione
interiore, di conoscerla e comprenderla meglio che ne accresce le capacità di auto-regolazione e di controllo (Harre, 1984; Orlinsky & Howard, 1986; Rennie, 1992). Nella
psicoterapia, la capacità di rappresentare simbolicamente l’esperienza viene sfruttata
per acquisire conoscenza di sé e auto-regolazione, in modo da formulare strategie più
soddisfacenti di azione e di vita. Nel processo di rappresentazione simbolica dell’esperienza interna ed esterna attraverso le parole, i clienti la oggettivizzano e la rendono
percepibile. Così, consciamente, arrivano a conoscere e comprendere la propria esperienza in modi non disponibili fintanto che questa era rimasta inespressa.
La rappresentazione simbolica dell’esperienza deriva da una sintesi dialettica fra
linguaggio e vissuto. Così, l’esperienza cosciente viene costituita dal linguaggio, in modo che possa essere creata e trasformata mano a mano che viene rappresentata in parole (Dewey, 1933; Greenberg & Pascual-Leone, 1995; C. taylor, 1990). Dobbiamo
sottolineare due punti. Primo: l’esperienza interiore è rudimentale e indefinita; è solo
nella sua espressione, per esempio, sotto forma di parole, gioco, rituali o varie forme
d’arte, che diventa consciamente nota e compresa. Secondo: il modo in cui l’esperienza
viene rappresentata, può trasformarla e alterarla. Per esempio, c’è una grande differenza
fra descrivere l’esperienza di “essere visti”, in termini di “rivelarsi” o “esporsi” all’altro.
Quest’ultimo connota un senso di minaccia che il primo invece non suggerisce. Come
risultato, le emozioni e le tendenze all’azione implicite in un’esperienza e la sua valutazione, saranno molto differenti a seconda di come vengono descritte.
Questo non è per suggerire che il significato dell’esperienza delle persone e il modo in cui questi la rappresentano è del tutto arbitraria. Piuttosto, è una costruzione
dialettica fra l’esperienza emotiva preconscia che è stata portata alla consapevolezza ed
il linguaggio o altri simboli che vengono utilizzati per rappresentarla. La costruzione
dialettica dell’esperienza in simboli linguistici è guidata da una sensazione corporea
implicita, anche se rudimentale, e dalla scelta di parole che sono l’adattamento migliore
per rappresentare l’esperienza e darle una forma più piena. La mediazione e l’espressione dell’esperienza soggettiva interiore nel linguaggio accresce il senso di sé dei clienti
in modo che possano meglio comprendere il proprio comportamento, le emozioni, i
bisogni e i valori (Watson & Greenberg; 1996).
La EFT enfatizza l’espressione verbale e non verbale per assistere i clienti nel rappresentare la propria esperienza interiore. Nel processo di rappresentazione dell’esperienza interiore, i clienti hanno l’opportunità di arrivare a comprendere come costruiscono gli eventi e di identificare pattern di risposta o stili personali di comportamento
che hanno sviluppato da esperienze passate emotivamente significative (Epstein, 1994;
Greenberg et al., 1993; Watson, 1992). Le emozioni e le azioni sono automatiche,
processi pre-riflessivi che, sul piano evolutivo, precedono e si verificano indipendentemente dalla rappresentazione e riflessione (Luria, 1976; Pascual-Leone, 1991; C.
Taylor, 1990; Vygotsky, 1962). Come abbiamo descritto nel capitolo 2, le persone
comprendono, valutano e rispondono ad un’informazione sull’ambiente ad un livello
preconscio. Una difficoltà intrinseca agli esseri umani nel conoscere e comprendere la
propria esperienza soggettiva interiore e le interazioni sociali, è il fatto che si tratti di
eventi in costante fluire e meno chiaramente percepibili rispetto all’ambiente fisico.
L’esperienza soggettiva delle persone e le interazioni sociali sono potenzialmente meno
disponibili alla consapevolezza cosciente, alla simbolizzazione e all’indagine riflessiva
292
La riflessione e la generazione di nuovi significati
(Watson & Greenberg, 1996). Come risultato, le percezioni che le persone hanno della
propria esperienza soggettiva interiore sono soggette a distorsioni, fraintendimenti ed
interpretazioni erronee che potrebbero essere contrarie a quelle di altri che possiedono
un punto di vista alternativo sugli eventi.
I terapeuti aiutano i clienti a prendere consapevolezza e a dare un nome all’esperienza soggettiva interiore per generare nuovi significati di modo che possano riflettere sull’esperienza interiore appena simbolizzata, e sui bisogni impliciti e le tendenze
all’azione per riuscire ad avere un maggiore controllo sul comportamento e l’ambiente.
Una volta che i clienti hanno rappresentato l’esperienza interiore, il suo significato e
tendenze all’azione implicite possono essere più chiaramente compresi. Il significato
delle esperienze e le tendenze all’azione, possono essere in seguito soggette all’analisi
riflessiva. L’analisi riflessiva implica che i clienti indaghino consciamente, mettano in
discussione e giudichino la propria esperienza e comportamenti in termini di bisogni
attuali, obiettivi, valori e contesto sociale. La rappresentazione simbolica e l’analisi
riflessiva dell’esperienza generano attimi di insight che possono fornire comprensione
sugli antecedenti e le conseguenze delle emozioni e dei comportamenti dei clienti.
Dopo che le emozioni sono state rappresentate su un piano simbolico e sono state
soggette alla riflessione, i clienti sono nella posizione di esercitare un maggior controllo
cosciente sulle emozioni e sulle azioni in modo da possederle invece che esserne posseduti. Così, i clienti hanno un ambiente sicuro e vengono incoraggiati a focalizzare
la propria attenzione sulle esperienze interne e interpersonali per simbolizzarle nel linguaggio e sottoporle ad un’indagine riflessiva allo scopo di risolvere gli specifici problemi cognitivo-affettivi che sono la causa del disagio (Greenberg et al., 1993; Greenberg
& Pascual-Leone, 1995; J. Pascual-Leone, 1991; Watson, 1992; Watson & Greenberg,
1996; Watson & Rennie, 1994).
L’espressione emotiva facilita la riflessione, la costruzione di narrative e la creazione
di significato. Mano a mano che i clienti simbolizzano le proprie emozioni e riescono a
spiegare se stessi e il mondo, sviluppano narrative che possono potenzialmente consentire loro di vedere gli eventi in modo differente. Le narrative forniscono una struttura
agli eventi della vita delle persone mano a mano che questi gli danno una sequenza
temporale e coordinano le azioni, persone ed eventi, dando prospettiva e significato alle
esperienze delle persone. È attraverso le storie che le persone raccontano che arrivano
a comprendere e ad incorporare le esperienze come parte delle proprie storie di vita.
La riflessione sulle narrative consente loro di valutarle e di sviluppare delle alternative.
Pennebaker e Segal (1999) hanno mostrato che parlare e scrivere di esperienze emotivamente traumatiche, causa immediatamente una riduzione nella conduttanza cutanea
e nella pressione sanguigna, migliorando la salute a lungo-termine ed il funzionamento
del sistema immunitario. Gli autori hanno suggerito che scrivere sembra forzare le persone ad osservare da lontano e riorganizzare i propri pensieri ed emozioni in termini
una storia coerente in cui le emozioni, i pensieri e le azioni vengono organizzate in una
cornice narrativa con un chiaro inizio, un contenuto e una fine. I soggetti commentavano che il processo di scrittura li aveva portati a pensare alle cose e ad osservare se stessi
dall’esterno.
Il processo di riflessione sull’esperienza che porta alla creazione di nuovi significati, va avanti per tutto il corso del trattamento e continua oltre il singolo episodio
293
La terapia emotion-focused per la depressione
emotivamente rilevante che si verifica in terapia. Tuttavia, è spesso nel corso di episodi
di arousal emotivo che i clienti generano delle metafore fondamentali che catturano la
complessità e le sfumature implicite della loro esperienza, dandogli una nuova forma
che consente di avere un’intuizione sul comportamento e sull’impatto degli eventi.
Queste metafore, in seguito, possono essere intrecciate nel contesto terapeutico per
fungere da pietre miliari e da segnali di cambiamento. All’inizio del trattamento, nel
tentativo di arrivare a comprendere del tutto la profondità del proprio dolore e condividerla con i terapeuti, i clienti potrebbero descrivere il proprio senso di disperazione. Per
esempio, Miriam era arrivata in terapia cercando aiuto per la sua depressione. La madre
era morta quando lei era ancora giovane ed era stata cresciuta dalla sorella più grande,
che di recente era morta di cancro. Nell’ultimo anno la cliente era stata licenziata dal
lavoro, non riusciva a concentrarsi e stava vivendo delle difficoltà con il suo partner con
cui stava da cinque anni. Quando era arrivata in terapia, Miriam aveva descritto il proprio senso di sé come «Qualcuno che sta seduto nelle ceneri di una città bombardata, in
cui niente può più crescere». Con il procedere della terapia, si era consentita di soffrire
per la perdita della sorella e per le perdite infantili, parlava di piantare semi sia a livello
metaforico che nella vita reale, e, alla fine della terapia, aveva descritto se stessa come
qualcuno che osservava il mondo che fioriva e tutto che cresceva intorno a lei.
Il concentrato dell’esperienza in metafora, facilita il processo, non solo di simbolizzazione, ma anche di riflessione; può portare a nuove intuizioni e modalità alternative di
vedere l’esperienza. Le metafore esperienziali come “trovarsi da soli in un campo aperto”,
“trovarsi in una gabbia di vetro”, “essere in mare aperto in una barca senza timone”, oppure “essere gettati in un mucchio di immondizia”, non solo simbolizzano le difficoltà,
ma contengono anche le soluzioni e forniscono un senso su ciò di cui il cliente ha bisogno ed indicazioni su come potrebbero soddisfare questi bisogni. Al contrario, le metafore positive come “sorgere dalla disperazione”, oppure “essere in grado di restare ben
dritti in piedi”, oppure “vedere di nuovo tutto chiaro”, catturano l’emergere, lo sviluppo
e la generazione di nuovi significati e soluzioni. Mano a mano che i clienti guadagnano
un’insight nelle proprie emozioni e iniziano a sviluppare punti di vista alternativi su se
stessi, le esperienze vengono riorganizzate in modo che i clienti riescono a simbolizzare
e dare un nuovo ordine all’esperienza emotiva in termini di un nuovo e più resiliente
senso del sé. Quando questo si verifica, il sé non viene più giudicato un fallimento, ma
piuttosto capace di riuscire di fronte agli ostacoli e di lottare anche quando si deve confrontare con esperienze che prima venivano considerate minacciose per la sopravvivenza
(per es., separazione dagli oggetti dell’attaccamento). Così, la visione che l’individuo ha
di sé, del mondo e delle proprie esperienze, viene completamente revisionata e ricostruita mano a mano che ci si riflette nel corso della terapia.
Il processo di riflessione
Una volta che i clienti hanno simbolizzato la propria esperienza e che hanno fatto
chiarezza sugli stili personali di risposta, possono sottoporli ad un’analisi riflessiva. La
sintesi dialettica dell’esperienza simbolizzata e dell’analisi riflessiva, possono generare
294
La riflessione e la generazione di nuovi significati
la creazione di nuovi significati mano a mano che gli eventi acquisiscono un nuovo
significato e che si sviluppano nuovi corsi d’azione. La riflessività, definita come un
auto-esame radicale (C. taylor, 1990) non è semplicemente un esercizio intellettuale,
ma piuttosto rappresenta un impegno appassionato del sé nel tentativo di arrivare a
conoscersi e a realizzarsi più pienamente e completamente.
Dopo che i clienti hanno espresso e chiaramente verbalizzato le proprie emozioni
e sono consapevoli delle tendenze all’azione implicite, sono nella posizione di riflettere
su, e di valutare, le azioni e le esperienze. La riflessività dei clienti è un riflesso della
capacità di agire strumentale e morale, oltre che della capacità di pensare ad emozioni
e azioni nelle transazioni momento-per-momento nel corso della terapia. La capacità
di agire strumentale si riferisce alla capacità dei clienti di essere orientati all’obiettivo,
indipendenti e autonomi nelle azioni, mentre la capacità di agire morale si riferisce alla
capacità di valutare il significato delle cose per se stessi, in termini di ordini e valori
di valore superiore (C. Taylor, 1990). Il significato o l’importanza che le cose hanno
per i clienti vengono rivelate dalle emozioni. Una volta che queste sono state descritte
e portate alla consapevolezza cosciente, i clienti possono iniziare il processo di costruzione di nuovi significati mano a mano che riflettono e che rivalutano la significatività
degli eventi alla luce dei bisogni, degli obiettivi, dei valori e dei contesti sociali attuali.
Così, la dimensione strumentale e morale della capacità di agire dei clienti, vengono
enfatizzate in una prospettiva costruttivista dialettica della terapia.
Questi due aspetti della capacità di agire dei clienti, possono essere meglio compresi
se si fa una distinzione fra giudizi di primo e secondo ordine (C. Taylor, 1990). I giudizi
di primo ordine sono analoghi all’esperienza organismica: sono emozioni automatiche
che l’individuo prova ed esprime. Al contrario, i giudizi di secondo ordine sono il prodotto dell’analisi e della valutazione riflessiva di queste risposte iniziali. La sintesi dialettica
dell’informazione che proviene dai giudizi di primo e secondo ordine è un processo importante nella EFT che ha lo scopo di facilitare un maggiore benessere e una maggiore
comprensione di sé e degli altri. Se le persone agiscono solo sulla base dei giudizi di primo ordine, il loro comportamento resta automatico e al di fuori del controllo cosciente.
Se agiscono solo sulla base dei giudizi di secondo ordine, allora le azioni potrebbero
diventare semplici riflessi dei bisogni, dei desideri e degli obiettivi più personali. Questo
potrebbe essere alla radice dell’osservazione di Rogers (1959) secondo cui l’accedere ai
valori nel corso della terapia non era un percorso produttivo. Tuttavia, se i clienti rappresentano adeguatamente la propria esperienza interiore e i valori di secondo ordine, sono
nella posizione di negoziare un compromesso soddisfacente fra i due.
Oltre a valutare la propria esperienza in termini di rilevanza e significato personale, i
clienti giudicano anche l’esperienza attraverso abilità cognitive che si rendono necessarie
per risolvere i problemi e per mettere in atto scelte creative in altri ambiti. Sono state
identificate tre importanti attività come componenti essenziali dell’auto-esame riflessivo
dei clienti nel corso della terapia (Watson & Rennie, 1994). Primo: i clienti devono
sondare la propria esperienza interiore (emozioni, bisogni, valori e percezioni). Secondo:
i clienti devono esaminare e spiegare il proprio comportamento e le emozioni mano a
mano che le rappresentano; iniziano a vedere collegamenti fra il comportamento e gli
eventi esterni e i contesti sociali. Terzo: i clienti possono giudicare il proprio comportamento ed esperienza dopo che hanno compreso gli antecedenti e le conseguenze in
295
La terapia emotion-focused per la depressione
termini di bontà dell’adattamento che generano, ed implicazioni strategiche. Per valutare adeguatamente la propria esperienza una volta che questa è stata adeguatamente
rappresentata, i clienti devono verbalizzare desideri, bisogni, obiettivi e valori.
Se i clienti devono sentire e agire diversamente, devono acquisire un senso di controllo su di sé e sugli eventi della vita. Un importante sotto-prodotto dell’analisi, è che
questa fornisce un senso di controllo che consente di rivelare la relazione fra vari aspetti dell’esperienza (Dewey, 1933). Pensare a delle alternative ed esaminare le possibili
implicazioni e conseguenze, consente alle persone la libertà di una scelta consapevole.
L’indagine inizia spesso in seguito a discordanza, conflitto, perplessità e dubbio. Dewey
(1933) considerava la perplessità ed il dubbio come la forza motivante che spinge le
persone a cercare o a perseguire soluzioni per risolvere problemi e ambiguità e per individuare strategie con cui affrontarli. Inoltre, la natura del problema determina la sua
soluzione, che a sua volta determina il processo di pensiero (R.J. Bernstein, 1971).
Le emozioni negative in particolare, mettono le persone in allerta in relazione
agli aspetti problematici dell’esperienza che richiedono attenzione e sono spesso questi aspetti che i clienti portano in terapia. In terapia i clienti si fanno coinvolgere in
una ricerca motivata dall’arousal di emozioni spiacevoli e dal desiderio di conoscere e
comprendere il significato della propria esperienza per generare nuovi significati. Nella
EFT le domande che i clienti pongono sulla propria esperienza vengono definite indicatori. I terapeuti utilizzano gli indicatori per individuare gli aspetti dell’esperienza dei
clienti su cui potrebbero essere pronti a lavorare. Le domande che i clienti formulano
in relazione alle proprie esperienze aiutano i terapeuti a stabilire le informazioni a cui
i clienti hanno bisogno di accedere per riuscire a facilitare la risoluzione di aspetti problematici nella terapia. Per esempio, con le reazioni problematiche segnalate da reazioni comportamentali o emotive che i clienti considerano strane o per certi versi estreme,
i terapeuti promuovono il ricordo e la rappresentazione simbolizzata della situazione
problematica, mentre con una questione irrisolta segnalata dalla presenza di emozioni
negative durevoli nei confronti di un altro significativo, i terapeuti promuovo il ricordo
e la rappresentazione simbolica dell’altro per facilitare l’espressione emotiva (Elliott,
Watson, Goldman & Greenberg, 2004; Greenberg et al., 1993).
Per esempio, una cliente che si è sentita umiliata e sconfitta nel proprio matrimonio, aveva iniziato a rivalutare quanto potere avesse il marito e a mettere in dubbio
che potesse veramente farle del male. Dopo alcune riflessioni, si era resa conto che
era stata lei a vederlo troppo potente e che invece era probabilmente lui a dipendere
maggiormente da lei di quanto mai avesse capito. Inoltre, era arrivata alla decisione
che desiderava esprimere le proprie emozioni nella relazione e dirgli quando adottava
comportamenti che la ferivano. Invece di consentire al marito di dettare le regole della
casa, aveva iniziato ad opporsi e ad affermare le proprie priorità.
Riflettere sulle rappresentazioni dell’esperienza
Un aspetto importante della EFT per la depressione, è aiutare i clienti a diventare più riflessivi in relazione alle esperienze interiori in modo da poterle simbolizzare
296
La riflessione e la generazione di nuovi significati
ed esaminare per trovare alternative più soddisfacenti. L’attività tipica della riflessione
include la ricerca, l’analisi e la valutazione. La ricerca è l’azione attraverso cui viene
sondata l’esperienza ed interrogata al fine di acquisire una maggiore comprensione ed
accedere a quante più informazioni rilevanti possibili per sviluppare una nuova prospettiva ed acquisire nuove intuizioni in relazione ad un’area problematica specifica.
Una volta che i clienti hanno esplorato e adeguatamente rappresentato una situazione
o le proprie emozioni in relazione ad essa, possono esaminarla e valutare se la loro
prospettiva era adeguata o se sono possibili spiegazioni alternative, oppure possono
giudicare se vi sono altri modi di agire e di sentire che potrebbero essere più soddisfacenti e coerenti con i propri obiettivi. La riflessione consente alle persone di prendere le
distanze dalla propria esperienza e di pensare a ciò che sentono, in relazione a bisogni,
valori, aspettative, obiettivi o problematiche personali. La differenziazione riflessiva del
sé e dell’altro consente ai clienti di acquisire differenti vantaggi sui problemi che si trovano ad affrontare e a vedere prospettive e soluzioni alternative che poi possono essere
incorporate nelle storie di vita.
Molti clienti depressi sembrano aver perso contatto con la capacità di esplorare
attivamente le proprie emozioni e situazioni per riuscire a costruire delle alternative; si
sentono impotenti, sconfitti, ed incapaci di trovare soluzioni ai problemi; hanno perso
il senso della prospettiva e tendono a vedere le cose o bianche o nere; la capacità di
riflettere su se stessi e sulla propria esperienza viene compromessa, e hanno difficoltà a
fare piani e a mantenere una prospettiva equilibrata; tendono a ruminare, hanno poca
energia, non hanno focus e non sanno cosa fare. Pertanto, il senso di capacità di azione è significativamente compromesso. Un obiettivo importante è quello di aiutarli ad
acquisire un’insight sui processi interiori in modo che possano iniziare ad individuare
modalità alternative di risposta o ad interpretare la propria esperienza in maniera più
efficace. Come parte di questo processo, i clienti devono differenziare le reazioni interiori per riorganizzare le sfumature e il flusso delle emozioni che sono stati inghiottiti
dal buco nero della depressione.
Roberta era arrivata in terapia perchè si sentiva depressa. Nel corso della terapia,
era arrivata a comprendere che gran parte della propria depressione era il risultato
dell’aver messo a tacere se stessa e l’espressione dei propri bisogni rispetto agli altri. Un
giorno era arrivata in terapia particolarmente giù. Aveva appena fatto ritorno dal fare
visita ad una buona amica che si era trasferita da anni e che non vedeva da un po’. Aveva
riferito che l’incontro era stato bellissimo ma che poi si era sentita molto lontana dal
compagno dopo essere ritornata e si sentiva irritabile e di cattivo umore. Si chiedeva
se c’era qualcosa che non andava nella relazione. Il terapeuta ha iniziato ad esplorare
il sentimento di tristezza. Mano a mano che parlava, si era resa conto di essersi sentita
molto triste nel lasciare l’amica, ma che aveva cercato di soffocare questa sensazione per
non pesare sul compagno e per non rovinare la loro breve vacanza. Mentre esplorava le
emozioni, aveva ricordato che lei e l’amica si erano separate dai rispettivi mariti nello
stesso momento e che si erano aiutate l’una con l’altra nel corso di un periodo molto
difficile. Avevano condiviso una casa per un po’ di tempo e si erano aiutate con i figli.
Lo spostamento dell’amica aveva lasciato un grande vuoto nella sua vita, e rivederla di
nuovo aveva fatto rievocare i ricordi dolorosi associati al divorzio.
Lentamente era riuscita a piangere e ad esprimere il dolore che il lasciare l’amica
297
La terapia emotion-focused per la depressione
aveva evocato in lei. Dopo essersi concessa di esprimere il dolore per la perdita del contatto con l’amica e per gli altri cambiamenti che avevano seguito la separazione, aveva
provato grande sollievo. Mentre rifletteva sulla propria tristezza, si era resa conto che la
ragione per cui si era sentita così abbattuta nel corso della settimana, era perchè aveva
cercato di reprimere quelle emozioni. Si era anche resa conto che l’irritabilità ed il senso
di lontananza, non avevano nulla a che fare con il compagno o con quello che sentiva
per lui e la relazione, ma che piuttosto erano il risultato di parte del dolore che ancora
si portava dietro in relazione alla separazione coniugale. Dopo aver espresso appieno le
emozioni ed essersi rappresentata la propria situazione, le emozioni di tristezza erano
diminuite ed era riuscita ad acquisire una nuova prospettiva sugli eventi delle ultime
settimane.
La riflessione al servizio della rappresentazione
Due processi importanti contribuiscono alla creazione di nuovi significati nella
EFT: il dare un nome e l’esprimere l’esperienza emotiva al fine di acquisire insight e
poi riflettere su queste emozioni, sì da trovare soluzioni ai problemi e riesaminare i
comportamenti e i sentimenti stessi per trovare nuove modalità di agire. Per riuscire
a riflettere con successo sulla propria esperienza, i clienti devono prima formulare un
problema o un’area di indagine. I terapeuti facilitano l’indagine dei clienti sulla propria
esperienza in una serie di modi differenti. Per facilitare il compito di riflessione, aiutano
i clienti a focalizzarsi sull’esperienza interiore e sulle reazioni affettive e ad esaminare ed
esplorare l’origine e le implicazioni personali di emozioni e comportamenti.
Riflettere sull’esperienza interiore
Una delle modalità importanti con cui i terapeuti facilitano e incoraggiano l’elaborazione riflessiva dei clienti è sintetizzando e riflettendo, su un piano esplorativo, le
descrizioni che questi fanno dell’esperienza interiore e del senso del mondo. I terapeuti
lavorano per portare i clienti ad accedere e a riflettere sull’esperienza interiore. In primo
luogo, i terapeuti insegnano ai clienti a focalizzarsi e a fare attenzione all’esperienza interiore e a rappresentarla attraverso le parole. Mentre lo fanno, li incoraggiano a trovare
l’adattamento migliore e ad interrogare la propria esperienza per assicurarsi che le parole che stanno utilizzando per descriverla ne catturino l’essenza e forniscano la migliore
rappresentazione del loro mondo interiore. Il processo del dare un nome alle emozioni,
genera nuovi significati mano a mano che i clienti arrivano a vedere l’importanza che
un evento ha avuto per loro. Mano a mano che iniziano a percepire la significatività
degli eventi, riescono a vedere se stessi e le situazioni in modo diverso. Per esempio,
Irene aveva iniziato di recente a frequentare un musicista ed era arrivata in trattamento
perché aveva una depressione fortemente invalidante. Il fidanzato lasciava tutte le sue
casse nel suo appartamento dopo i concerti. Il lavoro lo portava spesso lontano e Irene
faceva da babysitter agli strumenti. All’inizio sembrava non le importasse, ma in segui298
La riflessione e la generazione di nuovi significati
to aveva iniziato a sentirsi irritabile e depressa. Quando aveva iniziato ad esplorare le
emozioni con l’aiuto del terapeuta, si era resa conto che si sentiva esclusa da tutte quelle
strumentazioni presenti nel suo piccolo appartamento. Provava risentimento perché
non sentiva di aver concesso il proprio assenso alla condivisione degli spazi, semplicemente la situazione si era evoluta così nel tempo. Una volta che comprese le basi
della depressione, era riuscita a pensare a delle alternative che le avrebbero concesso di
pretendere i propri spazi senza mettere in pericolo la relazione.
Mano a mano che i clienti rappresentano la propria esperienza parlando ad alta voce o attraverso la scrittura, riescono a valutare l’accuratezza e le implicazioni di
quello che stanno dicendo. Questa valutazione è il riflesso dell’integrazione fra aspetti
cognitivi e affettivi e facilita la regolazione emotiva. L’obiettivo non è solo quello di incoraggiare l’arousal e l’espressione dell’emozione, ma anche, una volta fatto, sottoporla
all’interpretazione e all’analisi per arrivare a delle intuizioni relative a comportamenti,
sentimenti e situazioni. I terapeuti offrono intenzionalmente le proprie riflessioni e
osservazioni in maniera interlocutoria, indagatrice, per facilitare l’analisi dei clienti.
Lo stile esplorativo delle risposte esperienziali, non solo facilita una relazione paritaria,
ma viene anche utilizzato per stimolare la riflessività dei clienti. Ogni volta si chiede
ai clienti di verificare se la loro depressione effettivamente riflette la loro esperienza
interiore. Gli si chiede di valutare se la narrativa che stanno costruendo catturi appieno
la complessità della loro esperienza. Le riflessioni interlocutorie aiutano a catalizzare le
riflessioni dei clienti sulla loro esperienza mano a mano che ne valutano l’adattabilità.
Questo li porta a chiedersi se l’esperienza di sé – per esempio sentirsi molto soli, inutili
o senza alcun supporto – sia accurata o completa.
Il modo in cui il terapeuta promuove un riesame dell’esperienza con la EFT è in
contrasto con quello di altri approcci terapeutici, che utilizzano le domande socratiche o le prove di realtà per mettere in discussione le risposte emotive e le convinzioni
fondamentali e portare i clienti a rivalutare aspetti della propria esperienza. I terapeuti
che utilizzano la EFT riflettono quanto detto dai clienti come fossero uno specchio
della loro esperienza in modo che questi possano esaminarla e valutarla. Rispondendo
in maniera esploratoria, i terapeuti chiedono implicitamente ai clienti di verificare se
le loro descrizioni e il nome che danno agli eventi siano quelli giusti. La natura interlocutoria e probabilistica delle risposte del terapeuta consente ai clienti di rallentare,
di modo che possano avere la possibilità di riflettere sull’esperienza e di vederla sotto
una nuova luce. L’obiettivo è spostare i clienti al di fuori di vortici di pensiero ripetitivo e incoraggiarli ad esplorare l’esperienza per vedere nuove prospettive o sviluppare
modalità nuove di pensiero. Spesso i terapeuti fungono da modello del processo di
ricerca ed esplorazione attraverso la tonalità della voce, che potrebbe essere più leggera, interlocutoria ed indagatoria. L’obiettivo è quello di dipanare le narrative ripetute
sempre allo stesso modo, in maniera da scoprire materiale nuovo ed incorporarlo in
esso.
La differenziazione e l’espressione delle emozioni in parole, porta i clienti a nuove
intuizioni su ciò di cui hanno bisogno e su come gli eventi li influenzano. Un compito
importante per i terapeuti è quello di aiutare i clienti a vedere come trattano se stessi e
cosa fanno che potrebbe contribuire alla loro depressione. Come abbiamo notato nel
capitolo 7, spesso i clienti depressi hanno interiorizzato comportamenti che potrebbero
299
La terapia emotion-focused per la depressione
essere auto-punitivi, duri e critici, oppure, in alternativa, potrebbero trascurare se stessi
e i loro bisogni. Così, per esempio, i terapeuti lavorano per rendere i clienti consapevoli
del fatto che sono autocritici o che si trascurano, in modo che questi possano riflettere
su quell’aspetto della loro esperienza. Una volta che i clienti hanno preso consapevolezza del proprio dialogo interiore e dei comportamenti negativi, possono poi pensare
a modalità alternative di risposta. Un ingrediente attivo nel processo di cambiamento
è di portare i clienti a riconoscere l’impatto emotivo dei loro comportamenti negativi e
ad esprimere i propri bisogni. Una volta consapevoli dei bisogni, possono riflettere sui
modi in cui possono soddisfarli e sviluppare comportamenti alternativi che siano più
di cura verso di sé e meno depressogeni.
Esaminare le origini e le implicazioni dell’esperienza
Un ingrediente attivo della EFT è portare i clienti a porsi delle domande o a definire un problema in relazione all’esperienza emotiva e ai comportamenti che possano
esplorare in maniera risoluta e su cui possano riflettere nella seduta. L’esplorazione del
problema potrebbe essere un’indagine sulle sue origini – per esempio: «Perché sono così
duro con me stesso?», oppure «Perché è così difficile per me esprimere i miei bisogni al
mio partner?». Il problema potrebbe anche essere definito come una proposizione che
il cliente in seguito esamina ed esplora per risolvere una problematica specifica o per
acquisire nuove intuizioni sulle modalità di comportamento. Per esempio: «Ho questa
abitudine di mettermi a tacere e questo mi pone dei problemi sul lavoro». In alternativa, un cliente potrebbe osservare: «Mi sono accorto che ero ancora più depresso dopo
essere uscito a cena con degli amici l’altra sera». Queste affermazioni aiutano clienti e
terapeuti a definire le aree di indagine che possono seguire nella seduta, per accrescere
la comprensione del funzionamento del cliente e per esplorare eventuali alternative.
L’esplorazione deve essere personale e profondamente riflessiva mentre i clienti cercano
di descrivere non solo le emozioni interiori, ma anche i valori fondamentali e le possibili ragioni o fattori che contribuiscono allo sviluppo del comportamento o di sentimenti
e percezioni su cui stanno indagando.
Per esempio, Erica aveva osservato che quando si trovava insieme ad altre persone
si reprimeva. Si era resa conto che facendo questo contribuiva alla propria depressione,
ma non riusciva a capire cosa innescasse questo comportamento. Il terapeuta ha utilizzato la rivelazione evocativa sistematica per aiutare Erica ad identificare cosa la portava
a chiudere le porte ai propri bisogni. Nel corso dell’esplorazione, era emerso che Erica
si preoccupava molto dell’eventualità di ferire gli altri. Dopo aver compreso questo,
aveva iniziato ad esplorare, o a mettere in discussione, come si era sviluppato questo
suo stile relazionale. Aveva iniziato a riflettere sulla propria infanzia e si era resa conto
che aveva sempre provato il bisogno di prendersi cura della madre. La madre, che aveva
confidato a Erica le difficoltà che aveva con il marito, sembrava molto fragile. Inoltre,
la minacciava continuamente di abbandono, lamentandosi di non riuscire a gestire la
responsabilità di quattro bambini.
Erica era arrivata a capire che aveva represso i propri bisogni e desideri per la madre per cercare di assicurarsi che non l’avrebbe abbandonata insieme ai fratelli e per
alleviare le sue difficoltà.
300
La riflessione e la generazione di nuovi significati
Facilitare la riflessione attraverso il lavoro con
le due sedie
I terapeuti spesso aiutano i clienti a sviluppare un focus di indagine osservando
come questi trattano se stessi. Si sintonizzano sui momenti in cui i clienti fanno autoaffermazioni autocritiche, controllanti e punitive. In alternativa, i clienti potrebbero
essere arrabbiati con se stessi o disprezzarsi. Quando questo accade, il terapeuta potrebbe gentilmente osservare ad alta voce che il cliente sembra arrabbiato e autocritico.
Se il cliente concorda, il terapeuta suggerisce di focalizzare il lavoro su questi processi
intrapersonali per cercare di risolvere la rabbia e modificare i comportamenti autocritici. Il lavoro con le due sedie non solo potenzia la consapevolezza che i clienti hanno del
proprio comportamento, ma facilita anche lo sviluppo di nuovi significati e modalità
di comportamento mano a mano che i clienti costruiscono risposte alternative ed arrivano a comprendere, in un’ottica diversa, la loro esperienza.
Timothy, che si era di recente separato e poi riconciliato con la moglie, era depresso e agitato. Era rimasto preoccupato per eventi che si erano verificati in passato nel
matrimonio. Quando era arrivato in terapia, aveva ricordato che durante i primi anni
di matrimonio, era stato molto felice. Lui e la moglie avevano rimandato la decisione
di avere dei figli, perchè entrambi stavano nel pieno della costruzione della carriera
personale. Anche se lui aveva suggerito l’idea di avere dei figli, la moglie sembrava
incerta, così, non desiderando farle pressione, non si ripropose, preferendo aspettare
fino a che non si sentisse pronta. Nel frattempo, la moglie aveva iniziato ad investire
nel mercato azionario. Timothy era preoccupato e le aveva chiesto di limitare la sua
attività, ma lei aveva continuato e, in seguito, persero dei soldi. Ciò li aveva obbligati
a ritardare ulteriormente la costruzione di una famiglia; infine, quando vi provarono,
la moglie ebbe una serie di aborti e le consigliarono di non provare più a concepire un
figlio a causa dell’età.
Timothy disse che amava la moglie, ma che era molto arrabbiato per quello che
era accaduto loro. All’inizio era arrabbiato con la moglie, ma, alla fine, era arrabbiato
con se stesso. Era stato d’accordo a svolgere un dialogo con le due sedie per esplorare
le basi di questa rabbia. Nel corso del dialogo, Timothy ha realizzato che era deluso e
furioso con se stesso per non aver assunto un atteggiamento più deciso con la moglie.
Avrebbe desiderato aver insistito di più sul concepimento quando erano più giovani,
ed esser stato più deciso in relazione ai dubbi sugli investimenti nel mercato azionario.
All’inizio del dialogo, non riusciva a perdonarsi.
Timothy: «Non sei riuscito a prenderti cura della famiglia. Avresti dovuto
rendere chiari i tuoi bisogni, non saresti qui altrimenti».
Terapeuta: «Venga qui [indicando la sedia del sé]. Come si sente quando questa parte di lei le dice che non è riuscito a prendersi cura della sua
famiglia?».
Timothy: «È terribile … mi sento così inutile».
Terapeuta: «Dica a questa parte di se quanto male si sente».
Timothy: «Mi sento così desolato e disperato».
301
La terapia emotion-focused per la depressione
Terapeuta: «Di cosa ha bisogno questa parte? [indicando la sedia del sé oggetto
dell’attacco]».
Timothy: «Ho bisogno che la smetti di farmi sentire così male … che smetti
di criticarmi».
Terapeuta: «Quindi hai bisogno che smetta. Bene. Adesso venga qui [indicando la sedia critica]. Come risponde questa parte di lei quando
l’altro dice: “Mi sento così inutile quando mi critichi. Per favore
smettila?”».
Timothy: «Beh, è tutta colpa tua. Se fossi stato un uomo vero, saresti intervenuto e avresti mostrato un po’ di polso. Tu sei arrivato a questo
punto».
Terapeuta: «Quindi cosa gli sta dicendo? “Non ho nessuna intenzione di
smettere di criticarti”?».
Timothy: «Sì … credo. Avresti dovuto prenderti tu cura delle tue cose».
Terapeuta: «Ritorni qui [indicando la sedia del sé]. Come ti senti quando questa parte di te non ti ascolta e trascura le tue richieste?».
Timothy: «Mi sento malissimo [sprofondando sempre di più nella sedia]. Mi
sento di non contare nulla; che non valgo nulla».
Terapeuta: «Quindi si sente uno schifo. Di cosa avrebe bisogno da lui?».
Timothy: «Vorrei che capisse».
Terapeuta: «Bene. Adesso ritorna qui. Bene, come rispondi quando questa
parte dice: “Mi sento uno schifo quando non mi ascolti, vorrei che
tu capissi”?».
Timothy: «Non so come … ho un vuoto in testa … non so come rispondere».
Terapeuta: «Chi è questa parte di lei? è leioppure qualcun altro la tratta così?».
Timothy: «Sono io».
Terapeuta: «Quindi questa è la parte che si è dovuta prendere cura di lei dopo
che i tuoi genitori sono morti. Stava cercando di prendersi cura di
lei e desiderava che non facesse alcuno sbaglio … nel caso i suoi
parenti si arrabbiassero?».
Timothy: «Sì! Credo di non aver mai imparato ad essere gentile con me stesso. È difficile ascoltare me stesso e concedermi di sbagliare».
Terapeuta: «Ecco questo è quello che ha imparato. È come se non avessi le
capacità. Cosa farebbe se un suo amico o sua moglie fossero preoccupati perché hanno commesso un errore?».
Timothy: «Gli direi che capita di sbagliare … che nessuno è perfetto. Gli
errori sono opportunità per imparare».
Il terapeuta si era allontanato dal processo per riflettere sul modo in cui il cliente
trattava se stesso e per comprendere le origini di questo comportamento. Il cliente
aveva iniziato a sviluppare un nuovo punto di vista sul sé come esageratamente duro ed
implacabile. Si era reso conto che era importante trattare se stesso con maggiore cura
e comprensione. Mano a mano che indagavano ulteriormente la questione, il cliente
302
La riflessione e la generazione di nuovi significati
si era reso conto che, se riusciva a perdonare se stesso, forse sarebbe riuscito anche a
perdonare la moglie.
Facilitare la riflessione nel lavoro con la sedia vuota
La creazione di nuovi significati nel lavoro con la sedia vuota spesso implica l’acquisizione di una nuova prospettiva sull’altro e la comprensione del comportamento
altrui. In alternativa, i clienti potrebbero sviluppare un nuovo punto di vista sul sé
quando imparano a riconoscere che non meritavano di essere trattati così malamente
dall’altro, riuscendo ad affermare se stessi con l’altro e a stabilire dei confini chiari che,
magari, sono stati violati. Il lavoro con la sedia vuota può essere suggerito per definire
un’area di indagine quando il cliente esprime un’emozione negativa persistente o difficoltà con un altro significativo. Due sono gli obiettivi di questo compito per riuscire a
generare nuovi significati: aiutare i clienti a prendere consapevolezza ed esprimere emozioni che sono state represse, ed agevolarli nel rivedere il proprio punto di vista sull’altro mano a mano che colgono l’opportunità di riflettere sul comportamento dell’altro e
sulle risposte alle loro emozioni. Come abbiamo già detto, nel corso di questo compito
è molto importante che i clienti utilizzino messaggi “Io” e che esprimano le proprie
emozioni e l’impatto soggettivo che le cattive azioni dell’altro ha avuto su di loro. Come nella terapia di coppia, le accuse di solito mettono l’altro sulla difensiva, anche un
altro immaginario. Il dialogo e le comprensione si promuovono attraverso l’espressione
adeguata dei sentimenti.
I clienti depressi, spesso portano ferite di perdita e danni subìti da parte degli
altri. I terapeuti li aiutano a diventare consapevoli delle proprie emozioni portandoli
ad immaginare l’altro significativo implicato nella perdita o nel danno. Una volta che i
clienti entrano in contatto con le proprie emozioni, vengono incoraggiati ad esprimerle
all’altro; il terapeuta ascolta empaticamente e guida l’espressione delle emozioni, assicurandosi che i clienti utilizzino messaggi “Io” e parlino dell’impatto soggettivo degli
eventi. Una volta che hanno terminato di esprimere le proprie emozioni, si chiede ai
clienti di spostarsi nella sedia vuota e di rispondere. Questo è il punto in cui si chiede
ai clienti di riflettere sull’altro. Mentre lo fanno, potrebbero diventare consapevoli del
punto di vista dell’altro e riuscire a capire il suo modo di vedere il mondo. Così, potrebbero rendersi conto che l’irritabilità della madre, quando erano bambini, derivava
dalla stanchezza di svolgere due lavori per dare da vestire e da mangiare al cliente e ai
fratelli, e non perché non li amasse. Il cliente idealmente potrebbe accedere o acquisire
l’idea che il genitore, che all’inizio era percepito come rifiutante, in realtà amava il
cliente e si dispiaceva per il dolore che questo aveva provato. Questo nuovo punto di
vista sull’altro, poi, può essere reintegrato nella narrativa del cliente, e in una nuova;
una dove il genitore lo amava e si prendeva cura di lui, che può sostituire quella in cui si
era sentito non amato dalla madre. I clienti, così, possono riuscire a cambiare posizione
ed avere l’opportunità di ascoltare la storia dell’altro, che poteva non essere accessibile
o così ovvia quando erano dei bambini.
A volte, però, l’altro significativo non può rispondere in maniera positiva. Magari
non riconosce o non risponde al dolore del cliente. Questo è un segnale diagnostico
303
La terapia emotion-focused per la depressione
importante che indica che il cliente non ha un’introiezione positiva. Invece di costruire una nuova visione del sé riuscendo a riflettere sull’altro e ad accedere a un oggetto
interno positivo, questi clienti devono costruire una nuova visione di sé e nuovi modi
per trattare se stessi attraverso l’empatia della relazione terapeutica. Con questi clienti
i terapeuti si discostano dal ruolo più attivo, ricorrendo a forme di empatia ai fini di
rafforzare il sé.
Quando i clienti hanno subìto un abuso, i terapeuti potrebbero preferire non far
rispondere l’altro. I clienti che sono stati abusati, di solito hanno soppresso i propri
bisogni in favore di quelli dell’altro; di conseguenza, l’obiettivo non è tanto fargli cambiare prospettiva e riflettere sull’esperienza dell’altro per comprenderla meglio, quanto
quello di stabilire dei confini. Devono assegnare agli altri la responsabilità dei loro
comportamenti e sviluppare nuovi modi per vedere se stessi.
Il nuovo punto di vista che i terapeuti vogliono far sviluppare ai clienti abusati,
è che sono persone degne di amore e che non meritavano di subire quel trattamento.
Questo nuovo punto di vista può essere facilitato in molti modi. Primo: l’apprezzamento empatico del terapeuta insegna ai clienti che meritano rispetto e che hanno il diritto
di prestare attenzione alla propria esperienza interiore e di proteggersi dal dolore. Secondo: i terapeuti potrebbero chiedere ai clienti di immaginare come risponderebbero
se vedessero un altro bambino, o qualcuno che amano, subire un abuso simile a quello
subìto da loro. Questo spesso mette in moto una risposta protettiva, di accudimento
del bambino immaginario a cui, poi, i clienti possono pensare e che possono applicare
a se stessi. Una volta che i clienti hanno costruito questo nuovo punto di vista, sono
pronti a completare il lavoro con il compito della sedia vuota e a dire all’altro abusante
che il suo comportamento era inaccettabile, che ha causato dolore e sofferenza, che non
meritavano di essere trattati così e, cosa più importante, che non lasceranno che accada
di nuovo perchè si impegneranno a proteggere se stessi nel futuro e ad assicurarsi che i
propri confini non vengano mai più violati. Questo potrebbe elicitare un altro periodo
di riflessione e di apprendimento mentre i clienti iniziano ad identificare violazioni dei
confini e i comportamenti degli altri che li feriscono e che pesano su di loro.
Facilitare la riflessione nella rivelazione evocativa
sistematica
Un obiettivo primario nella risoluzione o nello sviluppo della comprensione di
reazioni problematiche, è aiutare i clienti a diventare più riflessivi sui collegamenti
fra comportamenti, ambiente ed emozioni. Una volta che questi riescono a vedere i
collegamenti fra questi tre aspetti dell’esperienza, sono in una posizione migliore per
sviluppare modalità alternative di comportamento più coerenti con bisogni, valori e
obiettivi. Il primo obiettivo della rivelazione evocativa sistematica, è aiutare i clienti
a ricordare le scene in cui si sono verificate delle reazioni, nel modo più vivido possibile, in modo da poter accedere e tracciare le reazioni affettive. Questa descrizione
dettagliata consente a clienti e terapeuti di identificare l’evento o lo stimolo che ha innescato la reazione. Una volta che hanno identificato la miccia, i terapeuti focalizzano
304
La riflessione e la generazione di nuovi significati
i clienti sull’identificazione del loro stile personale di essere nel mondo su cui i clienti
possono in seguito riflettere. Per esempio, Susan, una cliente che si stava riprendendo
dalla depressione, non capiva perché non era riuscita a divertirsi ad una festa nel fine
settimana. Dopo aver analizzato l’evento, si era resa conto che alla festa si era tenuta
in disparte e non si era unita agli altri perché cercava di restare in una zona neutrale.
Sperava che restando in questa zona, e non consentendo a se stessa di divertirsi troppo,
non si sarebbe depressa. Una volta compresa la propria risposta, era riuscita a riflettere
sulla soluzione. Si era resa conto che pagava un prezzo molto alto per proteggersi dalla
depressione. Non appena era arrivata a comprendere cosa innescava la sua depressione, era riuscita a smettere di far ricorso alla zona neutrale, per godersi nuovamente la
famiglia e gli amici.
Valutazione del contesto sociale, dei valori e degli obiettivi
Quando i clienti elaborano la propria esperienza emotiva, valutano le proprie
risposte in termini di contesto sociale, valori e obiettivi. Valutano se le risposte sono
adeguate, se gli altri risponderanno in maniera positiva o negativa, e se le esperienze
emotive promuoveranno i loro obiettivi e si adatteranno al senso che hanno di sé.
Se il loro contesto interpersonale non è supportivo, potrebbero negare o distorcere
la propria esperienza per ottenere o mantenere l’approvazione ed il senso di appartenenza agli altri. In modo simile, se l’esperienza emotiva è vista come contraria ai loro
valori o all’immagine di sé, potrebbero distorcerla o negarla. Per esempio, i clienti
soggetti ad abuso fisico o emotivo potrebbero avere difficoltà a riconoscere che sono
arrabbiati. La rabbia potrebbe essere considerata contraria a come desiderano apparire, e potrebbero vedere una minaccia nell’esprimerla. Questi clienti devono imparare
a destrutturare le visioni che hanno del mondo, in modo da poter agevolare una
gamma più ampia di esperienze emotive. Questo può essere un processo molto lento,
perchè i clienti devono riflettere sui costi e i benefici dell’attuale modo di essere nel
mondo.
I terapeuti aiutano i clienti a vedere l’impatto che l’attuale modo di essere ha su di
loro. Questa analisi li aiuta a generare nuove narrative relative all’esperienza del cliente
su cui si può riflettere in modi differenti. Tuttavia, oltre a diventare più consapevoli
delle proprie esperienze, i clienti potrebbero dover sviluppare un più forte senso del sé,
prima di poter generare nuovi sistemi di significati che possono utilizzare per integrare
le nuove emozioni emergenti. Questo tipo di scenario si nota spesso quando i clienti si
sentono intrappolati in relazioni o matrimoni molto difficili, ma in cui l’opzione di un
divorzio non si adatta alla visione che hanno di sé, oppure non è coerente con i valori
della loro religione o della loro rete sociale. Questi clienti potrebbero aver bisogno di
molto tempo per ricostruire una visione di sé che contempli l’idea del divorzio e di se
stessi come individui divorziati, e potrebbero avere bisogno di molto tempo per raccogliere le forze al fine di agire in maniera contraria alle norme e alle aspettative sociali.
Una volta che hanno acquisito un miglior senso delle proprie emozioni, potrebbero
aver bisogno di riflettere profondamente sulle scelte che li aspettano e di soppesare le
implicazioni di nuovi corsi d’azione con molta attenzione.
305
La terapia emotion-focused per la depressione
De-costruire le visioni del mondo
I terapeuti utilizzano la riflessione empatica per aiutare i clienti a de-costruire le
loro visioni del mondo e a sviluppare prospettive alternative (un aspetto cruciale del
processo di cambiamento). I clienti depressi spesso si sentono bloccati ed incapaci di
immaginare alternative, cosa che spesso è evidente quando c’è un conflitto fra bisogni e
valori. Per esempio, Dennis era molto infelice nella propria relazione. Trovava la moglie
troppo critica e distante rispetto ai suoi obiettivi e aspirazioni. Si rifiutava di seguire
un counseling di coppia o di riconoscere che vi fossero delle difficoltà nella relazione.
Dennis iniziava a sentire che non aveva altra scelta se non lasciarla, ma aveva grande
difficoltà ad accettare questa decisione. Non riusciva a vedersi come uomo divorziato e
sentiva che ciò era contrario alla sua religione e al punto di vista del gruppo sociale in
cui viveva. Prima che Dennis riuscisse a rompere il matrimonio, aveva avuto bisogno di
de-costruire la sua visione del mondo per concedersi un insieme più ampio di emozioni
e comportamenti. Aveva bisogno di riflettere profondamente sui propri valori e di decidere quanto desiderava sacrificarsi per mantenere l’attuale immagine che aveva di sé.
Aiutare i clienti a decostruire i propri sistemi di valori e a riconciliarli con i loro
desideri o bisogni, può essere un processo molto lungo. Hanno bisogno di sviluppare
cornici di riferimento alternative o visioni del mondo nuove per consentire agli eventi
accaduti di mettere in discussione la visione di se stessi a cui sono affezionati (K. Clarke, 1989). Spesso questo implica un processo di elaborazione del lutto per l’abbandono
di prospettive sul mondo a cui si era affezionati ed adottare un nuovo paio di lenti con
cui vedere gli eventi o la vita. I clienti spesso hanno bisogno di sviluppare un senso più
forte di sé, in modo da sentirsi meno minacciati dal bisogno di discostarsi dal sistema
sociale più ampio di cui sono parte, ed affinchè siano in grado di riconoscere e di seguire i propri bisogni.
Difficoltá nella facilitazione della relazione
Alcuni clienti hanno grande difficoltà ad essere riflessivi. La capacità di riflettere
sulle emozioni e comportamenti richiede un certo livello di sviluppo cognitivo-affettivo. I clienti con storie di grave abuso e trascuratezza hanno difficoltà ad elaborare le
proprie emozioni. Potrebbero non essere consapevoli della propria esperienza affettiva;
in alternativa, potrebbero essere così schiacciati dall’esperienza, da far fatica a darle un
nome e ad esprimerla in parole. Questi clienti hanno difficoltà a prendere le distanze
e a riflettere sull’esperienza. Sembrano spostarsi da stati intensi di arousal, a giudizi altrettanto intensi sul proprio valore personale. I clienti potrebbero anche avere difficoltà
ad affermare se stessi in maniera adeguata per generare nuovi significati e narrative
alternative; potrebbero non essere in contatto con la propria esperienza interiore, oppure potrebbero aver paura delle conseguenze relative all’affermazione di se stessi nei
confronti di un altro a cui sono ancora attaccati. Prima che questi clienti possano farsi
coinvolgere nella riflessione, devono acquisire le competenze per gestire l’esperienza
emotiva intensa. Questo può essere un processo molto lento in cui i terapeuti cercano
306
La riflessione e la generazione di nuovi significati
di potenziare la consapevolezza dei clienti e di insegnare loro ad identificare e dare un
nome alle emozioni. Tuttavia, una volta che vi siano riusciti e che questi abbiano sviluppato un più forte senso di sé, insieme ad una migliore consapevolezza dell’esperienza emotiva, è possibile iniziare a facilitare la riflessione sull’esperienza più direttamente.
La riflessione può essere facilitata ponendo ai clienti domande sulle origini delle loro
emozioni ed aiutandoli a contestualizzare l’esperienza in termini di scissioni conflittuali, unfinished business, sensazioni di indefinitezza, o reazioni problematiche.
Un’altra difficoltà che può verificarsi, è che i clienti vittime di gravi abusi o con
storie di trascuratezza, non sono capaci di assumere la prospettiva e di immaginarsi nel
ruolo dell’altro. A volte l’altro immaginato era disturbato o imprevedibile, quindi è
difficile sapere come avrebbe risposto ad una richiesta di conforto. In alternativa, questi
clienti potrebbero ancora essere invischiati con gli altri significativi e non aver ancora
acquisito una visione separata di sé come individui autonomi e distinti che consentirebbe loro di avere una visione differenziata dell’altro. Questi clienti potrebbero anche
avere poca empatia e, quindi, avere difficoltà a spostarsi per assumere la prospettiva
dell’altro. Tutti questi scenari suggeriscono la necessità di un lavoro più relazionale per
assistere i clienti nella costruzione di narrative più coerenti, a differenziarsi dagli altri
significativi, ad imparare a gestire le proprie reazioni affettive e a sviluppare modelli
interiori più positivi. L’obiettivo è aiutare i clienti a sviluppare le capacità di elaborazione emotiva in modo da riuscire ad arrivare al punto di poter riflettere sulla propria
esperienza per mettere in moto cambiamenti in se stessi e nel proprio ambiente.
Nella psicoterapia emotion-focused, i clienti vengono incoraggiati ad assumere un
approccio più interlocutorio verso il mondo e a riconoscere la soggettività della propria
esperienza, che consenta loro di considerare altre possibilità, sia in relazione all’interpretazione degli eventi, sia alle reazioni a questi eventi. In questo modo le tecniche
esperienziali assolvono la duplice funzione di aiutare i clienti ad esprimere le emozioni
e a riflettere su queste espressioni per promuovere il cambiamento.
307
La terapia emotion-focused per la depressione
bibliografia
Abercrombie, H. C., Schaefer, S. M., Larson, C. L., Oakes, T. R., Holden, J. E., Perlman, S. B., et al. (1998). Metabolic rate in the right amygdala predicts nega­tive
affect in depressed patients. NeuroReport, 9, 3301-3307.
Abramson, L. Y., Seligman, M. E., & Teasdale, J. D. (1978). Learned helplessness in
humans: Critique and reformulation, Journal of Abnormal Psychology, 87, 49-74.
Adams, K. E., & Greenberg, L. S. (1996, June). Therapists’ influence on depressed clients’
therapeutic experiencing and outcome. Paper presented at the 43rd Annual Convention for the Society for Psychotherapy Research, St. Amelia Island, FL.
Akhavan, S. (2001). Comorbidity of hopelessness depression with borderline and depen­dent
personality disorders: Inferential, coping, and anger expression styles as vulner­ability
factors. Unpublished doctoral dissertation, Temple University, Philadel­phia.
Allan, S., & Gilbert, P. (2002). Anger and anger expression in relation to percep­tions
of social rank, entrapment and depression. Personality and Individual Differ­ences,
32, 551-565.
American Psychiatric Association. (1994). Diagnostic and statistical manual of mental
disorders (4th ed.). Washington, DC: Author.
Arnold, M. B. (1984). Feelings and emotions: The Loyola symposium. Oxford, England: Academic Press.
Auszra, L., Herrmann, I., & Greenberg, L. (2004, June). The relationship between emo­
tional arousal, productivity and outcome in emotion-focused therapy of depression.
Paper presented at the Society for Psychotherapy Research, Rome, Italy.
Avagyan, J. (2001). Emotional arousal in psychotherapy: An intensive analysis of eight cases.
Unpublished undergraduate thesis, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Bargh, J. A. (1982). Attention and automaticity in the processing of self-relevant information. Journal of Personality and Social Psychology, 43, 425-436.
Bargh, J., & Chartrand, T. (1999). The unbearable automaticity of being. American
Psychologist, 54, 462-479.
Barrett, L. F., Lane, R. D., Sechrest, L., & Schwartz, G. E. (2000). Sex differences in
emotional awareness. Personality and Social Psychology Bulletin, 26, 1027-1035.
Beauregard, M., Levesque, J., &. Bourgouin, P. (2001 ). Neural correlates of conscious
self-regulation of emotion. Journal of Neuroscience, 21, 6993-7000.
Bechera, A., Tranel, D., Damasio, H., Adolphs, R., Rockland, C., & Damasio, A. R.
(1995). Double dissociation of conditioning and declarative knowledge rela­tive to
the amygdala and hippocampus in humans. Science, 269, 1115-1118.
Beck, A. T. (1983). Cognitive therapy of depression: New perspectives. In P. J. Clayton
309
La terapia emotion-focused per la depressione
& J. E. Barrett (Eds.), Treatment of depression: Old controversies and new approaches.
(pp. 265-290). New York: Raven Press.
Beck, A. T. (1996). Beyond belief: A theory of modes, personality, and psychopathology. In P. M. Salkovskis (Ed.), Frontiers of cognitive therapy (pp. 1-25). New
York: Guilford Press.
Beck, A. T., Rush, A. J., Shaw, B. F., & Emery, G. (1979). Cognitive therapy of depres­
sion. New York: Wiley.
Benjamin, L. S. (1996). Introduction to the special section on structural analysis of
social behavior. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 64, 1203-1212.
Bergin, A., & Garfield, S. (1996). Introduction and historical overview. In A. Bergin
& S. Garfield (Eds.), Handbook of psychotherapy and behavior change (pp. 3-18).
New York: Wiley.
Berkowitz, L. (2000). Causes and consequences of feelings. New York: Cambridge Uni­
versity Press.
Bernstein, D. A., Borkovec, T. D., & Hazlett-Stevens, H. (2000). New directions in
progressive relaxation training: A guidebook for helping professionals. Westport, CT:
Praeger Publishers.
Bernstein, R. J. (1971). Praxis and action: Contemporary philosophies of human activity.
Philadelphia: University of Pennsylvania Press.
Beutler, L. E., Harwood, T. M., Alimohamed, S., & Malik, M. (2002). Functional
impairment and coping style. In J. C. Norcross (Ed.), Psychotherapy relationships
that work: Therapist contributions and responsiveness to patients (pp. 145-174). New
York: Oxford University Press.
Biaggio, M. K., & Godwin, W. H. (1987). Relation of depression to anger and hostil­
ity constructs. Psychological Reports, 61, 87-90.
Blaney, R. H. (1986). Affect and memory: A review. Psychological Bulletin, 99,
229-246.
Blatt, S. (1974). Levels of object representation in anaclitic and introjective depres­sion.
Psychoanalytic Study of the Child, 29, 7-157.
Blatt, S. (2004). Experiences of depression: Theoretical, clinical, and research perspec­tives.
Washington, DC: American Psychological Association.
Bohart, A. C., Elliott, R., Greenberg, L. S., & Watson, J. C. (2002). Empathy. In J.
Norcross (Ed.), Psychotherapy relationships that work (pp. 89-108). New York: Oxford University Press.
Bohart, A. C., & Greenberg, L. S. (Eds.). (1997). Empathy reconsidered: New direc­tions
in psychotherapy. Washington, DC: American Psychological Association.
Bolger, E. (1999). Grounded theory analysis of emotional pain. Psychotherapy Re­search,
99, 342-362.
Bonanno, G. A., & Keltner, D. (1997). Facial expressions of emotion and the course of
conjugal bereavement. Journal of Abnormal Psychology, 106, 126-137.
Bordin, E. S. (1979). The generalizability of the psychoanalytic concept of the work­ing
alliance. Psychotherapy, 16, 252-260.
Bowlby, J. (1980). Loss: Sadness and depression: Volume 3. Attachment and loss. Lon­don:
Hogarth Press.
Bozarth, J. D., & Wilkins, P. (Eds.). (2001). Rogers’ therapeutic conditions: Evolution,
310
Bibliografia
therapy, and practices: Vol. 3: Unconditional positive regard. London: PCCS Books.
Bradshaw, J. (1988). Healing the shame within. New York: Norton.
Brody, A. L., Saxena, S., Mandelkern, M. A., Fairbanks, L. A., Ho, M. L., & Baxter,
L. R., Jr. (2001). Brain metabolic changes associated with symptom factor im­
provement in major depressive disorder. Biological Psychiatry, 50, 171-178.
Broman, C. L., & Johnson, E. H. (1988). Anger expression and life stress among
Blacks: Their role in physical health, Journal of the National Medical Association,
80, 1329-1334.
Brown, G. W., Harris, T. O., & Hepworth, C. (1995). Loss, humiliation and entrap­
ment among women developing depression: A patient and non-patient com­
parison. Psychological Medicine, 25, 7-21.
Buber, M. (1958). I and thou (2nd ed.). New York: Charles Scribner’s Sons.
Cacioppo, J. T. (2003). Social neuroscience: Understanding the pieces fosters un­
derstanding the whole and vice-versa. American Psychologist, 57, 819-827.
Campos, J. J., Frankel, C. B., & Camras, L. (2004). On the nature of emotion regula­
tion. Child Development, 75, 377-394.
Camus, A. (1975). The myth of Sisyphus and other essays. New York: Penguin. (Origi­nal
work published 1955)
Castonguay, L. G., Goldfried, M. R., Wiser, S. L., Raue, P. J., & Hayes, A. M. (1996).
Predicting the effect of cognitive therapy for depression: A study of unique and
common factors. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 64, 497-504.
Cicchetti, D., Ackerman, B. P., & Izard, C. E. (1995). Emotions and emotion regu­
lation in developmental psychopathology. Development and Psychopathology, 7,
1-10.
Clarke, D. D., & Blake, H. (1997). The inverse forecast effect. Journal of Social Be­
havior and Personality, 12, 999-1018.
Clarke, K. (1989). Creation of meaning: An emotional processing task in psycho­
therapy. Psychotherapy, 26, 139-148.
Craig, A. D. (2002). How do you feel? Interoception: The sense of the physiological
condition of the body. Nature NeuroScience, 3, 655-666.
Critchley, H. D., Melmed, R. N., Featherstone, E., Mathias, C. J., & Dolan, R. J.
(2001 ). Brain activity during biofeedback relaxation: A functional neuroimaging
investigation. Brain, 124, 1003-1012.
Daldrup, R. J., Engle, D., Holiman, M., & Beutler, L. E. (1994). The intensification
and resolution of blocked affect in an experiential psychotherapy. British Journal
of Clinical Psychology, 33, 129-141.
Damasio, A. (1994). Descartes’ error: Emotion, reason, and the human brain. New York:
G. P. Putnam’s Sons.
Damasio, A. (1999). The feeling of what happens. New York: Harcourt-Brace.
Damasio, A. R. (2003). Looking for Spinoza: Joy, sorrow and the feeling brain. Orlando,
FL: Harcourt Brace Jovanovich.
Darwin, C. (1998). Expression of the emotions in man and animals (3rd ed.). London:
Harper Collins. (Original work published 1897).
Davidson, R. (2000a). Affective style, mood and anxiety disorders: An affective neuroscience approach. In R. Davidson (Ed.), Anxiety, depression and emotion (pp.
311
La terapia emotion-focused per la depressione
23-55). Oxford, England: Oxford University Press.
Davidson, R. (2000b). Affective style, psychopathology and resilience: Brain mecha­
nisms and plasticity. American Psychologist, 5, 1193-1196.
Davidson, R. J., & Irwin, W. (1999). The functional neuroanatomy of emotion and
affective style. Trends in Cognitive Sciences, 3, 11-21.
Davidson, R. J., Pizzagalli, D., Nitschke, J. B., &. Putnam, K. M. (2002). Depression: Perspectives from affective neuroscience. Annual Review of Psychology, 53,
545-574.
Davis, M., &. Whalen, P. J. (2001). The amygdala: Vigilance and emotion. Molecular
Psychiatry, 6, 13-34.
Depestele, F. (2004). Space differentiation in experiential psychotherapy. Person-Centered and Experiential Psychotherapies, 3, 129-139.
Derryberry, D., &.Reed, M. A. (1996). Regulatory processes and the development of
cognitive representations. Development and Psychopathology, 8, 215-234.
Derryberry, D., & Tucker, D. M. (1992). Neural mechanisms of emotion. Journal of
Consulting and Clinical Psychology, 60, 329-338.
Dewey, J. (1933). How we think. Chicago: Henry Regnery.
Drevets, W. C. (1998). Functional neuroimaging studies of depression: The anatomy
of melancholia. Annual Review of Medicine, 49, 341-361.
Drevets, W. C. (2001). Neuroimaging and neuropathological studies of depression: Implications for the cognitive-emotional features of mood disorders.Current Opinion
in Neurobiology, 11, 240-249.
Drevets, W. C., Videen, T. O., Price, J. L, Preskorn, S. H., Carmichael, S. T., & Raichle, M. E. (1992). A functional anatomical study of unipolar depression. Journal
of Neuroscience, 12, 3628-3641.
Ekman, P., & Friesen, W. V. (1975). Unmasking the face: A guide to recognizing emo­tions
from facial clues. Oxford, England: Prentice-Hall.
Elliott, R., & Greenberg, L. S. (1997). Multiple voices in process-experiential therapy: Dialogues between aspects of the self. Journal of Psychotherapy Integration, 7,
225-239.
Elliott, R., Watson, J. C., Goldman, R. N., & Greenberg, L. S. (2004). Learning emotion-focused therapy: The process-experiential approach to change. Washing­ton, DC:
American Psychological Association.
Epstein, S. (1994). Integration of the cognitive and psychodynamic unconscious.
American Psychologist, 49, 709-724.
Farthing, G. W. (1992). The psychology of consciousness. Upper Saddle River, NJ: Prentice-Hall.
Field, T. M. (1998). Massage therapy effects. American Psychologist, 53, 1270-1281.
Flack, W., Laird, J. D., & Cavallaro, J. (1999a). Emotional expression and feeling in
schizophrenia: Effects of specific expressive behaviors on emotional experiences.
Journal of Clinical Psychologoy, 55, 1-20.
Flack, W. F., Jr., Laird, J. D., &. Cavallaro, L. A. (1999b). Separate and combined
effects of facial expressions and bodily postures on emotional feelings. European
Journal of Social Psychology, 29, 203-217.
Florence, W. A. (2001). Emotional arousal in psychotherapy: An intensive analysis of eight
312
Bibliografia
cases. Unpublished undergraduate thesis, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Foa, E. B., & Jaycox, L. H. (1999). Cognitive-behavioral theory and treatment of
posttraumatic stress disorder. In D. Spiegel (Ed.), Efficacy and cost-effectiveness of
psychotherapy (pp. 23-61). Washington, DC: American Psychiatric Publish­ing.
Foa, E. B., &. Kozak, M. J. (1986). Emotional processing of fear: Exposure to correc­
tive information. Psychological Bulletin, 99, 20-35.
Forgas, J. (2000a). Feeling and thinking. Cambridge, England: Cambridge University
Press.
Forgas, J. P. (2000b). Feeling is believing? The role of processing strategies in mediating
affective influences on beliefs. In N. H. Frijda, A. S. R. Manstead, & S. Bern (Eds.),
Emotions and belief: How feelings influence thoughts. Studies in emotion and social
interaction (pp. 108-143). New York: Cambridge University Press.
Fosha, D. (2000). The transforming power of affect: A model of accelerated change. New
York: Basic Books.
Fosha, D. (2004). “Nothing that feels bad is ever the last step”: The role of positive
emotions in experiential work with difficult emotional experiences. Clinical Psy­
chology and Psychotherapy, 11, 30-43.
Frank, E., Carpenter, L. L., & Kupfer, D. J. (1988). Sex differences in recurrent de­
pression: Are there any that are significant? American Journal of Psychiatry ,145,
41-45.
Frank, J. (1963). Persuasion and healing. Oxford, England: Schocken.
Frankl, V. (1959). Man’s search for meaning. Boston: Beacon Press.
Fredrickson, B. L. (1998). What good are positive emotions? Review of General Psychology, 2, 300-319.
Fredrickson, B. L. (2001). The role of positive emotions in positive psychology: The
broaden-and-build theory of positive emotions. American Psychologist, 56, 218226.
Fredrickson, B. L., &. Levenson, R. W. (1998). Positive emotions speed recovery from
the cardiovascular sequelae of negative emotions. Cognition and Emotion, 12,
191-220.
Freud, S. (1957). Instincts and their vicissitudes. In J. Strachey (Ed. & Trans.), The
standard edition of the complete psychological works of Sigmund Freud (Vol. 11, pp.
109-140). London: Hogarth Press. (Original work published 1915)
Freud, S. (1961). The ego and the id. In J. Strachey (Ed. & Trans.), The standard edition of the complete psychological works of Sigmund Freud (Vol. 19, pp. 1-66). London: Hogarth Press. (Original work published 1923)
Frijda, N. H. (1986). The emotions. Cambridge, England: Cambridge University
Press.
Geller, S., &. Greenberg, L. (2002). Therapeutic presence: Therapists’ experience of
presence in the psychotherapy encounter in psychotherapy. Person Centered & Experiential Psychotherapies, I, 71-86.
Gendlin, E. T. (1962). Experiencing and the creation of meaning. New York: Free Press
of Glencoe.
Gendlin, E. T. (1996). Focusing-oriented psychotherapy: A manual of the experiential
313
La terapia emotion-focused per la depressione
method. New York: Guilford Press.
Gilbert, P. ( 1992). Depression: The evolution of powerlessness. Hove, England: Erlbaum.
Gilbert, P. (1998). What is shame? Some core issues and controversies. In P. Gilbert &.
B. Andrews (Eds.), Shame: Interpersonal behavior, psychopathology and culture (pp.
3-36). New York: Oxford University Press.
Gilbert, P. (2003). Evolution, social roles, and the differences in shame and guilt. Social
Research, 70, 1205-1230.
Gilbert, P. (2004). Depression: A biopsychosocial, integrative and evolutionary ap­
proach. In M. Power (Ed.), Mood disorders: A handbook of science and practice (pp.
99-142). Chichester, England: Wiley.
Gilbert, P., & Allan, S. (1998). The role of defeat and entrapment (arrested flight) in
depression: An exploration of an evolutionary view. Psychological Medicine, 28,
585-598.
Goldfried, M. R. (1991). Transtheoretical ingredients in therapeutic change. In R.
Curtis & G. Stricker (Eds.), How people change: Inside and outside therapy (pp.
29-37). New York: Plenum Press.
Goldfried, M., & Davison, G. (1994). Clinical behavior therapy (exp. ed.) New York:
Wiley.
Goldman, R. (1997). Relating process to outcome in the experiential therapy of depression.
Unpublished doctoral dissertation, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Goldman, R., & Greenberg, L. (1997). Case formulation in experiential therapy. In T.
Ells (Ed.), Handbook of psychotherapy case formulation (pp. 402-429). New York:
Guilford Press.
Goldman, R., &. Greenberg, L. (in press). Depth of emotional experience and out­
come. Psychotherapy Research.
Goldman, R., Greenberg, L., & Angus, L. (in press). The effects of adding specific
emotion-focused interventions to the therapeutic relationship in the treatment of
depression. Psychotherapy Research.
Goodwin, G. M. (1996). Functional imaging, affective disorder and dementia. British
Medical Bulletin, 52, 495-512.
Greenberg, L. (1984). Task analysis of intrapersonal conflict. In L. Rice & L. Greenberg (Eds.), Patterns of change: Intensive analysis of psychotherapy (pp. 67-123). New
York: Guilford Press.
Greenberg, L. S. (2002). Emotion-focused therapy: Coaching clients to work through their
feelings. Washington, DC: American Psychological Association.
Greenberg, L., & Angus, L. (2004). The contributions of emotion processes to narra­
tive change in psychotherapy: A dialectical constructivist approach. In L. An­gus &
J. McLeod (Eds.), Handbook of narrative psychotherapy (pp. 331-350). Thousand
Oaks, CA: Sage.
Greenberg, L., Auszra, L., & Herrmann, I. R. (2004). Productivity Scale. Unpublished
manuscript, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Greenberg, L. S., & Bolger, E. (2001). An emotion-focused approach to the overregulation of emotion and emotional pain. Journal of Clinical Psychology, 57,
197-211.
314
Bibliografia
Greenberg, L. S., Elliott, R. K., & Foerster, F. S. (1990). Experiential processes in the
psychotherapeutic treatment of depression. In C. D. McCann & N. S. Endler
(Eds.), Depression: New direction in theory, research and practice (pp. 157-185).
Toronto, Ontario, Canada: Wall & Emerson.
Greenberg, L., & Geller, S. (2001). Congruence and therapeutic presence. In G. Wyatt & P. Saunders (Eds.), Rogers’ therapeutic conditions: Congruence (Vol. 1, pp.
73-101). Ross-on-Wye, Herefordshire, England: PCCS Books.
Greenberg, L. S., & Korman, L. (1993). Assimilating emotion into psychotherapy
integration. Journal of Psychotherapy Integration, 3, 249-265.
Greenberg, L., ok Malcolm, W. (2002). Resolving unfinished business: Relating pro­
cess to outcome. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 70, 406-416.
Greenberg, L. S., &Paivio, S. C. (1997). Working with emotions in psychotherapy. New
York: Guilford Press.
Greenberg, L. S., & Pascual-Leone, J. (1995). A dialectical constructivist approach to
experiential change. In R. A. Neimeyer & M. J. Mahoney (Eds.), Constructivism
in psychotherapy (pp. 169-191). Washington, DC: American Psychological Association.
Greenberg, L., &. Pascual-Leone, J. (2001). A dialectical constructivist view of the
creation of personal meaning. Journal of Constructivist Psychology, 14, 165-186.
Greenberg, L. S., & Pedersen, R. (2001, November). Relating the degree of resolution of
in-session self-criticism and dependence to outcome and follow-up in the treatment of
depression. Paper presented at conference of the North American Chapter of the
Society for Psychotherapy Research, Puerto Vallarla, Mexico.
Greenberg, L. S., Rice, L. N., &. Elliott, R. (1993). Facilitating emotional change: The
moment by moment process. New York: Guilford Press. Greenberg, L. S., & Safran, J. D.
(1984). Hot cognition-emotion coming in from the cold: A reply to Rachman and
Mahoney. Cognitive Therapy and Research, 8,591-598.
Greenberg, L. S., & Safran, J. D. (1987). Emotion in psychotherapy: Affect, cognition,
and the process of change. New York: Guilford Press.
Greenberg, L. S., & Safran, J. D. (1989). Emotion in psychotherapy. American Psy­
chologist, 44, 19-29.
Greenberg, L. S., & van Balen, R. (1998). The theory of experience-centered thera­pies.
In L. S. Greenberg, J. C. Watson, & G. Lietaer (Eds.), Handbook of experi­ential
psychotherapy (pp. 28-57). New York: Guilford Press.
Greenberg, L., & Warwar, S. (in press). Homework in experiential psychotherapy. Psychotherapy Integration.
Greenberg, L., & Watson, J. (1998). Experiential therapy of depression: Differential
effects of client-centred relationship conditions and process experiential inter­
ventions. Psychotherapy Research, 8, 210-224.
Greenberg, L. S., Watson, J. C., &Lietaer, G. (Eds.). (1998). Handbook of experiential
psychotherapy. New York: Guilford Press.
Gross, J. J. (2002). Emotion regulation: Affective, cognitive, and social consequences.
Psychophysiology, 39, 281-291.
Guidano, V. F. (1991). The self in process. New York: Guilford Press.
Guidano, V. F. (1995a). Constructivist psychotherapy: A theoretical framework. In
315
La terapia emotion-focused per la depressione
R. A. Neimeyer & M. J. Mahoney (Eds.), Constructivism in psychotherapy (pp.
93-108). Washington, DC: American Psychological Association.
Guidano, V. F. (1995b). Self-observation in constructivist psychotherapy. In R. A. Neimeyer & M. J. Mahoney (Eds.), Constructivism in psychotherapy (pp. 155-168).
Washington, DC: American Psychological Association.
Hariri, A. R., Mattay, V. S., Tessitore, A., Fera, F., & Weinberger, D. R. (2003). Neocortical modulation of the amygdala response to fearful stimuli. Biological Psychiatry, 53, 494-501.
Harmon-Jones, E., Abramson, L. Y., Sigelman, J., Bohlig, A., Hogan, M. E., & Harmon-Jones, C. (2002). Proneness to hypomania/mania symptoms or depres­sion
symptoms and asymmetrical frontal cortical responses to an anger-evoking event.
Journal of Personality and Social Psychology, 82, 610-618.
Harmon-Jones, E., Vaughn-Scott, K., Mohr, S., Sigelman, J., & Harmon-Jones, C.
(2004). The effect of manipulated sympathy and anger on left and right frontal
cortical activity. Emotion, 4, 95-101.
Harre, R. (1984). Personal being. Cambridge, MA: Harvard University Press.
Harter, S. (1998). The construction of self: A developmental perspective. New York: Guilford Press.
Hayes, A. M., & Strauss, J. L. (1998). Dynamic systems theory as a paradigm for the
study of change in psychotherapy: An application to cognitive therapy for de­
pression. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 66, 939-947.
Hebb, D. (1949). The organization of behavior. New York: Wiley.
Henry, W. P., Schacht, T. E., & Strupp, H. H. (1990). Patient and therapist in-troject,
interpersonal process and differential psychotherapy outcome. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 58, 768-774.
Hermans, H. J. M. (1996). Opposites in a dialogical self: Constructs as characters.
Journal of Constructivist Psychology, 9, 1-26.
Holland, P. C., &. Gallagher, M. (1999). Amygdala circuitry in attentional and rep­
resentational processes. Trends in Cognitive Sciences, 3, 65-73.
Honos-Webb, L., Stiles, W. B., Greenberg, L. S., & Goldman, R. (1998). Assimila­tion
analysis of process-experiential psychotherapy: A comparison of two cases. Psychotherapy Research, 8, 264-286.
Honos-Webb, L, Surko, M., Stiles, W. B., & Greenberg, L. S. (1999). Assimilation
of voices in psychotherapy: The case of Jan. Journal of Counseling Psychology, 46,
448-460.
Horvath, A., & Greenberg, L. S. (1994). The working alliance: Theory, research and
practice. New York: Wiley.
Hubble, M. A., Duncan, B. L., & Miller, S. D. (Eds.). (1999). The heart and soul of
change: What works in therapy. Washington, DC: American Psychological Asso­
ciation.
Hugdahl, K., & Ohman, A. (1977). Effects of instruction on acquisition and extinc­
tion of electrodermal responses to fear-relevant stimuli. Journal of Experimental
Psychology: Human Learning & Memory, 3, 608-618.
Hunt, M. G. (1998). The only way out is through: Emotional processing and recov­ery
after a depressing life event. Behaviour Research and Therapy, 36, 361-384.
316
Bibliografia
Isen, A. M. (1999). Positive affect. In M. J. Power & T. Dalgleish (Eds.), Handbook of
cognition and emotion (pp. 521-539). New York: Wiley.
Izard, C. E. (1991). The psychology of emotions. New York: Plenum Press.
James, W. (1890). The principles of psychology. Oxford, England: Holt.
Jones, N. A., Field, T., Fox, N. A., Davalos, M., & Gomez, C. (2001). EEC during
different emotions in 10-month-old infants of depressed mothers. Journal of Reproductive and Infant Psychology, 19, 295-312.
Joseph, R. (1996). Neuropsychiatry, neuropsychology and clinical neuroscience (2nd ed.).
Baltimore: Williams & Wilkins.
Kabat-Zinn, J. (1990). Full catastrophe living. New York: Delta.
Kabat-Zinn, J., Lipworth, L, & Burney, R. (1985). The clinical use of mindfulness
meditation for the self-regulation of chronic pain. Journal of Behavioral Medicine,
8, 163-190.
Kabat-Zinn, J., Massion, A. O., Kristeller, J., Peterson, L. G., Fletcher, K. E., Pbert, L,
et al. (1992). Effectiveness of a meditation-based stress reduction program in the
treatment of anxiety disorders. American Journal of Psychiatry, 149, 936-943.
Kagan, F. (2003). Differentiating depression: A qualitative analysis of the depression themes
within 36 case studies. Unpublished honors thesis, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Kendler, K. S., Hettema, J. M., Butera, F., Gardner, C. O., &. Prescott, C. A. (2003).
Life event dimensions of loss, humiliation, entrapment, and danger in the pre­
diction of onsets of major depression and generalized anxiety. Archives of General
Psychiatry, 60, 789-796.
Kennedy, S. H., Javanmard, M., & Vaccarino, F. J. (1997). A review of functional
neuroimaging in mood disorders: Positron emission tomography and depres­sion.
Canadian Journal of Psychiatry, 42, 467-475.
Kennedy-Moore, E., &. Watson, J. C. (1999). Expressing emotion: Myths, realities, and
therapeutic strategies. New York: Guilford Press.
Kerr, T., Walsh, J., & Marshall, A. (2001). Emotional change processes in music-assisted reframing. Journal of Music Therapy, 38, 193-211.
Klein, M. H., Mathieu-Coughlan, P., & Kiesler, D. J. ( 1986). The experiencing scales.
In L. S. Greenberg & W. Pisof (Eds.), The psychotherapeutic process: A research
handbook (pp. 21-71). New York: Guilford Press.
Klerman, G., Weissman, M., Rounsaville, B., & Chevron, E. (1984). Interpersonal
psychotherapy of depression. New York: Basic Books.
Korman, L. M. (1998). Changes in clients’ emotion episodes in therapy. Unpublished
doctoral dissertation, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Kwan, K., Watson, J. C., & Stermac, L. (2000, June). An examination of the relation­
ship between clients’ social experience of psychotherapy, the working alliance and psy­
chotherapy outcome. Paper presented at the 31st Annual Meeting of the Society for
Psychotherapy Research Conference, Chicago.
Ladavas, E., Cimatti, D., del Pesce, M., & Tuozzi, G. (1993). Emotional evaluation
with and without conscious stimulus identification: Evidence from a split-brain
patient. Cognition and Emotion, 7, 95-114.
Lane, R. D., Quinlan, D. M., Schwartz, G. E., Walker, P. A., & Zeitlin, S. (1990).
317
La terapia emotion-focused per la depressione
The Levels of Emotional Awareness Scale: A cognitive-developmental mea­sure of
emotion. Journal of Personality Assessment, 55, 124-134.
Lane, R. D., Reiman, E. M., Axelrod, B., Yun, L.-S., Holmes, A., & Schwartz, G.
E. (1998). Neural correlates of levels of emotional awareness: Evidence of an in­
teraction between emotion and attention in the anterior cingulate cortex. Jour­nal
of Cognitife Neuroscience, 10, 525-535.
Lane, R. D., & Schwartz, G. E. (1992). Levels of emotional awareness: Implications
for psychotherapeutic integration. Journal of Psychotherapy Integration, 2, 1-18.
Lane, R. D., Sechrest, L., Riedel, R., Shapiro, D., & Kasniak, A. (2000). Pervasive
emotion recognition deficit common to alexithymia and the repressive coping
style. Psychosomatic Medicine, 62, 492-501.
Lane, R. D., Sechrest, L., Reidel, R., Weldon, V., Kaszniak, A., & Schwartz, G. E.
(1996). Impaired verbal and nonverbal emotion recognition in alexithymia. Psychosomatic Medicine, 58, 203-210.
Lane, R. D., Shapiro, D. E., Sechrest, L., & Riedel, R. (1998). Pervasive emotion recognition deficit common to alexithymia and repression. Psychosomatic Medi­cine,
60, 92.
Lang, P. J. (1995). The emotion probe: Studies of motivation and attention. Ameri­can
Psychologist, 50, 372-385.
Lange, K., Williams, L. M., Young, A. W., Bullmore, E. T., Brammer, M. J., Will­iams,
S. C. R., et al. (2003). Task instructions modulate neural responses to fearful facial
expressions. Biological Psychiatry, 53, 226-232.
Lazarus, R. S. (1991). Emotion and adaptation. New York: Oxford University Press.
Le Doux, J. (1996). The emotional brain: The mysterious underpinnings of emotional life.
New York: Simon & Schuster.
Leijssen, M. (1996). Characteristics of a healing inner relationship. In R. Hutterer,
G. Pawlowsky, P. F. Scmid, & R. Stipsits (Eds.), Client-centered and experiential
psychotherapy towards the nineties (pp. 225-250). Leuven, Belgium: Leuven Uni­
versity Press.
Leijssen, M. (1998). Focussing microprocesses. In L. Greenberg, J. Watson, & G.
Lietaer (Eds.), Handbook of experiential psychotherapy (pp. 121-154). New York:
Guilford Press.
Levenson, R. W. (1992). Autonomie nervous system differences among emotions. Psychological Science, 3, 23-27.
Leventhal, H. (1984). A perceptual motor theory of emotion. In L. Berkowitz (Ed.),
Advances in experimental social psychology (pp. 117-182). New York: Academic
Press.
Leventhal, H., & Scherer, K. (1987). The relationship of emotion to cognition: A
functional approach to a semantic controversy. Cognition and Emotion, 1, 3-28.
Levinas, E. (1998). Otherwise than being, or beyond essence. Pittsburgh, PA: Duquesne
University Press.
Levitt, J. T., Brown, T. A., Orsillo, S. M., & Barlow, D. H. (in press). The effects of
acceptance versus suppression of emotion on subjective and psychophysiologi-cal
response to carbon dioxide challenge in patients with panic disorder. Behav­ior
Therapy.
318
Bibliografia
Lietaer, G. (1993). Authenticity, congruence and transparency. In D. Brazier (Ed.), Beyond Carl Rogers: Towards a psychotherapy for the 21st century (pp. 17-46). London:
Constable.
Linehan, M. M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disor­
der. New York: Guilford Press.
Linville, P. W. (1985). Self-complexity and affective extremity: Don’t put all of your
eggs in one cognitive basket. Social Cognition, 3, 94-120.
Linville, P. W. (1987). Self-complexity as a cognitive buffer against stress-related illness
and depression. Journal of Personality and Social Psychology, 52, 663-676.
Lischetzke, T., & Eid, M. (2003), Is attention to feelings beneficial or detrimental
to affective well-being? Mood regulation as a moderator variable. Emotion, 3,
361-377.
Luborsky, L., Singer, B., & Luborsky, L. (1975). Comparative studies of psycho-therapies: Is it true that “everyone has won and all must have prizes”? Archives of General
Psychiatry, 32, 995-1008.
Luria, A. R. (1976). Cognitive development: Its cultural and social foundations. Cam­
bridge, MA: Harvard University Press.
Magai, C., & Haviland-Jones, J. (2002). The hidden genius of emotion. Cambridge,
England: Cambridge University Press.
Mahoney, M. (1991). Human change processes. New York: Basic Books.
Mahoney, M. J. ( 1995 ). Emotionality and health: Lessons from and for psychotherapy. InJ. W. Pennebaker (Ed.), Emotion, disclosure, and health (pp. 241-253).
Wash­ington, DC: American Psychological Association.
Malcolm, W., Warwar, S. &. Greenberg, L. (in press). Facilitating forgiveness in in­
dividual therapy as an approach to resolving interpersonal injuries. In E. L. Worthingtonjr. (Ed.), The forgiveness handbook. New York: Brunner-Routledge.
Mangina, C. A., & Beuzeron-Mangina, J. H. (1996). Direct electrical stimulation of
specific human brain structures and bilateral electrodermal activity. Interna­tional
Journal of Psychophysiology, 22, 1-8.
Markus, H., & Wurf, E. (1987). The dynamic self-concept: A social psychological
perspective. Annual Review of Psychology, 38, 299-337.
Maslow, A. (1971). The farther reaches of human nature. New York: Viking.
Mayberg, H., Lewis, P., Regenold, W., & Wagner, H. (1994). Paralimbic hypofusion
in unipolar depression. Journal of Nuclear Medicine, 35, 929-934.
Mayberg, H., Liotti, M., Brannan, S., McGinnis, S., Mahurin, R., Jerabek, P., et al.
(1999). Reciprocal limbic-cortical function and negative mood: Converging PET
findings in depression and normal sadness. American Journal of Psychiatry, 156,
675-682.
Mayer, J. D., & Hanson, E. (1995). Mood-congruent judgment over time. Personality
and Social Psychology Bulletin, 21, 237-244.
Myers, D. (1996). Social psychology. New York: McGraw-Hill.
Neimeyer, R., & Mahoney, M. (1995). Constructivism in psychotherapy. Washington,
DC: American Psychological Association.
Nolen-Hoeksema, S. (2001). Gender differences in depression. Current Directions in
Psychological Science, 10, 173-176.
319
La terapia emotion-focused per la depressione
Norcross, J. C. (2002). Empirically supported therapy relationships. In J. C. Norcross
(Ed.), Psychotherapy relationships that work: Therapist contributions and responsiveness to patients (pp. 3-16). London: Oxford University Press.
Oatley, K. (1992). Best laid schemes. Cambridge, England: Cambridge University
Press.
Oatley, K., & Jenkins, J. (1992). Human emotions: Function and dysfunction. An­nual
Review of Psychology, 43, 55-85.
Ochsner, K. N., Bunge, S. A., Gross, J. J., & Gabrieli, J. D. E. (2002). Rethinking feelings: An fMRI study of the cognitive regulation of emotion. Journal of Cog­nitive
Neuroscience, 14, 1215-1229.
Ohman, A., & Mineka, S. (2001). Fears, phobias, and preparedness: Toward an evolved
module of fear and fear learning. Psychological Review, 108, 483-522.
Orlinsky, D. E., & Howard, K. I. (1986). Process and outcome in psychotherapy. In S.
Garfield & A. Bergin (Eds.), Handbook of psychotherapy and behavior change (pp.
311-381). New York: Wiley.
Orsillo, S. M., Roemer, L., & Barlow, D. H. (in press). Integrating acceptance and
mindfulness into existing cognitive-behavioral treatment for GAD: A case study.
Cognitive and Behavioral Practice.
Paivio, S. C., & Greenberg, L. S. (1995). Resolving “unfinished business”: Efficacy of
experiential therapy using empty-chair dialogue. Journal of Consulting and Clinicai Psychology, 63, 419-425.
Paivio, S. C., & Greenberg, L. S. (1998). Experiential theory of emotion applied to
anxiety and depression. In W. F. Flack Jr., & J. D. Laird (Eds.), Emotions in psychopathology: Theory and research (pp. 229-242). London: Oxford University Press.
Paivio, S. C., Hall, I. E., Holowaty, K. A. M., Jellis, J. B., & Tran, N. (2001). Imagi-nal confrontation for resolving child abuse issues. Psychotherapy Research, 11,
433-453.
Paivio, S. C., &Nieuwenhuis, J. A. (2001). Efficacy of emotionally focused therapy
for adult survivors of child abuse: A preliminary study. Journal of Traumatic Stress,
14, 115-134. Palfai, T. P., & Salovey, P. (1993). The influence of depressed and
elated mood on deductive and inductive reasoning. Imagination, Cognition and
Personality, 13, 57-71.
Panksepp, J. (2001). Neuro-affective processes and the brain substrates of emotion:
Emerging perspectives and dilemmas. In A. Kazniak (Ed.), Emotions, qualiaand
consciousness: Proceedings of the International School of Biocybernetics Casamicciola,
Napoli, Italy, 19-24 October 1998 (pp. 160-180). Singapore: World Scientific.
Parrott, W. G., & Sabini, J. (1990). Mood and memory under natural conditions:
Evidence for mood incongruent recall. Journal of Personality and Social Psychology,
59, 321-336.
Pascual-Leone, A., & Greenberg, L. S. (2004, June). Resolving emotional distress: An
empirical study. Paper presented at the International Meeting of the Society for
Psychotherapy Research, Rome, Italy.
Pascual-Leone, J. (1987). Organismic processes for neo-Piagetian theories: A dialec­
tical causal account of cognitive development. International Journal of Psychology,
22, 531-570.
320
Bibliografia
Pascual-Leone, J. (1990). An essay on wisdom: Toward organismic processes that make
it possible. In R. J. Sternberg (Ed.), Wisdom: Its nature, origins, and devel­opment
(pp. 244-278). New York: Cambridge University Press.
Pascual-Leone, J. (1991). Emotions, development and psychotherapy: A dialectical
constructivist perspective. In J. Safran &. L. Greenberg (Eds.), Emotion, psychotherapy and change (pp. 302-335). New York: Guilford Press.
Pascual-Leone, J., & Johnson, J. (2004). Affect, self-motivation, and cognitive de­
velopment: A dialectical constructivist view. In Y. D. Dai & R. J. Sternberg (Eds.),
Motivation, emotion, and cognition: Integrative perspectives on intellectual functioning and development (pp. 197-236). Mahwah, NJ: Erlbaum.
Pennebaker, J. W. (1990). Opening up: The healing power of confiding in others. New
York: William Morrow.
Pennebaker, J. W. (1995). Emotion, disclosure, and health. Washington, DC: Ameri­can
Psychological Association.
Pennebaker, J. W., & Segai, J. (1999). Forming a story: The health benefits of narra­
tive. Journal of Clinical Psychology, 55, 1243-1254.
Peris, F., Hefferline, R. F., & Goodman, P. (1951). Gestalt therapy. New York: Dell.
Phan, K. L., Taylor, S. F., Welsh, R. C., Decker, L. R., Noll, D. C., Nichols, T. E., et
al. (2003). Activation of the medial prefrontal cortex and extended amygdala by
individual ratings of emotional arousal: A FMRI study. Biological Psychiatry, 53,
211-215.
Philippot, P., & Schaefer, A. (2001). Emotion and memory. In T. Mayne & G. Bonanno (Eds.), Emotions: Current issues and future directions (pp. 82-122). New York:
Guilford Press.
Philips, M, Drevets, W., Rauch, S., & Lane, R. (2003). Neurobiology of emotion
perception: 1. The neural basis of normal perception. Biological Psychiatry, 54,
504-514.
Piccinelli, M., & Wilkinson, G. (2000). Gender differences in depression: Critical
review. British Journal of Psychiatry, 177, 486-492.
Polster, E., & Polster, M. (1973). Gestalt therapy integrated. New York: Brunner/Mazel.
Pos, A. E., Greenberg, L. S., Goldman, R. N., & Korman, L. M. (2003). Emotional
processing during experiential treatment of depression. Journal of Consulting and
Clinical Psychology, 71, 1007-1016.
Prochaska, J. O., DiClemente, C. C., & Norcross, J. C. (1992). In search of how
people change: Application to addictive behaviors. American Psychologist, 47,
1102-1114.
Rauch, S. L., van der Kolk, B. A., Fisler, R. E., Alpert, N. M., Orr, S. P., Savage, C.
R., et al. (1996). A symptom provocation study of posttraumatic stress disor­der
using positron emission tomography and script-driven imagery. Archives of General
Psychiatry, 53, 380-387.
Reich, W. (1949). Character analysis. New York: Noonday.
Rennie, D. L. (1992). Qualitative analysis of the client’s experience of psychotherapy:
The unfolding of reflexivity. In S. G. Toukmanian & D. L. Rennie (Eds.), Psy­
chotherapy process research: Paradigmatic and narrative approaches (pp. 211-233).
321
La terapia emotion-focused per la depressione
Newbury Park, CA: Sage.
Rice, L. N. (1974). The evocative function of the therapist. In D. Wexler & L. N. Rice
(Eds.), Innovations in client-centered therapy (pp. 289-311 ). New York: Wiley.
Rice, L. N., & Greenberg, L. S. (1992). Humanistic approaches to psychotherapy. In
D. K. Freedheim (Ed.), History of psychotherapy: A century of change (pp. 197-224).
Washington, DC: American Psychological Association.
Rice, L. N., &. Kerr, G. P. (1986). Measures of client and therapist vocal quality. In L.
Greenberg & W. Pinsof (Eds. ), The psychotherapeutic process : A research hand’ book
(pp. 73-105). New York: Guilford Press.
Rice, L. N., Koke, C. J., Greenberg, L. S., & Wagstaff, A. K. (1979). Manual for client
vocal quality (Vols. 1 & 2). Toronto, Ontario, Canada: Counseling Develop’ ment
Centre, York University.
Riley, W. T., Treiber, F. A., & Woods, M. G. (1989). Anger and hostility in depres­sion.
Journal of Nervous and Mental Disease, 177, 668-674.
Rime, B., Finkenauer, C., Luminet, O., Zech, E., & Philippot, P. (1998). Social shar­
ing of emotion: New evidence and new questions. In W. Stroebe &. M. Hewstone
(Eds.), European review of social psychology (Vol. 9, pp. 225-258). Chichester, England: Wiley.
Rogers, C. R. (1957). The necessary and sufficient conditions of therapeutic person­
ality change. Journal of Consulting Psychology, 21, 95-103.
Rogers, C. R. (1959). A theory of therapy, personality and interpersonal relation­ships,
as developed in the client-centered framework. In S. Koch (Ed.), Psychol­ogy: A
study of a science (Vol. 3, pp. 184-256). New York: McGraw Hill.
Rogers, C. (1965). Client-centered therapy: Its current practice, implications, and theory,
Boston: Houghton-Mifflin.
Rolls, E. (1996a). The orbitofrontal cortex. Philosophical Transactions of the Royal Society of London B, 351, 1433-1444.
Rolls, E. T. (1996b). A theory of hippocampal function in memory. Hippocampus, 6,
601-620.
Ross, R., Smith, G. R., & Booth, B. M. (1997). Treatment outcomes in depressed
patients. Psychiatric Annals, 27, 119-123.
Rotondi-Trevisan, D., Angus, L., & Greenberg, L. (2004). Autobiographical memory
specificity and the York I depression study: An exploratory analysis. Manuscript
submitted for publication.
Rousseau, J.J. (1981). The confessions (J. M. Cohen, Trans.). New York: Penguin Classics. (Original work published 1781)
Safran, J. D., & Muran, J. C. (1998). The therapeutic alliance in brief psychotherapy:
General principles. InJ. D. Safran & J. C. Muran (Eds.), The therapeutic alliance
in brief psychotherapy (pp. 217-230). Washington, DC: American Psychological
Association.
Salovey, P., & Mayer, J. D. (1990). Emotional intelligence. Imagination, Cognition and
Personality, 9, 185-211.
Salovey, P., Mayer, J. D., Golman, S. L, Turvey, C., & Palfai, T. P. (1995). Emo­tional
attention, clarity, and repair: Exploring emotional intelligence using the Trait
Meta-Mood Scale. In J. W. Pennebaker (Ed.), Emotion, disclosure, and health (pp.
322
Bibliografia
125-154). Washington, DC: American Psychological Association.
Samoilov, A., & Goldfried, M. (2000). Role of emotion in cognitive behavior therapy.
Clinical Psychology Science and Practice, 7, 373-385.
Schaefer, S., Abercrombie, H., Lindgren, K., Larson, C., Ward, R., Oakes, T., et al.
(2000). Six-month test-retest reliability of MRI-defined PET measures of re­gional
cerebral glucose metabolic rate in selected subcortical structures. Human Brain
Mapping, 10, 1-9.
Schaefer S. M., Jackson, D. C., Davidson, R. J., Aguirre, G. K., Kimberg, D. Y., &
Thompson-Schill, S. L. (2002). Modulation of amygdalar activity by the con­scious
regulation of negative emotion. Journal of Cognitive Neuroscience, 14,913-921.
Scherer, K. R. (1984). Emotion as a multicomponent process: A model and some
cross-cultural data. Review of Personality and Social Psychology, 5, 37-63.
Schore, A. N. (2003). Affect deregulation and disorders of the self. New York: Norton.
Segal, Z. V., Williams, J. M. G., ckTeasdale, J. D. (2002). Mindfulness-basedcognitive
therapy for depression: A new approach to preventing relapse. New York: Guilford
Press.
Seligman, M. E. P. (1975). Helplessness: On depression, development, and death. New
York: W. H. Freeman, Times Books, Henry Holt & Co.
Shapiro, F. ( 1995 ). Eye movement desensitization and reprocessing: Basic principles, pro­
tocols, and procedures. New York: Guilford Press.
Shapiro, F. (2001). Trauma and adaptive information-processing: EMDR’s dynamic
and behavioral interface. In M. F. Solomon, R. J. Neborsky, L. McCullough, M.
Alpert, F. Shapiro, & D. Malan (Eds.), Short-term therapy for long-term change (pp.
112-129). New York: Norton.
Shostrom, E. (Producer). (1986). Three approaches to psychotherapy [Motion picture
seriesJ. Santa Ana, CA: Psychological Films.
Sicoli, L. (2005). Development and verification of a model of resolving hopelessness in
process-experiential therapy. Unpublished doctoral dissertation, York University,
Toronto, Ontario, Canada.
Siegel, D. J. (2003). An interpersonal neurobiology of psychotherapy: The devel­oping
mind and the resolution of trauma. In M. F. Soloman &. D. J. Siegel (Eds.), Healing trauma: Attachment, mind, body, and brain (pp. 1-56). New York: Norton.
Silberschatz, G., Fretter, P. B., & Curtis, J. T. (1986). How do interpretations influ­
ence the process of psychotherapy? Journal of Consulting and Clinical Psychology,
54, 646-652.
Smith, T. (1996, July). Severe life stress: Major depression and emotion related negative
memory. Paper presented at the International Society for Research on Emo­tions,
Toronto, Ontario, Canada.
Snyder, C. R. (1994). The psychology of hope: You can get there from here. New York:
Free Press.
Spinoza, B. (1967). Ethics. New York: Hafner. (Original work published 1675).
Sroufe, L. A. (1996). Emotional development: The organization of emotional life in the
early years. New York: Cambridge University Press.
Stanton, A. L, Danoff-Burg, S., Cameron, C. L., Bishop, M., Collins, C. A., Kirk, S.
B., et al. (2000). Emotionally expressive coping predicts psychological and physi323
La terapia emotion-focused per la depressione
cal adjustment to breast cancer. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 68,
875-882.
Stein, K. F., & Markus, H. R. (1994). The organization of the self: An alternative focus
for psychopathology and behavior change. Journal of Psychotherapy Inte­gration, 4,
317-353.
Stein, K. F., & Markus, H. R. (1996). The role of the self in behavioral change. Journal
of Psychotherapy Integration, 6, 349-384.
Stern, D. (1985). The interpersonal world of the infant. New York: Basic Books.
Stern, D. N. (1995). Self/other differentiation in the domain of intimate socio-affec-tive interaction: Some considerations. In P. Rochat (Ed.), The self in infancy:
Theory and research (pp. 419-429). Amsterdam, the Netherlands: North-Holland/
Elsevier Science Publishers.
Stiles, W. B. (1999). Signs and voices in psychotherapy. Psychotherapy Research, 9,
1-21.
Strupp, H. H., & Binder, J. (1984). Psychotherapy in a new key: A guide to time-limited
dynamic therapy. New York: Norton
Taylor, C. (1990). Human agency and language. New York: Cambridge University
Press.
Taylor, S. F., Phan, K. L., Decker, L. R., &. Liberzon, I. (2003). Subjective rating of
emotionally salient stimuli modulates neural activity. Neuroimage ,18, 650-659.
Teasdale, J. D., & Barnard, P. J. (1993). Affect, cognition, and change: Re-modelling
depressive thought. Hillsdale, NJ: Erlbaum.
Teasdale, J. D., Howard, R. J., Cox, S. G., Ha, Y., Brammer, M. J., Williams, S. C., et
al. (1999). Functional MRI study of the cognitive generation of affect. American
Journal of Psychiatry, 156, 209-215.
Teasdale, J. D., Segai, Z. V., Williams, J. M. G., Ridgeway, V. A., Soulsby, J. M.,
& Lau, M. A. (2000). Prevention of relapse/recurrence in major depression by
mindfulness-based cognitive therapy. Journal of Consulting and Clinical Psychol­
ogy, 68, 615-623.
Thase, M. E., & Howland, R. H. (1995). Biological processes in depression: An up­
dated review and integration. In E. E. Beckham & W. R. Leber (Eds.), Hand­book
of depression (2nd ed., pp. 213-279). New York: Guilford Press.
Thelen, E., & Smith, L. B. (1994). A dynamic systems approach to the development of
cognition and action. Cambridge, MA: MIT Press.
Thomas, P. (2003). Protection, dissociation, and internal roles: Modeling and treat­ing
the effects of child abuse. Review of General Psychology, 7, 364-380.
Tomkins, S. (1962). Affect, imagery and consciousness: The negative affects. New York:
Springer.
Tomkins, S. S. (1968). Affects: Primary motives of man. Humanitas, 3, 321-345.
Toukmanian, S. G. (1990). A schema-based information processing perspective on
client change in experiential psychotherapy. In J. Rombauts & G. Lietaer (Eds.),
Client-centered and experiential psychotherapy in the nineties (pp. 309-326). Leuven,
Belgium: Leuven University Press.
Toukmanian, S. G. (1992). Studying the client’s perceptual processes and their out­
comes in psychotherapy. In D. L. Rennie & S. G Toukmanian (Eds.), Psycho­
324
Bibliografia
therapy process research: Paradigmaticandnarrative approaches (pp. 77-107).Thou­
sand Oaks, CA: Sage.
Toukmanian, S. G. (1996). Clients’ perceptual processing: An integration of re­search
and practice. In W. Dryden (Ed.), Research in counselling and psychotherapy: Practical applications (pp. 184-210). Thousand Oaks, CA: Sage.
Trevarthen, C. (2000). Intrinsic motives for companionship in understanding: Their
origin, development, and significance for infant mental health. Infant Mental
Health Journal, 22,95-131.
Troeml-Ploetz, S. (1980). I’d come to you for therapy: Interpretation, redefinition
and paradox in Rogerian therapy. Psychotherapy: Theory, Research and Practice, 17,
246-257.
Tucker, D. M., Luu, P., Desmond, R. E., Jr., Hartry-Speiser, A,, Davey, C., & Flaisch,
T. (2003). Corticolimbic mechanisms in emotional decisions. Emotion, 3, 127149.
Tugade, M., & Fredrickson, B. (2000, August). Resilient individuals use positive emo­
tions to bounce back from negative emotional arousal. Paper presented at Interna­
tional Society for Research in Emotion, Quebec City, Quebec, Canada.
Udelman, D. (1986). Hope and the immune system. Stress Medicine, 2, 7-12.
Van der Kolk, B. A. (1994). The body keeps the score: Memory and the evolving psychobiology of post-traumatic stress. Harvard Review of Psychiatry, 1, 253-265.
Van der Kolk, B. A., & van der Hart, O. ( 1991 ). The intrusive past: The flexibility of
memory and the engraving of trauma. American Imago, 48, 425-454.
Van Geert, P. (1998). A dynamic systems model of basic developmental mecha­nisms:
Piaget, Vygotsky, and beyond. Psychological Review, 105, 634-677.
Vygotsky, L. S. (1962). Thought and language. Cambridge, MA: MIT Press. Vygotsky,
L. (1986). Thought and language. Cambridge, MA: MIT Press.
Wampold, B. E., Mondin, G. W., Moody, M., Stich, F., Benson, K., & Ahn, H. (1997).
A meta-analysis of outcome studies comparing bona fide psychothera-pies: Empirically, “all must have prizes.” Psychological Bulletin, 122, 203-215.
Warwar, S. (2003). Relating emotional processes to outcome in experiential psychotherapy
of depression. Unpublished doctoral dissertation, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Warwar, S., & Greenberg, L. S. (1999a). Ch’ent Emotional Arousal Scale - ///. Un­
published manuscript, York Psychotherapy Research Clinic, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Warwar, S., & Greenberg, L. (1999b, June). Emotional processing and therapeutic change.
Paper presented at the Annual Meeting of the International Society for Psycho­
therapy Research, Braga, Portugal.
Warwar, S., & Greenberg, L. S. (2000). Advances in theories of change and counsel­ing.
In S. D. Brown & R. W. Lent (Eds.), Handbook of counseling psychology (3rd ed.,
pp. 571-600). New York: Wiley.
Warwar, S., Greenberg, L, & Perepeluk, D. (2003, June). Reported in-session emo­tional
experience in therapy. Paper presented at the Annual Meeting of the Inter­national
Society for Psychotherapy Research, Weimar, Germany.
Watson, J. C. (1992, June). Facilitating affective change processes: Clients’ referential ac325
La terapia emotion-focused per la depressione
tivity, experiencing and IPR reports during the resolution of a problematic reaction.
Paper presented to the Society for Psychotherapy Research, Berkeley, CA.
Watson, J. C. (2001). Revisioning empathy: Theory, research, and practice. In D. Cain
& J. Seeman (Eds.), Handbook of research and practice in humanistic psychotherapies
(pp. 445-473). Washington, DC: American Psychological Association.
Watson, J. C., & Bohart, A. (2001). Integrative humanistic therapy in an era of managed care. In K. Schneider, J. F. T. Bugenthal, & F. Pierson (Eds.), The handbook
of humanistic psychology (pp. 503-520). Newbury Park, CA: Sage.
Watson, J. C., Enright, C., Kalogerakos, F., & Greenberg, L. S. (1998, June). An examination of therapists’ levels of control and affiliation in experiential and client-centered
therapies and its relationship to outcome. Paper presented to the 29th Annual Meeting of the International Society for Psychotherapy Research, Snowbird, UT.
Watson, J. C., & Geller, S. (2005). An examination of the relations among empa­
thy, unconditional acceptance, positive regard and congruence in both cogni­tivebehavioral and process-experiential psychotherapy. Psychotherapy Research, 15,
25-33.
Watson, J. C., Gordon, L. B., Stermac, L., Kalogerakos, F., & Steckley, P. (2003).
Comparing the effectiveness of process-experiential with cognitive-behavioral
psychotherapy in the treatment of depression. Journal of Consulting and Clinical
Psychology, 71,773-781.
Watson, J. C., & Greenberg, L. S. (1994). The working alliance in experiential therapy:
Enacting the relationship conditions. In A. Horvath & L. Greenberg (Eds.), The
working alliance: Theory, research and practice (pp. 153-172). New York: Wiley.
Watson,J. C., & Greenberg, L. S. (1995). Alliance ruptures and repairs in experien­tial
therapy. In Session: Psychotherapy in Practice, 1, 19-31.
Watson, J., & Greenberg, L. (1996). Emotion and cognition in experiential therapy:
A dialectical-constructivist position. In H. Rosen & K. Kuelwein (Eds.), Con­
structing realities: Meaning-making perspectives for psychotherapists (pp. 253-276).
San Francisco: Jossey-Bass.
Watson, J. C., &. Rennie, D. L. (1994). Qualitative analysis of clients’ subjective experience of significant moments during the exploration of problematic reac­tions.
Journal of Counseling Psychology, 41, 500-509.
Weston, J. (2005). Interruption of emotional experience in psychotherapy. Unpublished
doctoral dissertation, York University, Toronto, Ontario, Canada.
Whalen, P. J. (1998). Fear, vigilance, and ambiguity: Initial neuroimaging studies of
the human amygdala. Current Directions in Psychological Science, 7, 177-188.
Whelton, W. J., & Greenberg, L. S. (2001). The self as a singular multiplicity: A process-experiential perspective. In J. C. Muran (Ed.), Self-relations in the psy­chotherapy
process (pp. 87-110). Washington, DC: American Psychological Association.
Whelton, W. J., & Greenberg, L. S. (in press). Emotion in self-criticism. Personality
and Individual Differences.
Whelton, W. J., & Henkelman, J. J. (2002). A verbal analysis of forms of self-criticism.
Alberta Journal of Educational Research, 48, 88-90.
Williams, J. M. G., Stiles, W. B., & Shapiro, D. A. (1999). Cognitive mechanisms in
the avoidance of painful and dangerous thoughts: Elaborating the assimilation
326
Bibliografia
model. Cognitive Therapy and Research, 23, 285-306.
Zajonc, R. B. (2000). Feeling and thinking: Closing the debate over the indepen­dence
of affect. In J. P. Forgas (Ed.), Feeling and thinking: The role of affect in social cognition (pp. 31-58). New York: Cambridge University Press.
Zimbardo, P., Ebbesen, E., & Malasch, C. (1997). Influencing attitudes and changing
behavior. Reading, MA: Addison-Wesley.
327