Benzene in bottiglia - I dati dell`allarme

Transcript

Benzene in bottiglia - I dati dell`allarme
Benzene in bottiglia - I dati dell'allarme
Ormai è certo. Nelle bevande analcoliche vendute in Italia c’è benzene. A piccole dosi, il
noto cancerogeno accompagna ogni sorsata di aranciate, limonate, bevande al pompelmo.
Impossibile stanarlo a colpo d’occhio o a naso: finché si resta nella modica quantità, il
solvente è inodore e insapore, coperto com’è dal gusto dolce e intenso della bibita.Come
abbiamo spiegato nella prima inchiesta, un mese fa, il benzene non viene aggiunto
volontariamente dai produttori, ma si può sviluppare dalla reazione tra il conservante
benzoato di sodio (E 211) e l’acido ascorbico (vitamina C), due ingredienti molto comuni
nelle bibite, come ha dimostrato il nostro campionamento, che a metà settembre ha
trovato sugli scaffali del supermercato ben 15 bottiglie “sospette”.
Sospette, sia chiaro, perché la presenza del mix è certamente la base di coltura ideale per
il benzene. Per passare dal sospetto alla certezza e quantificare la presenza sgradita c’è
una sola via: portare il drink in laboratorio. Esattamente ciò che ha fatto Il Salvagente.
La prova
Per andare oltre la reticenza degli industriali e dell’unica autorità chiamata a garantire la
sicurezza alimentare, il ministero della Salute, tutti impegnati a tranquillizzare i
consumatori di bibite, senza però chiarire se e quanto benzene finisce nel bicchiere e con
quali rischi, abbiamo fatto analizzare 30 bottiglie di bibite analcoliche, due per ciascuno dei
15 marchi segnalati un mese fa.
Il test conferma tutte le ipotesi. Innanzitutto, dimostra che nelle maggior parte delle bibite
contenenti i 2 ingredienti c’è benzene: quasi sempre in quantità superiore alla soglia
fissata per le acque potabili (1 microgrammo per litro), e in un caso persino oltre il più
blando limite di 10 microgrammi fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità per le
acque potabili in tutto il mondo (inclusi i paesi poveri). C’è di più. Le analisi confermano
anche che la concentrazione di solvente è più alta nei drink senza zucchero e che, in
generale, per tutti i prodotti analizzati, il benzene aumenta con l’esposizione alla luce.
Tranne Sprite, che non contiene neanche l’ombra della frutta, i prodotti campionati e
spediti in laboratorio sono tutte bevande zuccherine con dentro un po’ di succo di frutta
(almeno il 12 per cento). Ci sono marchi famosi, San Benedetto, San Pellegrino, Cola-Cola,
Campari, Misura, Schweppes, e quelli delle grandi catene che sul prodotto ci mettono
sopra il proprio nome: Sma e Auchan, Coop, Conad, Gs-Carrefour. Gran parte dell’offerta
di settore, insomma.
I drink sono stati sottoposti a due prove. Prima, sono finite in provetta le bevande appena
prese dallo scaffale, vale a dire nella condizione in cui arrivano nelle case. Poi, per
verificare se e quanto incide l’esposizione alla luce e al calore nella formazione di benzene,
è stato eseguito un secondo campionamento degli stessi 15 prodotti, stavolta lasciati per
una settimana (dal 23 al 30 settembre) sotto il sole.
I risultati non lasciano dubbi. Appena usciti dal supermercato, i drink contenevano in
media 3 microgrammi di benzene per litro; dopo una settimana di esposizione alla luce, la
concentrazione è salita a una media di 5,2 microgrammi: la prova inconfutabile che le
modalità di conservazione dei prodotti incidono fortemente, fino a raddoppiare la
concentrazione di benzene.
Buoni per confermare i sospetti, i valori medi dicono poco sui singoli prodotti. Andando a
guardare in dettaglio l’esito delle analisi, infatti, il panorama è assai più vario.
Sorsate di solvente
Alla prova di primo grado (allo scaffale), la provetta trema quando incontra l’aranciata
senza zucchero Misura (gruppo Colussi): il benzene raggiunge i 21 microgrammi per litro.
Il dato, che rappresenta la concentrazione più elevata di tutto il campione, oltre a
confermare il maggior rischio insito nelle bibite light, dimostra che, a dispetto della paciosa
fiducia delle autorità sanitarie, anche nel nostro paese vengono somministrate bevande
che altrove sono state ritirate con tante scuse ai consumatori. Molto lontane, dunque, da
quei tenori non superiori a 3 microgrammi che l’industria aveva assicurato come massimi
al ministero della Salute e che il dicastero ha ritenuto talmente tranquillizzanti da non
meritare alcuna analisi pubblica.
Neanche a dirlo: dopo una settimana di esposizione alla luce, nel prodotto di Misura il
benzene balza a 30 microgrammi per litro.
La lista nera continua con la limonata San Benedetto, in cui si rintracciano 4 microgrammi
di benzene, che diventano 9 dopo il trattamento settimanale. La stessa concentrazione di
partenza, invece, si ferma a 6 microgrammi nel pompelmo di Auchan.
E ancora, con 3 microgrammi di benzene già allo scaffale, Fanta e LimonCedro arrivano a
contenere, rispettivamente, 5 e 6 microgrammi di benzene. La dose è dimezzata con le
bibite di Campari, Coop e Conad: appena acquistate portano nel bicchiere 2 microgrammi
per litro; dopo una settimana di luce, raggiungono 3 o 4 microgrammi. Più decisa è
l’impennata osservata nell’aranciata di Carrefour, dove si parte da un microgrammo per
arrivare a 3.
I valori più bassi vengono rilevati nell’aranciata San Pellegrino, nella Sprite e nelle due
versioni di Schweppes. Al primo stadio, le analisi rilevano tracce di benzene inferiori a un
microgrammo per litro. Dopo una settimana di luce, tuttavia, anche queste briciole
diventano misurabili, crescendo fino a 1 o 2 microgrammi. Anche le piccole tracce, quindi,
possono lievitare e acquisire un peso, magari se il pancale staziona in qualche luogo
assolato per qualche giorno. E questa è l’ennesima prova, se ne ce fosse ancora bisogno,
che minimizzare sulla presenza di un cancerogeno in un prodotto dedicato ai bambini è
una scorciatoia assai pericolosa.
Fonte: Il Salvagente )