I L`inizio della fine La polvere penetrava negli occhi
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I L`inizio della fine La polvere penetrava negli occhi
I L’inizio della fine La polvere penetrava negli occhi, come spilli, celando quasi la strada che si nascondeva sotto ai piedi. Pieter incrociò ancora una volta quegli occhi, profondi, corrucciati dalla paura. In quello sguardo riflesso tra le pieghe dell’anima, avrebbe voluto leggere, impaziente, il segreto che si portava dietro da troppo tempo, ormai. Avrebbe voluto strappargli anche solo una parola ancora. Certo che qualunque sillaba avesse pronunciato avrebbe riaperto una ferita mai rimarginata. Tutto era successo troppo in fretta, tutto era accaduto come una insignificante fatalità, ma, dietro quella fatalità, c’era qualcosa di meno banale, questa volta. C’era una pagina misteriosa della sua vita, e non solo della sua, da voltare. La pagina più pesante, la più dolorosa. C’era un segreto custodito dietro mille bugie, c’era molto ma molto di più di quello che si aspettava, ma Pieter, questo, non poteva e forse non doveva ancora saperlo. Lui era chino su se stesso, intento a precedere il passo del giovane Pieter, ansioso e titubante allo stesso tempo. Incerto, fuori da ogni ragionevole dubbio, su ciò che il ragazzo si aspettasse veramente. Su come avrebbe potuto reagire. Quasi incurante di essere davanti a qualcosa di più grande di lui. Girarono prima lungo uno stretto viale alberato che correva in leggera pendenza verso il lato più scuro del cimitero. Ombre tenebrose si sparpagliavano lungo i lati del percorso. Come danze disordinate creavano inquietanti figure che il colore della notte, scura, cullava in se stessa. 7 Federico Vinzi Mai, si era spinto tanto in là. Mai, sino ad allora, aveva preso quella direzione, giusta o sbagliata che fosse. Era sempre una scelta, una sua scelta, dalla quale non era più possibile tornare indietro. Un sapore di terra si mescolava aspro in bocca, filtrando la saliva che, a fatica, scendeva in gola. Pieter iniziò a domandarsi se quello che stava facendo fosse veramente quello che voleva. Se fosse ancora in tempo per dimenticare e fare finta che nulla fosse successo. Forse era veramente troppo tardi. Forse, quel viale era veramente senza uscita e il trovarsi spalle al muro avrebbe dato un senso alla sua vita. Almeno per una volta, almeno. O, al contrario, l’avrebbe definitivamente spezzata. In un attimo ripensò a quella vita, in un attimo trovò il coraggio di restare ancora diritto sui propri piedi, poggiati sul terreno fangoso intriso di umidità. Come quando ti trovi a un bivio e non sai proprio che direzione prendere, quando ci sono soltanto due possibilità e una è quella sbagliata, in quel modo, in quella direzione Pieter rilesse in un istante il film del suo passato, iniziando dalla fine, dall’ultima scena. In un attimo vide riflessa nella notte l’ombra di quell’uomo e gli parve ancora più grande. Solo un uomo, è solo un uomo, uno come tanti, pensò. Ricurvo per l’età, esile e smagrito. Era soltanto un becchino, che probabilmente aveva trascorso gran parte della sua esistenza tra le lapidi di quel cimitero. Chiuso dentro le mura di quel piccolo luogo così macabro e inquietante. Lui, che di quell’uomo, infondo, non sapeva ancora nulla, nulla di più di quello che da lontano aveva osservato, aveva sottratto alla sua semplice esistenza quotidiana. Lui che l’anima, infondo, gli aveva rubato, anche se solo a distanza. Ma spiarlo non era come sentirlo respirare, udirlo schiacciare nervosamente il terreno sotto ai piedi. Sensazioni sconosciute, forse solo immaginate. Il sapore della polvere sotto la lingua. L’odore acre delle piante sotto la punta del naso. 8 Il mistero del cimitero vicino alla ferrovia E un senso di colpa fulmineo, pervase il suo spirito. Ma in quel momento, non c’era più posto, neppure per i rimpianti. In quel preciso istante i tetti di legno di Marscek, e il rumore assordante delle sue grosse campane sembrarono a Pieter, veramente lontani. Il centro del mondo era proprio lì, davanti ai suoi occhi, sotto ai suoi piedi. Con un gesto repentino, l’uomo indicò il brusco cambio di direzione. Ancora un sentiero, quasi nascosto nella vegetazione, cresciuta selvaggia tra le lapidi di marmo bianco. Ora, era necessario farsi largo tra le sterpaglie per vincere il cammino. Il passo si fece a un tratto ancora più difficoltoso. Una lotta tra l’uomo e la natura. Tutto davanti a loro sembrò mutare, improvvisamente. Tutto sembrò unirsi in un unico grande quadro, dipinto con i colori di una notte impavida e meschina. Le ombre, quasi a farsene gioco, li inghiottirono e tutto divenne un solo inconfondibile momento di silenzio. L’uomo si accompagnava a un piccolo bastone, con cui piegava i fusti chini su se stessi, che ostruivano il passo. Pieter si teneva alla giusta distanza, per non essere investito dalle fronde ingombranti ma quel tanto per rimanere beneficiato dall’incedere sicuro dell’uomo che lo precedeva. E poi quel copricapo di pelle di capra, stretto nelle mani. Ne sentiva l’odore penetrante mentre il sangue gli ribolliva nelle vene. Un senso di rabbia mista a dolore trafiggeva il suo animo. Perché, si continuava a domandare, perché la vita gli aveva chiesto ancora un’ altra prova. Non poteva bastare il dolore provato in tutti questi orribili anni, nel cercare di trovare una ragione? Sempre che una ragione ci fosse veramente stata. Era quello il momento per andare ancora oltre. Ma oltre, non era ancora abbastanza. E ora, afflitto da mille paure, e sconfitto, cosa ancora lo aspettava dietro l’angolo della propria amara esistenza? 9 Federico Vinzi L’odore di quell’uomo trasaliva dalla pelle del grosso copricapo che Pieter stringeva tra le mani. E un senso di nausea lo colse dal profondo. Pensò ancora a Ditmar, alle volte che lo vedeva partire da dietro il vetro appannato della grossa camera da letto, alle volte che, per farsi consolare si faceva prendere in braccio e si faceva accarezzare dolcemente la punta del naso. Pensò a quando lo vide partire per l’ultima volta e non lo vide più tornare, a quei giorni bui e tristi trascorsi ad aspettarlo al torrente vicino alla collina, dove i due fratelli spesso andavano a giocare e quasi le lacrime gli offuscarono la vista. Alcune volte, la mattina presto Pieter si svegliava di soprassalto, si affacciava alla finestra della sua camera da letto e, con i grossi occhi pieni di sonno, scorgeva il fratello più grande uscire dal portone di casa, con il fucile in spalla. Sensazioni. Sensazioni che si portava gelosamente dentro. Si voltò rapidamente verso quell’uomo. Fece un sorriso che scavò il volto, smagrito. Non so veramente se Pieter fosse in grado di capire che quel gesto era quello di una persona che condivideva il suo dolore, la sua preoccupazione. Pieter non contraccambiò, non avrebbe mai trovato la forza per farlo. Il suo volto pallido, terrorizzato. Impossibile da dimenticare. Impossibile fare finta di niente. Apparso un giorno nella vita di Pieter e da allora mai più dimenticato, neppure per una frazione di secondo. Un tormento. Una ferita aperta, lacerante, nel cuore e nell’anima fragile di quel ragazzo. Goran, aveva aspettato impaziente il giovane Pieter quella sera. Impaziente, proprio come una persona che sente dentro di se che è venuto finalmente il momento di togliersi un peso. Un peso che consuma l’anima e la appiattisce dal dolore. Un peso che lava la coscienza. All’inizio le cose non erano andate per il verso giusto tra i due. 10 Il mistero del cimitero vicino alla ferrovia Pieter si era mostrato forse troppo aggressivo e l’uomo si era messo subito sulla difensiva. Aveva negato, negato fino all’evidenza. Poi, Goran si era aperto, aperto come si può aprire una persona della sua età e del suo temperamento, ovviamente, ma la strada giusta, quella l’aveva imboccata. Infondo che cosa avevano da perdere ancora quei due? La dignità? No quella era il male minore... Quella l’avevano entrambi perduta, e più di una volta comunque... Per molto tempo Goran non si era accorto di essere spiato. Lui, rinchiuso dentro quel macabro recinto a consumare il terrore di una vita sin troppo ingiusta. Rare boccate d’aria fuori dal portone di rame a guardia del cimitero. Di corsa giù alla palude e poi via, subito dentro... E poi quelle scappatelle quando il sole dell’estate cominciava a fare i capricci, quando a centinaia si riversavano diritti giù verso il bosco, loro, i cervi, pronti a sfidarsi a colpi di bramito, per decidere il capo del branco. Goran, nascosto tra la fitta vegetazione di larici, ricurvo che più ricurvo non si poteva, a rubare a quegli animali frammenti di vita e, di morte. Non ne poteva proprio fare a meno, Goran. E sul finire di tutte le estati, scappava almeno una volta lì, a veder combattere quei cervi. La prima volta che si erano parlati, Goran e Pieter, fu come se si fosse consumato qualcosa che tutti e due avevano già vissuto. Già condiviso. Fu come se il vecchio becchino si fosse preparato per lungo tempo e alla fine il tempo era arrivato. Pieter, no, lui era accecato quasi dalla rabbia e dalla voglia di capire, di sapere. Quella sensazione che ti porti dentro a fatica e il più delle volte ti guida a fare e a dire cose che non vorresti. Così fu. Pieter quasi lo assalì, quasi lo spinse a terra dalla disperazione quella volta, la prima volta. 11