omelia del giovedi` santo - Parrocchia Sacro Cuore
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omelia del giovedi` santo - Parrocchia Sacro Cuore
Parrocchia del Sacro Cuore OMELIA DEL GIOVEDI’ SANTO “IN CENA DOMINI” 24 marzo 2016 Carissimi fedeli, è per me sempre cosa gradita poter condividere con voi momenti di preghiera e celebrare la liturgia in questa nostra parrocchia, cuore e riferimento della vita per le nostre famiglie; senza dubbio stasera il nostro ritrovarci qui acquista un significato particolare, unico: stasera siamo qui a celebrare la Pasqua del Signore; vogliamo celebrarla con animo disponibile, attento, accompagnati dal desiderio di lasciarci coinvolgere fino al punto che la nostra celebrazione non debba finire qui, ma ci accompagni in questi giorni e in tutti i giorni. Vogliamo chiedere al Signore di sottrarci alla routine ripetitiva, che si ferma a gesti formali, ma che ci prenda per mano e ci accompagni lungo l’itinerario che Lui ha compiuto; ci faccia attenti alla sua Parola, affinché parli al nostro cuore; ci accompagni a comprendere la Pasqua e a verificarla nel vissuto di ogni giorno. Apriamo allora la mente e rendiamo disponibile il cuore, cosicché l’esperienza vissuta diventi in noi parola comprensibile, espressa dalla concretezza dei fatti che esprimono la nostra vita e che, attraverso di noi, annunci a tutti l’amore del Signore. Cari fratelli e sorelle, dico “concretezza” perché la gente, la nostra gente, ha bisogno di vedere una Chiesa coerente con quello che predica; non si accontenta più di parole, ma vuole vedere. Le parole non convincono più di tanto se non sono supportate dai fatti e da scelte concrete. La via della santità, che da sempre ha tracciato il percorso della Chiesa attraverso il tempo, è una via concreta, operativa. Così hanno agito i santi del passato e del presente. Oggi noi ricordiamo un santo del nostro tempo, Mons. Oscar Romero, Arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980, 36 anni fa, mentre celebrava l’Eucarestia : un uomo che ha testimoniato la fede in Gesù Cristo, di fronte al suo popolo che non poteva più accontentarsi di discorsi accademici. Romero, vescovo e pastore del suo popolo, ha indicato la via della speranza attraverso la scelta dei poveri, precedendoli in un percorso di rivendicazione dei diritti conculcati. Perché la speranza della vita eterna, si costruisce nella vita di tutti i giorni, nella condivisione delle sofferenze, nella condivisione con chi non ha nulla da mangiare, da vestire, da portare a casa. Il suo messaggio, il messaggio della santità, oggi è forte più che mai e viene a scuotere la nostra fede, talvolta assopita e assuefatta ai problemi, alle contraddizioni e alle ingiustizie del mondo che ogni giorno siamo costretti ad ascoltare dalla tv, dalla radio, dai giornali e alle quali, ormai, non 1 facciamo più neanche caso. Le parole che Mons. Romero rivolgeva alla sua gente, risuonano anche per noi oggi, come la voce del coraggio, la voce di un profeta che vuole farci prendere coscienza delle grandi possibilità e degli strumenti che Dio ci ha fornito per proclamare la sua giustizia. Romero è un profeta del nostro tempo che continua a parlarci e che con la sua vita e la sua morte ci chiama in causa; noi che nella nostra vita teniamo il conto di quello che ancora ci manca, forse senza pensare che nel mondo milioni di persone sono costrette ogni giorno a fare il conto di quel poco che hanno. L’esempio che ci viene da questi fratelli che, in ogni parte del mondo, ieri come oggi, hanno testimoniato e testimoniano il nome di Cristo, ci aiuti a lasciarci coinvolgere nella celebrazione di stasera, la messa in “Coena Domini”; vogliamo lasciarci prendere per mano per far nostro l’itinerario che il Signore viene stasera a ricordarci, attraverso il suo esempio e il suo insegnamento, che parla alla vita e solo a quella. Apriamo la mente e rendiamo disponibile il cuore, cosicché l’esperienza della Pasqua diventi testimonianza che annuncia a tutti l’amore del Signore. Facciamoci allora accompagnare dalla Parola che abbiamo ascoltata. Nella lettura del libro dell’Esodo ci viene presentato il popolo di Israele, che, in un momento particolarissimo della sua storia, celebra la Pasqua che acquista ora un significato nuovo. Non più la festa della primavera nascente – che si inseriva in culti ancestrale che sempre hanno accompagnato il cammino dei popoli – non più la festa della transumanza dai pascoli invernali ai nuovi pascoli di primavera, ma è il passaggio del Signore che viene a liberare il suo popolo dalla schiavitù e accompagnarlo verso la libertà. Notte di trepidazione e di veglia sarà quella per il popolo, notte in cui l’angelo di Dio passerà tra le case e sarà per alcuni motivo di esultanza, perché inizia un’era nuova, per altri, coloro che non hanno riconosciuto il Signore, sarà causa di morte. Gli ebrei hanno fretta nella celebrazione della Pasqua; hanno fretta di partire per sottrarsi finalmente a delle condizione sociali esecrabili perpetrate a loro danno da un regime politico ingiusto; hanno fretta, sono come dei clandestini che aspettano il segnale della partenza; dovranno celebrare la Pasqua “con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano”, in fretta. Perché questa fretta, cari fratelli? Certo per loro vi era un pericolo incombente a cui sottrarsi, ma per noi, oggi, perché aver fretta? Che cosa significa? Che cos’è questa fretta pasquale? Vedete, la Pasqua è per noi e per tutti la mèta che compendia ogni sforzo, ogni progetto, ogni sogno; è attesa di un mondo diverso, nuovo nel suo presente e nella sua progettualità futura; è attesa di pace, di concordia, di solidarietà, di bellezza, di un mondo in cui non ci sia più la paura, la solitudine, la 2 fame, la discriminazione a motivo della razza, della religione, della cultura, dell’ideologia. C’è fretta, cari fratelli, perché questo mare di dolore che accompagna, anche oggi, la storia di tanti popoli e di tante persone in ogni parte del mondo venga a cessare. Non vedete alla tv i bimbi che piangono, padri e madri che uccidono anche il frutto del loro grembo, il sadismo con cui si cerca di seminare morte nella maniera più subdola e vigliacca. Non pensiamo forse a quanti bimbi nel mondo sono costretti a vivere da adulti: non possono pensare ai giuochi, la cosa più vera e più seria per la loro età, ma sono costretti, senza sapere come, a vivere da grandi, a pensare che cosa mangiare, come vestire, dove dormire; non c’è nessuno che pensi a loro! Non c’è affetto che li consoli e li coccoli, ma solo durezze e crudeltà! C’è fretta, cari fratelli e sorelle, la Pasqua non può essere arrestata e neanche essere rallentato il suo cammino: i poveri, i poveri-poveri, i ricchi-poveri, tutti i poveri per qualsiasi causa, non possono aspettare. Non possiamo allora ritardare o impedire l’irrompere della Pasqua nel tempo. La Pasqua dovrà essere l’inizio di un tempo “nuovo”, “diverso”, l’inizio dei mesi, come dice la Parola, l’inizio del tempo. Dovrà esserlo per noi, perché la nostra vita di credenti, purificata mediante la Pasqua da tutte le pesantezza, dal vecchio lievito, possa ricominciare di nuovo, senza tener conto del passato, quasi un accredito di buona volontà, di decisioni forti per rompere con rapidità con ogni storia di ambiguità e di compromesso. Il passaggio del Signore viene a scuotere tutti coloro che non hanno il coraggio del cambiamento e restano prigionieri dello schema, cultori della ripetizione, refrattari al fascino della novità; viene a spronare coloro che sono lenti nelle scelte, gli specialisti della perplessità, i calcolatori guardinghi, gli irresoluti fino alla paranoia prima di prendere una decisione, gli ossessionati dal dubbio perennemente incerti se mettersi in cammino. Il Signore passa in mezzo a noi e ci invita a partire, senza tergiversare, senza paura; a partire insieme come popolo, come Chiesa di Dio che è in Capua, solidali, condividendo successi e pesantezze, ma determinati ad andare sempre dietro al Signore. Questo è l’inizio dei mesi e dovrà esserlo per la nostra gente, liberata dagli inganni che il consumismo cerca di imporle; dovrà esserlo per tanta gente che in tante parti del mondo, ha diritto anch’essa alla loro quota di felicità. Possa davvero la Pasqua aiutarci a proiettare il nostro sguardo oltre la cerchia dei nostri intereressi angusti. Per i credenti è un dovere considerare la propria vita in relazione con gli altri. E il ricordo e 3 la preoccupazione del prossimo ce lo dobbiamo porre soprattutto in questo giorno. La Pasqua non la si può celebrare da soli, chiusi nel proprio privato, indifferenti alla vicenda degli altri; è la festa della famiglia, della comunità riunita; è la festa dell’amore che vince ogni barriera, ogni indifferenza; è la festa di un popolo che nell’unico Dio si riconosce comunità di fratelli. E quando la Parola ci invita, come stasera, celebrare il passaggio del Signore, noi dovremmo celebrarlo così, con questa chiara intenzionalità, che si traduce in scelte concrete, così come la grande fantasia dell’amore ci detta. “Questo giorno sarà un memoriale per voi; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne”. Ma la Parola ci incalza stasera e l’Apostolo Paolo ci dice che la Pasqua ora viene ad assumere un nuovo significato: non più una liberazione sociale e politica, ma la liberazione dal peccato. Non più ricordo dell’epopea di un popolo nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà, ma passaggio del Signore Gesù al Padre; ora è Lui il vero agnello pasquale, che si è immolato per noi, per donarci la libertà, la vera e definitiva libertà: questo è il nuovo “memoriale”. E come dovremo noi, stasera, celebrare il nuovo memoriale?! Il Signore non viene a proporci dissertazione teoriche per spiegarci le modalità con cui celebrare la Pasqua; ci mette di fronte ad un fatto: la Cena che Egli celebra con i suoi discepoli, attenendosi con scrupolo alla tradizione dei padri. Di quella cena vogliamo cogliere il clima particolare che la caratterizza, un clima dettato sì dalla gioia, ma anche dalla consapevolezza dell’ora: “sapendo che era giunta la sua ora…”. L’ora cioè in cui la volontà del Padre si compie; l’ora di dire il proprio sì al Padre; l’ora che riapre il cammino della storia del mondo; l’ora in cui il Signore si è consegnato alla morte per noi, perché noi tutti potessimo ritornare a sperare. Il racconto della cena che ci propone l’evangelista Giovanni è la pedagogia della Pasqua. Forse è occasione per rivedere il modo con cui noi celebriamo le nostre Eucaristia, Pasqua della settimana, per verificare se davvero sono annuncio del Signore; per verificare quale incidenza l’Eucarestia ha nella nostra vita; se l’amore del Signore ci coinvolge fino al punto di renderci complici del suo disegno, pronti a rischiare la propria tranquillità per testimoniare nelle parole e nelle opere l’amore che ha cambiato la nostra vita. 4 Il Signore sostiene la nostra riflessione stasera e ci dice con il gesto lì descritto che cosa significa oggi per noi vivere l’Eucarestia. Contravvenendo alla tradizione che riservava il compito di lavare i piedi ai servi, Gesù stesso compie quel gesto, che, tra l’altro provoca la reazione di Pietro, che non lo capisce, anzi lo scandalizza. Quel gesto: è la predica più antica che ognuno di noi ricordi. Da bambini l’abbiamo udita con gli occhi, che hanno carpito gesti e parole; con gli occhi pieni di stupore. Una predica costruita con dodici gesti ripetuti, ma senza monotonia. Ricca di tenerezze, benché articolata su di un prevedibile copione; priva di retorica, pur nel ripetersi di gesti scontati. “Sapete ciò che vi ho fatto?” Lo sappiamo davvero? Riusciamo a capirne le implicazioni? “Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri”. Difficilmente, cari fedeli della Chiesa del Sacro Cuore, potremmo essere portatori di annunci credibili, se non fossimo capaci di questo gesto; anzi, mancheremmo di credibilità presso tanta gente che ci guarda per cogliere in noi gesti di coerenza, se al nostro interno serpeggiasse rivalità, fastidio, estraneità, addirittura inimicizia; se ricusassimo di lavarci i piedi gli uni gli altri. Tra poco lasceremo la parrocchia per fare ritorno alle nostre case; ci accompagni il gesto che abbiamo ancora una volta celebrato: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”. Non come un gesto retorico, dunque, ma <<come ho fatto io>>: corpo immolato e sangue sparso per la vita del mondo. La decisione di seguire Gesù, nostra Pasqua, si traduca allora in gesti di accoglienza, di comprensione, di servizio, di condivisione, di perdono all’interno delle nostre famiglie e con ogni persona che incontreremo; si traduca in gesti d’impegno sociale nei luoghi di lavoro, di studio; nei luoghi dove si fanno progetti per la convivenza civile. E siano gesti visibili che interessano chi non ha più la possibilità di aspettare ancora e non può più essere deluso. Lo spirito del “servizio per amore”, ci trovi operosi in questa nostra Chiesa e in questa nostra Città, dove ciascuno è chiamato ad essere protagonista con la sua preghiera, la sua testimonianza e il suo impegno. Non voglio concludere senza chiedervi ancora di pregare per le persone abbandonate: siate loro vicini con il vostro affetto e con la vostra collaborazione, con il vostro consiglio. 5 Una preghiera particolare al Signore per le vocazioni. Questa nostra Chiesa ha bisogno di sacerdoti, non però per completare i quadri o riempire posti vacanti: c’è bisogno di sacerdoti santi, di giovani generosi che si decidono sul serio per il Signore. Vi ringrazio, amati fratelli e sorelle, per la comunione che ci lega e che io avverto; vi ringrazio per il dono e la testimonianza della vostra fede, perché, anche per il parroco, la fede che legge nel cuore e nella vita di ciascuno di voi, è conforto, conferma e sostegno della mia fede. Vorrei infine che giungessero a tutti voi gli auguri che sento di dovervi, con affetto e stima; auguri di ogni bene, di pace e di serenità: la Pasqua del Signore sia la vostra forza di fronte alla vita e la sua benedizione vi accompagni sempre attraverso la mediazione di Maria S.S., la Madre delle Grazie, la nostra Madre. Questa è la Chiesa voluta da Cristo, la Chiesa della Misericordia, cuore del Vangelo e anima della nostra esistenza; attraverso di essa passeremo queste porte della vita, che ci doneranno nutrimento e forza necessaria per affrontare gli attentati alla vita in nome di quel Dio che porta sulle sue spalle ogni uomo perduto, guardando in ciascun occhio per leggere nel libro dell’esistenza e poter cantare Misericordes sicut Pater. don Raffaele D’Agosto 6