il colore d`inverno
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il colore d`inverno
Foto di Giuliano Cappelli FOTOGRAFARE LA NATURA IL COLORE D’INVERNO Cattiva stagione? E allora è il momento di belle immagini! Lo spirito d’osservazione del fotografo, insieme agli strumenti giusti, permette di sfruttare al meglio la poca luce disponibile. Un tocco di colore rosso pervade tutta la foto. L’effetto del tramonto può anche essere accentuato ricorrendo ad un filtro colorato per dare risalto ad uno spettacolo naturale già di per sé entusiasmante. Lago Trasimeno, crepuscolo sull’Isola Maggiore. Non è vero che la stagione invernale offre ben poche occasioni per eseguire buone fotografie di paesaggio. Siamo d’accordo che l’inverno attribuisce all’ambiente un aspetto dimesso, scialbo, senza colori, a volte anche triste. Ma non sempre! Anzi. Un fotografo attento può dimostrare che chi ha “idee in testa” può sbizzarrirsi, proprio in questa stagione, a realizzare immagini di grande suggestio- ne e contenuto. Un esempio ce lo possono offrire gli scatti pubblicati in queste pagine, realizzati durante tre uscite invernali al lago Trasimeno, in Umbria. Osserviamo che i paesaggi offerti da una laguna possono essere straordinari anche nelle condizioni di ripresa apparentemente più avverse. E ancora: sottolineiamo che un lago può fare scaturire risultati affascinanti. Può Lago Trasimeno: la vecchia torre di Monte Ruffiano, con il lago. Anche senza filtri, se si sceglie l’ora giusta per scattare, il colore del paesaggio può essere straordinario. consentire al fotografo di esprimere grandissime potenzialità di comunicazione visiva, può essere la chiave che fa lavorare il cervello. E i risultati possono essere ancora più significativi se alla magia del lago si aggiungono altre componenti che vi posso dire assolutamente determinanti: ad esempio la presenza del sole e della nebbia insieme ad un ingrediente fondamentale, lo spirito di osservazione del fotografo. Gli scatti che proponiamo in queste pagine sono stati eseguiti con una attrezzatura che reputo davvero ottima per questo genere di riprese: una reflex Canon EOS 3 equipaggiata con uno zoom Canon EF 28135mm f/3.5-5.6 tipo IS, ovvero stabilizzato, ed uno zoom Canon EF 100-400mm Le luci della sera, in autunno, sono spettaco- f/4.5-5.6, anch’esso tipo IS. La stabilizzalari. La tonalità calda valorizza l’effetto at- zione è una prestazione per qualche verso mosfera dell’ambiente. ancora sottovalutata dai fotografi ma che, per esperienza personale, rappresenta una “marcia in più” che apre interessantissime possibilità di semplificare riprese altrimenti indubbiamente difficili. La rapidità opera- Il “colore d’inverno” può anche essere un “non colore”, ovvero una interessante resa del grigio. Una leggera nebbiolina, toni soffusi, possono raccontare molto all’osservatore. tiva consentita dalla possibilità di attivare con immediatezza il sistema giroscopico IS di Canon è molto interessante perché in diverse occasioni permette di essere pronti a scattare in un attimo, senza sprecare tempo. Qualche volta mi capita, conversando con appassionati fotoamatori, di constatare che qualcuno cade in un equivoco. Disporre di un obiettivo stabilizzato non ha niente a che vedere con la possibilità di eliminare il “mosso” dovuto allo spostamento rapido dei soggetti. Intendo: la stabilizzazione è un rimedio contro le vibrazioni indesiderate, contro le oscillazioni della mano del fotografo. Non è un’alternativa ad un tempo di otturazione rapido, che rimane una prerogativa indispensabile per fermare il movimento di un soggetto che si muova rapidamente. Quando si parla di stabilizzazione a volte ci si chiede se sia da attivare quando si montano obiettivo e macchina su di un treppiede. La risposta è: l’attivazione dello stabilizzatore, su treppiede, ha senso solo se la testa dello stativo non è strettamente ser- Canne di palude in un mattino d’inverno. Ancora una immagine “senza colore”, adatta a descrivere la stagione. Punti di chiaro su fondo scuro: fotograficamente la scelta della “luce giusta” e del momento in cui scattare, è decisiva. rata; può essere utile insomma se ci si trova a seguire un soggetto in spostamento laterale. In linea di massima comunque, i dispositivi stabilizzatori consentono di evitare l’uso del treppiede e perciò in molte occasioni permettono di operare con una maggiore rapidità. Ad esempio: anche se è vero che magari la stessa fotografia, come sostiene qualche operatore, si potrebbe fare anche ricorrendo al classico treppiede, siete davvero sicuri che, di fronte alla scoperta di un taglio di luce improvvisamente rivelatosi interessante, sarete in grado di disporre del tempo necessario per allestire lo stativo, applicare la macchina, inquadrare e scattare prima che l’illuminazione “magica” scompaia? In natura, spesso, molti istanti irripetibili appaiono e scompaiono fulmineamente. Le difficoltà tipiche della “brutta stagione”, ovvero la ridotta quantità di luce disponibile, unite alla non elevata luminosità massima offerta dagli zoom, mi inducono a volte a scegliere una pellicola di maggiore sensibilità. E qui il discorso si allarga: normalmente, in molti scatti, preferisco operare con pellicole Fujichrome Velvia da 50 ISO e spesso con pellicola Fujichrome Sensia 100 ISO. Si tratta di emulsioni ad alta saturazione di colore che, proprio per la loro capacità di “dare colore” anche a soggetti a basso contrasto, consiglio per la fotografia anche in condizioni di luce scarsa. Ma quando non si può, ebbene proprio non si può. E ciò succede facilmente se ci si imbatte in riprese al crepuscolo o magari in qualche scatto in cui il soggetto, o alcuni elementi di esso, sia in movimento. Si ricorre allora alla 400 ISO. Non una qualsiasi però: alla Fujichrome Provia 400F, l’ultima nata della casa giapponese, caratterizzata da una grana estremamente contenuta e in grado di competere con quella delle 100 ISO di alcuni anni or sono. È una carta interessante da giocare, molto recente. È una decisiva e vantaggiosa alternativa alla speciale Fujichrome 100-1000 che ho usato fino a ieri ed esposto spesso a sensibilità forzata, adeguando il trattamento ai nuovi ISO. G. Cappelli