l`amore di cristo ci spinge

Transcript

l`amore di cristo ci spinge
L’Amore di Cristo ci spinge
L’AMORE DI CRISTO CI SPINGE
Preparando il XXII Capitolo Generale
P. José Ornelas Carvalho
Superiore Generale SCJ
Introduzione
In tempo di grandi scelte, è importante tornare alle vere motivazioni. Un Capitolo Generale è sempre una di
queste occasioni nodali nella vita di un Istituto come il nostro. In questa prospettiva, il motto proposto per il
XXII Capitolo Generale ─ L’amore di Cristo ci spinge ─ si rivela particolarmente ispirante e fondamentale. In
effetti, esso orienta lo sguardo verso il fondamento da dove proviene la motivazione, l’energia e lo stile
dell’agire cristiano e, in modo particolare del nostro specifico carisma come Congregazione.
Come contributo, per questo scendere alle radici fondanti della nostra vocazione, vorrei presentare una
riflessione, ispirato nella metodologia della “lectio divina”, sul testo paolino (2Cor 5,14-21) da dove viene
estratto il motto capitolare, allo scopo di aiutare il confronto con la realtà che viviamo in questo momento
come Congregazione. Comincerò, dunque, con una lettura commentata del testo, seguita da un
approfondimento nell’ambito del pensiero paolino, cercando, in seguito, di rifletterlo nella nostra realtà
attuale. Lo scopo di tutto il percorso è quello di metterci davanti alle sfide di oggi, con l’animo rinnovato dalla
parola di Dio, in modo da prendere decisioni secondo il suo Spirito.
1. Leggendo il testo di Paolo (2Cor 5,14-21)
I rapporti di Paolo con la comunità di Corinto sono tra i più intensi e anche controversi fra quelli che lo
legarono alle numerose comunità da lui fondate, costituendo, ancor oggi, oggetto d’investigazione tra gli
esegeti. Senza entrare nei dettagli, possiamo ritenere come abbastanza sicuro che Paolo abbia esercitato il
ministero apostolico in Corinto, per circa un anno e mezzo, tra gli anni 50 e 52. Obbligato a lasciare la città
per una congiura dei giudei, egli lascia una comunità relativamente numerosa e consolidata, ma ugualmente
diversificata, nella grande varietà delle origini, formazione e condizione sociale dei suoi membri.
Dopo la partenza, passato a Gerusalemme e tornato alle comunità recentemente fondate, durante il terzo
viaggio apostolico, riceve notizie di difficoltà sorte nella comunità di Corinto, che non soltanto mettono in
causa la sua persona e il suo ruolo apostolico, ma che dividono la comunità e la portano lontano dal vangelo
da lui annunciato. Questi fatti portano a una serie di visite di Paolo stesso e dei suoi collaboratori e a uno
scambio di lettere. Di questi scritti ne possediamo due (le due lettere ai Corinzi), ma sappiamo che Paolo ne
scrisse almeno altre due: una precedente la nostra prima lettera ai Corinzi, riferita in 1Cor 5,9.11 e un’altra
prima della nostra seconda Corinzi, la cosiddetta “lettera delle lacrime”, nella quale l’apostolo si mostrò molto
duro verso la comunità, al fine di ristabilirvi ordine e l’autenticità evangelica messa in pericolo da alcuni
elementi della comunità stessa.
L’attuale seconda lettera ai Corinzi rappresenta, dunque, la ripresa dei contatti con la comunità, passata la
tempesta, riconoscendo la trasformazione ivi operata e ribadendo i principi su cui Paolo stesso si era
fondato nei rapporti con i corinzi. Tutta la prima parte della lettera (1,12-7,16) è una costante insistenza nel
proprio ruolo di Apostolo, nell’origine divina della sua missione, nel respingere le accuse dei suoi detrattori,
mediante la presentazione della rettitudine del suo comportamento tra i corinzi, del suo rapporto con il
Signore risorto, dell’autenticità del messaggio da lui predicato, e della sua personale dedizione al Vangelo e
dell’affetto che nutre per la comunità di Corinto. Il suo scopo va molto oltre la difesa personale: anche se non
scompare del tutto il tono polemico, la lettera si preoccupa di mettere le fondamenta di un rapporto sano, alla
luce del Vangelo. Come altrove, i problemi e le difficoltà diventano per l’apostolo occasioni per tornare al
fondamento delle cose, ai motivi del suo pensare ed agire e alle mete che vuole raggiungere.
La sezione da dove viene preso il motto per il capitolo generale (2Cor 5,14-21 – in realtà comincia già in
5,11-13, che serve da introduzione) si trova in questo contesto di presentazione delle ragioni del proprio
agire, costituendo parte di una unità argomentativa che suona come esortazione a tornare a Cristo come
base dell’intesa comune e superamento delle tensioni.
11 Avendo dunque il timore del Signore, cerchiamo di persuadere gli uomini, e siamo chiari davanti a Dio; e
spero di esserlo anche davanti alle vostre coscienze. 12 Non che incominciamo di nuovo a raccomandarci a
voi, ma è per darvi motivo di vanto per noi, da opporre a quelli il cui vanto è esteriore e non nel cuore. 13 Se
infatti siamo stati fuori di senno, lo fu per Dio, e se siamo ragionevoli, è per voi.
14 L’amore di Cristo ci spinge,
al pensiero che uno morì per tutti e quindi tutti morirono.
15 E morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi,
ma per Colui che è morto e risuscitato per loro.
16 Quindi ormai non conosciamo più nessuno secondo la carne.
Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne,
ora non lo conosciamo più così.
17 Quindi se uno è in Cristo, è creatura nuova;
le vecchie cose sono passate, ne sono nate di nuove!
18 E tutto è da Dio, il quale ci ha riconciliati con sé mediante Cristo,
e ci ha affidato il ministero della riconciliazione.
19 è stato Dio, infatti, a riconciliare con sé il mondo in Cristo,
non imputando agli uomini le loro colpe
e affidando a noi la parola della riconciliazione.
20 Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo,
ed è come se Dio esortasse per mezzo nostro.
Vi supplichiamo in nome di Cristo: riconciliatevi con Dio.
21 Colui che non conobbe peccato, egli lo fece peccato per noi,
affinché, in lui, noi potessimo diventare giustizia di Dio.
Avendo, dunque, il timore del Signore…
I primi due versetti, che servono d’introduzione all’argomentazione propriamente detta, lasciano capire
quanto si diceva prima sul tono polemico della lettera, sulla presentazione di Paolo come annunciatore
credibile del Vangelo e sulla ricerca di un’unità basata sull’onestà e coerenza della vita. Paolo menziona
liberamente i motivi che lo muovono a parlare di se: non cerca il culto della personalità o il proprio vanto, ma
vuole che i corinzi lo guardino come inviato da Dio, poiché la persona dell’apostolo e il suo modo di vita
─e
non soltanto quello che dice─ rende cred ibile il Vangelo. La “persuasione” da lui cercata non è al servizio
della propria immagine o carriera, ma dell’annuncio di Cristo. In questo modo, tutta la sua persona, il
messaggio che porta e la maniera in cui lo esprime, sono coerentemente presentati ai corinzi come stando
al servizio della missione a lui affidata, sia per la fiducia che ispirano nella comunità, sia per la risposta che
presentano a quelli che cercano, per motivi personali, di distruggere o di mettere al proprio servizio il
ministero apostolico.
L’amore di Cristo ci spinge…
Aprendo ai corinzi il proprio cuore, Paolo ricorda la ragione fondamentale del suo agire: l’amore di Cristo. In
diverse sue lettere egli torna su questo rapporto personale e prioritario con Colui che gli si era rivelato sulla
strada di Damasco e lo aveva accolto e chiamato, nonostante egli si comportasse da suo nemico e
persecutore, per affidargli la missione di annunciarlo al mondo, particolarmente tra i gentili. Da quel
momento in poi, la sua ragione di vivere è radicalmente cambiata: Non sono più io che vivo, ma è Cristo che
vive in me. La vita che ora io vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e dato per
me la vita (Gal 2,20).
I corinzi non devono, poi, pensare o lasciarsi dire che colui che ha annunciato loro il Vangelo lo abbia fatto
per altri motivi meno chiari del suo personale interesse. A partire dall’incontro con Cristo, la vita di Paolo ha
in Lui la sorgente della propria energia, come pure il criterio con cui giudicare la realtà, l’agenda con le
priorità da stabilire e gli scopi da raggiungere.
Una dedizione così esclusiva potrebbe suonare come “fanatismo” accecante e alienante… Solo che il Cristo
con cui Paolo si è trovato lo ha colpito precisamente per il suo amore, accoglienza e misericordia senza
limiti, quando lui, invece, cercava di distruggere quelli che lo seguivano. Cristo fissa non soltanto il
programma di Paolo, ma anche le motivazioni profonde e lo stile in cui svolgerlo. Se Paolo non annuncia il
Vangelo con interesse proprio, ma come dono ai corinzi stessi, è perché così ha imparato da Cristo, il quale
è venuto quando ancora eravamo peccatori offrendosi completamente per noi fino al dono della propria vita:
Dio ci dà prova del suo amore per noi nel fatto che, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo morì per noi
(Rm 5,8).
Strana è la conclusione che egli estrae dalla morte di Cristo: uno morì per tutti e quindi tutti morirono.
Verrebbe anzi da pensare che, per la morte di uno, tutti sono stati risparmiati… Il pensiero di Paolo, però, è
un altro: nella morte di Cristo, come dono d’amore, si apre un cammino nuovo anche per coloro che lo
seguono e ricevono il dono dello Spirito. A suo esempio, essi muoiono per la vita rivolta a loro stessi e
diventano, in comunione con Lui, dono per gli altri: Fummo dunque sepolti con lui per il battesimo per unirci
alla sua morte, in modo che, come Cristo è risorto dai morti per la gloria del Padre, così anche noi abbiamo
una vita del tutto nuova (Rm 6,4). Paolo ha fatto questa strada dopo l’incontro con Cristo, il cui amore, non
solo lo “spinge”, indicando il nuovo cammino, ma ha anche una funzione critica, purificante e liberatrice,
riguardo a tante altre motivazioni che deturpano il piano e il modo di agire di Dio. Questa idea della
purificazione attraverso l’amore è di estrema importanza per capire quello che Paolo intende per peccato,
riconciliazione e “riparazione”, di cui parleremmo più avanti. In Cristo morto e risorto, quelli che lo seguono
trovano, dunque, un principio e uno stile nuovo di vita.
Non conosciamo più nessuno secondo la carne…
Come succede spesso nella presentazione del suo pensiero, Paolo fa un inciso, prima di riprendere l’idea
della novità di vita, in modo da rispondere ancora alle obiezioni di quelli che lo accusano di non essere vero
apostolo, per non aver conosciuto personalmente Gesù. Questo è ancora un modo umano di ragionare,
afferma lui. Il Signore che si è rivelato a lui è Gesù risorto, lo stesso che conoscono i corinzi e la
maggioranza dei cristiani. Aver conosciuto Gesù di Nazareth nella sua carne non è indifferente, ma a niente
giova se non si è in comunione con il Cristo risorto, nella potenza del suo Spirito. Conoscere non è, per
Paolo, una semplice questione noetica: significa collegarsi, avere un rapporto e impegno personale. Gesù
non è un personaggio rimasto nella storia passata o nei ricordi della memoria individuale e comune, ma
principio vivente e vivificante per tutti quelli che ricevono il suo Spirito.
Inoltre, questa scelta esistenziale provoca un cambio radicale nel modo di guardare la realtà e le persone, di
giudicare le situazioni, di prendere decisioni. Tutto è visto alla luce di Cristo e di Cristo morto e risuscitato –
la meta raggiunta da Gesù di Nazareth. L’adesione a Cristo provoca un cambio mentale, culturale ed
esistenziale: il cambio del cuore. Questo è lo stile di vita che Paolo vive e che pretende sia condiviso anche
dai corinzi.
… se uno è in Cristo, è creatura nuova
Vivere in Cristo significa rinascere dallo Spirito, dall’alto: nuova persona, nuovo mondo (cf. Rm 8; Gv 3). Non
si tratta solo di una realtà interiore e spirituale, in ordine alla salvezza escatologica, ma di un nuovo
atteggiamento esistenziale, che crea un mondo nuovo, una nuova società, a partire da adesso. La comunità
cristiana è semente, fermento e profezia di questa nuova creazione. Come spiegherà in Rm 8,18-25, Paolo
vede questa trasformazione come un lavoro continuo dello Spirito, che si opera nella vita di ciascuno, ma
che deve dare origine a una nuova umanità, libera dalla schiavitù del peccato e dalla morte: L’umanità
stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per ottenere la libertà della gloria dei figli di Dio.
Tutto questo viene da Dio…
Questo nuovo modo di vita, di società, di umanità... non è solo la continuazione di un processo di evoluzione
umana, ma il risultato di un nuovo, libero ed amoroso intervento di Dio, il Creatore, attraverso il dono dello
Spirito, in Cristo. La pienezza della vita della bontà, della gioia, della pace, non proviene da un “gene”
umano, ma dallo Spirito di Dio. È lo Spirito, infatti, che ci inserisce nella famiglia stessa di Dio, per un nuovo
modo di vivere e per una nuova speranza di pienezza, che va oltre quello che ogni uomo potesse sognare di
raggiungere. Il primogenito e modello di questa nuova famiglia è Cristo, nuovo Adamo e capostipite della
nuova umanità (cf. Rm 5,12ss).
Riconciliati… al servizio della riconciliazione
Alla luce di ciò si deve capire cosa significa il grande mistero della riconciliazione in Cristo e del servizio della
riconciliazione del quale Paolo si sente ministro. La riconciliazione, o il perdono dei peccati, non è
semplicemente un atto giuridico di non imputazione o condono delle colpe. Questo è solo il primo passo
dell’amore di Dio verso l’umanità: Lui non applica il principio di una giustizia della reciprocità verso l’uomo
peccatore, ma non tiene in conto il peccato umano che rifiuta la sua vita e il suo progetto. Davanti all’uomo
infedele che lo rifiuta, Lui non assume il corrispondente atteggiamento di allontanamento o di punizione, ma
rimane fedele alla sua alleanza e al suo amore.
Il risultato pieno di quest’atteggiamento di fedeltà di Dio è Cristo, la parola di riconciliazione. Offrendolo a
questa umanità allontanata, divisa e decadente, innesta in essa un principio vitale nuovo; inserisce, per così
dire, un “nuovo codice genetico”, che non è solo umano, ma patrimonio della famiglia di Dio, dato che lui è Il
Figlio. Se il peccato è la rottura, la degradazione e la morte, il nuovo principio vitale dello Spirito è portatore
di comunione, integrità e vita perenne come quella di Dio stesso.
Essere figli e figlie amati da Dio, nel Figlio Gesù, è il vero processo di riconciliazione nello Spirito. Più che
perdono o condono del passato─ che non si può più cambiare ─ la riconciliazione significa il dono dello
Spirito di filiazione che ci permette di chiamare Dio il Padre amato: Poiché siete figli, Dio inviò lo Spirito del
Figlio suo nei nostri cuori, il quale grida: «Abbà, Padre!» (Gal 4,6). Infatti tutti coloro che si lasciano guidare
dallo Spirito di Dio sono figli di Dio (Rm 8,14). Come per il figlio prodigo, per l’uomo che ha la tendenza ad
allontanarsi da Dio, la misericordia del Padre offre sempre il ritorno a casa, alla vita nella famiglia.
Vivere nello Spirito, da figli/e di Dio, a esempio di Cristo, nella gioia, nella forza e nella speranza che
provengono dell’amore del Padre è il principio nuovo che opera la riconciliazione e la partecipazione nella
vita e missione di Cristo. È come figlio che Gesù può dire “ecco io vengo per fare la tua volontà”, perché
capisce e condivide il progetto del Padre. Da figli/e s’impara a guardare, apprezzare, valutare e agire come il
Padre. Senza questa comunione filiale con Dio, nello Spirito, non esiste vera vita cristiana.
Partendo da questa comunione fondamentale, la riconciliazione accolta e vissuta diventa missione: … ci ha
riconciliati con sé mediante Cristo, e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. Vivendo con gioia e
gratitudine l’amore del Padre, ci troviamo a condividere il suo progetto di riconciliare tutti i suoi figli e figlie
sparsi nel mondo in Cristo. Essendo figli, il nuovo principio vitale dello Spirito trasforma il nostro cuore a
immagine del cuore di Cristo, non soltanto nei sentimenti che genera verso il Padre, ma anche verso gli altri
uomini e donne, collocandoci al servizio della riconciliazione universale.
Colui che non conobbe peccato, egli lo fece peccato per noi, affinché, in lui, noi
potessimo diventare giustizia di Dio
La chiusura del testo ci presenta un pensiero tipicamente paolino che completa questo percorso di
riflessione: Dio non solo è fedele alla sua alleanza con l’uomo, anche quando questo non risponde al suo
amore, ma il modo come viene in suo aiuto, in Cristo, non cessa di stupire. Lui, il Figlio e il giusto, non
chiama da lontano, non offre una soluzione “amministrativa”, ma prende la condizione dell’uomo peccatore,
nella fragilità e incertezza della vita, affinché il nuovo germe divino possa trovare posto in seno all’umanità.
Questo prendere su di sé, con solidarietà esistenziale, le pene, le miserie, le ansietà e i sogni più arditi
dell’umanità, con un cuore di Figlio amato e fedele al Padre, apre un nuovo cammino in questa nostra natura
umana. È questo che si può designare come “riparazione”: la solidarietà esistenziale del giusto con il
peccatore, del forte con il debole, del ricco con il povero. Essa non si accontenta di lanciare una corda da
lontano e tirare su, ma scende laddove si trova colui che ha bisogno, o meglio, condivide e prende su di sé
la condizione di colui che è caduto per portarlo su con sé.
Tale è la giustizia di Dio. Non basterebbe all’uomo peccatore che Dio sapesse sempre distinguere i giusti
degli ingiusti: non arriveremmo mai ai valori minimi richiesti! Non sarebbe sufficiente che non ci punisse per
le nostre colpe: rimarremmo sempre nella nostra debolezza connaturale! Non ci gioverebbe nemmeno che
fosse soltanto misericordioso per perdonarci: ciò ci permetterebbe soltanto di trascinare un’esistenza di
costanti cadute, fino all’annientamento della morte. Si voleva un coinvolgimento più grande di Dio. Cristo è
questa risposta della giustizia di un Dio che è Padre: l’assoluta solidarietà/amore con la condizione
dell’uomo. Lo Spirito è principio nuovo che ricrea l’uomo, a immagine di Cristo, attraverso la partecipazione
nella vita stessa di Dio Padre.
Questo è il cammino di Paolo: Nella rivelazione di Cristo, fa l’esperienza dell’amore del Padre. Lui, che era
lontano da Cristo, chiuso nell’idea che Dio s’interessava soltanto della discendenza d’Abramo, ha fatto nel
contatto con il Signore risorto un’esperienza unica, che gli ha rivelato l’amore paterno di Dio. Questo ha fatto
di lui una persona nuova e gli ha dato una rinnovata comprensione di tutto. Perciò, a esempio di Cristo,
mette la propria vita a disposizione di questo progetto di Dio di riconciliare in sé tutta l’umanità.
Per questo gli preme tanto portare il Vangelo ai non giudei: perché in questo modo, nella diversità delle
razze e delle culture, si esprime, in modo speciale, l’universalità dell’amore di Dio, il Padre di tutta l’umanità.
Per questo vuole arrivare fino ai confini della terra: perché nella famiglia di Dio non può mancare nessun
elemento. Per questo si mostra così intransigente con quelli che vogliono chiudere il Vangelo nella propria
terra, cultura o razza: perché tradiscono l’amore universale di Dio. Per questo si fa vicino a tutti, senza
distinguere giudeo o greco, schiavo o libero, uomo o donna: perché così ha fatto con lui Cristo.
Perciò, anche le divisioni e i dissensi nella comunità di Corinto gli sembrano inammissibili. Essi mostrano
che i corinzi non hanno capito il Cuore di Dio, non sono guidati dal suo Spirito, non si comportano da figli/e
del Padre di tutti. Non basta estendere il Vangelo alle diverse culture, razze e nazioni. La vita della comunità
così generata deve essere segnata dallo Spirito di filiazione, che rende fratelli/sorelle i suoi membri. La
riconciliazione diventa accoglienza, comprensione, partecipazione, misericordia, e comunione di vita e di
missione.
Perciò, spinto dall’amore di Cristo, Paolo si sente come ambasciatore di Dio, ricordando, esortando e
promovendo la riconciliazione tra gli uomini, a partire della comunità stessa, offrendo il proprio perdono e
collocando le basi per superare le divergenze e costruire la comunione nello Spirito.
2. Parola di Dio per noi
Fare una lettura di questa parola nello Spirito comporta, non soltanto capire il nesso intimo di quello che si
legge, ma accettarlo come Parola di Dio per noi. Per questo ci disponiamo ad aprire la nostra vita concreta,
affinché sia “visitata” e fecondata da quanto ascoltiamo. La domanda semplice che bisogna farsi è: che cosa
mi/ci vuol dire questa parola? In che cosa essa mette in causa, conferma, cambia, muove la mia/nostra vita?
O, per stare al tema del Capitolo: in che modo e in che direzione ci spinge?
La risposta può variare da persona a persona, da comunità a comunità, ma dobbiamo anche tentare una
ricerca comune in ogni gruppo ecclesiale, come è il caso della Congregazione. Nella condivisione
comunitaria, questo si fa tramite la messa in comune di quello che ciascuno ha sentito come sfida per la
propria vita e per la comunità. Nella grande comunità, che è la Congregazione, questo mezzo della scrittura
è una forma per mettere in comune e proporre alla riflessione dei fratelli alcuni punti che, secondo me,
dobbiamo avere in mente, ascoltando questa parola nella situazione concreta della Congregazione che
prepara il Capitolo Generale.
Per noi Dehoniani, questo testo ha un valore speciale, perché attira la nostra attenzione verso il Cuore di
Cristo, centro della nostra vocazione carismatica, come espressione dell’amore di Dio per l’umanità. Con P.
Dehon, siamo abituati a rivolgere lo sguardo alla persona di Cristo come centro della nostra vita e delle
nostre opzioni apostoliche. Riscoprire il valore del lasciarci spingere dall’amore di Cristo, ha dunque il valore
di chiamarci alle più profonde radici della nostra vocazione.
Le nostre Costituzioni riferiscono anche questo testo per descrivere la nostra missione: “Dai suoi religiosi,
Padre Dehon si aspetta che siano dei profeti dell’amore e dei servitori della riconciliazione degli uomini e del
mondo in Cristo” (Cst 7). Inoltre, secondo la lettura del testo che abbiamo fatto, acquista un rilievo centrale la
prospettiva della solidarietà riparatrice, che ha sempre costituito una dimensione importante della nostra
spiritualità, anche se, spesso, la forma di comprenderla ed esprimerla, includeva elementi propri del tempo,
che si allontanano del pensiero paolino.
Trovo, dunque, molto significativo che, nell’anno dedicato all’apostolo Paolo, sia questo testo a guidarci nel
cammino del Capitolo Generale. Per aiutare la riflessione, e prima di entrare più specificamente nella vita e
prospettive della Congregazione, vorrei cominciare con quattro punti, che mi sembra riassumono il
messaggio di Paolo che abbiamo letto, e devono modellare l’atteggiamento di discernimento capitolare.
a) Prendiamo sul serio il metodo di Paolo per far fronte alla vita e ai problemi delle sue Chiese, tornando alle
motivazioni fondamentali. Non ci perdiamo in discussioni minori sui nostri interessi personali o corporativi di
gruppo, ma torniamo a quei valori che ci uniscono tutti, lasciandoci guidare dallo Spirito di Gesù attivo in
mezzo a noi. Non ci accontentiamo di “amministrare” la vita della Congregazione, ma cerchiamo di vedere
chiaramente cosa ci chiede lo Spirito, in quest’epoca di veloce cambiamento della Chiesa e della società.
b) Mettiamo effettivamente Cristo al centro della nostra vita personale e comunitaria. Dall’incontro di Paolo
con Cristo è nata la sua determinante missione tra le genti. Dall’esperienza di fede e di intima comunione di
P. Dehon con Cristo è nata la Congregazione. Nel tesoro del Suo Cuore, troveremo anche oggi il centro
della nostra comunione, la forza ed ispirazione per la missione.
c) Non perdiamo di vista l’universalità dell’annuncio del Vangelo. Paolo ha dovuto lottare parecchio con la
Chiesa del suo tempo per farle capire che solo impegnandosi nell’annuncio del Vangelo a tutte le genti essa
poteva essere fedele al progetto di Dio di riconciliare con se tutte le razze e le nazioni in Cristo. Lasciarci
spingere da Cristo non ci permette, dunque, di chiuderci in noi stessi, nelle nostre capacità e problemi, sia a
livello personale, sia di comunità o di Provincia/Regione/Distretto. Il mondo globalizzato in cui viviamo ha
bisogno della testimonianza dell’amore di Dio che abbraccia l’intera umanità. La comunione e collaborazione
internazionali e interculturali devono stare sempre nell’orizzonte della preghiera, della vita e della missione di
un Dehoniano.
d) Assumiamo realmente il servizio della riconciliazione nelle nostre comunità e nella nostra missione. È
nella comunione fraterna che si vive l’universalità dell’amore di Dio, che riconcilia con sé ciascuno di noi e
rende possibile la nostra mutua riconciliazione. Viviamo questa vocazione di promozione della giustizia di
Dio e della pace a esempio di Cristo, in solidarietà che si fa vicinanza e dono di vita con i fratelli che più
hanno bisogno di sostegno, comprensione e aiuto.
3. La Parola nella vita concreta della Congregazione
La Parola ascoltata e meditata deve essere confrontata con la vita reale, in modo da portare a propositi e
processi concreti di trasformazione. Una delle caratteristiche fondamentali di questa realtà è la crescente
diversificazione geografica e culturale della Congregazione o, semplificando molto, il suo dislocamento verso
il Sud del pianeta. Infatti, seguendo quello che succede nella maggioranza degli istituti religiosi e della
Chiesa nel suo insieme, la Congregazione sta diminuendo rapidamente, in termini numerici, in Europa e
America del Nord, mentre si sviluppa soprattutto in America Latina, Africa e Asia.
Nata e radicata in Europa, la Congregazione si è sviluppata soprattutto in questo continente, trovando qui le
sue basi culturali, i modelli del suo stile di vita e amministrazione, come pure le fonti dell’espressione del
proprio carisma e la base di partenza per la missione che ha raggiunto gli altri continenti. Oggi, le principali
Province storiche, alle quali si deve l’espansione della Congregazione nel mondo, hanno pochissime
vocazioni e si trovano in un processo di rapido invecchiamento, con la conseguente diminuzione delle
capacità apostoliche. Le province “del Nord” continuano ancora a dare il più grande contributo attivo alla
collaborazione internazionale, sia nel dominio della riflessione, come in quello dell’amministrazione e della
solidarietà nella condivisione dei beni, ma tale situazione sta cambiando molto rapidamente.
Frutto della missione delle prime province, i dehoniani si sono resi presenti negli altri continenti, ma queste
realtà sono state viste (e vedevano se stesse), per molto tempo, come destino della missione della
Congregazione, rimanendo in una situazione di dipendenza dalle grandi Province. Oggi, per sviluppo
proprio, per convinzione e anche per necessità, questo quadro sta cambiando velocemente, con la
diminuzione dei missionari provenienti dall’Europa, l’autonomia delle precedenti “missioni” e l’emergenza di
una generazione di confratelli locali che stanno prendendo in mano la vita delle loro Entità. Questo
passaggio dall’epoca missionaria ai confratelli locali è già sostanzialmente avvenuto in America Latina,
soprattutto in Brasile, come pure in Indonesia, e si sta verificando in tante altre parti dell’Africa e dell’Asia.
Non sono convinto che, nell’insieme della Congregazione ci siamo resi veramente conto di questa realtà e
del suo significato. Eppure questo è fondamentale per capire il presente e soprattutto per prospettare il
futuro. L’internazionalità e la multi-culturalità sono realtà con cui bisogna confrontarsi, nella forma di capire
ed esprimere il nostro carisma, nella pianificazione della formazione, nell’organizzazione delle nostre
comunità e nella riorganizzazione delle nostre strutture e stile di governo, come pure nella concezione e
realizzazione della nostra missione nella Chiesa e nel mondo.
È in questo senso che presento in seguito alcune considerazioni sulla vita della Congregazione, cercando di
confrontare le conclusioni dell’ascolto della Parola di Dio con le sfide che ci troviamo davanti.
Intenzionalmente non pretendo di essere completo né nella varietà né nella complessità di tali questioni.
Cercherò di selezionare alcune sfide che mi sembrano particolarmente importanti nel momento che viviamo,
privilegiando la prospettiva piuttosto globale della Congregazione. Seguirò nell’esposizione il triplice
approccio suggerito in preparazione al Capitolo: spiritualità, comunione e missione.
3.1. Modellati secondo il Cuore di Cristo – La dimensione spirituale
Questa è la prima e fondamentale sfida, dalla quale dipende tutta la nostra vita consacrata, a livello
personale e comunitario, come pure la qualità della nostra missione. Seguendo il motto capitolare, con la
sua caratterizzazione Paolina, dobbiamo domandarci seriamente, a livello personale e comunitario, come
pure a livello di ogni Entità e della Congregazione, se siamo veramente mossi dall’amore di Cristo e come
possiamo camminare nel proseguimento di questo scopo fondamentale della nostra vita.
a) In questo cammino, dobbiamo essere guidati dalla nostra spiritualità, seguendo le orme di P. Dehon. Nel
Cuore di Cristo troviamo l’immagine incarnata dell’amore che ci spinge. Bisogna riscoprire la metodologia
propria di una spiritualità del cuore: un approccio antropologico alla totalità della persona: memoria,
intelligenza, emozione, decisione e azione, che porti alla centralità e integrità, contro la frammentazione e
dispersione; all’interiorità e profondità, contro la superficialità ed esteriorità; alla verità e stabilità, contro la
finzione e instabilità. Un cuore libero e purificato può così rendersi disponibile per lasciarsi modellare dal
Cuore di Cristo, uomo nuovo, nella pienezza dello Spirito, in comunione con il Padre e generosamente
solidale con l’umanità.
b) Per raggiungere questo traguardo, bisogna rivisitare la nostra spiritualità carismatica. Essa è una
tradizione che, per secoli, ha alimentato successive generazioni di cristiani e fatto sorgere numerose famiglie
di consacrati al servizio della Chiesa e del mondo. Con il rinnovamento teologico e conciliare, si sentiva la
necessità di rinnovare la sua comprensione ed espressione e abbiamo conosciuto un periodo d’incertezza e
disorientamento. Bisogna evitare di buttar via il bambino con l’acqua del bagno, ma ugualmente di
continuare a bagnarlo nelle acque dei bagni passati. Stiamo superando la fase del rifiuto della spiritualità del
Cuore di Cristo, ma questo non può significare semplicemente il ritorno alle forme di comprensione e alle
manifestazioni di pietà del passato.
S’impone continuare la riflessione biblica e teologica sull’eredità spirituale di P. Dehon, sia come ritorno alle
radici storiche della nostra identità, sia come aggiornamento del pensiero e della sua espressione concreta.
Mi sembra particolarmente importante arrivare a proporre, sia per la congregazione, sia per i laici che
s’ispirano alla spiritualità dehoniana, un cammino pratico di rinnovamento spirituale e di impegno ecclesiale
e sociale a partire da questa spiritualità del Cuore. Questo richiede l’impegno, la condivisione e il
coordinamento di persone e iniziative che già sono in atto tra noi, per raccogliere, con animo fraterno e
critico, i suggerimenti dello Spirito e proporre vie comuni di rinnovata fedeltà al carisma che abbiamo
ricevuto. Per promuovere questi obiettivi, è fondamentale l’apertura del cuore allo Spirito a livello personale
e comunitario. Ma questo movimento di ascolto e trasformazione può e deve essere aiutato da iniziative a
livello delle Entità, dei continenti e dell’intera Congregazione.
c) Questo rinnovamento a partire dalla spiritualità è particolarmente importante nel contesto della diversità
culturale di cui ho parlato sopra. Il carisma dehoniano ha bisogno di trovare forme proprie di espressione nei
diversi ambienti culturali dove si trova la Congregazione e questo significherà, per tutti, un grande
arricchimento. Ma, d’altra parte, non bisogna dimenticare che anche le culture devono aprirsi alla luce dello
Spirito che le sfida e purifica. Diventando sempre più multi-culturali, abbiamo bisogno di aprirci alla diversità
senza perdere l’identità; accettare la pluralità senza perdere l’unità.
Anche in questo cammino, una spiritualità del cuore ─ intendendo cuore come centralità delle cose ─ ci deve
aiutare a trovare il fondamento che ci unisce e che deve essere così forte da poter tradursi e arricchirsi nella
varietà dei contesti culturali.
d) Tutto questo punta verso il ruolo fondamentale della formazione, che deve costituire la priorità delle
priorità, a tutti i livelli in cui si organizza la vita della Congregazione. Indubbiamente la formazione iniziale dei
giovani occupa un posto primario in questo contesto, ma oggi siamo ben coscienti che bisogna essere
costantemente aggiornati per capire il mondo in veloce cambiamento e per essere capaci di offrire il nostro
servizio al Regno di Dio in modo competente ed efficace.
Soprattutto in questo campo, oltre al necessario contributo delle scienze psicologiche e pedagogiche, ci
deve premere la ricerca di cammini propri della nostra spiritualità. La formazione deve condurre
all’educazione del cuore, secondo il modello del Cuore di Cristo, uomo nuovo nella pienezza dello Spirito.
Tutte le scienze umane devono essere seriamente ricercate e utilizzate per aiutarci a diventare persone
integre e libere, capaci di aprirsi a Dio e disponibili per mettere al servizio dei fratelli i doni da Lui ricevuti.
La formazione, come atteggiamento attivo di un discepolato che dura tanto quanto la vita, costituisce un
dovere di ognuno di noi e trova il proprio campo di svolgimento soprattutto a livello di ogni Entità. Oggi, però,
diventa sempre più chiaro che la dimensione internazionale e multi-culturale vi deve trovare uno spazio
fondamentale. La prospettiva paolina che ci guida con il motto del Capitolo ci invita ad aprire il cuore alle
dimensioni del Cuore di Cristo e a preparaci per rendere effettiva, nella missione, una tale universalità di
orizzonti. Credo che l’interculturalità e l’internazionalità, sia nella formazione iniziale o continua, sia nella
preparazione di formatori, ci stiano chiedendo forme più efficaci di cooperazione e di coordinamento
interprovinciale, tanto a livello continentale come di tutta la Congregazione. Solo così potremmo essere
preparati per le sfide della comunione e della missione, in un mondo sempre più globalizzato.
3.2. Fraternamente uniti da Cristo – La dimensione comunitaria
La comunità, come luogo dell’incontro/riconciliazione con Dio e tra gli uomini è la prima realizzazione del
Regno di Dio o, per stare al linguaggio paolino che ci guida, del Suo progetto di riconciliare con Sé tutta
l’umanità. Per noi, in modo speciale, che seguiamo l’eredità spirituale di P. Dehon, il sint unum della
preghiera di Gesù costituisce un richiamo fondamentale della nostra vocazione. Il livello della vita fraterna è
il migliore termometro per misurare la qualità della nostra vita spirituale, sia a livello personale, sia delle
comunità. Dato che si tratta di una realtà vivente e relazionale, essa si trova in costante cambiamento ed è
sempre in costruzione. Bisogna essere realisticamente coscienti della necessità di una costante
purificazione, rinnovamento e sforzo nella costruzione della comunità. Solo così sarà possibile la
riconciliazione tra noi, che rende testimonianza della nostra adesione a Cristo: In questo conosceranno che
siete miei discepoli: se vi amate gli uni gli altri (Gv 13,35).
Bisogna impegnarci nella costruzione di questa fraternità, dove:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Gesù è il centro.
La Parola di Dio (la Sua volontà) è la legge.
Lo Spirito è guida, forza e saggezza.
La Condivisione è il modo di vivere.
La Riconciliazione è la medicina.
La Speranza è il progetto.
L’Amore è la pienezza.
a) Siamo ben coscienti che la comunità religiosa non trova il proprio fondamento e coesione nell’affetto
naturale di un rapporto familiare o etnico, ma nella comune adesione a Cristo. Da qui l’importanza di poter
dire insieme, con Paolo: È l’amore di Cristo che ci riunisce e ci spinge. Questo comune riferimento a Cristo
non dispensa, però, i legami di attenzione, affetto, amicizia e amore tra noi. Al contrario, è tramite essi che si
dimostra che l’amore di Cristo fa di noi la famiglia di coloro che fanno la volontà di Dio (Mc 3,35). Per questo
è fondamentale che essa approfondisca e alimenti continuamente le ragioni del proprio essere nell’ascolto
comune della parola (lectio divina), nella mensa eucaristica, nel confronto e discernimento fraterno, nella
collaborazione mutua, nella riconciliazione accettata e offerta.
b) È facile che su questi principi ci troviamo d’accordo. Più difficile è che essi divengano cammino, strategia,
gesti e atti concreti, a livello di ogni comunità e Entità, come pure della Congregazione. Devono essere
criterio di discernimento vocazionale, tema centrale nella formazione iniziale e continua, come pure nella
preparazione di quelli che presiedono alle comunità, a livello locale e di tutta la Congregazione. Richiedono
anche tempi e spazi per la preghiera comune, per il convivio e lo scambio fraterno, per il confronto e la
ricerca della volontà di Dio e per metterla in pratica in comune.
c) Il nostro vivere insieme al servizio del Regno trova il proprio ambiente di sviluppo nella comunità locale,
ma si capisce più ampiamente nella comunione a livello di ognuna delle nostre Entità. Questo è il centro
dell’organizzazione della Congregazione, che ha, tra noi, una grande tradizione e continua a dare buoni
frutti. È a questo livello che ciascuno capisce il proprio lavoro alla luce di un progetto pastorale comune al
servizio della Chiesa e che sente la fraternità allargata aldilà di quelli con cui contatta tutti i giorni. Non esiste
un “Noi Congregazione” senza un “Noi Provincia/Regione/Distretto”.
d) Oggi, però, avvertiamo più che mai la necessità di un più grande interscambio e coordinazione
internazionale, sia nella vita sia nella missione delle nostre Province/Regioni /Distretti. A partire dallo
spostamento geografico e culturale della Congregazione, si può capire che, se rimaniamo chiusi a livello di
ogni entità, il nostro futuro si presenta molto problematico, sia per le Entità di antica tradizione, sia per le
nostre più recenti presenze nel mondo. Il messaggio universale di Paolo risuona per noi, oggi, in modo molto
incisivo. Nel contesto di una inarrestabile globalizzazione, la comunione interculturale e internazionale
intorno a Cristo costituisce una testimonianza e un appello profetico a superare le divisioni etnico-razziali e
la xenofobia e promuovere la riconciliazione e la pace.
e) Comunione e coordinamento internazionale non significano centralizzazione. Abbiamo bisogno di
perfezionare strutture e dinamiche di partecipazione, di interscambio di persone e di risorse, di consulta e di
preparazione delle decisioni, in modo da articolare il coordinamento della Congregazione in questo nuovo
mondo, a livello di Entità, di continente e di Congregazione. Se siamo insieme troveremo soluzioni ai nostri
problemi e risposte alle sfide del mondo.
3.3.Inviati a testimoniare l’amore di Dio – La dimensione missionaria
Nella dinamica biblica, e in particolare in quella paolina, l’incontro con Cristo e con la comunità da Lui
fondata conduce alla missione. Questa è intesa precisamente come estendere ad altri la
comunione/riconciliazione con Dio, che ha la sua prima realizzazione nella costituzione della comunità. Gli
orientamenti della Conferenza di Varsavia sulla nostra missione devono trovare, nel prossimo Capitolo, un
posto privilegiato di verifica e di proposizione. Prendo quattro principi, che mi sembrano di particolare
importanza per la situazione della Congregazione.
a) Il cambio geografico sopra ricordato ci obbliga a un cambio di mentalità riguardo l’idea stessa di missione.
Dividere il mondo in “paesi cristiani e paesi di missione” non corrisponde più alla realtà odierna: i paesi
“cristiani” non si possono chiamare più così e molti paesi di missione, hanno oggi più cristiani di quanti non
ne abbiano i primi. Tra noi, le Province che hanno dato il più grande contributo alla missione della
Congregazione hanno oggi poche vocazioni. Le altre Province, in cambio, hanno già capito che non possono
considerarsi solo come destinatarie, ma anche come punto di partenza della missione comune? E le
Province di antica tradizione, si sono rese conto che è necessario lasciare le nostre sagrestie per
evangelizzare di nuovo, aprendosi all’aiuto di altri?
b) Oggi, la missione parte da tutte le chiese, verso tutto il mondo. Non solo la bontà ecclesiale dell’idea ci
spinge a questo, ma anche la necessità. Il mondo di tradizione cristiana, oltre alla cavalcante laicità, si
confronta con un grande movimento migratorio, che ha trasformato le città in grandi spazi interculturali. Alla
sfida di questi nuovi areopaghi si può rispondere molto meglio tramite la costituzione di comunità
ugualmente pluri-culturali. Le nuove missioni della Congregazione sono quasi tutte internazionali, in termini
di persone e di supporto economico. Tutto questo richiede nuove forme di suscitare, organizzare e gestire la
disponibilità di persone e di mezzi, come pure la preparazione per la missione e la sua gestione concreta. Il
cambio di strutture introdotto dall’ultimo Capitolo Generale ha portato alcune soluzioni, ma deve essere
completato soprattutto con un nuovo approccio alla questione delle persone. In questa direzione si orientano
i due altri principi della Conferenza di Varsavia.
c) Per rispondere ancora alle nuove sfide missionarie, la Conferenza di Varsavia diceva che noi nasciamo
come dehoniani in una determinata Provincia/Regione/Distretto, ma la nostra missione è la missione della
Congregazione nel suo insieme. Questo significa che ci si deve preparare, a partire dalla formazione iniziale,
affinché questo scopo sia raggiungibile. A tale proposito assumono un significato importante l’informazione,
una certa esperienza internazionale e sicuramente lo studio delle lingue.
d) Per rendere concreto questo proposito a livello personale, la Conferenza preconizzava anche che si
doveva camminare nel senso di rendere possibile a ogni dehoniano di passare un tempo consistente della
propria vita in una missione distinta della propria Provincia di origine. Questo richiede che tutte le Province
diventino capaci di inviare, ma anche di ricevere confratelli per la propria missione e per la missione comune
di tutti noi nella Chiesa.
Conclusione
Celebriamo il prossimo Capitolo Generale in un tempo di grande cambiamento a livello mondiale ed
ecclesiale. La presente crisi economica dimostra, con tutta evidenza, che non ci sono più né prosperità né
problemi che possano essere gestiti individualmente. Nella Congregazione, il cambio geografico e culturale
che viviamo, è il più grande dai tempi di P. Dehon, al punto da trasformare i rapporti e le prospettive di
sviluppo della Congregazione.
Questi cambiamenti richiedono un nuovo sguardo e nuove soluzioni, particolarmente nella forma di capire ed
esprimere la nostra spiritualità, i rapporti all’interno della Congregazione e la forma di organizzare e rendere
efficace la nostra missione nella Chiesa e nel mondo.
Il testo paolino che ci viene proposto come motto per il Capitolo ci ispira nella ricerca di questi cammini
nuovi, mettendo l’accento su tre punti fondamentali sui quali puntare la nostra risposta all’oggi di Dio e agli
appelli del mondo: la centralità di Cristo che trasforma il nostro Cuore con il suo amore, la vita fraterna
aperta alla realtà multi-culturale della Congregazione, e l’universalità dell’amore di Dio che ci spinge alla
missione in tutte le razze e culture.