il piano di gestione della foresta di vallombrosa tra passato

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il piano di gestione della foresta di vallombrosa tra passato
ORAZIO CIANCIO (*)
IL PIANO DI GESTIONE DELLA FORESTA DI VALLOMBROSA
TRA PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Saper rivivere con piacere il passato
è vivere due volte.
MARZIALE, Epigrammi, X, 23, 6-7
1. LE IDEE GUIDA E I PRINCÌPI INFORMATORI
La consapevolezza che il bosco rende vivibile il presente e possibile il
futuro comporta per i forestali nuove e più ampie responsabilità. La gestione forestale non tende più a privilegiare una sola funzione, ma tende a creare i presupposti per conseguire la resilienza del sistema biologico bosco e
l’armonia tra processi evolutivi. Questo insieme di problemi sta all’origine
della moderna pianificazione e della gestione forestale sostenibile.
Il Piano di Gestione della Foresta di Vallombrosa che si sta realizzando si fonda su due idee guida: da un lato, la creazione di un laboratorio
aperto alle nuove tendenze culturali, naturalistiche e ambientali che possa
essere trasferito ad altre importanti e note foreste; dall’altro, la valorizzazione della funzione museale di questa storica foresta. Esso si configura come
un prototipo di pianificazione forestale e costituisce un momento significativo di un percorso e di un metodo di ricerca teso a dare risposta alle nuove
domande provenienti dalla società.
I principi informatori del piano sono:
a. La visione sistemica e l’approccio olistico che rappresentano l’ispirazione
del lavoro e ne caratterizzano l’iter metodologico;
b. la flessibilità dell’articolazione che trova i riferimenti teorici nell’idea di
(*) Docente di Assestamento Forestale. Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali, Università degli Studi di Firenze. Via S. Bonaventura, 13 - 50145 Firenze.
– I.F.M. n. 2
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piano aperto, cioè in continua evoluzione, lasciando ampio spazio alla lettura della dinamica dei sistemi forestali e alla scrittura del trattamento;
c. la verificabilità dei risultati.
Si prevede di suddividere la foresta in tre parti.
La prima (105 ha) – attestata sulle superfici di più antica coltivazione dell’abete – configura il cuore della foresta e ne rappresenta la storia. In questa
area la funzione storico-culturale è nettamente prioritaria e, appunto per questo, è nata l’idea di realizzare un Silvomuseo (CIANCIO e NOCENTINI, 2000).
La seconda (104 ha) riguarda le parcelle sperimentali che, da circa un
secolo, svolgono rilevanti funzioni per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche. Impiantate in massima parte da Aldo Pavari, attualmente sono gestite
dall’Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Arezzo. Il contatto diretto e
ripetuto degli studenti, nel corso degli studi, con le eterogenee aree sperimentali presenti (dalle più vecchie parcelle di douglasia, agli arboreti, ai
vivai) è parte integrante di un processo formativo assolutamente unico.
La terza, la più estesa (1.056 ha), raggruppa le restanti superfici della
foresta. Su di essa si combinano in misura diversa aspetti ambientali, ricreativi e paesaggistici. Le scelte gestionali riguardano la combinazione di interventi colturali finalizzati alla funzionalità del sistema, alla regolamentazione
della ricreazione all’aperto, alla valorizzazione del paesaggio forestale.
2. COME VIVE E CAMBIA LA FORESTA
Il Piano di Gestione è un progetto aperto. L’obiettivo è il raggiungimento di un equilibrio durevole fra valori naturali e valori storici. Attualmente nella foresta sono evidenti i segni di una spontanea trasformazione di
talune formazioni forestali che non pare utile contrastare.
Per quanto riguarda la parte più estesa della foresta i principali indirizzi gestionali sono due: il primo è orientato verso la conservazione, il secondo
è diretto alla rinaturalizzazione della foresta.
La conservazione tende ad assecondare la dinamica ecologica intrinseca
dei sistemi forestali secondo un criterio che circoscrive gli interventi selvicolturali a pochi, limitati casi: a) il ripristino della funzionalità bioecologica
dei diversi soprassuoli, qualora si verificassero eventi catastrofici; b) la prevenzione di situazioni di pericolo che eventualmente potrebbero manifestarsi per gli utenti.
La rinaturalizzazione si pone oggi come il problema di fondo da
affrontare nella gestione della foresta, valorizzando al massimo livello i
meccanismi intrinseci di autorganizzazione del sistema e agendo a sostegno
dei processi evolutivi naturali che si verificano nei vari popolamenti.
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Sotto il profilo operativo sono rilevanti i seguenti aspetti:
1. il censimento dei biotopi e delle specie rare e il loro monitoraggio nel
tempo;
2. l’istituzione del libro dei boschi vetusti, degli alberi monumentali di
pregio naturalistico, storico, paesaggistico, culturale, selvicolturale ed
etnobotanico e le prescrizioni per la loro tutela;
3. la valutazione delle potenzialità di carico e di sviluppo della fauna selvatica, correlandola a eventuali danni che i collettivi animali provocano al
bosco;
4. l’individuazione e la delimitazione di aree aperte in modo da aumentare
l’offerta alimentare per la fauna;
5. la valutazione dei rischi connessi a effetti traumatici di tipo biotico e
abiotico;
6. l’assenza di schematismi colturali, cioè la necessità di adattare gli interventi alle varie fasi di sviluppo dei popolamenti;
7. l’adozione del criterio colturale per il prelievo delle piante e metodi di
utilizzazione a basso impatto ambientale;
8. effettuare tagli di rinnovazione parsimoniosi, limitati ai comparti in cui
il novellame si è già insediato ed è opportuno che sia liberato e ulteriormente esteso;
9. limitare quanto più possibile le operazioni colturali nel periodo primaverile-estivo per non arrecare disturbo alla fauna ornitica in riproduzione;
10. creare su basi scientifiche un percorso didattico-sperimentale in modo
da verificare gli effetti dei trattamenti e, nelle aree testimone, monitorare l’evoluzione naturale e controllare l’influenza del legno morto sulla
pedogenesi e sulla biodiversità.
Per valorizzare le qualità estetico-paesaggistiche occorre salvaguardare i
«grandi alberi»; favorire la visibilità da punti panoramici; consentire una
maggiore penetrazione visiva lungo i sentieri; conservare ai margini del
bosco o presso le radure singoli individui scelti tra quelli più dotati dal
punto di vista ornamentale (per il colore del fogliame e/o dei fiori e/o dei
frutti, per l’aspetto autunnale, ecc.).
Le potenzialità turistico-ricreative devono essere indirizzate e gestite
secondo un modello d’uso che, pur garantendo la fruizione dei principali
poli di attrazione artistici, naturalistici e panoramici, non creino problemi o
situazioni di conflittualità con l’evoluzione del complesso boschivo.
Un discorso a parte meritano gli arboreti e le parcelle sperimentali presenti all’interno della foresta. La loro conservazione e valorizzazione merita
una incisiva azione di sostegno tecnico, scientifico e finanziario.
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3. IL SILVOMUSEO DI VALLOMBROSA
Il Silvomuseo ha lo scopo di mantenere viva una testimonianza tecnica
non più applicata che ha valore museale perché documenta le relazioni che
nel tempo si sono sviluppate tra ambiente e uomo. Ovviamente, si tratta di
un museo all’aperto, costituito dalle abetine che circondano l’Abbazia.
Queste abetine appartengono al paesaggio, alla storia, alla cultura e alla
religiosità di Vallombrosa.
Per conservarle è già stato proposto un Piano, che sarebbe opportuno
applicare al più presto, elaborato secondo i canoni dell’assestamento classico, codificati dalla gloriosa Scuola forestale fiorentina della quale voglio qui
ricordare i principali artefici: Vittorio Perona, Giuseppe Di Tella, Generoso
Patrone, Mario Cantiani, Bernardo Hellrigl, Giovanni Bernetti.
Nella Foresta di Vallombrosa l’abete bianco è coltivato in purezza da
molti secoli (FORNAINI, 1804; GABRIELLI e SETTESOLDI, 1985; BARONI,
1992). I Monaci Vallombrosani elevarono a sistema la tecnica selvicolturale
del taglio raso e della rinnovazione artificiale posticipata, divenendo i precursori del bosco di conifere coetaneo e monospecifico. Essi furono i precursori nel 1600 di una selvicoltura che due secoli dopo raggiunse l’apogeo
quando prese a dilagare nell’Europa centrale.
La tecnica colturale messa a punto tendeva alla produzione di assortimenti di pregio e alla creazione di un paesaggio forestale che ben si adattava alla visione religiosa e spirituale dei Benedettini. Secondo PATRONE
(1973) l’abetina è la fustaia mistica per eccellenza, la fustaia dei Santi e dei
pensatori, dalle piante colonnari, slanciate, dalle eleganti forme geometriche. Le abetine coetanee suscitano ancora oggi nel visitatore un senso di
sacralità e invitano alla meditazione.
L’iniziativa di istituire il Silvomuseo rende omaggio alla intuizione e
all’opera dei Monaci Vallombrosani. Le abetine che vegetano intorno
all’Abbazia ne rappresentano il nucleo storico a testimonianza della tecnica
colturale del passato.
Il paesaggio forestale è conseguenza delle pratiche selvicolturali che lo
hanno plasmato. Nel tempo si è avviato un cambiamento, seppure lento,
delle caratteristiche strutturali ed estetiche del bosco. Si pone quindi il problema di salvaguardare gli aspetti storici, culturali e paesaggistici di questa
parte della foresta. Se non si opera tempestivamente e in modo appropriato
si distrugge memoria storica. E senza memoria storica non c’è futuro.
La conservazione del tipico paesaggio dell’abetina e il sistema di coltivazione ideato dai Monaci Vallombrosani, proprio perché ormai in disuso,
assume valore museale. A differenza di un vero e proprio museo, dove sono
raccolti, studiati, catalogati, esposti oggetti di interesse artistico, storico o
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scientifico, qui gli «oggetti» sono rappresentati dalla tecnica selvicolturale e
dal bosco plasmato dall’uomo.
4. RITORNO AL FUTURO
Vallombrosa: storia e cultura, parco del pensiero forestale, Silvomuseo.
Un messaggio che nobilita l’immagine e il ruolo del forestale che con alta
professionalità cerca di svelare e conoscere i segreti della natura.
Un invito alla riflessione sul valore che bisogna annettere al passato;
sull’importanza di guardare al bosco e agli alberi non solo in modo asettico,
cioè scientifico, ma anche con un pizzico di romanticismo; sul coraggio di
ammirare il passato e di guardare al futuro per ricercare un rapporto tra
uomo e bosco, portatore di un reale progresso scientifico e tecnico e teso a
legare il passato al presente e questo al futuro.
La conoscenza dell’evoluzione della tecnica e del pensiero scientifico
genera «cultura forestale». Questa consapevolezza consente di immaginare
un futuro migliore per i giovani forestali e per tutti coloro che amano il
bosco e quanto esso rappresenta.
BIBLIOGRAFIA
BARONI A., 1992 – Dalle origini alle piogge acide. Notizie storiche sulla foresta di
Vallombrosa. Tipografia Abbazia di Vallombrosa, 110 p.
CIANCIO O., NOCENTINI S., 2000 – Perchè un Silvomuseo a Vallombrosa. L’Italia
Forestale e Montana 50 (6): 397-408.
CIANCIO O., NOCENTINI S., 2000 – Il Silvomuseo di Vallombrosa: Piano di assestamento dell’Abetina dei Monaci Vallombrosani. L’Italia Forestale e Montana
50 (6): 409-450.
FORNAINI L., 1804 – Della coltivazione degli abeti. Magazzino toscano, Firenze.
GABBRIELLI A., SETTESOLDI E., 1985 – Vallombrosa e le sue selve. Nove secoli di storia. Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, Corpo Forestale dello Stato,
Roma. Collana verde 68. 249 p.
PATRONE G., 1973 – Selvicoltura, architettura, matematica. L’Italia Forestale e Montana, 28 (3): 85-124.