Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle
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Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle
Corte costituzionale e giudizio preventivo sulle leggi elettorali Seminario del Gruppo di Pisa Corte costituzionale e riforma della Costituzione Firenze, 23 ottobre 2015 di Francesco Dal Canto 1. Premessa Lo scorso 13 ottobre il Senato della Repubblica ha approvato il Disegno di legge di revisione costituzionale n. 1429-B, recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”. L’art. 13 del testo di revisione modifica gli artt. 73 e 134 Cost. introducendo un giudizio preventivo di legittimità costituzionale avverso le leggi elettorali della Camera e del Senato promosso su richiesta di una minoranza parlamentare1. Si tratta di un istituto del tutto inedito nell’ordinamento italiano, il cui impatto deve essere attentamente ponderato in relazione a vari piani: quello del livello di protezione dei diritti costituzionali dei cittadini-elettori, quello della tutela oggettiva della legalità costituzionale, quello delle possibili interferenze con altri organi costituzionali, quello della coerenza complessiva del modello italiano di giustizia costituzionale. A tali problemi, e più in generale ad un esame analitico della novella, è dedicato il presente intervento. 2. L’antefatto rappresentato dalla sent. cost. n. 1/2014. Le leggi elettorali da zona franca a zona “calda” della giustizia costituzionale E’ noto che, fino allo scorso anno, la possibilità di promuovere una questione di costituzionalità in materia elettorale era considerata del tutto irrealistica in ragione delle caratteristiche del sistema italiano di controllo di costituzionalità delle leggi, tanto da far ritenere la disciplina elettorale come una delle più ampie “zone franche”, o più elegantemente “d’ombra”, della giustizia costituzionale2 . Le ragioni sono conosciute e non è possibile in questa sede tornarci se non limitandoci a richiamare alcuni aspetti essenziali3. L’art. 87, comma 1, del d.P.R. n. 361/1957 riserva in via esclusiva alle Camere “la convalida della elezione dei propri componenti” nonché la pronuncia definitiva “sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all’Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente”. Tale perentoria previsione stata per lo più interpretata, dalla dottrina e dalla giurisprudenza, nel senso della spettanza al solo Parlamento di ogni decisione in ordine a qualsivoglia tipo di controversia sorta all’indomani della pubblicazione 1 Il testo approvato il 13 ottobre 2015 dal Senato non ha modificato l’articolato licenziato dalla Camera lo scorso 10 marzo con riguardo all’art. 13. 2 Cfr. A. PIZZORUSSO, “Zone d’ombra” e “zone franche” della giustizia costituzionale italiana, in www.giurcost.org. nonché R. BALDUZZI-P. COSTANZO, Le zone d’ombra della giustizia costituzionale. I giudizi sulle leggi, Torino, 2007, 1ss. e P. CARROZZA-R. ROMBOLI-E. ROSSI, I limiti di accesso al giudizio sulle leggi e le prospettive per il loro superamento, in R. ROMBOLI (a cura di), L’accesso alla giustizia costituzionale. Caratteri, limiti, prospettive di un modello, Napoli, 2006, 704ss. 3 Cfr., per tutti, V. MESSERINI, La materia elettorale, in R. ROMBOLI (a cura di), L’accesso alla giustizia costituzionale., cit., 553ss. 1 del decreto di convocazione dei comizi elettorali, comprese le questioni riguardanti in via generale i sistemi e le formule elettorali4. E ciò malgrado il testo dell’art. 66 Cost. - laddove si prevede che “ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità” - potesse giustificare (o forse imponesse) una lettura ben più restrittiva, tale da riconoscere spazi residui di intervento alla giurisdizione comune. Dunque vi era un orientamento piuttosto consolidato in forza del quale esclusivamente le Camere - sul presupposto, peraltro non scontato, della natura giurisdizionale da riconoscere alla Giunte per le elezioni - avrebbero potuto promuovere, attraverso la via incidentale, un’eventuale questione di costituzionalità dinanzi alla Corte in materia di legislazione elettorale; prospettiva resa peraltro assai improbabile dalla circostanza che ben difficilmente i parlamentari avrebbero posto in discussione la legge sulla quale si fondava la loro legittimazione5. Poi è arrivata la sent. n. 1/2014, dichiarativa dell’incostituzionalità parziale della legge elettorale n. 270/2005, e con essa ogni impedimento alla possibilità per il giudice comune di promuovere una questione di costituzionalità avverso una legge elettorale si è improvvisamente dissolto. Una discontinuità così netta, un cambio di prospettiva così improvviso, e in un certo senso inatteso, come forse raramente era capitato in precedenza nella giurisprudenza costituzionale, che pure non è nuova a tentennamenti e revirements. In dottrina si è parlato in proposito della sentenza “più manipolativa che la Corte abbia mai preso”6. Nell’occasione il Giudice costituzionale, imbeccato dalla Corte di cassazione, ha utilizzato due argomenti assolutamente originali; o meglio, ha completamente rovesciato alcuni argomenti tradizionali. In primo luogo ha ricordato che, se vero che alle Camere spetta di conoscere ogni questione concernente le “operazioni elettorali”, tuttavia tale competenza non può dirsi esclusiva e, in particolare, essa non interferisce con la giurisdizione del giudice comune, che non è affatto esclusa, essendo questi il “giudice naturale dei diritti fondamentali e dei diritti politici in particolare”. In secondo luogo, il Giudice delle leggi ha ritenuto di superare anche il problema riguardante la presunta insussistenza del carattere pregiudiziale di una siffatta questione osservando che “la circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso dinanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione”. E nel caso in esame, ha puntualizzato la Corte, “tale condizione soddisfatta”, dal momento che l’accertamento richiesto al giudice comune circa la portata del diritto di voto non risulta “totalmente assorbito” dalla sentenza costituzionale, in quanto residua in capo al giudice comune “la verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto”. Forse non totalmente convinta della persuasività di tali argomentazioni, la Corte ha precisato altresì che l’ammissibilità della questione si desume anche “dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale” del diritto oggetto di accertamento nonché dalla rilevanza costituzionale delle leggi elettorali, che non possono essere immuni dal suo sindacato “se non a pena di creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale …”. A prescindere dalla generale soddisfazione che si è registrata nel dibattito dottrinale per l’obiettivo raggiunto, in considerazione dell’auspicato allargamento delle tutele riconosciute al cittadino-elettore, una gran parte dei commentatori ha scorto nella sentenza n. 1/2014 un’evidente smagliatura realizzata a danno delle regole processuali che governano l’accesso al giudizio di costituzionalità; smagliatura al momento circoscritta alla materia dell’elettorato attivo, e dunque 4 Cfr. Cass., sez. unite, 6 aprile 2006, n. 8118. Cfr. M. SICLARI, Il procedimento in via incidentale, in, AA.VV., Le zone d’ombra della giustizia costituzionale, a cura di R. Balduzzi e P. Costanzo, Torino, 2007, 26. 6 G. ZAGREBELSKY, La sent. n. 1 del 2014 e i suoi commentatori, in Giur.cost., 2014, 2962. 5 2 realizzata “ai limitati fini”7, ma potenzialmente suscettibile di successive espansioni, con il rischio di un’apertura incontrollata del canale di accesso alla giustizia costituzionale8. Insomma, un risultato da tempo auspicato, quello del superamento di una zona franca, è stato ottenuto in modo del tutto inaspettato e, probabilmente, al prezzo di qualche sacrificio in termini di tenuta del modello incidentale di costituzionalità. E tuttavia il risultato è stato ottenuto. Subito all’indomani della pronuncia del 2014, anzi, si sono originati timori di segno diametralmente opposto a quelli che si erano diffusi in precedenza. Nel dibattito politico e dottrinale si sono prontamente levate voci che hanno paventato il rischio che la materia elettorale potesse dare luogo ad una proliferazione incontrollata del contenzioso costituzionale, trasformandosi improvvisamente da una zona “franca” a una zona “calda” della giustizia costituzionale. Prospettiva altrettanto preoccupante, soprattutto in ragione delle peculiarità che caratterizzano la materia elettorale, per il suo intrinseco alto tasso di politicità e per la circostanza che dall’accertamento della legittimità della stessa dipende inevitabilmente, in senso formale o quanto meno sostanziale9, la legittimazione del Parlamento in carica. 3. Una valutazione costi-benefici della riforma E’ dunque scontato riconoscere che l’idea di introdurre nell’ordinamento italiano un giudizio preventivo di costituzionalità avverso la legge elettorale, innescato su ricorso di una minoranza parlamentare, altro non è che la reazione puntuale del Parlamento alla pronuncia della Corte costituzionale, una sorta di contromisura rispetto alle prospettive apertasi all’indomani della stessa10. Si noti, allora: un istituto la cui introduzione è stata anche di recente ipotizzata e soppesata dalla dottrina11, che ne aveva segnalato le potenzialità così come pure i possibili rischi, finisce in definitiva per essere preso in seria considerazione dalle forze politiche per una ragione del tutto contingente, senza un adeguato approfondimento, e soprattutto, paradossalmente, non tanto allo scopo di abbattere una zona franca della giustizia costituzionale ma, esattamente al contrario, prevalentemente per arginare i rischi di una sua possibile, illimitata dilatazione. E del resto, chi oggi si appresta a una valutazione dell’istituto e del suo possibile impatto sulla vita delle istituzioni compie un apprezzamento che non può prescindere dal contesto completamente mutato. Non si tratta più di dotare l’ordinamento, in assenza di qualsiasi mezzo, di uno strumento di controllo sulle leggi elettorali volto anche alla protezione del cittadino in caso di violazione del 7 Cfr. P. CARNEVALE, La Cassazione all’attacco della legge elettorale. Riflessioni a prima lettura alla luce di una recente ordinanza di rimessione della Suprema Corte, in Nomos, n. 1 del 2013, cit., 6. 8 Cfr. R. ROMBOLI, La costituzionalità della legge elettorale 270/05: la Cassazione introduce, in via giurisprudenziale, un ricorso quasi diretto alla Corte costituzionale?, in Foro it., 2013, I, 1836ss. e A. ANZON DEMMIG, Un tentativo coraggioso ma improprio per far valere l’incostituzionalità della legge per le elezioni politiche (e per coprire una “zona franca” del giudizio di costituzionalità), in Nomos, n. 1 del 2013, cit., 6. 9 E’ noto che proprio nella sent. 1/2014 la Corte ha sostenuto, tra le critiche di buona parte della dottrina, che la dichiarazione d’incostituzionalità parziale della legge n. 270/2005 non avrebbe in alcun modo pregiudicato la legittimazione del Parlamento in carica né quella delle sue attività passate e future. 10 Non è un caso, del resto, che la discussione dalla quale ha avuto origine la proposta d’introduzione del giudizio preventivo sulle leggi elettorali non ha tenuto in alcun conto del dibattito precedente: può ricordarsi, a questo proposito, che nel 1997, nel corso dei lavori della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali presieduta dall’on. Massimo D’Alema, era stata prospettata l’introduzione di un ricorso per la tutela, nei confronti dei pubblici poteri, dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, senza peraltro che fosse stata chiarita la questione della legittimazione soggettiva a ricorrere. 11 Cfr. M. CROCE, Sull’opportunità dell’introduzione di un ricorso diretto e preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale, in A. CARDONE (a cura di), Le proposte di riforma della Costituzione, Napoli, 2014, 289ss. 3 diritto costituzionale di voto12, bensì di affiancare - o tendenzialmente di sostituire, ma su questo tornerò più avanti - uno strumento già operativo, vale a dire il sindacato incidentale, con uno strumento nuovo, il quale, di per sé, per quanto tali distinzioni siano sempre piuttosto sfumate, ha in linea di principio una minore propensione dell’altro alla soddisfazione delle esigenze di tutela dei diritti individuali, essendo invece più esplicitamente orientato alla garanzia oggettiva della Costituzione13. Ciò premesso, prima di esaminare nel dettaglio il testo della riforma, vorrei svolgere alcune ulteriori considerazioni sull’istituto in sé, a prescindere dalla sua concreta regolazione, per mettere a fuoco i costi e i benefici potenziali di una siffatta innovazione nel contesto attuale. Cominciando dai benefici, in primo luogo l’introduzione di un controllo preventivo sulla legge elettorale ha come probabile conseguenza quella di favorire un’elaborazione maggiormente condivisa e partecipata della stessa, nella misura in cui è presumibile che le forze della maggioranza di governo siano spinte, proprio per limitare il rischio di un ricorso, a una reale attività di negoziazione sui contenuti della disciplina, evitando forzature e strappi. In secondo luogo, come nel dibattito è stato subito sottolineato, il principale elemento di forza della riforma consiste proprio nel tentativo, quasi palesato nel dibattito parlamentare, di limitare in futuro il ricorso al controllo successivo di costituzionalità sulle leggi elettorali, rendendo, allo stesso tempo, il sindacato sulla legge elettorale maggiormente effettivo in quanto svolto prima della sua applicazione14. In effetti, per quanto la Corte, in occasione della citata sent. n. 1/2014, abbia aperto la strada al controllo sulle leggi elettorali innescato per via incidentale, è pur vero che il relativo giudizio si realizza inevitabilmente “a cose fatte”; vale a dire, quando, in osservanza della stessa, è stato già eletto un Parlamento, o meglio, come nel caso di specie, ne sono stati eletti ben tre (nel 2006, 2008 e 2013). Proprio allo scopo di evitare l’effetto di annullamento delle elezioni svolte in conformità alla legge dichiarata incostituzionale, del resto, la Corte, nella stessa recente occasione, si è trovata costretta ad affermare che gli effetti della sua pronuncia si sarebbero prodotti soltanto a partire dalla successiva legislatura, accogliendo una non scontata interpretazione del concetto di “rapporti esauriti”, interpretato alla luce del principio di continuità degli organi costituzionali. Tutto ciò, al fine di attestare la legittimità delle attività già compiute dal Parlamento e, soprattutto, la sua piena legittimazione in vista di quelle future. Argomentazione, forse, anche accettabile da un punto di vista strettamente giuridico15, ma certamente molto delicata avendo a cuore la sostanza delle cose, essendo senza dubbio politicamente assai debole la posizione di un Parlamento che continua ad esercitare le sue funzioni ancorché composto da deputati e senatori eletti sulla base di una disciplina dichiarata incostituzionale. Dunque, l’obiettivo che si intende cogliere con l’introduzione del ricorso preventivo appare, in linea di principio, condivisibile. E tuttavia - profilo su cui tornerò, in concreto, esaminando il testo 12 La dottrina che ha prospettato l’introduzione di un ricorso diretto alla Corte costituzionale lo ha fatto per lo più allo scopo di superare le zone franche della giustizia costituzionale e ampliare la sfera di tutela dei diritti fondamentali; cfr. R. TARCHI, Il ricorso diretto individuale a tutela dei diritti fondamentali: prospettiva comparata e sistema italiano di giustizia costituzionale, in ID. (a cura di), Patrimonio costituzionale europeo e tutela dei diritti fondamentali. Il ricorso diretto di costituzionalità, Torino, 2012, 59. 13 Cfr. V. ONIDA, Relazione di sintesi: prospettive di ampliamento dell’accesso alla giustizia costituzionale, in R. TARCHI (a cura di), Patrimonio costituzionale europeo e tutela dei diritti fondamentali, cit., 349. 14 Cfr. C. LAVAGNA, Il sistema elettorale nella Costituzione italiana, in Riv.trim.dir.pubbl., n. 3/1952, 851, laddove si segnalava, prima ancora dell’entrata in funzione della Corte costituzionale, che il controllo incidentale di legittimità costituzionale “mal si adatta alle leggi elettorali”, aggiungendo come, “ancorché tali questioni si potessero sollevare, esse condurrebbero in pratica a decisioni successive all’espletamento delle elezioni, con quali conseguenze facile prevedere”. In senso analogo, cfr. anche A. G ARDINO CARLI, Corte costituzionale e cambiamento del sistema elettorale, in A. ANZON-B. CARAVITA-M. LUCIANI-M. VOLPI (a cura di), La Corte costituzionale e gli altri poteri dello Stato, Torino, 1993, 65. 15 Ma in senso diverso, tra gli altri, cfr. G. GUZZETTA, La sent. n. 1/2014 sulla legge elettorale a una prima lettura, in www.forumcostituzionale.it. 4 della riforma - occorre aggiungere che il giudizio preventivo sulla legge elettorale, sebbene più tempestivo ed efficace del sindacato successivo incidentale, non potrà mai interamente sostituirsi a quest’ultimo, una volta che esso è stato reso operativo dalla Corte costituzionale. Come si è detto, il primo è pur sempre un giudizio di tipo astratto, che trova non soltanto la sua forza ma anche il suo limite nella circostanza di non potersi giovare dell’esperienza applicativa concreta della legge, che è invece l’aspetto caratterizzante dell’altro, e dalla quale, in particolare, possono scaturire profili di incostituzionalità difficilmente ipotizzabili a priori. La riforma presenta poi dei sicuri punti di criticità su alcuni fronti, prontamente segnalati dalla dottrina. In primo luogo, come molti hanno notato, un rischio di politicizzazione della Corte costituzionale16. Con l’introduzione del ricorso diretto collocato nella fase integrativa dell’efficacia del procedimento legislativo, la Corte costituzionale si trova a essere maggiormente coinvolta nell’arena politica, più esposta a pressioni e condizionamenti esterni, con il rischio di un’alterazione del suo ruolo di giudice verso una funzione di tipo più marcatamente arbitrale, con la conseguente prospettiva di una sua possibile delegittimazione. Rischio aggravato, peraltro, dalla circostanza che il giudizio si svolge su una legge “astrattamente considerata in tutta la gamma dei suoi possibili significati, al di là di ogni mediazione imposta dalla concreta applicazione della stessa legge”17. Problema cui si lega specularmente un altro: il rischio di “giuridicizzare” la competizione politica18, di fatto condizionando il dibattito parlamentare sulla legge elettorale con la sistematica prospettiva/minaccia di un successivo ricorso alla Corte costituzionale; vale a dire, il rischio di un utilizzo del sindacato preventivo da parte delle opposizioni teso a proseguire la lotta politica con mezzi di natura giuridica. Si tratta senza dubbio di pericoli concreti. Non che il Giudice costituzionale non sia già oggi titolare di competenze caratterizzate da “alta politicità”, né può affermarsi, soprattutto negli ultimi anni, che lo stesso abbia dato prova di grande self restraint dinanzi a questioni caratterizzate da elevato tasso di conflittualità politica, come mostra, tra le altre, proprio la vicenda riguardante la legge elettorale; e tuttavia, non vi è dubbio che anticipare il controllo ad una fase immediatamente successiva all’approvazione parlamentare scaricherebbe sulla Corte una pressione più intensa. Senza contare la delicatezza dovuta alla circostanza, sulla quale torneremo nel prosieguo, che tale giudizio si svolgerebbe in una fase subito precedente a quella del controllo operato del Presidente della Repubblica, cui pure continuerebbe a spettare, prima della promulgazione, l’accertamento di eventuali vizi (manifesti) di costituzionalità. Certo è, come si diceva, che il rischio che si corre con l’introduzione del ricorso preventivo, di un’eccessiva esposizione politica da parte della Corte, deve bilanciarsi oggi non soltanto con i benefici che tale soluzione può determinare ma anche con il concorrente rischio che discende dalla possibilità che venga accertata, con un sistematico ricorso al sindacato successivo, l’incostituzionalità di una legge elettorale dopo che la stessa ha già dispiegato - per la giurisprudenza costituzionale, in modo definitivo - i suoi effetti. Ancora, parte della dottrina ha rilevato come l’introduzione dell’istituto del ricorso preventivo determini anche un rischio di natura per così dire funzionale, in ragione della scelta di attribuire alla Corte costituzionale un compito del tutto eterogeneo rispetto agli altri di cui essa è titolare, non in sintonia con il ruolo che si è ritagliata nel corso dei decenni, così da pregiudicare la coerenza, e 16 Cfr. E. CATELANI, Pregi e difetti di questa fase di revisione costituzionale: proposte possibili, in www.osservatoriosullefonti.it, 1/2015, 4 e G. T ARLI BARBIERI, Audizione sul disegno di legge costituzionale n. 1429-B presso la I Commissione Affari costituzionali del Senato, in www.osservatoriosullefonti.it, 2/2015, 1ss. 17 S. BARTOLE, Rimedi de jure condendo e de jure condito in materia di accesso al giudizio della Corte costituzionale, in Giudizio «a quo», e promovimento del processo costituzionale, Milano, 1990, 157, con riferimento all’ipotesi d’introduzione del ricorso diretto delle minoranze parlamentari. 18 G. BRUNELLI, Una riforma non necessaria: l’accesso diretto delle minoranze parlamentari, in A. ANZON-P. CARETTI-S. GRASSI, Prospettive di accesso alla giustizia costituzionale, Torino, 2010, 154. 5 forse anche l’identità, del modello italiano di giustizia costituzionale. In questo senso si è parlato di una competenza non nella “natura” del nostro processo costituzionale, ovvero di una vera e propria “disarmonia” di tale nuova forma di controllo rispetto al modello italiano di giustizia costituzionale19. Di tali timori, del resto, si è fatto prontamente, e in parte anche irritualmente, interprete lo stesso Presidente della Corte costituzionale, Alessandro Criscuolo, in occasione della conferenza annuale sulla giurisprudenza costituzionale del 2014, quando Egli ha duramente criticato la prospettiva aperta dal disegno di revisione costituzionale affermando che tale riforma attribuirebbe alla Corte un “compito che non le spetta”. Si tratta di una preoccupazione comprensibile ma probabilmente eccessiva. Se è vero, infatti, che il sistema italiano di controllo di costituzionalità è incentrato prevalentemente sul giudizio di tipo successivo, sebbene sia preventivo il controllo della Corte sugli Statuti regionali, è vero pure che ciò deriva da una scelta non irreversibile del legislatore costituzionale. Peraltro, com’ noto, tale soluzione non risulta esplicitata nel testo della Costituzione, che nel 1948, con la sola eccezione del giudizio in via principale di cui all’art. 127 Cost. (giudizio in origine sia preventivo che successivo), si è limitata, con riguardo alle vie di accesso alla giustizia costituzionale, a rinviare a una successiva legge costituzionale (cfr. art. 137, comma 1, Cost.). Senza contare, alzando lo sguardo verso alcune esperienze straniere, come non sia affatto strano che i modelli di giustizia costituzionale subiscano trasformazioni in relazione alle nuove esigenze che si presentano nell’ordinamento, come mostra, ad esempio, l’esperienza del sistema francese per inciso, come meglio argomenterò nel prosieguo, evidente fonte ispiratrice della riforma italiana - tradizionalmente di tipo preventivo, che tuttavia dal 2008 è stata integrata con la previsione di un controllo di costituzionalità di tipo successivo20. In definitiva, a prescindere dall’ovvia circostanza che la decisione circa i compiti che devono essere attribuiti al Giudice costituzionale rientra nella piena disponibilità del Parlamento - e non certo della stessa Corte, né tanto meno del suo Presidente - e dalla banale constatazione per cui già oggi tale organo è titolare di competenze piuttosto eterogenee, ciò che preme sottolineare è che l’introduzione di un ricorso di tipo preventivo, tanto più se limitato alle sole leggi elettorali, non sembra idoneo, quanto meno in linea di principio, a stravolgere alcunché. Nell’ambito di una revisione costituzionale che introduce così profonde trasformazioni non è affatto sorprendente, né tanto meno necessariamente incoerente, che si apportino innovazioni al sistema di giustizia costituzionale: anzi, nel caso, stupisce che ci si sia limitati alle leggi elettorali, mentre probabilmente altri potevano essere i fronti rispetto ai quali un intervento riformatore avrebbe potuto essere preso in considerazione e considerato ragionevole21. A tale proposito, una giustificazione potrebbe forse essere trovata in relazione alla particolarità della legge elettorale quale disciplina “costituzionalmente necessaria”, in riferimento alla quale, per la giurisprudenza costituzionale, il sindacato di costituzionalità successivo risulta comunque condizionato, per il principio di continuità delle istituzioni parlamentari, dalla necessità che la normativa di risulta sia autosufficiente e applicabile. 19 Nel primo senso E. CATELANI, Pregi e difetti di questa fase di revisione costituzionale: proposte possibili, cit., 44; nel secondo senso G. TARLI BARBIERI, Audizione, cit., 17. 20 Cfr. S. LIETO, Sullo stato di avanzamento della riforma del bicameralismo, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, n. 4/2014, 16s. 21 Cfr. R. ROMBOLI Le riforme e la funzione legislativa, Seminario dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, Bologna, 11 giugno 2015, in Rivista dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, n. 3/2015, 16, che si chiede se le vie di accesso al Giudice costituzionale siano da ritenersi adeguate soprattutto tenendo conto dell’introduzione, nel testo di revisione costituzionale, di differenti procedimenti legislativi, circostanza dalla quale potrebbe derivare la necessità di dotare la Corte di strumenti più efficaci per l’accertamento dei vizi formali della legge. 6 4. Esame dell’art. 13 del disegno di legge di revisione costituzionale: a) i ricorrenti e i tempi del ricorso Veniamo dunque all’esame del testo22. Il giudizio preventivo sulla legge elettorale viene innescato su ricorso di almeno un quarto dei membri della Camera o almeno un terzo dei componenti del Senato. Si tratta, dunque, di un giudizio avviato previo ricorso. In proposito è da segnalare, tra le numerose proposte emendative pervenute in sede di Audizioni parlamentari, quella di Massimo Luciani - cui ha in seguito aderito la sen. Finocchiaro, relatrice del provvedimento in Senato - laddove lo stesso ha suggerito una modifica della previsione nel senso di sostituire il giudizio preventivo su ricorso delle minoranze con un giudizio preventivo “automatico”, vale a dire attivato indipendentemente da una richiesta, al fine di allentare la “pressione” sulla Corte e con essa il rischio di un suo eccessivo coinvolgimento nella contesa politica. E’ questa una proposta della quale può certamente condividersi lo spirito ma che, a mio parere, finirebbe per non risolvere il problema. La circostanza che il sindacato sulla legge elettorale possa essere celebrato a prescindere da una specifica istanza di parte non esclude affatto che, durante e dopo il giudizio della Corte, si possa realizzare una tensione o anche una contrapposizione politica; questo è, del resto, quanto accaduto in relazione alla sent. n. 1/2014, innescata, com’ noto, non da una minoranza parlamentare ma dalla Corte di cassazione in qualità di giudice a quo. In altre parole, il rilevante tasso di politicità del tipo di giudizio previsto nel testo di revisione dipende prevalentemente dalla natura della legge oggetto dello stesso e dal suo carattere preventivo, collocato a ridosso delle scelte del legislatore; dipende meno, a mio parere, dalla natura dei ricorrenti. Inoltre, la possibilità della Corte di sindacare la legge elettorale senza alcuna istanza la allontanerebbe probabilmente ancora di più dal suo ruolo di giudice - una disarmonia nella disarmonia, si potrebbe dire - costituendo una rilevante eccezione, ancorché certamente non l’unica, al principio processuale generale sintetizzato nel noto brocardo “ne procedat iudex ex officio”. Venendo ai soggetti che possono promuovere il ricorso avverso le leggi elettorali delle due assemblee, si tratta di almeno un quarto dei membri della Camera (158) e di almeno un terzo dei membri del Senato (34). Le percentuali sono cambiate alla Camera nel corso del passaggio parlamentare dello scorso marzo; nel testo originario si parlava di un terzo dei membri di ciascuna Camera (almeno 211 deputati e 34 senatori). La novella fa dunque diminuire significativamente la percentuale di deputati il cui raggiungimento è necessario ai fini del promovimento del ricorso, mentre lascia inalterata la percentuale dei senatori, rendendo dunque più agevole per i deputati la possibilità di presentare il ricorso. Sembrerebbe un’innovazione condivisibile, per quanto la diversa composizione delle due assemblee renda non del tutto agevole compiere tale apprezzamento: certo è che, in termini assoluti, la differenza con il Senato rimane notevole. 22 Si riporta, per comodità di lettura, il testo dell’art. 13, comma 1, del disegno di legge, che sostituisce il primo comma dell’art 73 Cost.: “Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte costituzionale, su ricorso motivato presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o almeno un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni dall’approvazione della legge, prima dei quali la legge non può essere promulgata. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge. In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata”. Con il secondo comma dell’art. 13 si introduce, poi, una modifica all’art. 134 Cost., aggiungendo ex novo un secondo comma: “La Corte costituzionale giudica altresì della legittimità costituzionale delle leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ai sensi dell’art. 73, secondo comma”. 7 Inoltre, dalla lettura del testo pare evidente che tanto i senatori quanto i deputati possono impugnare entrambe le leggi elettorali, ancorché tale possibilità paia poco ragionevole tenuto conto sia della nuova fisionomia del Senato, organo rappresentativo delle autonomie territoriali, sia della diversa natura delle due leggi elettorali; essendo, in particolare, la legge elettorale della Camera approvata dalla sola Camera, ex art. 70, comma 3 (procedimento monocamerale ordinario), mentre la legge elettorale del Senato sia dalla Camera che dal Senato, ex art. 57, ultimo comma (procedimento bicamerale). In altre parole, mentre è comprensibile che i deputati possano ricorrere contro le due leggi, molto meno comprensibile è consentire tale possibilità anche ai senatori23. Inutile dire che, in assenza di modifiche apportate al testo approvato ad ottobre, non può che prevalere la “lettera” della legge, che chiara nel senso di consentire ai senatori, oltre che ai deputati, di impugnare le leggi elettorali di entrambe le assemblee24. Il ricorso, poi, deve essere presentato entro dieci giorni dall’approvazione della legge. Tale termine è stato opportunamente inserito dalla Camera, a marzo, mentre non era previsto nella versione originaria. L’innovazione senz’altro migliorativa, dal momento che la versione precedente lasciava spazio alla critica di chi aveva letto nell’omissione un elemento utilizzabile per tenere “sotto scacco” la legge per un periodo di tempo più ampio - vale a dire per un massimo di un mese, il termine concesso al Capo dello Stato per procedere alla promulgazione - oltre che più “rispettoso” dello stesso Presidente della Repubblica, il cui potere di promulgazione, in caso di ricorso, viene sospeso. Rimane forse da chiarire cosa si intende per “presentato”, sembrando tuttavia ovvio ritenere che entro dieci giorni dall’approvazione della legge (ovvero entro dieci giorni da quello in cui viene adottata la delibera legislativa con la quale si perfeziona il procedimento della navette) il ricorso debba essere “depositato” presso la Cancelleria della Corte costituzionale. 5. Segue: b) Il thema decidendum Oggetto del ricorso sono “le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”. Com’ stato notato25, non è del tutto chiaro se con tale formula debbano intendersi esclusivamente le leggi elettorali in senso stretto ovvero anche la legislazione elettorale cosiddetta “di contorno” (par condicio, campagne elettorali, rimborsi elettorali, ecc.). Nel Dossier predisposto dal Servizio Studi della Camera dei deputati, datato 4 dicembre 2014, si richiama in proposito la giurisprudenza costituzionale sull’art. 122 Cost, laddove la stessa, pur con specifico riguardo alla legislazione elettorale regionale, ha interpretato la formula “sistema di elezione” ivi prevista nel senso più ampio e comprensivo. In particolare, la Corte ha sottolineato che l’espressione «sistema di elezione» “deve ritenersi comprensiva, nella sua ampiezza, di tutti gli aspetti del fenomeno elettorale” e che dunque essa si riferisce “non solo alla disciplina dei meccanismi che consentono di tradurre in seggi, all’interno di organi elettivi, le preferenze espresse con il voto dal corpo elettorale” ma anche “alla disciplina del procedimento elettorale (…), nonché a quella che attiene, più in generale, allo svolgimento delle elezioni (sistema elettorale in senso ampio)”26. Fermo restando che l’intenzione dei parlamentari era quella di limitarsi alle leggi elettorali in senso stretto, difficile immaginare che, una volta approvata la riforma, le minoranze non proveranno 23 Cfr. S. PANIZZA, Alcuni dubbi interpretativi su talune previsioni contenute nel disegno di legge di revisione costituzionale del Governo Renzi in ordine alle garanzie costituzionali, in www.dirittifondamentali.it, 19 giugno 2015. Lo stesso Dossier predisposto dal Servizio Studi del Camera, datato 4 dicembre 2014, auspicava su questo aspetto un approfondimento ma è rimasto inascoltato. 24 Cfr. R. ROMBOLI, Le riforme e la funzione legislativa, cit., 13. 25 G. TARLI BARBIERI, Audizione, cit., 16ss. 26 Cfr. sent. n. 151/2012, nella quale la Corte ha pure precisato che “la materia «sistema di elezione», nel senso ampio ora indicato, include, perciò, la normativa concernente le campagne elettorali per il rinnovo dei Consigli regionali ed il rimborso, ove previsto, delle spese sostenute dai movimenti e partiti politici per tali campagne”. 8 ad estendere l’ambito di azione della stessa; di conseguenza, tutto rimesso alla giurisprudenza costituzionale. Il ricorso deve essere “motivato”, mentre l’ulteriore precisazione ai sensi della quale esso doveva contenere “l’indicazione degli specifici profili di incostituzionalità” è stata soppressa nel passaggio alla Camera dello scorso marzo27. A tali indicazioni normative si associa un delicato nodo problematico, cui si legano due dubbi: se il controllo della Corte possa, o debba, riguardare l’intera legge ovvero anche singole parti della stessa, e su quale sia la latitudine di tale controllo con specifico riguardo ai profili di incostituzionalità che possono essere denunziati nel ricorso e accertati in giudizio. L’intentio che si collega alla soppressione dell’inciso sopra richiamato, come risulta chiaramente leggendo il dibattito parlamentare, è sicuramente quella di consentire una verifica sull’intera legge con riguardo a tutti i potenziali profili di incostituzionalità. In stretto collegamento con tale obiettivo sembra esservene un altro, seppur ricavabile tra le righe: dare vita a un tipo di giudizio destinato a concludersi con una pronuncia del tutto inedita, idonea, in caso di rigetto dell’istanza, a dotare la legge di una sorta di “salvacondotto” o di “patente di legittimità”. Si tratta di valutare se tale duplice obiettivo, oltre che auspicabile, sia effettivamente realizzabile nell’ordinamento italiano. Per inciso, vi è qui una chiara evocazione del sistema francese di controllo di costituzionalità sulle leggi, che tuttavia non sembra pienamente azzeccata. Come meglio argomenterò più avanti, infatti, a prescindere dalla circostanza che il modello francese di giustizia costituzionale, per natura, caratteri e tradizione, è assai distante da quello italiano e che dunque tentativi di “importazione” sono sempre assai rischiosi, occorre aggiungere che il sindacato preventivo francese è comunque congegnato in modo diverso e assai più coerente, dal momento che esso prevede espressamente il controllo integrale dell’atto solo nel caso di sindacato obbligatorio (leggi organiche e regolamenti parlamentari), mentre, per le leggi ordinarie, impugnabili previo ricorso, il Conseil ha la mera facoltà di estendere il thema decidendum. Tornando all’Italia, a una prima impressione l’obiettivo di consentire una verifica della legge “a tutto tondo” sembrerebbe coerente con quanto sopra ricordato: l’introduzione del ricorso preventivo sulla legge elettorale si giustifica maggiormente se il giudizio che ne consegue si estende a tutti i possibili vizi della stessa, e non soltanto ad alcuni di essi, poiché soltanto in questo modo risulta effettivamente limitata (anche se non esclusa) l’eventualità di un ricorso sulla stessa legge elettorale all’indomani della sua pubblicazione28. Tuttavia, a prescindere dall’intentio più o meno chiara del legislatore, è da dubitare che, senza una norma che lo preveda espressamente, sia possibile consentire la presentazione di ricorsi corredati da motivazioni prive dell’indicazione degli specifici profili d’incostituzionalità. Si tratta, infatti, di una soluzione che non trova alcun riscontro nel diritto processuale costituzionale vigente. Com’ noto, infatti, tanto nel sindacato incidentale che in quello principale, l’atto di promovimento del giudizio deve contenere, a pena d’inammissibilità, puntuali indicazioni circa le disposizioni di legge oggetto della questione e le disposizioni della Costituzione che si assumono violate29. A ciò si aggiunga che la medesima soluzione rappresenta un’evidente disarmonia anche con riguardo ai principi processuali della domanda e di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 27 della legge n. 87/1953 - che senza dubbio si applicano tanto al 27 Per inciso, appare sostanzialmente rimesso all’apprezzamento della Corte il compito definire, in concreto, i caratteri minimi del ricorso, in equilibrio tra la necessità della motivazione e la superfluità dell’indicazione degli specifici profili d’incostituzionalità. 28 Certo, niente impedisce che il ricorso riguardi soltanto alcune parti della legge e che esso, anziché limitarsi a contenere una generica motivazione, indichi specifiche e circostanziate censure; peraltro, risultando tale adempimento soltanto facoltativo, è possibile pronosticare che tale strada non sarà quella più battuta dai ricorrenti. In ogni caso, qualora un ricorso di tale tipo dovesse essere presentato, a mio parere, sulla base degli argomenti sviluppati di seguito nel testo, la Corte dovrebbe ritenersi vincolata a mantenere il giudizio nei limiti del thema decidendum delineato nella domanda giudiziale. 29 Cfr. art. 23 e 34 della legge n. 87/1953. 9 giudizio incidentale che a quello principale e più in generale si applicano, o dovrebbero applicarsi, a tutte le “questioni di legittimità costituzionale”30 - ai sensi del quale “la Corte costituzionale, quando accoglie un’istanza o un ricorso relativo a questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali sono le disposizioni legislative illegittime”. Si potrebbe obiettare che, a fronte di una competenza assolutamente inedita, non sarebbe possibile utilizzare gli stessi principi processuali stabiliti nella legge n. 87/1953, essendo dunque necessaria una disciplina di attuazione ad hoc idonea a regolamentare il nuovo istituto. E tuttavia, poiché è chiaro che l’intenzione è quella di rendere la riforma operativa fin da subito, come del resto si ricava anche dalla previsione contenuta nell’art. 39, comma 11, delle Disposizioni transitorie, su cui di seguito mi soffermerò, in attesa della disciplina d’attuazione la Corte costituzionale non potrà che riferirsi al “suo” diritto processuale costituzionale. Ancora, potrebbe contestarsi che, quand’anche il principio dispositivo e quello del chiestopronunciato dovessero essere rispettati, nel caso di specie non vi sarebbe alcuna violazione degli stessi, bensì soltanto la prospettazione di una “domanda” e di un “chiesto” dai confini molto ampi. Malgrado ciò, dei dubbi rimangono. Guardando alla sostanza del problema, infatti, a me sembra che, con la soluzione prospettata, non molto diversamente da quanto si è detto con riguardo alla proposta avanzata da Luciani sul giudizio preventivo “automatico”, tali principi risulterebbero completamente svuotati, il giudizio preventivo finirebbe per assomigliare molto ad un controllo ex officio, e la Corte si allontanerebbe ancora di più dal suo ruolo di giudice. Il secondo obiettivo, implicito, della riforma, vale a dire quello di dotare la legge, in caso di rigetto dell’istanza, di una sorta di “patente di legittimità”, appare ancora più disarmonico rispetto al modello italiano di giustizia costituzionale. In pratica, si tratterebbe di riconoscere alla pronuncia d’infondatezza l’idoneità a coprire tanto il dedotto quanto il deducibile31, con conseguente impossibilità, una volta formatosi il giudicato, di promuovere una nuova questione sulla medesima legge; ma tale assetto sarebbe del tutto dissonante rispetto al sistema italiano di giustizia costituzionale, ove una decisione di infondatezza, com’ noto, non preclude affatto la possibilità di promuovere una successiva questione di costituzionalità avente ad oggetto la stessa disciplina. In definitiva, pare esservi un notevole scarto tra le intenzioni dichiarate, o intuibili, e ciò che, allo stato, potrà effettivamente essere realizzato. Ammesso e non concesso che tutto ciò sia auspicabile, se s’intende introdurre una disciplina completamente disarmonica rispetto al diritto processuale vigente e vivente è necessario farlo, quanto meno, in modo puntuale ed esplicito. 6. Segue: c) La decisione del ricorso, i rapporti con il potere di promulgazione del Capo dello Stato e con l’eventuale sindacato incidentale successivo Ai sensi del novellato art. 73, “la Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge”. E’ possibile interrogarsi sulla natura di tale termine, se esso debba intendersi come perentorio oppure ordinatorio, dovendosi senz’altro preferire quest’ultima soluzione, dal momento che, in caso contrario, la consumazione del potere della Corte avrebbe dovuto essere espressamente prevista. Inoltre, se il termine fosse perentorio, risulterebbe assai arduo per la Corte, anche per ragioni di carattere organizzativo, svolgere un giudizio “a tutto tondo”, ovvero sull’intera legge e con riguardo a ogni possibile vizio. 30 Come si ricava agevolmente non solo dalla circostanza che la Corte ne fa un utilizzo diffuso in entrambi i tipi di giudizio ma, ancor prima, dal dato letterale, atteso che l’art. 27 inserito nel Titolo II, Capo II, della legge n. 87/1953, intitolato “Questioni di legittimità costituzionale” e dunque dedicato a tutti i giudizi sulle leggi. Diversa, sul punto, la ricostruzione di R. ROMBOLI, Le riforme e la funzione legislativa, cit., 18. 31 Come viene notato nel Dossier dell’Ufficio studi del Senato. 10 Assumendo dunque il carattere ordinatorio del termine, occorre immaginare l’ipotesi, forse non proprio di scuola, che la Corte provveda tardivamente. In tal caso potrebbe darsi la seguente alternativa: ritenere che anche il termine per la promulgazione della legge rimanga sospeso fino a quando la Corte non adotti la pronuncia (ciò che, almeno in linea di principio, potrebbe non avvenire mai), oppure che, allo spirare del termine di trenta giorni dal deposito del ricorso, il termine (di un mese) per la promulgazione riprenda comunque a decorrere, con il conseguente esaurimento, spirato tale ulteriore termine, del potere del Giudice costituzionale di decidere32. In considerazione della circostanza che, nel primo caso, vi potrebbe essere il rischio di una paralisi sine die del procedimento legislativo, mi parrebbe più ragionevole, anche se probabilmente non privo di controindicazioni (perché anche in questo caso non vi è una previsione esplicita), la seconda soluzione, ancorché, seguendo la stessa, i tempi a disposizione della Corte per adottare la pronuncia rimarrebbero comunque piuttosto ristretti. Un altro aspetto d’indubbio interesse attiene al tipo di decisione che la Corte può adottare in rapporto al potere di promulgazione del Capo dello Stato. Limitandoci alle ipotesi in cui la stessa ritenga di affrontare il merito della prospettata questione di legittimità costituzionale, l’ipotesi più delicata riguarda l’adozione di una sentenza di accoglimento parziale, che può avvenire sia nel caso in cui il ricorso abbia riguardato una parte della legge sia qualora la Corte, dinanzi all’impugnazione dell’intera legge, accerti l’incostituzionalità soltanto di una parte di essa. In tale circostanza sembra da escludere che il Presidente della Repubblica possa procedere alla promulgazione parziale della legge, come in effetti si ricava anche dalla lettera della previsione33. Inutile dire che, conseguentemente, la sentenza parziale risulta, in un certo senso, inutiliter data, o meglio del tutto sovrapponibile a una sentenza di accoglimento totale, atteso che l’accertamento dell’incostituzionalità anche di una sola disposizione della legge, magari marginale nel contesto della disciplina elettorale, comporta l’interruzione dell’iter legis. Nell’ipotesi di una pronuncia d’infondatezza, invece, il controllo operato dal Capo dello Stato prima della promulgazione può svolgersi in modo completamente libero e autonomo; tuttavia, sebbene nessuno dubiti che il sindacato del Presidente della Repubblica sia diverso, con riguardo a svariati aspetti, da quello svolto dalla Corte costituzionale, è altrettanto chiaro che gli spazi per un eventuale rinvio alle Camere sembrano - quanto meno sotto il profilo, per così dire, della loro praticabilità politico-istituzionale - sostanzialmente inesistenti. Egli, infatti, si trova a giudicare della (manifesta) incostituzionalità di una legge che soltanto pochi giorni prima la Corte, all’esito di un giudizio tendenzialmente a tutto tondo, ha riconosciuto pienamente legittima. Venendo poi ai rapporti tra giudizio preventivo ed eventuale sindacato successivo, è facile prevedere che, una volta aperta la via incidentale, anche dopo la riforma costituzionale alla Corte continueranno a giungere un certo numero di questioni aventi ad oggetto la disciplina elettorale, sollevate, su impulso di parte, da giudici a quibus con riguardo ai più svariati profili di presunta violazione delle prerogative elettorali del cittadino. Già all’indomani della sent. n. 1/2014, del resto, sono state promosse altre questioni di costituzionalità avverso leggi elettorali34. 32 Mi sentirei invece senz’altro di scartare, perché in contrasto con la natura dell’istituto, l’ulteriore ipotesi che la Corte possa adottare la pronuncia dopo la promulgazione del Presidente della Repubblica, leggendo la formulazione dell’art. 13 nel senso che prima della promulgazione il ricorso deve essere senz’altro prospettato ma non necessariamente deciso. 33 Da notare, per inciso, che il nuovo art. 74 Cost. contemplava, nella prima versione del disegno di revisione, il nuovo istituto del rinvio parziale della legge da parte del Capo dello Stato, senza peraltro prevedere esplicitamente la possibilità di una promulgazione parziale. Tale istituto, tuttavia, è stato soppresso nel passaggio alla Camera del marzo scorso. 34 Cfr. sent. n. 110/2015, che peraltro dichiara l’inammissibilità della questione sollevata sulla legge elettorale per l’elezione del Parlamento europeo in ragione, tra l’altro, delle differenze esistenti tra tale disciplina e la legge elettorale per l’elezione del Parlamento nazionale. 11 Del resto, come in precedenza ho precisato, se il primo giudizio si conclude con una pronuncia di infondatezza nessuna regola processuale sembra impedire che la legge, una volta entrata in vigore, possa essere fatta oggetto di una questione di costituzionalità promossa in via incidentale. Certo, da un punto di vista sostanziale i margini sono ridotti: se il sindacato preventivo ha riguardato l’intera legge e ha preso in considerazione tutti i suoi possibili vizi gli spazi per l’“altro” controllo tenderanno a ridursi. Il secondo giudizio, in particolare, prevedibilmente si concluderà con una decisione d’infondatezza, magari manifesta, in relazione al precedente rappresentato dalla prima decisione. O meglio, i soli spazi che potrebbero effettivamente residuare sarebbero quelli che non erano ipotizzabili in via preventiva, sulla base di una valutazione in astratto, ma rivelatisi percorribili soltanto alla luce dell’esperienza applicativa concreta. Circostanza che tenderà a risultare più probabile con il trascorrere del tempo e delle legislature formatesi con quella legge elettorale. 7. Segue: e) la disposizione transitoria: il sindacato anticipato sulle leggi elettorali approvate nella legislatura in corso In sede di dibattito parlamentare alla Camera è stata inserita una disposizione transitoria (art. 39, comma 11), non prevista nel testo originario del disegno di legge e poi parzialmente modificata dal Senato in ottobre, tesa a consentire, nella legislatura in corso al momento dell’entrata in vigore della riforma, il sindacato di costituzionalità anche sulle leggi elettorali già approvate dal Parlamento, ancorché non ancora applicate (cfr. legge n. 52/2015, c.d. Italicum), ovvero che dovranno essere approvate nei mesi successivi a tale entrata in vigore (cfr. legge elettorale per il Senato, da approvare ai sensi dell’art. 57, comma 6)35. L’intenzione del legislatore dunque quella di consentire il sindacato di costituzionalità anche sulle leggi elettorali promulgate nella legislatura in cui entra in vigore la riforma. Un giudizio non più preventivo ma successivo, dunque profondamente diverso da quello di cui all’art. 73 Cost., ancorché sempre astratto, in quanto “anticipato” rispetto alla prima applicazione della legge elettorale. La disciplina ricalca, con qualche variante, quella dell’art. 73 Cost. Il ricorso, motivato, può essere promosso da almeno un quarto dei componenti della Camera o un terzo dei componenti del Senato e la Corte deve decidere entro tenta giorni dal suo deposito. Nei confronti della legge elettorale della Camera, già promulgata (legge n. 52/2015, ovvero l’Italicum), il ricorso deve essere promosso entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di revisione costituzionale; nei confronti invece della legge elettorale del Senato, da approvarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della riforma, il deposito del ricorso deve avvenire entro dieci giorni dalla sua entrata in vigore36. 35 Ecco il testo dell’art. 39, comma 11, come modificato dal Senato nell’articolato approvato lo scorso 13 ottobre: “In sede di prima applicazione, nella legislatura in corso alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, su ricorso motivato presentato entro dieci giorni da tale data, o entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di cui all’articolo 57, sesto comma, della Costituzione, come modificato dalla presente legge, da almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o un terzo dei componenti del Senato della Repubblica, le leggi promulgate nella medesima legislatura che disciplinano l'elezione dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte al giudizio di legittimità della Corte costituzionale. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta giorni. Anche ai fini di cui al presente comma, il termine di cui al comma 6 decorre dalla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di cui all'articolo 57, sesto comma, come modificato dalla presente legge costituzionale, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano conformano le rispettive disposizioni legislative e regolamentari a quanto ivi stabilito”. 36 Quindi il giudizio avverso la legge del Senato, dovendo quest’ultima essere ancora approvata, si svolge ragionevolmente in una data successiva rispetto a quello sulla legge elettorale della Camera; nella versione del testo precedente al passaggio parlamentare di ottobre, invece, si parlava indistintamente di leggi che disciplinano l’elezione 12 Trattandosi di un sindacato di tipo successivo, gli effetti della pronuncia della Corte, sia in caso di rigetto che di accoglimento, sono analoghi, in linea di principio, a quelli che si registrano all’esito degli ordinari giudizi di costituzionalità sulle leggi. Com’ stato notato37, tuttavia, la particolare natura della legge elettorale dovrebbe impedire alla Corte di pronunciare l’incostituzionalità dell’intera disciplina onde evitare la paralisi delle istituzioni parlamentari, dovendo la stessa conseguentemente preservare la necessaria applicabilità della normativa di risulta, come di recente ribadito nella stessa citata sent. n. 1/2014 della Corte costituzionale. Un problema particolare, segnalato in dottrina38, potrebbe verificarsi poi nel caso in cui le Camere dovessero essere sciolte dopo aver approvato la riforma costituzionale ma prima della sua entrata in vigore, ovvero prima della celebrazione del referendum di cui all’art. 138 Cost, com’ avvenuto talora in passato, ad esempio in occasione della legge di revisione della II Parte della Costituzione approvata alla fine della XIV Legislatura. Se così accadesse, si potrebbe realizzare una singolare disarmonia, nel senso che la legge della Camera (ovvero l’Italicum) non potrebbe più essere impugnata ai sensi dell’art. 39, comma 11, dal momento che, quando ciò divenisse possibile (entro dieci giorni dall’entrata in vigore della riforma) tale legge risulterebbe entrata in vigore non nella “medesima” ma nella precedente legislatura. 8. Le suggestioni del modello francese e la necessità di una disciplina di attuazione Come ho anticipato, sembra di comprendere, leggendo i lavori parlamentari, che la fonte di ispirazione della riforma, proprio sul punto riguardante l’introduzione del giudizio preventivo sulle leggi elettorali, sia stato il sistema francese di controllo di costituzionalità. Sistema che, dal 2008, com’ noto, risulta integrato, a seguito di una revisione costituzionale, dalla “questione prioritaria di costituzionalità”, un giudizio di tipo successivo promosso dall’autorità giudiziaria, del tipo del nostro controllo incidentale. Tuttavia le suggestioni d’oltralpe avrebbero meritato probabilmente da parte del legislatore una considerazione meno superficiale39. In proposito, vale la pena ricordare che, ai sensi degli artt. 61ss. della Costituzione francese, il Conseil constitutionnel svolge un controllo preventivo obbligatorio di tipo astratto sulle leggi organiche e sui regolamenti delle assemblee parlamentari, nonché, su richiesta del Presidente della Repubblica, del Primo ministro, del Presidente dell’Assemblea nazionale, del Presidente del Senato, di sessanta deputati o sessanta senatori, anche sulle altre leggi; in caso di esito negativo del controllo, l’atto normativo “non può essere promulgato”. Il Conseil si pronuncia entro un mese, ovvero, in caso di urgenza su richiesta del Governo, entro otto giorni. Vi è però un distinguo da tenere in considerazione, al quale già prima ho accennato. In particolare, mentre quando il sindacato riguarda le leggi ordinarie il Conseil, pur senza essere obbligato a farlo, può giudicare anche ultra petita, quando invece il giudizio attiene alle leggi organiche e ai regolamenti parlamentari il controllo integrale della legge, con riferimento a tutti i suoi possibili vizi, è sempre doveroso. Le due diverse discipline si giustificano in ragione del fatto che soltanto nel primo caso vi è un ricorso, con una motivazione e con una precisa delimitazione di un thema decidendum; nell’altro caso, invece, il sindacato si svolge in automatico, ex officio. Si tenga poi conto che, nei casi in cui il Conseil, facoltativamente o obbligatoriamente, procede con un controllo integrale della legge, esso dichiara la “conformità”, ovvero la “non conformità”, dei membri della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, entrambe oggetto di ricorso entro dieci giorni dall’entrata in vigore della riforma costituzionale. 37 Cfr. S. CATALANO, Prime riflessioni sul controllo preventivo sulle leggi elettorali inserito nella proposta di revisione costituzionale all’esame del Parlamento, in www.forumcostituzionale.it., 5. 38 Cfr. G. TARLI BARBIERI, Audizione, cit., 18. 39 Cfr. le osservazioni puntuali di S. CATALANO, Prime riflessioni, cit., 1ss. Sulla giustizia elettorale in Francia vedi, da ultimo, P. PASSAGLIA, La giustizia elettorale in Francia: un delicato equilibrio tra complessità ed efficacia, in www.federalismi.it, n. 14/2015, 2ss. 13 della stessa alla Costituzione, fornendo così, nel primo caso, una vera e propria “patente di legittimità costituzionale” al testo normativo. Ragionevolmente, la legge cui il Conseil ha riconosciuto la costituzionalità non potrà più, per esplicita previsione normativa, essere fatta oggetto di un eventuale sindacato successivo, a patto che l’accertamento dell’infondatezza trovi fondamento nella motivazione della pronuncia (dovendosi escludere, dunque, i casi di “assorbimento”) e con la sola eccezione dell’ipotesi in cui, nel frattempo, sia intervenuto un cambiamento delle circostanze di fatto e di diritto che erano sussistenti al momento in cui è stato celebrato il primo giudizio40. Inoltre, un altro profilo interessante della disciplina francese attiene all’ipotesi in cui il Conseil adotti una pronuncia di incostituzionalità parziale, caso in cui la legge organica attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di scegliere tra una promulgazione parziale della legge e la richiesta al Parlamento di adottare una nuova delibera legislativa. Come può vedersi, si tratta di una disciplina dotata di un’innegabile coerenza; qualità che difetta nel testo della riforma italiana. Beninteso, il sindacato preventivo alla francese appare armonico con un modello di controllo di costituzionalità delle leggi prevalentemente di tipo politico e, con tutta probabilità, la sua trasposizione nel sistema italiano di giustizia costituzionale ne comprometterebbe i caratteri tipici, più indirizzati verso una dimensione giurisdizionale della Corte e del suo processo. La soluzione più ragionevole, allora, sarebbe stata probabilmente quella di dare avvio a un sistema davvero inedito e coerente con il modello di riferimento. Al contrario, la riforma costituzionale si muove a mezza strada, così facendo senza dare al nuovo istituto una fisionomia precisa: in altre parole, si importato il modello francese in modo soltanto approssimativo, “a grandi linee”, sacrificando la sua coerenza originaria senza per giunta trovarne una nuova. A prescindere poi dal confronto con il sistema francese, il progetto italiano rimane caratterizzato da ampi tratti di ambiguità e da lacune rilevanti, con innumerevoli profili di ordine processuale che l’art. 13 non affronta e che invece necessitano di essere regolati. Non che la Costituzione possa e debba prevedere tutto; del resto, ciò non accade per nessuna delle competenze di cui la Corte costituzionale è già titolare. E tuttavia, la differenza risiede ora nella circostanza che la chiara volontà dei parlamentari sembra essere quella di dare immediata applicazione al nuovo istituto. Di conseguenza, fino a quando non si metterà mano alla predisposizione di un’indispensabile disciplina di attuazione, adottata con legge costituzionale o quanto meno ordinaria41, la Corte dovrà necessariamente servirsi di ciò che ha a disposizione: vale a dire, per quanto riguarda sia le “norme generali di procedura” che quelle dedicate alle “questioni di legittimità costituzionale” 42, salvo ipotesi di evidente inapplicabilità, delle norme contenute nel Titolo II, Capi I e II, della legge n. 87/1953. Fino ad allora, in altre parole, il nuovo istituto dovrà essere fatto rientrare nell’alveo del “vecchio” processo. 40 Cfr. art. 23, comma 2, della legge organica francese sul giudizio di costituzionalità (Ordonnance n. 58-1067 del 7 novembre 1958) e, su di essa, le osservazioni di S. C ATALANO, Prime riflessioni, cit., 2ss. 41 Altro problema, infatti, sarà quello di individuare la fonte, o le fonti, più idonee a recare tale disciplina, tenendo conto in particolare della distinzione operata dall’art. 137 Cost., che al primo comma assegna alla legge costituzionale il compito di stabilire “le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale e le garanzia di indipendenza dei giudici della Corte”, mentre, al secondo, riserva alla legge ordinaria “le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte”. 42 Che la nuova competenza si sostanzi in un “giudizio sulla legittimità costituzionale” di una legge per inciso espressamente previsto all’art. 134, comma 2, Cost., come modificato dall’art. 13, comma 2, del disegno di legge. 14