Avviso ai Naviganti N. 18 Luna di miele
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Avviso ai Naviganti N. 18 Mendrisio, 27 febbraio 2012 Luna di miele Cento giorni: è la convenzionale durata dello “stato di grazia”, la “luna di miele” di un nuovo governo con l’elettorato, periodo oltre il quale, quasi sempre, gli entusiasmi si spengono e il consenso si scioglie. Per un caso, non completamente fortuito, lo stesso spazio temporale accomuna l’operare del Governo Monti alla bruciante ripresa dei mercati finanziari internazionali. E ora? Finirà la luna di miele? Per i mercati forse si, per Monti probabilmente no. Esercizi di rabdomanzia Anticipiamo, in pillole, i messaggi di questo “Avviso”, consapevoli che l’esercizio della previsione finanziaria racchiude in se una buona dose di follia alla quale, considerato mestiere e orgoglio, non ci vogliamo sottrarre. Mercati azionari: molta strada è stata percorsa in poco tempo, sembra necessaria una pausa di consolidamento. Sbagliato focalizzarsi solo sui problemi europei: la linea è sempre dettata da “Wall Street” e “Main Street”, i pesci pilota degli investitori internazionali. Determinanti quindi, la crescita economia Usa e le presidenziali americane, più che i rantoli della Grecia. Dove vanno i “risk off trades” (bund tedeschi e treasury Usa)? Sono gli strumenti perfetti per assicurarsi rendimenti reali negativi nel medio termine. Per ora rimangono approssimativi e costosi veicoli per diversificare i rischi di portafoglio. Dove vanno i BTP? Non sono ancora a fine corsa e, assieme alle obbligazioni corporate “investment grade”, sono tra i pochi strumenti obbligazionari che offrono un rendimento decente. Dove va l’oro? Continuerà a salire, i fondamentali sono “irresistibili” anche se è in bolla. E’ l’unico hedge contro inflazione e depressione, anche se non è amato dai puristi della gestione. Petrolio: con le altre commodites rimane una componente fondamentale per gli investitori di lungo termine. Un prezzo troppo alto, alla lunga, finisce però per schiantare i mercati azionari perché accelera la strutturale erosione del potere d’acquisto dei ceti medi nei paesi sviluppati. 1 Dove vanno le divise? Le big four (USD, Euro, Yen e Sterlina), probabilmente, da nessuna parte, malgrado ci siano più che validi motivi perché il trio Euro, yen e sterlina si deprezzi contro dollaro (ma solo se l’economia Usa mantiene un elevato regime di giri). Diventa fondamentale poter investire sul renminbi cinese che dovrà diventare una nuova moneta di riserva, sostituendo in parte il dollaro. Il tempo vola Sono passati meno di tre mesi da quella maledetta settimana di fine novembre nella quale lo spread sul debito italiano con scadenza a tre mesi ha danzato vicino a quota 1000 (tassi del 10%), riflettendo le cupe previsioni dei maggiori guru sulla incombente fine dell’Euro. Disperante professione quella degli “esperti” di materiale socio-economico, destinati, il più delle volte, ad essere smentiti da un futuro, che rimane fondamentalmente incerto e imprevedibile. Anche noii non siamo riusciti a evitare la spirale del pessimismo e, sia pure considerando il break up dell’Euro come evento ancora poco probabile, ci siamo spesi in schematici, quanto per ora velleitari “war games”. Esercizi da non buttare ancora nel cestino, ma da chiudere, prudentemente, in un cassetto. Non si sa mai. Ancora all’inizio del’anno la maggior parte degli “strategist”si immaginava un primo trimestre ad altissimo rischio, zeppo di insormontabili ostacoli da superare, soprattutto in Europa. Alcuni, pochi in verità, prevedevano, viceversa, un buon avvio dei mercati, giustificato dal cronico pessimismo (i portafogli erano pieni solo di liquidità), seguito da una successivo ridimensionamento.ii, Anche noi ci eravamo, schierati su questo fronteiii. Ma i motori si sono riaccesi prima negli stati Uniti che in Europa. Una volta di più sono state le notizie e i mercati americani a dare il “la”, già da dicembre, al corale movimento di rialzo dei mercati, quando ancora, in Europa, non si era percepita a pieno la determinante svolta della BCE iv e la rilevanza della riforma del sistema pensionistico italiano. Ancora una volta: Wall Street e Main Street! In questi giorni i più significativi indici azionari sono tornati a lievitare nell’intorno dei livelli raggiunti nel primo semestre del 2011; stessa dinamica ha evidenziato la maggior parte dei “risk assets”v, sgretolando, per l’ennesima volta, il canonico “muro del pianto”vi, che accompagna, inevitabilmente, tutte le “impreviste” risalite che seguono i ribassi della storia. Come vedremo meglio in seguito, questo movimento corale è stato alimentato da un progressivo, prudente, miglioramento delle aspettative sul fronte dell’Eurozona. Ma, come già detto, è stato il progressivo miglioramento degli indicatori di ciclo americano, ad avviare, in dicembre, i motori del rialzo. Senza questa spinta ben difficilmente l’indice S&P 500 avrebbe potuto mettere a segno un“rally”di circa il 28% dai minimi di inizio ottobre, riconquistando, primo tra tutti, i massimi del 2011 e del 2008. Ciò che più rileva, 2 comunque, è la netta riduzione della volatilità giornaliera dell’indice (la riduzione dell’ampiezza delle barre del grafico che segue) a partire dalla metà di dicembre, a testimonianza della ritrovata fiducia degli operatori, progressivamente rafforzata dal susseguirsi di i dati congiunturali migliori delle aspettative precedenti. La ripresa degli indici americani ha anticipato quella dei “risk assets” più direttamente legati all’evoluzione delle problematiche nell’Eurozona, quali l’indice dei titoli bancari europei e il livello dello spread BTPBund. Figura 1 indice S&P 500 La questione chiave da enfatizzare, in prospettiva futura, è che il destino dei mercati, sui vari orizzonti temporali, è determinato ancora prevalentemente da quello che succede al di là dell’Atlantico e ciò, a maggior ragione, nel momento in cui l’attenzione sulla crisi dell’area euro dovesse progressivamente ridursi, non fosse altro che per sfinimento degli addetti ai lavori. E allora? E’ credibile ipotizzare che da qui a fine anno il maggiore indice americano possa lievitare fino alla rarefatta quota 1500? Ovviamente la risposta è una scommessa, ma è una scommessa sostanzialmente sul tasso di crescita media dell’economia Usa nell’anno in corso, che, tra parentesi, ha la rilevante caratteristica di essere un anno elettorale. Se dovesse consolidarsi l’attuale trend e la crescita del prodotto reale dovesse viaggiare in direzione del 3%, piuttosto che limitarsi a traccheggiare in zona 1,5-2%, come ancora previsto oggi dai più, allora la risposta sarebbe positiva. 3 Figura 2 Crescita reale su base annua del GDP Usa Diciamo che l’azione della Fed è spasmodicamente orientata a raggiungere questo obiettivo ma le forze strutturali del ridimensionamento del debito associate ad una politica fiscale che inevitabilmente sarà più restrittiva, tirano la corda nella direzione opposta. Maggiore convinzione abbiamo in relazione ai rischi di ribasso del mercato che, considerati gli inevitabili vuoti d’aria, anche imminenti, considerata l’eccessiva compiacenza attuale, sembrano relativamente moderati e contenuti in zona 1200-1250. Ciò perché, anche nel caso dovessero arrivare a breve segnali meno positivi da occupazione e leading indicators, la Fed sarebbe pronta ad intensificare ancora una volta i suoi interventi e ad avviare la terza azione di “quantitative easing” riaccendendo così i motori della speculazione rialzista. Il fronte europeo – nella mani di Mario & Mario Nello scorso mese di novembre, per qualche settimana, l’Italia era diventata l’ombelico del mondo; la deriva del paese rischiava di far saltare definitivamente il banco dell’ euro e della finanza globale. Banalizzando, ma non troppo, affermiamo, senza pretesa di essere originali, che la coppia vincente dei due Mario - Draghi e Monti - ha contribuito in modo determinante alla “normalizzazione” della crisi europea e alla parallela rianimazione degli “animal spirits” della finanza internazionale.vii Ai due, bisogna aggiungere la Cancelliera tedesca Angela Merkel, la quale, pur non brillando per lungimiranza, ha bruscamente interrotto la speculazione sul break up dell’euro (un suicidio per la Germania) pretendendo e ottenendo che i paesi membri si impegnassero a firmare un nuovo trattato intergovernativoviii finalizzato a blindare, con una 4 inviolabile cintura di castità, la ricostituenda verginità fiscale dei singoli paesi membri (remake del discreditato trattato di Maastricht e del successivo patto di crescita e stabilità, violato in primis da Germania e Francia, senza pagare dazio, nel 2003)ix. Non è questa la sede per entrare nel merito delle intricatissime questioni tecniche relative al fondo ESM e per dissertare sulla credibilità del piano di salvataggio della Grecia. Ci limitiamo, di seguito, a fissare alcuni punti fermi sui risultati ottenuti, sui rischi prospettici e su quanto, nel bene e nel male, sembrano aver scontato i mercati europei. Grazie all’LTRO della BCE le banche europee sono state messe in sicurezza e sono di nuovo in grado, con molta moderazione, di comprare debito governativo europeo, ritirare parte del proprio indebitamento per migliorare la gestione del passivo, ricapitalizzarsi quando serve e, residualmente, sostenere le piccole medie imprese. L’enorme ammontare di debito in scadenza nei primi tre mesi dell’anno, finora, è stato assorbito con relativa facilità e tassi in calo. Grazie alla Merkel la medicina propinata all’Europa, e, in particolare a quella più debole, è quella sbagliata, perché largamente errata è la diagnosix. Il problema strutturale dell’Eurozona e dell’Euro non è una sbornia di spesa pubblica finanziata a debito (che pure in alcuni casi c’è stata), ma il gap di competitività relativa all’interno dell’area. La terapia utilizzata ammazzerà sicuramente il paziente Grecia e mette in ginocchio gli altri membri del club Med, Francia inclusa. Questo è un prezzo che prima o poi i mercati dovranno pagare. Il peggior rischio a breve, che è quello dell’insostenibilità in termini politici xi della brutale restrizione fiscale imposta ai “devianti”, con la possibilità che si alimentino processi sociali dirompenti e disaggreganti, quando invece sarebbe necessaria, in questa fase, una maggiore coesione sociale e politica. In particolare preoccupa la drammatica deriva in Grecia, ma Portogallo, Spagna e Italia non sono esenti da rischi di questo tipo. Incombono, infine diversi appuntamenti elettorali, dei quali il più rilevante è quello delle presidenziali francesi in maggio. In positivo c’è la possibilità che alla fine del processo di approvazione nazionale del trattato fiscale, la Germania, raggiunto l’obiettivo, accetti finalmente di “socializzare” parte del debito dei singoli paesi con l’emissione di Eurobond (ma molta acqua deve scorrere sotto i ponti…). In Italia il Governo Monti è riuscito, per ora, a consolidare un discreto consenso sociale, malgrado le bastonate che ha dovuto tirare. Eclatante la discontinuità con il passato, non tanto in termini di politiche proposte (gli interventi e le riforme da realizzare sono sempre state abbastanza ovvie) quanto in termini di 5 “delivery”, cioè di effettiva implementazione. I partiti, dopo il primo mese di schizofrenia, sembrano aver messo a tacere le armi e chiuso negli armadi gli innumerevoli ayatollà della rissa demagogica. La credibilità di Monti, a livello internazionale è visibilmente fuori discussione e alimentata dalla stampa nazionale ed esteraxii. Forse oltre i grandi meriti, considerando i modesti risultati sul fronte delle liberalizzazioni. Ma ora, a spada tratta, si affrontano i nodi del mercato del lavoro e perfino la famosa delega fiscale, eterna promessa mai mantenuta del precedente Ministro delle Finanze. Mercati azionari europei Considerando questo quadro, in breve, la nostra sensazione è che i mercati azionari europei abbiano largamente scontato le notizie positive mentre rimangono esposti ai non indifferenti rischi derivanti da eventuali derive più negative del previsto sul fronte economico e politico. Più pericoloso il secondo del primo, in quanto l’attesa recessione in Europa potrebbe essere meno profonda del previsto, soprattutto rispetto alle ultime previsioni di OCSE e FMI, come sempre basate su statistiche un po’ datate e analisi corpose e quindi difficili da aggiornare in tempo reale. Rimane il fatto che le economie periferiche rimarranno molto deboli, la dinamica dei redditi personali reali largamente negativa anche per una dinamica inflazionistica, che rimane contenuta e calante solo nelle statistiche utilizzate ad arte dai policy makers. Inoltre per i consumatori europei e le imprese controllate o regolamentate dal settore pubblico c’è sempre la spada di damocle derivante dalle crescenti necessità di rientro dei bilanci pubblici. In definitiva non vediamo significative divergenze di tendenza rispetto al recente passato, sia a livello geografico che settoriale. La dinamica degli indici europei dovrebbe rimanere più debole di quella americana e asiatica; il DAX tedesco è l’indice da preferire, i ciclici e i beni di consumo durevole esposti all’eurozona rimangono da evitare, così come le utilities, mentre restano più interessanti le multinazionali del consumo o dei beni capitali con forte esposizione ai mercati asiatici. 6 Figura 3 continua sovraperformance del DAX rispetto al MIB Difficile pensare a una ripresa, in termini relativi rispetto al DAX, dei mercati periferici, forse con una parziale eccezione italiana se i tassi continueranno a ridursi. Infine, per quanto riguarda il settore finanziario, ulteriori spazi di risalita sono a portata di mano (ma solo per i bassi livelli di valutazione di partenza, non certo per le prospettive di mercato), ma associati a massicce dosi di volatilità. Figura 4 indice dei bancari europei Dove vanno i BTP Dalla prima decade di novembre, i rendimenti dei titoli del tesoro italiano con cadenza ad un anno sono passati da rendimenti superiori al 9%, a meno del 2%; i decennali dal 7,5% al 5,3%, con lo spread che si è ridotto di oltre 200 punti e che, in questi giorni, viaggia attorno ai 350 punti base. 7 Figura 5 rendimento del BTP sett. 2021 4,75% Ancora più significativa è stata la riduzione dello spread rispetto ai bonos spagnoli che riflette più direttamente il miglioramento relativo della percezione del rischio specifico italiano, depurato dalla generale maggiore o minore avversione al rischio “sistemico” degli operatorixiii. L’andamento dello spread con la Spagna conferma il positivo “effetto Monti”, prematuramente negato dai soliti, poco avveduti, cantori del precedente status quo. Figura 6 Cento giorni di spread (BTP-Bund) Fonte: www.lavoce.info L’Italia non è più la zavorra che può affondare la barca europea e, almeno fine a fine anno, la navigazione dell’ex “Titanic” sembrerebbe più tranquilla. I rischi per i 8 titoli domestici tornano ad essere generati prevalentemente dall’esterno, e, in particolare, dai fattori di rischio citati nel capitoli precedenti. Ciò premesso sembra opportuno mantenere un atteggiamento equilibrato. Se è vero, infatti, che a livello politico la via per il governo sembra relativamente agevole, è altrettanto vero che il rischio politico in Italia rimane “vivo e in salute”, con un possibile momento della verità in arrivo con le prossime elezioni amministrative parziali. Tutto ciò considerato, mentre sulla parte breve della curva la partita è chiusa, sulla parte medio-lunga c’è ancora spazio, con un target di spread in zona 250 -300, quindi con rendimenti tra il 4,7 e il 5%. Attenzione: questa è oggi anche la visione di consensoxiv, siamo un po’ preoccupati per il fatto di condividerla. Certo di acqua ne è passata sotto i ponti da quando Nouriel Roubini ha considerato quasi inevitabile il default dell’Italiaxv. In definitiva la visione più equilibrata sembra quella espressa da uno degli investitori più esperti degli ultimi decenni, George Soros: “Attraversando un periodo di deflazione, un 6% sui titoli italiani a 10 anni rappresenta un ottimo rendimento, che non rimarrà più a questi livelli una volta che le cose si sistemeranno. Dunque credo che per speculare, siano un investimento molto interessante … Ma si tratta comunque di un investimento rischioso, perché se le cose dovessero andare male, i rendimenti potrebbero balzare fino al 10%. Correresti il rischio di perdere gran parte del tuo denaro... Dunque, al 6%-7% i bond italiani sono ottimi per speculare. Al 5%-4% sarebbero invece una interessante possibilità di investimento di lungo periodo. È uno dei paradossi che mostra come i mercati finanziari al momento non stanno funzionando come dovrebbero”.xvi Il concetto che vogliamo enfatizzare è che l’investimento in BTP va ancora considerato di tipo “speculativo” e quindi, anche per i portafogli di investitori italiani non può mai superare il 15-20% del portafoglio. “Risk off trades” Che dire di investimenti, come quelli sulle obbligazioni governative tedesche e americane, che fino ai 5 anni di scadenza garantiscono rendimenti nominali di poco superiori allo zero e che su durate decennali rendono meno del 2%? Apparentemente sembra essere la strada più sicura per assicurarsi rendimenti reali negativi. In pratica - in un ecosistema finanziario altamente instabile, nel quale il rischio controparte, per lunghi periodi, diventa terrorizzante - il castello di carte della finanza internazionale basato sul debito, largamente rifinanziato quotidianamente sul mercato interbancario overnight o comunque a brevissimo termine, rimane in piedi solo a fronte della disponibilità di “collaterale” offrire in 9 garanzia a chi ti finanzia. E serve soprattutto il collaterale più sicuro, quello con rating apparentemente indistruttibile, merce diventata sempre più raraxvii. Figura 7: trend storico tassi US - fonte: Alphaville Nel frattempo tedeschi e americani ringraziano, potendo rifinanziarsi a tassi nettamente inferiori a quelli che sarebbero coerenti con lo stato delle loro economie. Ad essere precisi, i Treasury Usa hanno in parte perso la “verginità” della tripla A; poco male, gli Usa hanno sempre il signoraggio monetario a “garantire” per il loro debito. Figura 8 bund tedesco - prezzo 10 Per un risparmiatore basato sull’Euro al posto dei bund meglio detenere liquidità in Euro, mentre l’investimento sui Treasury brevi, magari attraverso un ETF, serve solo per acquisire esposizione al dollaro. Barile e lingotto Per il risparmiatore “normale”, l’investimento sulle commodities, è, da tempo, implementabile prevalentemente attraverso l’utilizzo di ETF o ETC che, spesso, non replicano con efficacia gli indici pubblicati. Inoltre l’utilizzo di questi strumenti aggiunge molto poco in termini di diversificazione del rischio, perché la finanziarizzazione dei mercati futures delle merci ha assimilato questo tipo di “investimento” ai tipici “risk on trades”, con la conseguenza che i replicanti finanziari si muovono in sincrono con i mercati azionari, nel bene e nel male. Va poi considerato che gli ETF del genere sono di norma denominati in euro e quindi subiscono l’andamento del cambio dollaro/euro, di solito negativo in presenza di un apprezzamento della materia prima. Ciò che interessa sottolineare in questa sede, è l’aumento del rischio per i mercati azionari che si associa ad un prolungato rialzo delle materie prime, in particolare del petrolio, derivante dall’indiretto effetto negativo su redditi disponibili e capacità di spesa dei consumatori, e sui costi e margini di una vasta filiera di imprese. Figura 9 Prezzo del petrolio in euro e in dollari 11 Oggi l’insostenibile “leggerezza” dei prezzi petroliferi è uno dei motivi che possono di nuovo far deragliare la corse dei mercati azionari. Anche l’oro segue, con molte apparentemente insostenibile rialzo. meno oscillazioni, una traiettoria di Figura 10 Prezzo dell'oro in dollari L’oro, però, a differenza del petrolio, ha un impatto nullo sulla dinamica dell’economia reale , pur essendo acquistato anche per motivi commerciali. Ha il vantaggio di essere (non sempre) maggiormente decorrelato dai “risk on trades” e di fornire una sorta di assicurazione indiretta contro i potenziali esiti catastrofici derivanti dalle politiche di monetizzazione in corso da parte di tutte le principali banche centrali, sia in termini di potenziale avvio di una spirale inflazionistica, sia nel caso opposto di cronica stagnazione economica. La condizione “sine qua non” del suo successo, è la prosecuzione di politiche di “repressione finanziaria” finalizzate a mantenere i tassi d’interesse reali negativi. Fenomeno, questo, di cui non si vede, per ora, la fine. Renminbi e dintorni Il nuovo “game in town”, la nuova moda, nell’ambito dell’offerta di prodotti finanziari è la proposizione di nuovi fondi obbligazionari che investono sul nascente mercato obbligazionario off shore di emissioni denominate in renminbi, la divisa cinese. E’ un mercato ancora embrionale, al quale partecipano già emittenti di standing primario, ma che ha enormi possibilità di crescita. Le autorità cinesi sembrano aver capito che il crescente potere economico internazionale del paese, per consolidarsi ed accrescersi nel tempo, non può prescindere da una parallela progressiva liberalizzazione finanziaria che preveda per la valuta cinese il ruolo di nuova valuta di riserva internazionalexviii, da affiancare al dollaro e 12 all’euro. In breve i cinesi saranno costretti a liberalizzare il mercato valutario e a perseguire una politica monetaria favorevole ad un progressivo apprezzamento del renminbi, funzionale a trasformarlo nella valuta di riserva dominante in Asia. Ci sono delle evidenti motivazioni geopolitiche ed economiche che rendono necessario questo pericoloso passaggio. Pericoloso perché, in prospettiva, agli onori si affiancheranno gli oneri, legati ad una riduzione dei controlli ai movimenti dei capitali e un notevole potenziale di rischio derivante dalla liberalizzazione dei mercati finanziari. Primo fra tutti quello di perdere il controllo delle dinamiche dei mercati interni. Nell’ambito della diversificazione valutaria a livello globale, considerata la cronica debolezza relativa delle “big four”, l’investimento in nuovi strumenti obbligazionari in renminbi, malgrado il mediocre rendimento delle obbligazioni, offre un potenziale interessante per il probabile moderato apprezzamento della divisa nel medio termine. i Cfr. Avviso ai Naviganti N. 16 “Endgame” del 30 novembre 2011. ii Ridimensionamento giustificato dal secolare trend di “delevereging” in atto e dalle sue conseguenze negative sulla crescita economica globale. iii Cfr. Avviso ai Naviganti N 17 “Attimo fuggente”, del 13 gennaio 2012. iv Il riferimento è alla decisione della BCE di aprire due finestre di finanziamento illimitato triennale per le banche al tasso fisso dell’1%, il cosidetto LTRO (Long Term Refinancing Operations). v Da tempo con la locuzione di “risk assets” si identificano le attività finanziarie che, con livelli di correlazione anormalmente elevati, grazie all’enorme liquidità sostanzialmente inutilizzata nel sistema finanziario, si muovono all’unisono, in positivo, quando l’avversione al rischio degli operatori si riduce, e, in negativo, nel caso opposto. Tipicamente rientrano in questa categoria gli investimenti in azioni, commodities, obbligazioni speculative di vario genere (tra le quali rientrano, ormai da tempo, anche quelle emesse dal governo italiano), ecc.. vi Dall’inglese “wall of warry”: tipicamente nelle fasi iniziali di un “bull market” il mercato deve “scalare” un “muro di preoccupazioni”. vii Sorprende l’evidente paradosso di come una classe dirigente che porta per intero la responsabilità del declino del paese, possa avere espresso due “fuoriclasse” capaci di brillare, sia pure in un gruppo di policy makers internazionali di caratura alquanto discutibile. viii Il trattato intergovernativo è stato sottoscritto da 25 paesi; Regno Unito e Repubblica Ceca si sono opposti. ix Si veda ad esempio, il redazionale del LEX di Financial Times “Eurozone Compact” January, 31,2012. x Cfr. “Eu Fiscal strategy is self defeating”, Financial Times, Jean Pisani Ferry, February 5, 2012. 13 xi Cfr. “EU politics take central stage in crisis”, Financial Times, Tony Barber, February 21, 2012. xii Cfr “Italy, game on for super Mario”, Lex , Financial Times, January, 18, 2012. xiii Per un’analisi che dimostra come in generale gli spread siano più influenzati dalla maggiore o minore avversione al rischio, piuttosto che dai “fondamentali” economici di un paese si veda lo studio “Determinants of intra-euro area government bond spread during the financial crisis” di Salvador Barrios e altri, Economics Papers 388, November 2009, European Commission. xivSi veda il sondaggio al linkwww.corriere.it/economia/corriereconomia/12_febbraio_20/marvellisabella-mercati- sondaggi_09a8fffa-5bd3-11e1-9554-12046180c4ab.shtml. xv Cfr. “Italy’s Debt must be restructured”, Nouriel Roubini, Financial Times, November, 29, 2011. xvi www.wallstreetitalia.com/article/1311099/crisi-europa/ecco-perche-soros-consiglia-di-puntaresui-bond-italiani.aspx xvii “A shrinking pool of super safe assets”, John Plender, Financial Times, January, 15,2012 xviii Cfr., ad esempio, “China outlines plan to loosen capital controls”, Simon Rabinovitch, Financial Times, February, 23, 2012. 14