Storia in Rete, gennaio 2011

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Storia in Rete, gennaio 2011
PIONIERI
UOMINI CHE AMANO LE DONNE
Il salvatore
delle madri
Cosa scoprì di tanto scabroso il dottor Semmelweis, il medico
ungherese che ebbe contro praticamente tutti gli scienziati
del suo tempo? A metà Ottocento – prima che si intuisse
la relazione fra germi e malattie – quest’uomo geniale
e scomodo accusò i propri colleghi di essere i responsabili
della morte delle puerpere. Perché? Perché si ostinavano
a non lavarsi le mani prima d’entrare in sala parto
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di Elena e Michela Martignoni
genio della medicina, discusso e incompreso ai suoi
tempi e ignoto a molti ancora oggi. La sua tragica storia – sostenne Louis Ferdinand Céline che nel 1924 su
di lui scrisse la sua tesi di laurea in medicina – è la dimostrazione di quanto sia pericoloso voler troppo bene
agli altri. E Semmelweis amò le sue donne, le
sue puerpere, fino a morirne. Ignazio Filippo Semmelweis nacque a Budapest nel
1818, figlio di un abbiente droghiere.
Destinato inizialmente agli studi
giuridici, si innamorò della medicina per caso – assistendo a una
lezione del dottor Skoda – e fece
di questa scienza la sua ragione
di vita. Da giovane assistente,
destinato alla prima divisione
di ostetricia dell’ospedale Generale di Vienna, fece intendere subito che avrebbe dato filo
da torcere al dottor Klein, suo
direttore: era arrogante e polemico, una personalità estrema,
difficile da imbrigliare. Klein e
Semmelweis si trovavano agli
antipodi. Semmelweis era
ungherese e indipendentista
Ignác Fülöp Semmelweis (1818-1865). Fu uno
dei pionieri dell’antisettica e intuì alcuni elementi
– quindi di idee non gradite
fondamentali della teoria dei germi, dimostrata nel
al governo austriaco – Klein
1879 da Louis Pasteur e nel 1883 da Joseph Lister
un asburgico convinto. Uno
846. Prima Divisione Ostetrica
dell’Ospedale Generale di Vienna. Un
prete avanza lungo il corridoio preceduto dal suono cupo di una campanella: porta i Sacramenti alle donne
in fin di vita. Sono tutte puerpere. Lo squillo di morte,
cadenzato e inconfondibile, semina il terrore tra quelle
che hanno appena partorito o che
devono partorire. Quella campana
potrebbe suonare presto anche
per loro. Scrive Semmelweis:
«Quando sentivo il suono che
si affrettava oltre la mia porta
un sospiro sfuggiva dal mio
cuore per la vittima che ancora una volta era reclamata
da una forza sconosciuta. La
campanella era una dolorosa
esortazione per me, a cercare
con tutte le mie forze questa
causa sconosciuta».
Chi era Ignác Fülöp Semmelweis, il «Salvatore delle
Madri» in lotta con la forza
sconosciuta che falcidiava
puerpere e neonati? Fu un
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era giovane e desideroso di ricercare, di sperimentare,
di cambiare, l’altro anziano e attaccato alle sue convinzioni. Incarnavano l’eterna lotta che lacera e rallenta la scienza: il nuovo che si oppone al vecchio,
le scoperte delle giovani generazioni che faticano a
far breccia nei pregiudizi delle istituzioni consolidate.
Inoltre Semmelweis, fornito di una testardaggine fuori
dal comune, non sapeva farsi benvolere né riusciva a
comunicare in modo civile. Una volta accettò di curare
una nobile affetta da cancro al collo dell’utero, ma non
convinto della diagnosi, si ripresentò urlando a casa
della malata in piena notte pretendendo di rivisitarla.
Nessuna delle amiche della signora volle mai essere
curata da lui. Era quello che Céline definì «umanamente un maldestro». E si trovò a confrontarsi con una
classe medica «insensibile e ottusa».
La vera sfida per lui consistette nel convincere il gotha medico della semplice e rivoluzionaria esattezza
della sua intuizione. Una delle tante sfide di un secolo
che si affacciava al progresso trascinandosi dietro reticenza a ogni novità, credenze antiquate, odiosi pregiu-
dizi e un feroce protezionismo dei privilegi. Freni tremendi al progresso, le cui vittime erano i socialmente
più deboli. Ma quale fu la sua scoperta straordinaria?
Nella prima divisione dell’ospedale di Vienna, diretta dal dottor Klein, nel 1846 morirono 549 puerpere
su 4010. Solo nel mese di gennaio di quell’anno la
mortalità raggiunse il 40%, per assestarsi poi su una
media del 30%. Così accadeva anche altrove: a Parigi, stesso periodo, nell’ospedale del dottor Dubois, il
18% di decessi, a Berlino da Schuld il 26%, a Torino su
100 puerpere ne morirono 32. Percentuali da flagello.
Un flagello di nome «febbre puerperale». Una falce che
mieteva anche i neonati: infettati dalle madri, morivano quasi tutti, e i pochi sopravvissuti rimanevano
senza latte, senza protezione, senza amore. Un flagello che aveva anche risvolti classisti: le partorienti che
morivano infatti non erano le nobildonne dell’Impero
Asburgico e nemmeno le ricche borghesi austriache.
Queste partorivano nei loro palazzi, tra lenzuola ricamate, assistite e curate dagli stessi barbuti e saccenti
professori dell’infernale ospedale viennese. Erano le
donne degli strati più infimi del popolo, assistite in
Semmelweis obbliga i suoi colleghi a lavarsi le mani in una
soluzione antisettica prima di toccare le partorienti. L’intuizione
del medico ungherese non venne recepita, perché nessuno
ancora aveva messo in relazione i germi con le malattie
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Semmelweis (indicato con una freccia) coi suoi colleghi.
Il rapporto del medico con gli altri accademici
fu tempestoso a causa del suo pessimo carattere
maniera approssimativa. Le donne di Semmelweis erano le ragazze perdute, reiette e prostitute, le
paria della maternità abbandonate
dai padri e senza mariti.
Semmelweis e gli altri ostetrici cercavano invano di strappare
queste povere disperate alla febbre
letale. Ma esse avrebbero preferito
partorire per strada, tra i liquami
di città luride come erano quelle
ottocentesche, piuttosto che finire
sotto i bisturi dei baroni dell’ospedale: sapevano che in quei reparti
i segreti del corpo umano, ma la
scienza medica era ancora ai primi
passi e non era stata compresa la
correlazione fra i microrganismi e
le malattie. Al mattino gli studenti
di medicina facevano pratica nelle
sale di dissezione, dove toccavano
letteralmente con mano (non esistevano i guanti di lattice e non
vigeva l’obbligo di rispettare alcuna norma igienica) le malattie
e cercavano le cause dei decessi.
L’ostetricia a Vienna era costituita
da due diversi padiglioni: nel primo i dottori e i loro studenti, nel
Semmelweis era quello che Céline
definì «umanamente un maldestro».
E si trovò a confrontarsi con una
classe medica «insensibile e ottusa»
che non riuscì a convincere
maledetti suonava implacabile la
campana della morte. Nell’ospedale Generale di Vienna, dove proprio
in quegli anni nascevano nuove
specialità come la dermatologia e
soprattutto l’anatomia patologica,
si effettuava una quantità incredibile di autopsie. Studiando i cadaveri i medici cercavano di comprendere le cause delle malattie
e prendevano dimestichezza con
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secondo le ostetriche. Le ricoverate
della prima divisione morivano di
febbre puerperale con una percentuale che fa sobbalzare di stupore:
dal 30 al 40%. Questa realtà era
ben nota alle donne, che quando
si recavano all’ospedale per partorire supplicavano i medici di ricoverarle nella seconda e non nella
prima divisione, dove si moriva
di più. La terribile malattia non
perdonava. Pochi giorni di febbre
altissima, di dolori lancinanti e
poi la morte. Perché partorire in
ospedale, sovente, troppo sovente,
significava morire?
I medici e i ricercatori non riuscivano a spiegarne le cause. Circolavano le più astruse teorie: la
colpa era dei gas velenosi presenti
nell’aria [i cosiddetti miasmi NdR]
o la mancanza di aria fresca nei
reparti, oppure la responsabilità
era dei fluidi prodotti dall’utero,
che, con l’interruzione delle lochi
azioni [perdite di sangue e residui
della gravidanza che si verificano
durante il puerperio, cioè il periodo
di circa sei settimane dopo il parto
NdR], si diffondevano nell’organismo causando l’infezione; o invece
era l’utero ingrossato che blocca-
Indice
Digitando “Semmelweis”
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Il frontespizio dell’opera di
Semmelweis «Eziologia, cura e
profilassi della febbre puerperale»
va l’intestino e lasciava marcire le
feci. Infine una grottesca: le donne si imbarazzavano a mostrare ai
medici maschi le loro nudità e per
questo si ammalavano (morivano
cioè di… vergogna!). Deduzioni che
oggi, a distanza di duecento anni,
sembrano assurde. La scienza medica era bloccata alle due presunte
cause tradizionalmente accettate: o
i miasmi tossici o una disfunzione
interna. L’idea dei germi patogeni
era ancora di là da venire. La causa
era molto semplice, e avrebbe dovuto far morire invece di vergogna
un’intera generazione di medici.
La risposta al mistero della febbre
puerperale si trovava negli stessi
reparti del mastodontico ospedale,
luogo di formazione dei più grandi
medici europei. Sporcizia e lenzuola sudice contribuivano al contagio,
ma la verità era un’altra e richiedeva coraggio per essere promulgata.
E solo un coraggioso, un emotivo,
un indomabile come Semmelweis
poteva gridarlo ai quattro venti.
Erano i medici stessi gli assassini
di quelle povere madri. In pratica,
coloro che si vantavano di curare
le malattie in realtà erano inconsapevoli untori. Semmelweis capì
che erano i medici e i loro studenti
a infettare le pazienti perché, senza lavarsi le mani né cambiarsi il
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camice, passavano dalle autopsie
ai parti e alle visite ginecologiche.
Mani sporche di morte che frugavano tra i segreti della vita. Semmelweis ipotizzò che le sostanze putride contenessero una misteriosa
materia invisibile che trasmetteva il
contagio. Aveva insomma intuito la
correlazione fra i fluidi organici e le
infezioni. Comprendere questa verità significava anche poter debellare
in modo semplicissimo la malattia:
era sufficiente che i medici si lavassero le mani e si cambiassero prima
di toccare una puerpera. Semmelweis mise dei bacili fuori dalle sale
parto e costrinse i medici a lavarsi
le mani nel cloruro di calce: aveva
inventato la sterilizzazione e i primi rudimenti di antisettica. Ci sembra di vedere le espressioni attonite
Per saperne di più
n Louis-Ferdinand Céline,
«Il dottor Semmelweis», Adelphi
edizioni, 1975
n Shervin B. Nuland, «Il morbo
dei dottori. La strana storia
di Ignác Semmelweis»,
Edizioni Codice, 2004
da un ungherese mezzo matto che
sembrava inadeguato alla professione di medico. I fatti però davano
ragione al mezzo matto.
Nel breve periodo in cui Semmelweis riuscì a imporre a medici,
studenti e infermiere di lavarsi le
mani con cloruro di calcio prima di
Semmelweis ipotizzò che le sostanze
putride contenessero una materia
invisibile che trasmetteva il contagio.
Aveva insomma intuito la correlazione
fra i fluidi organici e le infezioni
e sarcastiche di questi dottori: la
prassi appariva inutile e coercitiva,
soprattutto perché veniva imposta
Murale di Gregorio Calvi di Bergolo
(1904-1994) che illustra l’invenzione
della pulizia delle mani in ospedale
toccare una puerpera e di cambiare
frequentemente le lenzuola, le percentuali dei decessi scesero in modo
impressionante fino all’1%. Solo
questo avrebbe dovuto interessare e
incuriosire la comunità medica. Invece il direttore Klein liquidò come
sciocchezze queste osservazioni e
continuò a trattare il giovane assistente ungherese con palese antipatia. Questa antipatia sfociò nel rifiuto di rinnovargli il posto e Semmelweis dovette ritornare a Budapest.
Se tutti i suoi colleghi avessero provato lo stesso pathos, lo stesso amore per la vita e le donne che la donavano, forse l’atroce verità sarebbe
stata accettata molto prima. Invece
derisione e incomprensione accompagnarono Semmelweis, in tutta
la sua vita professionale. Egli ebbe
però le sue responsabilità. Intanto
non ebbe mai dimestichezza con la
scrittura e i suoi lavori – soprattutto il suo monumentale trattato del
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Uno dei bacili nei quali Semmelweis
faceva lavare le mani agli ostetrici
in una soluzione antisettica prima
di toccare le donne incinte
1861 «Eziologia, cura e profilassi
della febbre puerperale» con il quale cercò la legittimazione alla sua
scoperta – sono caratterizzati da
cere i colleghi delle sue intuizioni.
Si sposò, ebbe figli, ma nemmeno la
serenità coniugale gli diede respiro.
Anzi, negli ultimi anni della sua
vita comparvero i sintomi di una
demenza senile precoce: delirava, si
masturbava in pubblico, appendeva
ai muri volantini nei quali diffidava
le donne dal rivolgersi agli «ostetrici assassini». Ottenne però un’ulteriore prova di aver visto giusto.
Uno dei suoi pochi amici, il dottor
Kolletcha, che l’aveva sempre sostenuto, morì per essersi infettato col
bisturi usato durante un’autopsia.
Effettuando l’esame autoptico sul
corpo stesso di Kolletcha si riscontrarono gli stessi effetti devastanti
delle morte per febbre puerperale.
Il morbo era lo stesso, e veniva dai
cadaveri. Semmelweis ne era certo.
Ma nessuno gli credette. Theodor
Billroth, un grande chirurgo tedesco, così definì nel 1876 i professori dell’università di Vienna: «una
Céline suggerisce che Semmelweis
avesse cercato la morte per infezione,
volendo così dimostrare con un gesto
estremo la sua teoria, oppure morire
come le madri che aveva tanto amato
uno stile confuso e ripetitivo e da
continue invettive contro i colleghi.
Inoltre era supportato da scarsa
sperimentazione. Il libro, disorganico ed emozionale, fu un insuccesso.
Se Semmelweis avesse accettato di
farsi aiutare nella stesura dei suoi
lavori (e ne ebbe l’opportunità) con
molte probabilità almeno questi sarebbero stati letti. Invece, anche a
Budapest, dove ottenne la direzione
del reparto di ostetricia, continuò a
farsi nemici per il suo pessimo carattere e la sua megalomania. Le
sue costrizioni igieniche vennero
considerate insostenibili e offensive
per la casta dei medici. Perché imposte da un uomo troppo originale,
fuori dal suo tempo. Semmelweis
perse il posto anche nella sua Budapest, dove tentò invano di convin-
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generazione educata in una camicia
di forza intellettuale, con occhiali
scuri davanti agli occhi e tappi nelle orecchie».
Alcuni dei suoi biografi, tra i
quali Céline, tendono a descrivere
Semmelweis come un eroe tragico e
una vittima delle ingiustizie umane. E’ innegabile che ne abbia subite. Anche la sua morte fu teatrale
come la sua vita. Circolano alcune
leggende, e non sappiamo quale sia
la verità. Alcuni sostengono che durante un’autopsia si ferì con un bisturi restando contaminato mortalmente dalla cadaverina, una delle
fetide sostanze che si formano con
la putrefazione dei corpi morti. Céline descrive invece un Semmelweis
suicida: un giorno irrompe nella
sala dove si seziona un cadavere, si
appropria di un bisturi, lo immerge
nelle carni del morto, lo impregna
di umori letali e poi si taglia con
esso. Se non è riuscito con i risultati e nemmeno con le parole, allora
proverà a dimostrare con un ultimo
gesto forsennato l’esattezza della
sua scoperta. Non ha potuto salvare le sue donne, allora morirà come
loro. Dopo tre terribili settimane,
straziato da infezioni come linfangite, peritonite, pleurite, meningite,
morirà nel manicomio dove era stato ricoverato. Questa morte suicida
di Semmelweis appare così come il
suo estremo e generoso tentativo
di convincere il mondo della fondatezza delle sue teorie. Studi più
recenti e un’autopsia sul suo corpo
effettuata nel 1963 invece affermano che Semmelweis morì malato di
Alzheimer nell’ospedale psichiatrico
dove era stato ricoverato col consenso della moglie. Sul suo corpo sono
visibili segni di percosse (probabilmente inferte dal personale infermieristico nel tentativo di sedare le
sue escandescenze).
Non è importante sposare una
tesi piuttosto che un’altra sulla sua
morte. Conta il fatto che Semmelweis che tanto fece per difendere la
«Ignác Fülöp Semmelweis»
La voce
«Ignác Fülöp Semmelweis»
esiste su Wikipedia in 23 lingue
Accuratezza

Fonti e note
Bibliografia

Controversie
 Vetrina in
minimo
nessuna lingua
massimo 
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Progresso e no
La Scienza e le svolte (a volte) della Storia
di Mariano Bizzarri - Università di Roma La Sapienza
«Sex bomb, sex bomb»
La curiosa storia della nitroglicerina, dall’esplosivo
al Viagra. Ma Nobel non volle usarlo per il cuore...
D
Manifesto del film «Semmelweis, salvatore
delle madri» girato in Germania Est nel 1950
vita, ancora oggi risulta per molti
quasi uno sconosciuto. Ha ricevuto
riconoscimenti postumi, ma per la
caparbietà e lo zelo con cui tentò di
salvare vite umane dovrebbe essere
celebrato come un eroe della medicina. Nel 1894 a Budapest gli fu eretto un monumento tombale in memoria, e in seguito gli fu intestata la
Clinica Ostetrica dell’Università. Un
tardivo segno di stima dei suoi concittadini che in vita non lo apprezzarono. Ferdinand von Hebra, uno
dei padri della dermatologia, scrisse
su Semmelweis: «Quando qualcuno
scriverà la storia degli errori umani
ne troverà pochi più gravi di quello
commesso dalla scienza nei confronti di Semmelweis». Se fosse sopravvissuto solo 14 anni avrebbe visto
Pasteur e Lister raggiungere il suo
sognato traguardo: la prova della
correlazione fra i microrganismi e le
infezioni. Diversamente da lui i due
ricercatori riuscirono a dimostrare
scientificamente e metodicamente
l’esattezza di quella sua intuizione
così scompostamente sostenuta. Se
oggi nei reparti maternità non si
sente più il suono della campana
lo si deve anche alla genialità della
sua anima inquieta.
Elena e Michela Martignoni
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que di carbone e cinque di zolfo. La chiaobbiamo ad Alfred Nobel
ve del codice venne svelata da un colon(1833-1896) se gli esplosivi
nello britannico solo 650 anni dopo. Un
hanno superato la fase artisostanziale progresso nella tecnologia
gianale per accedere a queldegli esplosivi sarebbe venuto con la
la dello sviluppo industriale.
scoperta della nitroglicerina, ad opera
Ed è alquanto paradossale che questo
del torinese Ascanio Sobrero nel 1847 e
progresso sia stato opera di un sincero
quindi del TNT (trinitrotoluene) nel 1863
pacifista convinto che solo l’invenzione
dal chimico tedesco Joseph Wilbrand.
di un’arma di assoluta potenza sarebbe
La nitroglicerina era tuttavia instabile e
stata in grado di assicurare una pace dupoco maneggevole, ed avrebbe causato
ratura nel mondo. Sappiamo dove questa
innumerevoli esplosioni accidentali con
logica avrebbe portato: ad Hiroshima e
centinaia di morti e danni incalcolabili.
Nagasaki. Triste epilogo per una scoperNel 1864 Stoccolma
ta conosciuta in Cina
ne vietò la produda prima dell’anno
zione, proprio menMille con il nome di
tre Nobel metteva a
«medicina di fuoco»,
punto la dinamite (un
e già da allora, larimpasto di nitroglicegamente diffusa. Gli
rina e farina di fossili
ingredienti
fondadi diatomee) che ne
mentali della polvere
rendeva
l’impiego
da sparo sono infatti
sicuro. La dinamite
semplici: nitrato di
avrebbe assicurato a
potassio (KNO3 - salnitro o «polvere ciNobel una cospicua
nese») che mescolafortuna (destinata a
ta a carbonio e zolfo
finanziare il ben noto
può sviluppare, se
premio
omonimo),
acceso, una grande
aprendo la strada a
quantità di calore e
possibilità di impiego
quindi di gas in rapibellico ed industriaAlfred Nobel (1833-1896
da espansione. Sono
le impensabili. Pochi
i gas ad imprimere
avrebbero però imil movimento ad un proiettile o ad una
maginato che la nitroglicerina – ottenupalla di cannone, la cui velocità può esta legando tre atomi di ossido di azoto
sere modulata in relazione alle diverse
ad una molecola di glicerolo – sarebbe
percentuali di acqua ed alcool con cui si
stata utilizzata (e con gran successo!)
ottengono diverse varietà di polveri, a
nel trattamento dell’angina pectoris. La
grana fine o grossolana. La sua periconitroglicerina assunta per bocca libera
losità era ben presente alla mente dei
ossido di azoto (NO) che determina la
cinesi che, nel 1067, ne misero la prodilatazione dei vasi sanguigni. Questo
duzione sotto controllo governativo. La
può scatenare l’emicrania, ma riduce anpolvere da sparo giunse in Europa, conche la pressione sanguigna e migliora la
trariamente a quanto generalmente si
riperfusione cardiaca. Ricerche sull’ossiritiene, prima del resoconto che ne fece
do di azoto avrebbero infine portato alla
Marco Polo ne «Il Milione». Il monaco
sintesi del Viagra, impiegato nel trattafrancescano Ruggero Bacone, scienziamento dell’impotenza. Nobel, sofferente
to, filosofo ed alchimista, la menziona
di cuore, si rifiutò sempre ostinatamente
nei suoi scritti già nel 1260. É probabidi assumere nitroglicerina, convinto delle che ne abbia avuto sentore tramite
la sua inutilità come farmaco. Finì per
gli arabi ed è certo che ne apprezzasse
morire proprio a causa di un attacco di
bene la portata distruttiva, tanto da cecuore che lo colse al tavolo di lavoro nellarne la composizione in un anagramma:
la sua casa di Sanremo. L’ennesimo paradecifrato, rivela l’esatta composizione
dosso per un uomo che di paradossi ne
consistente in sette parti di salnitro, cinaveva collezionato più d’uno. n
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