Atti del seminario - Associazione Italiana Pedologi

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Atti del seminario - Associazione Italiana Pedologi
Vol. 85 (2009)
STUDI TRENTINI
DI SCIENZE NATURALI
SUOLI DEGLI AMBIENTI ALPINI
a cura di
Giacomo Sartori
museo tridentino di scienze naturali - trento - 2009
3
INDICE – CONTENT
Michele Lanzinger
Presentazione del Direttore del Museo Tridentino di Scienze Naturali......................................................................... 5
Christian Merkli, Giacomo Sartori, Aldo Mirabella, Markus Egli, Alessandro Mancabelli & Michael Plötze
The soils in the Brenta region: chemical and mineralogical characteristics and their relation to landscape evolution
I suoli nel Gruppo dolomitico del Brenta: caratteri chimici e mineralogici e loro relazioni con l’evoluzione
del paesaggio................................................................................................................................................................. 7
Michele E. D’Amico, Francesca Calabrese & Franco Previtali
Suoli di alta quota ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic (Valle d’Aosta)
High altitude soils and ecology of Mont Avic Natural Park (Valle d’Aosta, Italy)........................................................ 23
Isabelle Aberegg, Markus Egli, Giacomo Sartori & Ross Purves
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley (Val di Sole, Trentino, Italy)
Distribuzione del modello spaziale dei tipi e delle caratteristiche del suolo in un’alta valle alpina
(Val di Sole, Trentino).................................................................................................................................................... 39
Andrea Borsato
Depositi loessici in Trentino: caratteristiche morfologiche, tessiturali, mineralogiche e pedologiche
Loess deposits in Trentino: morphological, textural and pedological characteristics.................................................. 51
Diana Maria Zilioli & Claudio Bini
Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino: considerazioni sulla distribuzione e sull’evoluzione dei suoli
nella regione dolomitica
Ten years of research on soils of the Alpine environment: considerations on the distribution and evolution of soils
in the Dolomites region.................................................................................................................................................. 61
Adriano Garlato, Silvia Obber, Ialina Vinci, Giacomo Sartori & Giulia Manni
Stock attuale di carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto
The actual stock of organic carbon in the mountain soil profiles of Veneto Region...................................................... 69
Chiara Cerli, Luisella Celi, Paola Bosio, Renzo Motta & Giacomo Grassi
Effect of land use change on soil properties and carbon accumulation in the Ticino Park (North Italy)
Effetto del cambio d’uso sulle proprietà del suolo e sull’accumulo di carbonio nel Parco del Ticino (Nord Italia).... 83
Filippo Favilli, Markus Egli, Giacomo Sartori, Paolo Cherubini, Dagmar Brandova & Wilfried Haeberli
Application of relative and absolute dating techniques in the Alpine environment
Applicazione di tecniche di datazioni relative e assolute in ambiente alpino............................................................... 93
Cristiano Ballabio, Giulio Curioni, Massimiliano Clemenza, Roberto Comolli & Ezio Previtali
Studio della distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini
Study of the spatial distribution of 137Cs in Alpine soils................................................................................................ 109
Claudio Bosco, Ezio Rusco, Luca Montanarella & Panagiotis Panagos
Soil erosion in the Alpine area: risk assessment and climate change
Erosione del suolo nell’area alpina: valutazione del rischio e cambiamenti climatici................................................. 119
Gianluca Filippa, Michele Freppaz & Ermanno Zanini
Suolo e neve in ambiente alpino: effetti sul ciclo dell’azoto
Soil and snow in Alpine environment: effects on the nitrogen dynamics....................................................................... 127
Mauro Gobbi
Influenza dei caratteri e delle tipologie di uso del suolo sulle comunità di Carabidi (Insecta: Coleoptera)
Influence of soil characters and land use on the ground beetle (Insecta: Coleoptera) communities............................ 137
Roberto Zampedri
Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane nella Provincia di Trento
Soil and air temperature measures in four alpine spruce forest of the Trento Province (Italy)..................................... 141
4
Augusto Zanella, Bernard Jabiol, Jean-François Ponge, Giacomo Sartori, Rein de Waal, Bas Van Delft, Ulfert
Graefe, Nathalie Cools, Klaus Katzensteiner, Herbert Hager, Michael English & Alain Brethes
Toward a European humus forms reference base
Verso una base di riferimento per le forme di humus europee...................................................................................... 145
Bernard Jabiol
French humus forms classification: what’s new in the Référentiel pédologique 2008?
La classificazione francese delle forme di humus: cosa c’è di nuovo nel Référentiel pédologique 2008?................... 153
Adriano Garlato, Silvia Obber, Ialina Vinci, Alessandro Mancabelli, Andrea Parisi & Giacomo Sartori
La determinazione dello stock di carbonio nei suoli del Trentino a partire dalla banca dati della carta dei suoli
alla scala 1:250.000
Soil carbon stock assessment in the Trento Province (Italy) based on the soil map at 1:250,000 scale....................... 157
Marco Ciolli
Le tipologie stazionali forestali nel monitoraggio dei cambiamenti ambientali: il caso della Val di Sella (Trentino)
Forest types for environmental monitoring: the case of Val di Sella (Trentino, Italy)................................................... 161
Paolo F. Martalò, Igor Boni, Paolo Roberto, Mauro Piazzi & Marco Corgnati
La conoscenza dei suoli alpini in Piemonte e la gestione multifunzionale delle superfici a pascolo
The study of Alpine soils of Piemonte Region and the multifunctional management of Alpine pastures...................... 165
5
Presentazione del Direttore del Museo Tridentino di Scienze Naturali
L’analisi della componente pedologica del territorio alpino costituisce un campo di studio strettamente correlato
all’azione antropica. La coltura agricola, forestale o i fenomeni di inquinamento delle falde acquifere passano inevitabilmente per la componente suolo, che ne conserva traccia e memoria.
Il territorio della Provincia di Trento si distingue per la mole notevole di lavori scientifici che a partire dagli anni
Novanta sono stati condotti da vari gruppi di ricerca (tra i quali spicca quello che fa capo al Museo Tridentino di Scienze
Naturali) sui suoli naturali, sia nei loro rapporti con il clima e la vegetazione come pure in relazione alla loro genesi e agli
aspetti relativi al comparto organico e mineralogico.
Questa realtà rappresenta indiscutibilmente una bella eccezione nel panorama complessivo riguardante i suoli di
montagna, in genere non sistematicamente studiati.
Tutto ciò in un quadro di crescente interesse per il suolo in quanto risorsa fragile e non rinnovabile, come indicato
in particolare dalla Direttiva europea riguardante i suoli di prossima approvazione, e nel quadro delle possibilità offerte
dalle nuove tecnologie.
Gli studi in questione possono servire, come dimostrato dai lavori presenti nel volume, per predire i cambiamenti
connessi ai cambiamenti climatici (e/o all’uso del suolo), in particolare quelli che interessano il carbon stock del suolo
e l’erosione, per monitorare gli inquinanti legati alle contaminazioni diffuse, per individuare i metalli pesanti presenti
naturalmente nelle rocce serpentinitiche, per la gestione dei pascoli alpini e per la comprensione della genesi dei paesaggi
alpini.
Nel volume si dà spazio poi agli humus, che costituiscono un comparto fondamentale dei suoli di montagna, basilare
per i cicli degli elementi e soggetto in tempi rapidi ai cambiamenti d’uso o climatici; in particolare la bozza di classificazione europea qui proposta rappresenta uno strumento innovativo, che va a colmare una lacuna a livello europeo.
Michele Lanzinger
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
The soils in the Brenta region: chemical and mineralogical characteristics and their
relation to landscape evolution
2
3
1
Christian Merkli1*, Giacomo Sartori , Aldo Mirabella , Markus Egli , Alessandro MANCABELLI1
4
& Michael Plötze
1
Department of Geography, University of Zurich, Winterthurerstrasse 190, 8057 Zurich, Switzerland
Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38100 Trento, Italy
3
Istituto Sperimentale per lo Studio e la Difesa del Suolo, Piazza D’Azeglio 30, 50121 Firenze, Italy
4
ETH Zurich, Institute for Geotechnical Engineering, 8093 Zurich, Switzerland
*
Corresponding author e-mail: [email protected]
2
SUMMARY - The soils in the Brenta region: chemical and mineralogical characteristics and their relation to landscape evolution - A
toposequence of soils developing in an altitudinal range from 1100 to 2400 m a.s.l. in the Italian Alps (Brenta region) was investigated.
This approach served as the basis for the following aims: the calculation of element mass-balances, understanding the formation of
pedogenic Fe- and Al-formation, the determination of soil mineral and clay mineral reactions and transformation. Several processes
and tendencies could be detected. Leaching of carbonates was the main weathering mechanisms with higher leaching rates at the lower
altitudes. Si, K and to a lesser extent Al showed a trend with increasing mass losses at lower altitudes. Leaching of Si, K and Al was bound
to an active dissolution of primary minerals. This fits well with the observation that the production of oxyhydroxides was greater at lower
altitudes. Incongruent weathering of primary minerals produced oxides and hydroxides such as goethite and ferrihydrite (brunification),
although the soils contained carbonate up to the surface. Weathering of mica and a corresponding transformation into vermiculite was the
most obvious process in the clay fraction. In contrast to soils on silicatic parent material, the investigated soils on limestone and dolomite
exhibited a decreasing weathering intensity with increasing altitude.
RIASSUNTO - I suoli nel Gruppo dolomitico del Brenta: caratteri chimici e mineralogici e loro relazioni con l’evoluzione del paesaggio - È
stata studiata una toposequenza di suoli evolutisi nel Gruppo del Brenta (Alpi italiane), in un intervallo di quota tra i 1100 e i 2400 m s.l.m.
L’approccio adottato mirava alle seguenti finalità: calcolo dei bilanci di massa degli elementi, comprensione della genesi dei composti di Al e
Fe, determinazione dei minerali del suolo e della trasformazione dei minerali argillosi. Il lavoro ha permesso di osservare e caratterizzare vari
processi e tendenze evolutive. La principale forma di alterazione, con intensità maggiore alle quote più elevate, è il dilavamento dei carbonati.
Per Si, K, e in minore misura per Al, si è osservata invece una tendenza all’aumento delle perdite per dilavamento con il diminuire della
quota. Il dilavamento di Si, K e Al è legato a una intensa dissoluzione dei minerali primari. Tale processo è confermato anche dalla minore
formazione di idrossidi alle altitudini più basse. L’alterazione incongruente dei minerali primari produce ossidi e idrossidi quali goethite e
ferrihydrite (brunificazione), anche se nei suoli sono ancora presenti carbonati fino alla superficie. L’alterazione della mica, e la corrispondente
trasformazione in vermiculite, è il processo più evidente nella frazione argillosa. Diversamente dai suoli sviluppati su materiali silicatici, i suoli
studiati, evolutisi da calcari e/o dolomie, mostrano una minore intensità dell’alterazione all’aumentare della quota.
Key words: soil formation, carbonate leaching, element losses, weathering, Alpine soils, clay mineralogy
Parole chiave: genesi del suolo, decarbonatazione, perdita di elementi, alterazione, suoli alpini, mineralogia delle argille
1.
INTRODUCTION
Soil sequences may give an insight into the influence
of factors determining weathering rates. The currently occurring worldwide climate changes are fuelling a growing
interest in the effect that the factors climate and time are
having on the landscape and consequently on soil evolution. Soils play a major role in the biogeochemical cycle including weathering and the storage of nutrients and carbon
(Bain et al. 1994; Dahlgren et al. 1997). Carbon dioxide is
converted to bicarbonate and nutrients are released during
carbonic acid weathering of silicate minerals, thus contributing to both carbon and nutrient cycling. Climate change
can have significant impacts on the global biogeochemical
cycle by altering the type and rate of soil processes and the
resulting soil properties (Theurillat et al. 1998; Bockheim
et al. 2000). The rate of the reactions is of fundamental
interest in the understanding of the soil system and its interaction with the surrounding environmental conditions.
In earlier studies, common trends of the effect of
climate on weathering and soil included changes in soil
organic matter, clay content, acidity, and exchangeable
ions (Laffan et al. 1989; Bäumler & Zech 1994; Bockheim
et al. 2000). Higher temperatures should theoretically increase rates of chemical weathering (Muhs et al. 2001); this
was, however, not fully supported by other findings (Hall
Merkli et al.
The soils in the Brenta region
2.
INVESTIGATION SITES AND GEOLOGICAL
SETTING
A soil profile sequence along an altitude gradient ranging from 1100 up to 2400 m a.s.l. in the Brenta Natural Park
(Fig. 1) was investigated (Tab. 1). The sequence is located in
the south Alpine belt in northern Italy. The lithology consists
of sedimentary rocks from the Mesozoic. The southern part
of the Brenta region is dominated by thick dolomite sheets
from the mid-Triassic. The northern part has predominantly
limestone and dolomite from the Jurassic and partially from
the Cretaceous. The present day climate ranges from temperate to alpine (above the timberline). Mean annual temperature and precipitation in Pinzolo (776 m a.s.l.) is 8.8 °C and
Bozen
po d
iB
ren
ta
l
Va
South Tirol
(Alto Adige)
Trentino
Trento
Grup
dena
Madonna di
Campiglio
Cles
Val di Non
ole
S
di
N
o di
Gar
d
a
Val Giudicarie
Lag
et al. 2002; Egli et al. 2003). West et al. (2005) proposed
that warmer environments generally should mean higher
chemical weathering rates, but some very warm environments paradoxically had extremely low weathering rates.
According to von Blanckenburg (2005) neither precipitation nor temperature appear to exert any influence on silicate weathering.
Calcareous minerals are very soluble and dissolve
rapidly (Stumm & Morgan 1996). In calcaric soils, H2O
and H2CO3, which are the sources of protons, are the main
reactants at the initial stage of soil formation. The net result
of the reaction is the release of cations (Ca2+, Mg2+, K+, Na+)
from the soil and the production of alkalinity via HCO3-. The
atmosphere provides a reservoir for CO2 and for oxidants
required in the weathering process. The biota assists the
weathering processes by providing organic ligands and acids
and by supplying increased CO2 concentrations in the soil.
In Trentino, several regions with silicatic parent material were investigated regarding chemical weathering and
mineral formation and transformation mechanisms (Egli et
al. 2003; Mirabella & Egli 2003; Egli et al. 2006; Mirabella
& Sartori 1998). Mass balance calculations indicated that
extensive mineral weathering and element denudation was
greatest in subalpine forests near the timberline. Weathering
rates decreased with both higher and lower altitudes.
Our main hypothesis was consequently that weathering reactions should be also most intensive close to the
timberline in soils developing from calcareous parent material.
Val R
en
8
0
10
20
30 km
Data: Centro Ecologia Alpina delle Viote del Monte Bondone, Trento (Italia)
Fig. 1 - The investigation area (Brenta region).
Fig. 1 - L’area di studio (Gruppo di Brenta).
1097 mm yr-1, respectively (Sartori et al. 2005). Mean annual
temperature and precipitation correlate with altitude (mean
annual temperature at Grosté, 2505 m a.s.l., is -0.4 °C). In
the eastern part of the Brenta region, annual precipitation is,
however, slightly lower (Sboarina & Cescatti 2004).
According to Sartori et al. (2005) the following vegetation zones (Fig. 2) can be defined in the Brenta region:
a.
lower montane zone (up top 800-900 m a.s.l.) with
thermophilic deciduous trees such as Fraxinus ornus,
Ostyria carpinifolia, Quercus pubescens and mesophilic species such as Carpinus betulus;
b.
upper montane zone (up to 1600 m a.s.l.) with Fagus
sylvatica, Abies alba and Pinus sylvestris in the lower
part and in the upper part with Picea abies;
c.
subalpine zone with Larix decidua and, locally, Pinus
cembra until ca. 2200 m a.s.l. Shrubs are becoming
Tab. 1 - Site characteristics.
Tab. 1 - Caratteri ambientali dei siti.
Profile
Site
A1
A2
Parent material
Soil type (WRB; FAO 1998)
65
Limestone debris
Calcari-Mollic Cambisol (Hyperskeletic)
65
Limestone debris
Haplic Luvisol
200
40
Dolomite debris
Calcari-Mollic Cambisol (Hyperskeletic)
100
50
Limestone/Dolomite debris Calcari-Mollic Cambisol (Skeletic)
1730
145
60
Limestone debris
1740
200
70
Limestone/Dolomite debris Calcari-Mollic Cambisol (Hyperskeletic)
2240
60
35
Dolomite debris
Hyperhumi-Rendzic Leptosol
2340
215
30
Dolomite debris
Hyperhumi-Rendzic Leptosol
Altitude
m a.s.l.
Exposure
°N
Slope
%
Val di Tovel
1120
100
Val di Ceda
1200
100
B3
Val Brenta
1450
B4
Val d’Ambiez
1470
C5
Val di Tovel
C6
Vallesinella
D7
Le Crosette
D8
Grosté
Calcari-Mollic Cambisol (Episkeletic)
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
Profiles:
Soil types:
9
Vegetation:
Climate:
Altitude:
high alpine zone
3000 - 3100 m
Alpine meadow
C5 / C6
Calcari-Mollic Cambisol
B3 / B4
Calcari-Mollic Cambisol
A2
A1
Haplic Luvisol
Calcari-Mollic Cambisol
alpine zone
Dwarf-shrubs
Coniferous forest
2200 - 2300 m
Precipitation
Hyperhumi-Rendzic Leptosol
Temperature
D8
D7
subalpine zone
1500 - 1600 m
upper montane zone
Mixed forest
800 - 900 m
lower montane zone
Deciduous forest
300 - 500 m
planar zone
Fig. 2 - Vegetation zones and location of soil profiles along the toposequence.
Fig. 2 - Fasce vegetazionali e localizzazione dei profili di suolo all’interno della toposequenza.
more important in the upper part (e.g. Alnus viridis);
alpine zone with shrubs and meadows. SeslerioCaricetum sempervirentis and Caricetum firmae are
typical for carbonate-rich parent material.
Surface ages can be estimated to be about 12,000 to
16,000 years as the whole region was covered by glaciers
during the last ice age.
d.
3.
MATERIAL AND METHoDS
3.1.
Sampling
The soil profiles were selected during an inventory
giving an overview of the different soil types, their characteristics and variability. The chosen soils were assumed to
be representative of the altitude zones. Soil profiles ditches
were dug down to the C horizon. A total of 8 sites were
investigated. From 2 to 3 kg of soil material was collected
per soil horizon. Soil bulk density was determined with a
soil core sampler. Taking advantage of the profile pits, undisturbed soil samples were taken down to the C horizon.
3.2.
Soil chemistry
Element pools in the soil (Ca, Mg, k, Na, Fe, Al, Mn,
Si, and Ti) were determined by a method of total dissolution.
oven-dried samples were dissolved using a mixture of HF,
HCl, HNo3, and H3Bo3 as in Hossner (1996) and modified
as in Fitze et al. (2000) in a closed system (microwave-oven
and under high pressure, 25 bar). Concentrations of Ca, Mg,
k, Na, Fe, Mn, Al, Si, Ti were determined by atomic absorption spectroscopy. Additionally, the dithionite- and oxalateextractable fractions were measured for the elements Fe, Al
and Si (Mckeague et al. 1971). Total C and N content were
determined, respectively, by the Walkley-Black (Walkley &
Black 1934) and the kjeldahl methods. Soil pH (in 0.01 M
CaCl2) was determined on air-dried samples of fine earth
using a soil solution ratio of 1:2.5. CaCo3 and CaMg(Co3)2
contents were obtained by combining the total elemental
contents (Ca, Mg) with XRD-data.
3.3.
Soil mineralogy and grain sizes
The clay fraction (< 2 µm) was obtained from the
soil after destruction of organic matter with dilute and Naacetate buffered H2o2 (pH 5) by dispersion with Calgon and
sedimentation in water (Egli et al. 2001). oriented specimens on glass slides were analysed by X-ray diffraction using Cu-kα radiation from 2 to 15°2θ with steps of 0.02°2θ
at 2 seconds per step. The following treatments were performed: Mg saturation, ethylene glycol solvation (EG) and
k saturation, followed by heating for 2 hours at 335 and
550 °C. Digitised X-ray data were smoothed and corrected
for Lorentz and polarisation factors (Moore & Reynolds
1997). Peak separation and profile analysis were carried out
10
Merkli et al.
The soils in the Brenta region
by the Origin PFMTM using the Pearson VII algorithm after
smoothing the diffraction patterns by a Fourier transform
function. Background values were calculated by means of a
non-linear function (polynomial 2nd order function; Lanson
1997). The program reconstructs single peaks by fitting the
envelope curve of overlapping peaks. This procedure also
outputs the position and the integral intensity (area) of each
single peak. The presence of kaolinite and imogolite was
checked with IR (Bruker Optics GmbH, Tensor 27).
DRIFT (Diffuse Reflectance Infrared Fourier
Transfor­mation; Bruker Optics GmbH, Tensor 27) spectra
were recorded over the range of 4000 to 250cm-1 on powder
mounts made with 6 mg of sample and 300 mg of KBr.
After pre-treating the samples with H2O2 (3%) particle size distribution of the coarse fraction of the soils was
measured by wet-sieving (2000-32 µm). The finer fraction
was determined by the pipette method after dispersion and
sedimentation in deionized water (Gee & Bauder 1986).
3.4.
Calculation of weathering rates
Long-term weathering rates of soils were derived
from the calculations of enrichment/depletion factors determined using immobile element contents. Investigations
in the surrounding areas have shown that weathering rates
can be well expressed by the use of the immobile element
Ti (Egli et al. 2003, 2004). Losses of carbonates are calculated by the comparison of soil characteristics, such as
carbonate concentration and the soil bulk density, with the
parent material. In contrast to methods using immobile elements such as Zr or Ti, the non-carbonate fraction of the
soil can also be considered as an immobile phase (cf. Egli
& Fitze 2001). The derivation
Δz of mass-balance equations
= w −1processes are discussed
i,w pedologic
and their applicationsεto
Δz
in detail by Brimhall & Dietrich (1987) and Chadwick et
al. (1990), and revised by Egli & Fitze (2000).
Volumetric changes that occur during pedogenesis
were determined by adopting the classical definition of
strain, εi,w (Brimhall & Dietrich 1987):
(1)
εi,w =
Δzw
−1
Δz
with ∆z as the columnar height (m) of a representative elementary volume of protore p (or unweathered parent material) and ∆zw as the weathered equivalent height (m) w. Where
possible, the standardised strain coefficient obtained by the
carbonate weathering calculation procedure is compared to
the strain using the content of the immobile element Ti.
The calculation of the open-system mass transport
function τj,w is defined by the following formula (Chadwick
et al. 1990)
(2)
⎛ρ C
⎞
τ j,w = ⎜⎜ w j,w (εi,w + 1)⎟⎟ −1 ⎝ ρ pC j, p
⎠
with Cj,p (kg/t) as the concentration of element j in protolith (e.g. unweathered parent material, bedrock), Cj,w as
the concentration of element j in the weathered product (kg
t-1), and with ρp and ρw being the bulk density (t m-3) of the
protolith and the weathered soil, respectively.
⎛ρ C
⎞
τ j,w = ⎜⎜ w j,w (εi,w + 1)⎟⎟ −1
⎝ ρ pC j, p
⎠
With n soil layers the calculation of changes in the
mass of element j is given by the following formula (Egli
& Fitze 2000)
(3)
n
⎛ 1 ⎞
_
m j, flux( z w ) = ∑ C j, p ρ p⎜
⎟τ j,w Δzw
⎝ εi,w + 1⎠
a=1
where τj,w corresponds to the mass transport function, εi,w
to the strain, Cj,p (kg t-1) to the concentration of element
j in protolith (e.g. unweathered parent material, bedrock),
ρp being the bulk density (t m-3) of the protolith and ∆z
the weathered equivalent of the columnar height (m) of a
representative elementary volume. Merritts et al. (1992),
furthermore, suggest for chronosequences that the least
weathered horizon is assumed to be the parent material.
4.
RESULTS
4.1.
Soil characteristics
At lower altitude, the soil types could be classified
as Calcari-Mollic Cambisol and Haplic Luvisol (WRB
1998). At the transition from the upper montane zone to the
subalpine zone, the Calcari-Mollic Cambisols disappear in
favour of Hyperhumic or Humic-Rendzic Leptosols (Tab.
1). A graphical overview of the profiles is given in figure
3. The profiles at the higher sites were generally shallow
compared to those at lower altitudes. All soils had a considerable skeleton content (material > 2 mm in diameter).
Grain sizes usually decreased from the parent material to
the surface soil horizons where the highest clay and silt
contents were found. In the surface soils, only little sand
was detected. The topsoils are loamy or silty loamy. The
decrease of the grain sizes (Tab. 2) is a concomitant effect
of weathering due to a physical breakdown and the chemical dissolution of carbonate particles (having the diameter
of sand) or due to eolian contribution (silt).
Due to the presence of carbonates, most soils are
either neutral or slightly alkalic. The carbonate content in
the topsoil was, however, low in most soil. The C/N ratio
typically varied between about 13 and 23 in the topsoils
(Tab. 3). The content of Corg was in some surface soils quite
high. The oxalate- and dithionite-extractable contents of Fe
and Al increase from the sub- to the topsoil. This increase
is due to a relative enrichment of oxyhydroxides already
present in the carbonates and to initial weathering process
(weathering of silicatic minerals present in the carbonate).
4.2.
Total contents
The total elements content (Tab. 4) between the sites
shows differences especially in the Mg and Ca content,
which is due to the geology. Some sites had a pure limestone
parent material and others dolomite. As a consequence of
the carbonate dissolution, the content of Fe, Al, Si, etc. in
the fine earth strongly increases with decreasing soil depth
(Tab. 4). Carbonate dissolution led to a corresponding relative enrichment of these elements in the fine earth.
The influence of loess deposits can be inferred by the
quantity of silt in the soil and its mineralogical composition
(Ollier 1969; Bronger & Heinkele 1989). The total elements
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
11
Fig. 3 - Photographs of the selected profiles along the toposequence with indication of horizons and corresponding WRB classification
(FAO 1998).
Fig. 3 - Fotografie dei profili pedologici più tipici all’interno della toposequenza, con indicazione degli orizzonti e della classificazione
WRB (FAO 1998).
12
Merkli et al.
The soils in the Brenta region
Tab. 2 - Physical properties of the investigated soils. n.d.= no data.
Tab. 2 - Proprietà fisiche dei suoli studiati. n.d.= dato mancante.
Profile
A1
A2
B3
B4
C5
C6
D7
D8
Horizon
Depth
(cm)
Munsell color
Skeleton
weight (%)
Density
(g cm-3)
AO
5-10
7.5YR 2.5/1
75.7
Bw
10-45
7.5YR 3/3
73.5
BC
45-75
7.5YR 4/3
C
75-100+
7.5YR 5/3
Silt
(%)
Clay
(%)
1.00
5
78
17
1.64
30
62
8
60.0
1.90
76
16
8
69.1
1.96
69
24
7
A
6-12
10YR 3/1
56.6
1.08
8
90
2
AB
12-40
7.5YR 3/2
59.2
1.40
15
77
8
Bt
40-80/85
10YR 5/4
43.5
1.24
9
86
5
CR
80/85-110+
7.5YR 5/4
n.d.
1.64
n.d.
n.d.
n.d.
A
4-11/18
7.5YR 3/1
39.3
0.51
12
72
17
Bw
11/18-35/50
7.5YR 3/3
72.2
1.68
50
37
13
C
35/50-80+
7.5YR 3/4
77.8
1.85
68
25
7
A
0-12/17
7.5YR 3/1
58.1
1.33
8
68
24
Bw
12/17-33
7.5YR 3/3
66.8
1.52
25
64
11
BC
33-55
7.5YR 4/4
83.0
1.61
46
38
16
C
55-80+
7.5YR 5/3
83.8
1.89
50
28
22
OA
1-9
7.5YR 3/2
46.8
0.55
12
50
38
AB
9-25
7.5YR 3/3
73.4
1.09
10
60
30
Bw
25-50
7.5YR 3/4
73.3
1.37
24
62
14
BC
50-65
7.5YR 5/4
57.4
n.d.
57
32
11
C
65-80+
7.5YR 5/3
58.5
1.96
60
29
11
AO
7-33
7.5YR 2.5/1
61.9
1.29
9
81
10
Bw
33-55
10YR 4/3
62.6
1.48
36
56
9
C
55-80+
10YR 5/4
81.9
1.53
72
24
4
A
0.5-15
10YR 3/2
14.3
0.56
4
70
27
CA
15-24
10YR 5/4
61.3
1.55
53
45
2
C
24-40+
10YR 8/3
82.0
1.78
68
31
2
AO
0-18
10YR 2/1
37.7
0.51
n.d.
n.d.
n.d.
AC
18-25/40
10YR 4/3
79.8
1.43
52
37
11
C
25/40+
10YR 5/3
80.1
1.94
60
35
5
content does not suggest that the soils have received additions of relevant eolian attributions. Although the total content of Fe, Al, Si etc. increases with decreasing soil depth,
it primarily indicates only a passive enrichment due to the
leaching of carbonates.
4.3.
Sand
(%)
Element leaching
Strain, mass fractions added to or subtracted from
each horizon, and loss or gain of elements during pedogenesis were calculated according to equations (1) and (3).
Chemical composition and bulk density of the parent material were assumed to be best described by the corresponding
C horizon of the soil profile. Immobile elements are needed
in order to calculate gains or losses of elements. Strongly
negative strains were in most cases measured in the whole
soil column (Fig. 4). A strong collapse of the material has
occurred due to the dissolution and leaching of carbonates.
No specific trend with altitude can be seen.
The open-system mass transport function τ gave
strongly negative values in the whole soil profile. This
means that a large part of the carbonates was dissolved and
leached during pedogenesis. The losses with respect to the
standardised soil depth 0-25 cm and to the whole soil profile
are shown in figure 5. No clear trend with altitude could be
observed for the topsoil (i.e. 0-25 cm). If the whole soil is
taken into consideration, then a trend with higher carbonate
leaching at lower sites can be seen. Main differences exist in the subsoil where a significant part of the carbonates
have been dissolved at lower sites and only a little at higher
sites. Differences in mass losses with respect to the sum
of all elements in the standardised top 25 cm are small between the two calculation procedures (Ti or non-carbonate
fraction; Fig. 6). In addition, no trend of mass losses (depth
0-25 cm) with altitude was measured. The mean mass loss
(element sum) for all profiles is around 152 kg m-2. Over
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
13
Tab. 3 - Chemical characteristics of the investigated sites. n.d.= no data.
Tab. 3 - Caratteri chimici dei suoli studiati. n.d.= dato mancante.
Profile
A1
A2
B3
B4
C5
C6
D7
D8
Horizon pH
(CaCl2)
CaCO3
(%)
Corg
(%)
C/N Feo
(%)
Alo
(%)
Fed
(%)
Ald
(%)
AO
6.2
2.0
16.50
0.91
18
0.23
0.25
1.83
0.43
Bw
7.1
18.4
6.60
0.43
15
0.30
0.31
1.89
0.45
BC
7.3
80.1
2.89
0.17
17
0.09
0.12
0.37
0.10
C
7.5
92.9
1.05
0.12
19
0.05
0.08
0.23
0.06
A
6.9
4.1
6.45
0.40
16
0.19
0.30
1.72
0.37
AB
7.1
9.1
4.15
0.26
16
0.18
0.30
1.56
0.36
Bt
7.3
2.8
1.12
0.09
12
0.12
0.23
1.41
0.27
A
7.3
18.9
9.01
0.49
18
0.40
0.35
1.87
0.36
Bw
7.4
82.0
1.30
0.11
12
0.15
0.14
0.65
0.12
C
7.7
97.4
0.19
0.02
11
0.05
0.04
0.29
0.04
A
6.5
1.6
13.70
0.99
14
0.68
0.56
2.25
0.40
Bw
7.1
24.8
5.02
0.45
11
0.49
0.45
1.77
0.30
BC
7.5
71.9
0.68
0.08
9
0.14
0.13
0.70
0.12
C
7.6
79.9
0.94
0.07
14
0.12
0.13
0.64
0.11
OA
5.8
0.0
14.00
0.61
23
0.32
0.32
2.00
0.45
AB
6.8
0.8
6.28
0.33
19
0.32
0.34
2.42
0.49
Bw
7.2
34.6
3.00
0.21
14
0.25
0.31
1.97
0.39
BC
7.4
70.3
1.49
0.13
11
0.13
0.19
0.79
0.17
C
7.5
87.1
0.73
0.08
10
0.07
0.10
0.37
0.07
AO
7
20.0
14.30
0.76
19
0.48
0.50
1.69
0.44
Bw
7.3
67.0
2.56
0.20
13
0.19
0.23
0.77
0.17
C
7.6
90.0
0.45
0.04
13
0.06
0.06
0.36
0.05
A
6.3
1.2
23.80
1.70
14
0.39
0.44
1.28
0.32
CA
7.6
83.4
0.60
0.07
9
0.04
0.04
0.07
0.03
C
7.6
94.1
n.d.
n.d.
n.d.
0.01
0.02
0.03
0.01
AO
6.8
13.0
19.71
1.55
13
0.36
0.49
1.38
0.34
AC
7.2
62.0
3.60
0.33
11
0.15
0.24
1.20
0.36
C
7.3
94.0
1.06
0.11
10
0.05
0.09
0.31
0.11
95% of this mass loss is attributed to the leaching of Ca and
Mg (and therefore carbonates). The losses of Si are mostly
< 10 kg m-2, and those of Al, Fe, K, Na and Mn mostly < 1
kg m-2. The losses calculated with Ti as the immobile element show less outliers than those obtained using the noncarbonate fraction. Si, K and to a lesser extent Al showed a
trend with increasing mass losses at lower altitudes (Fig. 7).
Such a trend was measured for the standardised soil depth
0-25 cm and the whole soil profile.
(4)
4.4.
N
(%)
Clay minerals and oxyhydroxides
The clay mineral assemblage for all profiles and
horizons is given in table 5. The clay fraction was characterised by mica, kaolinite, chlorite, vermiculite, HIV
(hydroxy-interlayered vermiculite), mixed-layered clay
minerals and partially by smectitic components. In general, mica was present more frequently in the parent
material and vermiculite in the surface soil horizons. All
other clay minerals did, at a first glance, not show any
specific trends within the soil profile.
The amounts of oxyhydroxides (Fed, Ald, Feo, Alo),
formed due to weathering in the fine earth fraction, were
estimated by comparing the content in the soil with that in
the parent material according to
(4)
n
W j = ∑ zw ρ w (C j,w f w − C j, p f p )
a=1
where Wj corresponds to the mass of the weathering product j, zw to the thickness of the corresponding soil horizon,
ρw being the bulk density (t m-3) of the soil horizon, Cj,w
and Cj,p (kg t-1) correspond to the concentration (fine earth)
of compound j in the corresponding soil horizon and parent
material, respectively and fw and fp to the proportion of fine
earth in the soil horizon and parent material, respectively.
The stocks of these different fractions in the soils decreased
Merkli et al.
The soils in the Brenta region
ε
-0.4
-0.2
0.0
-1.0
-0.6
10
20
30
40
50
60
70
80
A2
90
90
ε
-0.2
0.0
-1.0
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0.0
0
0
10
10
20
20
30
40
50
soil depth (cm)
-0.4
30
40
50
60
B3
60
B4
70
70
ε
ε
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
-1.0 -0.8
0.0
-0.6
-0.4
-0.2
0.0
0
0
10
10
20
20
30
40
50
60
soil depth (cm)
-1.0
30
40
50
60
70
70
C5
C6
80
80
ε
-0.8
-0.6
ε
-0.4
-0.2
-1.0
0.0
-0.4
-0.2
0.0
0
5
5
10
10
20
25
30
35
40
Ti
-0.6
0
15
D7
-0.8
soil depth (cm)
-1.0
soil depth (cm)
ε
-0.6
0.0
0
70
80
-0.8
-0.2
10
20
50
60
-1.0
-0.4
0
30
40
A1
-0.8
soil depth (cm)
-0.6
soil depth (cm)
-0.8
soil depth (cm)
ε
-1.0
15
20
25
soil depth (cm)
14
30
D8
35
40
non-carbonate fraction
Fig. 4 - Comparison of calculated strains obtained by means of an immobile element (Ti) and carbonate removal within each soil profile.
Negative values refer to a collapse of the elementary volume, positive values to a dilatation and a value = 0 means that weathering had
occurred isovolumetrically.
Fig. 4 - Confronto delle deformazioni ottenute utilizzando rispettivamente un elemento immobile (Ti) o la rimozione di carbonati in ogni
profilo di suolo. I valori negativi si riferiscono a una diminuzione del volume unitario iniziale, i valori positivi a una dilatazione, e i valori
= 0 a una alterazione isovolumica.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
15
a) whole soil profile
altitude (m a.s.l.)
1000
0
1500
2000
2500
(kmol/m 2)
-20
-40
-60
Ca+Mg (1)
Ca+Mg (2)
-80
-100
-120
-140
altitude (m a.s.l.)
1500
2000
1000
0
-1
-2
-3
-4
-5
-6
-7
-8
-9
-10
2500
Ca+Mg (1)
Ca+Mg (2)
1000
0
-25
-50
-75
-100
-125
-150
-175
-200
altitude (m a.s.l.)
1500
2000
Fig. 5 - Ca and Mg losses (given in kg m-2) as a function of
the altitude. The losses are given a. for the whole soil profile
and b. for a standardised soil depth (corrected according to
equation (1) to the initial columnar height (25 cm) of the
elementary volume. The calculations refer to the immobile
element Ti (1) and to the non-carbonate fraction (2).
Fig. 5 - Perdite di Ca e Mg (in kg m-2) in funzione della
quota. Le perdite sono calcolate a. per l’intero profilo e b.
per una profondità standard del suolo (corretta utilizzando
l’equazione (1) in rapporto all’altezza iniziale (25 cm) del
volume unitario. I calcoli utilizzano rispettivamente un
elemento immobile (Ti) o la frazione non carbonatica.
1000
0
2500
altitude (m a.s.l.)
1500
2000
2500
-500
(kg/m 2)
(kg/m 2)
(kmol/m2 )
b) 0-25 cm (normalised)
-1000
-1500
-2000
-2500
-3000
0-25 cm (normalised)
whole profile
Titan (Ti) as immobile element
Non-carbonate fraction as immobile phase
Fig. 6 - Total element losses (sum of Ca, Mg, K, Na, Al, Fe, Si, Mn) for the normalised soil depth 0-25 cm and the whole soil profile along
the toposequence. The calculations are based on two methods (Ti and non-carbonate fraction as an immobile phase).
Fig. 6 - Perdite di elementi totali (somma di Ca, Mg, K, Na, Al, Fe, Si, Mn) rispettivamente per la profondità normalizzata del suolo
0-25 cm e per l’intero profilo, all’interno della toposequenza. I calcoli sono basati sui due metodi (Ti o frazione non carbonatica come
componente immobile).
16
Merkli et al.
The soils in the Brenta region
Tab. 4 - Total element contents in the fine earth (a) and soil skeleton (b).
Tab. 4 - Contenuti totali di elementi nella terra fine (a) e nello scheletro (b).
a)
Profile
A1
A2
B3
B4
C5
C6
D7
D8
Horizon
Al
(g kg-1)
Si
(g kg-1)
Ca
(g kg-1)
Mg
(g kg-1)
K
(g kg-1)
Na
(g kg-1)
Fe
(g kg-1)
Mn
(g kg-1)
Ti
(g kg-1)
AO
Bw
BC
C
A
AB
Bt
A
Bw
C
A
Bw
BC
C
OA
AB
Bw
BC
C
AO
Bw
C
A
CA
C
AO
AC
C
61.03
71.94
13.04
9.14
79.26
82.98
95.04
54.05
18.90
8.07
70.93
66.48
25.84
22.92
68.62
81.81
57.65
21.74
12.39
56.61
28.95
13.95
54.02
4.30
2.44
51.48
27.63
8.24
142.20
167.01
33.48
39.23
195.28
205.73
251.13
115.02
50.07
25.83
174.84
155.44
64.81
54.54
180.25
217.28
147.26
62.22
43.26
122.60
67.87
42.17
116.14
9.80
4.51
108.16
57.95
15.07
17.68
56.93
330.10
347.33
20.32
29.40
9.62
44.94
184.37
213.85
12.91
46.59
252.53
232.63
12.11
13.66
159.87
299.38
343.05
39.54
156.22
248.06
12.37
217.38
218.24
24.66
154.55
205.27
6.74
7.91
3.84
3.79
11.96
12.57
13.52
36.84
106.78
116.89
14.39
37.66
36.08
52.03
7.50
8.50
7.27
5.10
5.94
32.26
92.24
80.04
13.57
123.79
124.49
19.88
93.78
120.34
8.78
10.04
2.71
3.86
15.02
15.46
20.24
10.05
4.85
3.29
14.53
15.10
7.07
6.37
10.39
11.83
8.68
4.48
3.32
9.26
6.34
4.83
11.08
0.99
0.58
9.64
4.65
1.22
3.80
4.43
0.85
0.65
5.97
6.32
8.81
1.71
0.56
0.39
2.86
3.22
1.23
0.92
4.24
5.15
3.17
1.03
0.59
2.57
1.51
0.79
2.17
0.25
0.22
2.42
1.45
0.42
33.66
40.87
7.74
5.44
44.39
46.52
51.17
31.91
10.83
6.41
41.35
37.52
15.70
15.01
36.90
46.38
33.38
15.05
8.02
31.89
15.90
8.23
27.78
10.69
1.41
27.35
16.59
5.30
1.01
1.01
0.22
0.13
0.78
0.81
0.77
0.76
0.26
0.11
1.41
1.10
0.30
0.26
0.68
0.61
0.50
0.30
0.20
0.81
0.33
0.14
0.61
0.06
0.04
0.67
0.21
0.09
5.71
6.77
1.12
0.80
8.10
8.34
9.03
5.24
1.36
0.62
7.12
6.72
2.57
2.17
6.59
8.26
5.29
2.10
1.29
5.69
2.75
1.22
5.80
0.54
0.33
5.47
3.56
1.11
Horizon
Al
(g kg-1)
Si
(g kg-1)
Ca
(g kg-1)
Mg
(g kg-1)
K
(g kg-1)
Na
(g kg-1)
Fe
(g kg-1)
Mn
(g kg-1)
Ti
(g kg-1)
AO
Bw
BC
C
A
AB
Bt
A
Bw
C
A
Bw
BC
C
OA
AB
Bw
BC
1.26
3.02
1.30
1.64
2.22
2.05
2.97
0.80
0.92
0.77
2.01
2.16
1.88
1.93
1.29
1.46
1.30
1.04
5.07
5.49
9.40
5.60
7.33
6.62
9.51
3.11
3.87
13.47
9.52
16.34
8.28
21.10
6.09
20.18
4.54
5.04
397.52
392.14
399.73
396.26
384.75
383.23
389.65
223.23
223.92
227.75
344.19
334.22
341.55
298.23
377.52
378.94
386.32
392.67
4.08
3.71
4.19
4.14
6.07
5.17
3.87
127.47
129.18
129.33
37.74
48.88
34.16
64.59
11.20
6.35
4.09
3.64
0.34
0.73
0.74
0.62
0.74
0.50
1.32
0.34
0.37
0.90
0.65
0.62
0.65
0.73
0.47
0.53
0.52
0.46
0.14
0.21
0.14
0.11
0.21
0.17
0.30
0.19
0.20
0.23
0.17
0.21
0.17
0.20
0.13
0.13
0.11
0.10
0.80
1.86
0.89
1.08
1.28
1.25
1.73
0.50
0.61
0.42
1.63
1.37
1.22
1.35
0.79
0.92
0.89
0.82
0.03
0.07
0.04
0.05
0.05
0.05
0.06
0.01
0.03
0.03
0.06
0.05
0.04
0.06
0.04
0.05
0.06
0.04
0.07
0.03
0.03
0.05
0.38
0.33
0.52
0.17
0.27
0.15
0.05
0.04
0.03
0.02
0.24
0.20
0.10
0.06
b)
Profile
A1
A2
B3
B4
C5
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
17
(Tab. 4 - continued)
(Tab. 4 - continua)
Profile
Horizon
Al
(g kg-1)
Si
(g kg-1)
Ca
(g kg-1)
Mg
(g kg-1)
K
(g kg-1)
Na
(g kg-1)
Fe
(g kg-1)
Mn
(g kg-1)
Ti
(g kg-1)
C
AO
Bw
C
A
CA
C
AO
AC
C
1.02
1.50
2.20
2.30
1.35
0.79
0.89
1.39
1.70
1.45
8.43
4.93
5.02
6.23
3.74
2.67
2.27
4.35
4.58
3.28
389.27
229.35
225.83
299.57
231.84
228.10
226.87
229.95
231.14
231.18
3.65
120.72
123.19
64.05
119.49
128.77
129.64
125.95
123.79
126.43
0.37
0.40
0.46
0.69
0.42
0.29
0.25
0.50
0.85
0.54
0.10
0.19
0.27
0.17
0.18
0.23
0.23
0.13
0.20
0.14
2.34
0.96
1.31
1.95
0.84
0.41
0.40
1.71
0.88
0.74
0.04
0.05
0.05
0.06
0.06
0.02
0.02
0.04
0.04
0.04
0.10
0.16
0.11
0.22
0.18
0.02
0.03
0.23
0.14
0.03
C6
D7
D8
Tab. 5 - Clay minerals assemblage in the investigated soils. Chl= chlorite, verm= vermiculite, smec= smectite, HIS= hydroxy-interlayered
smectite, HIV= hydroxy-interlayered vermiculite, x= present in significant amounts, (x)= traces.
Tab. 5 - Stima semiquantitativa del contenuto di minerali argillosi nei suoli studiati. Chl= clorite, verm= vermiculite, smec= smectite,
HIS= smectite interstratificata con idrossidi, HIV= vermiculite interstratificata con idrossidi, x= presente in quantità insignificanti, (x)=
tracce.
Profile Horizon
A1
A2
B3
B4
C5
C6
D7
D8
Mica
Kaolinite
Chlorite
Mixed-layered
Chl/Verm
(HIV)
Mixed-layered
Mica/Verm
(HIV)
Mixedlayered
Verm/Smec
Mixedlayered
Chl/HIS
HIVa
Vermiculite
AO
(x)
x
(x)
(x)
(x)
x
x
Bw
(x)
x
(x)
(x)
(x)
x
x
BC
x
x
(x)
(x)
x
x
x
C
x
x
(x)
(x)
x
(x)
(x)
A
x
x
x
x
x
(x)
(x)
x
x
AB
x
x
x
x
x
(x)
(x)
x
x
Bt
x
x
x
(x)
(x)
(x)
(x)
x
x
A
(x)
x
(x)
x
x
x
x
x
Bw
(x)
x
(x)
(x)
x
x
x
x
C
x
x
(x)
(x)
x
x
(x)
(x)
A
x
x
(x)
x
x
x
x
x
Bw
x
x
(x)
x
x
x
x
x
BC
x
x
(x)
(x)
x
x
x
x
x
C
x
x
(x)
(x)
x
OA
(x)
x
(x)
(x)
(x)
x
x
x
x
AB
(x)
x
(x)
(x)
(x)
x
x
Bw
(x)
x
(x)
(x)
(x)
x
x
BC
x
x
(x)
(x)
x
x
x
C
x
x
(x)
(x)
x
x
x
AO
(x)
x
(x)
x
(x)
x
x
(x)
(x)
Bw
x
x
(x)
(x)
x
(x)
x
x
C
x
x
x
(x)
x
(x)
(x)
x
A
(x)
x
(x)
(x)
(x)
x
x
CA
x
x
(x)
(x)
(x)
x
x
(x)
(x)
x
x
C
x
x
x
(x)
x
AO
x
x
(x)
(x)
(x)
(x)
(x)
AC
x
x
(x)
x
(x)
(x)
x
(x)
C
x
x
(x)
x
x
(x)
x
(x)
Merkli et al.
Mass changes (kg/m 2)
1000
0
The soils in the Brenta region
1500
2000
2500
Ca
-50
-100
-150
-200
1000
0
Mass changes (kg/m2 )
18
-20
-40
-60
2000
2500
Al
1
0
-1
1000
5.0
Mass changes (kg/m 2)
Mass changes (kg/m 2)
1500
altitude (m a.s.l.)
2
-2
2500
Si
0.0
-2.5
-5.0
-7.5
1500
altitude (m a.s.l.)
2000
1000
0.20
2500
K
0.5
0.0
-0.5
Mass changes (kg/m 2)
Mass changes (kg/m 2)
2000
-10.0
1500
2000
2500
Na
0.10
0.00
-0.10
-0.20
-1.0
altitude (m a.s.l.)
1500
2000
altitude (m a.s.l.)
2500
Fe
0.3
0.0
-0.3
-0.6
1000
0.050
Mass changes (kg/m 2)
Mass changes (kg/m 2)
1500
2.5
altitude (m a.s.l.)
1000
0.6
2500
Mg
altitude (m a.s.l.)
1000
1.0
2000
-80
-250
1000
3
1500
1500
2000
2500
Mn
0.025
0.000
-0.025
-0.050
-0.9
altitude (m a.s.l.)
altitude (m a.s.l.)
Ti as immobile element
non-carbonate fraction as immobile element
Fig. 7 - Losses (negative values) and gains (positive values) of elements with respect to the standardised, initial columnar height of 25cm
(cf. equation (1)) along the toposequence.
Fig. 7 - Perdite (valori negativi) e aumenti (valori positivi) di elementi in rapporto allo spessore iniziale standardizzato di 25 cm (si veda
l’equazione (1)), all’interno della toposequenza.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
19
1.4
8
Feo
Alo
1.2
(kg/m 2 )
1.0
(kg/m 2 )
Fed
Al d
7
6
0.8
0.6
0.4
5
4
3
2
1
0.2
0.0
1000
1500
2000
altitude (m a.s.l.)
2500
0
1000
1500
2000
altitude (m a.s.l.)
2500
Fig. 8 - Stocks of neo-formed oxalate- and dithionite-extractable Fe and Al in the soils as a function of altitude.
Fig. 8 - Quantità delle frazioni (di neoformazione) di Fe e Al estraibili in ossalato e in ditionito, in funzione della quota.
Neoformation of clays (kg/m 2)
3
An increase in altitude is accompanied by a falling temperature and a rise in precipitation. Therefore, the soil properties change in a regular manner, and definite soil zones
that grade into each other can be observed. This statement
is, however, primarily true for the soil types or profiles.
Several master variables, such as for example the pH-value,
did not show a climate dependent tendency.
2
1
0
1000
5.2.
1500
2000
altitude (m a.s.l.)
2500
Fig. 9 - Neoformation of clays in the soil profile since start of
pedogenesis as a function of the altitude.
Fig. 9 - Neoformazione pedogenetica di minerali argillosi nel
suolo, in funzione della quota.
steadily with altitude (Fig. 8). The production and accumulation of oxyhydroxides was obviously more pronounced at
the lower sites.
The absolute clay content in the soils does not evidence any altitude-dependent trend. If the neo-formation of
clays is calculated (by comparing the clay content of the
soil horizons with the parent material), a weak altitude-dependent tendency can be seen (Fig. 9). At higher altitudes,
the neo-formation of clays seems to be slightly greater.
5.
DISCUSSION
5.1.
Soil profile development
Element leaching
The Ca and Mg losses are relatively high compared
to other regions in the Alps (Egli & Fitze 2001). They are,
however, in the same order of magnitude. Mass losses of
carbonates did not show an obvious trend regarding the
standardised soil depth 0-25 cm. In respect of the whole
soil profile, a trend of lower carbonate losses with increasing altitudes can, however, be observed. Carbonate leaching is viewed as primarily being a function of water supply
and the consequent percolation in the soil, the CO2 production, temperature and surface properties of the carbonates
(Gerstenhauer & Pfeiffer 1966; Egli & Fitze 2001). With
increasing altitude, temperature decreases, precipitation
and soil water percolation increases. One should therefore
(cm)
0
A1
B3
A2
B4
C5
C6
Bw
Bt
D7
D8
50
100
Designation of horizons:
The profile thickness of the investigated sites clearly
shows a gradient with altitude: at higher altitudes the soil
profiles are shallower (Fig. 10). This tendency is typical for
Alpine soils. Already early soil scientists observed that in
humid temperate or warm regions rocks had weathered to
much greater depths than in the cold zones (Jenny 1941).
O
A
AB
AC/CA
BC
C
Fig. 10 - Schematic soil profile development along the
toposequence.
Fig. 10 - Schema dello sviluppo dei profili di suolo all’interno
della toposequenza.
20
Merkli et al.
expect that carbonate leaching is enhanced with increasing
altitude (Stumm & Morgan 1996). The microbial activity
must therefore be the driving force in carbonate leaching
as higher temperatures generally lead to an increased activity and consequently CO2 production. The increased CO2
production (due to an increased biological activity) at lower
sites overcompensates the lower solubility of carbonates
with higher temperatures. Additionally, dolomite dissolves
more slowly than calcite. The soils at the highest altitudes
had pure dolomite in the parent material which could have
contributed to a lower dissolution rate. This effect is, however, not very obvious as also other profiles had dolomite
in the parent material (e.g. the profile at 1450 m a.s.l. with
pure dolomite). Our results agree well with investigations of
Borsato et al. (2007) who investigated the hydrochemistry
of hypogean waters in Trentino. According to their findings,
the concentrations of HCO3-, Ca2+ and Mg2+ in cave water
samples gave a negative correlation with altitude (and, thus,
showed a climate dependency). Additionally, the pCO2 was
found to be higher at lower altitudes (due to corresponding
higher CO2 production in soils at lower altitudes.
Mass balance calculations indicate that weathering of
primary minerals was most intense at the lower sites where
increased leaching rates of Si, K and Al were measured.
The losses of the other elements (except Ca and Mg) were
almost zero. The leaching of Si, K and Al is bound to an active dissolution of primary minerals and probably also to the
observed eluviation of clay-sized particles at site A2 (which
is bound to a transfer of elements from the upper to the lower
part of the soil). This fits well with the observation that also
the production of oxyhydroxides was greatest at lower altitudes. Incongruent weathering of primary minerals leads to
the production of oxides and hydroxides such as goethite and
ferrihydrite (brunification; Sposito 1989). Weathering is, due
to the relatively neutral pH-range, driven by carbonic acids
(Ugolini et al. 1991). In soil horizons dominated by carbonic
acid weathering noncrystalline substance such as ferrihydrite
are abundant (Ugolini et al. 1991). Leaching rates of Si, K
and Al are generally rather low compared to other investigations sites (on silicatic host rock; Egli et al. 2004) which is
not very surprising. At the lower sites (around 1200 m a.s.l.)
the leaching rates were, however, in a similar range to those
obtained from other climosequences in Val Genova or Val di
Fiemme (Egli et al. 2004).
In general, element mass changes were either close
to zero or negative. Eolian attributions (loess deposits)
can therefore not be unambiguously evidenced with this
method.
5.3.
Clay mineralogy
Several sheet silicates found in the clay fraction were
not newly formed and consequently do not have a pedogenetic origin. It is very unlikely that in subalkaline to neutral
pH-conditions kaolinite and smectite are actively formed
in moderate to alpine climate zones (cf. Righi & Meunier
1991; Righi et al. 1999; Mirabella & Egli 2003). Kaolinite
was detectable already in the soil skeleton (and also in the
C horizon). According to Millot (1970) and Bausch (1980)
a marine formation of kaolinite can be excluded because an
acidic environment is required (which is not the case in a
marine environment). Kaolinite most probably reflects relicts of former weathering processes (tertiary warm phases)
The soils in the Brenta region
in soils that were later eroded and deposited as sediments
in a marine environment (cf. Press & Siever 1995). In some
profiles, smectitic phase could be measured. Similarly to
kaolinite, smectite was formed in another chemical environment and represents relicts of a former (most probably
tertiary) soil formation. Smectite probably was transported
from the continent (by water or wind) to the location of
deposition (Grunenberg 1992). Additionally, chlorite and
mica in the C-horizon most probably have a detritical origin.
In all soils, a decrease of mica from the C-horizon to
the topsoil and a corresponding increase of vermiculite was
measurable. Mica actively has been transformed into vermiculite. The content of vermiculite in the topsoil is similar
at all sites and consequently no obvious trend with altitude
exists. Transformation mechanisms of silicatic minerals in
the A-horizon seem to be at high altitudes at least equally
intensive as at lower sites. This agrees well with the observation that the neo-formation of clays (pedogentically
formed) is at higher sites similar or even slightly more
intense than at lower sites. As the biological activity is reduced at the higher sites, less CO2 and more organic acids
are produced during organic matter decomposition. In such
an environment, mineral transformations and weathering
reactions are consequently more driven by organic acids as
the major proton donors (cf. Ugolini et al. 1991) than by
carbonic acids.
6.
CONCLUSION
The main hypothesis that weathering reactions should
be most intensive close to the timberline could not be verified. Weathering consisted predominantly in a removal of
carbonates. Losses of Ca and Mg as well as elements like
Si, Al and K were highest at the lower sites. Although the
solubility of carbonates is higher with lower temperatures,
the biologically driven production of CO2 at lower altitudes
overcompensated this temperature effect. At the lower
sites, weathering was mainly driven by carbonic acids.
At the higher sites, organic acids determined to a greater
extent mineral transformations and weathering reactions.
This suggests that most probably two different weathering
regimes (carbonic and organic acid weathering) exist along
the toposequence.
Regarding sheet silicates, the transformation of mica
into vermiculite is the main process that can be measured
in the clay fraction. Kaolinite and smectite are relicts of a
former soil formation (tertiary?). The neoformation of clays
showed only a weak and the vermiculite concentration did
not show any altitude-dependent tendency. Weathering
mechanisms regarding sheet silicates (clay fraction and fine
earth) were at the sites with the highest elevation at least
equally intensive to those at lower altitudes. Leaching of
Si, Al and K as well as mineral transformations evidenced
that silicate weathering started even before carbonates were
dissolved and completely removed from the soils.
ACKNOWLEDGEMENTS
We are indebted to B. Kägi and D. Giaccai for their
support in the laboratory.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 7-22
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Suoli di alta quota ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic (Valle d’Aosta)
Michele E. D’Amico*, Francesca Calabrese & Franco Previtali
Dipartimento di Scienze Ambientali (DISAT), Università degli Studi di Milano Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20123 Milano
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
Riassunto - Suoli di alta quota ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic (Valle d’Aosta) - I suoli su materiali ultramafici sono
normalmente ricchi in Mg, Fe e metalli pesanti, con un pH prossimo alla neutralità e un alto tasso di saturazione. Questi caratteri chimici
possono provocare effetti di tossicità sulle comunità biologiche (a causa del basso rapporto Ca/Mg e del contenuto in metalli). Le proprietà
pedologiche e biologiche dei suoli montani formati su questi substrati tuttavia sono stati studiati raramente. Nel presente lavoro 97 profili
(associati ad altrettanti rilievi fitosociologici) sono stati aperti e analizzati sopra al limite attuale della vegetazione arborea nell’area
ofiolitica del Parco Mont Avic (Valle d’Aosta), tra 2150 e 2900 m di quota. I risultati mostrano che i caratteri chimici dei suoli dipendono
dal substrato, mentre i processi pedogenetici causano il rilascio di ingenti quantità di elementi in traccia. Le comunità vegetali sono ben
correlate con i caratteri edafici, il più importante dei quali è il Ni biodisponibile. Nonostante questo grande impatto sulla vegetazione,
l’effetto dei metalli biodisponibili è poco evidente sulle comunità di microartropodi e sulle comunità microbiche.
SUMMARY - High altitude soils and ecology of Mont Avic Natural Park (Valle d’Aosta, Italy) - Soils on ultramafic materials are usually
rich in Mg, Fe and heavy metals, with a pH value close to neutrality and a high base status. These chemical properties could cause toxic
effects on the biological communities (due to low Ca/Mg ratio and heavy metals). Pedological and biological properties of mountain
soils on similar substrates have seldom been studied. 97 soil pits (associated with phytosociological surveys) have been opened and
analyzed above the present-day treeline in the ophiolitic area of Mont Avic Natural Park (Valle d’Aosta, Western Alps, Italy), between
2150 and 2900 m a.s.l. The results show that soil properties are related with substrate, while pedogenic processes release large quantities
of potentially hazardous trace metals. The plant communities strictly depend on the edaphic properties. Available Ni is one of the most
important factors. Despite the strong effect of metals on plant ecology, there are no evidences of metal toxicity on microarthropodes and
microbial communities.
Parole chiave: nichel, ofioliti, qualità biologica del suolo, relazioni suolo-pianta, suoli alpini
Key words: nickel, ophiolites, biological soil quality, plant-soil relationship, Alpine soils
1.
Introduzione
I suoli su substrati ofiolitici normalmente sono descritti come ricchi in Mg, Fe, Ni, Cr, Co, Mn, con un pH prossimo alla neutralità e un alto tasso di saturazione. Inoltre,
sono caratterizzati da un limitato spessore, un drenaggio
eccessivamente veloce, una scarsità di Ca (associata o
meno dall’eccesso di Mg) e di nutrienti disponibili (Proctor
& Woodell 1975; Roberts 1980; Brooks 1987; Proctor &
Nagy 1991). Questi caratteri edafici limitano la fertilità di
tali suoli e possono causare effetti di ecotossicità. Per questi
motivi, la copertura vegetale è spesso visibilmente inferiore, e le associazioni vegetali particolari e ricche di specie
endemiche e adattate. L’importanza relativa di ciascun
fattore varia nei diversi ambienti: ad esempio, nelle foreste
subalpine delle Alpi centrali (Oberhuber et al. 1997), in
Scozia (Spence et al. 1987) e in Scandinavia (Rune 1953)
il limitato spessore e la granulometria grossolana dei suoli
sviluppati su affioramenti serpentinosi favoriscono l’insorgere di condizioni di siccità anche in aree con climi umidi.
In altri ambienti, la carenza di ferro biodisponibile, dovuta
al pH elevato e alla competizione con il Ni, appare essere il
principale fattore limitante (Kataeva et al. 2004). In alcune
località della Gran Bretagna la bassa fertilità dei suoli è dovuta soprattutto dalla scarsità di nutrienti disponibili (Nagy
& Proctor 1997), mentre in Toscana è riconducibile anche
all’aridità (Chiarucci et al. 2001); tali condizioni possono
favorire l’insorgere di fenomeni di tossicità da parte dei
metalli pesanti. L’effetto dei metalli pesanti (soprattutto del
nichel) è controverso, anche se è certamente il più studiato
per la sua ecotossicità e il suo incremento nell’ambiente
legato a cause antropiche. Secondo alcuni autori, il Ni
influenza negativamente la vegetazione in quanto provoca
fenomeni di tossicità sulle specie non adattate (Lee 1992;
Chardot et al. 2007), ma secondo altri il suo effetto non
è evidente, soprattutto se i nutrienti sono sufficientemente
disponibili (Chiarucci et al. 2001). Senza dubbio, la presenza esclusiva su substrati ultramafici di specie iperaccumulatrici di metalli pesanti è un’evidenza di un loro effetto
ecologico.
Nelle Alpi occidentali italiane, la debole acidità edafica è considerata la causa principale che distingue le comunità vegetali presenti su rocce ultramafiche, differenti rispetto
a quelle che si riscontrano su altri substrati più comuni. I
24
D’Amico et al.
suoli asciutti, ricchi in basi ed “eutrofici” sulle serpentiniti
non permettono lo crescita della tipica foresta subalpina di
abete rosso (Picea excelsa) e pino cembro (Pinus cembra),
che cresce su suoli podzolici sviluppati su rocce acide e
mafiche (Verger et al. 1993). Su materiali ultramafici, la vegetazione del sottobosco e quella sopra al limite della vegetazione forestale risulta ricca di specie neutrofile o basifile;
in questi casi, la presenza di specie endemiche (ad es. Carex
fimbriata) dipende dalla dominanza del Mg nel complesso
di scambio (Verger et al. 1993). Un effetto ecologico dei
metalli pesanti è implicito negli studi compiuti da Vergnano
et al. (1981, 1987) in zone d’alta quota in Val d’Ayas, dove
è stato trovato un numero elevatissimo di specie in grado di
accumulare o iperaccumulare il Ni.
Nel Parco Naturale del Mont Avic, in Valle d’Aosta,
nel 2002 è iniziata una campagna di rilevamento dei suoli in accordo tra l’ente Parco e l’Università degli Studi di
Milano Bicocca.
All’interno del Parco, nelle valli del Torrente Chalamy
e nell’Alta Valle di Champorcher, sono stati osservati e
analizzati 190 profili pedologici associati a rilievi fitosociologici, per verificare le relazioni intercorrenti tra i processi
e i caratteri pedogenetici, i metalli pesanti e le comunità
vegetali. Gli effetti sull’attività biologica dei suoli da parte
dei diversi caratteri edafici sui diversi substrati sono anche
stati testati su alcuni profili-tipo nei piani altitudinali subalpino e alpino.
La situazione riscontrata è completamente diversa da
quanto descritto in precedenza per le vicine valli d’Ayas,
del Lys e del Valtournanche. I suoli sono di solito estremamente acidi, e sotto foresta subalpina (dominata da Pinus
uncinata) il processo della podzolizzazione è addirittura
dominante (D’Amico et al. 2008). Le comunità vegetali
sono, di conseguenza, acidofile (D’Amico 2006a, 2006b).
Solamente nel piano alpino alcune specie neutrofile o basifile talvolta coesistono con ericacee acidofile. Numerose
specie endemiche crescono soprattutto dove il Ni, totale e
biodisponibile, è maggiore.
Un forte impatto di Ni, Co e Mn è evidente sull’attività biologica dei suoli: questi ultimi, in ambiente forestale, ospitano una ridotta biodiversità di microartropodi
e determinano un forte stress per le comunità microbiche
(D’Amico et al. 2009).
Le indagini condotte propongono numerosi spunti di
interesse, a causa delle particolari condizioni di acidità edafica, raramente riscontrate nel mondo su analoghi substrati,
le quali creano un ambiente particolarmente “difficile” per
le comunità viventi ivi insediate. In un ambiente così “estremo”, l’aumentata disponibilità dei metalli pesanti può causare forti impatti sugli ecosistemi. La mobilità dei metalli
è elevata anche alle alte quote, dove l’acidità è inferiore ma
subentrano importanti fenomeni di idromorfia stagionale.
Verranno qui descritti i principali risultati riguardanti
il piano altitudinale alpino.
2.
L’area di studio
2.1.
Clima
La Valle del Chalamy e quella di Champorcher, nel
Parco Naturale del Mont Avic, sono sulla destra della Val
d’Aosta, nelle Alpi Graie (Fig. 1). Il clima (Mercalli 2003)
Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic
Fig. 1 - Localizzazione dell’area di studio.
Fig. 1 - The study area in the Alpine space.
nella Valle del Chalamy è tipicamente continentale, di tipo
endalpico: le precipitazioni medie annue sono inferiori a
1200 mm, concentrate soprattutto in autunno e primavera, con un minimo relativo estivo e un massimo invernale; normalmente non vi sono condizioni di deficit idrico.
Nella Valle di Champorcher, più meridionale e più esterna
all’arco alpino rispetto alla precedente, gli influssi prealpini si fanno evidenti, con precipitazioni più abbondati che
raggiungono i 1600-1800 mm (valori massimi dell’intera
regione). Le quote dei punti di rilevamento considerati sono
comprese tra 2250 e 2950 m circa.
2.2.
Geologia
L’area di studio è completamente inclusa nel massiccio ultrabasico del Mont Avic (parte del complesso
ofiolitico piemontese); la serpentinite è la litologia più diffusa, seguita da metagabbro, anfiboliti e cloritoscisti. Ampi
affioramenti di calcescisto sono diffusi nell’Alta Valle di
Champorcher, nel settore sud occidentale dell’area protetta.
Il materiale parentale è morenico, composto di serpentinite
e rocce mafiche in proporzioni diverse, la cui composizione
chimica è mostrata in tabella 1.
2.3.
Vegetazione
Al di sopra del limite degli alberi attuale, localizzato
tra 2250 e 2400 m, le comunità divergono in relazione a
substrato e microclima. Le ericacee sono diffuse fino a 25002600 m di quota, mentre la ridotta attività di pascolo fa sì che
le comunità vegetali presentino un elevato grado di naturalità. Questo ambiente include il piano subalpino superiore,
dominato dagli arbusteti a ericacee, e il piano alpino, caratterizzato da praterie alpine e da vegetazione dei detriti e delle
rocce. Per semplicità, e visto che i suoli qui evoluti, nell’area
di studio, presentano caratteri e processi simili, d’ora in poi
chiameremo questi due ambienti “piano alpino”.
La variabilità spaziale dei suoli e delle forme geomorfologiche negli ambienti alpini del parco è elevatissima,
come è evidente negli esempi mostrati nelle figure 2 e 3. Le
differenze di substrato e morfologia sono i presupposti per
un’elevata variabilità spaziale delle tipologie e dei caratteri
chimici e fisici dei suoli.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37
25
Tab. 1 - Composizione delle principali litologie dell’area di studio (dall’analisi XRF di alcuni campioni prelevati sul posto).
Tab. 1 - Chemical composition of the most common rock types found in the study area (from XRF analysis of rock samples).
Serpentinite
Fe2O3 (%)
Metagabbro
Prasinite
Anfibolite
Cloritoscisti
Calcescisti
5,9 (±2)
4,3
10,6 (±3)
7,8
6,5
5,4
Cr2O3 (µg g-1)
3700 (±2000)
2654
506 (±200)
860
2242 (±1500)
4,85
NiO (µg g-1)
1366
310
284
1390
2373 (±300)
27
Co (µg g-1)
30
27
42
33
30
2,5
MnO (%)
0,10
0,06
0,21 (±0,1)
0,09
0,12
0,21
SiO2 (%)
42,5
46,1
42,4
36,2
31,5
61,21
Al2O3 (%)
0,3
15,7
10,6
11,8
14,0
15,45
MgO (%)
42,0
15,6
18,2
31,0
32,1
3,41
CaO (%)
0,05
10,5
7,6
7,8
2,1
14,21
3.
Materiali e metodi
La scelta dei siti di scavo nei 97 profili associati a
rilievi floristici di dettaglio è stata effettuata in modo da
ottenere una caratterizzazione di massima delle principali
combinazioni tra copertura vegetale, morfologia e substrato, seguendo un criterio esplorativo.
Sono state effettuate le principali analisi chimiche e
fisiche, considerando il pH (in acqua e in KCl, soluzione
suolo-liquido 1:2,5), la capacità di scambio cationico
(CSC: BaCl2-TEA, pH 8,2) e le basi di scambio (Ca, Mg,
Na, K estratte con BaCl2), l’acidità scambiabile totale (ac)
e il tasso di saturazione in basi (TSB). N e C organico totale
(TOC) sono stati analizzati con analizzatore elementare CN
(Thermo Scientific).
La composizione chimica totale e il contenuto pseudototale in metalli pesanti sono stati osservati dopo solubilizzazione in acqua regia (HNO3:HCL=1:3) o XRF (X Ray
Florimetry).
È stata effettuata la speciazione chimica di Ni, Co,
Cr, Mn per 15 suoli sotto vegetazione montana e foresta
subalpina, e 19 sotto vegetazione alpina (riconoscimento
delle loro diverse forme chimiche mediante estrazione
sequenziale di frazioni definite da un punto di vista operativo). Un’aliquota fissa di campione (1 g) è stata sottoposta
a estrazioni successive con reagenti aventi capacità estrat-
tiva crescente (Tab. 2), intervallate da lavaggi con acqua
distillata. Il Cr (VI) è stato misurato mediante il metodo del
diphenil-carbazide (Bartlett & James 1996), dopo estrazione con K2H2PO4.
Il Ni biodisponibile (Niav) è stato estratto in EDTAammonio acetato 0,1 M in tutti gli orizzonti superficiali.
Le comunità di microartropodi sono state raccolte
da tre campioni superficiali (tra 0 e 10 cm, corrispondenti
agli orizzonti A, AE, AC) del peso di 500 g circa l’uno,
per sei profili sotto foresta subalpina e otto profili sotto vegetazione alpina. L’osservazione e la classificazione delle
forme biologiche (spesso a livelli tassonomici superiori alla
specie), e l’attribuzione di valori di qualità biologica dei
profili sono state effettuate secondo il metodo della qualità
biologica del suolo (QBS) proposto da Parisi (2001).
I parametri di attività microbiologica indagati sono
stati la respirazione (Resp) e la biomassa (Cmic), analizzati
rispettivamente mediante il metodo della respirazione alcalina (Farini & Gigliotti 1989) e dell’estrazione dopo fumigazione in cloroformio (Vance 1987). Per la descrizione di
tali metodi si rimanda al lavoro di D’Amico et al. (2009).
Durante l’estrazione del Cmic si ottiene anche il C labile
(Clab).
Associando i parametri di attività microbiologica
tra loro e con il contenuto in nutrienti (TOC, Clab) si ottengono interessanti indicatori di stress, quali il quoziente
Tab. 2 - Reagenti e metodi usati nell’estrazione sequenziale.
Tab. 2 - Reagents and methods used in the sequential extraction of metals.
Estraente
Volume
Tempo
Temperatura
CH3COONH4 (1M)
20 ml
15 min
25 °C
NH2OH-HCl (0,1M)
20 ml
30 min
25 °C
Ossalato (1M)
20 ml
4h
25 °C
H2O2 (30%) CH3COONH4 (0,1M)*
20 ml
20 ml
10 h
30 min
65 °C
25 °C
DCB
40 ml
14 hours
25 °C
Aqua regia
10 ml
90 min
forno MW
Frazione estratta
Scambiabile
(Niex Coex, Crex, Mnex)
Associata agli ossidi di Mn ed estremamente amorfi di Fe
(NiMn, CoMn, CrMn, MnMn)
Associata agli ossidi amorfi di Fe
(Nio, Coo, Cro, Mno, Feo)
Associata alla sostanza organica
(Niorg, Coorg, Crorg, Mnorg Feorg)
Associata con gli ossidi cristallini pedogenetici di Fe (Nid,
Cod, Crd, Mnd, Fed)
Residua
26
D’Amico et al.
Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic
Fig. 2 - L’altopiano della Gran Betassa e i suoi laghi, nel bacino del Chalamy. 1. Rocce montonate di serpentinite, intervallate da zone
umide; 2. affioramenti di serpentinoscisto crioturbato; 3. materiale morenico composto da serpentinite, anfibolite, metagabbro e calcescisto;
4. coperture moreniche miste con scarsi affioramenti di serpentinite; 5. affioramenti di prasinite criofratturata; 6. rock glacier fossile, inattivo;
7. rock glacier attivo e in movimento.
Fig 2 - The Gran Betassa Plateau and its lakes, in the Chalamy basin. 1. Serpentinitic “roches moutonnees” separated by wetlands; 2.
cryoturbated schistose serpentinitic outcrops; 3. glacial till made of serpentinite, amphibolite, gabbros and calcschists; 4. mixed till with
small serpentinitic outcrops; 5. cryofractured amphibolites; 6. fossile rock glacier; 7. active, moving rock glacier.
Fig. 3 - L’alpe Raty Damon e le sue montagne, nella Valle di Champorcher. 1. Coperture moreniche composte da serpentinite prevalente
(P23); 2. affioramenti di serpentinoscisto in erosione (P135, P136); 3. affioramento di calcescisto (P25); 4. antico rock glacier fossile; 5.
serpentinite; 6. detrito di serpentinite poco vegetato; 7. area crioturbata, con grandi lobi di soliflusso e hummocks (P24, P139); 8. cerchie
moreniche; 9. affioramenti di metagabbro; 10. falda detritica di metagabbro.
Fig. 3 - The Raty Damon plateau and surrounding mountains, in the Champorcher Valley. 1. Serpentinitic till (P23); 2. eroding schistose
serpentinite (P135, P136). 3. calcschist outcrop (P25); 4. ancient rock glacier; 5. serpentinite; 6. non-vegetated serpentinite debris; 7.
cryoturbated area, with large solifluction lobes (P24, P139); 8. moraines; 9. meta-gabbros; 10. gabbroic debris.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37
metabolico (qCO2, rapporto tra respirazione e biomassa),
il TOC/Cmic e il Clab/Cmic. Questi indici evidenziano la presenza di fattori in grado di limitare la crescita delle popolazioni microbiche: nel primo caso, valori elevati di qCO2
evidenziano fattori edafici o ambientali che aumentano il
metabolismo per scopi diversi dalla crescita delle popolazioni – presumibilmente, per l’attivazione di meccanismi
di detossificazione –, mentre nel secondo e nel terzo caso,
essi evidenziano fattori che non permettono la crescita delle
popolazioni nonostante la disponibilità di nutrienti.
Il dataset completo è stato suddiviso in due gruppi: suoli e ambienti forestali, e suoli e ambienti alpini.
L’analisi delle correlazioni e l’analisi delle componenti
principali (PCA) sono state eseguite sui risultati analitici
e sulla composizione litologica del materiale parentale,
per riconoscere i principali fattori in grado di spiegare la
variabilità delle proprietà chimiche. Le analisi di relazione
tra i caratteri edafo-ambientali e i parametri biologici (correlazione e PCA, per i profili aventi dati a disposizione) e
la vegetazione sono state effettuate dopo aver selezionato le
variabili con il minor grado di intercorrelazione.
Le relazioni tra suolo e vegetazione sono state valutate
attraverso l’analisi CCA (Canonical Coordination Analysis,
Ter Braak 1986), mentre le relazioni tra particolari specie e
caratteri edafo-ambientali sono state elaborate mediante il
metodo CART (Vayssiéres et al. 2000). Per tutte le elaborazioni statistiche è stato usato il software R3.8.1.
4.
Risultati
4.1.
Caratteri chimici e morfologici dei suoli
I principali processi che influenzano la pedogenesi
attivi sopra il limite della vegetazione forestale sono la
crioturbazione e l’erosione, mentre l’acidificazione causata
dalla copertura vegetale è intensa solo in località stabili
e a bassa pendenza. Analogamente a quanto osservato da
Sirois & Grandtner (1991), i movimenti periglaciali, la
forte erosione e deposizione tipiche dei versanti crioturbati
e la (prevalentemente) bassa copertura vegetale inibiscono
lo sviluppo dei suoli, che sono classificati come Regosols,
Cambisols o Cryosols (Fig. 4, Tab. 3) alle quote più elevate
(IUSS Working Group 2006).
I suoli analizzati hanno caratteri chimici e fisici (Tab.
4) molto variabili anche su substrati analoghi (D’Amico
2006a). Ad esempio, i valori di pH sono talvolta estremamente bassi anche su materiali parentali ricchi in basi (calcescisto o serpentinite). Su tali substrati, questo parametro
dipende strettamente dal grado di sviluppo pedogenetico: su
serpentinite, il pH è subacido (pari a circa 6) in situazioni di
estremo disturbo ed erosione (P140, su un versante detritico
instabile e in erosione; P146, in un canalone interessato da
debris flows e con apporto di basi da piccoli affioramenti di
calcescisto), mentre scende a meno di 4 in situazioni stabili
(P10, P143). Su calcescisto, dove i carbonati sono completamente dilavati anche nei livelli alterati del substrato,
la variazione è ancora più intensa. Su metagabbro, dove il
processo della podzolizzazione si spinge fino a 2500-2600
m di quota, i suoli sono acidi anche in condizioni di forte
crioturbazione.
Il rapporto tra Ca e Mg scambiabili (Ca/Mg) dipende
dal substrato: nei suoli su calcescisto i valori sono superiori
27
a 30, in quelli su metagabbro sono compresi tra 3 e 10,
mentre in quelli su serpentinite sono correlati alla sostanza organica (valori tra 0,2 e 16). Negli orizzonti organominerali di superficie, infatti, il Ca è concentrato a causa di
fenomeni di bioaccumulo e biocycling, mentre il Mg viene
facilmente dilavato (Lee et al. 2004).
La scarsa acidificazione attiva nei suoli su serpentinite, in situazioni di limitato innevamento, favorisce l’evoluzione verso suoli simili a quelli “lateritici”, fortemente
arrossati e composti prevalentemente da ossidi e idrossidi
di ferro (P138). Suoli di questo tipo arrivano a contenere
eccezionali quantitativi di elementi in traccia potenzialmente tossici.
La composizione chimica dei suoli è molto variabile,
con frequenti cambiamenti bruschi tra diversi orizzonti,
soprattutto per Ca, Mg, Fe e Mn. In particolare, le diverse concentrazioni dei primi due elementi possono essere
dovute a discontinuità litologiche legate ai processi di
soliflusso: sono infatti più variabili nei suoli intensamente
crioturbati. Per quanto riguarda Fe e Mn, invece, le grandi
discontinuità sono dovute ai processi pedologici interni al
profilo (molto evidenti su calcescisto): i valori minimi sono
sempre misurati negli orizzonti sbiancati (E, AE) e dipendono probabilmente da processi di lisciviazione causati da
idromorfia e da un’incipiente podzolizzazione.
Su serpentinite, i suoli mostrano i tipici caratteri ultramafici, con elevate concentrazioni totali in Mg, Fe, Ni e
Cr. Rispetto al materiale parentale, vi è un arricchimento in
Ca e Al, forse grazie ad apporti eolici.
Il forte aumento della concentrazione di alcuni
elementi (in particolare, Ni e Co) misurato talvolta negli
orizzonti profondi su calcescisto dipende probabilmente
da apporti di sostanze disciolte nelle acque di scorrimento
all’interno del profilo nei periodi di saturazione idrica al
disgelo. Il materiale parentale e la composizione litologica
delle pietre contenute in tali orizzonti non permetterebbero
infatti la presenza di concentrazioni così elevate in metalli
pesanti in questi suoli.
4.2.
Speciazione dei metalli in traccia
Solo alcune forme chimiche di Ni e Co sono significativamente correlate tra loro. Diversamente da quanto accade nei suoli subalpini (D’Amico et al. 2009) e da quanto
è noto in letteratura (Jarvis 1984; Gasser et al. 1994), il
Mn non è correlato a Ni e Co. Le sue forme presentano
infatti degli andamenti molto irregolari tra gli orizzonti,
probabilmente a causa della grande sensibilità ai fenomeni
di riduzione chimica (frequenti durante il disgelo e favoriti
dalla presenza di terreno gelato impermeabile).
Il Cr, a sua volta, presenta un comportamento diverso
e indipendente: è il metallo meno mobilizzato dai processi
pedogenetici attivi ad alta quota. Su serpentinite (dove sono
stati rilevati i valori massimi), il suo contenuto decresce con
la profondità, in accordo con quanto comunemente trovato
su substrati analoghi. Ciò dipende dalla scarsa alterabilità
di magnetite e cromite, che includono frazioni importanti di
tale metallo. L’andamento degli elementi con la profondità
è indicatore della loro mobilità: si evidenzia quindi una
mobilizzazione del Cr molto inferiore rispetto ai suoli subalpini (D’Amico et al. 2009). Nei suoli i valori minimi si
riscontrano su calcescisto, mentre su metagabbro essi (fino
a 1500 mg kg-1) sono superiori ai normali valori rilevati su
28
D’Amico et al.
Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic
Fig. 4 - Alcuni profili indagati e la loro classificazione WRB (IUSS 2006). Da sinistra in alto P53 (Epistagnic Cryosol), P141 (Chromic
Cambisol), P142 (Dystric Cryosol).
Fig. 4 - Some of the studied profiles and their WRB (IUSS 2006) classification. From the top, on the left, P53 (Epistagnic Cryosol), P141
(Chromic Cambisol), P142 (Dystric Cryosol).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37
29
Tab. 3 - Ambiente e classificazione di alcuni suoli caratteristici per i piani subalpino superiore e alpino nel Parco Naturale del Mont Avic.
Tab. 3 - Main environmental properties and classification of some typical soils in the higher subalpine and in the alpine levels in Mont
Avic Natural Park.
Profilo Quota
P37
2480
Esp.
70°
Pendenza Geomorfologia
20°
Lobi di soliflusso
P38
2600
0°
5°
Lobi di soliflusso
Curvuletum tipico
P52
2705
45°
1°
Salicetum herbaceae
P56
2535
30°
7°
Curvuletum con specie basifile
Spodic Cambisol (Dystric, Chromic)
P138
2417
Caricetum fimbriatae con ericacee
Leptic Cambisol (Eutric, Chromic)
P10
2425
180°
10°
Caricetum fimbriatae con ericacee
Epileptic Cambisol (Dystric, Skeletic)
P11
2625
220°
15°
Curvuletum tipico, con ericacee
Epileptic Cambisol
(Dystric, Hyperskeletic, Turbic)
P12
2600
180°
25°
Caricetum fimbriatae con ericacee
Haplic Regosol (Skeletic, Eutric)
P140
2310
260°
30°
Serpentinofite
Haplic Regosol (Eutric, Hyperskeletic)
P4
2240°
180°
3°
Dossetti crionivali
Versante con rocce
montonate
Pianoro sommitale
crioturbato
Tasca su un masso di
rock glacier fossile
Crioturbazione
intensa
Crioturbazione
intensa
Falda detritica
Dosso montonato,
crioturbato
WRB
Haplic Cambisol (Eutric, Turbic)
Gelistagnic Cambisol
(Hyperdystric, Skeletic, Protospodic)
Turbic Cryosol (Eutric)
Caricetum fimbriatae con ericacee
Cambic Leptosol (Dystric)
P141
2680
90°
2°
Rock stream
P142
2775
90°
1°
Dossetti crionivali
P143
2545
270°
10°
Rocce montonate
Thlaspietum rotundifolii – Caricetum
fimbriatae
Salicetum herbaceae con Vaccinium
ssp.
Caricetum fimbriatae con ericacee
Turbic Cryosol
(Eutric, Hyperskeletic)
Turbic Cryosol
(Dystric, Hyperskeletic)
Umbric Leptosol (Humic)
P144
P145
P146
P41
2420
2420
2130
2565
0°
0°
180°
310°
5°
6°
20°
10°
Versante morenico
Versante morenico
Falda detritica
Dosso morenico
Curvuletum tipico
Caricetum fimbriatae con ericacee
Serpentinofite
Curvuletum con Vaccinium ssp.
Leptic Umbrisol (Hyperskeletic)
Leptic Umbrisol (Hyperskeletic)
Haplic Regosol (Eutric, Hyperskeletic)
Lepti-Umbric Podzol (Skeletic)
1°
Vegetazione
Curvuletum con specie basifile
Tab. 4 - Principali caratteri chimici di alcuni profili significativi. Il pH è misurato in KCl; TOC e TSB sono espressi in %, CSC, Ca, Mg,
Na, K e Ac (acidità di scambio) sono espresse in cmol kg-1. GB= prevalente metagabbro; SP= prevalente serpentinite; CS= prevalente
calcescisto; TXT= classe tessiturale USDA.
Tab. 4 - Main chemical properties of some typical soil profiles. pH is measured in KCl, TOC and TSB are expressed as %, CSC, Ca, Mg,
Na, K and Ac (exchangeable acidity) are expressed in cmol kg-1. GB= main metagabbros; SP= main serpentinite; CS= main calcschists;
TXT= USDA textural classes.
Or.
A1
AC1
CB1
CB8
Bw
A1
AE
B
CB
C
A
AC
C
A
E
Bs
BC
C
A
Bw
C
A
Bw
Profilo pH TOC
Ca
Mg TSB
5,7 4,2 52,23 1,05 81
5,9 1,8 26,92 0,98 77
P37
6,1 1,4
8,78 0,14 69
CS
6,1 0,5
4,54 0,10 84
6,5 1,4
6,36 0,12 62
3,4 2,7 10,22 1,10 27
3,5 1,0
1,36 0,09 18
P38
3,9 0,7
0,51 0,18 10
CS
4,5 0,6
0,90 0,04
9
4,1 0,4
0,47 0,10 12
4,9 1,3
9,10 1,54 53
P52
5,1 0,8
8,08 1,22 69
CS
4,7 0,7
3,91 0,58 75
5,6 1,9 25,43 1,22 46
5,5 0,9 10,22 0,36 43
P56
5,6 0,8
4,48 0,05 36
CS
5,1 0,6
0,75 0,03 23
4,7 0,4
0,65 0,03 33
4,8 1,8
2,39 7,99 39
P138
5,7 0,8
1,70 8,79 67
SP
5,6 0,5
0,56 8,49 73
3,80 1,62 16
P10 3,7 3,3
SP
4,0 1,5
2,26 0,99 23
Ca/Mg
49,7
27,5
62,7
45,4
53,0
9,3
15,1
2,8
22,5
4,7
5,9
6,6
6,7
20,8
28,4
89,6
25,0
21,7
0,3
0,2
0,1
2,3
2,3
TXT
SF
FS
FS
SF
SF
SF
FS
FS
S
FS
FS
FS
SF
SF
FS
S
S
SF
FS
FS
FS
FS
FS
Or.
A
Bw
C
A
BC
C1
C2
A
Bw
A
AC
C
A
CA
C
A
A
A1
A2
AC1
AC2
A
AE
Bhs
Profilo
P11
GB
P12
SP
P140
SP
P4
GB/SP
P141
SP
P142
GB
P143 SP
P144 GB
P145 GB
P146 SP
P41 GB
pH TOC
4,3 2,1
4,5 1,6
4,4 0,6
5,2 1,4
5,5 0,7
5,5 0,6
5,8 0,5
3,9 1,2
4,3 0,8
4,7 0,5
5,2 0,4
5,3 0,1
4,3 1,7
4,6 0,4
4,7 0,5
3,7 5,2
3,3 2,2
3,6 2,3
3,5 1,5
6,5 1,2
6,8 0,9
4,0 2,0
3,9 3,1
4,4 2,8
Ca
Mg TSB
1,12 0,32
5
0,95 0,26
7
0,78 0,09 12
2,48 1,73 23
1,98 1,81 38
0,58 0,84 27
0,70 1,68 53
0,28 0,19 12
0,16 0,15
8
0,61 0,78 35
0,97 1,22 45
0,33 0,62 76
3,47 1,67 55
0,95 0,76 59
1,39 0,89 61
1,63 0,87 14
5,23 2,03 22
4,42 2,16 19
2,79 1,20 13
11,71 1,17 82
5,22 0,28 80
2,68 0,82 12
2,10 0,61 11
1,91 0,75 12
Ca/Mg
3,5
3,6
8,7
1,4
1,1
0,7
0,4
1,5
1,1
0,8
0,8
0,5
2,1
1,2
1,6
1,9
2,6
2,0
2,3
10,0
18,6
3,3
3,4
3,2
TXT
SF
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FS
FL
FS
FS
FS
FS
FS
30
D’Amico et al.
queste litologie (pari a circa 200-300 mg kg-1). Le frazioni
di associate a materiali pedogenetici sono sempre direttamente correlate al contenuto totale.
La forma estremamente tossica del cromo (Cr VI) è,
fortunatamente, labile e si riduce velocemente a Cr (III)
in presenza di Fe (II) e di sostanza organica complessante
(Fendorf 1995); nei suoli in esame, la soglia di tossicità
(pari a circa 2 mg kg-1) viene spesso superata, talvolta
anche negli orizzonti superficiali ricchi in sostanza organica e su materiali parentali diversi dalla serpentinite. Ciò
probabilmente accade a causa delle frequenti condizioni
di idromorfia al momento dello scioglimento della neve,
che “attivano” gli ossidi di manganese (Fendorf 1995).
L’elevato contenuto in CrVI nei suoli su rocce mafiche e
su calcescisto può dipendere dalla sua elevata mobilità, che
favorisce spostamenti in soluzione per lunghe distanze.
La speciazione chimica del Ni evidenzia una situazione completamente diversa: le frazioni pedogeniche (associate a ossidi amorfi e cristallini di Fe e Mn, e alla sostanza
organica) rappresentano normalmente più del 50% del totale presente nel rispettivo orizzonte. Le frazioni più labili
(scambiabile e associata agli ossidi di manganese) in alcuni
suoli su calcescisto costituiscono una frazione prossima
alla totalità negli orizzonti profondi, a verifica degli apporti
esterni in soluzione nelle acque di scorrimento sottosuperficiale.
4.3.
Metalli biodisponibili
Il Niav, che mostra un trend decrescente significativo da serpentinite a gabbro e calcescisto, ha una varianza
estremamente elevata su serpentinite (2-950 mg kg-1), a
causa della lisciviazione che ne abbassa il contenuto nei
suoli più evoluti. I valori riscontrati su serpentinite nel
Parco Naturale del Mont Avic sono spesso superiori a
quelli evidenziati in altre località con substrati ultramafici:
ad esempio, Slingsby & Brown (1977) evidenziano concentrazioni di Ni biodisponibile fino a 250 mg kg-1 circa,
soprattutto in località note per la estrema tossicità edafica
(Keen of Hamar, Isole Shetland, dove il Ni totale nel suolo
supera i 9000 mg kg-1). Valori più bassi di un fattore 100 o
1000 rispetto a quelli trovati nel Parco Mont Avic sono stati
rilevati in Spagna in ambiente alpino su substrati prevalentemente ultramafici, ma con apporto di materiali diversi
(Sanchez-Marañòn et al. 1999), e in ambiente subartico a
Terranova (Roberts 1980). La soglia di tossicità per molte
specie vegetali (pari a circa 6 mg kg-1, Gasser et al. 1994) è
largamente superata.
Su serpentinite, il valore più alto di Niav è riscontrato negli orizzonti organominerali di superficie, raramente
negli orizzonti B (dove rappresenta la frazione legata alla
sostanza organica per chelazione o adsorbimento, insieme
a quella legata agli ossidi di ferro e manganese); su altre
litologie, il Niav spesso raggiunge i valori massimi negli
orizzonti più profondi, in virtù dei probabili apporti esterni
di forme labili in soluzione.
La differenza rispetto ai suoli sviluppati sotto foresta
subalpina, situati a breve distanza, è enorme: nella fascia
alpina: l’alterazione chimica riesce a liberare i metalli dal
reticolo cristallino dei minerali primari, ma la debole acidità e l’apporto continuo di materiale fresco ad opera dei
movimenti di versante e della crioturbazione ne limitano
la lisciviazione, l’asportazione e, forse, a parità di concen-
Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic
trazione, ne riducono la biodisponibilità. Inoltre i valori
di Mnav, Coav e Crav sono inferiori, nella norma dei suoli
sviluppati sulle rispettive rocce.
4.4.
Le tipologie vegetazionali
L’analisi dei cluster riferita ai dati dei rilievi floristici
ha evidenziato l’esistenza di 10 gruppi statisticamente ed
ecologicamente significativi (Fig. 5a), ben differenziati in
base a substrato e microclima.
Su calcescisto sono diffuse le praterie prevalentemente acidofile riconducibili al Curvuletum, (clusters 4 e 11, il
secondo arricchito in specie basifile). Su gabbro, in condizioni stabili, si sviluppano associazioni acidofile simili,
appartenenti al cluster 4, o, su pendenze elevate, appartenenti al cluster 9 (Oxyrietum diginae). Associazioni nivali
di alta quota su serpentinite e gabbro sono riconducibili
all’associazione Salicetum herbaceae (cluster 6). A quote
superiori a 2800 m, anche su gabbro i suoli sono meno acidificati e presentano un pH prossimo alla neutralità, e ciò
influenza la presenza di comunità vegetali ricche in specie
acidofile e basifile analoghe a quelle sviluppate su calcescisto (clusters 5 e 8). Su serpentinite, la vegetazione più
tipica include ericacee acidofile (Vaccinium uliginosum,
Loiseleuria procumbens, Rhododendron ferrugineum) associate all’endemica e dominante Carex fimbriata (cluster
1). La copertura vegetale è piuttosto bassa, probabilmente
a causa dell’eccesso di metalli biodisponibili. Sui detriti
crioturbati alle alte quote, l’associazione caratteristica è il
Thlaspietum rotundifolii. In alcuni siti disturbati da intensa
erosione, le comunità sono arricchite in specie basifile, in
accordo con il pH prossimo alla neutralità e con l’elevato
contenuto in Ca. Su serpentinite, sono comuni specie endemiche quali Thlaspi sylvium, Cardamine plumieri, Carex
fimbriata e altre brassicaceae come la Biscutella laevigata
(Fig. 6).
4.5.
I rapporti suolo-vegetazione
La combinazione delle variabili edafiche e ambientali
considerate spiega il 21% della varianza della distribuzione
delle specie (Fig. 5b), mentre il 79% dipende dal disordine
tipico dei sistemi ecologici. Le variabili meglio correlate
con i 2 assi principali sono, in ordine, Niav, quota, pendenza,
drenaggio ed esposizione.
Le elaborazioni statistiche applicate specificamente
alle specie serpentinofite Carex fimbriata, Thlaspi sylvium,
Cardamine plumieri, Silene vulgaris e Biscutella laevigata evidenziano che il fattore meglio correlato con la loro
presenza è il Niav. Carex curvula e Luzula spicata, specie
alpine comuni rare su serpentinite, sono invece negativamente correlate con pH e Niav. Bassi valori del rapporto Ca/
Mg sembrano essere favorevoli alla crescita di Carex sempervirens e Luzula lutea, mentre il Thlaspi rotundifolium
subsp. corymbosum appare in relazione con valori alti di
Niav e bassi di Ca/Mg.
4.6.
La qualità biologica dei suoli
Confrontando i risultati riguardanti la speciazione
dei metalli pesanti con le osservazioni sulle comunità di
microartropodi, si osserva che, differentemente da quanto
accade sotto il limite della vegetazione arborea (D’Amico
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37
a.
31
b.
Fig. 5 - a. Grafico della cluster analisi che evidenzia la relazione tra le diverse associazioni vegetali alpine rilevate; b. grafico della
CCA che evidenzia il Niav come il parametro più influente nella distribuzione delle comunità vegetali. La lunghezza delle frecce, infatti,
indica l’importanza dei determinati fattori causali (caratteri edafici ed ambientali) implicati nella spiegazione della varianza delle variabili
dipendenti (le comunità vegetali).
Fig. 5 - a. Clustering of plant communities; b. CCA biplot, which shows how Niav is the most important edaphic factor involved in the
variability of plant communties. The length of the arrows is proportional to the importance of the causal factors (edaphic and environmental
properties) involved in the variance of dependent variables (plant communities).
et al. 2009), i metalli non sembrano influenzare le comunità
di artropodi del suolo. Infatti, i suoli apparentemente più
“fertili” (su calcescisto e gabbro) presentano una biodiversità animale assai ridotta.
I valori dell’Indice QBS più bassi si sono ottenuti per
il P38, il P52 e il P56 (sviluppati su calcescisto): la media
delle repliche nei due casi risulta pari a 1, con un numero
estremamente scarso di forme biologiche riconosciute e di
individui. I suoli su serpentinite, con una maggior pietrosità,
un maggior disturbo erosivo, una minore copertura vegetale,
un rapporto Ca/Mg più sfavorevole alla produttività vegetale, un minor quantitativo di carbonio e di nutrienti hanno un
valore di QBS più elevato. Alcuni (P12 e P139) hanno una
qualità buona (QBS= 3, in una scala che varia tra 0 e 6).
Confrontando l’Indice QBS dei profili P10, P11 e P12,
sviluppati a breve distanza ma su substrati e con contenuti
in metalli diversi, si osserva come il suolo P12, su serpentinite, disturbato ed estremamente ricco in Ni, Co e Mn
biodisponibili, abbia una qualità biologica piuttosto buona.
Questo risultato contrasta anche con la vegetazione, qui
particolarmente ricca in specie bene adattate a elevate concentrazioni di metalli pesanti (Thlaspi sylvium, Biscutella
laevigata, Carex fimbriata e Cardamine plumieri). Il P11,
su metagabbro e sotto coperture vegetali continue, ha il
valore minimo di QBS tra questi 3 suoli.
4.7.
I parametri microbiologici
I risultati analitici usati per la caratterizzazione della
qualità microbiologica dei suoli sono illustrati in tabella 5.
Una prima indagine ha voluto ricercare delle tendenze nella variazione verticale (intra-profilo) dei parametri microbici all’interno di profili rappresentativi (Fig.
7). Eventuali irregolarità nella distribuzione verticale del
TOC dipendono da fenomeni di ricoprimento dovuti alla
crioturbazione, mentre la distribuzione del Clab (la forma
di C immediatamente assimilabile dai microrganismi) può
dipendere da illuviazione di molecole solubili di piccole
dimensioni o da una maggiore età e alterazione della sostanza organica di orizzonti sepolti dai processi di disturbo
di crioturbazione o erosione-deposizione.
Il parametro Cmic decresce, in generale, con la profondità. Questa tendenza prevale anche nei profili con un
andamento irregolare dei nutrienti immediatamente disponibili. L’aerazione del suolo, unita alla presenza di resti di
vegetazione e/o di orizzonti organici, si conferma l’elemento che più incide sulle dinamiche della sostanza organica e
della attività microbiotica.
Confrontando i caratteri microbici in suoli analoghi
dal punto di vista ambientale ed edafico, ma su substrato
diverso, si può vedere come ci siano scarsi rapporti tra substrato e stress per le comunità microbiche.
I P52, P141 e P142 sono simili per processi pedogenetici attivi (sono caratterizzati da intensa idromorfia, crioturbazione e sono probabilmente interessati da
permafrost), sebbene si siano sviluppati rispettivamente
su calcescisto, serpentinite e metagabbro/anfibolite. I
parametri di attività microbica e contenuto in nutrienti
evidenziano una situazione più favorevole nel profilo su
metagabbro/anfibolite, mentre il suolo su serpentinite ha
32
D’Amico et al.
Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic
Fig. 6 - Alcune immagini di comunità vegetali alpine osservate. Da sinistra in alto: Thlaspietum rotundiifolii su serpentinite intensamente
crioturbata (P143); Curvuletum tipico su suoli acidi e lisciviati su calcescisto (P38); Caricetum fimbriatae su serpentinite (a sinistra nella
foto, P138), affiancato in modo abrupto a una prateria pingue dominata da Poa alpina su gabbro (sulla destra); comunità su suoli disturbati
su detrito di serpentinite, ricca in specie endemiche adattate ai metalli pesanti e, talvolta, basifile (Cardamine plumieri, Thlaspi sylvium).
Fig. 6 - Some Alpine plant communities in the study area. From the top-left: Thlaspietum rotundiifolii on cryoturbated serpentinite (P143);
typical Curvuletum on acid and leached soils on calcschists (P38); Caricetum fimbriatae on serpentinite (on the left in the bottom-left
picture, P138), abruptly confining with a rich meadow on gabbro (dominated by Poa alpina, on the right); eroded and disturbed soils on
serpentinite, covered by heavy metal-adapted, endemic species (Cardamine plumieri, Thlaspi sylvium).
il contenuto in Clab minimo e il tasso di respirazione più
basso. Stranamente, il valore massimo di Cmic è proprio
nel profilo su serpentinite. Il bassissimo valore di respirazione, associato alla grande biomassa microbica, potrebbe
dipendere dalla quiescenza dei microrganismi in questo
suolo.
Confrontando i profili P11 e P12, emerge una maggiore attività biologica (resp e Cmic) nel P12 (serpentinite),
associata a 2 indici di stress su 3 superiori. Le differenze tra
i suoli su diversi substrati non sono significative.
Tra i parametri ambientali, solo la quota è correlata
con un parametro di stress negli orizzonti superficiali A
(Clab/Cmic). La respirazione è negativamente correlata con
nichel, cromo e manganese, mentre la biomassa sembra
essere inaspettatamente correlata in modo positivo al manganese. Solo il rapporto TOC/Cmic presenta valori di correlazione significativi con qualche parametro edafico (alcune
forme di Mn, Co e Ni).
I coefficienti di correlazione tra qCO2 e Clab/Cmic sono
stranamente negativi con gran parte delle specie dei metalli. Nessun valore è statisticamente significativo (p-value=
0,05).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37
33
Tab. 5 - Indici di stress microbiologici per i profili analizzati. TOC= Total Organic Carbon (carbonio organico totale); qCO2= quoziente
metabolico.
Tab. 5 - Microbial stress indicators for the analyzed profiles. TOC= Total Organic Carbon (carbonio organico totale); qCO2= metabolic
quotient.
Or.
Profilo
qCO2
A
AC
C
A
CA
C
A
A
BC
A
E
P141
P142
P143
P171
P41
TOC/Cmic
(µg C-CO2 d mg Cmic)
*100
0,30
7,14
0,00
153,49
18,09
41,86
3,28
39,85
218,18
10,09
19,82
0,03
0,25
0,32
0,22
0,13
0,05
1,64
0,32
0,02
0,13
0,95
-1
-1
Clab/Cmic Or.
Profilo
qCO2
0,16
0,83
4,17
18,89
1,82
4,75
0,55
1,58
5,00
0,75
1,92
La situazione si presenta simile negli orizzonti sottosuperficiali (Tab. 5), dove l’effetto degli abbondanti
nutrienti, presenti in superficie e in grado di mascherare
eventuali segni di stress sulle comunità microbiche, viene meno, rendendo più visibili gli effetti di tossicità dei
metalli pesanti mobili e biodisponibili. La respirazione
basale appare inibita da alcune forme di Co e Ni, mentre
A
AC
C
A
E
Bs
A
B
A
B
A
BC
P52
P56
P138
P11
P12
TOC/Cmic
(µg C-CO2 d mg Cmic)
*100
3,14
8,61
6,97
1,14
2,13
9,61
9,42
4,18
6,00
0,00
2,83
4,67
0,41
0,75
0,20
0,50
0,21
0,10
0,42
0,51
0,18
1,20
4,42
1,47
-1
-1
Clab/Cmic
0,21
0,58
0,12
0,13
0,26
1,04
0,54
1,29
0,80
0,80
0,43
0,56
la correlazione negativa tra biomassa e metalli non è mai
significativa (p-value= 0,05).
Di seguito vengono mostrati i grafici di dispersione
per le variabili di stress microbico e alcune tra le forme dei
metalli meglio correlate con esse (Figg. 8-9). Diversamente
da quanto accade nei suoli delle foreste subalpine (D’Amico
et al. 2009), alcune correlazioni positive tra Nimn e Comn
Fig. 7 - Andamento intra-profilo dei parametri microbiologicici indagati. In ascissa, la profondità dei vari strati analizzati in cm; in ordinata
i parametri di biomassa e respirazione (si vedano le unità di misura in Tab. 4).
Fig. 7 - Intra-profile depth trend of microbial properties. Depth (X axis) is in cm. Units of measure for biomass and respiration parameters
(Y axis) are in table 4.
34
D’Amico et al.
Suoli ed ecologia del Parco Naturale del Mont Avic
Fig. 8 - Correlazione tra i parametri Nimn (mg kg-1, in ascissa) e qCO2 (in ordinata), negli orizzonti A (a sinistra) e sottosuperficiali AC,
AE, B, C, AC (a destra).
Fig. 8 - Scatter plot between Nimn (mg kg-1) and qCO2 (Y axis), in A horizons (left) and below surface ones (AC, AE, B, C, AC, on the
right).
Fig. 9 - Correlazione tra i parametri Comn (mg kg-1, in ascissa) e qCO2, negli orizzonti A (a sinistra) e sottosuperficiali AC, AE, B, C, AC
(a destra).
Fig. 9 - Scatter plot between Comn (mg kg-1) and qCO2 (Y axis), in A horizons (left) and below surface ones (AC, AE, B, C, AC, on the
right).
(facilmente mobilizzabili) e alcuni parametri di stress sono
intuibili solo negli orizzonti superficiali (Figg. 8-9), ma la
significatività di questi risultati è praticamente nulla dai
punti di vista ecologico e statistico.
5.
Conclusioni
5.1.
Caratteri chimico-fisici del suolo ed effetti sulla mobilità dei metalli in traccia
I processi e i caratteri chimici dei suoli dipendono in
modo netto dalla litologica del materiale parentale.
Su serpentinite, i bassi valori di pH e gli alti rapporti
Ca/Mg si sono dimostrati molto diversi da quanto spesso si
trova in letteratura (Roberts 1980; Proctor & Nagy 1991),
anche se talvolta i processi di saturazione idrica e idromorfia causano una profonda lisciviazione delle basi e la
formazione di podzols (fenomeni rilevati in Canada: Sirois
& Grandtner 1991).
I processi pedogenetici attivi in ambiente di alta quota sono radicalmente diversi da quelli attivi sotto il limite
della vegetazione arborea, dove risultava favorita una forte
alterazione e lisciviazione degli elementi potenzialmente
tossici. I suoli alpini su serpentinite evidenziano infatti
caratteri favorevoli a un’importante accumulo di forme
mobili e biodisponibili dei metalli negli orizzonti superficiali: acidificazione limitata in relazione a una copertura
vegetale discontinua, importante crioturbazione, erosione e
accumulo di materiale “fresco” sulla superficie del suolo,
facilmente attaccabile dagli agenti atmosferici.
Nonostante la quota elevata e la scarsa copertura
vegetale, l’alterazione dei minerali primari è favorita dalle
grandi quantità d’acqua rilasciate allo scioglimento delle
nevi, con conseguenti fenomeni di riduzione chimica.
Queste acque, scorrendo sulla superficie e attraverso gli
orizzonti del suolo, trasportano elementi in soluzione, che
si legano alla capacità di scambio dei suoli.
Ciò contrasta con quanto normalmente riportato in letteratura: è infatti comunemente risaputo che in ambienti al-
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 23-37
pini o artici l’alterazione chimica è pressoché assente, inibita
dalle temperature fredde e dalla scarsa attività e produttività
biologica; tuttavia, secondo Hall et al. (2002) il fattore limitante l’alterazione non è la temperatura, ma l’umidità.
L’accumulo delle frazioni labili dei metalli e della
frazione “biodisponibile” (estraibile in EDTA) negli orizzonti superficiali è particolarmente intenso nei suoli su serpentinite sviluppati in ambienti disturbati da crioturbazione
ed erosione-deposizione. L’alterazione chimica è attiva
(dipende soprattutto dall’abbondanza di acque al momento del disgelo), mentre la scarsa produttività biologica e i
movimenti crioscopici limitano l’apporto di acidi organici
e, quindi, la lisciviazione. Conseguentemente, i contenuti
di Niav sono estremamente alti, fino a 1000 volte maggiori
rispetto a quelli degli ambienti alpini in Spagna (SanchezMarañòn et al. 1999), probabilmente a causa del clima più
umido che favorisce un’alterazione più rapida dei minerali
primari nel suolo, e si assiste spesso ad un superamento
della soglia di tossicità per le forme biodisponibili di Ni
e Co in gran parte degli orizzonti dei suoli sui substrati
ultramafici.
I valori di pH spesso inferiori a 6 evidenziano che,
anche in condizioni di disturbo molto elevato e di scarsa
copertura vegetale, la produzione di acidi organici è sufficiente a modificare gli orizzonti superficiali, in modo da
accelerare l’alterazione del materiale e il rilascio dei metalli
pesanti dai minerali primari.
La morfologia del rilievo e i processi geomorfologici
attivi sono, quindi, i fattori che maggiormente influenzano
la pedogenesi e, di conseguenza, il contenuto e la biodisponibilità dei metalli pesanti nei suoli alpini. I due fattori che
incrementano maggiormente la mobilizzazione dei metalli
nei suoli alpini, infatti, dipendono dalla pendenza del versante e dall’esposizione ai venti invernali. Essi sono:
-
i pH bassi, che aumentano la mobilità di gran parte
dei metalli, sono favoriti da coperture vegetali indisturbate, a loro volta sviluppate su superfici a bassa
pendenza e con abbondante innevamento;
-
le condizioni di idromorfia stagionale, che favoriscono
la riduzione chimica e la mobilizzazione dei metalli,
dipendono a loro volta dall’accumulo di ingenti quantità di neve invernale.
Posizioni esposte ai venti favoriscono la riduzione di
spessore del manto nevoso. La temperatura del suolo può
scendere così di parecchi gradi sotto lo zero, incrementando la crioturbazione, causa primaria di rottura della cotica
erbosa, di rottura degli apparati radicali e di stress per numerose specie vegetali.
5.2.
Metalli pesanti e indicatori di qualità biologica
Nei suoli in cui sono state osservate la composizione
e l’adattamento delle comunità di microartropodi sono state rilevate scarse correlazioni negative tra contenuto totale,
biodisponibile, speciazione dei metalli pesanti e qualità
biologica (QBS). Ciò contrasta con quanto accade nei suoli
del piano subalpino (D’Amico et al. 2009), dove è stata verificata l’esistenza di un effetto negativo dei metalli pesanti
sulle comunità di microartropodi. Ciò può essere dovuto a
un adattamento delle comunità o a condizioni ambientali che
inibiscono la tossicità dei metalli o alla presenza di fattori più
importanti che mascherano il loro effetto negativo. I suoli con
una maggiore pietrosità e un maggiore disturbo per erosione
35
e crioturbazione sono caratterizzati da comunità di microartropodi più sviluppate e un Indice QBS superiore. Ciò potrebbe avere un effetto positivo sull’aerazione di questi suoli,
la cui qualità potrebbe essere influenzata in modo importante
da fenomeni di anossia per lunghi periodi dell’anno a causa
dell’abbondanza delle acque al momento del disgelo.
I suoli con un valore di QBS inferiore sono quelli più
evoluti, che forse sono più asfittici e asciutti a causa del
compattamento e dell’abbondanza di sostanza organiche
idrofobe negli orizzonti superficiali.
Una correlazione positiva tra valore di QBS e pietrosità del suolo è già stata osservata nei suoli alpini della Val
Chiavenna (Ballabio & Comolli, dati non pubblicati).
Anche gli altri indicatori di qualità biologica, gli indici
di attività microbiologica (respirazione basale e biomassa)
e di stress (qCO2, TOC/Cmic, Clab/Cmic), non sono correlati
con il contenuto e la speciazione dei metalli pesanti, né con
gli altri parametri edafici e ambientali. Anche questa rappresenta una importante differenza rispetto a quanto accade
nei suoli subalpini.
5.3.
Rapporti suolo-vegetazione
Come per i suoli, la vegetazione dei piani subalpino
superiore e alpino dipende soprattutto da substrato, clima
(altitudine ed esposizione) e microclima (durata media della copertura nevosa).
Su calcescisto, la profonda decarbonatazione e acidificazione, insieme all’elevato contenuto in Ca, influenzano
le comunità acidofile arricchite in elementi calcifili. Su
metagabbro, i bassi valori di pH e i bassi contenuti in basi
di scambio sono in relazione con le comunità acidofile.
Su serpentinite, le comunità basofile e neutrofile descritte
nelle valli vicine da Verger et al. (1993) sono state trovate
raramente, solo sopra i 2600 m o in zone intensamente disturbate da erosione e crioturbazione (dove la lisciviazione
di basi e metalli è inibita dal continuo apporto di materiale
“fresco” a causa dei movimenti periglaciali).
Alti livelli di Niav e un rapporto Ca/Mg poco inferiore
alla norma sono i fattori più importanti nella distribuzione
delle comunità vegetali alpine tra i diversi substrati. L’effetto
di altre proprietà edafo-ambientali (umidità, drenaggio, altitudine, esposizione, rocciosità ecc.) sono probabilmente
più importanti nella distribuzione delle comunità vegetali,
ma non creano differenze tra i diversi substrati.
L’importanza del Niav è evidenziata dall’esclusione di
numerose specie (tra cui le comuni Carex curvula e Luzula
spicata) dai suoli ricchi in questo metallo e dalla buona
correlazione esistente tra la presenza delle specie endemiche (Thlaspi sylvium, T. rotundifolium subsp. corymbosum,
Cardamine plumieri, Carex fimbriata) e tale parametro.
Queste specie serpentinicole sono normalmente considerate neutrofile (Verger 1991; Richard 1985), ma nell’area di
studio crescono di solito su suoli anche estremamente acidi
e desaturati. Inoltre, le specie endemiche dei substrati ultramafici si sviluppano normalmente su detriti o affioramenti
rocciosi, mentre qui crescono anche su suoli ben sviluppati
e sotto coperture vegetali elevate.
I fattori ambientali inibenti lo sviluppo dei suoli (erosione, crioturbazione, accumulo alluvionale) sono in grado
di mantenere alti livelli di metalli biodisponibili. Per questo
motivo, gli ambienti dove le comunità vegetali sono più
ricche in endemismi sono quelle più disturbate.
36
D’Amico et al.
5.4.
Considerazioni generali
Riassumendo, i suoli alpini delle aree ofiolitiche delle
Alpi occidentali hanno suoli con caratteri dipendenti dal
materiale parentale e supportano comunità vegetali ugualmente differenziate. Uno tra i parametri più importanti
per spiegare la distribuzione di numerose specie e delle
comunità vegetali è il Ni, che è responsabile della minor
copertura vegetale dei suoli più ricchi in questo elemento.
Stranamente, invece, le comunità animali (microartopodi) e
microbiche non sembrano essere influenzate dalla presenza
di metalli pesanti, forse a causa della presenza di fattori
limitanti più importanti. Per avere dei dati più significativi
sarebbe necessario ampliare il numero di profili indagati
anche dal punto di vista biologico.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley
(Val di Sole, Trentino, Italy)
Isabelle Aberegg1, Markus Egli1*, Giacomo Sartori2 & Ross Purves1
Department of Geography, University of Zurich, Winterthurerstrasse 190, 8057 Zurich, Switzerland
Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italy
*
Corresponding author e-mail: [email protected]
1
2
SUMMARY - Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley (Val di Sole, Trentino, Italy) - Detailed
soil maps in Alpine areas are often not available due to the high variability of the topography, the inaccessibility of parts of the area and
consequently high production costs. In the context of growing demand for high-resolution spatial information for environmental planning
and modelling, fast and accurate methods are needed to provide high-quality digital soil maps. We performed a spatial analysis to model
several characteristics of Alpine soils in Val di Sole, Val di Peio and Val di Rabbi (in total 374 km2). Soil modelling was performed using
a non-parametric classification and decision tree analysis (CART: Classification and Regression Tree Analysis). The classification and
decision tree analysis used forced splitting rules (according to expert knowledge). Soil type modelling was done using 15 end nodes.
Spatial modelling of humus forms could be achieved with 9 terminal nodes. Field and chemical data (115 sites) served as a basis for
modelling. In addition, conventional soil mapping was performed on three relatively small test areas. The modelling results could therefore
be tested using these maps. Modelling of soils and humus forms was performed successfully with an accuracy of about 65% for soil types
and higher values (up to 78%) for the humus forms. The main soil type in the investigation area is a ranker (WRB: Umbric Leptosol). The
other soil groups (including Cambisols, Umbric Podzols) each covered about 11-15% of the investigation area. Around 66% of the area
was dominated by the humus form moder.
RIASSUNTO - Distribuzione del modello spaziale dei tipi e delle caratteristiche del suolo in un’alta valle alpina (Val di Sole, Trentino)
- Per le zone alpine non sono in genere disponibili carte pedologiche a scale di dettaglio, a causa della complessità della topografia, dei
problemi di accesso a certe zone e degli alti costi che comporta la loro stesura. In un contesto di crescente bisogno di informazioni ad
alta risoluzione per la gestione dell’ambiente e per la messa a punto di modelli ambientali, si rendono però necessari metodi per produrre
in modo speditivo ed economico carte pedologiche digitali di alta qualità. Abbiamo dunque condotto un’analisi spaziale finalizzata a
modellizzare vari caratteri di suoli alpini in Val di Sole, Val di Peio e Val di Rabbi (in totale 374 km2). La modellizzazione del suolo è stata
realizzata utilizzando la procedura non parametrica di classificazione e di regressione ad albero (CART: Classification and Regression
Tree Analysis), in base ai dati di campagna e chimici di 115 siti. La classificazione e regressione ad albero ha impiegato criteri di split
forzati (basati su conoscenze di esperto). La modellizzazione del tipo di suolo è stata eseguita mediante un albero con 15 nodi terminali,
quella della forma di uso con un albero con 9 nodi terminali. I risultati dei modelli elaborati sono stati testati tramite il confronto con tre
carte pedologiche tradizionali di altrettante zone campione di dimensioni relativamente ridotte. Tale confronto ha permesso di evidenziare
un’alta capacità predittiva dei modelli, con un’accuratezza del 65% per il tipo di suolo e valori più alti (fino al 78%) per la forma di humus.
Il principale tipo di suolo presente nell’area di studio è il ranker (WRB: Umbric Leptosol). Gli altri tipo di suolo (Cambisols, Umbric
Podzols) occupano ciascuno circa l’11-15% dell’area indagata. La forma di humus moder è presente nel 66% dell’area.
Key words: Alpine area, soil modelling, humus forms, Alpine soils, classification and decision tree analysis
Parole chiave: area alpina, modellizzazione dei suoli, forme di humus, suoli alpini, classificazione e regressione ad albero
1.
INTRODUCTION
Previous investigations in Val di Sole and neighbouring areas (Sartori et al. 2005; Egli et al. 2006a) identified
the main soil types for this central Alpine region. The soils
have predominantly developed on siliceous parent material.
Rankers, podzolic soils and cambisols are the main types.
There are, however, little informations available
about the precise distribution of different soil types and
their characteristics and, typically, detailed soil maps are
not available in Alpine areas.
The production of conventional soil maps in Alpine
areas is extremely laborious and therefore expensive. A
major problem is the high variability of landforms with
very distinct changes within short distances (steep valleys,
ridges, rough or even slopes etc.). The changing topography
affects also soil types and their properties. An additional
problem is the inaccessibility or problematic accessibility
of many sites.
In the context of growing demand for high-resolution
spatial information for environmental planning and modelling, fast and accurate methods are needed to provide high-
40
Aberegg et al.
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley
quality digital soil maps (Rahmann et al. 1997; Tognina
2004; Behrens et al. 2005). In this context, data-mining
methods may provide solutions. The term “data-mining”
comprises various methods and techniques from statistics, mathematics and information theory (e.g. artificial
neural networks, decision trees etc.; see Scull et al. 2003;
McBratney et al. 2003) aiming to automatically extract hidden predictive information from existing datasets (Behrens
et al. 2005). Over the last 10 years, Digital Soil Mapping
(DSM) has emerged as a credible alternative to traditional
soil mapping. However, DSM should not be seen as an end
in itself, but rather as a technique for providing data and information for a new framework for soil assessment (Carré
et al. 2007).
Basic digital data describing a landscape such as digital elevation models (DEM), geological maps, precipitation information and vegetation maps are often available.
These datasets form the basis for soil modelling (see also
soil forming factors as defined in Jenny (1980)). According
to Scull et al. (2003), Geographic Information Systems
(GIS) can be used to predict soil properties on the basis
of such environmental variables, which are much easier to
measure than the actual soil distribution. This idea is based
on the paradigm of Jenny’s soil-forming factors according
to which the soil (type) at a specific location is the result of
the soil forming factors climate, organisms, relief, parent
material and time. Advances in mathematical theories and
statistical methods (through enhanced calculating capacity)
have stimulated research activities in the field of predictive
soil mapping and the solution of Jenny’s equation (Scull et
al. 2003).
The review papers of Scull et al. (2003) and McBratney
et al. (2003) give an overview on predictive soil-modelling
techniques and their utilisation. Inductive models are used
to derive and quantify the relationships between soil types
and environmental variables (e.g. Lagacherie & Holmes
1997; Behrens et al. 2005; Carré et al. 2007). Other models are based more on expert knowledge, where existing
knowledge is encoded in clear decision rules to spatially
deduce the distribution of different soil types and characteristics (e.g. Zhu et al. 2001; Wilemaker et al. 2001; Egli
et al. 2005, 2006b).
Soil, however, can only be measured at a finite number
of sites and times with small supports, and any statement
concerning the soil at other sites or times involves prediction. Spatial variation in soil characteristics is so complex
that no description of it can be complete, and so prediction
is inevitably uncertain.
The main aim of this work is to model the distribution
of soils and their properties in a rugged, Alpine topography
and to test the suitability of a GIS-based inductive model
that can be combined with expert knowledge.
2.
STUDY AREA
The study area is located in the north-western part of
the Trentino Province (Fig. 1) and comprises Val di Sole
and the two adjacent lateral valleys, namely Val di Rabbi
and Val di Peio. The region is characterised by a large altitudinal gradient ranging form 700 m a.s.l. at Malè to glaciated peaks at 3769 m a.s.l. (Cima Cevedale). The climate
is humid and temperatures are moderate: at Peio (1580 m
Fig. 1 - Study area (Val di Sole, Val di Rabbi and Val di Peio) and
distribution of soil profiles.
Fig. 1 - Area di studio (Val di Sole, Val di Rabbi e Val di Peio), e
localizzazione dei profili di suolo.
a.s.l.) the mean annual air temperature is around 6.8 °C
and precipitation around 855 mm yr-1 (Uffico Previsioni
e Organizzazione, Provincia Autonoma di Trento). With
higher altitudes temperature decreases and precipitation increases (to about 0 °C and 1300 mm yr-1 at 2400 m a.s.l.).
The geology of the study area is dominated by siliceous metamorphic rocks belonging to the Austroalpine
lithostratigraphic units (Seidlein 2000, see Fig. 2). Only a
very small part of the study area can be attributed to the
calcareous Dinaric Alps and the Adamello granite intrusion
(southern Alps). The Austroalpine region and the southern
Alps are separated by the Insubric line.
The Austroalpine lithostratigraphic units between
the Insubric and Peio (a minor geological fault) lines
consist mainly of paragneiss and to a lesser extent of
orthogneiss, whereas north of the Peio line the dominant
materials for soil development are schists and phyllites.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50
41
Fig. 2 - Geological situation in the study area.
Fig. 2 - Geolitologia dell’area di studio.
Besides gneiss, schists and phyllites, other geological materials like amphibolite, chlorite schists or marble occur
in some very small areas. The whole area was affected by
glaciation and large parts of the soils have developed on
morainic materials.
In the humid moderate climate of the region the main
soil processes on siliceous material are podsolisation and
at lower altitudes brunification. The vegetation in Val di
Sole is typical for the Central Alps. The subalpine belt with
spruce fir starts at a lower limit compared to the average
in the Alps. In addition, beech is completely missing in
the lower colline and montane belt (Tab. 1, Landolt 1992).
Depending on solar radiation, the suprasubalpine belt forms
the timberline at an altitude of 1900 to 2100 m a.s.l. Larch
and the Swiss stone pine are the dominant species of the
central Alpine vegetation. At higher altitudes, dwarf-shrubs
and alpine meadows follow. The zonation of the vegetation
is also shown in figure 3.
In some very small areas of the southern boundary of
the study area, broad-leaved species dominate on calcareous areas at lower altitudes. These areas were excluded
from the investigation.
3.
MATERIAL AND METHODS
3.1.
Soil classification system
The various soil types are differentiated according to
the traditional French nomenclature (Duchaufour 2006) and
the WRB (FAO 1998). In the investigation area, a total of 115
soil profiles were examined during 2003-2007. Chemical
and physical analyses are available for 24 profiles and physical analyses only for 8 profiles. For the remaining 83 sites,
field observations and measurements were taken. The field
measurements included the determination of the soil type,
humus form, soil depth, soil thickness, Munsell-Color, pH,
volumetric content of soil skeleton and the estimation of the
texture. The sites are shown in figure 1. The classification of
the humus forms is according to BGS & FAL (2002). The
differentiation of humus forms is based on the sequence
of horizons and their development. Three main types were
distinguished for modelling: mull, moder and nor. Briefly,
mull has an Ol and A horizon (Of is only weakly developed),
whereas a moder has in general the sequence Ol-Of-(Oh)-A.
Mor has the horizons Ol-Of-Oh and no humic A-horizon.
42
Aberegg et al.
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley
Tab. 1 - Altitudinal zonation of the vegetation. The belts in Val di Sole correspond mainly to the general distribution of the central Alps.
Tab. 1 - Zonazione altitudinale della vegetazione. Le fasce vegetazionali in Val di Sole corrispondono in linea di massima con quelle
generali delle Alpi centrali.
Altitudinal zonation
(Landolt 1992)
Altitude
(m a.s.l.)
Colline belt
(oak-beech-belt)
Montane belt
(european silver fire-beech-belt)
Subalpine belt
(spruce fir-belt)
600-1000
Downy oak (Quercus purbescens); only in the most southern part
(depending on aspect and radiation) of the study area
1000-1600
European silver fir (Abies alba); only in the most southern part of
the study area, mostly together with spruce fir (Picea excelsa)
1600-1900
Spruce fir (Picea excelsa) with scots pine (Pinus sylvestris), at
higher altitudes with larch (Larix decidua) and swiss stone pine
(Pinus cembra)
Suprasubalpine belt
(swiss stone pine-belt)
1900-2200
(timberline)
Swiss stone pine (Pinus cembra) and larch (Larix decidua)
on shallow mountain soils; with Alpine rose (Rhododendron
ferrugineum) and juniper (Juniperus communis) as shrub
Alpine belt
(alpine meadow-belt)
2200-2700
Upper limit defined by coherent meadow; low grass with sedge
(Carex sempervirens and carex curvula); taller habits with dwarfshrub (Rhododendron fer.)
Subnival belt
(cushion plant-belt)
2700-3000
Individually growing herbaceous plants or low cushion-like
habitats
3.2.
Soil mapping
A conventional soil map with a scale of 1:10,000 was
produced for 3 test areas to obtain more information about the
Fig. 3 - Vegetation types in the study area.
Fig. 3 - Tipi vegetazionali nell’area di studio.
Description
soils in the region and to increase the existing soil database.
The 3 test areas are located at different expositions
and in varying altitudinal zones. They served, furthermore,
as a validation of the model’s output.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50
3.3.
43
Modelling approach
The available digital datasets related to environmental factors are listed in table 2. Apart from the CORINE
Land Cover Data (Nuñes de Lima 2005), the Provincia
autonoma di Trento provided all datasets. The digital
elevation model (DEM) with a resolution of 10 m and
the thematic vector data (vegetation and geology) were
converted to raster datasets of the same resolution and
projection.
These raster datasets, together with the soil profiles,
were the basis for the statistical analyses to build the predictive soil map model.
The DEM provides climatic and topographic information. Altitude and exposure are directly linked to factor climate. Exposure (north and south exposition) and
the slope angle were directly derived from the DEM. The
profile curvature of the DEM enabled the identification of
several landforms. The following landform elements were
defined: accumulation areas, erosion areas and regions in
equilibrium. Accumulative landforms were characterised
by concave, equilibrium landforms by flat and the erosive
landforms by convex curvatures.
The geological map provided 36 different categories.
These categories had to be reclassified into 5 main pedologically relevant parent materials: 1) granite and gneiss, 2)
schists and phyllites, 3) siliceous deposits, 4) amphibolites
(1)
and chlorite schists and 5) limestones.
The vegetation map had three key vegetation types:
1) unproductive areas in the Alpine belt and summit areas,
2) Alpine meadows and 3) forests. Forests were, further(1)
more, subdivided into deciduous and coniferous forests.
As the available vegetation map does not have the class
“Alpine shrubs” and the designation of some forest types
was imprecise, CORINE Land Cover data was integrated to
overcome this restriction. Figure 3 displays this combined
vegetation map.
Soil modelling was performed using a non-parametric classification and decision tree analysis (CART:
(2)
Classification and Regression Tree Analysis; see Mertens
et al. 2002). According to Breiman et al. (1984), CART is
a hierarchical classification which aims to group elements
of a sample in relation to a dependent variable (target variable). Regarding this target variable, the generated groups
should be as homogenous as possible – optimally all group
members have the same value for the target variable. The
grouping or classification (if the target is continuous, then
a regression is used) is done by using the independent
variables (environmental variables), which can be continuous or discrete. This leads to a binary decision tree
with branches, splitting nodes and final leaves (terminal
nodes). As CART is an automated statistical method, not
all used environmental variables will appear in the dendrogram. They are not used in the resulting dendrogram if
they are of no significance. The CART algorithm chooses
automatically the values of input-variables which produce
a subset of the highest-possible uniformity of a target
variable. The so-called split based on the specificity of
the input variable with which separation into branches
occurred. With this procedure, a decision tree will be
formed which corresponds to a classification rule. Every
end-node receives a specific class j of the target variable.
It may happen that the end node has not only one but several classes. In such a case the dominant class (or value) is
chosen. The optimally pruned subtrees have to be chosen
in that way that r(t)
the =misclassification
min ∑ C (i / j )p( j rate
/ t ) r(t) is minimised
i The
j
for the splitting rule j(t).
misclassification rate r(t) is
given by
r(t) = min ∑ C (i / j )p( j / t )
(1)
i
j
where C(i/j) corresponds to the misclassification of an
object with the class value j as i. The probability that an
object falls into an end-note t and class j is given by p(j/t).
The allocated class has to be chosen in the way that the
expression
C (i / j ) p( j / t )
(2)
C (the
i / jregion.
)p( j / tProjected
)
(2)
Tab. 2 - Available digital information about environmental variables
used to model soil properties of
coordinate system:
UTM (Monte Mario, Rome – Italy). *European Commission, Joint Research Centre, Institute for Environment and Sustainability
Tab. 2 - Informazioni digitali riguardanti le variabili ambientali disponibili per la modellizzazione dei caratteri dei suoli della zona di
studio. Sistema di coordinate geografiche: UTM (Monte Mario, Roma). *Commissione Europea, Joint Research Centre, Institute for
Environment and Sustainability
Data type
Soil forming factors
Digital elevation model (DEM)
Vegetation
CORINE Land Cover*
Geology
Catchment area
Hydrological watersheds
Soil mapping and orientation
Hydrology (lakes, rivers)
Glacier
Settlement area
Topographic maps
Orthofotos
i(t) = ∑ C (i / j ) p(i / t ) p( j / t )
Details
j,i
(3)
Resolution/Scale
10x10 m
1:10,000
(3)
1:100,000
1:100,000
1:10,000
1:10,000
1:10,000
1:10,000
1:10,000
1x1 m
Forest
areas
i(t) = ∑types,
C (i / pasture,
j ) p(i / t )unproductive
p( j / t )
j,i
15 categories
36 categories
C (i / j ) p( j / t )
(2)
44
Aberegg et al.
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley
is minimised. The homogeneity of the node is described by
the extended gini-index of diversity with
(3)
i(t) = ∑ C (i / j ) p(i / t ) p( j / t )
(3)
j,i
CART Pro 6.0 calculates form a sequence of subtrees with
varying end-node numbers the optimally pruned subtree.
The decision tree structure can, furthermore, manually be
influenced by introducing forced splitting rules. Thereby,
export knowledge can be included into the elaboration of
the decision and regression tree.
Previous studies (Egli et al. 2006) showed that the
north slopes exhibited higher leaching of elements and consequently a higher weathering intensity. On south-facing
sites, intense podzolisation processes were measurable only
above 2000 m a.s.l. Furthermore, accumulation of organic
substances is greatest close to the timberline (1900-2100 m
a.s.l.) regardless of exposition. These measurements agree
with the observation of our soil profiles.
The typical range of the most important properties
for each soil type and the relative distribution of the values
are given in tables 3 and 4. These attributes clearly reflect
the stage of soil development. In table 5 the most frequent
value range of individual soil properties is assigned to the
soil types.
4.
RESULTS
4.2.
4.1.
Main soil types and processes
Independent variables were used to define the splitcriteria of the data into the left and right branches at the
nodes. The dendrogram divides the data in groups which
are as homogenous as possible regarding the variable “soil
type” (Fig. 5). The altitude acts as a splitting criteria at the
root node. A part of the sample branches to the right and the
other to the left. Subsequent splits occur by other variables
such as vegetation, aspect and again altitude. This splitting
procedure results in a tree with 15 terminal nodes. Because
the geology is quite similar in the whole region, only five
of the six variables are used in the dendrogram: altitude,
aspect, slope, landform and vegetation.
The constructed algorithm with the detailed split-criteria is then implemented in GIS and results in the predictive distribution of the soil types in the region. Additionally,
the modelling of the spatial distribution of the humus form
is done in a similar way. The resulting dendrogram for the
modelling of humus forms has nine terminal nodes. The
humus forms are determined using the variables vegetation, aspect, altitude and soil types. Because the soil type is
considered as an important variable for humus modelling,
the implementation of the algorithm in the GIS requires the
previous modelling of the soil types in the study area.
As modelling of soil types and corresponding characteristics is bound to a likelihood and therefore to errors
(see below), the modelled soil map is called the “hypothesis
map”. The hypothesis map for soil types is given in figure
6. This map shows that the class Umbric Leptosols (ranker
according to Duchaufour (2006)) is found in about 29% of
the whole area (Tab. 6). The Enti-Umbric Podzols (humic
ochric brown soils) comprise about 19% of the whole area,
whereas the other soil groups (except the class “no soil”)
have a more or less similar distribution with 11-15% of the
whole area.
Using the 3 mapped test areas, the accuracy of the
model approach for soil types could be measured. The
three test sites included 2 subalpine sites (Val di Peio, Val
di Rabbi) below the timberline and one close and above
the timberline. One of the two subalpine sites (Val di Peio)
was subjected to anthropogenic impact (grazing, erosion),
while the other (Val di Rabbi) was an almost natural site. By
comparing the modelled area of soil types with the mapped
ones in the test areas, the accuracy of the model could be
calculated. This accuracy was calculated on the base of a
modelled value which matches to 100% with a measured
one. Minor deviations are for this purpose not taken into
The soils ranged from shallow Umbric Leptosols
(Duchaufour 2006: rankers) at high altitudes to welldeveloped Skeletic Podzols (Duchaufour 2006: iron-humic
podzols) and Dystri-Chromic Cambisols (Duchaufour
2006: brown podzolic soils with a clear E horizon, ochric
brown soils with an E horizon). Rankers are weakly developed soils with an A-C profile which developed under
grass vegetation, initial brunification or podzolisation and
a humic A horizon. Enhanced soil development showed the
iron-humic podzols and the brown podzolic soils, typically
found under forest (coniferous) vegetation. The former have
a horizons sequence of E-Bhs-Bs-C and the brown podzolic
soil a sequence of AE-E-Bs-C, without any visible illuviation of organic substance into the subsoil. The cryptopodzolic soils, with an OE-Bhs(-Bs)-C horizons sequence, can
be considered as a transitional development step between
a ranker and a podzol (for a detailed description see also
Sartori et al. 1997, 2005). Dystric Cambisols (acid brown
soils) do not show any signs of illuviation.
The analysis of the soil type distribution showed
that Episkeletic Podzols (iron-humic podzols; Duchaufour
2006) and Dystri-Chromic Cambisols (brown podzolic
soils with an E horizon) predominantly appear on north
facing slopes between 1400 to 1600 m a.s.l. Enti-Umbric
Podzols (humic ochric brown soils, with a typical ABhorizon) are characteristic for southern exposures at
altitudes higher than 1800 m a.s.l. Enti-Umbric Podzols,
Skeleti-Entic Podzols cryptopodzolic soils and brown
podzolic soils) were predominantly found in the Alpine
dwarf-shrub zone (such as Alpine rose and juniper), just
above the timberline.
Rankers dominate in the high-alpine belt. At lower altitudes, they only occur at geomorphically very active sites
(e.g. erosion). Dystric Cambisols (acid brown soils) are
typical for forest-free areas of the montane and subalpine
belts. The Dystri-Chromic Cambisol (ochric brown soils) is
the most widespread soil type in the region. It can predominantly be found in the subalpine and Alpine belts.
Below the limit of 1600 m a.s.l. Dystri-Chromic
Cambisols (ochric brown soils: AE(A)-Bs-C) and Dystric
Cambisols (acid brown soils: A-Bw-C) coexist. The ochric
brown soils are the most frequent soil type of this zone (39%
of the sampled sites). In these soils, podzolisation is weak
or completely missing (Sartori et al. 1997, see Fig. 4).
Soil modelling
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50
45
Tab. 3 - Characteristics of the different soil types. The number of observations and the corresponding relative distribution for the
characteristics soil depth, skeleton content in the topsoil and the subsoil are shown. *Soil depth relevant for plant growth: soil depth minus
skeleton content **BA= acid brown soils; BO= ochric brown soils; BOe= ochric brown soils with an E horizon; BOu= humic ochric brown
soils; PU= iron-humic podzols; OP= brown podzolic soils; RA= ranker.
Tab. 3 - Caratteri dei differenti tipi di suolo. Sono indicati il numero totale di osservazioni e la distribuzione relativa alle varie classi,
per profondità del suolo, contenuto di scheletro nel topsoil e nel subsoil. *Profondità del suolo rilevante per la crescita della pianta:
profondità del suolo meno contenuto di scheletro **BA= suoli bruni acidi; BO= suoli bruni ocrici; BOe= suoli bruni ocrici con orizzonte
E; BOu= suoli bruni ocrici umiferi; PU= podzol umoferrici; OP= suoli ocra podzolici, RA= ranker.
Soil types
Observations
Soil depth (cm)*
Skeleton content topsoil
Skeleton content subsoil
(weight %)
(weight %)
number (n) < 10 10-30 30-50 50-70 n/% < 1 1-5 5-15 15-35 35-70 n/% 1-5 5-15 15-35 35-70 > 70 n/%
distribution
(%)
WRB
(FAO 1998)
Duchaufour
2006
(Sartori et al.
2005)**
Dystric
Cambisols
DystriChromic
Cambisols
DystriChromic
Cambisols,
Episkeletic
Podzols
Acid brown soils
(BA)
Ochric brown
soils (BO)
n
%
n
%
0
0
0
0
4
27
9
31
10
67
14
48
1
7
6
21
15 4
100 31
29 7
100 25
5
38
8
29
2
15
7
25
2
15
5
18
0
0
1
4
13 2
100 14
28 2
100 7
2
14
2
7
7
50
6
21
2
14
18
62
1
7
1
3
14
100
29
100
Ochric brown
soils with E
horizon (BOe),
Iron-humic
podzols (PU)
n
%
0
0
1
9
9
82
1
9
11 3
100 27
2
18
3
27
2
18
1
9
11
100
0
0
1
9
1
9
8
73
1
9
11
100
Enti-Umbric Humic ochric
brown soils
Podzols
(BOu)
Enti-Umbric Cryptopodzolic
soils (RPu)
Podzols,
Skeleti-Entic Brown
podzolic
Podzols
soils (OP)
n
%
0
0
0
0
1
25
3
75
4
1
100 25
0
0
3
75
0
0
0
0
4
100
0
0
0
0
1
25
1
25
2
4
50 100
n
%
0
0
7
70
2
20
1
10
10 1
100 10
4
40
4
40
0
0
1
10
10 1
100 10
1
10
1
10
6
60
1 10
10 100
n
%
3
23
9
69
1
8
0
0
13
100
1
8
1
8
7
54
3
23
1
8
13
100
1
8
1
8
1
8
10
77
0
0
13
100
Total
%
3
4
30
37
37
45
12
15
82 17
100 22
20
25
26
33
12
15
4
5
79
100
6
7
7
9
17
21
45
56
6
7
81
100
Umbric
Leptosols
Rankers (RA)
Umbric Leptosol
(ranker)
Fig. 4 - Photographs of some
selected soil profiles in the
investigation
area:
Umbric
Leptosol (Lavina Rossa, 2380 m
a.s.l.), Distri-Chromic Cambisol
(Favari, Val di Rabbi, 1180
m a.s.l.), Chromi-Episkeletic
Cambisol (Fonti di Rabbi,
Val di Rabbi, 1620 m a.s.l.),
Episkeletic Podzol (below Malga
Tremenesca, Val di Rabbi, 1910
m a.s.l.).
Fig. 4 - Fotografie di alcuni profili
tipici dell’area di studio: Umbric
Leptosol (Lavina Rossa, 2380 m
s.l.m.), Distri-Chromic Cambisol
(Favari, Val di Rabbi, 1180
m s.l.m.), Chromi-Episkeletic
Cambisol (Fonti di Rabbi, Val di
Rabbi, 1620 m s.l.m.), Episkeletic
Podzol (sotto Malga Tremenesca,
Val di Rabbi, 1910 m s.l.m.).
Distri-Chromic
Chromi-Episkeltic
Episkeletic Podzol
Cambisol
Cambisol
(iron humic podzol)
(ochric brown soils) (ochric brown soil with E)
46
Aberegg et al.
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley
Tab. 4 - Acidity classes (number of observations and relative proportion) of the topsoil and the subsoil as a function of the different soil
types. *BA= acid brown soils; BO= ochric brown soils; BOe= ochric brown soils with an E horizon; BOu= humic ochric brown soils; PU=
iron-humic podzols; OP= brown podzolic soils; RA= ranker.
Tab. 4 - Classi di acidità (numero totale di osservazioni e proporzione relativa di ogni classe) del topsoil e del subsoil nei differenti tipi di
suolo. *BA= suoli bruni acidi; BO= suoli bruni ocrici; BOe= suoli bruni ocrici con orizzonte E; BOu= suoli bruni ocrici umiferi; PU=
podzol umoferrici; OP= suoli ocra podzolici, RA= ranker.
Soil types
Duchaufour 2006
WRB (FAO 1998)
(Sartori et al. 2005)*
Dystric Cambisols
Acid brown soils (BA)
Dystri-Chromic
Cambisols
Dystri-Chromic
Cambisols, Episkeletic
Podzols
Ochric brown soils (BO)
Enti-Umbric Podzols
Enti-Umbric Podzols,
Skeleti-Entic Podzols
Umbric Leptosols
Observations
pH (CaCl2) topsoil
pH (CaCl2) subsoil
number (n)
distribution
(%)
< 3.3
3.3-4.2
ntot / %
< 4.3
4.3-5.0
ntot / %
n
%
n
%
n
%
1
50
4
67
5
56
1
50
2
33
4
44
2
100
6
100
9
100
2
100
5
83
5
56
0
0
1
17
4
44
2
100
6
100
9
100
n
%
n
%
0
0
1
20
4
100
4
80
4
100
5
100
0
0
3
60
4
100
2
40
4
100
5
100
n
%
Total n
2
33
13
4
67
19
6
100
32
6
100
21
0
0
11
6
100
32
%
41
59
100
66
34
100
Ochric brown soils with
E horizon (BOe), Ironhumic podzols (PU)
Humic ochric brown soils
(BOu)
Cryptopodzolic soils
(RPu), Brown podzolic
soils (OP)
Rankers (RA)
consideration and do not contribute to the accuracy. The accuracy for the modelled soil types varied considerably: an
overall accuracy of 93.1% was obtained for the subalpine
and quasi-natural area, 57.1% for the anthropogenically
influenced, subalpine area and only 43.2% for the high-
alpine area. Around 65% of the whole are have been, thus,
modelled correctly.
The soil classes BO (Dystri-Chromic Cambisols /
ochric brown soils) and BOe/PU (Dystri-Chromic Cambisols,
Episkeletic Podzols / ochric brown soils with E horizon, iron-
Tab. 5 - Soil characteristics from sample data (Tabs 3-4) related to the soil types. The modal values (most frequent) were assigned to the
specific soil types. 1Soil depth relevant for plant growth= profile depth minus skeleton content; 2weight - %; TS= Topsoil (all horizons with
characteristics of an A or E); SS= Subsoil (all horizons with characteristics of a B).
Tab. 5 - Caratteri dei suoli in relazione al tipo di suolo. A ciascun tipo di suolo sono attribuiti i valori modali. 1Profondità del suolo
rilevante per la crescita della pianta: profondità del suolo meno contenuto di scheletro; 2peso - %; TS= Topsoil (orizzonti A o E); SS=
Subsoil (orizzonti B).
Soil types
WRB (FAO 1998)
Duchaufour 2006
Soil depth1
(cm)
(Sartori et al. 2005)*
Dystric Cambisols
Acid brown soils
(BA)
Ochric brown soils
(BO)
Dystri-Chromic Cambisols, Ochric brown soils
with E horizon
Episkeletic Podzols
(BOe), iron-humic
podzols (PU)
Dystri-Chromic Cambisols
Thickness TS
(cm)
Skeleton TS2 Skeleton SS2
(%)
(%)
pH TS
(CaCl2)
pH SS
(CaCl2)
30-50
3-6
0-5
15-35
< 3.3-4.2
< 4.3
30-50
4.5-10
0-15
35-70
< 3.3
< 4.3
30-50
8-12
0-15
35-70
< 3.3-4.2
< 4.3-5.0
Enti-Umbric Podzols
Humic ochric brown
soils (BOu)
50-70
7-20
5-15
> 70
3.3-4.2
4.3-5.0
Enti-Umbric Podzols,
Skeleti-Entic Podzols
Cryptopodzolic
soils (RPu), brown
podzolic soils (OP)
10-30
9.5-19
1-15
35-70
3.3-4.2
< 4.3
Umbric Leptosols
Rankers (RA)
0-30
4-9
5-15
35-75
3.3-4.2
< 4.3
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50
47
Fig. 5 - Decision tree for modelling the spatial distribution of the soil types.
Fig. 5 - Albero decisionale per la modellizzazione della distribuzione spaziale dei tipi di suolo.
Fig. 6 - Modelled distribution of soil types (hypothesis map) for Val di Sole, Val di Rabbi and Val di Peio using a classification tree having
15 terminal nodes.
Fig. 6 - Distribuzione spaziale dei tipi di suolo in Val di Sole, Val di Rabbi e Val di Peio, ottenuta un albero decisionale con 15 nodi
terminali.
48
Aberegg et al.
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley
Tab. 6 - Area statistics of the modelled soil types (see Fig. 6). *BA= acid brown soils; BO= ochric brown soils; BOe= ochric brown soils
with an E horizon; BOu= humic ochric brown soils; PU= iron-humic podzols; OP= brown podzolic soils; RA= ranker.
Tab. 6 - Statistiche areali della distribuzione spaziale dei differenti tipi di suolo ottenuta dal relativo modello (si veda Fig. 6). *BA = suoli
bruni acidi; BO= suoli bruni ocrici; BOe= suoli bruni ocrici con orizzonte E; BOu= suoli bruni ocrici umiferi; PU= podzol umoferrici;
OP= suoli ocra podzolici, RA= ranker.
Modelled soil type/ soil class
Area in km2
WRB 1998
Area in %
Dystric Cambisols
Duchaufour 2006
(Sartori et al. 2005)*
Acid brown soils (BA)
44
11.8
Dystri-Chromic Cambisols
Ochric brown soils (BO)
49.5
13.2
Dystri-Chromic Cambisols, Episkeletic Podzols
40.3
10.8
Enti-Umbric Podzols
Ochric brown soils with E horizon (BOe), Iron-humic
podzols (PU)
Humic ochric brown soils (BOu)
70.8
18.9
Enti-Umbric Podzols, Skeleti-Entic Podzols
Cryptopodzolic soils (RPu) Brown podzolic soils (OP)
55.4
14.8
Umbric Leptosols
Rankers (RA)
107.5
28.8
No soil
6.3
1.7
Total
373.8
100
Tab. 7 - Area statistics of the modelled humus types (see also Fig. 7).
Tab. 7 - Statistiche areali della distribuzione spaziale delle differenti
forme di humus ottenuta dal relativo modello (si veda Fig. 7).
Modelled humus form
Area in km2
Area in %
Mull
86.6
23.2
Moder
246.2
65.8
Mor
34.9
9.3
No soil
6.3
1.7
373.8
100.0
Total
humic podzols) were modelled with an accuracy of more
than 70% in the high-alpine zone. The matches for the soil
class BA (Dystric Cambisols) were in the high-alpine zone,
however, extremely low. The model, therefore, does not reflect this soil class accurately in high-alpine zones. The high
variability of landforms and the patch-wise development of
soils in the high-alpine area may be causes for the less accurate modelling in this zone.
The distribution of the modelled humus types show a
clear dominance of the moder (Fig. 7, Tab. 7). The moder
humus type is found in about two third of the investigation
area. The variability of the accuracy of the modelled humus
types varies between 35 and 100%. As an average, 78.5%
of the soil profiles was correctly modelled. In contrast to
the modelled soil types, the lowest accuracy was measured
in the anthropogenically influenced area in Val di Peio. The
accuracy of the humus model for high-alpine sites is better
than for the soil types. Erosion processes in the Val di Peio
test area obviously had a major impact on the humus form
and consequently on the accuracy of the model.
5.
DISCUSSION
Inductive models can have different statistical methods as a basis, depending on the type of the contributing
variables (nominal, ordinal, interval or ratio scale) and the
sample size. Most of the methods such as linear regression, linear discriminant analysis and logistic discriminant
analysis demands linearity of the relationship between soil
and environmental variables and normal distribution of the
data, and therefore requires transformation of variables
(McBratney et al. 2003; Scull et al. 2003). Generalised
linear models (GLMs), however, do not need such a transformation as they rather intend to transform the model and
not the data (McBratney et al. 2003). All these methods and
models have in common that already existing expert knowledge cannot be integrated (Scull et al. 2003) and sample size
(number of profile sites) has to be large. Another statistically
based method is the non-parametric decision tree analysis
(DTA), although called classification and regression tress
(CART). Unlike the GLMs and the logistic regression, the
results of this approach can be more easily interpreted, a
smaller data base is necessary and expert knowledge can be
implemented (McBratney et al. 2003).
Modelling of soil distribution is a challenging task,
especially in mountain areas where rugged topography
leads to soil changes within very short distances. Similar
attempts include work by Kägi (2006) in the Swiss National
Park where soil distribution was modelled using a fuzzylogic approach. About 60% of the profile sites (regarding
soil type, pH etc) were accurately modelled. An accuracy
of approximately 70% was obtained using a more heuristic-statistical method as a basis for a decision tree for soil
modelling in the Upper Engadine (Egli et al. 2005). The
model applied in Egli et al. (2005) had the disadvantage of
not being automated. Methodologically comparable studies
include those from Behrens et al. (2005) and Lagacherie
& Holmes (1997). These studies, however, were not done
in an Alpine environment. Within a test area in RheinlandPalatinate (Germany), covering an area of about 600 km2,
a digital soil map was predicted (Behrens et al. 2005). The
overall precision in the training area was 70%. In Languedoc
(southern France), Lagacherie & Holmes (1997) also used
the CART method for soil modelling. With eight end nodes,
they were able to achieve an accuracy of 74%.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 39-50
49
Fig. 7 - Modelled distribution of humus forms in Val di Sole, Val di Rabbi and Val Peio.
Fig. 7 - Distribuzione spaziale delle forme di humus in Val di Sole, Val di Rabbi e Val Peio, ottenuta dal modello (albero decisionale) messo
a punto.
The obtained results for the rugged Alpine area in
Val di Sole, Val di Rabbi and Val di Peio are therefore
comparable with accuracies obtained in other Alpine and
non-Alpine areas. Not only soil types, but also other soil
properties such as the humus forms can be modelled rather
easily. The obtained hypothesis map is appropriate enough
to be used also for more general, practical purposes and
also for a detailed, local field-based soil mapping.
One general constraint is the underestimation of minor soil types when survey lines are sparse. This constraint
influences the direct use of stimulated results when survey
data are too sparse and when the minor soil types are of
serious importance (see also Li et al. 2004).
The soils of the investigated area have developed
mostly on acid siliceous materials. The linkages between
Alpine soil types developed on these materials and environmental parameters (i.e., altitude, aspect, vegetation) are
generally strong (Egli et al. 2005; Sartori et al. 2005). This
could explain the relatively high overall accuracy in our
study.
of expert knowledge. Using this approach, we obtained the
following main findings:
-
depending on the feature to be modelled, a mean accuracy of 65% (spatial distribution of soil types) or
higher (humus forms) was achieved, which is in a
similar range to studies in a less rugged topography;
-
the used approach is in large parts automated, can be
applied over large area and also allows the application
of forced splitting rules (according to expert knowledge);
-
the main soil type in the investigation area is ranker
(Umbric Leptosol), which covers about 28% of the
whole area;
-
the other classes (Umbric Podzols, Cambisols) cover
each about 11-15% of the area;
-
the most frequent humus type is moder, which can be
found in about 65% of the area;
-
soil modelling does not replace soil mapping in the
field. The obtained map is a hypothesis map and
serves as a basis for further, local investigations.
6.
ACKNOWLEDGEMENTS
CONCLUSIONS
We used the statistically based, non-parametric decision tree analysis. This procedure enabled also the inclusion
We would like to express our appreciation to the Museo
Tridentino di Scienze Naturali and the Dipartimento di
50
Aberegg et al.
Modelling spatial distribution of soil types and characteristics in a high Alpine valley
Protezione Civile e Tutela del Territorio (Ufficio Previsioni
e Organizzazione, Provincia Autonoma di Trento) for providing basic GIS datasets and B. Kägi for his assistance in
the laboratory.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Depositi loessici in Trentino: caratteristiche morfologiche, tessiturali, mineralogiche
e pedologiche§
Andrea Borsato
Sezione di Geologia, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italia
E-mail: [email protected]
RIASSUNTO - Depositi loessici in Trentino: caratteristiche morfologiche, tessiturali, mineralogiche e pedologiche - A tutt’oggi sono
conosciuti in Trentino limitati affioramenti di loess, tutti di età tardoglaciale e spesso associati a insediamenti del Paleolitico superiore
finale, nelle località di Terlago, Andalo, Fai della Paganella, Monte Bondone, Monte Baldo. Nel presente lavoro si descrivono due nuovi
affioramenti sul versante SW della Vigolana (Trento) e sul Monte Spinale (Gruppo di Brenta), dei quali vengono analizzate le condizioni di
affioramento, le caratteristiche tessiturali, la composizione in minerali pesanti e l’evoluzione pedologica. In entrambe le situazioni si sono
rilevate coltri discontinue di loess con spessori da 40 a 80 cm, che ricoprono depositi glaciali di fondo (Vigolana) o il substrato calcareo
carsificato (Spinale), spesso in corrispondenza di depressioni carsiche che ne hanno permesso la conservazione. I sedimenti sono evoluti
in suoli bruni lisciviati (WRB: Cutanic Luvisols) con successione di orizzonti Ap-AE-Bt-2BC (Vigolana) e A-AE-2Bt1-2Bt-3R (Spinale).
Il contenuto in CaCO3 è nullo nei loess, mentre arriva fino al 10% nell’orizzonte BC. Le curve granulometriche del profilo della Vigolana,
con tipica forma sigmoidale dei loess ricadenti nel campo dei loess non alterati, e lo scarso scheletro rappresentato da piccoli clasti
esotici alterati permettono di affermare che i loess in Vigolana si sono deposti al di sopra di un till di fondo pre-LGM, probabilmente in
corrispondenza dell’Ultimo Massimo Glaciale. Le curve granulometriche dello Spinale evidenziano la presenza di due coltri sedimentarie
sovrapposte: una più superficiale che ricade nel campo dei loess alterati e una seconda a diretto contatto con il substrato calcareo, con
composizione molto più fine, interpretabile come “terra fusca” formatasi per apporto eolico, ma soprattutto legata a concentrazione e
colluviazione del residuo insolubile proveniente dalla dissoluzione del substrato calcareo marnoso.
SUMMARY - Loess deposits in Trentino: morphological, textural and pedological characteristics - Up to present-day only scattered
outcrops of loess are known in Trentino (Northern Italy). They are all of Lateglacial age, and were described in the Upper Late Palaeolithic
(Final Italic Epigravettian) settlements of Terlago, Andalo, Fai della Paganella, Monte Bondone and Monte Baldo. In the present paper we
described the textural characteristics, heavy mineral composition and the pedological evolution of two new loess outcrops on the SW slope
of Vigolana (Trento) and on Monte Spinale (Brenta Dolomites). In the Vigolana area were mapped discontinuous loess patches 0.4 to 0.8
m thick which cover ablation tills, whereas on Monte Spinale loess patches were found overlain the bare bedrock into karstic depressions.
The parent material evolved in brown luvisols (WRB: Cutanic Luvisols) with horizons Ap-AE-Bt-2BC (Vigolana) and A-AE-2Bt1-2Bt3R (Spinale). The CaCO3 content is null in the loess, while can be up to 10% in the BC horizons. The particle-size curves of the Vigolana
profile show the typical sigmoid shapes of the unweathered loess that, along with the scarce skeleton represented by small exotic weathered
clasts, allows to infer that the loess have been deposited above a pre-Last Glacial Maximum (LGM) till, possibly in correspondence of the
LGM. The particle-size curves of the Spinale profile reveal the presence of two sedimentary covers: the upper one falls into the weathered
loess field, the lower one – which lies directly upon the limestone bedrock and has a much finer composition – can be interpreted as
“terra fusca” formed by aeolic contriburtion but, above all, by the concentration of the insoluble residue from the dissolution of the marly
limestone bedrock.
Parole chiave: Loess, suoli bruni lisciviati, luvisuoli, minerali pesanti, Tardoglaciale
Key words: Loess, brown lessived soils, luvisols, heavy minerals, Lateglacial
1.
Introduzione
I sedimenti eolici nell’area trentina si conoscono
soprattutto in seguito alle campagne di scavo archeologiche promosse dal Museo Tridentino di Scienze Naturali
(1977-1985) grazie alle quali si è potuto constatare come
gli insediamenti del Paleolitico superiore finale (Final Italic
Epigravettian) della Val d’Adige siano sempre associati
a coltri loessiche tardoglaciali (Cremaschi & Lanzinger
1987). Queste sono conosciute nelle località di Andalo e Fai
Ricerca svolta presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Milano durante il Dottorato di Ricerca in
Scienze della Terra (XVII Ciclo).
§
52
Borsato
Depositi loessici in Trentino
La composizione mineralogica rispecchia quella
delle rocce metamorfiche e cristalline dei vicini massicci
dell’Adamello a ovest e del Cevedale a nord (Dal Piaz et
al. 2007), nonché dei depositi glaciali presenti nell’area.
La percentuale della frazione sabbiosa fine (250-63 µm) è
risultata dell’1%.
Fig. 1 - Carta geologica schematica del Trentino-Alto Adige. 1.
plutone dell’Adamello (prevalenti tonaliti a biotite e orneblenda
verde); 2. Pennidico (prevalenti calcescisti e micascisti a granato);
3. carbonati triassici dell’Austroalpino; 4. successione carbonatica
del Sudalpino dal Trias medio al Terziario. Nei cerchi bianchi sono
raffigurati gli affioramenti di loess descritti: s= Spinale e Grostedi;
a= Andalo; t= Terlago; v= Vigolana.
Fig. 1 - Schematic geological map of Trentino-Alto Adige region.
1. Adamello pluton (prevailing tonalite with biotite and green
hornblend); 2. Pennidic (prevailing calcareous schists and micaschists with garnet); 3. Austroalpine Triassic carbonates; 4.
Southalpine carbonate sequence (middle Triassic-Tertiary). The
loess outcrops are represented by open circles. s= Spinale and
Grostedi; a= Andalo; t= Terlago; v= Vigolana.
della Paganella (Cremaschi & Lanzinger 1983), nell’area
del Lago di Terlago (Cremaschi & Lanzinger 1987), alle
Viotte sul Monte Bondone (Bagolini & Guerreschi 1978;
Bleich 1980; Sartori & Chersich 2007) e nei siti mesolitici
del Monte Baldo (Bagolini & Nisi 1976) (Fig. 1).
I depositi eolici si rinvengono talora in “buche” profonde da 0,5 metri fino oltre 1 metro (Andalo, Viotte del
Bondone) situate in corrispondenza di depositi sciolti (glaciali o di conoide). La formazione delle buche è connessa a
processi criogenici in condizioni di permafrost discontinuo
(Cremaschi & Lanzinger 1983).
Coltri discontinue di loess, con spessori di solito inferiori al metro, sono descritte in aree pianeggianti non soggette a erosione e in piccole depressioni, come nella zona
sommitale della Paganella (Bini et al. 1991) e nell’area di
Terlago. In questo caso il loess è spesso ricoperto da sedimenti colluviali consistenti in sedimenti eolici frammisti a
piccoli clasti calcarei (Cremaschi & Lanzinger 1987).
La tessitura dei loess è piuttosto omogenea, con
contenuto in sabbia sempre inferiore al 10%, e tenore in
argilla variabile da 22 a 35%. Del profilo pedostratigrafico
di Andalo è stata studiata la composizione in minerali pesanti della frazione sabbiosa fine (Cremaschi & Lanzinger
1983), che è risultata la seguente: Zircone: 3%, Distene: 1%,
Tormalina: 11%, Epidoto: 16%, Anatasio: 3%, Anfiboli:
42%, Granato: 23%, Augite: 1%.
2.
I LOESS DELLA VIGOLANA
2.1.
Inquadramento geologico e morfologico
Il gruppo della Vigolana è situato pochi chilometri a
SE di Trento, limitato a sud dagli Altopiani di Folgaria e
Lavarone, a est dalla conca del Lago di Caldonazzo, a nord
dalla sella di Vigolo Vattaro. Verso ovest una scarpata alta
600-800 m collega il massiccio alla sottostante Val d’Adige.
La parte sommitale della Vigolana è costituita da un altopiano ampio una decina di chilometri quadrati che degrada
regolarmente dalla cima del Becco di Filadonna (2150 m)
verso SE fino a quote di 1400 metri. La parte a monte è
caratterizzata da 3 diversi circhi separati da spalle glaciali
intagliate prevalentemente nel Gruppo dei Calcari Grigi
(Lias inferiore e medio). A quote più basse si rinvengono
depositi glaciali di fondo e i cordoni morenici dell’ultimo
massimo glaciale (LGM= Last Glacial Maximum) disposti
parallelamente alla Val d’Adige tra 1500 e 1600 m s.l.m.
(Fig. 2). La composizione sia del till di fondo che dei cordoni morenici LGM è dominata dai clasti locali (Calcari
Grigi), mentre sono del tutto subordinati gli esotici in forma di clasti tonalitici, metamorfici e porfirici. Al di sopra
delle morene LGM si rinvengono solo placche discontinue
di depositi scheletrici con piccoli e rari clasti esotici, a testimonianza di livelli glaciali precedenti il LGM. Lungo la
direttrice delle spalle dei circhi glaciali e scendendo fino a
raggiungere le quote delle morene del massimo würmiano,
si individuano delle “isole” che durante l’ultimo evento
glaciale sono sempre rimaste libere dai ghiacci. Una di queste isole, situata tra le due valli glaciali di Malga Palazzo
e Malga Valli, è caratterizzata nella sua parte inferiore da
morfologie poco acclivi, con assenza di affioramenti rocciosi e versanti regolari. Dove l’erosione è poco intensa o
nulla si osservano depositi loessici discontinui e di limitato
spessore, come in località Sciopadore, dove è stato effettuato uno scavo profondo circa un metro per permettere la
descrizione e la campionatura del suolo e dei sedimenti.
2.2.
Analisi e interpretazione del profilo della Vigolana
La descrizione del profilo è riportata in tabella 1, mentre
i risultati delle analisi granulometriche e chimiche effettuate
sul profilo sono riferite in tabella 2. Per la composizione percentuale dei minerali pesanti1 si veda la tabella 3.
I rilievi di terreno e le analisi di laboratorio mettono
in evidenza la presenza di due diverse coltri sedimentarie
interessate da due successivi eventi pedogenetici. L’unità
sedimentaria più bassa (orizzonte 2BC), caratterizzata da
Per la metodologia di preparazione dei campioni e per protocollo seguito nelle analisi dei minerali pesanti si rimanda a
Milner 1962 e a Parfenoff et al. 1970.
1
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59
53
Fig. 2 - Sezione geologica del versante meridionale della Vigolana. CG = Calcari Grigi del Lias.
Fig. 2 - Geologic section of Vigolana southern slope. CG= Calcari Grigi (Grey Limestones - Lower Jurassic).
Tab. 1 - Descrizione del profilo Sciopadore (Vigolana).
Tab. 1 - Sciopadore pedological profile (Vigolana).
Località: Sciopadore, lungo la carrareccia che da Malga Palazzo porta a Malga Valli
Classificazione: Cutanic Luvisol (WRB 2006); Inceptic Hapludalf (Soil Taxonomy 2006)
Quota: 1655 m
Morfologia: versante
Pendenza: 10%
Esposizione: SW
Vegetazione: pascolo magro
Pietrosità: trascurabile
Rocciosità: assente
Erosione: debole
Drenaggio: buono
Materiale parentale: loess su till di fondo
Bedrock: Calcari Grigi (non raggiunto)
Ap
0-7 cm AE 7-25 cm Bt
25-45 cm 2BC
45-80+ cm
Bruno scuro (10 YR 3/3); franco limoso; struttura grumosa fine, moderata, friabile; scheletro assente; effervescenza
assente; pH 5.1; pori abbondanti, molto fini e fini; radici molto abbondanti, molto fini; limite chiaro lineare.
Bruno scuro (10 YR 5/5); franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine, forte; resistente; scheletro
scarso: clasti silicatici molto piccoli e arrotondati; effervescenza assente; pH 5,3; pori come sopra; radici comuni,
molto fini e fini; pochi argillans localizzati nei canalicoli; limite diffuso lineare.
Grigio brunastro chiaro - bruno giallastro chiaro (10 YR 4/4); franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare
fine e media, forte; resistente; scheletro da scarso a comune (alla base); effervescenza assente; pH 5,5; pori molto
abbondanti, fini e medi; poche radici molto fini; abbondanti argillans sulle facce degli aggregati e nei canalicoli;
notevole attività di lombrichi; limite chiaro ondulato.
Bruno giallastro chiaro (10 YR 5/3); franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine, moderata; resistente;
scheletro molto abbondante (45%), subangolare, calcareo, con dimensioni fino a grande (presenza subordinata di
piccoli clasti silicei arrotondati e alterati); effervescenza moderata; pH 7,5; pori abbondanti, molto fini e fini,
qualche radice molto fine.
Orizzonti
Ap
AE
Bt
2BC
scheletro
-
scarso
scarso
molto abb.
sabbia
4,7
7,4
5,8
15,5
limo
70,7
79,8
70,2
65,3
argilla
24,6
12,8
24,0
19,2
% Ø 250-63 µ
4,6
7,5
5,3
9,5
% pesanti/leggeri
6,2
7,5
6,3
9,4
0
0
0
8,8
4,9
5,1
5,9
8,0
tessitura (%)
CaCO3
pH
Tab. 2 - Analisi granulometriche e chimiche
profilo Sciopadore (Vigolana).
Tab. 2 - Textural and chemical analyses of
Sciopadore pedological profile (Vigolana).
54
Borsato
Depositi loessici in Trentino
Tab. 3 - Minerali pesanti dei profili dello Spinale, della Vigolana e dei sedimenti della Grotta Panoramix (GrPx). (*) Weathering Index=
[Zirc. + Torm. + ossidi di Ti + Staurolite + Granato] / [Epidoto + Zoisite + Sillimanite + Cianite + Anfiboli + Pirosseni].
Tab. 3 - Heavy mineral composition of the pedological profiles “Spinale”, “Vigolana” and the sediment from Panoramix cave (GrPx). (*)
Weathering Index= [Zircon + Tormaline + Ti oxides + Staurolite + Garnet]/[Epidote + Zoisite + Sillimanite + Cyanite + Amphiboles +
Pyroxenes].
Profilo
GrPx
Orizzonte
% pesanti Ø 250-63 µm
4,2
Spinale
Vigolana 1
A
AE
2Bt1
2Bt2
Ap
AE
Bt
2BC
3,9
4,7
7,3
9,5
6,2
7,5
6,3
9,4
opachi
14
12
12
20
12
18
12
14
9
trasparenti
70
80
78
70
78
70
74
73
78
miche
16
8
10
10
10
12
14
13
13
Zircone
-
2
2
2
+
Tormalina
2
7
8
3
6
Anatasio + Brookite
+
1
1
1
+
Rutilo
-
2
1
-
-
Titanite
-
-
-
+
1
Staurolite
-
2
2
2
1
Granato
2
23
23
21
18
Epidoto +Zoisite
18
25
32
29
27
Sillimanite
3
-
-
1
-
Cianite
3
5
3
8
1
Andalusite
-
-
-
-
-
Anfiboli
70
27
24
25
23
Pirosseni
2
6
3
8
6
Spinelli
-
-
1
-
-
0,02
0,59
0,59
0,41
0,45
W.I. (%) (*)
Fig. 3 - Il profilo della Vigolana (Sciopadore). a. Successione pedostratigrafica e analisi di routine; S= sabbia; L= limo; A= argilla. b.
Profilo pedologico della Vigolana (Sciopadore).
Fig. 3 - Sciopadore profile (Vigolana). a. Pedostratigraphic sequence and routine analyses: S= sand; L= silt; A= clay. b. Sciopadore
pedological profile (Vigolana).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59
Fig. 4 - Curve tessiturali cumulative del profilo della Vigolana.
Fig. 4 - Cumulative particle-size curves of Vigolana profile.
prevalenti clasti calcarei locali e subordinati piccoli esotici
arrotondati, costituisce un deposito glaciale di fondo precedente l’ultima glaciazione (Fig. 3). Al tetto di questa unità,
troviamo un suolo bruno lisciviato (IUSS Working Group
WRB 2006: Cutanic Luvisols) caratterizzato da completa
decarbonatazione (orizzonti Bt, AE e Ap), con eluviazione della frazione argillosa in superficie (orizzonte AE) e
accumulo di argilla nell’orizzonte inferiore (Bt) con abbondanti argillans sulle facce degli aggregati e nei canalicoli.
Le caratteristiche di questa seconda coltre sedimentaria sia
granulometriche (assenza di scheletro, curva cumulativa
unimodale con moderata selezione e 50% della distribuzione granulometrica nel campo del limo grossolano) che mineralogiche (alta percentuale di anfiboli e lamelle di mica),
ne permettono l’interpretazione come sedimento eolico. In
particolare si può notare che la curva tessiturale cumulativa rientra nel campo di variabilità dei loess freschi o poco
alterati (Figg. 4, 8).
Per quanto riguarda l’età dei sedimenti non sono disponibili al momento dati certi. Dalle analisi effettuate e
dalle osservazioni di terreno sembra verosimile che la deposizione loessica si collochi tra il Pleniglaciale LGM e la
prima fase Tardoglaciale (Bassetti & Borsato 2007).
3.
I LOESS DELLO SPINALE E DEI GROSTEDI
3.1.
Inquadramento geologico e morfologico
L’Altopiano dello Spinale si sviluppa tra quote di
1800 e 2250 m al margine centro-orientale del Gruppo
di Brenta. Verso ovest è delimitato dal rilievo della Pietra
Grande (2936 m s.l.m.) e dal Passo del Grostè (2442 m
s.l.m.), il quale mette in comunicazione lo Spinale con
55
il plateau dei Grostedi. Verso est l’altopiano è diviso dal
Gruppo della Presanella dalla spianata del Passo di Campo
Carlo Magno (1651 m s.l.m.), che mette in comunicazione
la Val Meledrio a nord con la Val Rendena a sud.
La base della successione geologica affiorante allo
Spinale è costituita dalla Dolomia Principale (Norico) che
affiora prevalentemente all’estremità orientale dell’altopiano. Segue il Calcare di Zu (Retico), caratterizzato dalla
tipica alternanza calcari-marne, e quindi il Gruppo dei
Calcari Grigi (Lias).
Tutta l’area sommitale dell’altopiano è interessata
da estesi affioramenti di brecce e conglomerati potenti
fino oltre 30 metri, interpretati da Trevisan (1939) come
depositi glaciali pre-würmiani, precedenti pertanto l’ultimo massimo glaciale (LGM). Questi conglomerati sono
caratterizzati da elevata porosità legata alla loro struttura
openwork o partially openwork. Tra i depositi quaternari
LGM sono invece da segnalare depositi glaciali costituiti
esclusivamente da clasti carbonatici di provenienza locale,
rinvenibili sia in piccoli cordoni morenici stadiali connessi
ai circhi della Pietra Grande, sia in limitate coltri con spessori di pochi decimetri. Durante la fase di acme LGM gran
parte dello Spinale era ricoperto da una coltre glaciale, probabilmente di limitato spessore, proveniente dal Passo del
Grostè all’interno del Gruppo di Brenta (Trevisan 1939).
Il ghiacciaio vallivo presso Campo Carlo Magno passava
invece a quote intorno ai 1900 metri, senza ricoprire l’altopiano.
La morfologia della spianata sommitale è prevalentemente carsica (Nicod 1976) e, in minor misura, glaciale. La
dissoluzione carsica interessa tutte le formazioni del substrato nonché la coltre conglomeratica soprastante (Borsato
et al. 2000). In quest’ultima si aprono diverse doline tuttora
attive, che assorbono la totalità dell’acqua meteorica e inibiscono l’accumulo di sedimento fine.
Limitate coltri di loess e di “terra fusca” (vedi in
seguito) suturano invece la morfologia carsica sviluppata
sul Calcare di Zu. In particolare nell’area compresa tra il
Rifugio Graffer (2261 m s.l.m.) e il Lago Spinale (2090
m s.l.m.) si osservano coltri loessiche di spessore decimetrico che ricoprono il substrato carbonatico costituito in
prevalenza da Calcare di Zu carsificato (Fig. 5). Inoltre,
depositi sabbiosi e siltosi che presentano caratteristiche
mineralogiche simili a quelle dei loess si sono rinvenuti
anche in alcune cavità situate sul vicino altipiano carsico
dei Grostedi.
3.2.
Il sedimento della Grotta Panoramix
Una sottile coltre di sedimenti sabbioso fini-siltosi
simili a loess è stata ritrovata in una piccola grotta (Grotta
Panoramix) situata sull’altopiano carsico dei Grostedi. La
cavità, con andamento orizzontale e sviluppo planimetrico
di 25 metri, si apre a quota 2350 m in prossimità del sentiero che dal Passo del Grostè scende verso la Val di Santa
Maria Flavona (circa 3 km a est del Rifugio Graffer). Il deposito, potente fino a 30 cm, si rinviene soltanto fino a 1015 metri dall’ingresso della cavità e ammanta regolarmente
un orizzonte accidentato costituito da clasti carbonatici
autoctoni spigolosi e concrezioni siltoso-arenacee in clasti
arrotondati o lastre. Le concrezioni siltoso-arenacee sono
caratterizzate da una grande abbondanza di lamelle micacee e sembrano avere la stessa composizione mineralogica
56
Borsato
Depositi loessici in Trentino
Fig. 5 - Sezione geologica della parte orientale dello Spinale. DP= Dolomia Principale (Norico); CZ= Calcare di Zu (Retico); CG=
Calcari Grigi (Lias).
Fig. 5 - Geologic section of the eastern part of Spinale. DP= Dolomia Principale (Main Dolomite - Upper Triassic); CZ= Calcare di Zu
(Zu Limestone - Upper Triassic); CG= Calcari Grigi (Grey Limestones - Lower Jurassic).
del sedimento sciolto che le ricopre. Quest’ultimo è caratterizzato da un’altissima percentuale di lamine di biotite e
orneblenda verde, che al microscopio appaiono con clasti
sfrangiati ma poco alterati, sia nella frazione delle sabbie
fini che in quella delle sabbie medie (Tab. 1).
3.3.
Analisi e interpretazione del profilo dello Spinale e
dei sedimenti della Grotta Panoramix
Vengono riportati di seguito i risultati delle analisi
tessiturali (Tab. 4) e chimiche (Tab. 5) relative al profilo
dello Spinale e del sedimento della Grotta Panoramix ai
Grostedi. Per la composizione percentuale dei minerali
pesanti si veda invece la tabella 3.
I rilievi di terreno e le analisi di laboratorio evidenziano che il profilo dello Spinale è costituito da due diverse
coltri sedimentarie (Fig. 6). L’unità stratigrafica più bassa
(orizzonti 2Bt1 e 2Bt2), che appoggia direttamente sul substrato carsificato, è caratterizzata da un elevato contenuto in
argilla, evidenziato anche dalla presenza di argillans sulle
facce degli aggregati, curve granulometriche decisamente
“piatte” – senza cioè nessuna frazione granulometrica prevalente –, una percentuale di sabbia fine inferiore allo 0,5%
e un’alta percentuale di minerali pesanti nella frazione 250-
Tab. 4 - Descrizione del profilo Spinale.
Tab. 4 - Spinale pedological profile (Brenta Dolomites).
Località: Rifugio Graffer, lungo il sentiero che scende alle cascate di Vallesinella
Classificazione: Cutanic Luvisol (LVh) (WRB 2006); Inceptic Hapludalf (Soil Taxonomy 2006)
Quota: 2230 m
Morfologia: versante
Pendenza: 20%
Esposizione: S
Vegetazione: erica, rododendro
Pietrosità: 10%
Rocciosità: 30%
Erosione: modesta
Drenaggio: buono
Materiale parentale: loess su deposito tipo “terra fusca”
Bedrock: Calcare di Zu carsificato
A
0-16 cm
AB
16-27 cm
2Bt1
27-33 cm
2Bt2
30-42 cm
3R
42+ cm
Grigio molto scuro - bruno grigiastro molto scuro (10 YR 3/1), franco limoso; aggregazione poliedrica subangolare
fine, forte; scheletro assente, effervescenza assente; pH 5,5; pori molto abbondanti, molto fini e fini; radici molto
abbondanti, molto fini; limite ondulato chiaro.
Grigio molto scuro - bruno grigiastro molto scuro (10 YR 3/1.5), franco argilloso limoso; aggregazione poliedrica
subangolare media, moderata; scheletro assente; effervescenza assente; pH 6,0; pori comuni molto fini e fini; radici
comuni, molto fini e fini; limite abrupto irregolare.
Bruno giallastro scuro (8,25 YR 3/2); argilloso limoso; aggregazione poliedrica subangolare fine, moderata;
scheletro assente; effervescenza assente; pH 7,0; pori comuni, molto fini e fini; radici scarse; argillans sulle facce
degli aggregati; limite lineare graduale.
Bruno grigiastro molto scuro (10 YR 3/2); argilloso limoso; aggregazione poliedrica angolare fine, forte; scheletro
assente; effervescenza da assente a molto debole; pH 7,0; pori comuni, molto fini e fini; radici scarse; argillans
sulle facce degli aggregati.
Roccia calcarea.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59
57
Tab. 5 - Analisi granulometriche e chimiche del profilo Spinale e del sedimento Grotta Panoramix.
Tab. 5 - Textural and chemical analyses of Spinale pedological profile and of the sediment from Panoramix cave (Brenta Dolomites).
Profilo
Spinale
Grotta
Panoramix
Orizzonti
A
AB
2Bt1
2Bt2
scheletro
-
scarso
scarso
molto abb.
tessitura (%)
sabbia
1,6
2,2
0,5
0,4
44,0
limo
69,4
64,3
54,9
55,0
39,9
argilla
29,0
33,5
44,6
44,6
16,1
% Ø 250-63 µ
1,4
2,0
0,4
0,3
39,3
% pesanti/leggeri
3,9
4,7
7,3
9,5
4,2
0
0
0
0,2
16,8
5,9
6,1
5,9
6,8
n.d.
CaCO3
pH
63 µm. Visto il discreto contenuto di argilla e residuo insolubile del substrato carsificato, e tenuto conto dell’elevato
tasso di dissoluzione del Calcare di Zu, stimabile intorno a
8-12 cm negli ultimi 10.000 anni (Nicod 1976), si può interpretare questa unità come una “terra fusca” (Duchaufour
2001) derivata sia dalla colluviazione del residuo insolubile del calcare, sia da apporto eolico. Il contributo eolico è
testimoniato dalla composizione dei minerali pesanti, del
tutto analoga a quella dei loess trentini. L’unità sedimentaria superiore (orizzonti A e AB) presenta invece curve
granulometriche cumulative unimodali con mediana nel
campo del silt grossolano e forma “loessica” più marcata
rispetto all’unità inferiore. Confrontate con il campo di variabilità dei loess proposto da Ferrari & Magaldi (1976), le
due curve cumulative rientrano nel campo dei loess alterati.
Considerando l’indice di alterazione non troppo elevato
(Weathering Index, W.I.= 0,59) e la discreta rocciosità e
petrosità del profilo, si può ipotizzare anche per questo
orizzonte un contributo, seppur molto minore, in residuo
insolubile proveniente dalla dissoluzione del Calcare di
Zu. In quest’ottica l’unità sedimentaria superiore andrebbe
interpretata come deposito loessico con moderato apporto
colluviale.
Come osservato anche in altre zone alpine (Küfmann
2003), l’evoluzione pedogenetica del profilo sembra essere
avvenuta in due fasi distinte. La prima fase ha interessato
l’unità stratigrafica inferiore, causando l’alterazione e l’incipiente rubefazione dell’orizzonte 2Bt1. La seconda fase
Fig. 6 - Il profilo dello Spinale. Successione pedostratigrafica e analisi di routine. S= sabbia; L= limo; A= argilla.
Fig. 6 - Spinale profile (Brenta Dolomites): pedostratigraphic sequence and routine analyses. S= sand; L= silt; A= clay.
58
Borsato
Depositi loessici in Trentino
pedogenetica ha interessato l’intero profilo, provocando
la decarbonatazione completa, l’eluviazione delle argille
dagli orizzonti più superficiali e il progressivo accumulo
in profondità, portando allo sviluppo del suolo bruno lisciviato attuale. La variazione regolare del pH (da subacido
in superficie a neutro in profondità) testimonia l’attuale
equilibrio pedologico del profilo.
Il sedimento sciolto della Grotta Panoramix ai Grostedi
è interpretabile invece come deposito loessico grossolano.
La presenza di numerosissime lamelle di biotite e orneblenda
verde in granuli sfrangiati e per nulla arrotondati prova la
natura eolica prossimale del sedimento. La curva granulometrica cumulativa (Fig. 7) ha una tipica forma “loessica” con
distribuzione unimodale e mediana nel campo della sabbia
fine. Confrontata con i diagrammi dei campi di variabilità
delle tessiture dei loess (Figg. 8-9; Ferrari & Magaldi 1976),
la curva granulometrica ricade nel campo dei loess non alterati, pur presentando un eccesso nella frazione sabbiosa
fine. È perciò interpretabile come “loess grossolano” (Forno
1979), dove la granulometria meno fine è dovuta all’assenza
pressoché totale di alterazione (W.I.= 0,02).
Fig. 7 - Curve tessiturali cumulative del profilo dello Spinale e del
sedimento della Grotta Panoramix (GrPx) ai Grostedi.
Fig. 7 - Cumulative particle-size curves of Spinale profile and
Panoramix cave sediment (GrPx) on the Grostedi plateau.
Fig. 8 - Campo di variabilità della tessitura dei loess del settore
centrale della Val Padana. 1. loess fresco o debolmente alterato; 2.
loess alterato (da Cremaschi 1987).
Fig. 8 - Particle-size field of variability of the loess in the cental
part of the Po Plain: 1= unweathered or weakly weathered loess;
2= weathered loess (from Cremaschi 1987).
4.
CONCLUSIONI
L’esame dei profili pedologici della Vigolana e dello
Spinale ha evidenziato la presenza di coltri discontinue
Fig. 9 - Diagramma tessiturale indicante i rapporti tra i loess
studiati e altri loess trentini e del margine alpino. ●= Vigolana:
1. Ap; 2. AE; 3. Bt.  = Spinale: 1. A; 2. AE; 3. 2Bt1 e 2Bt2. *=
Grotta Panoramix.  = Terlago. = Val Sorda. += Riparo Tagliente
12a.  = Andalo.
Fig. 9 - Particle-size diagram indicating the relationships between
the studied loess and others loess deposits from Trentino and the
Southern Alpine margin. ●= Vigolana: 1= AP; 2= AE; 3= Bt.
 = Spinale: 1= To; 2= AE; 3= 2Bt1 and 2Bt2. *= Panoramix
Cave.  = Terlago. = Val Sorda. += Riparo Tagliente 12a. =
Andalo.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 51-59
di loess con spessori modesti, compresi tra i 20-30 e gli
80 cm. In entrambi i casi i depositi loessici sono evoluti, come osservato anche in altre zone alpine (Legros
1992; Havliceck & Gobat 1996; Küfmann 2003; Sartori
& Chersich 2007), in suoli bruni bruni lisciviati (IUSS
2006: Cutanic Luvisols), con traslocazione dell’argilla
testimoniata dai numerosi argillans sulle facce degli aggregati granulari. Le curve granulometriche cumulative
della Vigolana rientrano nel campo di variabilità dei loess
non alterati, mentre sullo Spinale i loess presentano una
maggiore percentuale in argilla. Questa può essere dovuta
all’alterazione del deposito, oppure a un apporto colluviale di residuo insolubile proveniente dalla dissoluzione del
substrato calcareo subaffiorante. Il deposito della Grotta
Panoramix, caratterizzato da un grado di alterazione quasi nullo, legato probabilmente al carattere conservativo
dell’ambiente ipogeo, è interpretabile come “loess grossolano”. La composizione mineralogica dei loess è abbastanza costante, perfettamente confrontabile a quella dei
loess di Andalo, e caratterizzata dalla presenza pressoché
ubiquitaria di orneblenda verde e di biotite. L’abbondanza
di questi due minerali nei campioni analizzati è inversamente proporzionale all’alterazione dei depositi (cfr. Tab.
1), ma risente in maniera determinante anche della distanza rispetto agli affioramenti dal massiccio dell’Adamello
(Fig. 1, Tab. 1). Orneblenda verde e biotite sono infatti
minerali comuni nella tonalite del massiccio intrusivo
Adamello-Presanella che rappresenta, sia direttamente sia
attraverso depositi glaciali da esso derivati, una delle aree
di alimentazione dei sedimenti eolici.
Ringraziamenti
Ringrazio il prof. M. Cremaschi per avermi seguito
durante lo svolgimento delle analisi di laboratorio e la discussione dei dati e il dott. G. Sartori per la collaborazione
nella descrizione pedologica dei due affioramenti e per la
revisione critica del manoscritto.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 61-68
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino: considerazioni sulla
distribuzione e sull’evoluzione dei suoli nella regione dolomitica
Diana Maria ZILIOLI* & Claudio BINI
Dipartimento di Scienze Ambientali, Università Ca’ Foscari di Venezia, Dorsoduro 3246, 30123, Venezia, Italia
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
Riassunto - Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino: considerazioni sulla distribuzione e sull’evoluzione dei suoli nella
regione dolomitica - In questi ultimi dieci anni il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia ha condotto
numerosi progetti di ricerca finalizzati ad approfondire i processi genetici e i caratteri distributivi dei suoli in ambiente dolomitico, nonché
ad evidenziare il fondamentale contributo che la geopedologia può apportare ai criteri e ai metodi di conservazione della natura e di
gestione ecocompatibile delle località montane. Nel corso di tali progetti sono stati censiti, analizzati e cartografati i suoli di alcune delle
località economicamente e naturalisticamente più rilevanti delle Dolomiti, per un totale di alcune centinaia di profili descritti. In questo
lavoro sono riportati i primi risultati derivanti dall’analisi dei caratteri pedoambientali di circa duecento di questi profili, evolutisi a partire
da diversi materiali parentali, situati tra i 1300 e i 2900 m di quota in differenti condizioni di pendenza, esposizione e copertura vegetale.
I suoli, riclassificati secondo i criteri della Soil Taxonomy del 2006, sono risultati appartenere a cinque ordini. Lo studio ha consentito di
evidenziare il diverso grado di importanza che i fattori della pedogenesi assumono nelle regioni alpine e di elaborare un modello generale
di sviluppo in chiave evolutiva dei suoli di ambiente dolomitico.
Summary - Ten years of research on soils of the Alpine environment: considerations on the distribution and evolution of soils in the
Dolomites region - In the past ten years the Department of Environmental Sciences of the Ca’ Foscari University of Venice has realized
numerous research projects aimed at deepening the genetic processes and the distributive characters of soils in the Alpine environment
(Dolomites) and at highlighting the fundamental contribution that the study of soils can give to natural resources conservation and
sustainable management of the mountain ecosystems. In the course of these projects, the soils of some of the most naturalistically and
economically important locations of the Dolomites have been identified, analyzed and mapped, for a total of several hundred profiles
described. This work reports the first results from the analysis of pedo-environmental characters of about two hundred of these profiles,
developed from different parent materials, at altitudes between 1300 m and 2900 m and in different conditions of slope, exposure and
vegetation cover. The soils have been reclassified according to the criteria of 2006 edition of Soil Taxonomy and have been found to belong
to five orders. The study highlighted the different levels of importance of soil forming factors in the alpine region and allowed to develop
a general evolutionary model for the soils of the Dolomites environment.
Parole chiave: Dolomiti, modello evolutivo del suolo, geografia dei suoli, Parco Naturale Regionale delle Dolomiti d’Ampezzo, Parco
Naturale Paneveggio - Pale di San Martino
Key words: Dolomites, soil evolutionary model, soils geography, Regional Natural Park of Ampezzo Dolomites, Natural Park of Paneveggio
- Pale di San Martino
1.
Introduzione
L’ambiente alpino attira da sempre l’attenzione
dell’uomo, non solo per gli aspetti naturalistici (rocce,
ghiacci, flora, fauna, acque...), ma anche per quelli estetici, soprattutto per gli incomparabili scenari del paesaggio
montano, ai quali contribuisce anche il suolo, con la sua
diversità di morfologia, colori e orizzonti.
La regione dolomitica, in particolare, si caratterizza
per la grande variabilità dei paesaggi, legata alla struttura
geologica abbastanza giovane, alla dinamica morfologica e
alla varia litologia degli affioramenti.
In particolare, la sua dinamica morfologica, determinata dal concorso di condizioni geologiche (litologia,
tettonica, energia del rilievo) e climatiche (precipitazioni,
ghiacci) nonché dall’attività antropica (cambiamenti di uso
del suolo, movimenti di terra, impianti sciistici), rappresenta un processo in continua evoluzione che, attraverso i
frequenti crolli di blocchi rocciosi e pinnacoli, i fenomeni
erosivi e franosi, modifica continuamente il paesaggio montano e influenza i processi di formazione e trasformazione
dei suoli.
Inoltre, la notevole eterogeneità geologica della regione dolomitica, caratterizzata da rocce calcareo-dolomiti­
che molto resistenti all’erosione e da rocce vulcaniche e
terrigene più facilmente erodibili (ARPAV 2005), associata
alle condizioni climatiche che differenziano, ad esempio, le
Dolomiti esterne, più piovose, da quelle interne, meno piovose (Pignatti 1994), è da considerarsi la principale causa
di un paesaggio molto vario (Neri & Gianolla 2007).
62Zilioli & Bini
La grande diversità morfologica che ne deriva non
può che riflettersi sulla coltre pedologica, il cui sviluppo
è condizionato pesantemente dal tipo e dall’intensità
di azione dei fattori della pedogenesi (Egli et al. 2003;
Mirabella et al. 2004), in particolare dal fattore geomorfico, il quale può determinare un’elevata variabilità spaziale nella distribuzione dei suoli e nelle loro proprietà
(Previtali 2002).
I suoli di ambiente alpino rivestono un ruolo fondamentale nel garantire la sopravvivenza e l’equilibrio degli
ecosistemi montani: essi infatti sostengono la copertura
erbacea e forestale, permettono il mantenimento delle attività agrosilvopastorali e contribuiscono alla stabilità dei
versanti e alla loro protezione dall’erosione. Tuttavia, gli
studi sulla distribuzione geografica dei suoli della regione
dolomitica, la descrizione delle varie tipologie di suolo,
l’analisi dei fattori e dei processi che ne hanno determinato
lo sviluppo, nonché la riconduzione dell’elevata variabilità pedologica entro schemi interpretativi generalizzabili
alla regione alpina nel suo insieme sono ancora lontani
dall’essere esaustivi e, in genere, risultano circoscritti a
poche aree di limitata estensione. Per molte zone mancano
adeguate informazioni, sia territoriali (cartografia dei suoli)
sia tassonomiche e analitiche (profili di suolo), in grado di
fornire correlazioni fra condizioni ambientali e tipologie di
suolo, ma anche fra le diverse categorie di suoli, che possano sviluppare modelli di genesi ed evoluzione applicabili ai
suoli delle aree alpine.
Alla luce di queste considerazioni, questo lavoro si
propone di mettere a sistema le informazioni pedoambientali raccolte in ambiente dolomitico dal Dipartimento di
Scienze Ambientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia
nel corso degli ultimi dieci anni (Sburlino et al. 1999;
Zilocchi 2004; Zilioli & Bini 2008). Il fine è quello di valorizzare una banca dati basata su alcune centinaia di suoli
descritti, analizzati e, in alcuni casi, cartografati, che, nel
loro insieme, consentono di fornire un panorama piuttosto
dettagliato delle diverse tipologie di suoli riscontrabili in
ambiente dolomitico.
Il presente studio vuole evidenziare il diverso grado
di importanza che i fattori della pedogenesi assumono in
ambiente alpino ed elaborare un modello generale di sviluppo dei suoli in chiave evolutiva.
2.
Area di Studio
2.1.
Localizzazione geografica
Le informazioni pedologiche qui utilizzate fanno
principalmente riferimento a sei diverse località dolomitiche, comprese in parte nella provincia di Trento e in parte
in quella di Belluno. L’area di studio è pertanto molto estesa, in quanto comprende, procedendo da ovest verso est,
la Val di Fassa (TN), il Parco Naturale Paneveggio-Pale di
San Martino (TN), la Valfredda (BL), la Val di Gares (BL),
il Comune di Cortina d’Ampezzo (BL) e la Val Visdende
(BL).
La Val di Fassa è una delle principali valli delle
Dolomiti, con un’estensione di circa 200 km2 e uno sviluppo altimetrico che va dai 1175 m (Moena) ai 2810 m s.l.m.
(Gruppo del Catinaccio); situata in provincia di Trento,
nell’estrema porzione nord-orientale del Trentino Alto-
Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino
Adige, al confine con le province di Bolzano a nord e di
Belluno a sud-est, è circondata da alcuni dei più importanti
massicci delle Dolomiti (i Monti Pallidi, la Marmolada, il
Gruppo del Sella, il Sassolungo, il Gruppo del Catinaccio,
il Buffaure e i Monti Monzoni). La Val di Fassa è collegata alle altre valli dolomitiche attraverso numerosi valichi,
come il Passo San Pellegrino, il Passo di Costalunga, il
Passo Pordoi e il Passo Sella.
Il Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino,
invece, si trova nella parte orientale della provincia di
Trento, al confine con la provincia di Belluno. È un’area
protetta regionale istituita dalla Provincia autonoma di
Trento nel 1967, che si estende per circa 197 km2, ad una
quota che varia tra i 1200 ed i 2400 m s.l.m. I suoi confini settentrionali vanno dal Passo di Lusia al Passo Valles,
scendono poi verso sud sino ad arrivare quasi a Caoria e a
Passo Cereda.
Il Parco include il lago e la foresta di Paneveggio,
l’estremità orientale della Catena dei Lagorai, l’Altopiano
delle Pale di San Martino, Cima Folga e Cima d’Oltro.
Il territorio oggetto dell’indagine geopedologica
riguarda però solamente l’estremità sud-occidentale del
Parco e, più precisamente, la Valzanca e la Valsorda.
La Valfredda, terza area indagata, è situata nel
Comune di Falcade, sul versante meridionale delle cime più
esterne del Gruppo della Marmolada (Sasso di Valfredda,
Formenton, M. La Banca, Pizzo le Crene e P.ta Zigole),
che la chiudono a nord. La valle presenta una superficie di
circa 5 km2 e si sviluppa con andamento nord-sud a quote
comprese tra 1800 m e 2400 m circa s.l.m.
La Val di Gares, invece, ha uno sviluppo altimetrico
compreso tra gli 890 m e i 3192 m s.l.m. e copre una superficie di circa 36,5 km2; essa è situata nel territorio comunale di Canale d’Agordo (BL), al confine tra la Provincia
di Belluno e la Provincia autonoma di Trento. La valle si
inserisce con andamento NNE-SSW nel versante nord del
gruppo dolomitico delle Pale di San Martino e confluisce
nella Val del Biois, che rappresenta il suo confine settentrionale.
La quinta area oggetto di studio è il territorio comunale di Cortina d’Ampezzo, delimitato dai passi di
Valparola, Falzarego, Tre Croci e Cima Banche, e collocato tra il Cadore (a sud), la Val Pusteria (a nord), la Val
d’Ansiei (a est) e l’Alto Agordino (a ovest). I confini del
territorio comunale di Cortina interessano otto Comuni
diversi: Badia, Marebbe, Braies e Dobbiaco in provincia di
Bolzano; Auronzo, San Vito di Cadore, Colle Santa Lucia e
Livinallongo in provincia di Belluno. La conca di Cortina è
circondata da alcuni dei massicci montuosi più importanti
delle Dolomiti, tra cui le Tofane, il Cristallo, il Sorapiss
e le Cinque Torri. Lo sviluppo altimetrico della Conca
Ampezzana va dai 1224 m del centro di Cortina ai 3244
m s.l.m. della Tofana di Mezzo; la superficie complessiva
del territorio è di circa 255 km2. L’area comprende il Parco
Naturale Regionale delle Dolomiti d’Ampezzo, esteso per
circa 112 km2.
Infine, l’ultima località indagata è la Val Visdende,
una piccola valle alpina del Comelico, dalla superficie di
circa 70 km2, situata tra Santo Stefano di Cadore e Sappada,
all’estremo nord della provincia di Belluno, al confine con
l’Austria. La vallata ha uno sviluppo altimetrico che va dai
circa 1250 m della soglia di Cima Canale sino quasi ai 2700
m s.l.m. della cima del Monte Peralba.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 61-68
2.2.
Inquadramento geolitologico
Le rocce presenti nelle aree in esame sono caratterizzate da un’elevata eterogeneità per quanto riguarda la loro
formazione geologica: si passa dalle rocce del basamento
metamorfico delle Alpi meridionali a quelle della cosiddetta
“Piattaforma porfirica atesina” che affiorano esclusivamente nella porzione occidentale della Regione Dolomitica,
sino alle unità cretacee che emergono solamente all’estremo nord del Comune di Cortina d’Ampezzo.
Dal punto di vista geolitologico, i principali materiali parentali presenti nell’area in esame possono essere
suddivisi in litotipi carbonatici, litotipi silicatici e depositi
quaternari a diversa litologia. Più in particolare, ai fini di
questo lavoro, il territorio può essere schematicamente
suddiviso in quattro domini litologici a diversa tipologia di
rocce:
-
aree in cui affiorano prevalentemente rocce sedimentarie carbonatiche molto resistenti all’erosione, quali
i calcari del Paleozoico antico (calcari di scogliera
e calcari listati), le dolomie e i calcari del Triassico
(Calcari di Contrin, Dolomia del Serla, Dolomia
dello Sciliar e Dolomia Principale), e i calcari del
Giurassico (Calcare di Dachstein e Calcari grigi);
-
aree in cui affiorano rocce metamorfiche, vulcaniche
e pelitico-arenitiche di natura silicatica da resistenti a
moderatamente resistenti all’erosione, che appartengono alle formazioni metamorfiche del basamento
cristallino ercinico e alle formazioni sedimentarie
vulcaniche basiche del Triassico (Strati di La Valle,
Conglomerato della Marmolada, Monzoniti, Andesiti,
Porfidi, Ialoclastiti e Arenarie della Valgardena);
-
aree in cui affiorano rocce sedimentarie calcareomarnose, conglomeratiche e pelitico-arenitiche
da moderatamente a poco resistenti all’erosione
di natura prevalentemente carbonatica o mista del
Permiano (Formazione a Bellerophon), del Triassico
(Formazione di Werfen, Conglomerato di Richthofen,
Formazione di Livinallongo, Formazione di San
Cassiano, Dolomia di Dürrenstein e Formazione di
Raibl), del Giurassico (Rosso ammonitico, Biancone,
Scaglia Rossa) e del Cretacico (Marne del Puez e
Formazione di Antruilles);
-
aree in cui affiorano i depositi della successione plioquaternaria, vale a dire i depositi continentali pliopleistocenici e olocenici, quali i depositi gravitativi
(frane, frane su ghiaccio, detrito di versante anche a
grossi blocchi), quelli di origine glaciale (ad esempio i depositi fluvioglaciali), i depositi alluvionalitorrentizi (terrazzati e non), quelli di origine mista
(debris flow e mud flow, di valanga e torrentizi) e,
subordinatamente, i depositi lacustri, palustri e torbosi, i depositi colluviali e gli accumuli di ambiente
periglaciale quali le nivomorene. Tutti questi materiali
presentano litotipi esclusivamente carbonatici, esclusivamente silicatici, oppure misti, con diversi gradi
di eterogeneità (Sartori et al. 2005; Neri & Gianolla
2007).
2.3.
Clima e pedoclima
Dal punto di vista bioclimatico, la regione dolomitica
si può suddividere in due diverse aree che sono note come
63
Dolomiti esterne e Dolomiti interne (Pignatti 1994). La prima si colloca a sud del limite che corre lungo lo spartiacque
dei Lagorai, raggiunge il versante nord del complesso del
Civetta e passa poi lungo le vette cortinesi della Croda da
Lago e del Sorapiss, fino a raggiungere Misurina, la seconda
a nord di tale confine. Tale distinzione è dovuta al fatto che
le correnti umide dell’Adriatico, investendo il versante meridionale delle Alpi sudorientali, inducono la formazione di
nebbie e portano abbondanti precipitazioni, Queste hanno
effetti massimi sui primi rilievi delle Prealpi, diminuiscono
progressivamente nelle Dolomiti esterne, mentre quasi non
coinvolgono quelle interne, che presentano pertanto un clima più arido. La quasi totalità dell’area indagata, collocandosi al di sopra dello spartiacque citato precedentemente,
si trova compresa all’interno del territorio delle Dolomiti
interne, il quale è caratterizzato da un clima di tipo continentale, con scarse precipitazioni (circa 1000-1250 mm
annui), concentrate soprattutto in primavera e autunno, e
prolungati periodi privi di precipitazioni piovose o nevose,
sia in estate che in inverno. Fanno eccezione la Valzanca, la
Valsorda, la Val Visdende e l’estremo lembo sudorientale
del territorio comunale di Cortina d’Ampezzo, che situandosi più a sud presentano invece i caratteri peculiari delle
catene dolomitiche esterne, con un clima di tipo alpino a
carattere suboceanico e abbondanti precipitazioni durante
la stagione estiva.
Sulla base della suddivisione del territorio bellunese in
cinque distretti bioclimatici proposta da Del Favero (2001),
i territori indagati rientrano per la maggior parte nel distretto
endalpico, caratteristico di una fascia relativamente ristretta della parte alta della provincia, che comprende la Conca
Ampezzana e l’Alta Valle del Piave e del Cordevole, i cui
tratti climatici possono essere estesi anche alla Val di Fassa.
Tale distretto, infatti, è contraddistinto da precipitazioni attorno ai 1000 mm annui, che tendono a distribuirsi secondo
un regime di tipo continentale, tendenzialmente con un
massimo in luglio. Le temperature medie di questa fascia
sono significativamente inferiori, come anche le precipitazioni, a quelle dei distretti climatici adiacenti, presentando
marcate escursioni termiche e un valore medio annuo di 4-5
°C. Di nuovo, fanno eccezione la Val Visdende e l’estremo
lembo sudorientale del territorio di Cortina d’Ampezzo, le
quali rientrano invece nel distretto mesalpico, i cui tratti
climatici possono essere estesi anche alla Valzanca e alla
Valsorda (TN). Quest’ultimo distretto, appartenente alla fascia medio-alta della provincia di Belluno, è caratterizzato,
a differenza del precedente, da elevate precipitazioni annue
(circa 1400 mm) distribuite in modo uniforme nei mesi da
aprile a novembre e da temperature medie annue attorno ai
7-8 °C.
Benché quanto appena descritto sia valido a livello
generale, occorre precisare che, a causa della grande estensione areale del territorio e dell’energia del rilievo, caratterizzato da valli primarie e secondarie diversamente orientate e articolate, il clima può mostrare notevoli variazioni da
una stazione all’altra.
Per il calcolo del bilancio idrico del suolo sono stati
utilizzati i dati termometrici e pluviometrici forniti dalle
principali stazioni meteorologiche localizzate nelle diverse
aree indagate, ponendo particolare attenzione all’elevato
gradiente altimetrico e, quindi, alla diversa distribuzione
delle temperature e delle precipitazioni dai fondovalle alla
sommità dei passi più elevati. Per tutte le stazioni è stato
64Zilioli & Bini
osservato che non si verifica mai una situazione di deficit
idrico, in quanto l’evapotraspirazione potenziale (PE) si
mantiene simile a quella effettiva (AE) nel corso di tutto
l’anno e il surplus idrico a disposizione per lo scorrimento
superficiale è sempre molto elevato, soprattutto a causa
della generale scarsa profondità dei suoli in relazione alle
abbondanti precipitazioni. Dal punto di vista pedoclimatico,
sulla base del bilancio idrico, il regime di umidità del suolo
è risultato da udico a perudico in gran parte del territorio. In
alcune aree di limitata estensione sono stati individuati anche suoli con regime di umidità aquico, cioè caratterizzati
da saturazione idrica per almeno alcuni giorni consecutivi
l’anno e, di conseguenza, da evidenti segnali di condizioni
ridotte all’interno del profilo (colore grigiastro, screziature ecc.). Per quanto riguarda il regime di temperatura, la
temperatura media annua al suolo si è rivelata leggermente
superiore agli 8 °C solamente nelle stazioni della Val di
Fassa localizzate al di sotto dei 1500 m circa di altitudine
(regime di temperatura mesico). Nelle altre aree è risultata
compresa tra 0 e 8 °C, con differenze tra la temperatura
media estiva e quella invernale maggiori di 6 °C in tutte
le zone collocate nelle Dolomiti esterne e nelle Dolomiti
interne a quote inferiori ai 2000 m (regime di temperatura
frigido), e inferiori a 6 °C nelle Dolomiti interne a quote
superiori ai 2000 m (regime di temperatura cryico).
2.4.
Aspetti vegetazionali
Le Dolomiti esterne e quelle interne mostrano notevoli
differenze anche dal punto di vista del paesaggio vegetale.
Tra gli aspetti più evidenti che aiutano a differenziare queste due tipologie paesaggistiche vi sono il limite superiore
della vegetazione boschiva (attorno ai 1950 m di quota
nelle Dolomiti esterne e attorno ai 2200-2400 m in quelle
interne) e la presenza del pino cembro (Pinus cembra L.),
specie artico-alpina che cresce solo nelle catene interne sia
per motivi bioclimatici sia per motivi legati al glacialismo
quaternario (Pignatti 1994).
Sebbene siano principalmente le differenze climatiche tra Dolomiti interne ed esterne a definire i principali
caratteri dei diversi paesaggi vegetali, anche le condizioni
microclimatiche locali e la copertura pedologica hanno una
notevole influenza sulla vegetazione. Le associazioni vegetali più diffuse nell’area in esame, pertanto, cambiano alle
diverse quote, sui diversi substrati e in diverse condizioni di
pendenza ed esposizione.
Una differenza fondamentale tra le catene interne e
quelle esterne è rappresentata dai boschi: nelle Dolomiti
interne sono presenti soprattutto conifere, mentre in
quelle esterne latifoglie a foglia caduca. Nel complesso,
nel territorio oggetto di questa indagine, che comprende
per lo più ambienti dolomitici interni e solo alcune delle
aree più settentrionali delle catene esterne, i boschi sono
rappresentati in prevalenza da comunità forestali a Pinus
cembra L., dalle peccete e dai boschi misti ad abete bianco,
peccio e faggio. In generale, è senza dubbio l’abete rosso
o peccio (Picea excelsa (Lam.) Link) la specie arborea più
diffusa, in buona parte a causa all’intervento antropico.
L’uomo, infatti, ha agito in maniera estesa su tutti i boschi
del settore orientale delle Alpi, accentuandone la naturale
povertà floristica (dovuta in parte a fattori edafici e in parte
a fattori paleoclimatici) attraverso l’eliminazione del faggio e dell’abete bianco a favore, appunto, dell’abete rosso.
Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino
Quest’ultimo, essendo una specie arborea dalla spiccata
attitudine pioniera, ha portato alla formazione di peccete
secondarie a scapito di altre tipologie forestali, o di peccete
di nuova generazione su ampie superfici di pascoli abbandonati (Poldini & Bressan 2007).
Secondo le più recenti classificazioni sintassonomiche le associazioni vegetali maggiormente diffuse nelle
Alpi orientali sono rappresentate, sui substrati silicatici, da
Luzulo Nemorosae-Piceetum Br.-Bl. et Siss. 1939, pecceta
della fascia montana che si estende dai 750 m ai 1600 m di
quota, e da Cardamino Pentaphylli-Abietetum Mayer 1974
em. Gafta 1994, abieteto caratteristico della fascia montana
che si colloca su substrati analoghi prevalentemente nei
fondovalle freschi e umidi o in ampie conche vallive tra
gli 800 m e i 1500 m circa di altitudine (Poldini & Bressan
2007).
Sui substrati carbonatici, invece, le associazioni principali sono Anemono Trifoliae-Abietetum Exner in Poldini
& Bressan 2007 ass. nova, abieteto della fascia montana
meso-endalpica che si estende da quote minime di 800-850
m a quote massime di 1550 m su suoli a reazione neutra, e
Laburno Alpini-Piceetum Zupancic 1999, pecceta montana
condizionata da situazioni climatiche a influenza subcontinentale con distribuzione altitudinale che va dai 650 m ai
1400 m di altitudine.
Alle quote più alte, invece, i boschi a conifere delle
Alpi orientali sono caratterizzati da altre quattro associazioni tipiche fortemente influenzate dai fattori edafici. Sui
substrati a reazione acida le associazioni principali sono
Homogyno alpinae-Piceetum Zukrigl 1973, pecceta del
piano subalpino che si estende da quote minime di 1500 m
a quote massime di 1800 m (talora 1900 m), prediligendo
substrati non carbonatici di tipo arenaceo (Poldini & Bressan
2007), e Larici-Pinetum cembrae (Pallmann et Haffter
1933) Ellenberg 1963, cembreta dei substrati acidi presente
su versanti freschi, prevalentemente esposti a N e a NW,
con pendenze variabili (5-50°) ma comprese soprattutto tra
20° e 30° (Sburlino et al. 2006). Sui substrati carbonatici,
invece, si possono trovare Homogyno sylvestris-Piceetum
Exner in Poldini & Bressan 2007 ass. nova, pecceta subalpina la cui fascia altitudinale si estende dai 1400 ai 1700 m
di altitudine, e Pinetum cembrae Bojko 1931, cembreta che
si estende anche fino ai 2200 m di quota e che si differenzia
a sua volta in due subassociazioni, a seconda che prediliga
pendii di pendenza lieve e tendenzialmente esposti a N o
pendii più ripidi con esposizione prevalentemente meridionale (Sburlino et al. 2006).
In tutto il territorio, i boschi si alternano a prati stabili
montani, in parte falciati e in parte sottoposti a intensa urbanizzazione. Come in tutte le Alpi, i prati da sfalcio costituiscono nel territorio indagato ambienti in rapida sparizione.
Questo vale in particolar modo per i triseteti, i quali, essendo
situati in aree montane remote, ormai non vengono quasi più
falciati e, pertanto, si incespugliano e tendono a ridiventare
bosco (Poldini & Oriolo 1995). Nel territorio in esame, i
prati stabili più diffusi sono attribuibili, alle quote inferiori
e in stazioni pianeggianti o subpianeggianti, a Centaureo
carniolicae-Arrhenatheretum elatioris Oberdorfer 1964
corr. Poldini et Oriolo 1995, un arrenatereto che comprende
prati da sfalcio sia di pianura che submontani fino attorno ai
1100-1200 m di quota, concimati e con reazione da neutra a
subacida (Poldini & Oriolo 1995). Ampiamente diffusa alle
altitudini maggiori e sui versanti più acclivi, invece, è l’as-
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 61-68
sociazione Centaureo transalpinae-Trisetetum flavescentis
(Marschall 1947) Poldini et Oriolo 1995, un triseteto in genere presente da 1000 m a circa 1900 m di quota su moderate
inclinazioni e su substrati basici o debolmente acidi.
Anche i paesaggi legati al pascolo sono molto diffusi nel territorio, benché in questi ultimi decenni siano
anch’essi, come i prati da sfalcio, per la gran parte in via di
abbandono e di incespugliamento. Le associazioni legate al
pascolo presenti nell’area in esame sono dei nardeti attribuibili a Homogyno alpinae-Nardetum Mráz 1956, SieversioNardetum strictae Lüdi 1948 e Knautio-Trifolietum nivalis
E. Pignatti et Pignatti 1988 (Poldini & Oriolo 1997). La
prima rappresenta la principale tipologia di pascolo degli
affioramenti acidi in corrispondenza delle casere, mentre
la seconda costituisce una tipologia di pascolo dei substrati
siltitici e arenacei che si estende dalla fascia altimontana a
quella subalpina. Knautio-Trifolietum nivalis, infine, è una
prateria d’alta quota e di pendio che si differenzia in distinte subassociazioni prevalentemente in funzione dei diversi
substrati (Buffa et al. 2002).
Molto estese nel territorio sono le superfici collocate
al di sopra dei consorzi arborati, tra i 2000 e i 2500 m circa
di altitudine. In quelle aree la vegetazione è caratterizzata da
arbusteti con dominanza di pino mugo (Pinus mugo Turra) e
di ericacee, e da pascoli alpini che si differenziano a seconda dei substrati. Con riferimento alla recente bibliografia
esistente sulle praterie naturali e semi-naturali del settore
italiano delle Alpi orientali, le associazioni probabilmente
più diffuse nel territorio esaminato sono Ranunculo hybridi-Caricetum sempervirentis Poldini et Feoli Chiapella in
Feoli Chiapella et Poldini 1994 sui substrati carbonatici,
e Loiseleurio-Caricetum curvulae (Giacomini et Pignatti
1955) Pitschmann et al. 1980 sui substrati a reazione acida. La prima si sviluppa a quote generalmente comprese
tra i 2000 e i 2200 m su versanti freschi e relativamente
acclivi (30-40°) (Sburlino et al. 1999), mentre la seconda
si sviluppa prevalentemente su substrati siltitici della fascia
subalpina (Poldini & Oriolo 1997).
Infine, numerose sul territorio, seppur di limitata estensione, sono le aree paludose con vegetazione tipica delle
torbiere basse (cariceti); diffuse in misura ancora maggiore
sono le fitte comunità pioniere a pino mugo che si sostituiscono alle foreste, indipendentemente dalla quota, laddove
si trovano pendici rocciose e detritiche non stabilizzate o
soggette a periodici fenomeni franosi e valanghivi.
3.
Metodi
I dati presentati in questo lavoro fanno riferimento a
225 profili scavati e descritti tra il 1997 e il 2007 in accordo
con le linee guida di Sanesi (1977); tutti gli orizzonti campionati sono stati analizzati con le medesime metodologie
ufficiali di analisi chimica del suolo (MIRAAF 1994), al
fine di rendere il più possibile comparabili tra loro le informazioni raccolte.
Per quanto riguarda le informazioni climatiche, i dati
termo-pluviometrici mensili relativi alle diverse aree sono
stati elaborati con il modello di Thornthwaite & Mather
(1957) al fine di ottenere il bilancio idrico dei suoli. Per tale
elaborazione è stato utilizzato, negli ultimi anni, un software sviluppato con Excel®2000 che consente di ricavare automaticamente il diagramma del bilancio idrico inserendo
65
in un foglio elettronico i dati stazionali, climatici ed edafici
di ciascuna località (Armiraglio et al. 2003). Sulla base del
bilancio idrico, per tutte le aree campionate prima del 2006
sono stati ridefiniti i regimi di umidità e temperatura del
suolo secondo i criteri previsti dalla più recente edizione
del sistema americano di classificazione dei suoli (Soil
Survey Staff 2006).
Infine, tutti i suoli oggetto di questo lavoro sono stati
rivisti e, quando necessario, nuovamente classificati sulla
base delle descrizioni di campagna, dei dati chimici e fisici
relativi a ciascun profilo e dei nuovi regimi di temperatura
e umidità identificati.
4.
Risultati E DISCUSSIONE
I dati raccolti mettono in evidenza l’elevata eterogeneità ambientale presente nell’intero territorio indagato.
Tale eterogeneità (soprattutto geologica, climatica e morfologica) comporta, come già segnalato per altre regioni
alpine (Sartori et al. 1997; Previtali 2002), una notevole
variabilità nell’intensità di azione e nell’interazione tra i diversi fattori della pedogenesi, determinando la formazione
di un’ampia gamma di tipologie pedologiche.
Nei siti oggetto d’indagine sono stati individuati diversi ambienti pedogenetici in base alla litologia, alla quota, e alle differenti condizioni climatiche e pedoclimatiche.
In particolar modo, sono state distinte le aree interessate
dalle porzioni sommitali dei principali gruppi montuosi,
collocate a quote superiori ai 2000 m, da quelle collocate
a quote inferiori. Le prime, che si estendono sino ad oltre i
3000 m di quota, sono costituite da territori con morfologia
molto varia, che comprendono sia versanti molto pendenti
su dolomie e calcari duri in gran parte privi di suolo, sia,
in minor misura, forme più dolci tipiche di litologie meno
resistenti all’erosione, di natura carbonatica o silicatica.
In queste aree i suoli hanno regime di temperatura cryico
e regime di umidità perudico (Soil Survey Staff 2006).
Trattandosi di aree situate, per la maggior parte, al di sopra
del limite del bosco, in esse la vegetazione è costituita in
prevalenza da pascoli d’alta quota e da praterie alpine e,
solo in minor misura, alle quote più basse, da mughete o
alnete, rodoreti e boschi radi di conifere.
Le aree collocate a quote inferiori, tra i 600 m e i 2000
m circa di altitudine, sono invece caratterizzate da versanti con pendenze medie, modellati durante il corso delle
glaciazioni del Quaternario e caratterizzati dalla presenza
di estese coltri detritiche di origine glaciale o di versante
stabilizzate dalla vegetazione. In queste aree i suoli hanno
regime di temperatura mesico o frigido e regime di umidità
da udico a perudico (Soil Survey Staff 2006). La vegetazione è costituita prevalentemente da peccete, cembrete e
abieteti; questi boschi sono sostituiti da pascoli, dove le
pendenze sono più lievi, e da mughete, dove la pendenza è
maggiore ed i versanti sono più instabili.
A partire dalle differenze climatiche e pedoclimatiche
alle diverse quote, sono state distinte poi diverse sequenze
evolutive sulla base della litologia. Sia alle quote superiori
che a quelle inferiori ai 2000 m affiorano litotipi carbonatici
(dolomie, calcari litoidi e detriti di natura calcareo-dolomitica, argilliti, marne e altre rocce di origine sedimentaria)
e litotipi silicatici (arenarie, rocce metamorfiche, monzoniti e porfiriti, materiali sciolti di natura esclusivamente
66Zilioli & Bini
Dieci anni di ricerche pedologiche in ambiente alpino
Fig. 1 - Modello evolutivo dei suoli in ambiente dolomitico su differenti substrati e a quote superiori e inferiori ai 2000 m s.l.m. A sinistra
suoli su materiali carbonatici, al centro suoli su substrati misti carbonatico-silicatici o rinvenibili su entrambi i substrati, e a destra suoli su
materiali silicatici. In basso sequenza di suoli in aree umide e depresse.
Fig. 1 - Flow diagram showing soil evolution in Dolomites region from different parent materials at altitudes higher and lower than 2000
m a.s.l. Left soils on calcareous parent materials, center soils on mixed calcareous-siliceous parent materials or found on both substrates,
right soils on siliceous parent materials.
o prevalentemente silicatica), sui quali si impostano suoli
molto diversi tra loro, rispettivamente da calcarei a privi di
carbonati, da subalcalini a decisamente acidi. Particolare
rilevanza hanno i materiali detritici a litologia mista silicatico-carbonatica, che creano una sorta di linea di continuità
tra i due domini litologici sopra descritti.
Sui litotipi carbonatici sono molto diffusi i suoli
scarsamente evoluti, sottili, ricchi in scheletro e con scarsa
differenziazione del profilo, con reazione da subalcalina
ad alcalina (Udorthents o Cryorthents saturi), da litici a
tipici al variare della pendenza o della natura del substrato
(litoide o sciolto). Si tratta in tutti i casi di suoli caratterizzanti le situazioni di maggiore erodibilità per instabilità o
elevata pendenza dei versanti. L’evoluzione del suolo su
questi substrati procede poi attraverso i suoli umo-calcarei
(Cryrendolls e Haplocryolls o Haprendolls a seconda della quota) ed i suoli brunificati (Eutrudepts o Eutrocryepts
saturi). Per lo sviluppo dei primi, distinti in diversi sottogruppi in funzione di pendenza, profondità e grado di
differenziazione del profilo (Lithic/Typic Cryrendolls e
Lithic/Typic/Inceptic Haprendolls), particolarmente incisi-
vo è il ruolo della sostanza organica che, in questi ambienti, determina la formazione di complessi organico-minerali
molto stabili, con la conseguente formazione di suoli con
orizzonte superficiale molto scuro e ricco in basi (epipedon mollico). Si tratta, in ogni caso, di suoli da poco a
moderatamente profondi, sempre molto ricchi in scheletro,
con reazione da subalcalina ad alcalina. I suoli iso-umici
rappresentano solo una modesta percentuale dei suoli campionati, in quanto, in condizioni di precipitazioni abbondanti, drenaggio rapido e materiale detritico con presenza
di elementi silicatici, essi sono sottoposti nel tempo ad una
lisciviazione piuttosto spinta che comporta una parziale
desaturazione del profilo, con passaggio da un epipedon
di tipo mollico ad uno di tipo umbrico. In seguito a questo processo si formano i suoli bruni più o meno calcarei
che, soprattutto alle quote più basse, rappresentano i suoli
maggiormente diffusi in ambiente carbonatico. Essi sono
moderatamente profondi, hanno reazione da subalcalina a
neutra e presentano un profilo maggiormente differenziato,
con orizzonte cambico. In alcuni casi, la desaturazione può
essere così spinta da portare a suoli bruni decarbonatati,
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 61-68
privi di carbonati in tutto il profilo. Il diverso grado di
desaturazione e/o approfondimento di questi suoli trova
espressione nei numerosi sottogruppi in cui essi si articolano (Typic Haplocryepts e Humicryepts o Lithic/Typic/
Rendollic/Dystric Eutrudepts).
Anche negli ambienti silicatici sono molto diffusi i
suoli scarsamente evoluti. Essi si possono riscontrare nelle
stazioni a maggiore pendenza e in situazioni di elevata instabilità dei versanti. Si tratta di suoli sottili, ricchi in scheletro e con scarsa differenziazione del profilo, con reazione da subacida ad acida (Udorthents e Cryorthents acidi).
I sottogruppi in cui si differenziano variano soprattutto in
funzione della pendenza, della profondità del profilo e del
tipo di substrato (Lithic/Typic Udorthents e Cryorthents).
L’evoluzione sui substrati silicatici segue poi la tipica sequenza dei suoli desaturati, che vede lo sviluppo ulteriore
in suoli bruni parzialmente desaturati da neutri a subacidi
(Humicryepts e Haplocryepts o Eutrudepts) su materiali
detritici a litologia mista silicatico-carbonatica, e in suoli
bruni acidi (Dystrocryepts e Dystrudepts) su materiali di
natura esclusivamente silicatica. In tutti i casi si tratta di
suoli moderatamente profondi, con maggiore differenziazione del profilo rispetto ai precedenti e orizzonte cambico; soprattutto alle quote più basse, sono i maggiormente
diffusi in ambiente silicatico. Solo una piccola parte dei
suoli indagati mostra un livello di evoluzione ulteriore,
con grado ancora maggiore di differenziazione del profilo.
Si tratta in questo caso di suoli podzolici per la maggior
parte moderatamente profondi in cui si sono verificati
processi di traslocazione in profondità di sesquiossidi
di ferro e alluminio e/o di sostanza organica che hanno
portato alla formazione di orizzonti spodici; tali processi
possono essere stati a volte deboli (Spodic Dystrudepts),
a volte piuttosto intensi (Haplocryods e Placocryods o
Haplorthods e Haplohumods). Nel caso di un deciso processo di podzolizzazione, tipico delle superfici a maggiore
stabilità, il diverso grado di sviluppo del profilo sulla base
dei caratteri stazionali più o meno favorevoli ai processi di
traslocazione trova espressione nei numerosi sottogruppi
in cui questi suoli si articolano (Entic/Typic Haplocryods
e Placocryods o Lithic/Entic Lithic/Typic Haplorthods e
Haplohumods).
Un cenno particolare meritano i suoli con evidenti fenomeni di idromorfia, in genere non strettamente correlati
alla litologia del substrato su cui si sviluppano ma piuttosto
alla localizzazione in aree depresse oppure su materiali con
abbondante matrice fine, quali i depositi palustri o i materiali derivanti dall’alterazione in situ di siltiti o argilliti (Aquic
Udorthents e Aquic Cryorthents o Aquic Eutrudepts).
Nelle aree umide e depresse, indipendentemente da quota e substrato, è l’oscillazione della falda a influenzare le
tipologie di suolo, indirizzandone l’evoluzione da tipi ad
alto contenuto di sostanza organica poco decomposta, prevalentemente saturi in acqua (Hydric Haplofibrists, Hydric/
Fluvaquentic Haplohemists e Typic Haplosaprists), verso
tipi più minerali, con spessore via via maggiore e con periodi di saturazione idrica sempre più brevi man mano che ci si
allontana dal centro della depressione (Typic Endoaquents,
Aquic Udorthents e Aquic/Aquic Dystric Eutrudepts).
Tutte le osservazioni qui riportate possono essere riassunte nel diagramma in figura 1, che mostra gli scenari
evolutivi del suolo sui diversi substrati alle altitudini elevate e a quelle medio-basse.
67
5.
CONCLUSIONI
Il modello di evoluzione del suolo in ambiente alpino
qui descritto è stato verificato su 56 suoli della Val di Fassa
(Zilocchi 2004) attraverso l’applicazione sperimentale
dell’indice di sviluppo del profilo, secondo il metodo del
Profile Development Index (PDI) (Harden 1983) adattato all’ambiente montano. I valori di quest’ultimo hanno
consentito di confermare i trend evolutivi ipotizzati per
l’ambiente dolomitico e di costruire, per l’area indagata, un
modello di pedogenesi che non fosse solo qualitativo, ma
semi-quantitativo.
Per quanto riguarda il grado di importanza che i diversi fattori della pedogenesi assumono in ambiente alpino, nel corso di questo lavoro è stato possibile osservare i
caratteri stazionali maggiormente determinanti nel definire
la pedodiversità del territorio studiato: in primo luogo il
fattore climatico e il substrato litologico, in secondo luogo il fattore geomorfico. Un cenno a parte merita la vegetazione, poiché le diverse situazioni indagate mostrano
differenti livelli di concordanza fra associazioni vegetali e
classificazione genetica del suolo, a seconda delle diverse
condizioni ambientali: in alcuni casi tale corrispondenza
è biunivoca, in altri piuttosto labile (Sburlino et al. 1999;
Bini et al. 2002).
In futuro ci si propone di sottoporre tutti i dati stazionali ed i caratteri intrinseci dei suoli indagati a trattamento
statistico, per meglio definire il ruolo di copertura vegetale,
quota, pendenza ed esposizione sulla pedogenesi dei suoli
alpini. In questo modo si potrà anche elaborare un modello
semi-quantitativo dei suoli in ambiente alpino a maggior
livello di dettaglio, che tenga conto, all’interno dei diversi
domini litologici e delle diverse fasce altitudinali, del ruolo
di questi fattori nell’indirizzare la pedogenesi in una direzione piuttosto che in un’altra.
Ringraziamenti
Ringraziamo Elisa D’Onofrio, Giulia Fruscalzo,
Sandro Giavatto, Daniele Mion, Fabiola Schena, Silvia
Trivellato e Lucia Zilocchi per aver attivamente contribuito
nel corso di questi anni al rilevamento, alla cartografia e
all’analisi dei suoli oggetto di questa indagine.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Stock attuale di carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto
Adriano GARLATO1*, Silvia OBBER1, Ialina VINCI1, Giacomo SARTORI2 & Giulia MANNI1
ARPA Veneto, Unità Operativa Suolo, Via Baciocchi 9, 31033 Castelfranco V.to (TV), Italia
Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italia
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
1
2
RIASSUNTO - Stock attuale di carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto - Il carbonio organico nel suolo (SOC) è stato
identificato come la principale riserva terrestre di carbonio organico. I dati provenienti da 543 profili di suolo, rappresentativi di tutti
i diversi pedoambienti dell’area montana e prealpina del Veneto, studiati nel periodo 1996-2006, sono stati utilizzati per determinare
lo stock di carbonio. Il carbonio stoccato nell’humus, determinato su 317 profili che avevano la descrizione degli orizzonti organici, è
risultato pari a 31,7 t ha-1 (mediana), mentre nei primi 30 cm di suolo minerale pari a 57,5 t ha-1, che diventano 69,4 t ha-1 includendo
gli orizzonti organici. Nel primo metro i quantitativi aumentano fino a 88,5 e 102,6 t ha-1 rispettivamente. Il contributo del C contenuto
nell’humus varia tra 17%, nel caso del SOC dei primi 30 cm, a 14% nel caso del SOC calcolato sul primo metro. Dall’esame delle relazioni
tra SOC e diversi parametri quali quota, forme di humus, uso del suolo e tipologie di suolo, sono emerse alcune differenze statisticamente
significative. Sono stati infine valutati possibili scenari futuri nell’ottica dei cambiamenti climatici che potranno investire le zone montane
nel prossimo futuro.
SUMMARY - The actual stock of organic carbon in the mountain soil profiles of Veneto Region - Soil organic carbon (SOC) has been
identified as the main global-terrestrial carbon reservoir. To assess organic carbon stocks within soil mineral and organic (humus) horizons,
data collected in the period 1996-2006 from 543 mountain soil profiles (representative of Veneto mountain and prealpine area in terms
of climate, geology, topography and forest type distribution) were used. Organic carbon stocked within organic horizons, determined
by means of 317 soil profiles where organic horizons had been fully described, resulted equal to 31.7 t ha-1 (median), whereas within
0-30 cm of mineral soil equal to 57.5 t ha-1, that becomes 69.4 t ha-1 including organic horizons; within 0-100 cm soil stocks increase up
to 88.5 and 102.6 t ha-1 respectively. Organic horizon contribution to total SOC goes from 17%, for 0-30 cm of soil, to 14% for 0-100
cm. Examining relationships between SOC and different parameters, like altitude, humus form, land use, soil type, some statistically
significant differences emerged. Eventually some scenarios have been evaluated from the viewpoint of global climatic change that will
involve mountain areas in the near future.
Parole chiave: suoli montani, Regione Veneto, carbonio organico, stock di carbonio, forme di humus
Key words: mountain soils, Veneto Region, organic carbon, carbon stock, humus forms
1.
INTRODUZIONE
Il suolo costituisce un’importante riserva di carbonio
organico e gioca un ruolo fondamentale nel ciclo globale
del carbonio stesso. Secondo Batjes (1996), a livello planetario i suoli minerali e organici stoccano circa 1505 Pg C,
superando il pool complessivo di carbonio della vegetazione (610 Pg C) e dell’atmosfera (750 Pg C).
Poiché l’emissione annuale di CO2 che si libera
nell’atmosfera dalla decomposizione della sostanza organica prodotta dagli ecosistemi terrestri ammonta a circa 5060 Pg C (McGuire et al. 1995), quantità che corrisponde a
circa un ordine di grandezza in più rispetto alle emissione
antropiche, è evidente che cambiamenti anche piccoli che li
riguardano possono influenzare fortemente il ciclo globale
del carbonio.
È noto che i suoli di montagna sono molto ricchi in
sostanza organica (almeno in termini di contenuto percentuale di C), ma i quantitativi in essi presenti dipendono da
diversi fattori sia esterni al suolo (clima, topografia, uso del
suolo) che interni (drenaggio, tessitura, contenuto in carbonati, ecc.). La stima si rivela quindi particolarmente difficoltosa, proprio perché negli ambienti montani questi fattori variano spazialmente in modo molto rapido (Prichards
et al. 2000).
La disponibilità di dati misurati relativi ai contenuti
in carbonio organico dei diversi orizzonti del suolo e alla
densità apparente degli stessi consente di formulare delle
stime affidabili e l’affidabilità aumenta notevolmente quando sono disponibili dati anche sugli orizzonti organici di
superficie (humus).
L’obiettivo di questo lavoro è quello di quantificare il
contenuto in carbonio organico dei suoli della montagna veneta sia negli orizzonti minerali che nell’humus. Particolare
attenzione verrà posta all’andamento del carbonio in rapporto alla profondità e, per poter prevedere eventuali dinamiche, alle variazioni che esso subisce in base al mutare
delle caratteristiche ambientali.
70
Garlato et al.
2.
MATERIALI E METODI
2.1.
Area di studio
In Veneto l’area montana occupa una superficie di 6830
km2, poco meno del 40% della superficie totale regionale
(ARPAV 2005). La quota varia dai circa 100 metri dei fondovalle prealpini agli oltre 3000 metri delle principali cime
dolomitiche. Gran parte del territorio è ricoperta da vegetazione naturale, boschi e secondariamente pascoli, mentre le
aree coltivate sono meno del 5% (EEA 2000).
Dal punto di vista geologico, il settore alpino del
Veneto presenta una notevole variabilità, passando dalle
rocce metamorfiche del basamento cristallino alla Dolomia
Principale dei gruppi montuosi più importanti della regione, attraverso le litologie della successione stratigrafica
calcarea e terrigena dolomitica. Alle diverse litologie corrispondono forme molto differenziate: aspre e ad alta energia
nei rilievi dove prevale la dolomia, arrotondate e meno pendenti in corrispondenza di rocce vulcaniche e terrigene.
Nell’area prealpina i litotipi più diffusi sono calcarei,
distinguibili in una porzione più o meno pura e in una che
presenta una certa percentuale di componente terrigena
(calcari marnosi). Nella Lessinia orientale sono presenti basalti del vulcanesimo terziario, mentre nella zona di
Recoaro e delle Piccole Dolomiti, a causa di particolari
condizioni tettoniche, emerge una successione stratigrafica
più antica, permo-triassica, la cui evoluzione è analoga a
quella dei rilievi alpini dolomitici (ARPAV 2005).
Dal punto di vista climatico, la montagna veneta
presenta temperature che aumentano procedendo da nord
verso sud, dalle Alpi verso le Prealpi. Le temperature medie
annue variano dagli 0 °C delle quote più alte ai 7 °C della
zona prealpina: occorre comunque tenere conto che oltre
all’altitudine anche l’esposizione ha una notevole influenza
su questo parametro. Le precipitazioni sono più intense in
corrispondenza dei rilievi prealpini e diminuiscono nella
fascia alpina che ha un clima più continentale. Le zone più
piovose raggiungono i 2000 mm anno-1 nel recoarese, mentre nell’ampezzano tale quantitativo si dimezza.
Nell’area prealpina prevalgono le latifoglie, con ornoostrieti a bassa quota e faggete e abieteti a quote superiori.
In area alpina prevalgono le conifere (peccete), anche se
il faggio è ancora presente almeno nella fascia montana;
in alta quota esse vengono sostituite da lariceti e laricicembreti, e quindi dalle praterie e dai pascoli.
2.2.
Banca dati sui suoli
Tutte le osservazioni pedologiche relative al Veneto
sono state inserite in una banca dati regionale dalla struttura alquanto complessa, contenente informazioni sia sulla
stazione (quota, vegetazione, ecc. ) sia sui singoli orizzonti
descritti (spessori, tessitura, ecc.). Per questo lavoro, dalla
banca dati è stato estratto un sottoinsieme di 543 profili descritti in zona montana e prealpina aventi il requisito minimo di possedere dati analitici relativi al carbonio organico
almeno fino a 30 cm di profondità.
La quota media dei profili presi in considerazione è
di poco inferiore ai 1100 metri s.l.m., con valori minimi a
165 metri nei fondovalle prealpini e massimi a 2370 metri
nell’Alta Val Comelico. La maggior parte dei suoli ricade
nella fascia fitoclimatica montana e submontana, mentre
Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto
meno del 10% dei suoli indagati si trova nelle fasce subalpina e alpina.
Le tessiture superficiali prevalenti sono franco-limose
e franche, anche se non mancano termini più fini, francoargillosi e franco-limoso-argillosi, e più grossolani, prevalentemente franco-sabbiosi. In profondità le tessiture sono
mediamente più grossolane, con prevalenza delle classi
franche e franco-sabbiose. Il contenuto in scheletro è abbastanza elevato (mediamente circa il 25% nei primi 50 cm)
e aumenta ulteriormente con la profondità (oltre il 40%,
mediamente, tra 50 e 100 cm).
L’uso prevalente del suolo è quello a bosco, con una
dominanza delle conifere e dei cedui; seguono i pratipascoli e i pascoli, mentre in aree coltivate sono meno del
10% dei profili, gran parte dei quali in Valbelluna o lungo i
fondovalle alpini.
Le tipologie di suolo più diffuse (ARPAV 2005), secondo la classificazione ecologica di Duchaufour (2001),
sono i rendzina (Leptosols e Phaeozems secondo la versione del 2006 del World Reference Base; FAO 2006) e i suoli
bruni calcarei (Cambisols calcarei) sui substrati carbonatici
duri, i suoli bruni lisciviati (Luvisols) a quote inferiori e
prevalentemente sui substrati marnosi, mentre sui substrati silicatici prevalgono i suoli bruni ocrici (Cambisols
districi); i veri e propri podzols umo-ferrici sono quasi
completamente assenti, anche per la mancanza di substrati
fortemente acidi.
Per l’ambiente di montagna, oltre alla stima del carbonio organico stoccato nei suoli, è fondamentale considerare anche l’apporto del carbonio inglobato negli orizzonti
organici di superficie (humus) che, secondo recenti studi
(Galbraith et al. 2003; Schulp et al. 2008), può costituire
tra il 10 e il 30% del carbonio totale.
La disponibilità di dati, per 317 profili, sulla tipologia
degli orizzonti olorganici e sul loro spessore, ha permesso
di stimare i contenuti di carbonio organico anche per gli humus, mentre è stato escluso dal calcolo il carbonio stoccato
dalla lettiera. Le tipologie di humus più diffuse (Sartori et
al. 2009) sono rappresentate dagli Amphimull e dai Dysmull,
secondo il Référentiel Pédologique (AFES 1995), i quali
sono presenti prevalentemente sui suoli a reazione neutra o
alcalina; sui suoli acidi, meno diffusi, sono invece comuni i
moder (il 10% degli humus indagati). Forme di humus più
attive, Eumull, Mesomull e Oligomull sono relativamente
meno diffuse, e si presentano in circa il 20% del data-set.
L’arco temporale del rilevamento distribuito in circa
una decina d’anni (1996-2006) crea un problema di disomogeneità nella banca dati. Dalla bibliografia emerge però
che variazioni cospicue nel contenuto di sostanza organica
nel suolo si realizzano in intervalli di tempo dell’ordine di
dieci anni solo quando contemporaneamente vengono modificati profondamente gli input. Perruchoud et al. (1999)
a questo proposito affermano che un incremento del 10%
nel SOC nel topsoil richiede almeno dieci anni di tempo
se contemporaneamente gli input della lettiera vengono aumentati di un terzo. Variazioni di tale entità possono essere
comunque escluse in Veneto, vista la relativa stabilità nella
gestione degli ambiti forestali.
2.3.
Analisi chimiche
Sono stati utilizzati due metodi per determinare il
carbonio organico degli orizzonti analizzati (1406 minera-
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81
71
li e 55 organici di superficie): il metodo dell’analizzatore
elementare e il metodo Walkley-Black. Il secondo metodo
è stato quello più utilizzato, ma a causa della nota tendenza
a sottostimare il valore di carbonio organico, soprattutto se
in elevate concentrazioni, per campioni con alti contenuti
di sostanza organica e in assenza di carbonati si è preferito
il primo metodo.
L’esistenza di numerosi campioni analizzati con entrambe le metodiche ha permesso di creare delle rette di
regressione, impiegate per convertire i valori ottenuti con
l’analizzatore elementare nel metodo Walkley-Black, che
hanno consentito un confronto dei dati.
misure di densità apparente in campagna sono soggette a
una notevole incertezza a causa del metodo di misura che,
già suscettibile di errori negli orizzonti minerali, diventa
ancor meno affidabile negli olorganici. Nel caso del Veneto,
la densità degli orizzonti olorganici è stata misurata attraverso il metodo dello scavo. Una conferma dell’elevato
errore di questa misura è data dal fatto che i valori medi
di densità negli orizzonti OH risultano più bassi rispetto ai
valori misurati negli orizzonti OF.
La probabile sovrastima dei dati impiegati (stimati)
rispetto ai dati misurati si ripercuote tal quale sulla determinazione dello stock di carbonio.
2.4.
2.5.2. Orizzonti minerali
Calcolo dello stock di carbonio
Lo stock di carbonio (SOC) di ogni singolo suolo
analizzato si ottiene dal prodotto, effettuato per ogni orizzonte, tra il quantitativo ponderale di carbonio e la densità
apparente dell’orizzonte, sottraendo il volume occupato dai
frammenti grossolani:
dove: SOCtot= stock di carbonio organico nel suolo (C.O. t/
ha); SOC= concentrazione di carbonio organico del singolo orizzonte (C.O. g kg-1 di suolo); Bulk Density= densità
apparente dell’orizzonte (t di suolo m-3); Depth= profondità
dell’orizzonte (m); Frag= percentuale in volume dei frammenti grossolani nell’orizzonte.
2.5.
Determinazione della densità apparente
2.5.1. Orizzonti organici (humus)
In bibliografia non sono molti i lavori dove è stato
calcolato lo stock di carbonio per gli orizzonti organici
partendo da valori di densità misurati in campagna e non
attraverso pedofunzioni (Vejre et al. 2003; Hedde et al.
2007; Schulp et al. 2008). In Veneto erano disponibili solo
18 orizzonti organici con dati misurati sia di carbonio che
di densità. Per questo motivo, a differenza di quanto è stato fatto per gli orizzonti minerali, dove la mole di dati di
densità ha permesso la taratura di pedofunzioni ad hoc, per
gli humus si è preferito utilizzare la pedofunzione di Hollis
definita per gli orizzonti organici (Hollis & Woods 1989;
BD= -0,00745*C%+0,593). Il confronto tra dati misurati e
valori stimati (Tab. 1) evidenzia una probabile sovrastima
da parte di questi ultimi. Vale però la pena ricordare che le
Per gli orizzonti minerali la disponibilità di dati misurati (144 orizzonti) ha permesso di creare delle pedofunzioni
ad hoc per la stima della densità a partire dai dati tessiturali
e dal contenuto in sostanza organica. In particolare sono
state derivate due pedofunzioni (Ungaro 2009), una valida
per gli orizzonti organo-minerali di superficie (A, AE, AB,
ecc.) ed una per gli orizzonti profondi (B, C, BC, ecc.). Il
confronto tra queste pedofunzioni e quelle disponibili in bibliografia ha sempre, in termini di accuratezza e precisione,
favorito le prime (Ungaro 2009).
3.
RISULTATI E DISCUSSIONE
3.1.
Stock di carbonio nell’humus
In bibliografia viene stimato che il carbonio stoccato
nell’humus può variare tra un minimo di 8 e un massimo
del 30% del totale stoccato nel suolo (Schulp et al. 2008,
Galbraith et al. 2003; Vejre et al. 2003; Prichard et al. 2000;
Huntington et al. 1988).
Per gli orizzonti organici per cui si disponeva solo
del dato di carbonio organico, senza la misura della densità apparente in campagna (N= 55), è stata stimata la
densità e si sono ottenuti dei valori medi di carbonio (t
ha-1) per centimetro di spessore (Tab. 2). Dalla lettura
della tabella è evidente che le differenze in stock di carbonio tra gli orizzonti OF, OH e gli orizzonti designati
genericamente come O (quindi OF e/o OH) sono molto
ridotte: mediamente lo stock si aggira su valori di 9 t ha-1
per centimetro di spessore. Ad un maggior contenuto di
carbonio degli orizzonti OF, corrisponde infatti una densità leggermente più bassa rispetto a quella stimata per
gli orizzonti OH.
A questo punto a tutti gli orizzonti organici per i quali
non si disponeva di dati misurati (N= 365) ma solo della
Tab. 1 - Statistiche descrittive della densità apparente (BD= bulk density) misurata e stimata per gli orizzonti organici.
Tab. 1 - Descriptive statistics of measured and estimated bulk density (BD) of organic horizons.
BD misurata
Mediana
Media
BD stimata
CV (%)
Mediana
Media
CV (%)
N
Orizzonti OF
0,13
0,18
56
0,28
0,30
13
8
Orizzonti OH
0,13
0,12
42
0,29
0,33
24
3
Orizzonti O (generici)
0,20
0,20
45
0,38
0,27
22
8
72
Garlato et al.
Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto
Tab. 2 - Statistiche descrittive dello stock di carbonio organico
(t/ha) per centimetro di spessore ottenuto da tutti gli orizzonti
organici per i quali erano disponibili dati analitici sul carbonio
organico.
Tab. 2 - Descriptive statistics of organic carbon stock (t/ha) for
cm depth, obtained by means of available analysis of organic
horizons.
Mediana
Media
CV (%)
N
Orizzonti OF
9,0
8,7
3
27
Orizzonti OH
8,8
8,4
21
12
Orizzonti O (generici)
9,0
7,7
9
16
descrizione morfologica di campagna, sono stati attribuiti
valori medi di carbonio in base alla tipologia di orizzonte
organico e al suo spessore.
Occorre qui ribadire che la scelta di utilizzare per l’intero dataset i valori di densità apparente stimata determina
dei contenuti mediamente più alti di quanto si otterrebbe
usando dati misurati, e questa possibile sovrastima deve
essere tenuta in considerazione leggendo tutte le valutazioni che seguiranno. È comunque importante notare che, sia
utilizzando il dato stimato che quello misurato, pochi centimetri di humus sono sufficienti ad aumentare il contenuto
di carbonio del suolo di 10-20 t ha-1. Ciò deve far riflettere,
visto che in letteratura nella maggior parte degli studi sulle
stime dello stock di carbonio organico del suolo l’humus
non viene tenuto in considerazione.
Il valore medio del carbonio stoccato negli orizzonti
organici dei 317 profili che avevano la descrizione degli
orizzonti organici è pari a 41,7 t ha-1 (mediana 31,2) con
valori minimi pari a 0, dove è presente solo l’orizzonte OL
e mancano gli orizzonti OF e OH, e valore massimo di oltre
200 t ha-1, per un suolo con orizzonti organici di oltre 20 cm
di spessore (Tab. 3).
L’analisi della varianza per tipologie di humus suddivise in base alla proposta di Jabiol et al. (2004) ha permesso
di determinare la significatività per ciascuna forma di humus
rispetto allo stock di carbonio utilizzando un test di significativà delle medie (p <0,05) corretto per la diversa consistenza
numerica dei gruppi (Tukey-Kramer unequal N HSD test).
I Mull hanno un contenuto medio negli orizzonti organici di 15,4 t ha-1, gli Amphi 52,3 t ha-1 e i Moder
68,0, con differenze statisticamente significative tra Mull
e Amphi, e tra Mull e Moder; la stessa gerarchia, seppure
con differenze minori, e non significative, si mantiene anche per il rispettivo suolo minerale di ciascuna tipologia di
humus, sia nei primi 10 cm che nei 30 cm (Fig. 1). Andando
a vedere la distribuzione del carbonio nel suolo minerale,
si trova che nei suoli con humus di tipo Mull gran parte del
carbonio del profilo è stoccato negli orizzonti minerali, con
valori del 78% del carbonio nel suolo minerale, rispetto al
Fig. 1 - Box & whisker plots dello stock di carbonio (t ha-1)
nell’humus, nei primi 10 cm e nei primi 30 cm di suolo minerale,
per le diverse tipologie di humus (Jabiol et al. 2004).
Fig. 1 - Box & whisker plots of carbon stock t ha-1 in the organic
horizons, in 0-10 cm layer and 0-30 cm layer of mineral soil for
different humus forms (Jabiol et al. 2004).
Tab. 3 - Statistiche descrittive del contenuto di carbonio (%) e dello stock di carbonio (t ha-1) per gli humus del Veneto.
Tab. 3 - Descriptive statistics of organic carbon content (%) and stock (t ha-1) for organic horizons in the Veneto region.
Mediana
Media
CV (%)
Minimo
Massimo
N
Corg humus (%)
26,1
25,4
13
12,5
33,4
284
C stock humus (t/ha)
31,2
41,7
93
0
208
317
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81
73
Differenze nello stock di carbonio dell’humus esistono anche tra le diverse classi tassonomiche del Référentiel
Pédologique (AFES 1995). Ai valori molto bassi delle forme
più attive (Eumull, Mésomull, Oligomull) corrispondono valori maggiori per i Dysmull e gli Amphimull (Fig. 2) e anche
nei moder si osserva un trend crescente dalle forme più attive
(Hémimoder e Eumoder) a quelle meno attive (Dysmoder).
Esistono differenze statisticamente significative (p<0,05) tra
diverse coppie (Oligomull-Dysmull, Oligomull-Amphimull,
Oligomull-Dysmoder, Oligomull-Eumoder, MesomullDysmoder, Dysmull-Amphimull, Dysmull-Dysmoder).
3.2.
Stock di carbonio nei suoli
Di seguito vengono presentate le elaborazioni statistiche sui contenuti in carbonio organico nei primi 30 cm di
suolo, nei primi 100 cm, con e senza humus, espressi in %
(Tab. 4, Fig. 3) e in t ha-1 (Tab. 5, Fig. 3). Da tutte le elaborazioni statistiche sono stati esclusi i suoli organici (Histosols
secondo il WRB) tipici delle aree di torbiera che, oltre ad
essere poco numerosi (in relazione alla scarsa diffusione)
nella popolazione studiata, hanno dei valori medi molto
elevati. La media infatti dei 5 profili analizzati, includendo
gli orizzonti organici è di 247 t ha-1 con un contenuto medio
di carbonio del 18%, nei primi 30 cm di suolo, che diventano 625 t ha-1 prendendo in considerazione il primo metro
(carbonio organico medio: 11,6%).
Fig. 2 - Stock di carbonio (t ha-1) negli orizzonti organici delle
diverse classi tassonomiche di humus (AFES 1995).
Fig. 2 - Organic carbon stock (t ha-1) in organic horizons for
different humus taxonomy classes (AFES 1995).
49% degli Amphi e al 52% dei Moder; le quantità totali di
carbonio organico nel suolo (orizzonti minerali + humus)
restano comunque inferiori a quelle dei suoli con humus
Moder o Amphi e di conseguenza i corrispettivi suoli risultano relativamente “poveri” in carbonio.
Tab. 4 - Statistiche descrittive del contenuto in carbonio organico (%) nei primi 30 e 100 cm di profondità per il suolo minerale e, per le
stesse profondità, includendo anche gli orizzonti organici.
Tab. 4 - Descriptive statistics of organic carbon content (%), in 0-30 cm mineral soil and 0-100 cm mineral soil, with and without organic
horizons contribution.
Suolo minerale (0-30 cm)
Mediana
Media
CV (%)
Minimo
Massimo
N
2,9
3,6
63
0,7
15,6
471
Suolo compreso humus (0-30 cm)
3,7
4,9
71
0,6
22,2
471
Suolo minerale (0-100 cm)
1,3
1,6
62
0,2
7,9
468
Suolo compreso humus (0-100 cm)
1,5
2,0
66
0,2
7,7
468
180
300
Suolo compreso humus
Suolo
Humus
160
140
250
200
N. di profili
N. di profili
120
Humus
Suolo compreso humus
Suolo
100
80
60
150
100
40
50
20
0
0-25
25-50
50-75
75-100
100-125
125-150
150-175
200-225
carbonio organico (t/ha)
225-250
250-275
275-300
0
0-1
1-2
2-3
3-5
5-10
carbonio organico (%)
10-20
20-30
30-40
Fig. 3 - Istogramma di frequenza del contenuto medio in carbonio organico (%) e dello stock (t ha-1) nell’humus, nei primi 30 cm di
profondità di suolo minerale (min) e in entrambi (humus + min).
Fig. 3 - Frequency histogram showing average organic carbon content (%) and stock (t ha-1) in the organic horizons, in 0-30 cm layer of
mineral soil and in both organic and 0-30 cm mineral soil.
74
Garlato et al.
Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto
Tab. 5- Statistiche descrittive dello stock di carbonio organico (t ha-1) nei primi 30 e 100 cm di profondità per il suolo minerale e includendo
anche gli orizzonti organici, e rapporto tra lo stock di carbonio nei primi 30 cm e quello nello strato sottostante (30-100 cm).
Tab. 5 - Descriptive statistics of organic carbon stock (t ha-1), in 0-30 cm soil and 0-100 cm soil, with and without organic horizons
contribution, and ratio between SOC of 0-30 cm soil and SOC of 30-100 cm, with and without organic horizons contribution.
Suolo minerale (0-30 cm)
Mediana
Media
CV (%)
Minimo
Massimo
N
57,5
63,4
50
8,8
194,3
471
Suolo compreso humus (0-30 cm)
69,4
77,6
53
9,6
267,1
471
Suolo minerale (0-100 cm)
88,5
96,9
51
10,2
399,1
468
Suolo compreso humus (0-100 cm)
102,6
109,6
49
10,2
399,1
468
Rapporto 0-30/30-100 cm
1,9
3,6
ND
0,4
69,1
422
Rapporto 0-30/30-100 cm (con humus)
2,5
4,4
ND
0,4
88,7
424
La mediana del carbonio stoccato nei suoli della
montagna veneta (Tab. 5) è pari a 57,5 t ha-1 nei primi 30
cm (media: 63,4 t ha-1), che diventano 69,4 t ha-1 includendo
gli orizzonti organici; nel primo metro i quantitativi aumentano fino a 88,5 e 102,6 t ha-1 rispettivamente. L’entità
della sottostima in ambito forestale nel momento in cui il
contributo dell’humus non venga conteggiato, va dal 17%,
nel caso del SOC dei primi 30 cm, al 14% nel caso del SOC
calcolato sul primo metro.
I valori del Veneto sembrano essere notevolmente
inferiori rispetto a quelli medi riportati da Solaro e Brenna
(2005) per i suoli della montagna lombarda, dove sono stati
calcolati valori medi di 87,1 t ha-1 (0-30 cm) e di 154,7 (0100 cm), che si abbassano a 80,1 e 127,3 t ha-1 in ambiente
prealpino. Valori simili si osservano anche per la regione
Piemonte (Petrella & Piazzi 2005), dove, in area montana,
è stato calcolato uno stock di 91 t ha-1, con contenuti medi
di carbonio organico di 3,10% (da confrontare con i valori
percentuali del Veneto riportati nella Tab. 4) per i primi 30
cm di suolo, che scendono a 79,3 t ha-1 per i soli suoli forestali.
Il confronto con il dato medio di carbonio dei suoli
piemontesi ci permette di affermare che le differenze riscontrate nello stock di carbonio (91 t ha-1 del Piemonte
contro 63,4 t ha-1 (media) del Veneto nei primi 30 cm)
sono dovute solo marginalmente a percentuali più basse
del carbonio nel suolo (3,1% in Piemonte contro 2,9% del
Veneto), e sono quindi molto probabilmente da imputarsi
ai valori più elevati di densità apparente impiegati nella
stima. Questo ribadisce la criticità rappresentata dalla misura o stima della densità apparente, come già accennato in
precedenza, parametro raramente determinato in campagna
e più spesso definito attraverso l’utilizzo di pedo-funzioni,
nel migliore dei casi tarate su un data-set locale, altrimenti
da dati bibliografici riferiti ad ambienti diversi da quello
preso in considerazione.
Per le foreste trentine Tonolli & Salvagni (2007) stimano il carbonio nei primi 30 cm di suolo pari a 92,4 t ha-1,
valore che escludendo l’humus si abbassa a 76 t ha-1.
Per i suoli forestali della Svizzera (Perruchoud et al.
2000) è stato stimato un SOC di 62 t ha-1 nei primi 20 cm di
suolo, dato superiore a quello calcolato per la stessa sezione sui suoli del Veneto che è pari a 43 t ha-1. Più difficile il
confronto con il dato stimato per tutto il suolo minerale che
ammonta a 98 t ha-1 per uno spessore medio di 61 cm per
la Svizzera, valore che non è stato valutato per il Veneto,
ma che non dovrebbe discostarsi molto dal dato del primo
metro (88,5 t ha-1), in quanto sono poco diffusi i suoli con
profondità superiori ai 60 cm ( e comunque il contenuto di
carbonio a tali profondità è molto basso). I valori mediamente più alti trovati in Svizzera possono essere imputati
almeno in parte a una sovrastima dovuta al fatto di non
aver considerato la presenza dello scheletro; sovrastima a
nostro avviso non trascurabile poiché, almeno per i suoli
del Veneto, il volume occupato dallo scheletro ammonta in
media a circa il 25% del volume totale per i primi 50 cm di
profondità.
Il valore medio stimato per i suoli montani del
Veneto appare generalmente inferiore a quello trovato in
altre aree dell’arco alpino. Se in alcuni casi questa differenza sembra dovuta a differenze nel metodo di conteggio
(es. Piemonte e Svizzera), più in generale essa potrebbe
essere imputabile alle peculiari caratteristiche delle coperture pedologiche della montagna veneta, caratterizzate
(si veda il paragrafo relativo alle tipologie di suolo) da una
grande diffusione dei suoli neutri o subacidi con una attiva
dinamica della sostanza organica, dalla relativa scarsità si
suoli acidi e molto acidi (legata a una scarsa diffusione dei
substrati silicatici acidi), e dalla relativa modesta presenza
dei suoli di alta quota, in relazione alle tipiche morfologie
dolomitiche.
Interessante è anche il rapporto tra SOC nei primi 30
cm e SOC presente tra 30 e 100 cm, parametro spesso usato
in contesti agricoli per valutare eccessivi impoverimenti in
carbonio, evidenziati da rapporti inferiori all’unità. I valori
riscontrati sono nettamente superiori all’unità (mediana
1,9 e 2,5, rispettivamente escludendo e comprendendo
l’humus), come ci si aspettava in ambiente forestale. Un
rapporto pari a circa 2 significa quindi che i primi 30 cm di
suolo stoccano circa il doppio di quanto sia contenuto nei
successivi 70 cm.
Un altro aspetto interessante, evidente nella figura 4,
è la diminuzione dello stock all’aumentare della profondità:
se nei primi 10 cm sono presenti mediamente 25 e 34 t ha-1,
rispettivamente nel suolo minerale e includendo l’humus,
lo stock scende a 18 e 19 t ha-1 nei successivi 10 cm e quindi
a 12 t ha-1 tra 20 e 30 cm.
3.2.1. Relazione con la quota
La correlazione tra contenuto di carbonio e quota è legata alla diminuzione delle temperature all’aumentare della
quota, che in Veneto corrisponde a circa 0,6 °C ogni 100
metri di quota. Temperature inferiori riducono sia l’attività
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81
75
40
suolo
suolo con humus
34
35
31
30
25
t/ha
25
20
18
19
15
15
12
15
12
12
11
10
5
0
humus
0-10 cm
10-20 cm
20-30 cm
30-50 cm
50-100 cm
Profondità
Fig. 4 - Andamento con la profondità dello stock di carbonio
(mediane), includendo o meno gli orizzonti organici.
Fig. 4 - Organic carbon trend with depth (median), with and
without organic horizons contribution.
biologica del suolo che la velocità delle reazioni chimiche,
portando ad un rallentamento del processo di mineralizzazione del carbonio (Duchaufour 2001; Rodeghiero &
Cescatti 2005) con conseguente maggior accumulo nel
suolo e negli strati organici di superficie.
Gli incrementi in base alla quota (Fig. 5), sebbene i
coefficienti di correlazione siano alquanto bassi (R2 da 0,03 a
0,20), variano tra 0,16 e 0,29% ogni 100 metri di incremento
in altitudine per la percentuale di C organico (con valori di R2
relativamente più alti), e da 1,1 a 2,8 t ha-1 per la SOC, in linea con quanto trovato da Leifeld et al. (2005) per le praterie
svizzere, dove si osserva un incremento medio di 0,21% del
contenuto in carbonio organico ogni 100 metri di quota.
Per quanto riguarda gli humus, non si osserva una
relazione tra quota e carbonio espresso in contenuto percentuale. Esiste però una correlazione tra quota e stock di
carbonio (t ha-1). Negli humus, infatti, non è tanto il contenuto di carbonio ad aumentare con la quota ma gli spessori
medi dei vari orizzonti di materiali organici sovrapposti al
suolo minerale.
3.2.2. Relazione con l’uso del suolo
Lal (2005) riportando dati di bibliografia afferma che
nelle foreste temperate a livello globale il carbonio stoccato
dalla vegetazione è pari a 59 t ha-1, mentre il suolo (intero
profilo) ne raccoglie 100 t ha-1. Nel suolo si trova quindi
oltre il 60% del carbonio totale, dato che conferma l’importanza del SOC anche in ambiente forestale.
In Veneto, per quanto riguarda l’humus, dal confronto
tra il contenuto di carbonio organico in diverse formazioni
25,0
25,0
y = 0,0029x + 1,9101
R2 = 0,2026
y = 0,0016x + 1,927
R2 = 0,1473
20,0
15,0
15,0
%C
%C
20,0
10,0
10,0
5,0
5,0
0,0
0,0
0
500
1000
Quota
1500
300,0
2500
0
500
1000
Quota
1500
300,0
y = 0,0106x + 52,268
R2 = 0,0343
250,0
200,0
200,0
150,0
150,0
100,0
100,0
50,0
50,0
2000
2500
y = 0,0269x + 49,22
R2 = 0,1339
250,0
t/ha
t/ha
2000
0,0
0,0
0
500
1000
Quota
1500
2000
2500
0
500
1000
Quota
1500
2000
2500
Fig. 5 - Relazione tra quota e carbonio organico (%) nei primi 30 cm di suolo (in alto a sinistra) e includendo gli orizzonti organici (in alto
a destra), e relazione tra quota e SOC (t/ha) nei primi 30 cm di suolo minerale (in basso a sinistra) e includendo gli orizzonti organici (in
basso a destra).
Fig. 5 – Relationship between altitude and organic carbon content (%) in 0-30 cm mineral soil (top left) and in the same layer including
organic horizons (top right), and relationship between altitude and SOC (t/ha) in 0-30 cm layer of mineral soil (bottom left) and including
organic horizons (bottom right).
76
Garlato et al.
Fig. 6 - Stock di carbonio organico (t ha-1) nell’humus nelle diverse
formazioni forestali del Veneto.
Fig. 6 - Organic carbon stock (t ha-1) in organic horizons for
different forest types of the Veneto region.
Fig. 7 - Stock di carbonio organico (t ha-1)nei primi 30 cm di suolo
minerale (in alto) o includendo gli orizzonti organici (in basso) in
base al diverso uso del suolo.
Fig. 7 - Soil organic carbon stock (t ha-1) in 0-30 cm layer of
mineral soil with (bottom) and without organic horizons (top) for
different land uses.
Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto
forestali suddivise in base alla prevalenza di conifere e latifoglie (Fig. 6) si osserva che i contenuti medi di carbonio
sono leggermente inferiori a 30 t ha-1 nelle latifoglie (sia
fustaie che cedui) rispetto che nei boschi di conifere e misti (oltre 40 t ha-1), fino ad arrivare ad oltre 70 t ha-1 nelle
mughete (generalmente ad alta quota su suoli sottili). Tra
cedui e conifere, e tra cedui e mughete le differenze sono
statisticamente significative in base al test di Tuckey.
Se si confrontano i contenuti in carbonio nel suolo minerale dei diversi usi del suolo (Fig. 7), si osservano i valori
più alti sui suoli coltivati (71,8 t ha-1), seguiti dai prati-pascoli con 68,7 t ha-1, e i valori più bassi nelle mughete (43,5
t ha-1) e nei cedui (50,9 t ha-1). Prendendo in considerazione
anche l’humus, questa gerarchia viene però notevolmente
modificata, e si può osservare come diversi suoli forestali
presentino contenuti maggiori rispetto ai coltivi (mughete,
conifere, boschi misti e latifoglie), poiché gran parte del
carbonio è stoccato negli orizzonti organici. Solo i cedui
presentano valori inferiori, mentre i prati-pascoli hanno
contenuti simili a quelli dei coltivi.
L’alto contenuto di carbonio nei suoli coltivati molto
probabilmente è da attribuirsi ai sistemi colturali adottati
nelle aree montane venete, mai di tipo intensivo (come
confermato dal rapporto tra SOC nei primi 30 cm e SOC
presente tra 30 e 100 cm pari a 2), e agli elevati apporti
di ammendanti organici (soprattutto letame), in relazione
all’esigua disponibilità di superfici idonee al loro utilizzo
in tali aree.
Da notare i bassi contenuti nei cedui, legati verosimilmente all’intenso sfruttamento (presente, ma soprattutto
passato). Dal punto di vista del C, potrebbero essere quasi
considerati dei suoli coltivati adibiti ad arboricoltura. Il
notevole sfruttamento è confermato anche dal rapporto tra
SOC nei primi 30 cm e SOC presente tra 30 e 100 cm, il
quale è inferiore a 4 (unico caso tra i diversi usi forestali).
Questo dato contrasta nettamente con quanto trovato per
il Trentino (Tonolli & Salvagni 2007), dove il contenuto
di carbonio nei primi 30 cm di suolo (inclusa la lettiera)
risulta superiore nei cedui rispetto alle fustaie, con valori
doppi (118,3 t ha-1) se confrontati a quelli del Veneto (60,8
t ha-1).
Per il Veneto è possibile fare un confronto tra il carbonio stoccato nel suolo e quello epigeo nelle diverse formazioni forestali (Tab. 6, Fig. 8), grazie al lavoro di Anfodillo et
al. (2006). Il valore medio del carbonio epigeo nelle fustaie
assestate è di 57,7 t ha-1, con valori massimi negli abieteti
(78,3 t ha-1) e minimi nelle mughete (7 t ha-1). Tali valori
sono però probabilmente sottostimati per l’esclusione di tutti
gli alberi con diametro inferiore a 17,5 cm (errore particolarmente evidente nelle mughete). Nei cedui dove lo stock è
riferibile all’intera biomassa, i valori sono mediamente più
alti passando dalle 57,7 t ha-1 degli orno-ostrieti alle 81,5 t
ha-1 dei cedui a faggio, con valori medi di 66,1 t ha-1.
Dal confronto con il carbonio stoccato nei primi 30
cm del suolo, che è quello più suscettibile di cambiamenti
a causa di modifiche di input e/o ambientali, emerge che
nelle fustaie, con la sola eccezione degli abieteti, la maggior parte del carbonio è presente nel suolo. Le differenze
sono ancora maggiori se si prende in considerazione anche
l’humus. Nei cedui invece il carbonio epigeo equivale grossomodo a quello contenuto nei primi cm di suolo.
In termini percentuali nelle fustaie il carbonio stoccato nel suolo va dal 38% del carbonio totale per gli abieteti
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81
77
Tab. 6 - Stock di carbonio organico t ha-1 nella porzione epigea, nei primi 30 e 100 cm di suolo minerale e includendo gli orizzonti organici
(valori medi) nelle diverse tipologie forestali del Veneto (per lo stock di carbonio epigeo, fonte: Anfodillo et al. 2006).
Tab. 6 - Forest stand organic carbon stock t ha-1, 0-30 cm mineral soil and 0-100 mineral layer SOC stocks (mean values, t ha-1), with and
without organic layers, for different forest types of the Veneto region (forest stand organic carbon from Anfodillo et al. 2006).
50,7
66,1
Cedui
Or-ost
57,7
64,5
77,8
45,6
49,9
49,2
62,7
63,4
98,6
106,7
77,3
79,3
75,9
96,6
96,9
Abieteti Faggete Lariceti Mughete Peccete Piceo-Fg Cedui
Stock di carbonio epigeo
78,3
49,3
31,0
7,0
67,5
Suolo (30 cm)
48,4
66,5
68,3
43,5
Suolo (100 cm)
72,2
91,4
94,6
53,7
Cedui
Carp
59,2
Cedui
Faggio
81,5
Totale
57,7
Suolo compreso humus (30 cm)
78,2
86,0
105,5
105,9
94,0
107,6
54,1
61,2
53,0
81,0
77,6
Suolo compreso humus (100 cm)
102,9
113,0
132,1
132,1
128,4
138,2
81,7
89,6
77,1
114,6
109,6
Stock epigeo
120
Stock suolo (30 cm)
100
Stock suolo compreso humus
(30 cm)
t/ha
80
60
40
20
gi
o
ed
u
iF
ag
ar
p
iC
C
ed
u
C
C
ed
u
iO
r-o
st
i
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u
C
-F
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o
e
ce
t
Pe
c
et
e
ug
h
M
La
ric
et
i
ge
te
Fa
g
Ab
ie
t
et
i
0
Fig. 8 - Stock di carbonio organico (t ha-1) nella porzione epigea, nei primi 30 cm di suolo minerale e nei primi 30 cm includendo gli
orizzonti organici (t ha-1) nelle diverse tipologie forestali del Veneto (stock di carbonio epigeo da Anfodillo et al. 2006.
Fig. 8 - Forest stand organic carbon stock (t ha-1) and 0-30 cm mineral layer SOC stocks (t ha-1), with and without organic horizons, for
different forest types of the Veneto region (forest stand organic carbon from Anfodillo et al. 2006).
all’80% delle mughete, frazioni che diventano 50% e 94%
rispettivamente se si considera anche l’humus. Per i cedui
si passa da circa il 45% stoccato nel suolo al 50% considerando anche l’humus.
Dati non molto diversi, seppure leggermente più bassi, sono stati trovati per le foreste svizzere (Perruchoud et
al. 2000), dove il 44% del C (con l’esclusione della vegetazione erbacea, lettiera e orizzonti organici) è stoccato nel
suolo minerale, seppure senza differenze statisticamente
significative tra le diverse tipologie forestali.
Dati simili esistono anche per la Regione Piemonte
(Petrella & Piazzi 2005), con valori di carbonio per la
porzione epigea di 54,8 t ha-1, rispetto alle 79,3 tonnellate
presenti nel suolo (59% del carbonio stoccato nel suolo).
Per le foreste lombarde esiste solo un valore medio nei primi 200 cm di suolo, pari a 146 t ha-1 di C, a fronte di solo
36 t ha-1 nel soprasuolo; tale differenza porta a contributi
percentuali del carbonio nel suolo ancora più alti rispetto a
quanto trovato in Piemonte.
In Provincia di Trento è stato valutato (Tonolli &
Salvagni 2007) che il carbonio accumulato nel suolo (orizzonti organici inclusi) rappresenta mediamente il 44% di
quello complessivamente presente nell’ecosistema (conteggiando anche la lettiera, la vegetazione erbacea e gli arbusti),
mentre mediamente in Veneto questo rapporto, che tiene però
in considerazione solo la vegetazione arborea, sale al 57%.
3.2.3. Relazione con il tipo di suolo
Un altro aspetto preso in considerazione è la relazione tra diverse tipologie di suolo e stock di carbonio. Nella
montagna veneta sono state descritte oltre cento diverse
tipologie di suolo, un numero troppo elevato per avere a disposizione dei dati sufficienti per impostare un’analisi statistica. Per questo motivo le diverse unità tipologiche sono
state suddivise in sei gruppi di tipologie contraddistinte da
un simile arrangiamento degli orizzonti e da simili caratteristiche chimico-fisiche, secondo un approccio già speri-
78
Garlato et al.
mentato nell’elaborazione dei dati sul contenuto in metalli
dei suoli della montagna veneta (Garlato et al., 2009):
-
R: suoli poco evoluti, calcarei, con sequenza di
orizzonti A-C o A-R, su materiali parentali carbonatici (Leptosols o Phaeozems, secondo il WRB (FAO
2006));
-
BC: suoli con orizzonte cambico, calcarei, con sequenza di orizzonti A-Bw-C, su materiali parentali
carbonatici (Cambisols calcarei);
-
BCc: suoli coltivati con orizzonte cambico, calcarei,
con sequenza di orizzonti Ap-Bw-C, su materiali parentali carbonatici (Cambisols calcarei);
-
B: suoli con orizzonte cambico, privi di carbonati,
neutri o subacidi, con sequenza di orizzonti A-Bw-C,
su materiali parentali silicatici (Cambisols);
-
L: suoli privi di carbonati con orizzonte argico e sequenza di orizzonti A-Bt-C (Luvisols);
-
AP: suoli podzolici o con incipienti processi di podzolizzazione, con sequenza degli orizzonti A-E-BhsBs-C (Podzols) o AE-Bs-C (Cambisols con caratteri
spodici) o A-Bw-C con pH in superficie inferiore a 5
(Cambisols acidi).
Dalla figura 9 è evidente che diverse tipologie di suolo presentano contenuti diversi in carbonio sia nell’humus
che nel suolo. Rispetto a quanto Perruchoud et al. (2000)
trovano per i suoli forestali svizzeri, dove sono presenti
differenze tra i diversi gruppi pedologici di riferimento della FAO, ma non statisticamente significative, in Veneto si
osservano differenze statisticamente significative (p<0,05)
tra AP e L per l’humus, tra BCc e, rispettivamente, BC, L
e B per il suolo minerale, mentre prendendo in considerazione i primi 30 cm, humus incluso, si osservano differenze
significative tra AP e, rispettivamente, BCc, BC, L e B e tra
R e sia BC che L.
Nei primi 30 cm di suolo, humus incluso, i valori
più alti si osservano nei suoli dei gruppi R (90,6 t ha-1) e
AP (100,0 t ha-1), in quest’ultimo caso con valori elevati
sia nel suolo minerale che nell’humus (49,1 e 51,5 t ha-1
rispettivamente). I valori più bassi si osservano nei suoli
dei gruppi L (59,1 t ha-1) e B (57,8 t ha-1), con valori molto
bassi anche nell’humus (24,6 e 13,6 t ha-1 rispettivamente).
Valori intermedi si riscontrano nei suoli del gruppo BC, che
stoccano 70,7 t ha-1 nel suolo e 38,2 t ha-1 nell’humus.
Le tipologie di suolo prive di calcari, ma non acide
(da neutre a subacide), e con tessiture medie (L e B), hanno
tempi di mineralizzazione più rapidi, con un trasferimento più veloce del carbonio ad altri comparti (vegetazione,
aria), e di conseguenza risultano più “povere” di carbonio.
Le tipologie di suolo acide o molto acide (AP) e quelle
calcaree (BCc, BC e R) invece sono caratterizzate da condizioni meno favorevoli ai processi di mineralizzazione e
di conseguenza accumulano una quantità maggiore di carbonio. Nel caso dei suoli acidi, la meno efficiente degradazione della materia organica è legata in parte all’assenza di
lombrichi anecici e alla relativa scarsità di fauna del suolo
(Ponge 2003), che svolge un’importante influenza anche
sull’attività della microflora (Huhta 2006). La presenza di
carbonati nel suolo si conferma un fattore che rallenta la
mineralizzazione (Duchaufour, 2001), probabilmente in
relazione alla protezione fisica della sostanza organica (nei
confronti della mineralizzazione) nei suoli con una buona
aggregazione (Denef et al. 2001; Pulleman & Marinissen
2004); i suoli calcarei (rendziniformi o bruni) sono infatti
Carbonio organico nei suoli di montagna del Veneto
caratterizzati, in relazione a una notevole attività di lombrichi, da una buona biomacro e biomicrostrutturazione.
Considerando il primo metro di suolo minerale, è interessante osservare che i valori più alti si riscontrano nei
Fig. 9 - Stock di carbonio organico (t ha-1) nell’humus, nei primi
30 cm di suolo e nei primi 30 cm di suolo includendo l’humus, per
i diversi tipi di suolo montani del Veneto.
Fig. 9 - Organic carbon stocks (t ha-1) in the organic horizons,
0-30 cm mineral soil and both 0-30 cm soil including organic
horizons, for different soil types of the Veneto mountain area.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 69-81
79
Fig. 10 - Rapporto tra lo stock di carbonio organico nei primi 30 cm e quello presente tra 30 e 100 cm, nel suolo minerale (sinistra) e
includendo l’humus (destra) per i diversi tipi di suolo montani del Veneto.
Fig. 10 - Ratio between SOC of 0-30 cm mineral soil and SOC of 30-100 cm, with (right) and without (left) organic horizons, for different
soil types of the Veneto mountain area.
suoli coltivati BCc (124,8 t ha-1), seguiti dalle tipologie AP
(104,5 t ha-1) e B (99,4 t ha-1). I valori più bassi si osservano
nel gruppo R (79,1 t ha-1), costituito da suoli poco profondi
nei quali tutto il carbonio si concentra in superficie. Se si
tiene in considerazione l’humus la situazione non cambia
ovviamente per i suoli coltivati, che ne sono privi, mentre
il gruppo AP risulta essere quello maggiormente dotato
(137,1 t ha-1), seguito dai rendzina (R: 103,0 t ha-1), in relazione alla buona dotazione di carbonio stoccata nell’humus. I valori alti dei suoli coltivati, che contraddicono in
parte le idee preconcette riguardo alla povertà di C delle
zone agrarie, sono legati al fatto che i suoli agrari dell’area
montana veneta, oltre che abbondantemente concimati con
concimi organici, come già ribadito sopra, sono in genere
più profondi rispetto ai suoli con vegetazione naturale e
sono caratterizzati da contenuti di scheletro relativamente
bassi. Le percentuali relativamente basse di C organico
sono in altre parole più che compensate dalla profondità
del suolo e dalla scarsezza di elementi grossolani.
Le differenze tra lo stock nei primi 30 cm e quelle nel
primo metro sono ben espresse dal rapporto tra SOC nei
primi 30 cm e SOC presente tra 30 e 100 cm (Fig. 10): il
gruppo R si differenzia notevolmente, anche statisticamente, da tutti gli altri tipi di suolo con un rapporto intorno a
10, seguono i BC con valori superiori a 4, mentre gli altri
suoli hanno valori compresi tra 2 e 4. Solo i suoli coltivati
presentano valori inferiori a 2.
3.3.
Potenziali cambiamenti futuri dello stock di carbonio dei suoli
I cambiamenti dello stock di carbonio del suolo a seguito di un eventuale aumento delle temperature è di difficile
valutazione, sebbene la relazione tra stock e quota, e quindi
indirettamente con la temperatura, già messa in evidenza
da altri autori (Leifeld 2005), sia confermata dal presente studio. In generale si può ipotizzare che all’aumentare
delle temperature corrisponda, soprattutto alle quote più
alte e sui versanti esposti a nord (Egli et al. 2009), una più
veloce decomposizione legata a una maggiore attività biologica, e quindi in definitiva una diminuzione degli stock.
Indubbiamente il notevole peso che hanno gli orizzonti organici del suolo sullo stock totale obbliga a indagare come i
processi che regolano la funzionalità delle diverse forme di
humus si adegueranno alle mutate condizioni climatiche. In
generale si dovrebbe osservare, come risultato dell’accresciuta attività biologica, il passaggio da forme meno attive
verso forme più attive, con una conseguente diminuzione
degli stock. Allo stesso tempo però all’aumento della temperatura potrebbero accompagnarsi più marcati fenomeni
di siccità estiva che, soprattutto alle basse quote e sui materiali calcarei, potrebbero favorire il passaggio da forme
di humus Mull verso forme Amphi (Sartori et al., 2009),
le quali stoccano notevoli quantità di carbonio. Altri fattori
suscettibili di variazione che potrebbero influenzare le dinamiche future degli humus e i cicli biochimici del suolo
sono il tempo di permanenza e la distribuzione della neve
al suolo, la distribuzione delle precipitazioni e le interrelazioni che si realizzano con la vegetazione.
Un effetto del cambiamento climatico potrebbe essere
plausibilmente l’innalzamento del limite del bosco e delle
formazioni arbustive di alta quota (Ozenda & Borel 1991).
I prati-pascoli sembrano stoccare maggiori quantità di carbonio nel suolo minerale, ma i quantitativi totali, tenendo
in considerazione anche l’humus, sono maggiori nei boschi
di conifere e nelle formazioni arbustive, tipi vegetazionali
che andrebbero molto probabilmente a sostituire il pascolo.
Tale differenza confermerebbe l’aumento della quantità
totale di C nel suolo in seguito alla forestazione, osservato
da vari autori (Paul et al. 2002; Vesterdal et al. 2002), come
conseguenza del prevalere degli apporti sulle perdite per
mineralizzazione. Va però notato che nell’ambiente dolomitico veneto il limite del bosco è determinato non solo da
fattori climatici, ma anche topografici.
Tutte queste considerazioni mettono in evidenza la
difficoltà di simulare l’andamento futuro del carbonio nel
suolo nell’ottica dei cambiamenti globali in ambienti particolarmente complessi come quelli montani.
80
Garlato et al.
4.
CONCLUSIONI
La quantificazione delle riserve di carbonio nei suoli
montani rimane un importante tassello nella decifrazione
del ciclo globale del carbonio. Le interazioni tra i vari fattori ambientali che determinano il divenire del C nel suolo
sono particolarmente complesse: i diversi fattori presi singolarmente (quota, uso del suolo, tipologia di suolo, ecc.)
mostrano delle influenze significative, ma è solo la comprensione delle loro interazioni e degli effetti complessivi
sulla microflora e sulla fauna del suolo che permetterà di
spiegare le differenze nel contenuto in carbonio e le probabili evoluzioni al cambiare delle condizioni.
L’humus, rappresentando la zona di transizione tra il
suolo e la vegetazione, è un sistema alquanto complesso e
poco studiato, sia da chi si occupa di suoli sia da chi studia
la vegetazione. Volendo però determinare lo stock di carbonio negli ecosistemi terrestri, non è assolutamente possibile
trascurare il contributo degli orizzonti organici, che rappresenta nel caso della montagna veneta mediamente il 17%
del carbonio presente nei primi 30 cm di suolo.
La quantità di C contenuta complessivamente nel
suolo (humus + suolo minerale) nella montagna veneta
rappresenta ben oltre il 50% del carbonio presente negli
ecosistemi forestali. Ne consegue che le informazioni sui
suoli e sui diversi meccanismi di degradazione della sostanza organica tipici dei vari pedoambienti, attualmente molto
scarse, sono di primaria importanza per definire correttamente il ciclo globale del C.
Indubbiamente le variazioni del C nel suolo si realizzano in intervalli temporali più lunghi rispetto ad altri comparti, come ad esempio la vegetazione, e proprio per questo
motivo sono necessari maggiori informazioni e modelli
affidabili per ipotizzare realistici scenari futuri nell’ottica
dei cambiamenti climatici globali.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Effect of land use change on soil properties and carbon accumulation in the Ticino
Park (North Italy)
Chiara CERLI1*, Luisella CELI1, Paola BOSIO1, Renzo MOTTA2 & Giacomo GRASSI3
Department of Valorisation and Protection of Agroforestry Resources, University of Turin, Via Leonardo da Vinci 44,
10095 Torino, Italy
2
Departement of Agronomy, Forest and Land Management, University of Turin, Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Torino,
Italy
3
European Commission - DG Joint Research Centre, via Fermi 2749 TP 050 - 21020 Ispra (VA), Italy
*
Corresponding author e-mail: [email protected]
1
SUMMARY - Effect of land use change on soil properties and carbon accumulation in the Ticino Park (North Italy) - Changes in land
use and management practices can easily affect the processes which govern soil organic matter (OM) accumulation and stabilisation and
turn the soil from a sink into a source of CO2, while loosing most of its functions. This work is aimed at evaluating the modifications
on OM dynamics and soil properties caused by conversion of a natural mesohygrophilous forest to poplar plantation in the Ticino Park
(North Italy). Soil horizons down to 60 cm were considered and analysed for their main chemical and physical characteristics. Organic
matter was separated by density in free particulate OM (FPOM), occluded particulate OM (OPOM), and mineral-associated OM (MOM).
The different land use and forest management in the two sites affected the amount and distribution of OM, with a significant decrease of
carbon in the topsoil of the poplar stand compared to the natural forest. Consequently, the C stock in the topsoil of the poplar stand was
considerably lower than in the forest, but, surprisingly, comparable amounts were found considering the whole profiles. In the deciduous
forest OM was distributed among the three fractions, guarantying the pursuance of different biological and physical functions, whereas in
the poplar stand the most part of OM was bound to mineral components, with a consequent loss of soil functionality.
RIASSUNTO - Effetto del cambio d’uso sulle proprietà del suolo e sull’accumulo di carbonio nel Parco del Ticino (Nord Italia) I cambiamenti d’uso e delle pratiche di gestione del suolo possono facilmente influenzare i processi che governano l’accumulo e la
stabilizzazione della sostanza organica (SO) nel suolo trasformandolo in sink o source di CO2 e causando contemporaneamente la perdita di
molte sue funzioni. Lo scopo di questo lavoro è la valutazione dei cambiamenti delle dinamiche della SO e delle proprietà del suolo causati
dalla conversione di una foresta mesoigrofila naturale in un pioppeto situati all’interno del Parco del Ticino (Nord Italia). Gli orizzonti
pedologici fino a 60 cm di profondità sono stati campionati e analizzati per le loro principali caratteristiche chimiche e fisiche. La SO è stata
separata utilizzando un metodo densimetrico in SO particolata libera (FPOM), occlusa negli aggregati (OPOM) e associata alla frazione
minerale (MOM). Il diverso uso del suolo e il diverso tipo di gestione nei due siti hanno influenzato il quantitativo e la distribuzione di SO
nel suolo, con una significativa diminuzione di C negli orizzonti più superficiali del pioppeto rispetto alla foresta naturale. Di conseguenza,
lo stock di C in tali orizzonti si presentava nel pioppeto molto inferiore rispetto alla foresta naturale, ma sorprendentemente i valori erano
invece molto simili quando venivano presi in considerazione gli interi profili fino a 60 cm di profondità. Nella foresta decidua la SO era
ben distribuita tra le diverse frazioni, assicurando così tutte le funzioni biologiche e fisiche del suolo, mentre nel pioppeto la maggior parte
della SO era associata alla frazione minerale, con la conseguente perdita di molte funzioni del suolo.
Key words: carbon, density fractionation, stabilisation, primary plain forest, poplar plantation
Parole chiave: carbonio, frazionamento densimetrico, stabilizzazione, foresta planiziale primaria, pioppeto
1.
INTRODUCTION
Soil organic matter (OM) plays a key role in ensuring
agroecosystem productivity and the long-term conservation
of soil resources. Adequate levels of OM are essential to
maintain or improve chemical fertility, soil porosity, infiltration capacity, moisture retention, and resistance to water
and wind erosion. On a global scale, OM represents the
largest terrestrial repository of C (~1500 Pg C) and, thus, it
is a key component of the C cycle. In this perspective, the
capability of soil to accumulate and preserve organic matter
has drawn much attention, in order to develop strategies
to manage soils so as to increase their C storage and reduce the atmospheric CO2. The United Nations Framework
Convention on Climate Change (UNFCCC) has introduced
the Land Use, Land Use Change and Forestry (LULUCF)
approach, which aims at C sequestration through afforestation, reforestation, re-vegetation and forest-, crop-, and
grassland management as a form of GHG-offset activities
(Izaurralde et al. 2001; McCarl & Schneider 2001). On
84
Cerli et al.
Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion
the other hand, changes in land use and management can
have profound effects on quantity and dynamics of SOM
and, in turn, on the soil ecosystem functions. On global
scale, inaccurate managements have a large impact on the
atmospheric CO2 concentration (IPCC 2001; Allmaras et
al. 2000). In particular, it is well established that converting
natural forests or grasslands into agricultural fields generally leads to a decline in OM (Ellert & Gregorich 1996).
Similarly, cultivation generally decreases the total OM, but
there are contrasting results in the literature on the impact
of fast-growing plantation forests and their management.
There is a growing interest in planting fast-growing
hardwood species (such as hybrid poplars) to sustainably
supply the fibre needed by the pulp and paper industries and
meanwhile to meet a significant portion of the Kyoto commitments, especially in regions such as Europe and North
America, with vast and fast-growing plantation forests (FAO
2004). Short-rotation plantations of Populus can rapidly
fix atmospheric CO2 in the tree components such as stems,
branches and coarse roots but also increase the cycling of C
and nutrients in soil through more labile litter pools consisting of leaves twigs and fine roots (Grigal & Berguson 1998;
Berthelot et al. 2000; Sartori et al. 2006; Meiresonne et al.
2007). Furthermore, because of the high intensity of cultivation during initial years of plantation establishment, the dynamics and storage of OM and the connected soil properties
need to be better understood. Various patterns of change in
soil C in fact have been associated with short-rotation tree
plantations, including transient losses (Hansen 1993), subsequent gains (Hansen 1993; Makeschin 1994) and no change
(Ulzen-Appiah et al. 2000), even if often detection of short
or even medium term land-use and/or management induced
changes in total OM is difficult, due to high natural soil variability (Smith 2004).
Man-induced alterations affect not only the total C content of soils, but also its distribution among the various pools
(Cambardella & Elliott 1994; Golchin et al. 1994), causing
changes in the size distribution and stability of aggregates,
as well as in OM properties (Six et al. 2000a, 2000b; John
et al. 2005). However, the overall response of those pools to
management practices remains poorly understood (Six et al.
2000a), especially in the context of hybrid poplar plantations.
Density fractionation is one method utilized to separate OM fractions with different biogeochemical functions
and characteristics (Cambardella & Elliott 1993, 1994;
Golchin et al. 1994; Swanston et al. 2002; Dubeux et al.
2006). It is a method which alters less the original composition of OM and the obtained fractions seem to be more
sensitive indicators of environmental changes than total C
(Cambardella & Elliott 1994; Six et al. 2000b) and to relate closely to OM mineralization and aggregate formation
(Janzen et al. 1992; Christensen 2001).
In this work we aim at better understanding of the
effect of short-rotation forestry on OM storage and dynamics and the relative ecosystem functionality by comparing
a poplar plantation with the previous land use, i.e. a natural
pristine forest.
2.
STUDY AREA
The studied area is located within the Ticino’s
Regional Park, a UNESCO Man and Biosphere area since
2002, being one of the most important remains of the original ecosystem of the Po Valley. The area encompasses a mosaic of typical fluvial ecosystems, with large river habitats,
wetlands, riparian woods and patches of the primary plain
forest that covered the entire valley during Roman colonization. In particular such forests are nowadays extremely
rare because of the heavy human impact on the whole plain,
especially after the Second World War.
The sampling sites were a relict of pristine forest
(Bosco Siro Negri) and a poplar plantation located within
a former hunting forest reserve. Both sites are about 10 km
NW of the city of Pavia, on the west bank of the Ticino
River, and are characterised by the same temperate climate,
with mean annual temperature of 12.3 °C and average precipitation of 802 mm per year (long term meteorological
station of Pavia). The geological substrate is a relatively
young alluvial deposit of sand and loamy materials covering gravels of various dimensions.
The Bosco Siro Negri, a 11 ha fully protected nature
reserve since 1970, represents the natural forest. Being unmanaged for the last 70 years and documented as unmanaged hunting reserve for 200 years (Tomaselli & Gentile
1971), it is an extremely well preserved remains of the
original alluvial forest along the Ticino River. The structure
of the vegetation is that of a typical closed forest (mean
height about 20 m) dominated by Quercus robur ssp. robur,
Acer campestris, Robinia pseudoacacia, Ulmus minor and
Populus nigra var. europaea, with different lower tree layers made up by younger individuals of the same species
and Corylus avellana, Prunus padus and rich shrub and
herbaceous layers.
The poplar plantation is located less than 1 km south
of Bosco Siro Negri and it comprises 46 ha of a singular
even-aged poplar clone with uniform management since
the 1970s when the original forest was removed.
The cultivation cycle is 14 years, with trees 25-30 m
high and a diameter at breast height of 25-30 cm. It is a low
intensity management, with no irrigation and with clearing
of ground vegetation by harrowing 1-2 times per year.
The major tillage is done during the first year of
the cultivation cycle: after logging in October, the soil is
prepared by drilling of the old stumps, deep (50-60 cm)
ploughing and levelling; in spring, the new plantation is
establish by inserting 4-5 m long shoots into soil down to
150-200 cm, followed by clearing of weeds for at least three
times in the year. The actual plantation was established in
spring 2005, with Populus x euroamericana I-214 clone, in
a 6 x 6 scheme.
Being located on a river bank, the vegetation and soil
morphology are governed by the river dynamics and particularly by water table fluctuations (varying by 2-3 m within
normal years) and occasional flooding. The tree rooting
system is shallow and concentrated in topsoils and the soil
surface, if not levelled, is rather irregular, with more elevated areas and depression where water can remain longer,
even if the general drainage is good.
The last flooding in November 2002 caused the
transects and all the sampling points in the poplar plantation to be submerged for up to 80 cm, while only the most
northern point in the natural forest was flooded. According
to records of the Parco Ticino in the last 20 years, similar flooding events occurred in 1993, 1994, and 2000
(Furlanetto 2003).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92
3.
METHODS
3.1.
Soil sampling
Soils were sampled in summer 2006, when popular
trees were 2 years old. To account for the heterogeneity,
soils were sampled along transects at both sites (Ferré et
al. 2005). In the natural forest, one single N-S transect was
sampled at four points (NF19, NF16, NF22 and NF24), with
decreasing elevation northward. In the poplar plantation
two transects, with 2 sampling points each, were located
approximately N-S (PP5 and PP1 from north to south) and
E-W (PP6 and PP10 from east to west), to account for the
growing gradient of the poplars, which were bigger when
growing S and E. Furthermore, the sampling points PP5 and
PP6 were located along the poplar rows, while the other 2
points (PP5 and PP10) were located between rows.
Soil pits were dug down to 60 cm and bulk and volumetric samples were taken by horizon. In the pristine
forest, the forest floor was sampled, using a wooden frame
(25x25 cm), while in the poplar plantation no litter layer
was present.
3.2.
Soil characterisation
Soil samples were oven dried at 40 °C to constant
weight. The material from the organic layers was ground
and sieved to <0.75 mm, while the mineral soil was sieved
to <2 mm and then, partly, to <0.5 mm. Bulk density was
determined gravimetrically by drying a known volume of
sample at 105°C and corrected for stone content (determined by sieving). The pH was determined potentiometrically
on soil:water suspensions (soil:water ratio 1:2 for mineral
and 1:20 for organic samples). The cation exchange capacity (CEC) was determined with 0.1 M BaCl2 at pH 8.1 and
the exchangeable Na, Ca, Mg and K in extracts were determined by atomic absorption spectrometry (AAS). Soil texture was analyzed by a combined sieving and sedimentation
method after dispersion in Na hexametaphosphate. Total C
and N were determined on an elemental analyzer (LECO
CNS-1000). Carbonate C was not present in the samples.
All the analyses were performed in two replicates.
3.3.
Density fractionation
Density fractionation of mineral soils was carried out
on the <2 mm. Samples of C horizons were not included
because of their extreme low C content. The procedure
was adapted from Golchin et al. (1994) and Sohi et al.
(2001) and was carried out using Na polytungstate (NaPT;
Sometu, Berlin, Germany) solution of a density of 1.6 g
cm-3, based on the assumption that the density of organic
matter is typically <1.5 g cm–3. The procedure included ultrasonic dispersion to break down the aggregates and to release occluded POM (OPOM). The aim of the fractionation
scheme was to separate OPOM with little or no interaction
with mineral phases and so the intensity of the sonication
was adapted to the type of soil (Cerli et al. 2007). Three of
the samples were therefore fractionated (see below) using
different amount of ultrasound (100, 200, 300 J ml-1; output
of ultrasonic energy calibrated calorimetrically according
to Schmidt et al. 1999) and the C and N content of the ob-
85
tained fractions was used to assess the energy input (here
200 J ml-1) necessary to achieve complete release of OPOM
without mineral “contamination”.
Thereafter, all samples were fractionated using the
following procedure: 125 ml of the NaPT solution were added to 25 g soil, gently shaken and allowed to stand for one
hour. Then, after centrifugation at 6800 g for 20 min, the free
particulate organic matter (FPOM) was separated by careful
removal of the floating material and filtration on a glass fibre
filter (GF/F, Whatman GmbH, Dassel, Germany). The settled
soil was ultrasonically dispersed in NaPT solution (density
1.6 g cm-3, soil-to-solution ratio 1:5) by applying 200 J ml-1,
then allowed to stand for one hour, centrifuged at 6800 g for
20 min and, similar as for the FPOM, the occluded particulate organic matter (OPOM) was finally separated by removal
and filtration (GF/F filter) of the floating material. FPOM and
OPOM fractions were washed with deionized water until the
electrical conductivity was <20 µS cm-1, then oven dried at
40 ºC to constant weight. The remaining soil material with a
density >1.6 g cm-3 (heavy fraction), containing the mineralassociated organic matter (MOM), was also washed with
deionized water until the electrical conductivity was <20 µS
cm-1, then freeze dried. Density fractionation was done twice
per sample, and all fractions were analysed for their C and
N content.
The mean of two replicates and the standard error
were calculated (Webster 2001). The propagation error
technique (Skoog & West 1987) was used to calculate the
standard errors of values obtained by subtraction.
4.
RESULTS AND DISCUSSION
4.1.
General soil characteristics
The four soil profiles along the transect in the natural
forest were similar and all classified as Fluvisols (IUSS
Working Group 2006). They comprised A1 and A2 mineral
horizons over an AC (only in NF19 and NF24) and the C
horizon, typically of a coarser substrate, indicating a different material. The 2-5 cm organic layers were classified
as Mésomull (AFES 2005), except for NF19, where the
more depressed morphology resulted in an Eumull (AFES
2005).
The content of fine material in almost all the soil
horizons decreased along the transect from north to south,
resulting in a change in texture from sandy loam to loamy
sand (Tab. 1). The pH was similar for the profiles, except
for NF19, which was more acidic, probably due to the site
morphology (Tab. 1). The cation exchange capacity reflected well the small differences among the profiles but showed no trend along the transect (Tab. 1). Fine material and
cation exchange capacity decreased with soil depth while
bulk density and pH increased (Tab. 1).
The profiles under the poplar plantation were all
classified as well as Fluvisols (IUSS Working Group
2006). They had no organic layers but a sequence of two
or three Ap horizons followed by the C horizon. Analyses
confirmed the general homogeneity of soils, most likely
resulting from 30 years of cultivation (Tab. 2). The only
exception was PP5, which had a coarser texture and lower
cation exchange capacity, most likely as a result of a slight
differently textured alluvial deposit (Tab. 2).
86
Cerli et al.
Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion
Tab. 1 - Soil horizons depth, bulk density, pH, particle size distribution, exchangeable cations, and CEC values of the four profiles in the
natural forest.
Tab. 1 - Profondità degli orizzonti, densità apparente, pH, granulometria, cationi scambiabili e capacità di scambio dei quattro profili di
suolo nella foresta naturale.
code
NF24
horizons
horizon
bulk
depth density
cm
g cm-3
pH
sand
%
silt
%
clay
%
Na
cmol(+) kg-1
K
cmol(+) kg-1
Ca
cmol(+) kg-1
Mg
cmol(+) kg-1
CEC
cmol(+) kg-1
A1
6
0.5
4.6
74
24
2
0.27
0.30
5.82
0.53
20.2
A2
2.5
1.0
4.6
75
22
3
0.25
0.20
2.00
0.19
10.9
CA
13.5
1.2
4.7
86
12
2
0.20
0.17
0.51
0.06
4.23
C
38
n.d.
5.1
96
3
1
0.21
0.13
0.37
0.06
2.95
NF22
A1
5
1.0
5.4
74
24
2.
0.30
0.31
10.8
1.1
17.5
A2
20
1.1
5.0
74
24
2
0.23
0.12
2.18
0.25
6.09
C
35
1.2
6.0
94
5
1
0.22
0.10
1.10
0.16
0.79
NF16
A1
10
0.9
5.1
65
32
3
0.29
0.27
10.3
1.1
21.0
A2
20
1.0
5.1
62
35
3
0.30
0.17
3.81
0.43
10.0
C
30
1.2
5.7
86
13
1
0.20
0.15
1.87
0.21
2.73
NF19
A1
8
0.8
5.6
62
36
3
0.28
0.37
8.97
1.1
16.3
A2
12
1.0
5.2
63
34
3
0.24
0.16
5.02
0.50
9.47
CA
15
1.1
5.3
68
29
3
0.26
0.13
3.18
0.30
5.72
C
25
1.2
6.1
83
16
1
0.19
0.11
1.91
0.21
3.30
Tab. 2 - Soil horizons depth, bulk density, pH, particle size distribution, exchangeable cations, and CEC values of the four profiles in the
poplar plantation.
Tab. 2 - Profondità degli orizzonti, densità apparente, pH, granulometria, cationi scambiabili e capacità di scambio dei quattro profili di
suolo nel pioppeto.
code
PP1
PP6
PP5
PP10
horizons horizon bulk
depth density
cm
g cm-3
pH
sand
%
silt
%
clay
%
Na
K
Ca
Mg
CEC
cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1 cmol(+) kg-1
1.0
6.0
48
46
6
0.29
0.21
5.55
0.85
8.39
Ap1
12
Ap2
18
1.3
5.9
46
49
5
0.26
0.15
5.24
0.71
8.32
C
30
n.d.
5.9
47
47
6
0.49
0.13
5.31
0.72
8.06
arrowed
10
n.d.
5.8
64
32
4
0.35
0.17
4.84
0.53
7.47
Ap1
12
0.9
5.6
52
43
5
0.36
0.20
4.96
0.71
9.67
Ap2
28
1.3
5.9
55
41
4
0.41
0.21
5.25
0.81
7.53
Ap3
15
n.d.
5.6
48
46
6
0.36
0.22
5.49
0.57
7.57
C
10
n.d.
5.6
38
55
7
0.50
0.17
5.25
1.0
12.5
Ap1
20
1.0
6.0
89
9
2
0.22
0.21
1.58
0.23
1.30
Ap2
12
1.3
6.1
86
11
3
0.24
0.15
1.39
0.21
1.58
C
28
n.d.
6.0
84
12
4
0.20
0.11
1.66
0.27
1.36
Ap1
12
1.4
5.6
57
37
6
0.25
0.22
3.77
0.50
9.38
Ap2
33
1.4
5.7
51
45
4
0.32
0.20
4.72
0.55
9.20
C
15
n.d.
5.9
82
15
3
0.53
0.10
1.56
0.27
2.00
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92
4.2.
87
Carbon and nitrogen
The litter layer in the natural forest was thin and weakly developed, having on average 143 g C kg-1 and 8.3 g N
kg-1. The C content in the mineral soil strongly decreased
with soil depth from 27.5-39.2 g C kg-1 in topsoils down 2.0
g C kg-1 and less in the C horizons (Tab. 3). The N content
paralleled that of C, with largest values in the top mineral
horizons and dropping with depth. The resulting C/N ratios
are representative of a broadleaf forest soil in NF22 and
NF24 while in NF19 and NF16 they were slightly lower
suggesting a higher mineralization rate in top horizons and
in the litter layer (17.2). The C stocks of the first 30 cm
ranged between 2.6 and 5.8 kg C m-2 and from 0.30 to 1.0
kg C m-2 between 30 and 60 cm. The soil profile NF24 had
a lower C and N content in all horizons. Except for NF24,
the other profiles had average C stocks of 6.0±0.47 kg m-2
1
down to 60Figure
cm, which
increases to 6.8±0.47 kg m-2 when
including the litter layer.
Figure 1
NF24
NF22
A1
A20
Density fractionation
Density fractionation of soil under natural forest and
poplar plantation revealed the MOM to be the dominant
fraction, representing up to 92% weight, while FPOM and
OPOM constituted minor proportion, being slightly more
prominent under the natural forest than under poplar plantation (Tabs 5-6).
Under natural forest, the free light material was more
prominent in the surface horizons of NF22 and NF24 (up
to 4% weight) and decreased down the soil profile (Fig. 1).
There was more occluded than free light material in the
top 10 cm of the NF19 (3% weight) and NF16 soils (5%
5
5
g C kg-1 soil
10 15 20 25 30 35 40 45
FPOM
10 15 20 25 30 35 40
45
OPOM
MOM
FPOM
A2
A1
CA
A2
OPOM
NF22
NF16
A1
A1
A2
A2
NF16
NF19
A1
A1
A2
A2
0
g C kg-1 soil
CA
A1
PP1
PP1
PP6
MOM
PP6
PP5
PP5
PP10
CA
A1
NF19
4.3.
g C kg-1 soil
0
NF24
In the poplar plantation the lacking organic layer and
the cultivation practices resulted in a generally low C and
N concentration (Tab. 4). In contrast to the NF, the different horizons had rather similar contents of C and N, with
slightly higher values in the Ap2 horizons.
A2
PP10
CA
Ap1
Ap20
5
5
10 15 20 25 30 35 40 45
g C kg-1 soil
FPOM
10 15 20 25 30 35 40 45
OPOM
Ap1
arr
Ap2
Ap1
MOM
FPOM
Ap2
arr
Ap3
Ap1
MOM
OPOM
Ap2
Ap1
Ap3
Ap2
Ap1
Ap1
Ap2
Ap2
Ap1
Ap2
Fig. 1 - Distribution of C in the three density fractions separated from the four profiles in the natural forest and the poplar plantation.
Fig. 1 - Distribuzione
Figure 2 del C nelle tre frazioni ottenute dai quattro profili di suolo nella foresta naturale e nel pioppeto.
0.0
NF24
NF24
NF22
g N kg-1 soil
g N kg-1 soil
Figure 2
A1
0.0
A2
0.5
0.5
1.0
1.5
2.0
g N kg-1 soil
1.0
1.5
2.0
2.5
FPOM
2.5OPOM
3.0
CA
A1
A1
A2
MOM
FPOM
A2
CA
MOM
NF22
NF16
A1
A1
A2
A2
NF16
NF19
A1
A1
A2
A2
CA
A1
OPOM
0.0
3.0
PP1
PP1
PP6
PP6
PP5
PP10
PP5
Ap1
0.0
Ap2
arr
Ap1
Ap1
Ap2
Ap2
arr
Ap3
Ap1
Ap1
Ap2
0.5
0.5
1.0
1.5
2.0
g N kg-1 soil
1.0
1.5
2.0
2.5
3.0
FPOM
2.5OPOM3.0
MOM
FPOM
OPOM
MOM
Ap2
Ap3
Ap1
Ap1
Ap2
Ap2
NF19
A2
Ap1
PP10
CA
Ap2 in the natural forest and the poplar plantation.
Fig. 2 - Distribution of N in the three density fractions separated from the four profiles
Fig. 2 - Distribuzione dell’N nelle tre frazioni ottenute dai quattro profili di suolo nella foresta naturale e nel pioppeto.
88
Cerli et al.
Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion
weight). The FPOM contained 9 to 30% (NF22 and NF24)
of the soil N. The OPOM was richer in N, holding up to
23% of the soil N; the MOM contained the largest portion
of the soil N.
Under poplar plantation the FPOM and OPOM content was never more than 10% of total C in all horizons,
except the Ap2 horizon of PP5. The most part of C was
concentrated in the MOM fraction. Parallel to total C all
Tab. 3 - Soil C content, C/N ratio and C stocks along the four profiles in the natural forest.
Tab. 3 - Contenuto in C, rapporto C/N e stock di C lungo i quattro profili di suolo nella foresta naturale.
code
horizons
horizon
depth
cm
C
g kg-1
soil
N
g kg-1
soil
C/N
C
kg m-2
N
kg m-2
NF24
A1
6
27.5
1.86
14.8
0.83
0.06
NF22
NF16
NF19
A2
2.5
29.2
1.63
17.9
0.73
0.04
CA
13.5
5.66
0.46
12.4
0.92
0.07
C
38
1.06
0.10
10.8
0.25
0.02
A1
5
34.9
2.30
15.2
1.69
0.11
A2
20
17.4
0.95
18.4
3.82
0.21
C
35
0.83
0.08
10.6
0.36
0.03
A1
10
39.2
3.18
12.3
3.49
0.28
A2
20
10.9
1.10
9.9
2.27
0.23
C
30
2.25
0.23
9.7
0.80
0.08
A1
8
30.1
2.38
12.6
2.02
0.16
A2
12
15.2
1.45
10.5
1.82
0.17
CA
15
7.04
0.77
9.2
1.19
0.13
C
25
2.05
0.19
10.6
0.63
0.06
Tab. 4 - Soil C content, C/N ratio and C stocks along the four profiles in the poplar plantation.
Tab. 4 - Contenuto in C, rapporto C/N e stock di C lungo i quattro profili di suolo nel pioppeto.
code
horizons
horizon
depth
cm
C
g kg-1
soil
N
g kg-1
soil
C/N
PP1
Ap1
12
8.36
0.78
10.7
PP6
PP5
PP10
C
N
kg m-2
kg m-2
1.00
0.09
Ap2
18
9.02
0.82
11.0
2.11
0.19
C
30
8.91
0.79
11.3
3.47
0.31
harrowed
10
7.98
0.72
11.1
0.00
0.00
Ap1
12
7.38
0.62
12.0
0.80
0.07
Ap2
28
10.3
0.85
12.2
3.74
0.31
Ap3
15
8.99
0.75
11.9
1.75
0.15
C
10
5.54
0.50
11.1
0.72
0.06
Ap1
20
2.26
0.27
8.4
0.45
0.05
Ap2
12
2.64
0.26
10.2
0.41
0.04
C
28
2.22
0.31
7.3
0.23
0.03
Ap1
12
9.44
0.93
10.1
1.59
0.16
Ap2
33
9.76
0.80
12.2
4.51
0.37
C
15
2.00
0.19
10.6
0.28
0.03
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92
89
Tab. 5 - Soil recovery after density fractionation of the mineral horizons and C and N content of density fractions of the four profiles in
the natural forest.
Tab. 5 - Distribuzione in peso del suolo tra le frazioni e loro contenuto in C e N lungo i quattro profili di suolo nella foresta naturale.
code
horizons
horizon
depth
cm
F POM
g kg-1
soil
O POM
g kg-1
soil
MOM
g kg-1
soil
C
F POM
%
tot C
C
O POM
%
tot C
C
MOM
%
tot C
N
F POM
%
tot N
N
O POM
%
tot N
N
MOM
%
tot N
NF24
A1
A2
CA
C
6
2.5
13.5
38
41.4
4.76
1.44
4.61
2.33
1.11
954
993
997
46.9
4.47
6.40
6.85
3.29
4.99
46.2
92.2
88.6
41.2
5.27
4.55
6.26
3.54
3.61
52.6
91.2
91.8
NF22
A1
A2
C
5
20
35
41.6
2.63
37.2
1.63
921
996
37.3
4.27
26.8
3.02
35.9
92.7
26.7
4.32
25.3
3.85
48.0
91.8
NF16
A1
A2
C
10
20
30
18.3
3.27
50.2
1.41
932
995
13.2
8.67
22.5
4.97
64.3
86.4
8.56
4.42
16.2
2.95
75.3
92.6
NF19
A1
A2
CA
8
12
15
17.7
6.79
1.16
29.2
3.94
0.48
953
989
998
18.6
11.6
3.43
29.0
10.8
1.80
52.4
77.6
94.8
10.4
5.23
1.58
22.3
6.51
0.87
67.3
88.3
97.6
Tab. 6 - Soil weight distribution after density fractionation and C and N content of density fractions of the four profiles in the poplar
plantation.
Tab. 6 - Distribuzione in peso del suolo tra le frazioni e loro contenuto in C e N lungo i quattro profili di suolo nel pioppeto.
code
PP1
PP6
PP5
PP10
horizons
horizon
depth
cm
F POM
g kg-1
soil
O POM
g kg-1
soil
MOM
g kg-1
soil
C
F POM
%
tot C
C
O POM
%
tot C
C
MOM
%
tot C
N
F POM
%
tot N
N
O POM
%
tot N
N
MOM
%
tot N
Ap1
12
2.63
0.58
997
6.15
2.77
91.1
3.59
2.56
93.8
Ap2
18
3.24
0.79
996
8.27
2.96
88.8
5.62
2.05
92.3
C
30
arrowed
10
3.22
1.26
996
9.88
6.50
83.6
5.67
4.19
90.1
Ap1
12
2.15
0.89
997
7.99
5.02
87.0
4.95
3.62
91.4
Ap2
28
3.07
0.93
996
7.76
3.78
88.5
5.05
2.68
92.3
Ap3
15
3.20
1.04
996
9.58
4.12
86.3
5.23
4.23
90.5
C
10
Ap1
20
1.00
0.61
998
10.2
7.43
82.4
5.08
3.94
91.0
Ap2
12
4.13
0.78
995
19.7
2.04
78.2
12.2
1.60
86.2
C
28
Ap1
12
2.14
0.51
997
6.07
1.58
92.4
3.22
0.98
95.8
Ap2
33
1.34
0.27
998
3.16
0.78
96.1
1.92
0.66
97.4
these fractions were homogeneous along the profile. The
FPOM contained 1 to 12% of the soil N, while the OPOM
was poorer (0.7 to 5.7 % of soil N) and the MOM fraction
richer than the corresponding fraction in the natural forest.
5.
DISCUSSION
The natural forest and poplar plantation are located
on the same type of soil, which has been influenced by
90
Cerli et al.
Effect of land use change on soil properties and carbon accumualtion
periodical flooding events and erosion by the Ticino River
and anthropogenic disturbances (land use change and
cultivation), resulting in modification of vegetation, fauna
activity and site conditions. In particular the replacement of
the natural forest by the poplar plantation strongly affected
the soil system, even if the management practices used are
not intensive. The short harvesting cycle and soil tillage
resulted in a strong redistribution of C along the profile and
a general reduction of OM in the uppermost soils.
In the natural forest, the continuous input of fresh organic material resulted in surface organic layers and organicrich A horizons (Batjes 1996). Martens et al. (2003) reported
for similar forests much higher values of about 76 g C kg-1
in the first 4 cm of soil. The role of old-growth forests as C
sinks is normally considered to be negligible (Jarvis 1989;
Melillo et al. 1996), because of the equilibrium between
photosynthesis and respiration. However, some authors have
demonstrated the importance of including mature forests in
the models for terrestrial C dynamics to correctly evaluate
the global C balance (Carey et al. 2001; Zhou et al. 2006).
The distribution of C among the different density
fractions reveals that a relevant part of the organic matter
was unprotected, representing fresh debris material easily
biodegradable. A relevant part of organic matter was occluded into aggregates, favouring soil structure, especially
where the texture was less sandy. It could be therefore
inferred that, in spite of the long-term equilibrium, the presence of free OM favours the biological activity and the
recycling of nutrients, as deduced by the N content, but the
increased soil respiration results in a consistent loss of C as
CO2 (Alvarez & Alvarez 2000). Ferré et al. (2005) reported
for the study site slightly higher CO2 emissions compared
with poplar plantations, however the differences were not
statistically significant.
It has to be considered that although being an unmanaged forest, this site has suffered different natural disturbances over time such erosions and sedimentation by the
Ticino river, periodical flooding, presence of cormorants,
insect attack, summer drought and pollution, resulting in a
gradual decline (Rossini et al. 2006). The result is an average accumulation of 4.64 kg C m-2 in the first 30 cm and
of 5.27 kg C m-2 if considering the whole profile down to
60 cm, which are lower values compared with broadleaf
forests of temperate regions (Sanesi 2000).
However, the most part of organic matter in the soils
was intimately associated with the mineral phase. This may
be the result of high biotic activity, leading to an oxidative
transformation of organic compounds and, thus, to an enrichment of the carboxyl groups capable to form strong bonds to
the mineral phase. The resulting organic-mineral associations
may stabilize OM against microbial degradation and prolong
carbon residence time in soil (von Lützov et al. 2006).
The differences among the sampling points reflect the
complex and variable site morphology, creating a patchwork
of microclimates and vegetation types. The transect approach tries to include these differences, thus accounting for
the different dynamics.
In the poplar plantation, the lower C content in the
upper mineral layers can be attributed to the reduced input
of organic material and to the increased decomposition induced by the cultivation practices (Guo & Gifford 2002;
Vesterdal et al. 2002). The lower C/N ratio and the little
free organic material supports the hypothesis of a rapid
degradation resulting in fast disappearance of the more
labile material. Organic matter input derived from concurrent herbaceous species, which were periodically removed
by harrowing or by ploughing at the beginning of the new
cultivation cycle. In 2005, the change from an open but
mature stand to almost uncovered soil changed the input of
organic material (Jug et al. 1999) as well as the microclimatic conditions. The higher nutrient demands of the new
plantation could have also induced accelerated decomposition (Vesterdal et al. 2002; Cerli et al. 2006). The high
decomposition rate and the lignin-rich debris, in particular
from the stumps, could be responsible for the low fertility
of the soil, as indicated by the low CEC and N content.
The quantity of occluded organic material was low in
all profiles at all depth. The ploughing, causing breakdown
of aggregates and the speeding up of their turnover, could
further increase the degradation processes by exposing organic material to biodegradation and oxidative agents (Six
et al. 1998, 1999, 2000a).
The land use change determined also a different distribution of C along the profile, with values in the C horizons of PP1 and PP6 (along the plantation rows) being
even higher then in the respective horizons of the natural
forest. This has been reported for many agricultural soils
and attributed to the intensity of cultivation and depth of
ploughing (Del Galdo et al. 2003). The C increase in Ap2
horizons could be due to the incorporation of stump residues from the precedent cycle and to a minor extent also to
the developing root system of the new poplars.
In term of C storage at profile scale, the poplar plantation showed only slightly lower values than the natural
forest, in spite of 40 years of different soil use and management. This surprising and unexpected result seems
in sharp contrast with the latest considerations regarding
the effect of soil cultivation on soil C (Lal 2004). It has
to be considered that the periodic flooding of the Ticino
river, which affected more intensively the poplar plantation
than the natural forest, may have caused a texture richer
in silt and clay (Tab. 2). This could favour organic matter
protection from microbial utilisation due to adsorption of
organic compounds at clay surfaces (Tisdall & Oades 1982;
Gleixner et al. 2002) and to occlusion of organic material
into micropores inaccessible for microorganisms (Elliott
& Coleman 1988; Gleixner at al. 2002; Guggemberger &
Kaiser 2003). The major portion of C was in fact recovered
in the heavy mineral fraction, pointing at strong interactions with the mineral phase, and consequently to possibly
higher stabilization of C. This is further supported by the
lower C content in the PP5 profile where the texture was
more sandy than in the other profiles.
Another cause of smaller C loss in the poplar plantation could be the timing of the sampling, right after the
drilling of stumps. The C stocks estimated in 2003 (Ferré et
al. 2005) were smaller (-2 kg C m-2) than those we found,
indicating that the C balance is strongly depending on the
phase of the cultivation cycle, and thus should be considered with care.
6.
CONCLUSIONS
The land use change from a primary floodplain forest
to poplar plantation has modified many chemical and phy-
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 83-92
sical soil properties. The quantity and quality of organic input at the two sites influenced the C content and distribution
along the soil profile. In the natural forest, the presence of
a litter layer and the natural incorporation of plant remains
into the top mineral soil resulted in a C profile sharply
decreasing with depth, thus contrasting the homogeneous
depth distribution under the poplar plantation, which seems
to be caused by cultivation practices. In the poplar plantation, the transfer of C into the deeper horizons by ploughing
and the input of fine soil particles during flooding events,
resulted in unexpected similar C stocks at the two sites.
In the natural forest, organic matter was partly free,
thus bioavailable, while another fraction was stabilized within aggregates and by formation of strong organo-mineral
complexes, particularly in the deeper horizons. On the
opposite, in the poplar stand the most OM was bound to
mineral components, while little amounts were in the free
and occluded light fractions. The lack of litter input and the
periodical disturbances seem to accelerate the turnover and
disruption of aggregates therefore OM mineralization rate,
leaving behind only organic material strongly protected
against decomposition.
From these results, it appears that the main effects of
a 40-years change from pristine forest to poplar plantation
are related to the C (re-)distribution both along the soil
profile and among density fractions. Although C storage
was apparently little affected, the soil biological activity,
fertility, and structure declined under the poplar plantation.
This means that in a longer perspective, soil quality and
functionality may be impacted at a larger extent than indicated by the simple C balance.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Application of relative and absolute dating techniques in the Alpine environment
Filippo Favilli1*, Markus Egli1, Giacomo Sartori3, Paolo Cherubini2, Dagmar Brandova1 &
Wilfried Haeberli1
Department of Geography, University of Zurich-Irchel, Winterthurerstrasse 190, 8057 Zurich, Switzerland
WSL Swiss Federal Institute for Forest, Snow and Landscape Research, Zurcherstrasse 111, 8903 Birmensdorf, Switzerland
3
Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italy
*
Corresponding author e-mail: [email protected]
1
2
Summary - Application of relative and absolute dating techniques in the Alpine environment - The Late Pleistocene and Early
Holocene climate oscillation and the Alpine landscape evolution of Val di Rabbi (Trentino, Italy) were reconstructed using a combined
methodology of relative and absolute dating techniques. The research was carried out in the following four steps: 1) an earlier study
examined the investigated area (aerial photos, soil mapping etc.) to detect and sample the most representative sites (soils and boulders);
2) the extraction of the oldest organic matter fraction from the soil profiles followed by radiocarbon dating; 3) the comparison of the
14
C dating results with the 10Be age sequence from representative boulders; 4) the addition of relative dating techniques to the absolute
ones to detect signals of Alpine landscape evolution. We found close links among the results obtained from the relative dating and the
absolute ones, showing the dynamics of an Alpine landscape within a relatively small area. The combination of relative and absolute
dating techniques is a promising tool for the reconstruction of landscape history and to detect human influences in high-elevation Alpine
areas on siliceous substrates.
Riassunto - Applicazione di tecniche di datazioni relative e assolute in ambiente alpino - L’oscillazione climatica e l’evoluzione del
paesaggio alpino della Val di Rabbi (Trentino) durante il tardo Pleistocene e l’inizio dell’Olocene sono stati ricostruiti con l’ausilio di
tecniche di datazione relativa e assoluta. La ricerca è stata portata avanti in quattro fasi: 1) lo studio iniziale dell’area per la selezione
e il campionamento di siti rappresentativi (suoli e massi, tramite foto aeree e carte dei suoli); 2) l’estrazione dai profili della frazione
stabile della sostanza organica e datazione al 14C; 3) il confronto tra la datazione al 14C e la datazione al 10Be effettuata su massi
rappresentativi; 4) l’aggiunta di tecniche di datazione relativa a quelle assolute, per il riconoscimento di segnali di evoluzione del
paesaggio. Correlazioni significative sono state trovate tra i risultati ottenuti con le tecniche di datazione relativa e assoluta, utili per la
comprensione della dinamica dell’ambiente alpino in un’area relativamente piccola. La combinazione di tecniche di datazione relativa
e assoluta è uno strumento promettente per la ricostruzione della storia naturale e dell’influenza umana nei territori alpini in quota su
materiale parentale siliceo.
Key words: Trentino, Alpine soils, 14C, 10Be, dating techniques, weathering, deglaciation
Parole chiave: Trentino, suoli alpini, 14C, 10Be, tecniche di datazione, alterazione, deglaciazione
1.
Introduction
The Alpine environment reflects a long history of climate shifts and glaciers oscillation at the end of the last Ice
Age (between 20,000 and 11,500 years ago) and during the
Holocene period. These events have shaped the landscape as
we can see nowadays. The oscillations of the glaciers result
in the deposition of morainic sediments, which creates the
base on which soil evolution can take place after the retreat
of the ice (Strahler & Strahler 1987). The accumulation of
organic material in fractures and microtopographic depressions helps the plant establishment and accelerate the local
physical and chemical weathering (Phillips et al. 2008).
Soils developed on the glacial sediment can be considered representative of the different glacial and depositional phases. Several dating techniques contribute to the
understanding of how the landscape has changed during
the millennia of its evolution. These techniques can give
a relative or an absolute differentiation of the surfaces and
of the geomorphological items. Soil pH, development of
clay minerals and the process of podzolisation are typical
examples of relative dating. In northern Europe podzolisation is a natural outcome of soil development following
colonization of bare soil after glaciation (Lundström et al.
2000; Egli et al. 2003a, 2003b). The podzolisation process
is linked to the duration of soil evolution and can be used
as a relative indicator of surface age and stability (Briggs et
al. 2006). Absolute dating techniques give a numerical age
(with a certain error). By using them, we can know when a
certain object (i.e., a boulder, a moraine) has been deposited
(Gosse et al. 1995). This gives precious insights about the
timing of deposition and the chronology of deglaciation.
Soil organic matter (SOM) contains a stable fraction
with an old radiocarbon age. This fraction can resist to natural decomposition for thousands of years, because it is stabilised in the soil mostly by its interaction with the mineral
94
Favilli et al.
Dating techniques in the Alpine environment
part or by a specific protection due to chemical recalcitrance
(Baldock & Skjemstad 2000; Krull et al. 2003; Poirer et al.
2003; Wiseman & Püttmann 2006; Favilli et al. 2008a; Egli
et al. 2009). SOM is composed of diverse organic material in different stages of decomposition. The heterogeneity
of the different organic components is reflected by their
highly variable radiocarbon ages. Therefore, the 14C dating
of SOM is always difficult to interpret (Rethemeyer et al.
2004). Soil organic matter is continuously renewed by the
addition of fresh and undecomposed organic material on
the surface horizon. This permanent addition results in the
rejuvenation of the age, since the radiocarbon dating is always an average value of the ages of the different fractions
which constitute the total SOM (Wang et al. 1996). The
isolation of the resilient substances, which are produced
at the beginning of soil formation, could clarify the soil
dynamic processes and open a window on the timing of
sediment deposition and of soil development (Scharpenseel
& Becker-Heidmann 1992; Favilli et al. 2008a).
In our study, we applied a combined methodology of
relative and absolute dating techniques in order to understand the natural processes in the investigated area during the
glaciers retreat and readvance phases in the Late Pleistocene
and Early Holocene. To isolate the oldest SOM fraction we
used an H2O2-oxidation technique (Plante et al., 2004; Favilli
et al. 2008a). The 14C dating of the H2O2-residues was used
to obtain information about the minimum age of soil formation and the oscillation phases of the glaciers during the Late
Pleistocene and Early Holocene (Favilli et al. 2008a, 2008b;
Egli et al. 2009). The following step was to test the reliability
of the H2O2 extraction technique. The 14C age of the resilient
SOM fraction was compared with the cosmogenic 10Be age
sequence obtained by the surface exposure dating (SED)
method applied on several boulders located in the vicinity of
the investigated soils (Favilli et al. 2008c).
The subsequent step in this research was to verify
the exposure and 14C ages by cross-checking them with the
results obtained by the relative dating techniques applied
on 9 soils in the investigated area (Favilli et al. 2009). This
procedure guaranteed an extended interpretation, mutual
control of the applied methods and a more accurate estimate
of possible error sources. The obtained results have shown
the high agreements among the different dating techniques
and allowed us to hypothesise the glaciers extension during
the Lateglacial in Val di Rabbi.
Referring to all these results, in this paper we wanted
to bring together and integrate findings from earlier publications (Favilli et al. 2008a, 2008b, 2008c, 2009), in order to
illustrate the issues related to the use of relative and absolute
dating techniques in the Alpine region. We summarize the
sampling strategies and laboratory analyses and point out the
implications of our results with respect to future applications
of this combined methodology in the Alpine setting.
2.
Investigation area
The investigation area is located in Val di Rabbi, a lateral valley of Val di Sole, in the south Alpine belt in northern
Italy (Fig. 1). Detailed description of investigated area can
be found in Favilli et al. (2009). The investigated soils and
boulders (Tabs 1-2; Figs 1-3) were situated between 2083
m a.s.l. and 2552 m a.s.l., i.e. close to timberline and in the
high-alpine zone. According to the WRB (World Reference
Tab. 1 - Characteristics of the study sites.
Tab. 1 - Caratteristiche dei siti studiati.
Soil
profile
Elevation
(m a.s.l.)
Aspect
(°N)
Slope
(%)
Parent material /
Location
Vegetation
Land use
WRB
(IUSS Working Group 2007)
S1
2100
60
32
S2
2230
70
55
S3
2380
320
5
S4
2370
300
10
Paragneiss / slope
deposits
S5
2083
240
32
Paragneiss / Lateral Larix decidua /
Natural forest
moraine
Juniperus communis
Entic Podzol
S6
2076
5
38
Paragneiss / Lateral Larix decidua /
Natural forest
moraine
Juniperus communis
Entic Podzol
S7
2100
3
43
Paragneiss / Lateral Larix decidua /
Natural forest
moraine
Juniperus communis
Umbric Podzol
S8
2552
200
33
Paragneiss /
rockglacier
S9
2449
90
0
Paragneiss / moraine Carex curvula /
ridge
Nardus stricta
Paragneiss / Lateral Larix decidua /
Natural forest
Entic Podzol
moraine
Juniperus communis
Rhododendro
Paragneiss / Lateral
Natural grassland Haplic Podzol
- vaccinietum
moraine
extrasilvaticum
Paragneiss / Lateral
Natural grassland Protospodic Leptosol
Festucetum
moraine
Festucetum
Carex curvula /
Nardus stricta
Natural grassland Brunic Cambisol
Natural grassland Cambic Umbrisol
Natural grassland Umbric Podzol
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
95
Switzerland
Ridges
Rivers
Rabbi
1195 m asl
M.te Villar
2645
Cima Vallon
2903
Switzerland
Cima
Tremenesca
2882
Cima Grande
2901
Venice
Verona
Cima Vegaia
2890
M.te
Le Pozze
2773
bi
ab
M.te Polinar
2604
Passo Cercèn 2623
Villages
Va
l
di R
Italy
Mountain Peaks
2845
Cima Mezzana
Male
738 m asl
Piz di Montes
2368
Italy
3 km
S7
S9
B6
S8
1.5
0
Dimaro
766 m asl
N
S6
Cima
Vallon
00
25
00
B8
00
20
B5
17
Cima
Tremenesca
Passo
Cercèn
B9
00
20
0
Cima
Grande
N
Monte
Le Pozze
2400
0.5 1.0 1.5
km
Cima
Vegaia
B7
Moraine ridge
Rockglacier
Fig. 1 - Location of the investigation site.
Fig. 1 - Posizione dei siti studiati.
B1
2500
B10 S2
S1 S5 B2
Glacial headwall
Debris
S4
S3
B3
B4
Soil profile (S)
Boulder (B)
96
Favilli et al.
Base, FAO 1998), the soil types were Entic Podzol, Umbric
Podzol and Haplic Podzol at lower altitude (2000-2200 m
a.s.l.), Protospodic Leptosol and Brunic Cambisol at around
2300 m a.s.l. and Cambic Umbrisol and Umbric Podzol at
the highest altitude (2500 m a.s.l.).
3.
Materials and Methods
3.1.
Sampling
Landscape was investigated with the aim to discover
the most representative sampling sites. Soil developed on
glacial and periglacial formations like moraines, rock glaciers, debris flows and solifluctions were chosen after a pre-
Dating techniques in the Alpine environment
study of the area by aerial photos and soil mapping (Sartori
& Mancabelli 2009) (Tab. 1, Fig. 2). This was done in order
to sample the most characteristics sites to get precious insights on the reaction and sensitivity of the area in responding to climatic changes and slope processes. Soil material
was collected, where possible, down to the BC horizon. Ten
large boulders with volumes > 2 m3 were chosen in order
to exclude any long-term effects from slope-movement
processes and sampled (Tab. 2, Fig. 3). Quartz sampling
strategy can be found in Ivy-Ochs et al. (2004).
3.2.
Soil chemistry and physics
The soil samples were air-dried and sieved to < 2
mm. Total C and N contents of the soil were measured
Fig. 2 - a. Soil profile S1, located at 2100 m a.s.l. on a morainic sediment below a Larix decidua forest; b. soil profiles S3, located at 2380
m a.s.l. on a morainic sediment; c. soil profile S4, located at 2370 m a.s.l. with indication of the buried horizons; d. soil profile S9, located
at 2449 m a.s.l. on a morainic sediment.
Fig. 2 - a. Profilo S1, posizionato a 2100 m s.l.m. su sedimento morenico sotto una foresta di Larix decidua; b. profilo S3, posizionato
a 2380 m s.l.m. su sedimento morenico; c. profilo S4, posizionato a 2370 m s.l.m. con indicazione degli orizzonti sepolti; d. profilo S9,
posizionato a 2449 m s.l.m. su sedimento morenico.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
97
Tab. 2 - List of samples, elevation, latitude of the sample sites, thickness of sample, correction factor for topography, snow, 10Be measured
concentration in the sample, measurement error and 10Be date. n.d.= not determined; *= average value of snow cover during 6 months; **=
estimated total error including measurement error and the effects of altitude, latitude and topography/depth scaling.
Tab. 2 - Lista dei campioni, altitudine, latitudine dei siti campionati, spessore dei campioni, fattore di correzione per topografia, neve,
concentrazione misurata di Be10 nel campione, errore di misurazione ed età (Be10) del campione. n.d.= non misurato; *= copertura media
della neve durante 6 mesi; **= stima dell’errore totale incluso errore di misurazione ed effetto della correzione dovuta all’altitudine e
alla topografia/profondità.
Sample Elevation
(m a.s.l.)
Latitude Lithology /
(°N)
Location
B1
2247
46.2263
B2
2360
46.2223
B3
2456
46.2223
B4
2446
46.2223
B5
2360
46.2223
B6
2552
46.2315
B7
2449
46.2302
B8
2597
46.2308
B9
2586
46.2308
B10
2453
46.2160
Gneiss /
lateral moraine
Gneiss /
moraine crest
Gneiss /
lateral moraine
Gneiss /
lateral moraine
Gneiss /
lateral moraine
Gneiss /
rock glacier
Gneiss /
moraine ridge
Micaschists /
transfluence pass
Micaschists /
transfluence pass
Micaschists /
ridge line
10
Sample
Shield
Snow
Be
Estimated
thickness correction correction (at g-1 1E+5]) total
(cm)
(meters)*
error**
(%)
Be date
(snow
corrected)
(yr)
10
3
0.931
1.3
3.23±0.21
10.2
11680±1180 13240±1350
5
0.927
0.7
3.25±0.15
8.5
11110±940 11890±1010
5
0.958
0.3
3.15±0.18
7.8
9780±770
9940±770
5
0.959
0.3
2.86±0.19
7.8
8710±680
8850±690
5
0.797
0.7
2.31±0.11
11.8
9190±1090 9840±1160
4
0.978
0.5
3.01±0.13
9.6
8720±840
8960±860
5
-
-
-
-
n.d.
n.d.
5
0.986
0.5
4.16±0.20
9.2
11490±1060 12040±1110
5
0.956
0.5
3.84±0.17
7.0
11030±770 11550±810
5
0.973
0.7
4.22±0.15
5.7
12950±740 13850±790
using a C/H/N analyser (Elementar Vario EL, Elementar
Analysensysteme GmbH, Hanau, Germany) on oven-dried
(105 °C) and ball-milled fine earth samples. Soil pH (in
0.01 M CaCl2) was determined on air-dried samples of fine
earth using a soil solution ratio of 1:2.5. Particle size distribution of the soils was quantified by a combined method
consisting of sieving the coarser particles (2000-32 µm)
and measuring the finer particles (< 32 µm) by means of an
X-ray sedimentometer (SediGraph 5100, Micromeretics,
Norcross, GA, USA).
3.3.
Be date
(yr)
10
Relative dating
Relative dating techniques using pedogenetic and
weathering parameters were applied based on the premise
that soil development is time-dependent (Zech et al. 2003).
The differences in altitude between the sampling sites were
minimal and any difference in relative dating could be used
as a reflection of the age.
3.3.1. Soil mineralogy
The clay fraction (< 2 µm) was obtained from the
soil following the procedure presented in Carnicelli et al.
(1997). Oriented specimens on glass slides were analysed
by X-ray diffraction (XRD). The following treatments were
performed: Mg saturation, ethylene glycol solvation (EG)
and K saturation, followed by heating for 2 h at 335 and
550 °C (Brown & Brindley 1980). Digitised X-ray data was
smoothed and corrected for Lorentz and polarisation factors (Moore & Reynolds 1997). Peak separation and profile
analysis were carried out by the Origin PFMTM using the
Pearson VII algorithm after smoothing the diffraction patterns by a Fourier transform function.
3.3.2. Calculation of weathering rates
Total element concentrations in the soil and skeleton
were determined by energy-dispersive X-ray fluorescence
spectrometry (X-Lab 2000; Spectro, Kleve, Germany) on
samples milled to 63 µm. The derivation of mass-balance
equations and their application to pedologic processes
were discussed in detail by Brimhall & Dietrich (1987) and
Chadwick et al. (1990), and revised by Egli & Fitze (2000).
3.3.3. Podzolisation process
The age-dependent formation and movement of pedogenic iron, aluminium oxides and hydroxides was used to
assess the intensity of soil development and to attest surface
stability for the formation of typical eluvial and illuvial
horizons. The dithionite- (Fed, Ald) and oxalate-extractable
(Feo, Alo) iron and aluminium fractions were extracted according to McKeague et al. (1971), and analysed by AAS
98
Favilli et al.
Dating techniques in the Alpine environment
Fig. 3 - a. Location of the boulder B3; b. Location of the boulders B2 and B5; c. Location of the boulder B6 with indication of the inactive
rock glacier; d. Location of B7.
Fig. 3 - a. Posizione del masso B3; b. posizione dei massi B2 e B5; c. posizione del masso B6 con indicazione del rock glacier inattivo; d.
posizione del masso B7.
(Atomic Absorption Spectrometry – AAnalyst 700, Perkin
Elmer, USA).
3.4.
Absolute dating
Absolute dating was carried on in order to obtain
minimum ages of deposition of morainic sediments and
of soil formation. Charcoal fragments found in the studied
soils were radiocarbon dated to obtain evidences of soil
pedogenesis (Carcaillet 2000).
3.4.1. Isolation of the resilient organic matter
We compared five chemical extraction techniques
referring to previous studies (Plante et al. 2004; Eusterhues
et al. 2005; Mikutta et al. 2006; Helfrich et al. 2007). The
residues obtained after the five tested treatments were chemically analysed and radiocarbon dated (see Favilli et al. 2008a
for details). The one-week oxidation with 10% H2O2 was the
most efficient in isolating the oldest organic matter (Favilli
et al. 2008a). Briefly, air-dried and sieved (< 2 mm) soil was
wetted for 10 min with few ml of distilled water in a 250 ml
glass beaker. Afterwards, 90 ml of 10% H2O2 were added per
gram of soil. The procedure was run at a minimum temperature of 50 °C throughout the treatment period. See Favilli et
al. (2008a) for detailed description of the procedure.
3.4.2. 10Be Cosmogenic Nuclide Dating
Surface Exposure Dating (SED) was applied on 10
boulders lying on typical representative periglacial forms
(moraines, rock glaciers, transfluence passes), using in situ
cosmogenic 10Be in quartz. Samples were processed using
the method of Ivy-Ochs (1996). The 10Be/9Be ratios were
measured by AMS (accelerator mass spectrometry) using
the Tandem accelerator facility at the Swiss Federal Institute
of Technology Zurich (ETHZ). Details of the procedure are
given in Favilli et al. (2009).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
3.4.3. Charcoal
Charcoal fragments were hand picked from the soil
material and dried at 40 °C. The individual particles were
separated into coniferous and broad-leaved tree species
(Schoch 1986), with the aid of a stereo and a reflected-light
microscope. The observations were compared with a histological wood-anatomical atlas, using an identification key
(Schweingruber 1990).
3.4.4. Radiocarbon dating
Necessary preparation and pre-treatment of the
sample material for radiocarbon dating was carried out by
the 14C laboratory of the Department of Geography at the
University of Zurich.
The dating itself was done by AMS with the tandem
accelerator of the Institute of Particle Physics at the Swiss
Federal Institute of Technology Zurich (ETH).
The calendar ages were obtained using the OxCal
4.0.5 calibration program (Bronk Ramsey 1995, 2001)
based on the IntCal 04 calibration curve (Reimer et al.
2004). Calibrated ages are given in the 2 σ range (minimum
and maximum value).
4.
Results
4.1.
Physical characteristics and chemical composition
of the soils
The investigated soils developed on a morainic substratum over a paragneiss parent material. The proportion
99
of rock fragments ranges from 0% up to 68%, increasing
with soil depth (Tab. 3), which is typical for Alpine soils
(Egli et al. 2001a). All investigated soils have a loamy
to loamy-sand texture. The physical and chemical characterisation help to distinguish some of the natural slope
processes which occurred during the soil evolution. Soil
S4 has a polygenetic profile. At 32 cm depth, a buried
soil appeared (Fig. 2c). Accordingly, a clear rupture in all
physical and chemical characteristics was measurable due
to this discontinuity (Tabs 3-4). Due to the high content of
skeleton (material > 2 mm in diameter) up to the surface
(Tab. 3), the soils S6 and S7 might have been influenced
by slope mass movements. These events can be recognized
also by the amount of organic carbon in the S7 site, which
is almost double in the topsoil compared to S6 and rather
constant within the profile (Tab. 4).
4.2.
Absolute dating
4.2.1. Radiocarbon age of soil organic matter
A decreasing age with soil depth was measured in the
profiles S1, S5, S8 and S9 (Tab. 5). Soil profile S1, revealing an age of around 16,785-17,840 cal BP, may represent
the first stage of deglaciation that occurred in the studied
area and the oldest morainic material deposited after the
LGM. The other soils belong to younger surfaces and refer
to the Bølling-Allerød interstadial and to the Holocene period (Fig. 4). The polygenetic structure of the site S4 was
confirmed by the 14C results. Soil formation in the buried
layer started around 13,600-13,990 cal BP and ended, due
to an accumulation of eroded material, probably slope deposits, between 2370 and 2745 cal BP (Tab. 5). This event
Fig. 4 - Reconstruction of the extension of glaciers and periglacial processes during the Lateglacial/Holocene in the investigated area
according to 14C and 10Be ages and location of the investigated soil profiles and boulders (according to the obtained ages and to several
authors, e.g., Maisch 1987; Maisch et al. 1999; Kerschner et al. 1999; Ivy-Ochs et al. 2004).
Fig. 4 - Ricostruzione dell’estensione dei ghiacciai nell’area studiata durante il Tardoglaciale, in base alle età del 14C e del 10Be con
indicazione della posizione dei suoli e massi studiati (secondo le età ottenute e vari autori: Maisch 1987; Maisch et al. 1999; Kerschner
et al. 1999; Ivy-Ochs et al. 2004).
100
Favilli et al.
Dating techniques in the Alpine environment
Tab. 3 - Physical characteristics of the investigated soils. 1)= skeleton= material> 2mm; 2)= size fractions: sand= 2000-62 μm, silt= 62-2
μm, clay= <2 μm.; n.d.= not determined.
Tab. 3 - Caratteristiche fisiche dei suoli studiati. 1)= scheletro= materiale> 2mm; 2)= dimensione delle frazioni: sabbia= 2000-62 μm,
limo= 62-2 μm, argilla= <2 μm.; n.d.= non determinato.
Site
Soil horizon
Depth
(cm)
Munsell colour Skeleton1) (%) Sand2)
(moist)
(g kg-1)
AE
0-4
10YR 3/3
5
BE
4-8
5YR 4/4
11
Bs1
8-20
7.5YR 4/4
Bs2
20-45
10YR 4/4
BC
45-60
10YR 5/4
Silt
(g kg-1)
Clay
(g kg-1)
455
280
265
515
280
205
51
575
286
139
45
671
275
54
34
n.d.
n.d.
n.d.
S1
S2
AE
0-9
7.5YR 2/1
3
397
398
205
Bhs
9-20
7.5YR 3/3
19
717
209
74
Bs
20-40
7.5YR 4/3
58
709
252
39
AE1
0-4
10YR 2/3
8
457
223
320
AE2
4-12
10YR 3/2
21
576
212
212
Bhs
12-20
10YR 4/2
45
638
172
190
A
0-8
10YR 3/2
0
352
496
152
Bw1
8-20
10YR 4/4
1
409
437
154
Bw2
20-32
10YR 4/4
32
692
258
50
Ab
32-35
10YR 3/3
2
309
498
193
Bb
35-40
10YR 4/4
49
839
136
25
AE
0-11
10YR 4/3
7
437
302
261
Bs1
11-26
5YR 4/6
16
551
344
105
Bs2
26-50
7.5YR 4/6
47
663
258
79
S3
S4
S5
S6
AE
8-17
2.5YR 5/1
54
438
417
145
Bs1
17-38
5YR 4/6
67
561
317
122
Bs2
38-45
7.5YR 4/6
68
561
317
122
BC
45-60
10YR 4/6
56
530
353
117
AE
5-10
10YR 2/1
43
498
290
212
Bs1
11-25
10YR 3/3
63
544
323
133
Bs2
25-50
10YR 3/3
44
536
331
133
BC
50-60
10YR 3/3
60
532
333
135
AE
0-20
7.5YR 3/2
37
486
374
140
S7
S8
Bs
20-25
5YR 2/4
59
599
360
41
BC
25-48
10YR 4/6
54
632
345
23
AE
0-11
7.5YR 3/2
16
381
416
203
Bs
11-23
7.5YR 3/3
27
497
400
103
BC
23-40
7.5YR 4/4
46
654
310
36
S9
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
101
Tab. 4 - Chemical characterisation of the investigated soils. n.d.= not determined; o= oxalate extractable content; d= dithionite extractable
content.
Tab. 4 - Caratteristiche chimiche dei suoli studiati. n.d.= non determinato, o= contenuto estraibile in ossalato; d= contenuto estraibile
in ditionito.
Site
Soil
horizon
pH
(CaCl2)
Org. C
(g kg-1)
Total N
(g kg-1)
C/N
Alo
(g kg-1)
Feo
(g kg-1)
Fed
(g kg-1)
Ald
(g kg-1)
AE
3.7
103.7
5.7
18
1.73
5.57
15.90
2.50
BE
3.6
61.0
2.9
21
1.91
6.06
20.50
2.80
Bs1
4.1
39.4
1.8
22
10.27
19.62
44.10
14.70
Bs2
4.4
17.0
0.7
24
5.84
9.37
21.40
7.30
BC
4.5
7.5
0.6
12
4.04
1.67
6.90
5.60
S1
S2
AE
3.4
184.6
28.1
7
2.78
5.67
14.53
3.94
Bhs
3.7
63.8
11.8
5
6.31
24.90
45.33
5.96
Bs
4.1
25.4
8.8
3
6.41
8.81
30.13
10.65
AE1
3.4
124.9
6.8
18
2.03
2.47
8.50
2.80
AE2
3.5
48.0
2.2
22
2.48
4.33
11.00
3.20
Bhs
3.8
71.4
3.1
23
8.30
13.76
27.10
14.20
A
3.8
55.3
3.8
15
3.05
7.05
21.90
5.40
Bw1
4.0
20.7
1.5
14
2.47
9.61
30.80
5.00
Bw2
4.1
19.5
1.3
15
1.58
4.21
20.60
3.30
Ab
3.9
62.0
3.9
16
4.39
6.52
23.10
7.50
Bb
4.2
9.1
0.5
18
1.57
3.70
15.30
2.70
AE
3.5
56.9
2.7
21
2.18
7.13
21.10
3.10
Bs1
3.8
35.3
1.7
21
6.42
20.19
50.70
9.50
Bs2
4.3
22.8
1.1
21
6.35
10.08
24.50
8.60
S3
S4
S5
S6
AE
3.5
76.5
4.1
19
1.49
3.88
13.54
1.82
Bs1
4.0
45.3
1.8
25
5.60
16.46
35.81
8.21
Bs2
4.1
47.6
1.6
30
5.53
15.57
35.18
9.20
BC
4.2
35.5
1.1
32
4.09
14.42
30.47
6.57
AE
3.1
143.9
6.4
22
0.89
1.52
8.06
1.33
Bs1
3.7
48.5
1.4
35
1.92
4.39
12.64
3.26
Bs2
3.7
48.3
1.6
30
1.81
3.54
10.43
2.89
BC
3.7
48.7
1.5
32
1.90
3.64
11.12
3.23
AE
3.8
43.0
2.3
19
4.63
6.18
22.82
7.82
S7
S8
Bs
4.2
29.5
1.4
21
6.21
6.32
19.09
8.69
BC
4.4
8.0
0.5
16
3.30
1.97
13.92
4.40
AE
3.2
56.4
3.8
15
3.15
4.60
12.65
3.04
Bs
3.8
37.8
1.6
24
7.32
10.74
31.06
8.30
BC
4.1
17.9
0.7
26
4.08
4.01
18.64
5.91
S9
102
Favilli et al.
was inferred from dating root residues in the Ab horizon.
Weathered and mixed sediment, containing already organic
material (having an age of 8370-9075 cal BP; Tab. 5, Fig.
2c), was deposited on the top of the original soil. The age of
the soils S2, S3, S5 and S9 (Tab. 5) refer to the same period
and give a general overview of the extent of glaciation at
the end of the Younger Dryas (Egesen) (Fig. 4).
4.2.2. 10Be exposure ages
The 10Be ages of the sampled boulders range between
13,850 and 8850 years (Tab. 2). The sampled boulders
were deposited in the time range between the transition
Bølling-Allerød / Younger Dryas (around 13-14 ka; Alley
et al. 1993; Maisch et al. 1999; Schaub et al. 2008) and
the Boreal (9.0-10.2 ka; Maisch et al. 1999) chronozones
(Fig. 4). The position of the boulders and their age have
been explained with respect to the timing of deposition of
the morainic till (Figs 3-4). The obtained 10Be ages allowed
the deciphering of the periglacial processes which occurred
in the investigated area. The boulder B5 (9840±1160 years,
10
Be), located near the same moraine where B3 (at 2456 m
a.s.l.) was found, has been shifted away from the crest of
the morainic sediment (Fig. 3b). The boulder B5 was probably deposited together with B3; in fact, they show a very
comparable age (Tab. 2). We assume that the boulder B5
was probably deposited together with B3 and then moved
downward due to boulder instability to the actual stable
position (e.g., Ivy-Ochs et al. 2007).
4.2.3. Charcoal
Dating of charcoal fragments from the horizons of
one of the most developed profile (S5) gave increasing 14C
ages with soil depth with 3080-3380 cal BP in the upper
horizon to 10,215-10,510 cal BP in the lower one (Tab. 5).
According to the plant succession of Burga (1999), after
about 150-300 years of soil formation, Larix-trees are able
to growth at 2000-2100 m asl of altitude. The measured age
of 10,212-10,509 cal BP of the charcoal and the addition of
the minimum time necessary for tree-growth would give a
minimum age of soil formation of about 10,500-10,800 cal
BP. This age corresponds very well to the measured age of
the resilient organic matter fraction after the H2O2 extraction (in the surface horizon).
4.3.
Relative dating
4.3.1. Podzolisation
All the investigated soils show the tendency to develop toward podzols. Among the nine studied soils, seven
of them (S1, S2, S3, S5, S6, S7, S9) showed the typical
eluviation and illuviation of Fe and Al (Tab. 4; Figs 2a, 2b,
2d). Soil S3 developed during the last 10,435-11,075 years
under strong leaching conditions (Tab. 5). This soils shows
a clear downward movement of Fe, Al and organic matter,
which have contribute to the formation of a Bhs horizon
(Fig. 2b). The present topsoil of S4 (Fig. 2c), which is located near S3 (Fig. 1), showed a first translocation of Fe
and Al in the Bw1 horizon (Tab. 4). According to the 23702745 years of its undisturbed evolution (Tab. 5), it is clear
the tendency to develop towards a typical podzol (Tab. 4;
Egli et al. 2003a, 2003b). Between the soils S6 and S7, the
Dating techniques in the Alpine environment
degree of podzolisation (i.e., migration of Fe and Al forms
in the profile) is much more pronounced at the S6 site. The
soil S6 shows a clear horizon differentiation, as visible by
the Munsell colour (Tab. 3) and presents a double amount
of migrated sesquioxides compared to S7. Soil S7 does not
show a clear horizon differentiation (Tab. 3).
4.3.2. Clay minerals
In the surface soil horizon, smectite and vermiculite
compounds were measurable in all podzolised soils except
in the top horizons of the soils developed at the highest altitude (S8 and S9) and in the topsoil of the polygenetic soil
(S4). The accumulated material on the top of the former
soil at S4 (A, Bw1 and Bw2 horizons) showed no major
clay mineral transformations. This agrees well with the
14
C age (2370-2745 cal BP) derived from the (untreated)
roots remaining in the buried horizon (Ab), which gives an
approximate date of the burial event. An overview of the
identified clay minerals in the investigated soils is given in
the table 6. For a detailed description of the clay minerals
identification see Favilli et al. (2008b).
4.3.3. Mass balance calculations
The composition of the investigated material reflects
the acidic character of the soils. Minor differences occurred
in the chemical composition of the C (BC) horizon between
the sites. The Al2O3 content of the parent material at the
sites located below timberline (S1, S5, S6 and S7) seems to
be slightly higher compared to the other sites. Substantial
losses of Na, Ca, Mn and Mg up to 70% were observed
in the soils S1, S2, S3, S5 and S9 (Tab. 7). The polygenetic soil S4 showed losses in the present top horizon (A
horizon) partially up to 70% only in Ca, Mn and Na and
slightly lower losses in the buried top horizon (Ab). The
open-system mass transport functions have been calculated
according to the depth for each soil and element. Generally
negative values and thus losses of elements are observed
with increasing age of the soil.
5.
Discussion
5.1.
Absolute dating techniques
The H2O2 technique was able to remove the younger
fractions without affecting the oldest one. The isolated pool
of organic matter after the H2O2 treatment was an inert
fraction of SOM with a mixture of charcoal and organic
materials strongly adsorbed on or trapped in clays (Favilli
et al. 2008a). The residues were enriched in aromatic and
aliphatic C and N-containing compounds, as found by
other authors (Cheshire et al. 2000; Eusterhues et al. 2005;
Helfrich et al. 2007). The ages of the soils and of the exposed boulders gave good indications about the evolution
and timing of glacier retreat and – in a general sense – the
dynamics of Alpine landscape formation. Soil development in Alpine mountains began after the deposition and
exposure of superficial material (Birkeland et al. 1987).
The combination of absolute dating techniques resulted
in good agreement (Favilli et al. 2008c), but the processes
relating to the stabilisation of OM in Alpine soils are still
not completely clear. The age sequences obtained from 14C
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
103
Tab. 5 - Measured and calibrated radiocarbon ages of untreated and H2O2- treated soil samples. Calibrated 14C ages are given in the 2 σ
range. -= not determined.
Tab. 5 - Età misurate e calibrate dei campioni non trattati e trattati con H2O2. Le età calibrate sono presentate nell’intervallo 2 σ. -= non
determinato.
Site
Soil type, depth
(cm)
S1
Entic Podzol
S2
S3
S4
S5
S6
S7
S8
Soil
horizon
Uncal 14C
untreated
Cal 14C
untreated
0-4
AE
-650±40
Modern
12,470±90
1416-14,965
4-8
BE
-30±40
Modern
14,410±110
16,785-17,840
Cal 14C
H2O2-treated
8-20
Bs1
780±40
670-775
10,060±85
11,275-11,970
20-45
Bs2
2815±45
2795-3065
9735±75
10,790-11,270
45-60
BC
-
-
-
2207-2700
Uncal 14C
charcoal
Cal 14C
charcoal
Haplic Podzol
0-9
AE
-
-
2360±50
9-20
Bhs
-
-
-
20-40
Bs
-
-
9775±70
10,825-11,390
0-4
AE1
-
-
5115±55
5730-5990
4-12
AE2
-
-
-
12-20
Bhs
650±50
550-680
9425±75
10,435-11,075
0-8
A
-
-
7655±65
8370-8585
Protospodic Leptosol
Brunic Regosol
8-20
Bw1
-
-
-
-
20-32
Bw2
-
-
8025±60
8650-9075
32-35
Ab
2505±50
2370-2745
11,920±85
13,600-13,990
35-40
Bb
-
-
-
-
0-11
AE
85±50
10-240
9495±75
10,575-11,100
3055±50
3080-3380
11-26
Bs1
570±50
520-655
8125±70
8790-9295
3065±55
3080-3395
26-50
Bs2
1525±50
1320-1525
7700±75
8380-8630
9160±70
10,215-10,510
Entic Podzol
Entic Podzol
8-17
AE
-
-
2825±50
2795-3080
17-38
Bs1
-
-
-
-
38-45
Bs2
-
-
4235±50
4585-4875
45-60
BC
-
-
-
-
5-10
AE
-
-
2880±50
2870-3200
11-25
Bs1
-
-
-
-
25-50
Bs2
-
-
4710±50
5320-5585
50-60
BC
-
-
-
-
AE
-
-
8195±60
9010-9400
Umbric Podzol
Cambic Umbrisol
0-20
S9
Uncal 14C
H2O2-treated
20-25
Bs
-
-
-
-
25-48
BC
-
-
6445±55
7270-7435
AE
-
-
9795±85
10,795-11,600
Umbric Podzol
0-11
11-23
Bs
-
-
-
-
23-40
BC
-
-
7200±70
7875-8175
104
Favilli et al.
Dating techniques in the Alpine environment
and 10Be allowed us to make hypotheses about the different
stadial and interstadial phases that occurred in the investigated area and about the glaciers oscillations during the
Lateglacial (Fig. 4).
The investigation area experienced deglaciation
between 18,000 and 9000 cal BP, with several phases of
retreat and readvance. All the events we recognised in this
work contributed to the shaping of the area and helped us
to understand how this valley reacted to past climatic shifting.
The portion of the Val di Rabbi we studied is mostly
covered by Quaternary deposits (Fig. 5) over a paragneiss/
mica schists parent material. The age of these deposits refers to the Late Pleistocene and Early Holocene period, according to our analyses (Tabs 2, 5). The highest part of the
investigated area are not fully covered by glacial deposits,
which are present up to 2300 m a.s.l. in the north-facing
side (soils S1-S5; boulders B1-B5) and up to 2600 m a.s.l.
in the east-and south-facing side (soils S8, S9; boulders B6,
B7 and B10) (Figs 1, 4, 5). Deglaciation processes in Val
di Rabbi were far advanced around 14,000 cal BP, reaching
2453 m a.s.l. in the south-facing side (boulder B10) and
2370 m a.s.l. in the north-facing side (site S4). Glacier oscillations have affected the highest part of the region until
about 9000 cal BP. The age around 13.5-14 ka (B1) does
not fit perfectly with the beginning of the Younger Dryas
readvance phase (Maisch et al. 1999). This boulder required more than 10% of snow correction to the exposure
age with an assumed snow density of 0.3 g cm-3. Snow is
the most common cause for surface coverage
corrections
S7
B5
S6 radiation
B7 S9
and its
reduces the cosmic
S8 presence onB6the surface
(Gosse & Phillips 2001). The mean snow cover duration
N
B6
S8
B7
S9
B8
B9
S7
S6
B5
B4
B3
N
B8
B9
B10
B10
B1
B1
S2
micamica
schist,schist,
phyllads phyllads
lakes
paragneiss
grey limestone, dolomite
paragneiss
orthogneiss
orthogneiss
Quaternary
deposits
Quaternary deposits
S1 S5S2B2
S1 S5 B2
S4
S3
lakes
grey limestone, dolomite
Alpine intrusion: tonalite,
granodiorite, granite
Alpine intrusion: tonalite,
granodiorite, granite
Fig. 5 - Overview of the investigated area with indications about
the geology and the locations of the sites.
Fig. 5 - Vista generale dell’area studiata con indicazione della
geologia e della localizzazione dei siti.
was estimated according to Auer et al. (2003) and to climatic data supplied by the Provincia Autonoma di Trento
(Dipartimento Protezione Civile e Tutela del Territorio –
Ufficio Previsioni e Organizzazione). In our case the snow
correction increased some of the exposure ages significantly (Favilli et al. 2008c, submitted). Snow depth during
the Lateglacial and Holocene is difficult to quantify (Kelly
et al. 2004). This boulder may have been deposited early
on during the Egesen stadial or it may have been deposited
during the Daun stadial (Maisch et al. 1999).
The distinct warming of climate after the Boreal
chronozone (around 9000 years ago) gave rise to a rapid
melting of the glaciers and enabled the Mesolithic human settlements up to the main Alpine range (Bassetti &
Angelucci 2007). No morainic sediments were dated back
to the Little Ice Age (LIA) glacial phases (Ivy-Ochs et al.
2008). With the absolute dating of the area it was possible
to detect some local periglacial processes which interested
the area until recent times (i.e., burial of soil S4).
5.2.
Relative dating techniques
Podzolisation processes are going on in these soils,
even in the ones which do not show a clear albic and a
spodic horizon (Tab. 4). Eluviation and illuviation of Fe
and Al forms were evident in most soils. With increasing
time of soil development, more Al and Fe migrate and accumulate in the spodic horizon. The downward migration
of Fe and Al and the advance in the podzolisation process
are a function
B4 of the weathering stage and of the time since
exposure (Tabs 4, 7). Therefore, the migration of Fe and Al
B3
in the profile seems to be a good indicator of the soil age
and of the surface stability (Briggs et al. 2006).
Formation and transformation reactions of clay minerals delineate also the weathering stage of the investigated soils. According to Egli et al. (2001b), clay mineral
transformations mainly occur within the first 3000 years
of soil formation and distinct amounts of smectite can
be discernible in well developed soils after 8000 years
(Tab. 6). The formation of smectite can be traced back
to the transformation of chlorite and mica over transitional steps such as hydroxy-interlayered vermiculite (or
smectite), irregularly interstratified mica-vermiculite or
mica-smectite (Righi et al. 1999; Egli et al. 2003b). The
presence of smectite in soils is due to strong leaching and
weathering conditions (Carnicelli et al. 1997; Mirabella
& Sartori 1998; Egli et al. 2003b), and can be used as
an age indicator. The 2600 years time span of the present
soil surface of S4 (Tab. 5) was obviously not sufficiently
long for the development of major amounts of secondary
minerals (Tab. 6).
S3MassS4balance calculation indicated that extensive
mineral weathering resulted in significant losses of Si, major base cations, Al and Fe (Tab. 7). These mass balances
could be related to the weathering degree and time of exposure. The most weathered soils (S1, S2, S3 and S5), which
developed within a glacial cirque are podzolised, have a
high radiocarbon age and high element losses. Chemical
and mineralogical data of the soil profile S7 suggest that
this soil was affected by greater disturbances compared
to S6 during the 5000 years of its evolution. Chemical
weathering, therefore, supports the findings obtained from
numerical dating.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
6.
105
Conclusions
Here we present a methodology for understanding
Late Pleistocene and Holocene Alpine landscape evolution.
-
The H2O2 technique is able to isolate the resilient
fraction of the soil organic matter (SOM). The chemical characterisation of the organic residues is in line
with the findings of others about the resilient fraction
of the organic matter (see Favilli et al. 2008a and
-
references therein). Further research about the H2O2
resistant organic fraction is needed, also for developing new extraction methods.
The radiocarbon dating of the resilient organic matter
gives reliable ages about an ice-free surface and the
first stages of soil organic matter formation. For a better interpretation of the obtained ages, the data have
to be compared with the age estimation from other
relative or absolute (numerical) dating techniques.
Tab. 6 - Minerals in the clay fraction of the investigated soil horizons: an overview n.d.= not determined; (+)= traces (0-5%); += present
in significant amount (5-20%); ++= present in high amount (> 20%); (-)= not present; a Smec = smectite; Verm = vermiculite; HIV=
hydroxy-interlayered vermiculite.
Tab. 6 - Minerali nella frazione argillosa degli orizzonti del suolo studiati: visione generale. n.d.= non determinato; (+)=tracce (0-5%);
+= presente in quantità significative (5-20%); ++= presente in grandi quantità (> 20%); (-)=non presente; a Smec= smentite; Verm=
vermicultite; HIV= vermiculite intercalata con idrossido.
Site
Soil horizon
Smeca
Verma
Mica/smec
mica/HIV
HIVa
Chlorite
Mica
Kaolinite
S1
AE
++
+
+
+
(+)
-
++
+
S2
S3
S4
S5
S6
S7
S8
S9
BE
+
+
++
-
+
-
++
+
Bs1
+
+
+
+
+
+
++
+
Bs2
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
BC
-
+
-
++
(+)
+
++
(+)
AE
+
++
++
-
+
-
+
+
Bhs
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Bs
-
+
-
++
+
(+)
+
+
AE1
++
+
++
++
+
-
+
+
AE2
+
++
-
-
-
-
++
+
Bhs
+
-
++
+
(+)
+
++
+
A
-
+
-
++
-
+
++
+
Bw1
-
+
-
-
-
+
++
++
Bw2
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Ab
++
++
-
-
-
+
++
+
Bb
-
+
-
-
+
+
++
++
AE
+
(+)
++
+
+
-
++
+
Bs1
++
+
+
+
+
+
++
+
Bs2
+
+
++
++
-
+
++
+
AE
++
(+)
++
-
+
(+)
++
+
Bs1
+
+
++
+
(+)
+
++
+
Bs2
+
+
++
+
+
+
++
+
BC
-
++
-
+
+
+
+
+
AE
++
(+)
++
+
+
-
++
+
Bs1
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
Bs2
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
BC
+
+
+
++
+
-
++
+
AE
(+)
++
-
-
++
+
+
+
Bs
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
BC
-
++
-
+
(+)
+
++
+
AE
(+)
++
-
-
-
-
++
+
Bs
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
BC
-
+
-
++
+
+
++
+
106
-
-
Favilli et al.
Dating techniques in the Alpine environment
The 10Be age sequence and the 14C ages of resilient
OM are in good agreement.
Clay minerals are time-dependent. Their development in representative soils enables a relative dif-
-
ferentiation of the soil surfaces and avoids possible
misinterpretations of the 14C ages (of resilient OM).
Soil mass balance analysis gives important information about the weathering mechanisms which oc-
Tab. 7 - Strain coefficient (εi,w) and open-system mass transport function (τ) for each element investigated with respect to the sites and soil
depth.
Tab. 7 - Coefficiente di deformazione (εi,w) e funzione di trasporto di massa del sistema aperto (τ) per ogni elemento investigato in relazione
al sito e alla profondità.
Site
Horizons
Depth (cm)
εi,w
Si
Al
Fe
Mn
Mg
Ca
Na
K
AE
0-4
0.36
-0.24
-0.25
-0.49
-0.28
-0.65
-0.03
-0.23
-0.29
BE
4-8
0.27
-0.20
-0.21
-0.38
-0.25
-0.65
-0.26
-0.26
-0.26
Bs1
8-20
0.90
-0.11
-0.07
0.20
0.16
-0.28
0.02
-0.01
-0.14
S1
Bs2
20-45
0.31
0.10
-0.02
0.11
0.14
-0.16
0.68
0.17
-0.14
BC
45-60
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
AE
0-9
0.66
-0.29
-0.33
-0.48
-0.71
-0.73
-0.50
-0.30
-0.25
Bhs
9-20
0.15
-0.36
-0.27
-0.07
-0.47
-0.52
-0.54
-0.39
-0.21
Bs
20-40
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
AE1
0-4
0.24
-0.17
-0.20
-0.61
-0.54
-0.51
-0.41
-0.10
-0.17
S2
S3
AE2
4-12
0.06
-0.07
-0.11
-0.46
-0.17
-0.35
-0.21
-0.13
-0.08
Bhs
12-20
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
S4
A
0-8
0.26
-0.37
0.07
0.13
-0.64
0.04
-0.67
-0.51
0.57
Bw1
8-20
0.20
-0.37
0.09
0.26
-0.63
0.11
-0.66
-0.59
0.62
Bw2
20-32
0.49
-0.24
0.00
0.06
-0.36
-0.01
-0.40
-0.34
0.37
Ab
32-35
0.63
0.03
-0.01
0.02
-0.19
0.05
-0.11
-0.12
0.26
Bb
35-40
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
S5
AE
0-11
0.29
-0.27
-0.21
-0.42
-0.39
-0.54
-0.44
-0.30
-0.23
Bs1
11-26
0.29
-0.23
-0.16
0.19
0.02
-0.29
-0.37
-0.04
-0.19
Bs2
26-50
0.02
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
S6
AE
8-17
0.21
-0.16
-0.09
-0.27
-0.18
0.02
0.29
0.15
-0.24
Bs1
17-38
-0.12
-0.13
0.01
0.19
0.13
0.51
-0.10
-0.03
-0.02
BC
45-60
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
AE
5-10
0.70
-0.15
0.01
0.06
-0.19
0.04
0.14
-0.10
0.02
S7
Bs1
11-25
0.51
-0.02
-0.02
0.00
-0.04
0.17
0.39
0.09
-0.06
BC
50-60
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
AE
0-20
0.73
0.01
0.03
0.00
-0.19
-0.31
-0.32
0.12
-0.01
BC
25-48
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
AE
0-11
1.21
-0.25
-0.22
-0.59
-0.77
-0.73
-0.80
-0.39
-0.23
BC
23-40
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
S8
S9
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 93-108
-
-
curred since the Lateglacial. This method provides
detailed insights into the processes of a soil and also
indication about its age.
The combined methodology here presented offers
new perspectives in deciphering landscape history.
Applying together a relative and an absolute differentiation of the surfaces, this procedure is a promising tool for a better understanding of the geomorphology and palaeoclimate of relatively small catchments in Alpine environments. Further applications
of the methodology to other Alpine sites is needed to
check the reliability of the procedure and to improve
the Alpine chronology of the Lateglacial.
All the obtained ages gave a picture of the landscape
evolution and the chronology of deglaciation of the
investigated area.
Acknowledgements
This research was supported by a grant from the
Stiftung für wissenschafliche Forschung of the University
of Zurich. We are indebted to I. Woodhatch, W. Schoch and
B. Kägi for the support in the laboratory.
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© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Studio della distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini
Cristiano Ballabio1*, Giulio Curioni1,3, Massimiliano Clemenza2, Roberto Comolli1* & Ezio
Previtali2
Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126
Milano
2
Sezione “G. Occhialini”, Istituto Nazionale Fisica Nucleare, Piazza della Scienza 3, 20126 Milano
3
School of Engineering, University of Birmingham, Edgbaston, Birmingham, B15 2TT, United Kingdom
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
1
RIASSUNTO - Studio della distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini - Lo studio della distribuzione del 137Cs è un metodo
largamente applicato per stimare l’entità dell’erosione del suolo. Nel presente lavoro è stata studiata la distribuzione del 137Cs nei suoli
dell’Altopiano degli Andossi in Alta Valchiavenna (SO). Sono stati campionati (in superficie e profondità) 135 punti distribuiti su circa 250
ettari, misurando l’attività γ tramite rivelatore HPGe. I risultati mostrano che il 137Cs presenta un’elevata variabilità superficiale, mentre
in profondità i valori tendono a diminuire in modo marcato e a divenire omogenei. Per eseguire una mappatura del 137Cs è stato applicato
un modello di regressione utilizzando dati morfometrici ottenuti da un DEM di dettaglio, oltre all’informazione fornita da immagini
telerilevate e dati pedochimici. Il modello di Poisson si è dimostrato valido, ma meglio si è comportato il regression kriging, con lo 0,65
di varianza spiegata. Sui dati dell’infittimento del campionamento, la regressione ottenuta con il modello di Poisson è molto valida (R2adj=
0,81); poiché i parametri morfometrici più significativi sono quelli maggiormente relazionati all’erosione del suolo, si dimostra che il 137Cs
è un buon indicatore di fenomeni erosivi nei suoli alpini.
SUMMARY - Study of the spatial distribution of 137Cs in Alpine soils - The study of the distribution of the 137Cs is a popular methodology
to estimate soil erosion rates. In a high plain area site in the Italian Central Alps (Valchiavenna), soils have been sampled in 135 points.
The samples were measured by γ spectrometry using a HPGe detector. Early results showed a high spatial variability of the superficial
distribution of 137Cs, however the activity of 137Cs tends to become homogeneous in the deeper soils’ layers. In order to map 137Cs activity in
the topsoil, a regression model has been fitted using topographical descriptors, derived from an high resolution DEM, and soil properties.
The Poisson model has been effective in modelling the relation between 137Cs activity, soil properties and topographical descriptors. When
combined in a regression kriging procedure the model has been able to explain roughly 0.65 of data variance. Moreover when used on
short topographic gradients, the Poisson model is able to explain up to the 0.81 of the 137Cs activity variance, thus evidencing the strong
relation between the distribution of this element and soil erosion. These results encourage the use of 137Cs as a tracer of soil erosion in
Alpine soils.
Parole chiave: attività 137Cs, Chernobyl, suoli alpini, distribuzione spaziale
Key words: 137Cs activity, Chernobyl, Alpine soils, spatial distribution
1.
INTRODUZIONE
Il 137Cs è un isotopo radioattivo con un’emivita di
30,07 anni, che viene tipicamente prodotto nelle reazioni
di fissione nucleare; per questo la sua presenza nei diversi
comparti ambientali è dovuta esclusivamente al fallout che
si verifica in seguito a esperimenti nucleari in atmosfera o
ad incidenti presso impianti nucleari nei quali il nocciolo
del reattore diventa ipercritico e il materiale fissile viene
rilasciato nell’ambiente.
Dalla diversa modalità di immissione di 137Cs nell’ambiente consegue una diversa dinamica atmosferica e quindi
una diversa distribuzione di questo isotopo. Le esplosioni
nucleari, data la limitata massa di materiale fissile, causano
l’immissione di una quantità relativamente ridotta di 137Cs
nell’ambiente; tuttavia, date le caratteristiche dell’esplosione,
buona parte dei prodotti di fissione raggiunge la stratosfera,
venendo poi trasportata per grandi distanze e producendo un
fallout relativamente uniforme su una grande superficie.
Le immissioni dovute a incidenti a reattori nucleari,
d’altra parte, avvengono a livello del suolo, e sebbene il
materiale fissile raggiunga alte temperature causando la
combustione delle strutture che circondano il nocciolo, la
nuvola di ceneri prodotta non raggiunge altezze elevate,
restando confinata nella troposfera; inoltre la massa fissile
di un reattore nucleare è tipicamente maggiore di diversi
ordini di grandezza rispetto a quella di un ordigno nucleare,
e per questo dà luogo a un fallout spazialmente limitato, ma
di intensità maggiore.
Fortunatamente, ad oggi, si è verificato un unico
incidente significativo a reattori nucleari con conseguente
rilascio di 137Cs, nello specifico l’incidente di Chernobyl.
110
Ballabio et al.
Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini
Avvenuta il 26 aprile 1986, l’esplosione del reattore
numero 4 della centrale di Chernobyl ha provocato l’immissione di oltre 11.000 PBq di materiale fissile e prodotti di
fissione nell’ambiente. Secondo diverse stime la quantità di
materiale fissile rilasciato è stata di circa 6 t, corrispondente
a circa il 5% della massa di combustibile (OECD 2002). I
vari prodotti di fissione sono stati rilasciati dal nocciolo in
percentuale variabile: dal 100% dei gas nobili al 3,5% degli
elementi non volatili, con percentuali intorno al 50% per 131I
e al 20-40% per 137Cs. In particolare, il Cs rilasciato nell’incidente di Chernobyl costituisce il 3% di quello rilasciato da
tutti gli esperimenti nucleari avvenuti in atmosfera.
In generale il 137Cs è considerato tra i più pericolosi
prodotti di fissione a causa della sua emivita relativamente
breve, che lo rende un radioisotopo non particolarmente attivo ma sufficientemente persistente nell’ambiente su scala
temporale umana. Inoltre il Cs, analogamente a 131I e 90Sr,
data la sua natura di metallo alcalino (chimicamente simile
a sodio e potassio), è un elemento facilmente assimilabile
dagli organismi viventi.
Il 137Cs subisce un decadimento beta secondo lo schema:
(1)(1)
137
Cs→137Ba + e − + ν e .
È proprio questo tipo di decadimento a rendere particolarmente pericoloso il 137Cs qualora venga assimilato da
un organismo: sebbene gli elettroni emessi per decadimento
beta vengano facilmente assorbiti (alcuni centimetri di aria
sono sufficienti ad assorbire la radiazione beta), in caso di
decadimento all’interno di un organismo gli elettroni beta
hanno sufficiente energia per danneggiare i componenti
cellulari, in primo luogo il DNA.
Nell’85,1% dei casi, il nucleo di bario si trova su un
livello eccitato e decade γ, emettendo un fotone da 661,6
keV. Successivamente torna sullo stato fondamentale diventando stabile:
(2)
(2)
137
Ba* →137Ba + γ .
Il cesio presenta un’alta solubilità in acqua, ma è in
grado di legarsi fortemente al complesso di scambio cationico del suolo, risultando non immediatamente disponibile
all’assorbimento da parte delle piante. Per questa stessa
caratteristica, la sua percolazione nelle falde è limitata e
la concentrazione massima nel suolo si riscontra in prossimità della superficie, nei primi centimetri di profondità.
In numerosi processi occorrenti nei suoli, potassio e cesio
si comportano in modo affine, per esempio sostituendosi
a vicenda nel complesso di scambio. Le argille possono
avere tuttavia differente comportamento: ad esempio, le
vermiculiti hanno una maggiore affinità col cesio rispetto
al potassio (Sawhney 1970).
2.
Il 137Cs come marcatore ambientale
Negli ultimi decenni sono stati svolti numerosi studi
riguardanti la distribuzione spaziale del 137Cs e il suo utilizzo come marcatore di fenomeni erosivi (Yamagata et al.
1963; Rogowski & Tamura 1965, 1970a, 1970b; Ritchie &
McHenry 1990; Zapata 2003; Haciyakupoglu et al. 2005),
i quali risultano favoriti dal fatto che esso viene fortemente
adsorbito presso la superficie del suolo: pertanto le differenze di concentrazione riscontrate nei suoli di un’area
possono essere imputate alla redistribuzione orizzontale
del suolo, causata essenzialmente da fenomeni erosivi. Vi è
tuttavia la necessità di individuare un valore di riferimento
per ciascuna area indagata, corrispondente all’assenza di
erosione e deposizione (Porêba 2006). Questo è agevole per
le deposizioni di 137Cs derivate dai test nucleari, in quanto
l’assunto della deposizione omogenea in un’area non eccessivamente estesa è plausibile. Più difficile è avvalersi
dello stesso assunto nel caso del fallout conseguente al
disastro di Chernobyl, in quanto la nube radioattiva in quel
caso non ha raggiunto la stratosfera (Renaud et al. 2003) e
ciò ha comportato deposizioni differenti in funzione degli
spostamenti della nube stessa.
3.
MATERIALI E METODI
3.1.
Area di studio
L’area di studio è l’Altopiano degli Andossi, sito
nell’Alta Valchiavenna (SO), sulla sinistra idrografica del
Torrente Liro, a poca distanza dal Passo dello Spluga. La
quota dell’altopiano è compresa fra 1800 e 2050 m.
L’altopiano è costituito da un plateau carbonatico
(marmi e calcari cristallini) esteso per circa 250 ettari, facente parte della sinclinale dello Spluga, con un marcato
rilievo morfologico sul sottostante basamento cristallino.
Nella parte alta degli Andossi vi sono affioramenti di rocce
metamorfiche, in genere di basso o medio grado (scisti e
talvolta gneiss). L’attività glaciale è testimoniata dalla presenza di numerosi massi erratici (gneissici).
La morfologia degli Andossi è profondamente influenzata da fenomeni carsici, evidenziati dalla presenza
di numerose doline singole o con morfologia a “stella”
(comunemente associate a climi tropicali), di dimensioni
variabili da pochi metri a qualche ettaro, e dal permanere
di dossi anche molto ripidi. Frequenti sono anche le forme
periglaciali: vaste aree sono caratterizzate da hummocks
(cuscinetti di terra).
Il clima degli Andossi è tipicamente alpino. Le precipitazioni medie annue ammontano a circa 1300 mm, dei
quali circa il 45-50% è costituito da neve; le nevicate si
protraggono in media da ottobre a maggio (Mariani 2007).
La temperatura media annua si aggira sui 2,7 °C. L’area è
interessata da una notevole ventosità, con direzioni prevalenti da nord e da sud.
L’area è attualmente sfruttata a pascolo per bovini,
ma la vegetazione naturale potenziale è il bosco di conifere
(Caccianiga 2007). L’utilizzo a pascolo è documentato a
partire dal XIII secolo (Scaramellini 2007), ma presumibilmente è anteriore. Le facies di vegetazione (Pagani 2005)
sono molto varie, dai nardeti ai seslerieti, passando per i
pascoli pingui e i rododendreti-vaccinieti.
Avendo un substrato carbonatico, ricoperto in più
zone da materiali di deposizione glaciale a litologia acida,
gli Andossi presentano varie tipologie di suoli, generalmente poco o mediamente evoluti (Comolli 2007). Lungo
i versanti dei rilievi si trovano spesso suoli appartenenti
al gruppo dei Leptosols (FAO 2006), mentre nelle zone di
accumulo (per esempio sul fondo delle doline) sono più
rappresentati i Cambisols. Piuttosto comuni sono anche i
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117
Podzols, gli Umbrisols e gli Histosols. Si manifesta inoltre
una dinamica evolutiva di tipo convergente (in dipendenza
dalle abbondanti precipitazioni), che porta alla formazione,
a maturità, di suoli acidi anche dove il materiale parentale
è carbonatico.
3.2.
Campionamento
Durante la fase di campionamento, sono stati prelevati 135 campioni, dei quali la maggior parte è stata
raccolta in prossimità di siti precedentemente campionati.
Campioni aggiuntivi sono stati prelevati lungo transetti
(3)
topografici e all’interno di una dolina posta nella parte
centrale dell’altopiano, già oggetto di precedenti studi
(Curioni 2005). Ciascun punto di rilevamento è stato georeferenziato con precisione di circa 20 cm utilizzando un
GPS differenziale.
La raccolta di campioni di suolo è avvenuta per strati
di 5 cm. Per ogni punto, dopo aver allontanato l’eventuale
lettiera (orizzonte O), con spessore massimo di 0,5-1 cm,
sono stati prelevati 2000 cm3 di suolo (20x20x5 cm).
Di norma sono stati campionati solamente i primi
5 cm dell’orizzonte di superficie, trattandosi dello strato
maggiormente interessato dall’accumulo di Cs. Tuttavia
per 23 punti si è campionato fino a 25 cm (a strati successivi di 5 cm), in modo da ottenere informazioni riguardo
al gradiente verticale del cesio. In totale sono stati prelevati 173 campioni. La fase di campionamento si è svolta
nell’estate-autunno 2007.
3.3.
Spettrometria γ e rivelatore HPGe
Come discusso in precedenza, il nucleo di 137Cs decade emettendo un elettrone e si trasforma in un nucleo di
137
Ba metastabile. Il 137Ba a sua volta decade emettendo un
fotone γ, permettendo una misura indiretta del decadimento
del 137Cs.
Per calcolare l’attività del 137Cs viene utilizzata la
spettroscopia γ, in modo da individuare e quantificare l’attività dei radioisotopi γ-emettitori presenti nel campione. Per
le analisi è stato utilizzato un rivelatore HPGe (High Purity
Germanium), che appartiene alla classe dei rivelatori a semiconduttore, ed è caratterizzato da elevata risoluzione ed
efficienza. L’HPGe è costituito da un fotodiodo costituito
da un cristallo di germanio ad alta purezza, combinato con
un sistema di raccolta e amplificazione del segnale elettrico
prodotto dal diodo.
La spettroscopia gamma non è solo uno strumento
che permette di identificare i radionuclidi presenti in una
sorgente, ma fornisce anche un valore di attività per ogni
elemento riscontrato. Una volta individuato il radionuclide
presente, si valuta l’integrale dei conteggi appartenenti al
fotopicco corrispondente e lo si rapporta al tempo di misura
(∆tcamp). Questo primo valore fornisce però solo la frequenza di decadimenti che il rivelatore è stato in grado di cogliere; per ottenere l’attività totale del radionuclide bisogna
conoscere l’efficienza assoluta (εass) e il branching ratio
(BR). Il primo termine serve per tener conto della posizione
relativa della sorgente rispetto al rivelatore: infatti, mentre
la sorgente emette isotropicamente, il cristallo di germanio
è in grado di raccogliere solo alcuni dei gamma che lo investono. Il branching ratio viene definito per radionuclidi
radioattivi che possono decadere in più modi con probabili-
111
tà definite. Nel caso del 137Cs il branching ratio (BR) è pari
a 0,851 (nell’85,1% dei casi il 137Cs decade γ emettendo un
fotone a 661 keV).
Quando si esegue un’analisi di spettroscopia γ, bisogna considerare la presenza del fondo ambientale. Per
isolare l’attività del solo campione, occorre effettuare una
misura del fondo ambientale e calcolare il contributo che
tale fondo fornirà alla misura. Questo valore andrà sottratto
a quello della misura del campione. La formula utilizzata è
la seguente:
(conteggi ) Δt
camp
camp
− (conteggi fondo ) Δt fondo
(3)
A=
3.4.
Misura della radioattività da 137Cs
ε ass ⋅ BR
L’unità di misura dell’attività (A) è il becquerel (Bq=
disintegrazioni sec-1).
I campioni di terreno, dopo essiccazione all’aria, sono
stati posti in barattoli cilindrici di polietilene del volume
di 522 cm3. Si è misurato il volume e il peso effettivo di
campione posto nel barattolo e si è effettuata l’analisi con
rivelatore HPGe.
3.5.
Analisi pedologiche
Sui campioni raccolti sono stati misurati capacità
di scambio cationico (CSC) e cationi di scambio (Ca, M,
Na, K); le determinazioni sono state eseguite con BaCl2 e
trietanolammina a pH 8,1. Poiché il 137Cs è trattenuto dal
complesso di scambio, per poter confrontare correttamente
i valori di attività trovati è utile normalizzarli rispetto alla
CSC. La conoscenza della concentrazione di K scambiabile è altresì importante poiché questo elemento possiede
un comportamento chimico simile al Cs; pertanto, il confronto tra attività del 137Cs e concentrazione di K consente
di trarre indicazioni sulla capacità di ritenzione del suolo e
sull’eventuale dilavamento dei cationi.
3.6.
DEM e immagini telerilevate
L’area di studio è stata sottoposta ad un rilievo LiDAR
(Light Detection and Ranging), realizzato nel novembre
2005, da cui è stato derivato un DEM con risoluzione al
suolo pari a 0,5 m. Tuttavia, in fase di elaborazione si è
preferito lavorare con DEM ricampionati a 1 m e a 2 m.
Durante il rilievo LiDARè stata inoltre raccolta una
serie di immagini multispettrali ad alta risoluzione spaziale (25 cm) nella banda del verde (510-600 nm), del rosso
(600-720 nm) e dell’infrarosso vicino (720-900 nm).
Lavorando su queste immagini si sono distinte le tipologie di copertura del suolo tramite il metodo supervised
basato sul maximum likelihood, usando il software ENVI
(Tab. 1). Inoltre, è stato ottenuto un indice pseudo-NDVI,
in grado di fornire informazioni relative ai differenti tipi di
vegetazione.
I parametri ricavati dalle immagini utilizzando una
“moving window” di 3x3 m sono stati i seguenti:
-
la media, la maggioranza e la mediana dei valori di
ciascuna banda;
-
il minimo, il massimo e la media dell’indice pseudoNDVI;
-
la maggioranza e la mediana delle classi.
112
Ballabio et al.
Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini
-
Tab. 1 - Classi di copertura del suolo.
Tab. 1 - Soil cover classes.
insolazione diretta, diffusa e totale (Dubayah & Rich
1995);
fattore LS (Van Remortel et al. 2001) del modello
RUSLE;
curvatura orizzontale e verticale;
indice di convergenza topografica;
Compound Terrain Index (McKenzie & Ryan 1999);
Altitude above channel network (AACN): distanza
verticale dal livello base del reticolo idrografico,
espressa in metri;
Sediment Transport Index (STI) (De Roo 1997), in
grado di la capacità di un flusso d’acqua di generare
erosione idrica; questo indice è calcolato secondo
la seguente formula: STI = aS, dove a è l’area contribuente specifica di un flusso d’acqua e S è la pendenza della cella considerata;
gradiente di pendenza: esprime la variazione di pendenza lungo un pendio.
-
Classe
Copertura del suolo
1
Bacini idrici
2
Aree prive di copertura, massi, strade, case
3
Aree con scarsa copertura
4
Arbusteti
5
Prati pingui (sul fondo delle doline)
6
Zone a cuscinetti erbosi
7
Pendii ripidi, vegetazione erbacea rada e corta
8
Nardeti
9
Aree umide, torbiere
-
-
-
-
-
-
I valori ottenuti nel primo caso sono stati utilizzati
sul DEM a risoluzione di 1 m, mentre quelli ottenuti nel
secondo caso sono stati usati sul DEM a risoluzione 2 m:
pertanto, i parametri elencati sopra sono stati calcolati rispettivamente su un’area di 3,14 m2 e di 12,56 m2.
A partire dal DEM sono state create alcune carte tematiche relative a diversi parametri e indici topografici, da
correlare all’attività del 137Cs.
I principali fattori topografici calcolati sono stati:
-
pendenza del versante (Zevenbergen & Thorne
1987);
-
esposizione;
-
quota;
-
durata dell’insolazione (Dubayah & Rich 1995);
4.
RISULTATI E DISCUSSIONE
4.1.
Deposizione del 137Cs
Per studiare quando e in che modo nell’area di studio
sia effettivamente avvenuta la deposizione del 137Cs, sono
stati analizzati i dati meteorologici compresi tra fine aprile
e inizio maggio 1986. Dal monitoraggio effettuato dopo
l’incidente alla centrale di Chernobyl risulta che nel Nord
Italia la maggiore deposizione del 137Cs si è verificata la
prima settimana di maggio di quell’anno. In Canton Ticino
la nube radioattiva è sopraggiunta il 30 aprile, ed è preStuetta Grafico 4
35,0
500
450
Precip. mm
neve al suolo (cm)
30,0
400
350
300
20,0
250
15,0
200
150
10,0
100
5,0
50
Fig. 1 - Neve al suolo e precipitazioni da settembre 1985 a giugno 1986 alla stazione
di Stuetta.
Page 1
Fig. 1 - Snow height and precipitation (September 1985-June 1986) at Stuetta station.
22/06/1986
08/06/1986
25/05/1986
11/05/1986
27/04/1986
13/04/1986
30/03/1986
16/03/1986
02/03/1986
16/02/1986
02/02/1986
19/01/1986
05/01/1986
22/12/1985
08/12/1985
24/11/1985
10/11/1985
27/10/1985
13/10/1985
29/09/1985
15/09/1985
0
01/09/1985
0,0
Neve al suolo (cm)
Precipitazioni (mm)
25,0
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117
4.2.
Dati di superficie e profili di
Cs nei suoli
137
I conteggi ricavati dalla spettrometria HPGe sono
stati trasformati in valori di attività e sono pertanto espressi
in Bq kg-1. I valori dei campioni di superficie differiscono
fortemente da quelli di profondità, pertanto occorre separarne la trattazione.
In superficie i dati ottenuti mostrano una notevole
variabilità (Tab. 2).
In figura 2 è riportato l’istogramma di frequenza
dell’attività del 137Cs, che evidenzia come la distribuzione
non sia di tipo normale, essendo la gran parte dei valori
compresa entro 500 Bq kg-1. Solamente 4 campioni presentano un’attività maggiore di 1000 Bq kg-1; tre di questi,
con un’attività superiore a 1500 Bq kg-1, risultano degli
outliers.
Nei 23 punti in cui sono stati prelevati campioni anche oltre i primi 5 cm di profondità, si è visto che l’attività
del 137Cs decresce in modo esponenziale con l’aumentare
della profondità. Inoltre, mentre fra 0 e 5 cm vi è una forte
variabilità dei dati misurati, in profondità i valori tendono
Tab. 2 - Statistiche di base dell’attività del 137Cs presso la superficie
del suolo.
Tab. 2 - Basic statistics of 137Cs activity near the soil surface.
attività 137Cs (Bq kg-1)
media
246
dev.st
308
mediana
158
min
18
max
2051
90
80
70
60
Frequency
50
40
30
20
2000-2200
1800-2000
1600-1800
1400-1600
1200-1400
1000-1200
800-1000
600-800
400-600
0
200-400
10
0-200
sumibile che sia arrivata pressoché lo stesso giorno anche
sull’Altopiano degli Andossi.
Durante la prima settimana di maggio lo zero termico è rimasto a una quota superiore rispetto a quella degli
Andossi ed è dunque probabile che le precipitazioni di quel
periodo siano state di tipo piovoso. Inoltre, in quegli stessi
giorni si sono misurati solo pochi millimetri di pioggia.
Dai dati ricavati dalla stazione di Stuetta, posta
ai margini dell’area di studio, si può notare (Fig. 1) che
all’inizio di maggio era presente ancora un’abbondante copertura nevosa (circa 2 m di spessore), per lo meno
nelle aree pianeggianti. È quindi probabile che il 137Cs si
sia deposto, in forma di pioggia e come deposizione secca,
sulla copertura nevosa. Allo scioglimento delle nevi, già in
corso ai primi di maggio e terminato verso metà giugno, è
verosimile che il 137Cs si sia infiltrato lentamente in loco nel
terreno sottostante, il quale non doveva essere ghiacciato
(a questo proposito, si veda Zhang, 2005). È in ogni caso
possibile che si sia verificato anche un limitato scorrimento
superficiale dell’acqua di fusione, che può avere in parte
redistribuito il 137Cs.
Una parte molto attiva nella movimentazione del 137Cs
può essere stata operata dal vento, che spesso soffia con
violenza dai quadranti nord e sud e redistribuisce il manto
nevoso (che infatti è quasi assente, anche in inverno, sui
dossi più esposti).
113
Activity 137-Cs (Bq kg-1)
Fig. 2 - Istogramma di frequenza dell’attività del 137Cs presso la
superficie del suolo.
Fig. 2 Frequency histogram of the 137Cs activity near soil surface.
Tab. 3 - Statistiche di base dell’attività del 137Cs, espressa in
Bq kg-1, per i 23 punti in cui si sono effettuate anche misure in
profondità.
Tab. 3 - Basic statistics of 137Cs, expressed in Bq kg-1, related to the
23 points having measures in depth.
0-5 cm
5-10 cm
10-15 cm
15-20 cm
3
2
1
0
1
media
265
min
18
max
1711
56
7
3
dev.st
361
18
2
1
a livellarsi in un range molto ristretto (Tab. 3). A uno degli
outlier di superficie (1711 Bq kg-1 a 0-5 cm), seguono in
profondità valori molto meno elevati (53 Bq kg-1 a 5-10
cm).
La grande differenza tra i valori di attività dei primi
5 cm e quelli di profondità fa ipotizzare l’esistenza di un
ulteriore sensibile gradiente del 137Cs all’interno del primo
strato di 5 cm. Purtroppo, la difficoltà di campionamento di
strati troppo sottili ha impedito di ottenere dati in merito a
questa ipotesi.
Essendo così elevata la concentrazione in superficie, è possibile che la grande variabilità del dato di 137Cs
dimostrata dai dati in tabella 2 sia essenzialmente dovuta
a redistribuzioni di materiale solido causate da processi
erosivo-deposizionali anche di ridotta entità.
4.3.
Analisi statistica
L’attività del 137Cs nel suolo (conteggi per secondo)
possiede una distribuzione discreta, assimilabile ad una
distribuzione di Poisson: la regressione lineare non può
quindi basarsi su un modello ai minimi quadrati, ma deve
fare uso di un Generalized Linear Model (GLM), in cui la
distribuzione del parametro misurato viene normalizzata
(in questo caso utilizzando il logaritmo dell’attività).
Vari tentativi sono stati effettuati utilizzando sia le
variabili grezze, sia quelle normalizzate, a partire dalle
variabili calcolate sui DEM a risoluzione spaziale di un
114
Ballabio et al.
Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini
metro e di due metri. L’R2adj del GLM, ottenuto utilizzando
descrittori topografici derivanti dal DEM a 1 m di risoluzione e le proprietà del suolo, raggiunge un valore di 0,46.
Va tenuto conto della notevole influenza dei tre outliers sul
risultato della regressione, poiché questi tre punti da soli
sono responsabili di circa il 20% della varianza complessiva del dato.
Tuttavia, per eseguire una mappatura del 137Cs le
proprietà del suolo non sono disponibili come descrittori
esaustivi, non essendo mappate su tutta l’area di studio. Per
questo è stato impiegato un GLM, utilizzando esclusivamente i descrittori topografici e le classi di vegetazione ricavate dalle immagini telerilevate. Questo secondo modello
(denominato lmP2.1m), raggiunge un soddisfacente valore
di R2adj, pari a 0,34.
I coefficienti del modello, tutti di una certa significatività, sono riassunti in tabella 4.
Il modello lmP2.1m, poi usato per realizzare la mappatura del 137Cs, può essere interpretato osservando i valori
dei coefficienti associati alle rispettive variabili. Da questi
si ricava che il modello è in linea con i presupposti teorici:
-
il CTI è proporzionale all’attività di 137Cs, per cui
nelle zone di accumulo si ritrova più 137Cs;
-
lo STI, che indica il potenziale erosivo di un flusso
d’acqua, è inversamente proporzionale all’attività di
137
Cs;
-
la convergenza è proporzionale all’attività di 137Cs,
cioè dove l’acqua tende a convergere si riscontra più
attività;
-
all’aumentare dell’Altitude above channel network
si riscontra maggiore attività di 137Cs, in relazione al
fatto che l’erosione è maggiore dove c’è scorrimento
idrico.
Un caso a parte è rappresentato dalle variabili categoriali (derivate dalle immagini telerilevate), risultate tutte significative al test del p-value. La loro interpretazione risulta
difficoltosa, in quanto il range di variabilità di ciascuna
Fig. 3 Boxplot del logaritmo dell’attività di 137Cs rispetto alle
classi ottenute dalle immagini telerilevate.
Fig. 3 Boxplot of the 137Cs activity logarithm compared with
classes obtained from remote sensing images.
classe è simile, come si vede in figura 3. Si può comunque notare una certa differenza fra la classe 8 (nardeti) e la
classe 5 (prati pingui): i nardeti si localizzano specialmente
lungo gli impluvi, dove effettivamente è più probabile avere erosione idrica, mentre i prati pingui si riscontrano sul
fondo delle doline, cioè nelle zone di accumulo.
Come evidenziato in figura 4, la relazione tra l’attività
del 137Cs, le caratteristiche topografiche e le proprietà del
suolo è abbastanza definita. Alcuni lineamenti topografici
(in particolare il gradiente topografico, l’insolazione e la
pendenza) sembrano avere un’influenza decisiva sull’at-
Tab. 4 - Coefficienti del modello lmP2.1m.
Tab. 4 - Coefficients of the lmP2.1m model.
Stima
Errore Std.
z value
Pr(>|z|)
Signif.
Intercetta
8,2877
1,0648
7,7834
7,06E-15
***
AACN
0,0010
0,0005
2,1179
0,034181
*
Valore medio banda IR
0,0183
0,0089
2,0620
0,039208
*
Classe 3 Vegetazione
-2,1786
0,4147
-5,2534
1,49E-07
***
Classe 4 Vegetazione
-1,9887
0,3517
-5,6523
1,58E-08
***
Classe 5 Vegetazione (prati pingui)
-2,2330
0,3559
-6,2739
3,52E-10
***
Classe 6 Vegetazione
-2,4419
0,2813
-8,6819
< 2,20E-16
***
Classe 7 Vegetazione
-2,6189
0,5112
-5,1232
3,00E-07
***
Classe 8 Vegetazione (nardeti)
-2,4922
0,3243
-7,6842
1,54E-14
***
Classe 9 Vegetazione
-2,0786
0,2681
-7,7542
8,89E-15
***
Convergenza topografica
0,01612
0,0060
2,6987
0,006962
**
Insolazione media annua
-0,0009
0,0002
-4,0031
6,25E-05
***
STI
-0,0795
0,0354
-2,2445
0,024802
*
CTI
0,1331
0,0420
3,1697
0,001526
**
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117
Fig. 4 - NMDS della vegetazione (ellissoidi rappresentanti le
diverse classi di vegetazione) e rappresentazione della relazione
tra l’attività del 137Cs (rappresentato dalle isolinee colorate) e
diversi parametri topografici e proprietà del suolo (frecce).
Fig. 4 - Vegetation NMDS (ellipsoids: different vegetation classes)
and representation of the relations between 137Cs activity (coloured
isolines) and various topographic parameters and soil properties
(arrows).
tività del 137Cs, mentre fra le proprietà del suolo, la CSC
sembra avere un ruolo predominante. Anche la vegetazione
(rappresentata in figura dagli ellissoidi) influenza la concentrazione di Cs nel suolo, probabilmente agendo in modo
indiretto sul ruscellamento superficiale. È tuttavia abbastanza difficile separare l’effetto dalla causa, essendo la
vegetazione influenzata dai medesimi caratteri topografici
e morfologici che influenzano l’attività del 137Cs.
Utilizzando soltanto le variabili di primo grado, lavorando sul dataset relativo ai transetti topografici e alla
dolina, e includendo le variabili legate al suolo, si ottiene
un R2adj pari a 0,81, a dimostrazione dell’esistenza di una
relazione lineare tra l’attività di 137Cs e i parametri considerati. Questo dimostra che su gradienti relativamente
ristretti la variazione dell’attività del 137Cs è sostanzialmente funzione della topografia. È inoltre interessante
osservare che le variabili significative sono proprio quelle
utilizzate nei principali modelli erosivi come variabili correlate all’erosione (STI, CTI, LS-factor, slope gradient,
convergence).
Sottraendo le variabili legate al suolo, l’R2adj risultante
si abbassa a 0,61, pur sempre molto elevato se confrontato
con quello dei modelli GLM calcolati sull’intero set di dati.
Va comunque fatto notare che in questo caso il set campionario (51 campioni) era differente da quello generale,
poiché rappresentava la fase di infittimento del precedente.
Sui residui della regressione, corrispondenti alla porzione di varianza non spiegata dal modello, è stato realizzato un semivariogramma (Fig. 5) che mette in relazione
la distanza tra ogni coppia di punti con il valore di semivarianza tra le misure effettuate in ciascuna coppia.
Il nugget di questo semivariogramma è molto alto,
indicando una ridotta correlazione spaziale dei dati. La
115
Fig. 5 - Semivariogramma: valori di semivarianza tra coppie di
punti in funzione della loro distanza in metri.
Fig. 5 - Semivariogram: semivariance values between couple of
points related to their distance (m).
distanza alla quale non si osserva più alcuna correlazione
(range, corrispondente alla distanza a cui la curva raggiunge lo 0,95 del valore finale) è di circa 300 m.
Il partial sill, ovvero la varianza spiegata in funzione
della distanza, è di circa 0,25, su un totale di 0,80. Il kriging
sui residui spiega quindi circa il 31% di varianza
Nel complesso il regression kriging, combinando
il GLM (0,34 di varianza spiegata) e il kriging semplice
(0,31 di varianza spiegata), risolve circa il 65% di varianza
dell’attività del 137Cs nel suolo.
4.4.
Attività del 137Cs lungo i transetti topografici
Come detto in precedenza, si è indagato l’andamento
dell’attività del 137Cs lungo alcuni transetti topografici che
seguivano le linee di massima pendenza. Di norma, nelle
parti alte dei versanti sono stati registrati valori bassi di attività, che tendono ad aumentare spostandosi verso le parti
basse. Una maggiore variabilità esiste nelle zone di piede
versante: qui si registrano a volte valori molto elevati, a volte valori bassi. Questo andamento sembra in buona relazione con possibili fenomeni di redistribuzione del materiale
superficiale (processi di erosione-trasporto-deposizione),
dei quali è tuttavia difficile individuare l’estensione: è
probabile che alcune zone di piede versante, nelle quali si
riscontrano bassi valori di attività del 137Cs, non siano raggiunte dai flussi idrici provenienti dalle parti alte.
4.5.
Mappatura del 137Cs
Per mappare l’attività del 137Cs è stato seguito un approccio bastato sul regression kriging (Hengl et al. 2007).
I coefficienti derivanti dal GLM sono stati utilizzati
per mappare l’attività del 137Cs nel suolo e la mappa otte-
116
Ballabio et al.
Distribuzione spaziale dell’attività del 137Cs in suoli alpini
Fig. 6 - Mappa dell’attività relativa del 137Cs derivata dal GLM
(modello lmP2.1m).
Fig. 6 - 137Cs relative activity map derived from GLP (lmP2.1m
model).
Fig. 7 - Mappa dell’attività relativa del 137Cs includendo la
covarianza tramite regression kriging.
Fig. 7 - 137Cs relative activity map including covariance through
regression kriging.
nuta è riportata in figura 6. Il risultato è complessivamente
buono: infatti non sono infatti presenti valori estremi non
riscontrati nel campionamento, e i valori calcolati dal modello nei punti indagati non si discostano molto da quelli
misurati. Per ottenere una migliore rappresentazione si
sono indicate in blu, con valori bassi (ma non nulli) di attività, anche le classi corrispondenti a strade, case, muri a
secco e bacini idrici.
La figura 7 mostra invece la mappa risultante dal
regression kriging, ottenuta combinando il modello GLM
con il kriging semplice dei residui del modello stesso.
Questa mappa mostra degli hot-spot piuttosto estesi in
prossimità dei punti campionati, con valori di attività molto
elevati. Questo è dovuto alle caratteristiche del kriging, che
presuppone l’esistenza di autocorrelazione spaziale, ma è
probabile che nell’intorno di questi punti i valori di attività
risultino sovrastimati.
Entrambe le mappe si possono leggere anche in termini di erosione-deposizione: le zone in azzurro-blu sono
quelle più soggette ad erosione, mentre quelle rosse si riferiscono alle zone di probabile deposizione. La particolare
disposizione areale del 137Cs sembra dimostrare la presenza,
oltre che di un’erosione idrica, anche di un’erosione eolica
di una certa intensità, dovuta ai forti venti che spazzano
l’altopiano, provenienti in prevalenza da nord e da sud.
5.
CONCLUSIONI
Lo studio svolto permette di avanzare una serie di
considerazioni:
-
l’attività del 137Cs, in un’area di montagna a pascolo
con una marcata differenziazione morfologica, presenta una notevole variabilità spaziale, ma solo se si
considera lo strato superficiale del suolo (0-5 cm). Al
di sotto di esso i valori diminuiscono repentinamente
e tendono a livellarsi in un range molto ristretto:
ciò sembra dovuto al forte adsorbimento del Cs sul
complesso di scambio del suolo;
-
per spiegare la variabilità spaziale del 137Cs tramite
modelli di regressione, sono state utilizzate le variabili topografiche, quelle ricavate dalle immagini
telerilevate e infine alcune caratteristiche pedologiche
(complesso di scambio); si è verificato che il modello
migliore è quello basato sulla regressione di Poisson,
che inoltre presenta una struttura molto più semplice
rispetto ai modelli lineari;
-
il regression kriging (regressione sui fattori topogra-
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 109-117
-
-
fici e le immagini telerilevate; kriging semplice sui
residui di tale regressione) si è dimostrato uno strumento molto potente nell’analisi di variabili spaziali
(65% di varianza spiegata) in ambienti a grande variabilità morfologica;
lavorando sui dati dell’infittimento del campionamento (transetti topografici e dolina), si è verificato
che la regressione ottenuta con il modello di Poisson
spiega molto bene la variabilità dei dati (R2adj= 0,81);
inoltre, i parametri più significativi sono quelli maggiormente relazionati all’erosione del suolo (STI,
CTI, catchment area, LS-factor, slope gradient, convergence);
è stato infine dimostrato, almeno dal punto di vista
qualitativo e in attesa di conferme ulteriori, che il
137
Cs è un indicatore di fenomeni erosivi nei suoli
montani, in grado di fornire stime relative di erosione
e accumulo. Per passare a dati quantitativi, si rende
necessario disporre delle serie storiche dei dati meteorologici locali, ma anche conoscere i dati sul deflusso
superficiale e la portata solida dei corsi d’acqua.
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ISSN 2035-7699
Soil erosion in the Alpine area: risk assessment and climate change
Claudio Bosco*, Ezio Rusco, Luca MONTANARELLA & Panagiotis panagos
European Commission, DG Joint Research Centre, Institute for Environment and Sustainability, Land Management and
Natural Hazards Unit, Via E. Fermi 2749, Ispra, Italy
*
Corresponding author e-mail: [email protected]
SUMMARY - Soil erosion in the Alpine area: risk assessment and climate change - Objective of the research is to define the magnitude of
the Actual Soil Erosion Risk in the Alpine area and to link it with a perspective of medium long terms in relation to climate change. The
Revised Universal Soil Loss Equation (RUSLE) was applied to the whole Alpine space. It allowed to produce, with a spatial resolution
of 100 m, the map of actual soil erosion and two further maps defining soil erosion rates in A2 and B2 scenarios of the Intergovernmental
Panel on Climate Change (IPCC) (IPCC, 2001). This analysis was carried out by means of the dataset the International Centre for
Theoretical Physics (ICTP) of Trieste. It provided daily rainfall values for the years 1960-1990 and for the IPCC A2 and B2 scenario
2070-2100. From a comparison between actual erosion and soil losses in A2 and B2 scenarios, it comes out that our model does not show
relevant raises in erosion rates. However, low variations in soil losses rates is observable. In particular, B2 scenario shows a growth of low
entity of soil losses over a significant part of the Alpine space. In A2 scenario a clear distinction between northern and southern Alps comes
out. The northern part should experience a low reduction of soil erosion, whilst in southern areas a rise of soil losses should take place.
RIASSUNTO - Erosione del suolo nell’area alpina: valutazione del rischio e cambiamenti climatici - Il principale obiettivo del presente
lavoro è di fornire una stima attuale dell’erosione del suolo in ambiente alpino e al contempo collegarla con i possibili sviluppi a mediolungo termine indotti dai cambiamenti climatici. È stata quindi applicata a tutto l’arco alpino la versione riveduta dell’equazione universale
di perdita di suolo (RUSLE). Ciò ha permesso di produrre, ad una risoluzione spaziale di 100 m, la mappa dell’erosione del suolo nelle
Alpi e due ulteriori mappe relative alle previsioni di erosione del suolo negli scenari A2 e B2 dell’Intergovernmental Panel on Climate
Change (IPCC) (IPCC, 2001). Questa analisi è stata condotta grazie ai dati forniti dall’International Centre for Theoretical Physics (ICTP)
di Trieste. I dati consistono in stime di precipitazione giornaliere per gli anni 1960-1990 e per gli scenari A2 e B2 2070-2100 dell’IPCC.
Da un confronto tra l’erosione attuale e le previsioni relative a questi due scenari non emergono rilevanti incrementi di erosione del suolo,
sebbene si evidenzi un leggero incremento del fenomeno. In particolare, lo scenario B2 evidenzia un generale lieve aumento dell’erosione
del suolo su di un’area significativa del territorio alpino, mentre nello scenario A2 emerge una netta distinzione tra nord e sud delle Alpi:
la parte più a nord appare caratterizzata da una generale riduzione dei fenomeni erosivi (seppure di lieve entità) che invece mostrano un
leggero incremento nella parte meridionale dell’arco alpino.
Key word: Alps, soil erosion, climate change
Parola chiave: Alpi, erosione, cambiamento climatico
1.
Introduction
Soil erosion is the wearing away of the land surface
by physical forces such as rainfall, flowing water, wind, ice,
temperature change, gravity or other natural or anthropogenic agents that abrade, detach and remove soil or geological material from one point on the earth’s surface to be
deposited elsewhere. Soil erosion is a natural process that
can be exacerbated by human activities.
Soil erosion is increasing in Europe. Precise erosion
estimates are not possible due to the lack of comparable
data, therefore it is difficult to assess the total area of the
EU affected by erosion1.
SEC(2006)620 Impact assessment of COM (2006) 232 Soil
strategy.
1
Soil erosion is a matter of primary importance in
mountain areas. Increasing numbers of tourists, changes
in farming/cultivation techniques and climate change are
expected to intensify soil erosion in the Alps.
The loss of soil from a field, the breakdown of soil
structure, the decline in organic matter and nutrient, the
reduction of the available soil moisture as well as the reduced capacity of rivers and the enhanced risk of flooding
and landslides are processes linked with soil erosion. In all
regions with steep relief and at least occasional rainfall,
debris flows occur in addition to surface erosion processes.
These aspects are clearly addressed and identified in
the “Action Plan on Climate change in the Alps” where it
is clearly statement that “the effect of global warming in
Alpine area is three times higher than the world average.
These effects also involved in a densely populated area (14
million of inhabitants) and very touristy, which justifies an
effort. In respect of climate change, the mountain with the
120
Bosco et al.
content of water resources and the wealth of biodiversity
hold a particular role to play towards other areas. Their
preservation is therefore supranational importance”2.
The analysis of the existing studies on the topic
highlights that the main research methodologies have been
developed to study erosion in agricultural contexts or hill
areas with a mild climate. Therefore, it is difficult to apply these methods in mountain areas, also because of the
extreme complexity of the alpine system.
For this reason, some researchers assert that the
most common soil erosion models, as USLE/RUSLE or
CORINE EROSION, can not be efficiently applied in
an Alpine environment, because they were designed to
be used on hilly agricultural areas where sheet and rill
erosion processes are prevailing. Furthermore, the above
mentioned models are not designed to consider some typical erosion processes of alpine areas as, for example, the
debris flows.
An efficient model to analyze the real morpho-sedimental processes should in theory be able to
-
minimize empirical factors and be based mainly on
physically based factors;
-
use strong calculation methods;
-
combine all factors involved in the process.
A step forward has been made in this direction with
the introduction of new-generation models, as i.e. PESERA
(Pan European Soil Erosion Risk Assessment: Kirkby M.J.
et al. 2004).
However, as regards the research related to erosion
and, in this case, Alpine areas erosion, the most used
model is USLE (in one of its different versions: i.e. USLE,
RUSLE).
As a matter of fact, it is the only model in which input
data can be obtained in different ways (measurement, estimation, interpolation).
Advanced models, as Water Erosion Prediction
Project (WEPP, Flanagan 1995), have been and still are less
used, because they are often less flexible to be adapted to
situations that have not already been parameterized before.
Furthermore, USLE is a model used on differentiated spatial
scales.
Another advantage in the use of RUSLE is related to
its flexibility, as it is always possible to set this equation to
adapt it to the environment to be analysed.
On the basis of the above mentioned considerations
RUSLE model has been used in the present research. The
main reason of this choice is that RUSLE has a more flexible data processing system. A further reason is the acquired
experience in the application of RUSLE both on local and
continental scale. On the contrary, it is useful to highlight
that, as already mentioned, the RUSLE model has been
designed mainly for agricultural terrains. Its application in
Alpine areas could hence lead to a coarse estimation, from
a quantitative point of view, of water erosion processes.
However, it is necessary to take into account that our main
objective is the assessment of the soil erosion in relation to
climate change.
“Action Plan on Climate change in the Alps” adopted by Parties of the Conference of the Alps on 12th March 2009 at the
10th session of the Alpine Conference.
Soil Erosion in the alpine area
2.
Study area
The study area is represented by the countries parties of the Alpine Convention, as show in the figure 1. The
Alpine total area is more than 25 million of hectares. The
geomorphology of the Alps is characterized by steep slopes
(with a mean of about 30%) and altitudes ranging from 0
to more than 4800 meters (Mont Blanc with 4810 meters
is the highest mountain), with an average peak height of
approximately 1000 meters.
3.
Methodology
3.1.
Input data and factors
RUSLE estimates erosion by means of an empirical
equation:
(1)
A= R×K×L×S×C×P
where: A= (annual) soil loss (t ha-1 yr-1); R= rainfall erosivity factor (MJ mm ha-1 h-1 yr-1); K= soil erodibility factor
(t ha h ha-1 MJ-1 mm-1); L= slope length factor (dimensionless); S= slope factor (dimensionless); C= cover management factor (dimensionless); P= human practices aimed at
erosion control (dimensionless).
2
Fig. 1 - Study area.
Fig. 1 - Area di studio.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 119-125
121
As spatial information regarding human practices
aimed at protecting soil from erosion was not available, the
P factor was set 1 and, actually, it has not considered.
3.2.
Rainfall-runoff
The RUSLE rainfall erosivity factor (R) indicates the
climatic influence on the erosion phenomenon through the
mixed effect of rainfall action and superficial runoff. The
R factor for any given period is obtained by summing, for
each rainstorm, the product of total storm energy (E) and
the maximum 30 minutes intensity (I30) (Wischmeier 1959).
Unfortunately, these data are rarely available at standard
meteorological stations.
The rainfall erosivity factor probably is, among the
different components of the soil loss equation, one of the
most difficult to derive, above all because rainfall data
with adequate high temporal resolution are very difficult
to obtain over large areas. Rainfall data we could collect
are not enough detailed to apply Wischmeier’s procedure to
compute R factor over the whole alpine space.
This is the reason because simplified formulas, with
lower temporal resolution, were applied.
There are limited applications of these formulas at the
Alpine level and there is no consensus on which are the
most appropriate algorithms to determine R factor instead
of the EI30 in the Alpine zone.
Hence, a statistical analysis was carried out to estimate
the degree of correlation (Correlation Coefficient [R2] and
Root Mean Square Error [RMSE]) between R factor values
9000
L o:
computed by means of EI30 or using the most commonly
used simplified formulas (Arnoldus 1980; Arnoldus 1977;
Renard & Freimund 1994; Lo et al. 1985; Yu & Rosewelt
1996; Ferrari et al. 2005). The analysis was carried out
on rainfall data with high temporal resolution available
for 42 meteorological stations in Veneto region, inside the
Alpine territory. Data were supplied by ARPAV (Agenzia
Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del
Veneto).
With the aim of computing the correlation between
the simplified formulas and Wischmeier’s R factor, Pearson
(r) correlation coefficient was used.
Looking at data distribution (Fig. 2), it comes out that
all simplified formulas analysed over or under-estimate R
factor. Among all the other, with growing over or underestimations at higher R values, Lo et al. (1985) equation
shows a systematic over-estimation. The Lo et al. formula
shows the highest R2 and among the lowest RMSE values.
Compared to Lo’s equation, Arnoldus (1980) formula, that
is the wide used equation, shows a lower RMSE value but
its R2 is inferior and its trend inconstant: the higher are R
(EI30) values, the higher are the errors. The maximum error caused by Arnoldus is higher than the one using Lo’s
equation.
We decided hence to apply the Lo et al. equation
to calculate the R factor of the RUSLE. Ideally, none of
the formulas we tested can be considered suitable for a
quantitative estimation of erosion on the Alpine territory.
Unfortunately, the lack of data with adequate resolution got
us to apply the best one among them.
y = 1,246x - 3684
R ² = 0,879
A rnoldus _lin
8000
A rnoldus _es p
7000
R enard_P
R - E I30
6000
R enard_F
Lo
5000
Yu
4000
F err_lin
3000
F err_es p
2000
B is ec tor
L ineare (L o)
1000
0
0
5000
10000
15000
20000
25000
30000
Fig. 2 - Comparison between R factor values obtained with EI30 method and simplified formulas.
Fig. 2 - Confronto tra il fattore R calcolato utilizzando l’EI30 ed ottenuto tramite l’utilizzo di formule semplificate.
122
Bosco et al.
The rainfall measurement data we used to determine
rainfall erosivity factor on the whole Alpine space have
been provided by the International Centre for Theoretical
Physics (ICTP) of Trieste. These data are the output of a
prevision model of the climatic change (RegCM, Regional
Climate Model), that provides the daily rainfall values for
the years 1960-1990 and for the IPCC A2 e B2 (2070-2100)
scenarios. RegCM is a 3-dimensional, sigma-coordinate,
primitive equation regional climate model. Version 3 is the
latest release. The use of climatic modeled data rather than
measured data has allowed the data processing in a similar
manner for the whole study area and comparison with the
modeled climatic data with time series 2070-2100.
3.3.
Soil erodibility
The soil erodibility factor K indicates the susceptibility of soils to erosion. It is defined as the unit erosion
index for the R factor in relation to a standard fallow parcel (22.13 m length; 9% slope). On this basis, the value of
factors such as length, slope, cultivation and anti-erosion
actions becomes unitary. K is usually estimated using the
normograph and formulae that are published in Wischmeier
& Smith (1978). While these equations are suitable for
large parts of USA, they are not ideally suited for European
conditions. Romkens et al. (1986) performed a regression
analysis on a world-wide dataset of all measured K-values,
from which the following equation was derived (revised in
Renard et al. 1997). The equation is based on soil particle
size distribution (soil texture).
Fig. 3 - Erosion map (t ha-1 yr-1).
Fig. 3 - Mappa dell’erosione del suolo (t ha-1 yr-1).
Soil Erosion in the alpine area
Information on soil surface texture were derived from
the 1:1.000.000 Soil Geographical Database of Europe
(ESGDB) (Heineke et al. 1998).
3.4.
Slope and length
The main innovation of the RUSLE model, in comparison with the original model (USLE), is the LS factor.
The factor considers the flows convergence and is the result
of the combination of the slope (S) and length (L) factors.
Many methods have been proposed to improve the calculation of the topographic factor LS, but just in the last ten
years a certain accuracy has been reached thanks to the implementation of GIS systems and of digital elevation model
(DEM). The L Factor has been substituted by the Upslope
Contributing Area (UCA) (Moore & Burch 1986; Desmet
& Govers 1996), in order to consider the convergence and
divergence of the superficial runoff. The UCA area is where
water flows in a given cell of the grid. L and S factors have
been determined through GIS procedures carried out using
the following relation of Moore & Burch (1986).
For the calculation of the LS factor the DEM SRTM
(Shuttle Radar Topography Mission) has been used. The
resolution of the DEM is of 90 m.
3.5.
Soil cover management
The soil cover factor represents the influence on soil
loss of vegetation. The C factor represents the relation between the soil loss in certain agricultural or cover condi-
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 119-125
tions and the erosion that would be obtained from a standard fallow parcel (bare soil). The evaluation of this factor is
difficult, because it always depends on changes in terms of
environment, cultivations, agricultural activities, residuals
management and on the phenology of the plant in the year.
The C factor for a certain soil cover typology may have different values. Due to the lack of detailed information and to
the difficulties in processing all factors on a large scale, it is
difficult to use RUSLE guidelines to estimate the soil cover
parameter. Therefore, the average values of literature have
been used for this aim (Suri 2002; Wischmeier & Smith
1978). The necessary data to establish the C parameter have
been provided by the Corine Lan Cover project, a European
programme aimed at reproducing maps about soil use, analysing the image of the whole Europe provided by satellite.
The calculation of the soil cover factor has been processed
using the information layer Corine Land Cover 2000 (CLC
2000) third level. The information layer CLC 2000 is not
available for the Switzerland. For this area the CLC 1990
has been used. Unfortunately, the hierarchy of the land
cover classes and related legends for Swiss CLC 1990 is
different from the rest of the Alpine territory. Hence, an intervention aimed at uniforming the data was necessary. To
this aim, everything has been traced to the 44 classes of soil
use/cover established in the CLC 2000. A C factor value
has been assigned to every class, based on literature data.
4.
Results and discussion
The results of the applied model are expressed as
tons/hectares/years (t ha-1 yr-1). As already mentioned due
to a systematic overestimation of the R factor, calculated
using the Lo’s formula, a qualitative reclassification of the
values of soil erosion in 5 classes has been performed.
By analyzing erosion values obtained with RUSLE
application (1960-1990), it is evident that the Alpine territory is subject to erosion phenomena. According to the
classification we adopted, about 20% of the Alpine space
shows rather high erosion; nearly 30% shows a middle risk
and the remaining 50% a low risk. Nevertheless, due to the
extension of the Alpine space it is necessary to carry out a
more detailed analysis, linked with geo-litho-morphologic
and land use/cover parameters. As it has been previously
pointed out, slopes, slope length, pluviometric regime and
soil cover play a crucial role in the erosive process. The
study area was hence subdivided in some classes of landscapes, with the altitude acting as discriminating agent.
Elevation shows, at least in the Alps, strong correlations
with the other factors previously mentioned. The Alpine
space was therefore subdivided into four elevation zones:
-
flat areas (< 300 m a.s.l.)
-
hill areas (300-600 m a.s.l.)
-
mountain areas (600-2000 m a.s.l.)
-
high mountain areas (> 2000 m a.s.l.).
123
-
-
-
high erosion rates. The observation of the C factor
map allows understanding that in these areas the role
of cover vegetation is low, because the most of these
areas are represented by arable land.
At higher altitudes (300-600 m a.s.l.), the proportion
of territory with an erosion rate low or moderate diminishes, whilst nearly 20% of the zone shows a very
high erosion rate. This trend is caused by an increase
in slopes which produces very high risk levels in
areas with poor cover. On the other hand, the presence of wooded areas contributes in keeping high the
percentage of territory with low risk level.
In the mountain zone, (600-2000 m a.s.l.), the high
percentage of forest cover (compared to the lower
zones) leads to comparable levels of low or moderate
erosion rates similar to that found at lover altitude and
to a reduction in the areas with very high soil losses.
In the high mountain zone, erosion presents a very
particular trend. More than 40% of these areas is not
subject to soil losses. Moreover, more than 30% of
the remaining territories are interested by high or very
high erosion rates. This is easy to explain taking into
account the lithology of these areas: at these altitudes
the soil is often very thin or bare rocks are present;
but in the areas where soils exist, geo-morphologic
characteristics, severe rainfalls and often lacking of
vegetation cover make them very vulnerable.
After all, without further deepening the item, it is
possible to assert that Alpine space is, due to its peculiarities, highly vulnerable to erosion risk. But the widespread
presence of vegetation cover allows, in a significant part of
the territory, to keep it under control and this is the reason
because a right management of mountainous region cannot
be disregarded.
Referring to the Soil Erosion Risk based on climatic
data referred to A2 and B2 scenarios (2070-2100), the obtained results are compared with the actual erosion risk.
The analysis allowed the definition of soil erosion trends
in relation to different scenarios of climate change (Fig. 4).
From the analysis some evaluations come out same considerations.
By analyzing the data relative to the elevation zones
it is possible to highlight the relative significance of the different factors of the model.
-
In the areas below 300 m a.s.l., more than the 80%
of the territory shows low or moderate erosion, but
the remaining 20% is characterized by high or very
Fig. 4 - Spatial extension of soil erosion classes in the analysed
scenarios.
Fig. 4 - Estensione spaziale delle classi di erosione del suolo negli
scenari analizzati.
124
Bosco et al.
From a general comparison between actual soil erosion (1960-1990) and future soil losses (A2 and B2 scenarios: 2070-2100), it is evident that erosion rates remain
nearly constant. The spatial extension of the soil erosion
classes, in fact, is almost unvaried.
Some evidences arise from a spatial analysis of maps
defining, for each grid cell, differences between actual erosion data and A2-B2 scenarios. B2 scenario shows a general
growth of soil losses over a significant part of the Alpine
space. The increase is, however, of low entity. From A2
scenario comes out, instead, a strong distinction between
northern and southern Alps. The northern part should experience a low reduction of soil erosion, whilst in the southern
areas a rise of soil losses should take place.
Ongoing climate change contributes to increase the
spatial variability of rainfalls. They should decrease in
subtropical areas and increase at high latitudes and in part
of the tropical zones. The precise location of boundaries
between regions of robust increase and decrease remains
uncertain and this is commonly where atmosphere-ocean
general circulation model (AOGCM) projections disagree. The Alps are located in this transitional zone. This
is the reason because, as a consequence of the expected
climate change, a very little variation in soil erosion rates
over the Alpine space was predictable. RegCM model,
which produced rainfall data used in this study, places the
transition zone more southward in B2 than in A2 scenario.
Due to this difference in the placement of the transition
zone, even though A2 scenario foresees heavier climate
change than other scenarios, the B2 scenario shows, over
the Alps, higher rainfall rates. This is the reason because
in B2 scenario a higher number of areas with high erosion
are present. In A2 scenario, moreover, prevailing winds
come from the south. This explains the sharp demarcation
line between northern and southern Alps and the increase
of rainfalls on the southern side. B2 scenario is characterized by a low increment in soil erosion rates, even if some
isolated areas present an opposite trend, which is difficult
to explain. The investigation of these phenomena requires
further analysis, going beyond the aims of this study. They
are possibly explainable from a modelling point of view
and could be due to non linearity problems, easily coming
out at these scales. To justify their origin several models
should be used, with the aim of a deeper calibration of
results. This is the reason because IPCC derived results of
its four report on climate change making use of 20 climate
models.
As mentioned before, soil erosion trends in the Alpine
region are mainly attributable to changes in rainfall regimes. A better estimation of soil losses in climate change
scenarios could be assured by evaluating future variations
of cover management factor.
5.
Conclusions
The application of RUSLE over the Alpine territory,
moreover, presented huge difficulties mainly due to data
availability problems. Unfortunately, there is not a set of
data necessary for a strict application of the model and some
algorithms have been forced into a simplification in order to
adapt them to the data availability. It is the case of R and K
factors. Particularly, the simplified equation used for R factor
Soil Erosion in the alpine area
computation, though preferable to the other available, tends
to over-estimate the measured rates of erosivity and makes
scarcely meaningful a validation based on measured data.
These, and many other uncertainties, propagate
throughout the model, resulting in an uncertainty in the
estimated erosion rate. Despite these deficiencies and
shortcomings, the methodology applied has produced
valuable information on Alpine soil erosion processes and
on their distribution. The spatial analysis, in fact, has allowed the identification of areas which are likely to experience significant erosion rates. More detailed input data
and more sophisticated erosion models might warrant a
better quantitative estimation of soil losses due to water
erosion.
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© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Suolo e neve in ambiente alpino: effetti sul ciclo dell’azoto
Gianluca Filippa*, Michele Freppaz & Ermanno Zanini
Chimica Agraria e Pedologia, Laboratorio Neve e Suoli Alpini, Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse
Agroforestali, Università di Torino,Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco (TO), Italia
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
Riassunto - Suolo e neve in ambiente alpino: effetti sul ciclo dell’azoto - Questo lavoro riporta i risultati di una serie di esperimenti
condotti su suoli alpini, con particolare attenzione alle più recenti tecniche per la misurazione di emissioni gassose, in particolare di
protossido di azoto (N2O) dal suolo sotto il manto nevoso, e agli effetti di un ridotto innevamento sul ciclo dell’azoto (N) nel suolo. I
flussi invernali di N2O sono stati misurati in modo continuo durante due stagioni invernali in un Inceptisuolo nelle Montagne Rocciose
(Colorado, US). Sono state misurate emissioni significative di N2O durante l’intera stagione invernale, con un picco massimo al disgelo
primaverile e un calo significativo nelle settimane successive. In questo sito, le emissioni invernali contribuiscono per circa il 20% alle
emissioni annue di N2O. L’effetto di una mancanza di neve al suolo è stato valutato in condizioni controllate in due entisuoli delle Alpi
Occidentali (Valle d’Aosta). Si è visto che una carenza di neve al suolo causa un aumento di cicli gelo/disgelo nel suolo e contribuisce ad
aumentare il pool di N potenzialmente lisciviabile. Una stima quantitativa dei pool di N nel suolo e delle loro trasformazioni sotto il manto
nevoso nell’ampio range di ecosistemi coperti da un manto nevoso stagionale rappresentano fattori chiave per la comprensione del ciclo
globale del N, specialmente nell’ottica di un cambiamento climatico.
Summary - Soil and snow in Alpine environment: effects on the nitrogen dynamics - This paper reports results from experiments
conducted on alpine soils, with emphasis on the most recent techniques for measuring gaseous emissions (in particular nitrous oxide,
N2O) from soil through the snowpack, and on the effect of a reduction of snow cover on soil nitrogen (N) dynamics. Winter N2O fluxes
were measured continuously through two winter seasons from an Inceptisol in the Rocky Mountains (Colorado, US). Significant N2O
fluxes occurred throughout the winter. The seasonal pattern showed a peak in emissions at the snowmelt and a subsequent drop. Winter
N2O fluxes contribute 20% to the yearly emissions at this site. The effect of a reduction of snow cover was evaluated under controlled
conditions in two Entisols in the western Italian Alps (Aosta Valley). A lack of snow cover results in an increase in freeze/thaw cycles and
contributes to increase the amount of potentially leachable N in soil. Quantitative estimates of soil N pools and transformations during the
winter in the broad range of seasonally snow-covered ecosystems are a key factor for the understanding of global N cycle under current
and changing climatic conditions.
Parole chiave: biomassa microbica, cambiamento climatico, nitrati, Montagne Rocciose, Valle d’Aosta
Key words: microbial biomass, climate change, nitrate, Rocky Mountains, Aosta Valley
1.
Introduzione
Negli ultimi due decenni la comunità scientifica ha
compiuto significativi passi verso la comprensione di alcuni dei meccanismi che sottendono ai cicli biogeochimici
nel suolo in ambienti coperti stagionalmente da un manto
nevoso.
È stato dimostrato che un manto nevoso di sufficiente
spessore (30-60 cm) accumulatosi presto nella stagione
invernale è in grado di impedire il congelamento del suolo,
indipendentemente dalla temperatura dell’aria (Taylor &
Jones 1990; Brooks et al. 1995; Stadler et al. 1996; Brooks
& Williams 1999; Shanley & Chalmers 1999). L’azione di
riscaldamento deriva dall’elevato potere isolante del manto
nevoso, in grado di rallentare il flusso geotermico (Cline
1995). Questo fenomeno determina l’instaurarsi di un ambiente favorevole all’attività biologica, che può protrarsi
per molti mesi durante la stagione fredda (Massman et al.
1995; Brooks et al. 1996; Hénault et al. 1998; Saarnio et
al. 1999; Teepe et al. 2001). Le emissioni di gas biogenici,
come CO2 e N2O, sotto il manto nevoso possono essere
anche molto significative e raggiungere, nel bilancio annuale di emissione, anche il 20-50% (Mosier et al. 1993;
Sommerfeld et al. 1993; Winston et al. 1995; Brooks et al.
1996; Filippa et al. 2009; Liptzin et al. 2009). Di conseguenza, il ciclo dell’azoto (N) così come i cicli biogeochimici di altri elementi risultano fortemente influenzati dalla
presenza stagionale del manto nevoso.
La distribuzione della copertura nevosa è estremamente sensibile ai cambiamenti climatici in atto (Cooley
1990; Williams et al. 1996; Baron et al. 2000) e una sua
riduzione potrebbe rappresentare uno degli effetti più
importanti indotti dal riscaldamento globale nelle aree
forestali dell’Emisfero Nord. I dati da satellite hanno evidenziato una riduzione della superficie innevata di circa
il 10% a partire dagli anni Sessanta, mentre la temperatura media nel corso del Ventesimo secolo è aumentata di
0,6±0,2 °C (IPCC 2001). In particolare, i modelli di previ-
128
Filippa et al.
sione ipotizzano un’ulteriore diminuzione della copertura
nevosa nei prossimi anni, dovuto ad un incremento delle
temperature medie stimato fra 1,4 e 5,8 °C entro il 2100,
con un valore probabile di 2,5 °C (IPCC 2001). Nelle
regioni di montagna, un aumento della temperatura media di 1 °C comporta un innalzamento di circa 150 m del
limite delle nevicate (Haeberli & Beniston 1998). Di conseguenza, le aree montane a quote più basse saranno interessate con sempre maggiore frequenza da precipitazioni
piovose anche nel corso dell’inverno (Beniston 2003), con
una riduzione complessiva della superficie innevata nella
stagione invernale che per le Alpi Svizzere è stata stimata
del 25%, se si ipotizza un incremento della temperatura di
3 °C (Beniston et al. 2003). Altri studi prevedono per le
Alpi francesi una significativa riduzione dello spessore e
della permanenza della neve al suolo a quote inferiori ai
1500 m s.l.m., in particolare nei settori più meridionali
(Martin & Durand 1998). L’effetto di una mancanza di
neve al suolo, o di una differente distribuzione temporale
delle nevicate, determina sui suoli un effetto non lineare,
complesso e caratterizzato da potenziali feedbacks difficili da identificare.
Al fine di ottenere valutazioni quantitative su tali effetti, molti ricercatori hanno manipolato i regimi dell’accumulo di neve al suolo, ad esempio rimuovendola (Groffman
et al. 2001; Decker et al. 2003; Freppaz et al. 2008), o
sfruttando la ridistribuzione della neve da parte del vento,
con apposite strutture (Williams et al. 1998; Nobrega &
Grogan 2007), o ancora modificando la densità del manto
nevoso (Rixen et al. 2008).
I risultati di questi esperimenti concordano nell’indicare che una diminuzione delle precipitazioni nevose
determina stagioni invernali più brevi, suoli generalmente
più freddi (Groffman et al. 2001) e cicli gelo/disgelo più
frequenti (Freppaz et al. 2008). Tuttavia, gli effetti di
queste simulazioni sulla dinamica dei nutrienti, e in particolare dell’N, sono tutt’altro che chiare: si è visto che una
riduzione/rimozione del manto nevoso può determinare
una più rapida mineralizzazione dell’N nel suolo (Grogan
et al. 2004; Edwards et al. 2007; Freppaz et al. 2008) e più
elevate emissioni di N2O legate ad un numero maggiore di
cicli gelo/disgelo (Sharma et al. 2006), ma in alcuni casi
ha sortito effetti opposti, provocando un rallentamento
dei tassi di mineralizzazione dell’N (Walker et al. 1999;
Schimel et al. 2004) e una diminuzione delle emissioni
di N2O (Goldberg et al. 2008), rendendo difficile trarre
conclusioni generali.
Questo lavoro riporta i risultati di una serie di esperimenti condotti su suoli alpini, con particolare attenzione
alle più recenti tecniche per la misurazione di emissioni
gassose dal suolo sotto il manto nevoso (in particolare,
di N2O) e agli effetti di un ridotto innevamento sul ciclo
dell’N nel suolo.
2.
Emissioni invernali di N2O da suoli coperti dal manto nevoso
2.1.
La snow flux tower
La misura di emissioni gassose in ambiente alpino
durante l’inverno è fortemente condizionata da problemi di
natura logistica e tecnica. Dal punto di vista logistico, i siti
Effetti della neve sul ciclo dell’azoto nel suolo
di studio sono normalmente difficili da raggiungere, specialmente con la strumentazione necessaria per misurare
le emissioni gassose. Dal punto di vista tecnico, l’utilizzo
delle tradizionali camere (Martikainen et al. 1993; Alm et
al. 1999) è sconsigliato a causa delle caratteristiche porose
della neve, che non permettono di realizzare un disegno a
camere chiuse. Il sistema a camere è composto da un collare posto sul suolo sul quale viene posizionato un coperchio che garantiscae l’accumulo, nello spazio interno alla
camera, di un eventuale gas prodotto nel suolo. La velocità
di accumulo del gas è funzione del flusso dello stesso dal
suolo all’atmosfera.
La misura di emissioni gassose attraverso il manto
nevoso è stata affrontata negli ultimi anni applicando il metodo a diffusione introdotto da Sommerfeld et al. (1993).
Tale metodo è basato sulla diffusione di un gas attraverso
un mezzo poroso (I legge di Fick):
(1)
JN2O= -DN2O (dCN2O/dz)
in cui JN2O (mol m-2 s-1) è il flusso di gas che si intende misurare, DN2O (m2 s-1) è la diffusività di tale gas che dipende
dalle caratteristiche del gas (Massman 1998) e del mezzo
poroso (tortuosità e porosità, stimate dalla misura della
massa volumica della neve (Seok et al. 2009)); dCN2O/dz
(mol m-3 m-1) è il gradiente di concentrazione a determinate
altezze all’interno del manto nevoso.
Utilizzando questo metodo, per calcolare i flussi di
tale gas è sufficiente misurare la concentrazione di un gas a
determinate altezze all’interno del manto nevoso e la massa
volumica del manto stesso. Si tratta dell’unico metodo in
grado di garantire un campionamento virtualmente indisturbato, poiché il disturbo al mezzo poroso attraverso il
quale il gas si diffonde risulta minimo.
Il metodo a diffusione è stato implementato nelle
Montagne Rocciose del Colorado (Niwot Ridge, un sito
LTER) attraverso l’impiego di una torre (Fig. 1) denominata snow flux tower, composta da 8 bracci equipaggiati
da un sistema di tubi che conducono il campione gassoso
agli strumenti di misura. Intorno alla torre il manto nevoso
si accumula senza alcun disturbo e il sistema di campionamento automatizzato permette di misurare la concentrazione di N2O a 8 altezze del manto nevoso, in modo continuo
durante l’intera stagione invernale (Fig. 2).
Il sito LTER in cui si è svolto questo esperimento è
descritto in dettaglio in altre pubblicazioni (per esempio in
Williams et al. 1996; Caine 1995). I suoli in esame sono
Typic Humicryept sabbiosi (Soil Survey Staff 2006), con
pH di 4,6-5,0 e un orizzonte A contenente 150-190 g kg-1 di
C organico e 11-22 g kg-1 N (Brooks et al. 1995).
La snow flux tower è stata utilizzata per stimare la
bontà della tecnica stessa, inclusa una valutazione dell’accuratezza, dei potenziali errori associati alla misurazione
manuale di densità e altezza del manto nevoso, e della
possibile influenza di fattori abiotici come la presenza del
vento nella stima dei flussi (Seok et al. 2009). Inoltre, la
tecnica è stata impiegata per la misurazione dei flussi invernali di CO2 (Liptzin et al. 2009), di N2O e NOx (Filippa et
al. 2009), per un’analisi delle distribuzioni e delle trasformazioni nel manto nevoso di O3, NO e NO2 (Helmig et al.
2009).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 127-135
129
Fig. 1 - Immagine della snow flux tower, con particolari dei filtri utilizzati all’ingresso dei tubi di campionamento e della torre coperta dal
manto nevoso.
Fig. 1 - Picture of the snow flux tower, syringe filters set at the inlet of the tubing system and the snow tower covered by snow.
2.2.
Fig. 2 - Diagrammi dei profili di concentrazione di N2O (ppb)
lungo il manto nevoso durante le stagioni invernali 2006 e 2007.
La linea nera rappresenta l’altezza raggiunta dalla neve.
Fig. 2 - Concentration profiles of N2O concentrations along the
snowpack during winters 2006 and 2007. The black line depicts
the snow height.
Strumenti e apparecchiature
Il sistema di campionamento, le sue componenti e gli
strumenti utilizzati sono descritti altrove (Seok et al. 2009).
Nel presente lavoro ci soffermeremo sulle strumentazioni
utilizzate per la misura dei flussi di N2O, che sono stati caratterizzati per due anni consecutivi (2006, 2007).
Il N2O è stato misurato con un gascromatografo
(GC) con rivelatore a cattura di elettroni (ECD) (Shimadzu
GC-8AIE, Shimadzu Scientific Instruments, Columbia,
Maryland, USA). I campioni di aria provenienti dal manto
nevoso passano attraverso un filtro composto da un tubo
riempito di ascarite per la rimozione della CO2. La colonna utilizzata è una Porapac Q (Supleco, Sigma-Aldrich,
St. Louis, Missouri, USA). Il carrier gas è una mistura di
Argon-Metano (95% argon, 5% metano). Il GC opera in
condizioni di isotermia a 75 °C e la temperatura del rivelatore è di 330 °C. Il sistema di campionamento è completamente automatizzato e ogni notte viene effettuata una
calibrazione con tre standard (320, 408 e 485 ppbv N2O).
Le temperature dell’aria, della neve e del suolo
sono state misurate attraverso termocoppie tipo E (Omega
Engineering, Inc., Stamford, Connecticut, USA); la pressione atmosferica è stata rilevata con un barometro CS105
130
Filippa et al.
Effetti della neve sul ciclo dell’azoto nel suolo
Vaisala PTB101B (Campbell Scientific, Logan, Utah,
USA) in una stazione meteorologica posta a 10 m di distanza dalla snow flux tower; l’umidità del suolo con quattro
riflettometri CS616-L (Campbell Scientific, Logan, Utah,
USA) ad una profondità integrata da 0-30 cm dalla superficie del suolo.
2.3.
Emissioni invernali di N2O
Il sito oggetto di studio è caratterizzato da una stagione invernale di 6/7 mesi. In quel periodo la neve si accumula fino ad un’altezza di circa 2 m. Le numerose ricerche
condotte in questo ecosistema hanno dimostrato che i cicli
biogeochimici di molti elementi, tra cui C, N e P, sono fortemente legati alla presenza del manto nevoso stagionale
(Brooks & Williams 1999).
La figura 3 mostra l’andamento stagionale dei flussi
di N2O misurati durante le due stagioni invernali. Nel 2006,
a metà inverno, i flussi di N2O crescono gradualmente da
0,020 a 0,090 nmol m-2 s-1. Successivamente, mantengono
intono a 008 nmol m-2 s-1 e decrescono durante la fusione
del manto nevoso. Nel 2007, il loro massimo stagionale si
registra nei primi giorni di maggio (giorno 128), all’inizio della fusione del manto nevoso. Il picco coincide con
l’aumento della temperatura dell’aria, che determina un
episodio significativo di fusione del manto nevoso. Pochi
giorni dopo questo picco massimo, i flussi diminuiscono
bruscamente e si mantengono prossimi allo 0 per il resto
della stagione invernale. Il flusso stagionale di N2O risulta
significativamente maggiore nel 2006 (0,069 nmol m-2 s-1)
rispetto al 2007 (0,047 nmol m-2 s-1, p< 0,001), mentre la
produzione di N2O si mantiene su livelli significativi duran-
te l’intera stagione invernale. I flussi istantanei di N2O dal
suolo indagato sono confrontabili con quelli riportati per
ecosistemi molto più produttivi, come praterie fertilizzate
(Mosier et al. 1993) o ecosistemi forestali caratterizzati
da un rapido turnover dell’azoto (Groffman et al. 2006).
Inoltre, la durata della stagione invernale (~7 mesi) fa sì
che i flussi stagionali di questo sito (0,24-0,34 kg N ha-1)
siano tra i più elevati riportati in letteratura per la stagione
invernale. Nel bilancio annuale delle emissioni di N2O in
questo sito, il contributo invernale è del 20% (Filippa et al.
2009).
2.4.
Fattori che controllano i flussi invernali di N2O
La figura 3 mostra come i flussi di N2O siano estremamente variabili anche nel breve periodo (giorni, ore).
La temperatura del suolo, pressoché costante e intorno
agli 0 °C, fa supporre che altri fattori controllino i flussi.
Parte della variabilità giornaliera e nel breve periodo è
stata ricondotta all’effetto del vento (wind pumping effect), che determina variabilità nei gradienti di concentrazione (Seok et al. 2009). Il graduale incremento nelle
emissioni di N2O che si osserva nella fase centrale della
stagione invernale invece è associato ad un corrispondente incremento nell’umidità del suolo. Questo stesso
pattern caratterizza anche le emissioni di CO2 dallo stesso sito (Liptzin et al. 2009), suggerendo che gli stessi
parametri che controllano l’emissione di N2O esercitano
un controllo sulla respirazione (Filippa et al. 2009). Il
picco che si osserva a fine stagione è associato ad un
forte incremento di umidità nel suolo, legato al massimo
fenomeno di fusione del manto nevoso, che determina 1)
0,18
0,16
2006
0,14
2007
0,12
nmol m s
-2 -1
0,1
0,08
0,06
0,04
0,02
0
-0,02
-0,04
-30
0
30
60
90
120
tempo (giorni)
Fig. 3 - Andamento stagionale delle medie giornaliere di emissioni di N2O durante le stagioni invernali 2006 e 2007.
Fig. 3 - Seasonal pattern of daily N2O emissions during winters 2006 and 2007.
150
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 127-135
condizioni redox più favorevoli al processo di denitrificazione e 2) un input di nitrati provenienti dalla fusione del
manto nevoso che stimolano la denitrificazione. Il calo
nell’emissione di N2O che si osserva dopo il massimo
stagionale è un risultato finora inedito e potrebbe essere
stato causato da 1) un ulteriore incremento nel contenuto
d’acqua del suolo, che ha determinato condizioni redox
favorevoli al processo di denitrificazione completa, con
riduzione in situ dell’N2O a N2 o da 2) una mancanza di
NO3- disponibile per la denitrificazione o ancora da 3) un
declino delle popolazioni batteriche invernali a scapito
di nuove popolazioni che si instaurano al momento della
fusione del manto nevoso.
La mancanza di NO3- potrebbe essere dovuta a processi di immobilizzazione dello stesso, che viene organicato dai microorganismi. Questa ipotesi è confermata da
uno studio condotto nello stesso sito, il quale ha dimostrato che la forma di N maggiormente presente nella soluzione del suolo alla fine dell’inverno era azoto organico
disciolto (Williams et al. 2009). Il processo di immobilizzazione microbica di NO3- è stato invocato come efficace
meccanismo di ritenzione dell’N nel suolo in numerosi
studi condotti in ecosistemi coperti dal manto nevoso stagionale (Williams et al. 1996; Brooks & Williams 1999;
Bilbrough et al. 2000).
Il declino di popolazioni microbiche tipicamente
invernali e la formazione di nuove popolazioni batteriche
adatte alle condizioni del suolo non coperto da manto
nevoso è un fenomeno ancora dibattuto, ma documentato
da numerosi studi: Schadt et al. (2003) e Monson et al.
(2006), ad esempio, hanno dimostrato che in suoli di tundra
alpina le comunità microbiche sotto il manto nevoso sono
filogeneticamente e fisiologicamente distinte da quelle
che colonizzano il suolo durante la stagione vegetativa;
inoltre uno shift della popolazione microbica al momento
della fusione del manto nevoso è stato ipotizzato in studi
condotti in ambienti molto simili a quello qui investigato
(Lipson et al. 2000; Schmidt & Lipson 2004). Le elevate
concentrazioni di azoto organico disciolto possono quindi
essere imputate alla morte e conseguente lisi delle cellule
microbiche della popolazione invernale. Allo stesso tempo,
le nuove popolazioni microbiche in fase di accrescimento
possono aver determinato il rapido consumo del nitrato del
suolo, la cui bassa concentrazione agisce come fattore limitante la denitrificazione.
La misura in continuo di emissioni gassose attraverso
il manto nevoso permette di ottenere stime estremamente
precise delle emissioni stagionali. Un campionamento continuo è risultato inoltre essenziale per identificare picchi
di emissione e per una corretta valutazione dei parametri
che controllano la variabilità giornaliera e stagionale delle
emissioni di N2O da questo sito.
3.
Effetti di una riduzione delle precipitazioni nevose sulla dinamica dell’azoto nel suolo
L’effetto di una riduzione delle precipitazioni nevose
è stato valutato attraverso un esperimento di rimozione del
manto nevoso su entisuoli (Soil Survey Staff 2006) a differenti coperture (lariceto e parto pascolo) a 1450 m s.l.m.,
sulle Alpi italiane.
131
3.1.
Disegno sperimentale e metodologia
Per valutare l’effetto di una mancanza del manto nevoso su suoli dell’ambiente montano è stata utilizzata la
tecnica della rimozione del manto nevoso. L’esperimento
è stato condotto sotto due differenti coperture, un lariceto
pascolato (lariceto) e un prato-pascolo terrazzato (prato),
nel sito LTER di Fontainemore (AO). Ciascuno dei due siti
sperimentali era composto da due aree di superficie pari a
100 m2 ciascuna. In una parcella la naturale precipitazione
nevosa è stata lasciata indisturbata nel corso dell’inverno
(C: controllo). Nell’altra parcella (T: trattamento) la neve è
stata rimossa periodicamente. In ciascuna parcella il topsoil
(0-10 cm) è stato incubato utilizzando la buried bag technique (Schmidt et al. 1999), con quattro replicazioni. Questa
tecnica di incubazione in campo è particolarmente valida
per stimare le trasformazioni a carico delle forme di N in
suoli freddi (Eno 1960). La temperatura del suolo è stata
monitorata in entrambe le parcelle con dataloggers UTL-1.
L’intero esperimento (inclusa la rimozione del manto nevoso, l’incubazione del suolo e il monitoraggio della temperatura) è stato condotto da ottobre 2003 a marzo 2004.
Nei campioni di suolo sono state determinate le forme
di N estraibili in K2SO4 0,05 M: ammonio (NH4+), nitrato
(NO3-), azoto organico disciolto (DON) e azoto della biomassa microbica (Nmicr). Le tecniche analitiche utilizzate
sono riportate in pubblicazioni precedenti (Freppaz et al.
2008).
Nitrificazione, ammonificazione, produzione di DON
e immobilizzazione nette sono state calcolate per differenza tra le concentrazioni delle forme di N (rispettivamente
NO3-, NH4+, DON e Nmicr) dei campioni finali (marzo 2004)
e iniziali (ottobre 2003).
3.2.
Effetti sulla temperatura del suolo
La rimozione del manto nevoso ha determinato una
significativa riduzione della temperatura del topsoil sia nel
lariceto sia nel prato. In particolare, la temperatura del suolo nella parcella sperimentale C non è mai scesa sotto gli
0 °C durante l’inverno, mentre nei plot T la temperatura ha
raggiunto i -4,3 e -4,5 °C, rispettivamente nel lariceto e nel
prato. Inoltre, la temperatura del suolo nelle aree T è stata
soggetta a fluttuazioni giornaliere anche di 2 °C, mentre
nei plot C le fluttuazioni giornaliere sono risultate < 0,1 °C
(Fig. 4).
3.3.
Effetti sulla dinamica del N
Nel suolo del lariceto, ammonificazione e nitrificazione netta sono risultate entrambe positive, sia nell’area C
sia nell’area T (Fig. 5). La rimozione del manto nevoso ha
determinato un incremento nell’ammonificazione netta, ma
nessun effetto sulla nitrificazione, sull’immobilizzazione e
sul contenuto di DON. Nel suolo sotto prato, la parcella
C è risultata caratterizzata da una ammonificazione netta
negativa e una nitrificazione netta positiva. La rimozione
del manto nevoso (T) ha determinato un incremento significativo di ammonificazione e nitrificazione netta (Fig. 5).
Analogamente a quanto rilevato sotto larice, il trattamento
non sembra aver avuto effetto sulle dinamiche del DON e
del Nmicr. In entrambi i pedoambienti e indipendentemente
dai trattamenti, si è osservato un decremento di Nmicr e un
132
Filippa et al.
Effetti della neve sul ciclo dell’azoto nel suolo
12,0
C: controllo
T: trattamento
aria
10,0
8,0
6,0
Temperatura (°C)
4,0
2,0
0,0
-2,0
-4,0
-6,0
-8,0
23/10/03
22/11/03
22/12/03
21/01/04
20/02/04
21/03/04
20/04/04
Tempo (giorni)
Fig. 4 - Temperature orarie del suolo e dell’aria registrate sotto lariceto tra il 24 febbraio e il 3 marzo 2004. Linea nera: temperature
dell’aria; linea grigio scuro: temperatura del topsoil nel plot di controllo (C); linea grigio chiaro: temperatura del topsoil nel plot in cui la
neve è stata rimossa (T).
Fig. 4 - Hourly soil and air temperatures recorded under Larch between February 24th and March 3rd 2004. Black line: air temperature; dark
grey line: topsoil temperature in the control plot (C); light grey line: topsoil temperature in the plot where the snow was removed (T).
12
B
10
8
B
mg N kg
-1
6
A
A
4
2
0
-2


Lariceto

Prato
-4
-6
-8
C: controllo
T: trattamento
Fig. 5 - Ammonificazione (A) e nitrificazione (B) nette (mg N kg suolo-1) misurate nei topsoils di lariceto e prato. Gli asterischi indicano
differenze significative (p< 0,05) tra i due trattamenti (C e T).
Fig. 5 - Net ammonification (A) and nitrification (B) (mg N kg soil-1) measured in topsoils under larch and meadow. Asterisks denote
significant differences (p< 0,05) between treatments.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 127-135
incremento di DON nel corso dell’incubazione (ottobremarzo).
L’incremento della mineralizzazione netta sotto entrambe le coperture per effetto della rimozione della neve
indica che una mancanza di copertura nevosa potrebbe
determinare un incremento di forme inorganiche di N,
potenzialmente lisciviabili, nel suolo. L’incremento del N
inorganico nel suolo non sembra dipendere dalla biomassa
microbica o dalla mineralizzazione di DON, come evidenziato dall’assenza di effetti legati alla manipolazione del
manto nevoso. Di conseguenza, l’incremento di N inorganico potrebbe essere determinato dal rilascio di N prima non
disponibile, potenzialmente occluso dalla sostanza organica, e rilasciato grazie alla distruzione fisica degli aggregati
per effetto dei cicli gelo/disgelo che hanno caratterizzato
la stagione invernale nei plot T. Questa interpretazione è in
accordo con quanto riportato da studi precedenti (Bauhus
& Bartel 1995; Raubuch & Joergensen 2002; Freppaz et
al. 2007).
L’assenza di un effetto trattamento sulla biomassa
microbica potrebbe essere ricondotta alle condizioni che
s’instaurano nel suolo delle parcelle T. La rimozione della
neve ha infatti determinato temperature sotto gli 0 °C, con
minimi di -4 °C circa. Tali condizioni sono state descritte
come mild-freezing (Groffman et al. 2001), vale a dire condizioni in cui il suolo è gelato ma la temperatura rimane
prossima agli 0 °C. In alcuni siti sperimentali, le condizioni
climatiche fanno sì che in caso di mancata copertura nevosa si raggiungano temperature del suolo tra -6 e -10 °C
(Brooks et al. 1997; Lipson et al. 2000). In tali siti, le basse
temperature raggiunte determinano un effetto più rilevante
sulla biomassa microbica.
Il decremento del Nmicr durante la stagione invernale
potrebbe indicare un declino delle popolazioni microbiche
invernali. Tale ipotesi è in accordo con quanto riportato da
Lipson et al. (2000), i quali hanno concluso che una mancanza di substrato respirabile potrebbe essere alla base del
declino delle popolazioni microbiche invernali, e risulta in
accordo anche con quanto concluso nella prima parte del
presente lavoro (cfr. § 2). L’incremento di DON durante
l’inverno potrebbe altresì indicare che la lisi delle cellule
microbiche che costituiscono la popolazione invernale può
arricchire il pool di DON del suolo. L’immobilizzazione
di forme inorganiche di azoto e il conseguente rilascio di
DON in seguito a lisi è in accordo con quanto riportato nella prima parte di questo lavoro (cfr. § 2).
4.
Conclusioni
La presenza di un manto nevoso stagionale influenza
il regime termico del suolo e ha una diretta influenza sul
ciclo del N. Un manto nevoso di sufficiente spessore che
si accumula presto nella stagione invernale determina un
ambiente favorevole all’attività biologica nel suolo. Ciò
si traduce in significative e continue emissioni di N2O dal
suolo, che possono contribuire per il 20% al N2O emesso
su base annua. L’attività biologica determina inoltre una
significativa mineralizzazione dell’azoto e un consumo
della frazione di C più labile. Il periodo di fusione del
manto nevoso rappresenta un momento chiave nel ciclo
biogeochimico del N in suoli coperti stagionalmente da un
manto nevoso. L’aumento repentino di umidità e l’input di
133
N che derivano dalla fusione della neve sono responsabili
di un picco massimo nella produzione di N2O. Il repentino
cambiamento delle condizioni pedoambientali durante la
fusione del manto nevoso, unitamente ad una carenza di
substrato respirabile, possono determinare un declino delle
popolazioni microbiche invernali.
Inoltre, meccanismi di immobilizzazione di N inorganico e di lisi cellulare associati al declino delle popolazioni
microbiche possono determinare un rilascio di DON nel
suolo.
Una carenza di neve al suolo, provocata dal cambiamento climatico globale, può causare un aumento di cicli
gelo/disgelo, responsabili del rilascio di forme labili di N
prima non disponibili, contribuendo ad aumentare il pool di
N potenzialmente lisciviabile. In caso di condizioni climatiche più estreme di quelle qui riportate (a quote più elevate
o in climi più continentali), l’effetto di distruzione fisica
degli aggregati può essere accompagnato da un effetto diretto delle basse temperature sulla popolazione microbica
del suolo.
Questo studio conferma che le trasformazioni a carico
dell’azoto nel suolo durante la stagione invernale possono
in alcuni casi essere maggiori di quelle che avvengono durante la stagione vegetativa. Una stima quantitativa dei pool
di N nel suolo e delle loro trasformazioni sotto il manto
nevoso nell’ampio range di ecosistemi coperti da un manto
nevoso stagionale rappresentano dunque fattori chiave per
la comprensione del ciclo globale del N.
5.
Ringraziamenti
Lo studio è stato finanziato dalla Regione Autonoma
Valle d’Aosta, Assessorato Agricoltura e Risorse Naturali,
Servizio Aree Protette, e dalla Riserva Naturale Mont Mars,
Comune di Fontainemore.
6.
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© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Influenza dei caratteri e delle tipologie di uso del suolo sulle comunità di Carabidi
(Insecta: Coleoptera)
Mauro GOBBI
Sezione di Zoologia degli Invertebrati e Idrobiologia, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento,
Italia
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
RIASSUNTO - Influenza dei caratteri e delle tipologie di uso del suolo sulle comunità di Carabidi (Insecta: Coleoptera) - Il presente
lavoro descrive gli effetti delle caratteristiche fisico-chimiche del suolo e della sua gestione da parte dell’uomo sulle comunità di Coleotteri
Carabidi (Insecta: Coleoptera). I coleotteri carabidi sono insetti epigei geofili la cui distribuzione spaziale e i cui caratteri morfo-ecologici
(es. morfologia alare, dieta e lunghezza del corpo) sono fortemente influenzati dai parametri fisici (es. umidità, temperatura) e chimici
(es. pH, concentrazione di metalli pesanti) dei suoli. Questo rende tali insetti indicatori degli effetti dei cambiamenti ambientali (es.
riscaldamento dei suoli, gestione e inquinamento) sui suoli e sulle forme di humus. Il declino che la biodiversità di carabidi ha avuto
nell’ultimo secolo in Europa e il ruolo di questi coleotteri come predatori di insetti infestanti e come prede di molti vertebrati rende
prioritaria la conoscenza della loro distribuzione spaziale in relazione alle attività antropiche. Di conseguenza un approccio pedo-zoologico
è fortemente raccomandato per valutare e monitorare gli effetti delle attività antropiche sugli ecosistemi.
SUMMARY - Influence of soil characters and land use on the ground beetle (Insecta: Coleoptera) communities - This paper describes
the effects of physico-chemical soil characters and land use on the ground beetle (Coleoptera: Carabidae) communities. Carabid beetles
are epigean geophylous insects whose spatial distribution and morpho-ecological adaptation (e.g. wing morphology, diet and body length)
is strongly influenced by the physical (e.g. humidity, temperature) and the chemical (e.g. pH, heavy metal concentration) soil parameters.
Therefore, these insects are good indicators of the effects of environmental changes (soil warming, management, pollution etc.) on soils
and humus forms. Due to their decline in Europe during the last century and to their role of predators of pest insects, and of prey of many
vertebrates, the knowledge about their spatial distribution in relation to the human land use is very important. Therefore a pedo-zoological
approach is strongly recommended in the evaluation and monitoring of the effect of human activities on the ecosystems.
Parole chiave: fauna edafica, epigeo, geofilo, biodiversità
Key words: edaphic fauna, epigean, geophylous, biodiversity
1.
PREMESSA
Il suolo è una matrice ambientale estremamente complessa e può essere considerato uno degli habitat più ricchi
di specie.
La micro-, meso- e macrofauna del suolo svolge un
ruolo determinante nei processi di degradazione della sostanza organica, garantendo gli equilibri di questo comparto
ambientale e la disponibilità di elementi nutritivi. Inoltre, la
sua capacità di reagire a perturbazioni anche di lieve intensità la rende un importante indicatore di qualità ambientale
(Young et al. 1998; Latella & Gobbi 2008).
Per lo studio della fauna edafica, volto alla valutazione della qualità biologica di un suolo, sono stati elaborati
negli ultimi vent’anni alcuni indici che prendono in considerazione taxa di microartropodi particolarmente abbondanti nel suolo e sensibili alle sue caratteristiche fisiche e
chimiche: tra questi, i Nematodi, i Collemboli e gli Acari
(Cenci & Sena 2006).
Recentemente anche i Coleotteri Carabidi si sono
aggiunti ai taxa considerati utili nel biomonitoraggio della
qualità del suolo. Obiettivo del presente contributo è quello di illustrare lo stretto legame che i Coleotteri Carabidi
hanno con il suolo e quindi la possibilità di un loro impiego
come indicatori della qualità ambientale.
2.
I Coleotteri Carabidi
I Carabidi (Fig. 1) sono Coleotteri epigei geofili
periodici (Menta 2004), ovvero che conducono lo stadio
adulto e larvale nella lettiera o nei primi orizzonti del suolo
(organici e/o inorganici). Questi insetti usano il suolo durante lo sviluppo larvale come fonte trofica e di rifugio, e
durante lo stadio adulto per lo svernamento, l’estivazione e
l’ovodeposizione.
L’importanza dei Carabidi negli ambienti sia naturali che sottoposti a impatto antropico è notevole, vista la
loro ricchezza di specie (in Italia ce ne sono più di 1300)
e abbondanza di individui in ogni tipologia di habitat. Tale
ricchezza di specie e di individui rispecchia il ruolo fondamentale di tali insetti nella catena trofica. La biodiversità
138
Gobbi
Fig. 1 - Carabide appartenente alla specie Carabus auronitens
(foto di M. Gobbi).
Fig. 1 - Carabidae belonging to species Carabus auronitens (photo
by M. Gobbi).
di questo gruppo è il risultato di una grande radiazione
adattativa che ha permesso a questi insetti di colonizzare
numerosi ambienti, dai deserti ai ghiacciai, compresi gli
habitat sottoposti a condizioni di forte disturbo antropico.
La dieta dei Carabidi è di tipo polifago. La maggior
parte delle specie, sia allo stadio larvale che adulto, è predatrice specializzata di consumatori primari appartenenti
alla fauna edafica (Anellidi, Collemboli, Gasteropodi ecc.);
altre specie, invece, si nutrono esclusivamente di semi
(spermofagia) o conducono dieta zoospermofaga. Le specie
predatrici sono considerate particolarmente utili nella lotta
biologica contro gli animali infestanti, poiché si alimentano
di piccoli invertebrati (Afidi, uova, larve e pupe di Ditteri,
uova e larve di Coleotteri fitofagi, bruchi di Lepidotteri
defogliatori e Gasteropodi) potenzialmente dannosi sia
per le foreste che per le colture. L’abbondanza qualitativa
(ricchezza di specie) e quantitativa (abbondanza di individui) di Carabidi in un habitat è fortemente influenzata dalla
biomassa delle prede e quindi può fornire utili indicazioni
sulla qualità trofica di un suolo. A loro volta, i Carabidi
rientrano nella dieta di molti vertebrati (micromammiferi,
uccelli, rettili e anfibi) (Holland 2002).
Le comunità di Carabidi possono essere ecologicamente caratterizzate da parametri adattativi quali la fenologia, la dieta, la morfologia alare, le dimensioni corporee e
le caratteristiche biogeografiche prevalenti. Le conoscenze
acquisite sui Carabidi a livello tassonomico, autoecologico
e faunistico, l’elevata fedeltà ambientale di questi insetti
e la loro tendenza a endemizzare sono caratteristiche che
permettono di impiegarli come indicatori ecologici, in grado di reagire a breve termine alle perturbazioni ambientali,
anche riflettendo le risposte di altri taxa o della biodiversità
complessiva (Brandmayr et al. 2005).
3.
Caratteri del suolo e Carabidi
In letteratura risultano ampiamente documentate le
interazioni che i Carabidi hanno con le componenti abiotiche e biotiche di un suolo (cfr. Holland 2002).
Il suolo e le comunità di Carabidi
Un ridotto numero di specie svolge l’intero ciclo vitale all’interno del legno morto (saproxilici), diverse altre
trascorrono solo parte della loro esistenza nel legno morto
(saproxilici temporanei) e molte svolgono un ruolo importante nella decomposizione del legno.
Considerando le tre tipologie di forme di humus riconosciute (mull, moder e mor), le cenosi di Carabidi che
vivono nei mull, quindi in pedoambienti con un’efficiente
e rapida decomposizione degli apporti organici (es. foreste
decidue e prati) e caratterizzati da alti livelli di fertilità,
sono quelle che mostrano i maggiori valori di biomassa e
ricchezza di specie (nel caso specifico dei prati) e una forte
specializzazione morfo-funzionale (nel caso specifico dei
boschi) (Ponge 2003; Gobbi & Fontaneto 2008).
È noto come il livello di evoluzione di un habitat
(per esempio la successione di diversi stadi di maturità di
una foresta o prateria), che corrisponde a un’evoluzione
delle forme di humus (Bernier et al. 1993), sia in grado di
influenzare la distribuzione spazio-temporale delle comunità di Carabidi. Recenti studi condotti in aree di deglaciazione olocenica (piane proglaciali) hanno dimostrato
che i suoli che si succedono dalla fronte glaciale alle aree
tardiglaciali determinano comunità con particolari adattamenti morfo-funzionali. Ad esempio le specie con ali
ridotte, predatrici e di grosse dimensioni sono legate agli
stadi più antichi di questa successione e quindi ai suoli
più sviluppati, che sono i meno perturbati e nei quali vi è
la maggiore disponibilità trofica (Gobbi et al. 2007). La
presenza di Carabidi, Ragni e Opilioni, che costituiscono
l’unica componente eterotrofa nei siti limitrofi alla fronte
glaciale, svolge un ruolo fondamentale nel facilitare la
stabilizzazione delle piante, in quanto questi animali, una
volta morti, sono una fonte di azoto di estrema importanza
(Hodkinson et al. 2002).
I caratteri fisici e pedoclimatici del suolo che principalmente si riflettono sulla ricchezza e sulla distribuzione
dei Carabidi sono la capacità di ritenzione idrica, l’umidità
e la temperatura; quelli chimici sono il pH, il contenuto di
carbonio organico, la concentrazione di sali e metalli pesanti; tra quelli biologici si possono ricordare l’abbondanza
e il tipo di cibo (Holland 2002).
Per quanto concerne i caratteri fisici, è stato dimostrato come suoli ben drenati siano caratterizzati da comunità
ricche di specie a basso potere di dispersione; queste ultime, dunque, sono molto sensibili a potenziali periodiche
inondazioni. L’umidità invece è particolarmente importante
per le specie con larve estive, che durante le ore centrali
della giornata sono esposte a temperature piuttosto alte e
quindi necessitano di rifugiarsi nelle porzioni più umide del
suolo. All’opposto, le specie con larve invernali si rifugiano
nelle porzioni relativamente più secche del terreno, al fine
di evitare la morte per affogamento o causata dal congelamento del suolo. La temperatura influisce sulla vitalità
degli stadi larvali: è noto, ad esempio, che il potenziale di
sopravvivenza delle larve decresce con temperature del
suolo superiori ai 10 °C, dato che testimonia la sensibilità delle specie alpine al riscaldamento globale. Anche la
tessitura, la struttura e la consistenza del suolo influiscono
sulle comunità: i suoli con macroporosità elevata e tendenzialmente soffici sono abitati da comunità ricche di specie
e con individui di grosse dimensioni, poiché offrono alla
larva la possibilità di accrescersi in tutte le direzioni a differenza dei suoli compatti (Gobbi et al. 2007).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 137-140
Per quanto riguarda i caratteri chimici, il pH determina la presenza-assenza di particolari specie. Si è notato,
per esempio, che variazioni antropogenetiche di pH in un
agroecosistema inducono significative variazioni nella distribuzione dei Carabidi. Tali effetti sembrano essere legati
alle diverse modalità di degradazione e quindi alla diversa
disponibilità di materiali organici.
Il regime alimentare predatorio, o meno frequentemente spermofago, dei Carabidi li rende particolarmente
sensibili alla concentrazione di metalli pesanti (es. cadmio,
piombo, zinco) a seguito di biomagnificazione. In particolare il bioaccumulo di metalli presenti negli strati superficiali
di un suolo è stato dimostrato attraverso la corrispondenza
tra la concentrazione di piombo all’interno del corpo dei
Carabidi e quella presente negli orizzonti organici, mentre
la concentrazione di cadmio è legata a quella contenuta
nell’orizzonte A (Jelaska et al. 2007).
139
vi all’interno della catena trofica, poiché è noto come rettili,
uccelli e micromammiferi si alimentino preferenzialmente
delle specie più grosse e meno mobili.
Il legame tra Carabidi, forme di humus e caratteri dei
suoli è ancora poco noto. Per questo motivo è necessario
implementare, mediante un approccio pedo-zoologico, le
ricerche che legano le comunità di Carabidi alle dinamiche
della sostanza organica. Questo approccio integrato potrà
essere uno strumento indispensabile nei programmi di valutazione e monitoraggio della qualità ambientale.
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare la dott.sa Valeria Lencioni e il
dott. Giacomo Sartori per la rilettura critica del testo.
BIBLIOGRAFIA
4.
Ad ogni suolo la sua comunità
In una successione di habitat che vede contrapposti
da una parte ecosistemi naturali o poco alterati e dall’altra
ecosistemi antropizzati o perturbati, anche le comunità di
Carabidi subiscono profondi mutamenti qualitativi e quantitativi (Lövei & Sunderland 1996). È così possibile distinguere per i Carabidi un “popolamento potenziale”, proprio
cioè di condizioni teoricamente indisturbate, da quello
“reale” indotto dall’attività umana; tra queste due situazioni, poi, è possibile individuare diversi gradi di alterazione, degrado e sostituzione rispetto alla cenosi di partenza
(Brandmayr et al. 2005). In un recente studio condotto analizzando un database con i dati delle comunità di Carabidi
negli habitat rappresentativi della Pianura Padana (Gobbi &
Fontaneto 2008) è stato dimostrato come le parcelle residue
di boschi planiziali siano popolate da comunità povere di
specie, ma con esigenze ecologiche molto spinte quali la
specializzazione alimentare ristretta a solo specifiche prede,
la presenza di ali atrofizzate e le dimensioni corporee cospicue. Differentemente, le comunità campionate negli habitat
più perturbati come gli agroecosistemi sono caratterizzate
da un numero elevato di specie aventi un ampio spettro
ecologico e quindi una dieta generalista, ali completamente
sviluppate e ridotte dimensioni corporee. Le specie che
hanno le ali atrofizzate sono in grado di colonizzare nuove
aree solo camminando; tali specie, per questo motivo, sono
le prime a scomparire in ambienti fortemente degradati o
frammentati, vista la loro incapacità di spostarsi velocemente verso nuove aree più stabili. Le specie di maggiori
dimensioni, invece, possiedono uno sviluppo larvale lungo,
che in alcuni casi può durare più di una stagione, e questo le
rende particolarmente vulnerabili a fattori di perturbazione
dei suoli (es. aratura, sovrappascolo ecc.).
La ricerca sviluppata da Kodze & O’Hara (2003)
analizzando un database con la distribuzione delle specie
di Carabidi presenti nel Centro Europa mostra come le
comunità degli ambienti forestali nell’ultimo secolo siano
andate incontro a estinzioni a scala locale a causa della forte specializzazione ecologica (specie con ali atrofizzate e di
grosse dimensioni) che le ha rese particolarmente vulnerabili ai fattori di stress ambientale. Questo decremento della
biodiversità (intesa come numero di specie e abbondanza di
individui) nelle cenosi di Carabidi può avere risvolti negati-
Bernier N., Ponge J.F. & Andre J., 1993 - Comparative study
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140
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 141-144
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Nota breve – Short note
Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane nella
Provincia di Trento
Roberto ZAMPEDRI
IASMA Research and Innovation Centre, Fondazione Edmund Mach, Environment and Natural Resources Area, Via E.
Mach 1, 38010 San Michele all’Adige (TN)
E-mail: [email protected]
Summary - Soil and air temperature measures in four alpine spruce forest of the Trento Province (Italy) - Within the project “DINAMUS
– Humus and forest dynamics”, a study on the soil temperature at four levels of depth was carried out. Four sites located in alpine spruce
forests (Picea abies (L.) H. Karst), characterized by different substrates and exposure, ware investigated. The main aim was to study the
climate of the sampling areas at the scale of forest stand. Some results of the thermal data analysis are presented.
Parole chiave: temperatura nel suolo, pecceta subalpina, Trentino
Key words: soil temperature, subalpine spruce forest, Trentino (Italy)
1.
Introduzione
L’esperienza di ricerca sugli humus forestali condotta fin dal 1994 presso il Centro di Ecologia Alpina, ora
Fondazione Edmund Mach, ha portato nel 2002 all’avvio
del progetto “DINAMUS - Forme di humus e dinamica
del bosco” (2002-2005), finanziato dal Fondo Unico per
i Progetti di Ricerca della Provincia Autonoma di Trento.
L’obiettivo generale della ricerca è stato quello di studiare
le forme di humus in popolamenti di abete rosso, evidenziando i rapporti che tali forme hanno sia con i parametri
dell’ambiente, sia con la dinamica del bosco in cui si sono
sviluppate, attraverso l’azione sinergica di più competenze
interdisciplinari.
Entro tale contesto, è stato condotto uno studio del
clima delle aree di saggio a scala di particella forestale e di
fase dinamica.
Sono state indagate in particolare temperatura e umidità del suolo, e radiazione solare.
Nel presente contributo saranno esposti alcuni risultati dell’analisi dei dati di temperatura del suolo.
2.
Area di Studio
L’ambito di studio riguarda le formazioni adulte di
abete rosso (Picea abies (L.) H. Karst) della Provincia di
Trento che crescono nella fascia altimetrica denominata
“subalpina (inferiore)”, compresa tra 1600 e 1900 metri
s.l.m., con percentuale di presenza di abete rosso in massa
maggiore all’85%.
Per la componente climatica sono state indagate quattro aree di saggio caratterizzate da due tipologie di substrati litologici (carbonatico e silicatico acido) e due classi
di esposizione prevalente della particella forestale (nord e
sud). Le due aree di saggio su substrato acido si trovano
su due versanti opposti del Gruppo di Brenta: la Acida
Sud è localizzata poco a nord dell’abitato di Madonna di
Campiglio, tra la Malga di Nambino e Malga Zeledria; la
Acida Nord poco a est della Malga Alta di Pellizzano, 500
metri a monte del Lago dei Caprioli. Entrambe si trovano
su materiali parentali granitico-tonalitici. Le due aree di
saggio su substrato basico sono distanti geograficamente.
La Basica Sud si trova 200 metri a monte della Malga di
Fondo, in vicinanza del Lago di S. Maria, al confine con
la Provincia di Bolzano; la Basica Nord sulla destra orografica della Val del Vajolet, lungo la strada che conduce
al Rifugio Gardeccia, 300 metri sotto al Rifugio Larsec,
nei pressi del Ciampedìe. La litologia della Basica Sud
è rappresentata da calcari dolomitici, così come nella
Basica Nord, dove la dolomia va a formare gran parte dei
rilievi che circondano la Val del Vajolet. Dal punto di vista
altimetrico le aree sono comparabili a parità di substrato:
la Acida Sud è situata a 1771 m s.l.m., la Acida Nord a
1800 m s.l.m., la Basica Sud a 1661 m s.l.m., la Basica
Nord a 1682 m s.l.m.
La figura 1 mostra la localizzazione delle aree di
saggio sul territorio provinciale. I dati esposti nel presente
contributo si riferiscono a misure rilevate nelle zone delle aree di saggio con presenza di piante adulte/mature. I
suoli e i tipi di humus delle aree indagate sono stati classificati rispettivamente secondo il World Reference Base for
Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane
BASICA SUD
BASICA NORD
ACIDA NORD
ACIDA SUD
Fig. 1 - Localizzazione delle aree di saggio.
Fig. 1 - Location of the study areas.
Soil Resources (FAO 1998) e il Référentiel Pédologique
(AFES 1995):
-
Acida Nord suolo: Sapri-Folic Histosol (Dystric,
Protoumbric); humus: Dysmoder;
-
Acida Sud suolo: Skeleti-Humic Umbrisol
(Hyperdystric); humus: Dysmoder;
-
Basica Nord suolo: Skeleti-Calcaric Cambisol (Eutric,
Siltic); humus: Oligomull;
-
Basica Sud suolo: Eutri-Episkeletic Cambisol (Humic,
Siltic); humus: Amphimull.
3.
Metodi
Per la misura della temperatura sono stati realizzati
dei profili termici a quattro livelli (in superficie, a 10, 20, 40
cm di profondità nel suolo) con due diversi sistemi di misura: sensori impermeabili di temperatura TidbiT StowAway
(ONSET) per le aree di saggio su substrato acido e termocoppie rame/costantana cablate su multiplexer AM32 (Campbell
Scientific Inc.) e datalogger CR10x (Campbell Scientific
Inc.) per le aree su substrato carbonatico. I dati sono stati
raccolti nelle aree Acida e Basica Sud dal 7 giugno 2003 al 6
giugno 2005 e nell’area Basica Nord dal 15 luglio 2004 al 23
giugno 2005. La frequenza di misura del dato di temperatura
è stata di un minuto e la registrazione del valore mediato di
60 minuti. Nella particella Basica Sud i due profili termici
realizzati con le due diverse tecniche sono stati affiancati,
e hanno misurato in sincronia dal 15 luglio 2004 al 23 giugno 2005. È stato così possibile confrontare i due sistemi
di misura e verificare che registrano misure comparabili. La
permanenza della copertura nevosa è stata rilevata con osservazione diretta durante la campagna di misura. Non sono
state fatte misure di spessore. Per la precipitazione si sono
utilizzati i dati forniti dalle stazioni meteorologiche della
rete Agrometeorologica della Fondazione Edmund Mach per
le aree Acida Nord (Pellizzano), Basica Nord (Predazzo) e
Basica Sud (Fondo), e la stazione della rete della Provincia
di Trento per l’area Acida Sud (Pinzolo).
4.
Risultati e discussione
4.1.
Andamenti giornalieri a 10 cm di profondità
La figura 2, che mostra l’andamento delle temperature
medie giornaliere per l’anno 2004 a 10 cm di profondità, evidenzia uno sviluppo simile nelle quattro aree di saggio. Per
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ACIDA NORD
precipitazione
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Jan
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Precipitazione
mm
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temperatura
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Feb Mar Apr May Jun
Jul Aug Sep Oct Nov Dec
2004
Fig. 2 - Andamento della temperatura media giornaliera (10 cm di
profondità). Anno 2004.
Fig. 2 - Mean daily temperature trend (10 cm depth). Year 2004.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 141-144
la prima parte dell’anno si registra una temperatura costante
tra 0 e 1 °C in corrispondenza della presenza della copertura nevosa (mediamente per 4,5 mesi a sud e per 5,5 mesi a
nord), un suo progressivo aumento fino al massimo che si
raggiunge generalmente nel mese di agosto e una seguente
diminuzione nella seconda metà dell’anno. Si nota come i
principali picchi minimi e massimi relativi siano sincroni nei
quattro grafici, a conferma di un andamento climatico omogeneo nei suoli indagati. In particolare si può osservare che
in corrispondenza di precipitazioni durante il periodo senza
copertura nevosa si verificano dei minimi relativi di temperatura. Soprattutto si notano gli episodi di inizio maggio, in
cui si riconosce un brusco abbassamento della temperatura
nelle due particelle poste a sud. La residua copertura nevosa
nell’area Acida Nord mantiene invece inalterate le condizioni termiche del suolo. Nel corso della stagione si evidenziano
gli eventi meteorici dell’inizio della terza decade di giugno,
poco prima della metà di luglio, all’inizio della terza decade
di agosto, a metà settembre, e a metà e fine ottobre. La riduzione della temperatura del suolo causata dalle precipitazioni
è dovuta in parte all’azione diretta della pioggia e in parte alla
sottrazione al suolo del calore necessario per l’evaporazione
dell’acqua (calore latente di vaporizzazione). La copertura
nevosa mantiene costante e sopra lo zero la temperatura nel
suolo e dunque protegge dalle basse temperature la componente vegetale e animale che vi trova rifugio.
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Andamenti mensili dei profili di suolo
La figura 3 evidenzia l’andamento delle temperature medie mensili nelle quattro aree di saggio ai quattro
livelli di profondità indagati. Si nota come generalmente
il massimo di temperatura nel suolo si raggiunga nel mese
di agosto. Il massimo di temperatura in superficie coincide
con quello nel suolo per le particelle su substrato acido,
mentre è anticipato a luglio per le basiche. In generale si
ha un’attenuazione della fluttuazione della temperatura
man mano che si scende in profondità; nella parte centrale
dell’anno gli strati più profondi sono più freschi rispetto a
quelli sovrastanti, mentre la situazione si inverte nella prima e nell’ultima parte dell’anno. Per due periodi all’anno la
temperatura è costante lungo il profilo. Il primo è in primavera, tendenzialmente in aprile, e registra una temperatura
di circa 1 °C. Fa eccezione l’area di saggio su substrato
acido esposta a nord in cui l’uguaglianza di temperatura
si ha in maggio. Il secondo si verifica in tarda estate, tra la
fine di agosto e la prima decade di settembre, e registra una
temperatura tra 5,5 e 9 °C.
5.
per effetto dell’energia termica utilizzata per far evaporare
la pioggia presente nel suolo (alto valore del calore latente
di vaporizzazione dell’acqua).
Conclusioni
Lo studio condotto sulla misura in continuo della
temperatura in profili verticali all’interno di quattro aree di
saggio in Trentino distribuite in due tipi di materiali parentali e in due classi di esposizione evidenzia il ruolo degli
eventi meteorici piovosi e nevosi sull’andamento stagionale
delle temperature nel suolo.
In particolare la copertura nevosa mantiene costante
la temperatura tra 0 e 1 °C, mentre gli eventi piovosi osservati durante la stagione estiva e autunnale sono in grado
di abbassare le temperature nel suolo, sia per effetto del
raffreddamento diretto da parte dell’acqua meteorica sia
temperatura
°C
4.2.
143
SUPERFICIE
10 CM
20 CM
40 CM
ACIDA NORD
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Jan
BASICA SUD
Feb Mar
Apr May Jun
Jul
Aug
Sep
Oct
Nov Dec
mesi
Fig. 3 - Andamento della temperatura media mensile lungo il
profilo per le quattro aree di saggio. Anno 2004.
Fig. 3 - Mean monthly temperature trend within the soil profile for
the four areas. Year 2004.
144
Zampedri
Misure di temperatura del suolo e dell’aria in quattro peccete altimontane
L’analisi delle temperature medie mensili a varie profondità indica una progressiva diminuzione della variabilità
di temperatura quando si scende lungo il profilo del suolo.
Conseguentemente si ha una parte centrale dell’anno in cui
la temperatura degli strati alti è maggiore rispetto a quella
degli strati bassi e una situazione inversa a inizio e a fine
anno. I due periodi in cui si ha temperatura omogenea lungo i profili si verificano tendenzialmente in primavera, in
aprile, e in autunno, in settembre.
Ringraziamenti
Studio svolto nell’ambito del progetto “Dinamus
- Forme di humus e dinamica del bosco”, finanziato dal
Fondo per i Progetti di Ricerca della Provincia Autonoma
di Trento, delibera n. 437/2002.
Bibliografia
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Calabrese M.S., Mancabelli A., Nicolini G., Sartori G. & Zanella
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© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
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Augusto Zanella1*, Bernard Jabiol2, Jean-François Ponge3, Giacomo Sartori4, Rein de Waal5, Bas
Van Delft5, Ulfert Graefe6, Nathalie Cools7, Klaus Katzensteiner8, Herbert Hager8, Michael
English9 & Alain Brethes10
Department Land and Agro-Forestry Ecosystems, University of Padova, Viale dell’Università 16, 35020 Legnaro (PD), Italy
Ecole AgroParisTech – Engref, Laboratoire d’étude des ressources forêt-bois (LERFOB), 14 rue Girardet, 54042 Nancy,
France
3
Museum National Histoire Naturelle de Paris, 1 Avenue du Petit Château, 91800 Brunoy, France
4
Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento, Italy
5
Centre Ecosystems Studies, Alterra, Droevendaalse steeg 3, Postbox 47, 6700 AA Wageningen, The Netherlands
6
Institut für Angewandte Bodenbiologie GmbH, Sodenkamp 62, 22337 Hamburg, Germany
7
Research Institute for Nature and Forest, Gaverstraat 4, 9500 Geraardsbergen, Belgium
8
Deptartment of Forest and Soil Sciences, Institute of Forest Ecology, University of Natural Resources and Applied Life
Sciences (BOKU) Vienna, Peter Jordanstr. 82, 1190 Wien, Austria
9
Bundesamt für Wald, Unit Site and Vegetation, Department of Forest Ecology and Soil, Federal Research and Training
Centre for Forests, Natural Hazards and Landscape, Seckendorff-Gudent-Weg 8, 1131 Vienna, Austria
10
Office National des Eaux et Forêts, 45760 Boigny-sur-Bionne, France
*
Corresponding author e-mail: [email protected]
1
2
SUMMARY - Toward a European humus forms reference base - A network of European humus researchers was founded in Trento (Italy) in
2003. The aim of the Group’s work was to prepare a synthesis of the knowledge about humus forms which could be used as a field key for
classifying and interpreting humus forms within an ecological framework. Stages: the first European classification of terrestrial humus forms,
prepared in Vienna (Austria, 2004) from a French plan, presented at EUROSOIL 2004 in Freiburg (Germany, 2004); the new form (Amphi)
admitted as main humus form (Italy, 2005); the first European classification of semi-terrestrial humus forms, from a Dutch pattern (Italy,
2005); poster at the 18th Congress of Soil Science (Philadelphia, 2006); the enlargement of the Amphi category towards some Mediterranean
humus forms (Italy, 2007); the definitive agreement for a complete classification key, EUROSOIL (Austria, 2008). Protocols for assessment
and sampling of organic and organo-mineral layers were set up, as well as definitions for specific horizons. After six years of exchanges
among specialists from 12 European countries, the outcome of this European set-up is briefly presented here as a succession of figures.
RIASSUNTO - Verso una base di riferimento per le forme di humus europee - Nel 2003 venne fondato a Trento un gruppo europeo di
ricercatori sull’humus, che si propose di realizzare una sintesi delle conoscenze sulle forme di humus da poter usare in campo come
chiave di classificazione e di interpretazione di tali forme su basi ecologiche. Le tappe di questo processo sono state le seguenti: la
prima classificazione europea delle forme di humus terrestri, preparata a Vienna (Austria, 2004) a partire da uno schema francese e
presentata all’EUROSOIL 2004 di Friburgo (Germania, 2004); l’ammissione di una nuova forma (Amphi) tra le unità di primo livello
(Italia, 2005); la prima classificazione europea delle forme di humus semi-terrestri, a partire da uno schema olandese (Italia, 2005); un
poster al diciottesimo Congresso della Scienza del Suolo (Philadelphia, 2006); l’allargamento della forma Amphi verso alcune forme
mediterranee (Italia, 2007); il definitivo consenso per una chiave di classificazione completa, EUROSOIL (Austria, 2008). I protocolli di
riconoscimento e campionamento degli orizzonti organici e organo-minerali sono stati redatti insieme alle definizioni riguardanti alcuni
orizzonti più specifici. Dopo sei anni di scambi tra specialisti di dodici paesi europei, viene qui illustrata la sintesi di questo lavoro.
Key words: humus, humus classification, humus form, European Humus Group
Parole chiave: humus, classificazione degli humus, forma di humus, Gruppo Humus Europeo
1.
Historical path
A network of European researchers working on humus forms was created in Trento (Italy) in 2003. In July
2004, the commission “Classification of (European) Humus
Forms” met in Vienna (Austria) and drafted a taxonomic
key of the main terrestrial humus forms based on response
to environmental conditions and specific biological activities (Ponge 2003; Graefe & Beylich 2003). This draft was
presented in Freiburg (Germany) at the EUROSOIL 2004
congress (Jabiol et al. 2004).
From this event onwards, other results have been
achieved:
-
the definitive admission of the Amphi forms at the first
146
Zanella
European humus forms
Fig. 1 - The poster at the World Congress of Soil Science in Philadelphia (2006), for disseminating the humus forms concept. It resumes
the work about the humus forms two years after the foundation of the European Humus Group: 4 main humus forms, 11 second-level
categories and a mild attempt to organize some ecological attractors around them.
Fig. 1 - Il poster presentato al Congresso Mondiale della Scienza del Suolo a Philadelphia (2006), per divulgare il concetto di forme
di humus. Esso riassume il lavoro sulle forme di humus due anni dopo la fondazione del Gruppo Humus Europeo: 4 forme di humus
principali, 11 categorie di secondo livello e un timido tentativo di organizzare intorno a esse alcuni attrattori ecologici.
Fig. 2 - Water table level and diagnostic horizons for the semi-terrestrial and terrestrial humus forms. a. “Historical blackboard” in San Vito
di Cadore, on July 2005: three main levels of classification, according to the main ecological factors (temperature, water and biological
component) and many question marks. b. Present-day position: “first was the water”. Aa= anmoor A; H= organic histic horizon; Ag=
hydromorphic A; Eg= hydromorphic E; A= organo mineral horizon; E= mineral horizon (eluviation).
Fig. 2 - Livello della falda freatica e orizzonti diagnostici per le forme di humus semi-terrestri e terrestri. a. Lavagna storica a San Vito di
Cadore, luglio 2005: tre principali livelli di classificazione, in accordo con i principali fattori ecologici (temperatura, componenti idrica
e biologica) e molti punti interrogativi. b. proposizione odierna: “prima venne l’acqua”. Aa= A di anmoor; H= orizzonte organico istico;
Ag= A idromorfo; Eg= E idromorfo; A= orizzonte organo-minerale; E= orizzonte minerale (di eluviazione).
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 145-151
147
Fig. 3 - Synoptic table of Histo humus forms classification. Hf= fibric H; Hfs= fibric-sapric H; Hsnoz= sapric non zoogenous H; Hszo=
sapric zoogenic H; Hsl= sapric-limnic H; Aa= anmoor A; Ag= hydromorphic A.
Fig. 3 - Tabella sinottica della classificazione delle forme di humus Histo. Hf= H fibrico; Hfs= H fibri-saprico; Hnoz= H saprico non
zoogenico; Hzo= H saprico zoogenico; Hsl= H sapri-limico; Aa= A di anmoor; Ag= A idromorfo.
-
-
-
-
-
-
level of the classification during the meeting in San Vito
(University of Padua, Italy, 2005). The name means
“twin forms”, differentiating from Moder because of
the strong earthworm activity in the A horizon and
from Mull, on the other side, because of the important
accumulation of organic matter at the soil surface. The
same solution has been adopted in the last version of the
French Référentiel Pédologique (Baize et al. 2009);
a draft of a European key of classification has been
presented in the form of a poster (Fig. 1) at the 18th
Congress of Soil Science, USA, Philadelphia (Zanella
et al. 2006);
the first level of the proposed classification key has
been implemented and integrated into the manual
of the UN-ECE–ICP Forests program available on
Internet (http://www.icp-forests.org/Manual.htm);
an agreement has been reached for characterizing
the structure of the A horizon within the European
humus forms classification. The soil structure defined
in the USDA Soil Survey Manual (1993), also used in
the World Reference Base for Soil Resources (IUSS
Working Group WRB 2006) and the FAO Guidelines
2006, has been adopted in the new characterization of
the five diagnostic A horizons;
a workshop was made to improve and extend the
Amphi classification draft in order to include some
typical Mediterranean humus forms (meeting at the
University of Cagliari, Italy, 2007);
the most recent version of the key, re-elaborated thanks
to a workshop organized during the EUROSOIL 2008
congress (Vienna, Austria), includes the Tangel humus form, which has a relatively broad distribution in
the calcareous Alpine ecosystems;
starting from a first attempt presented by the Dutch
members of the humus group (Alterra) during a
meeting in San Vito (Italy, 2005), the semi-terrestrial
humus forms have been considered and included in
-
the classification. A final agreement was found only
after the Eurosoil 2008 meeting (Fig. 2). Diagnostic
horizons for the first and second-level references have
been established, and new Histo forms have been
placed in synoptic tables (Fig. 3);
with the aim of completing the humus classification
panel, definitions for Hydro, Litho, Peyro, Psammo,
Rhizo and Ligno forms were recently established exchanging a sharable draft (Figs 4-7).
Fig. 4 - Synoptic table of Hidro forms classification. OL, OF, OH=
organic horizons; A= organo-mineral horizon ; E= mineral horizon;
zo= zoogenous; noz= non zoogenous; ma= biomacrostructured; me=
biomesostructured; g= hydromorphic. The pH is measured in water.
Fig. 4 - Tabella sinottica della classificazione delle forme di humus
Hidro. OL, OF, OH= orizzonti organici; A= orizzonte organominerale; E= orizzonte minerale; zo= zoogenico; noz= non
zoogenico; ma= biomacrostrutturato; me= biomesostrutturato; g=
idromorfo. Il pH è misurato in acqua.
148
Zanella
European humus forms
Fig. 5 - Terrestrial humus forms subdivision based on strongly expressed morphological properties.
Fig. 5 - Suddivisione delle forme di humus terrestri basata su proprietà morfologiche fortemente espresse.
2.
The European Humus Forms Classification
The first general principles of a European classification of terrestrial haplic forms have now been finalized
(Figs 8-9). Protocols for the assessment and sampling of
Fig. 6 - Lepto terrestrial forms on siliceous or calcareous
substrates. OL, OF, OH= organic horizons; A= organo-mineral
horizon; E= mineral horizon (eluviation); zo= zoogenous; noz=
non zoogenous; me= biomesostructured; mi= biomicrostructured.
The pH is measured in water.
Fig. 6 - Forme terrestri Lepto, su substrati silicei o calcarei. OL,
OF, OH= orizzonti organici; A= orizzonte organo-menerale;
E= orizzonte minerale (eluviazione); zo= zoogenico; noz= non
zoogenico; me= biomesostrutturato; mi= biomicrostrutturato;
g= idromorfo. Il pH è misurato in acqua.
organic and organo-mineral horizons are set up as well as
definitions of the different kinds of organic and mineral
horizons and their designation. The recognizable remains
are separated from humic and mineral components. In fact,
Babel’s definition (1980) of “fine organic matter”, used in
other systems of humus forms classification, did not work
in an efficient way in order to describe the organic horizons with an appreciable content of large organo-mineral
structures (earthworm faeces). The definitions of zoogenic
and non zoogenic materials allow to better differentiate
some key diagnostic horizons, improving the field estimate of the part of the organic matter degraded by fungi.
Concerning Histo forms, fibric and sapric components of
the horizons were defined.
Fig. 7 - Rhizo humus forms. OL, OF, OH= organic horizons.
Fig. 7 - Forme di humus Rhizo. OL, OF, OH= orizzonti organici.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 145-151
149
Fig. 8 - Terroforms on calcareous or lithologically mixed substrates. OL, OF, OH= organic horizons; n= new litter; v= old litter; A= organomineral horizon; zo= zoogenous; noz= non zoogenous; ma= biomacrostructured; me= biomesostructured; mi= biomicrostructured; Trans.
(mm)= transition between organic and organo-mineral horizons (millimeters).
Fig. 8 - Terroforme su substrati calcarei o misti. OL, OF, OH= orizzonti organici; n= lettiera nuova; v= lettiera vecchia; A= orizzonte
organo-menerale; zo= zoogenico; noz= non zoogenico; ma= biomesostrutturato; me= biomicrostrutturato; mi= biomicrostructured;
Trans. (mm)= transizione tra orizzonti organico e organo-minerale (millimetri).
Fig. 9 - Terroforms on acid siliceous substrates. OL, OF, OH= organic horizons; n= new litter; v= old litter; A= organo-mineral horizon;
zo= zoogenous; noz= non zoogenous; ma= biomacrostructured; me= biomesostructured; mi= biomicrostructured; Trans. (mm)= transition
between organic and organo-mineral horizons (millimeters).
Fig. 9 - Terroforme su substrati silicei acidi. OL, OF, OH= orizzonti organici; n= lettiera nuova; v= lettiera vecchia; A= orizzonte
organo-menerale; zo= zoogenico; noz= non zoogenico; ma= biomesostrutturato; me= biomicrostrutturato; mi= biomicrostructured;
Trans. (mm)= transizione tra orizzonti organico e organo-minerale (millimetri).
150
Zanella
European humus forms
Fig. 10 - Eco-diagram for humus formation.
Fig. 10 - Eco-diagramma della formazione dell’humus.
Fig. 11 - Ecological attractors and humus forms. The scheme shows a chained list of horizons and actors of biodegradation.
Fig. 11 - Attrattori ecologici e forme di humus. Lo schema mostra come la serie di orizzonti sia legata agli attori della biodegradazione.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 145-151
The Humus Group considers the key of the humus
forms classification as its common endeavour, a contribution to the understanding of ecosystem functioning (Fig. 10)
and of nutrients cycling, and may introduce humus forms
classification as a diagnostic tool for assessing the ecosystem health status. The Humus Group sees the description
and the study of humus forms as a tool to characterize
ecosystems or biotic communities, which evolve together
in response to environmental factors, and humus forms
may be indicative for these changes (Ponge 2003). We see
the very abstract and simplistic procedure of humus forms
classification as our common and demanding task, which
makes sense only within a functional approach. An effort
was done for translating field data (Sartori et al. 2004) and
present knowledge (humus forms structure and ecology) in
graphical models or tables allowing to use these concepts in
ecological procedures. Groups of animals were associated
to diagnostic horizons and humus forms (Fig. 11).
151
Gabriele Broll (Germany), Gerhard Milbert (Germany),
Gianluca Serra (Italy), Giuseppe Concheri (Italy), Hannu
Jlvesniemi (Finland), Hans-Joerg Brauckmann (Germany),
Jan Sevink (Netherland), Jarmila Lesna (Czech republic), Jean Jacques Brun (France), Lars Lundin (Sweden),
Lauric Cécillon (France), Linda Scattolin (Italy), Lorenzo
Frizzera (Italy), Lucio Montecchio (Italy), Marija Grozeva
Sokolovska (Bulgaria), Michael Aubert (France), Miglena
Zhiyanki (Bulgaria), Mirco Rodeghiero (Italy), Nathalie
Cassagna (France), Paola Galvan (Italy), Paolo Carletti
(Italy), Raimo Kolli (Estonia), Rainer Baritz (Germany),
Roberto Menardi (Italy), Roberto Secco (Italy), Roberto
Zampedri (Italy), Roger Langohr (Belgium), Roland Baier
(Germany), Rolf Kemmers (Netherland), Serenella Nardi
(Italy), Silvia Chersich (Italy), Silvia Obber (Italy), Tomaz
Kralj (Slovenia), Ugo Wolf (Italy).
REFERENCES
3.
Issue
The coming publication of the classification is perceived by the Humus Group as a forum which allows us to
introduce the wider scientific community to our work and
to further our efforts towards an internationally agreed classification and standardization of defined humus forms. To
achieve these goals the paper will be organized as following:
-
introduction and general synoptic tables of humus
forms classification;
-
Terro and Histo forms classification;
-
vocabulary, definition of main horizons, synoptic tables for field classification. A biological point of view
is also given for linking bio-degraders and structure
of the main diagnostic horizons;
-
functional aspects;
-
practical value of the delivered classification.
Acknowledgements
This paper resumes six years of exchanges among
members of the Humus Group (12 European countries).
Their inputs contributed to the success of the synthesis
of knowledge about humus forms. Thanks to everybody
for data, ideas, discussions, friendliness. In alphabetical
forename order: Adriano Garlato (Italy), Andrea Squartini
(Italy), Andrea Vacca (Italy), Anna Andreatta (Italy),
Diego Pizzeghello (Italy), Eckart Kolb (Germany), Elena
Vendramin (Italy), Emil Klimo (Czech Republic), Erik
Karltun (Sweden), Erwin Mayer (Austria), Eva Ritter
(Finland), Fabrice Bureau (France), Fausto Fontanella (Italy),
AFES, 2009 - Référentiel Pédologique 2008, Baize D. & Girard
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Babel U., Kreutzer K., Ulrich B., Zezschwitz E. von & Zöttl H.W.,
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Sartori G., Obber S., Garlato A., Pocaterra F. & Vinci I., 2004
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Zanella A., English M., Jabiol B., Katzensteiner K., Delft Van
B., Hager H., Waal de R., Graefe U., Brun J.-J, Chersich S.,
Broll G., Kolb E., Baier R., Baritz R., LAanghor, R., Cools
N., Wresowar M., Milbert G. & Ponge J.F., 2006 - Towards
a common humus forms classification. The point in Europe:
few top soil references as functioning systems. (Humus forms:
integration of living ecosystems). Poster presented at 18th
Congress of Soil Science, Philadelphia, July 2006.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 153-156
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Short note – Nota breve
French humus forms classification: what’s new in the Référentiel pédologique 2008?
Bernard Jabiol
AgroParisTech, UMR1092, Laboratoire d’Etude des Ressources Forêt Bois (LERFoB), ENGREF, 14 rue Girardet, 54042
Nancy, France
*
E-mail: [email protected]
RIASSUNTO - La classificazione francese delle forme di humus: cosa c’è di nuovo nel Référentiel pédologique 2008? - La classificazione
delle forme di humus pubblicata in Francia nel 1992 nell’ambito del Référentiel pédologique ha destato molto interesse negli studiosi
europei degli humus. Essa ha portato alla creazione di un gruppo di lavoro europeo finalizzato alla messa a punto di una classificazione
europea degli humus. I primi risultati del lavoro di questo gruppo sono stati utilizzati per migliorare la classificazione francese nella terza
edizione del Référentiel pédologique, pubblicata nel 2009. Le forme di humus amphi- e mor sono state modificate, e sono state introdotte
le forme litho- e peyro-.
Key words: Référentiel Pédologique, AFES, humus forms, humus classification
Parole chiave: Référentiel Pédologique, AFES, forme di humus, classificazione degli humus
In the Nineties, the French Society of Soil Sciences
(AFES: Association Française pour l’Etude du Sol) published in its Réferentiel Pédologique (Baize & Girard 1992,
1995, 1998) a classification of forest humus forms (Brêthes
et al. 1992, 1998). This proposition was partly inherited
from works of the French forest soil scientists of the precedent decades and their relationships with Belgian and
German ones, but was also particularly due to a new school
which worked in the spirit of the new soil classification:
the aim was to propose an open and evolutionary system,
whose main principle was to put together morphological
features and biological functioning. This classification,
presented at an international level (Brêthes et al. 1995), appeared as a complement of Canadian classification (Green
et al. 1993) which was ineffective in temperate climates.
For this reason, European countries paid a great attention
to it, especially in Italy, where the Réferentiel Pédologique
was introduced (Baize & Girard 2000). As early as 1996,
the Centro di Ecologia Alpina published a study on forest
humus in Trentino (Calabrese et al. 1996), testing French
classification and comparing it with other ones. The publication of this work was the beginning of uninterrupted
collaborations between Italian and French research teams
working on humus forms, leading to the creation of the
European Humus Research Group (http://humusresearchgroup.grenoble.cemagref.fr/principal.html), whose aims
were 1) to improve the knowledge on biological functioning of humus forms and 2) to propose a classification of
humus forms valid at European level.
The first French classification was built for forests at
low altitudes and outside Mediterranean conditions, because
of a less important extension and knowledge of these ecosystems in France. Due to the international collaborations
with countries where these ecological conditions are well
represented, it became possible to improve our concepts,
descriptions and then classification of humus forms. We
wanted to maintain a national classification, quite suitable
for French ecological conditions, for the habits of French
foresters and easy to use by them, but thoroughly compatible with the European classification which is being built
up. This new version was published at the beginning of the
year (AFES 2009; Jabiol et al. 2009) (Fig. 1, Tab. 1).
1.
First change: amphi-forms
In the 1992 version, French classification was based
on the origin and feature of A horizons, to permit to distinguish amphimull, humus forms with a succession OH/A
horizons, from moder: we considered that the “biomacrostructured” A horizon of amphimull, due to earthworm’s
activity, was a character of mull types. For 15 years, a
great advance has been made in Italy in the knowledge
of these humus forms. It has permitted to understand that
their ecological and biological origins were sufficiently
different from mull forms to consider “amphi-forms” as
a great category of humus forms, beside mull, moder and
mor (Tab. 1). European classification suggests to name
them “amphi”, new French classification prefers “amphimus”: for the user of the last classification, the change
remains very slight, interpretation and diagnostic are the
same: nothing has changed but conceptual presentation.
154
Jabiol
French humus forms classification
Fig. 1 - Key for the identification of the principle well drained humus forms (from Jabiol et al. 2007, 2009).
Fig. 1 - Chiavi per il riconoscimento delle principali forme di humus ben drenate (da Jabiol et al. 2007, 2009).
Tab. 1 - The principal well drained humus forms under forest (from Jabiol et al. 2007, 2009). Horizons in brackets are not always present
or discontinuous.
Tab. 1 - Le principali forme di humus ben drenate sotto foresta (da Jabiol et al. 2007, 2009). Gli orizzonti tra parentesi sono non sempre
presenti o discontinui.
HORIZONS O
HORIZONS A ET TRANSITIONS O-A
abundant clay-humus complexes
discontinuity between O // A
biomacro-structured or biomeso-structured A horizon
granular structure more or less developed
MULL
OL
or
OL and (OFzo)
(OLn) *
EUMULL
OLn (OLv) *
MESOMULL
OLn OLv (OFzo)
OLIGOMULL
OL and OFzo **
AMPHIMUS
DYSMULL
clay-humus complexes rare or absent
O-A progressive transition
discontinuity O // horiz. min.
no granular structure
no organic matter or diffused
often massive or single grain
OM
MODER
MOR
HÉMIMODER
(EU)MODER
OL and OFzo and OHzo or (OHzo)
(EU)AMPHIMUS
(OH < 1 cm)
DYSMODER
(OH ≥ 1 cm)
OL and OFnoz, no OH
HÉMIMOR
HUMIMOR
OL and OFnoz, and OHnoz or OHzo
(OFzo or OHzo still présent)
MOR
(OFzo and OHzo absent)
N.B.: horizons in brackets: not always present or discontinuous
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 153-156
155
Fig. 2 - Scheme of litho- and peyro- humus forms (from (Jabiol et al. 2007).
Fig. 2 - Rappresentazione schematica delle forme di litho- e peyro- humus (da Jabiol et al. 2007).
Unlike the larger European classification, we consider
that only one category of amphimus is useful in describing humus forms in our mountains with Mediterranean
influences.
2.
Second change: mor-forms
As amphimus, mor forms, due to a lack of animal
activity, are rare in France and our first classification did
not detail them. Even if we do not need great details in
our context, we choose to open our classification towards
the European one, inspired for mor forms by Canadian
classification. For this purpose, it was necessary to define
new horizons, especially OFzo (zoogenic) and OFnoz (not
zoogenic) horizons, the last one being the diagnostic horizon for mor forms. But we put much emphasis on intermediate forms between moder and mor, the most common in
France, the forms in which zoogenic OF or OH horizons
are still present; these forms are named humimor.
3.
Third change: litho- and peyro- forms
This is more a novelty than a change. Its purpose is to
diagnose easily humus forms in conditions in which A horizon cannot be used in the diagnostic (Fig. 2). It concerns:
-
forms in which O horizons are lying directly on a
bedrock. Some decades ago they were named “raw
humus”, but they weren’t thoroughly described. We
propose to distinguish lithomoder, characterised by
the succession OL/OF/(OHzo)/R horizons, and lithomor with an OFnoz horizon. We have considered
that there was no consistency in distinguishing a
“lithomull” without presence of fine mineral material
and then without anecic earthworms.
-
forms on screes, where fine earth is rare or missing;
the difference with “lithoforms” is that organic matter, resulting of consumption of organic rests by animals, can be mixed in great quantities between coarse
fragments, sometimes but not always with mineral
material, when conditions are favourable to animals.
These horizons cannot be named O horizons because
of presence of coarse fragments, nor A horizons because of great amount of organic mater in fine earth.
For the Réferentiel pédologique they are X horizons
(Xh or Xho) (“peyric horizons”). The first X horizon
and its characters takes the place of A horizon in the
definition of humus profiles, and then we can define
peyromull, due to a good activity of earthworms and
with “biomacrostructured fine earth” (succession
OL/Xh horizon), peyromoder in wich a part of OH
horizon is incorporated into X horizon (succession
OL/OF/OH/Xh) or peyromor without animal activity nor incorporation of organic matter (OL/OFnoz/
(OH)/X.
With this new version of our classification we hope
to be the most compatible as possible with the European
one, which is much inspired from French concepts, without changing the habits of French foresters who had been
successfully working with the previous versions for 15
years.
156
Jabiol
REFERENCES
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Classification of forest humus forms: a French proposal. Ann.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 157-160
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Nota breve – Short note
La determinazione dello stock di carbonio nei suoli del Trentino a partire dalla
banca dati della carta dei suoli alla scala 1:250.000
Adriano Garlato1*, Silvia Obber1, Ialina Vinci1, Alessandro MANCABELLI1, Andrea Parisi2 & Giacomo
Sartori2
ARPA Veneto, Unità Operativa Suolo, Via Baciocchi 9, 31033 Castelfranco Veneto (TV)
Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
1
2
summary - Soil carbon stock assessment in the Trentino Province (Italy) based on the soil map at 1:250,000 scale - Soil carbon stock
of the Trentino Province (North Italy) has been assessed, as a first approximation, on the basis of the data base of the soil map at 1:250.000
scale. In the Alpine area the differences between different altitudinal belts are considerable, with higher values (>185 t ha-1) at higher
elevations. Differences between siliceous and calcareous substrates are very reduced above the timberline (>1900 m a.s.l.), and at lower
altitudes (<1300 m), whereas in the intermediate zone values are notably higher on siliceous materials. In the Prealpine area values are
lower than in the Alpine area, both on mountain areas and in the valleys.
Parole chiave: suoli montani, Provincia di Trento, carbonio organico, stock di carbonio
Key words: mountain soils, Province of Trento, organic carbon, carbon stock
1.
Materiali e metodi
La determinazione dello stock di carbonio nei suoli del
Trentino è stata effettuata a partire dalle informazioni della
banca dati che accompagna la carta dei suoli del Trentino
alla scala 1:250.000, di recente ultimazione (Sartori &
Mancabelli 2009), utilizzando i dati relativi a 100 profili
tipici di altrettante unità tipologiche di suolo presenti nella
legenda. È noto che in ambiente prevalentemente montano
una notevole percentuale del carbonio stoccato nei suoli è
inglobata negli orizzonti organici di superficie (humus), i
quali possono rappresentare oltre il 20% del carbonio totale
(Galbraith et al. 2003; Schulp et al. 2008). La disponibilità di
informazioni descrittive e analitiche relative a tali orizzonti
ha permesso di quantificare il contributo dell’humus sullo
stock totale. Il carbonio presente nella lettiera, o orizzonte
OL (AFES 2009), non è stato invece considerato.
Le osservazioni utilizzate sono state condotte in un
arco temporale di un quindicennio (1991-2005), il che può
rappresentare un limite alla precisa determinazione di un
parametro relativamente variabile nel tempo quale è il contenuto di carbonio. Cospicue variazioni nel contenuto di
sostanza organica nel suolo si realizzano però in intervalli
di tempo dell’ordine della decina di anni solo se gli input
subiscono modifiche profonde (Perruchoud et al. 1999).
Vista la relativa stabilità nella gestione degli ambiti forestali in Trentino, tali cambiamenti possono essere considerati
non rilevanti.
La maggior parte dei valori analitici disponibili (366
orizzonti analizzati in totale) sono stati ottenuti con il metodo Walkley-Black. Per avere una comparabilità internazionale essi sono stati espressi come se fossero misurati
col metodo ISO 14235. Si è utilizzata a questo scopo la regressione ottenuta da una prova eseguita da otto laboratori
pubblici italiani aderenti alla SILPA (tra i quali quello della
Fondazione E. Mach, che ha effettuato anche le analisi della
banca dati), commissionata dal Centro di Ricerca Comune
dell’Unione Europea di Ispra (JRC) e finalizzata a testare la
comparabilità dei metodi ISO con i metodi nazionali in uso.
La regressione è la seguente:
(1) CO (ISO) = 1,0288*CO (Walkley Black) + 0,07631
(R2= 0,9763)
Solo per il 25% degli orizzonti organici (humus)
considerati erano disponibili dati analitici. Per i restanti
orizzonti organici il contenuto di carbonio organico è
stato stimato a partire dalla diversa tipologia di orizzonte
(OF, OH, O generico), in base ai valori medi ottenuti dagli altri orizzonti della stessa tipologia che disponevano
di dati analitici.
Lo stock di carbonio per i primi 30 cm di suolo è stato determinato con due modalità differenti, rispettivamente
includendo l’humus (= stock di carbonio dei primi 30 cm
158
Garlato et al.
Stock di carbonio nei suoli del Trentino
di suolo) ed escludendolo (= stock di carbonio dei primi 30
cm di suolo minerale). Il secondo valore, meno indicativo
del primo, è stato calcolato per facilitare i confronti, a livello nazionale e internazionale, con le stime che appunto non
includono gli humus.
Lo stock di carbonio (SOC) di ogni singolo suolo analizzato si ottiene dal prodotto, effettuato per ogni orizzonte
presente nei primi 30 cm di profondità, tra il quantitativo
ponderale di carbonio e la densità apparente dell’orizzonte,
sottraendo il volume occupato dai frammenti grossolani:
horizon=n
(2) SOCtot = Σ([SOC]*BulkDensity*depth*(1-frag)*10)horizon
horizon=1
dove SOCtot= stock di carbonio organico nel suolo (C.O. t
ha-1); SOC= concentrazione di carbonio organico del singolo orizzonte (C.O. g kg-1 di suolo); Bulk Density= densità
apparente dell’orizzonte (t di suolo m-3); Depth= profondità
dell’orizzonte (m); Frag: percentuale in volume dei frammenti grossolani nell’orizzonte.
Il dato ottenuto per il profilo tipico è stato esteso, in
prima approssimazione, alla corrispondente unità tipologica di suolo della banca dati, e il quantitativo presente in
ogni delineazione della carta dei suoli provinciale è stato
calcolato utilizzando la media ponderata dei diversi suoli
presenti al suo interno.
Per la stima della densità apparente degli humus
è stata utilizzata la pedofunzione di Hollis (Hollis &
Woods 1989) definita per gli orizzonti organici (BD=
-0,00745*C.O.%+0,593). Per gli orizzonti minerali invece
è stata utilizzata una serie di pedofunzioni, tarate a partire
da dati misurati nelle aree montane del Veneto che utilizzano i dati tessiturali e il contenuto in sostanza organica.
In particolare, sono state utilizzate cinque pedofunzioni
(Garlato et al. 2009; Ungaro 2009): due per i suoli montani
(orizzonti superficiali e orizzonti profondi) e tre per i suoli
coltivati (orizzonti A, B e C).
Per la quantificazione del carbonio a livello provinciale sono state escluse tutte le aree di non suolo ricavate dal
CORINE Land Cover (European Environmental Agency,
EEA 2000).
2.
Risultati
Nella tabella 1 sono sintetizzati i contenuti di carbonio per ha (t ha-1) in ciascuna delle dodici province di suoli
della carta pedologica alla scala 1:250.000 ed è riportato il
contenuto totale di carbonio organico nei suoli del Trentino
(68 Mt). Tali dati mostrano come l’effetto della quota sia
molto influente. Considerando le stime che comprendono
l’humus, i suoli delle province ASA (Alpi Silicatiche Alte)
e ACA (Alpi Calcareo-dolomitiche Alte), situati sopra il
limite del bosco (>1900 metri s.l.m.), hanno infatti valori
molto elevati e relativamente vicini (rispettivamente 187
e 201 t ha-1). I suoli delle province ASB (Alpi Silicatiche
Basse) e ACB (Alpi Calcareo-dolomitiche Basse), alle
quote meno elevate (rispettivamente <1300 metri e 9001900 metri), hanno valori notevolmente inferiori, e anche
in questo caso vicini (rispettivamente 112 e 117 t ha-1).
La Provincia Alpi Silicatiche Medie (1300-1900 metri),
caratterizzata dai suoli podzolici, con attività biologica
tendenzialmente scarsa, ha invece valori sensibilmente
più alti, dello stesso ordine di grandezza di quelli delle
quote più alte (188 t ha-1).
I valori della zona prealpina sono nettamente inferiori a
quelli della zona alpina, sia sui rilievi montuosi (139 t ha-1 per
le Prealpi Ripide Alte) che nei fondivalle (80 t ha-1, contro le
130 t ha-1 dei Fondivalle Alpini). Anche per le Prealpi Ripide
si osservano valori più bassi alle quote inferiori (92 t ha-1 nelle Prealpi Ripide Basse), mentre nelle Prealpi Pianeggianti i
Tab. 1 - Stock di carbonio nei primi 30 cm di suolo minerale (SOC), o includendo l’humus (SOC con humus), nelle dodici province di suoli
della carta dei suoli, e valori medi per ettaro (rispettivamente escludendo o includendo l’humus).
Tab. 1 - Carbon stock in 0-30 cm layer of mineral soil (SOC), or including organic layers (SOC con humus), in the 12 provinces of the
regional soil map, and mean values (t ha-1) with (C per ettaro) or without (C per ettaro con humus) organic layers.
SOC 30 cm (t)
SOC 30 cm
con humus (t)
SOC (30 cm) per ettaro
(t ha-1)
SOC (30 cm) per ettaro
con humus (t ha-1)
3.083.668
3.746.974
165,78
201,44
Alpi Calcareo-dolomitiche Basse
4.052.239
9.646.246
49,26
117,27
Alpi Marnose Basse
1.574.511
2.223.223
80,58
113,78
Alpi Silicatiche Alte
8.645.518
9.767.462
165,82
187,34
Alpi Silicatiche Basse
2.963.373
5.631.857
59,01
112,15
Alpi Silicatiche Medie
9.464.247
15.651.259
113,69
188,00
Fondovalli Alpini
1.906.378
2.002.261
123,91
130,14
Provincia di suoli
Alpi Calcareo-dolomitiche Alte
Fondovalli Prealpini
1.431.421
1.703.163
67,35
80,14
Prealpi Pianeggianti Alte
1.361.461
2.054.139
62,80
94,75
Prealpi Pianeggianti Basse
3.450.212
3.966.071
127,05
146,05
Prealpi Ripide Alte
1.277.664
1.796.924
99,13
139,42
Prealpi Ripide Basse
5.987.929
10.044.454
55,02
92,29
Totale
45.198.621
68.234.033
88,07
132,96
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 157-160
159
Fig. 1 - Stock di carbonio organico nei primi 30 cm dei suoli della Provincia di Trento, includendo l’humus (nell’immagine non sono
indicate le aree di non suolo).
Fig. 1 - Organic carbon stock in 0-30 cm layer of the soils of the Trento Province, including organic horizons (no soil not shown).
contenuti sono invece più bassi alle quote più alte, dove prevalgono in maniera più netta i luvisuoli, relativamente poveri
di sostanza organica, a causa di una veloce mineralizzazione
(Garlato et al. 2009; Sartori et al. 2009).
Nella figura 1 le delineazioni della carta dei suoli
sono riunite per classi di contenuto di carbonio. La mappa
permette di apprezzare in modo sintetico le tendenze sopra
esposte legate alla quota, e alle differenze climatiche tra
settore alpino e prealpino.
3.
Conclusioni
Le stime degli stock di carbonio nel suolo sopra
esposte mostrano notevoli differenze tra le varie fasce altimetriche del settore prealpino: valori nettamente più alti si
registrano alle quote più alte, in relazione a una minore mineralizzazione legata a temperature inferiori (Rodeghiero
& Cescatti 2005). Le differenze tra i substrati silicatici e
calcareo-dolomitici sono molto ridotte sopra il limite del
bosco (>1900 m s.l.m.) e alle quote più basse (<1300 m),
mentre nella fascia intermedia i valori su substrati silicatici
sono sensibilmente più alti (dello stesso ordine di grandezza di quelli delle quote più elevate). I valori della zona prealpina sono nettamente inferiori a quelli della zona alpina,
sia sui rilievi montuosi sia nei fondivalle.
Tali stime sono state ottenute, in prima approssimazione, considerando solo i 100 profili rappresentativi delle
diverse unità tipologiche di suolo della carta. Un calcolo più
preciso e più affidabile potrà essere effettuato considerando
tutti gli oltre 350 profili presenti nella banca dati e ottenendo
quindi il dato medio per ogni unità tipologica di suolo. Come
già in altri lavori riguardanti il Trentino (Tonolli et al. 2007)
o altre zone alpine (Garlato et al. 2009), le informazioni della
banca dati potranno essere analizzate in funzione delle diverse tipologie di suolo, di vegetazione e di forme di humus,
individuando le eventuali relazioni statistiche tra contenuto
di carbonio nel suolo e parametri ambientali.
160
Garlato et al.
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Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 161-164
© Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento 2009
ISSN 2035-7699
Nota breve – Short note
Le tipologie stazionali forestali nel monitoraggio dei cambiamenti ambientali: il
caso della Val di Sella (Trentino)
Marco Ciolli
Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale, Università di Trento, Via Mesiano 77, 38050 Trento
E-mail: [email protected]
SUMMARY - Forest stand types for environmental monitoring: the case of Val di Sella (Trentino, Italy) - Since the ’80es in Italy the
interest about the study of forest types both for scientific and for managegement purposes gradually grew. One of these experimental work,
focused on methodology and carried out in Val di Sella, Trentino at the end of the 90es, is used as an example to highlight the limits but
also the opportunities that this kind of work offers to monitor ecosystems change in the long run in a changing climate.
Parole chiave: tipologia forestale, tipologia stazionale, monitoraggio ambientale, suoli alpini, Val di Sella, Trentino
Key words: forest type, forest stand type, environmental monitoring, Alpine soils, Val di Sella, Trentino
1.
Introduzione
L’importanza di identificare i tipi forestali sul territorio è ormai evidente (Cullotta e Marchetti 2007), tanto
che molte regioni e province si sono mosse per realizzare
dei cataloghi di tali tipi con l’ausilio di rilievi floristici e
pedologici (Bovio et al. 2007).
L’elaborazione di una tipologia forestale risponde a
due esigenze principali, ovvero conoscere le potenzialità di
una unità forestale (o per lo meno migliorare sensibilmente
le conoscenze su di essa) e identificare le unità osservabili
sul terreno, cioè le stazioni, così da facilitare la gestione di
questi dati (Zanella 1996; Ciolli & Romagnoni 1998). La
classificazione tipologica è un’astrazione che si rende necessaria per limitare il numero dei tipi, ma non può essere
del tutto corrispondente alla realtà del bosco, estremamente
diversificata per le diversità microclimatiche pedologiche
e geomorfologiche, e per gli interventi antropici (Joud
1995).
A partire dagli anni ’80, sono stati effettuati diversi studi sulla tipologia sia forestale sia stazionale in varie
aree d’Italia e molti di questi lavori sono stati utilizzati per
la realizzazione di pubblicazioni sulle tipologie forestali
gestionali rivolte ai gestori forestali di alcune regioni tra
cui Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Lombardia,
Toscana, Trentino (Zanella et al. 1997; Bovio et al. 2007).
I ricercatori francesi sono stati pionieri in questo
campo: la loro metodologia prevede la realizzazione di
studi molto dettagliati sulle tipologie stazionali su aree
relativamente piccole e la produzione di due cataloghi tipologici, uno stazionale di dettaglio ad uso scientifico e uno
gestionale semplificato (Michalet et al. 1995).
I lavori realizzati utilizzando le tipologie stazionali di
dettaglio su base locale spesso hanno individuato dei tipi
che, così come sono, non è possibile adottare nelle tipologie forestali gestionali regionali o provinciali in quanto
troppo specifici (Sitzia et al. 2004; Bovio et al. 2007), ma
che mantengono la loro importanza e anzi, alla luce del
cambiamento climatico, ne acquisiscono sempre più una di
tipo documentale.
2.
Lo studio sulla tipologia della Val
di Sella
A tal proposito si presenta, in chiave paradigmatica e
critica, la rilettura di uno studio metodologico sulla tipologia
stazionale forestale effettuato in Val di Sella, laterale della
Valsugana (Ciolli 1998b). In tale lavoro ci si proponeva di
verificare l’applicabilità della metodologia di analisi relativa alla tipologia delle stazioni forestali già sperimentata
con successo in Francia. La Val di Sella presenta aspetti di
particolare complessità vegetazionale a causa di frequenti
rimaneggiamenti antropici e dei trascorsi bellici, che hanno a più riprese cambiato faccia al suo paesaggio forestale
(Agostini 1988); anche per questo motivo tale analisi permise di esprimere le potenzialità e i limiti del metodo, verificandone la sua applicabilità a scopo tecnico gestionale
e assestamentale. Basato su una solida mole di dati e su un
consistente lavoro di campagna, lo studio era improntato
alla multidisciplinarità, seguiva le linee sperimentali della
metodologia francese della scuola di Grenoble e; riservava
una particolare importanza alle informazioni provenienti
dai rilievi pedologici (Ciolli 1998).
162
Ciolli
L’elevato numero di rilievi floristici effettuati sottolinea
la valenza forestale di questo genere di lavori, che non puntavano a ottenere una suddivisione per gruppi fitosociologici,
ma una divisione per tipi stazionali forestali con uno sguardo particolarmente attento alle dinamiche vegetazionali, di
fondamentale importanza per le scelte colturali dei gestori
(Sitzia 2001). Per completezza il lavoro di definizione dei tipi
era preceduto da un inquadramento fitosociologico di tipo
classico e da un esame dei dati principali riportati nei Piani di
Assestamento forestale. Per l’impostazione del lavoro prima
e per l’interpretazione dell’analisi floristica dei rilievi e delle
specie poi ci si avvalse della collaborazione dello staff del
Laboratoire des Ecosystèmes Alpins del Centre de Biologie
Alpine dell’Université Joseph Fourier di Grenoble allora
diretto dal professor Richard Michalet, autore di parecchi
lavori tipologici in Francia, nelle regioni del Delfinato e della Savoia. Per la pianificazione e la realizzazione dei rilievi
pedologici si chiese la partecipazione di Fabrizio Ferretti,
forestale e pedologo, attualmente ricercatore presso il CRA,
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura,
e del professor Alessandro Mancabelli dell’allora Istituto
Agrario di San Michele all’Adige. Le coordinate dei punti
ove si effettuarono i rilievi pedologici e i rilievi floristici furono ricavate mediante GPS con la collaborazionedel dottor
Paolo Zatelli, ricercatore presso il Laboratorio di Topografia
del Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale
dell’Università di Ingegneria di Trento.
Nel lavoro vennero descritte in maniera dettagliata
la metodologia generale di lavoro sul campo, il software
utilizzato per le analisi floristiche e le analisi stesse, aspetti
che fino ad allora erano stati piuttosto trascurati nelle trattazioni italiane (Ciolli 1998; Sitzia 2001).
Bisogna sottolineare che i lavori che concernono la tipologia stazionale di dettaglio e seguono la metodologia francese sono in genere corredati da un’ampia documentazione
sulla metodologia e questo li rende esplicitamente confrontabili fra di loro. Il lavoro permise dunque l’evidenziazione
dei tipi stazionali (Tab. 1) di principale interesse forestale
della valle, con la relativa descrizione stazionale, pedologica
(Figg. 1-2) e collocazione geografica (Ciolli 1998).
La metodologia venne proposta evidenziando anche
le principali difficoltà incontrate nell’applicarla, tra le quali
la necessità di disporre di un gruppo multidisciplinare con
competenze ampie e differenziate, la notevole quantità di
rilievi necessari e la lunga tempistica.
Rivedendo criticamente i risultati, lo sforzo notevole
e multidisciplinare che richiedono le ricerche sui tipi stazionali forestali di dettaglio appare forse sproporzionato
rispetto al risultato, soprattutto se lo scopo finale che ci si
prefigge è di tipo gestionale. La tipologia stazionale necessita infatti di essere mediata e stemperata nella realizzazione
di tipi gestionali più generici per fare in modo che abbiano
una validità regionale o provinciale.
Tipologie forestali in Val di Sella
Fig. 1 - Mappa rappresentante i rilievi floristici realizzati in Val di
Sella su Ortofoto 2000.
Fig. 1 - Map representing floristic surveys in Val di Sella.
di lettura che possono essere utilizzate agevolmente per seguire l’evoluzione ecologica dei popolamenti su aree relativamente ristrette. Inoltre, la presenza di rilievi pedologici
Conclusioni
La tipologia stazionale di dettaglio, come quella oggetto del lavoro della Val di Sella, ha da un lato il limite
di essere estremamente locale e quindi difficilmente di
immediato utilizzo gestionale, ma proprio per questo ha
d’altro canto il merito di fornire maggiori informazioni
sulle popolazioni e sui gradienti locali e quindi offre chiavi
Fig. 2 - Suolo bruno calcareo.
Fig. 2 - Brown calcareous soil.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 161-164
163
offre la possibilità di seguire l’evoluzione dei popolamenti
anche utilizzando le informazioni sul suolo.
Le riflessioni sulle modificazioni che i cambiamenti
climatici indurranno sulle stazioni forestali al giorno d’og-
gi si concentra soprattutto sul diverso regime di umidità e
temperatura che questi potrebbero portare. La conoscenza
dettagliata della tipologia stazionale su base locale potrebbe tuttavia consentire un monitoraggio accurato dei cam-
Tab. 1 - Principali tipi stazionali di interesse forestale della Val di Sella e relative caratteristiche pedologiche secondo la metodologia
dell’Università di Grenoble.
Tab. 1 - Main Val di Sella Forest types and their pedologic features. Types selected following Grenoble’s University method.
Altitudine m
s.l.m.
Esposizione
Pendenza %
Copertura
arborea %
600 - 850
S, NE
20 - 40
50
60 - 100
Rendzina bruni o suoli
bruni lisciviati, con humus
da mediamente a molto
attivi
Pineta silvestre montana mesoxero800 - 1000
fila con erica e biancospino
S, SE
40 - 65
70 - 100
25 - 70
Rendzina con humus
mediamente attivi
Pineta silvestre xerofila neutroclina
degli humus poco attivi su suoli
800 - 1100
superficiali a Sesleria varia e Goodyera repens
S, SE
40 - 65
70 - 100
25 - 70
Rendzina con humus poco
attivi
Tipologia forestale
Pineta (di impianto artificiale) di
pino silvestre e nero montana mesoigrofila, a Molinia arundinacea
e Brachypodium sylvaticum con
castagno.
Copertura
Suoli
erbacea %
Pineta silvestre xerica neutroclina a
800 - 1300
Carex humilis e Asperula purpurea
S, SO, ESE
40 - 65
< 70
60 - 100
Rendzina estremamente
superficiali, con elevate
pietrosità superficiale e
rocciosità
Faggeta mesoigrofila degli humus
1000 - 1150
attivi con rovere
S
30 - 50
80
15 - 30
Terre brune, rendzina
profondi e suoli umocalcarei, con humus attivi
Rendzina
superficiali
e suoli bruni lisciviati
decapitati, con humus non
molto attivi
Faggeta mesoxerofila a pedoclima
contrastato degli humus mediamente attivi con carpino nero e pino 980 - 1300
silvestre a Carex flacca e Carex
humilis.
S
40 - 60
80 - 100
5 - 25
Faggeta mesofila con pino silvestre. 1050 - 1300
S
10 - 40
75 - 100
5 - 15
S
(o fondovalle)
0 - 30
80 - 100
variabile
Abetina di abete bianco mesofila,
950 - 1250
con abete rosso
N
5 - 40
50 - 80
5 - 25
Abetina eutrofica con abete rosso, a
950 - 1200
Galium odoratum e felci
N
0 -30
50 - 80
5 - 25
Lariceta pioniera
1500 - 1700
N
60 - 110
30 - 60
50 - 80
Rendzina superficiali
Abieti-Faggeta mesofila con abete
1000 - 1500
rosso
N
20 - 60
80
10 - 40
Rendzina o suoli bruni
calcarei
con
humus
mediamente attivi
Abieti faggeta mesofila con acero
950 - 1200
montano
N
0 - 30
50 - 80
5 - 25
Suoli bruni, con humus da
poco a mediamente attivi
Pecceta a Adenostyles glabra e
1300 - 1600
Calamagrostis arundinacea
N, NO
20 - 30
50
80
Rendzina o suoli bruni
Peccete di sostituzione
-
Suoli bruni calcarei con
humus non molto attivi
Da rendzina a bruni
lisciviati
Suoli
bruni
calcarei
parzialmente decalcificati
in superficie, con humus
mediamente attivi
Suoli bruni lisciviati (su
materiali glaciali), con
humus molto attivi
Faggeta altimontana con larice
1300 - 1600
N
20 - 30
85
40
Suoli bruni lisciviati
Piceo faggeta a Luzula nivea
1200 - 1400
N, NE
30 - 50
80
40
Rendzina
Pecceta a Calamagrostis
1200 - 1500
N
35 - 50
50
80
Suoli
bruni
calcarei
parzialmente decarbonatati
in superficie
164
Ciolli
biamenti stazionali in un’ottica più ampia che tenga conto
anche del cambiamento delle combinazioni di fattori, le
quali saranno quelle che più verosimilmente origineranno
variazioni nei popolamenti forestali.
Il clima agisce sulla stazione in combinazione con
altri fenomeni fisico chimici quali l’aumento della CO2 e le
deposizioni azotate. Questi fenomeni inducono l’intensificazione dell’attività biologica che non sempre si traduce in
un miglioramento del livello trofico a causa delle modalità
di nutrizione delle piante, della competizione con organismi invasivi alloctoni e dell’influenza delle caratteristiche
pedologiche.
Gli studi di dettaglio in futuro potranno costituire
una base fondamentale per seguire lo stato dei popolamenti
forestali. In questo senso strumenti come il GIS (Sottovia
et al. 2002, Turco et al. 2004) si prestano alla perfezione
per rappresentare e modellizzare lo stato attuale delle conoscenze, ma anche i cambiamenti in atto. La combinazione
di rilievi di dettaglio e della capacità di rappresentazione
del territorio potrebbe fornire un ulteriore impulso a questi
studi e offrire nuove chiavi interpretative, rendendo nuovamente utili delle informazioni frutto di impegnativi lavori di
ricerca, che altrimenti rischierebbero con molta probabilità
di restare inutilizzate. In tal senso sarebbe importante che
i dati raccolti fossero disponibili e condivisibili. Internet
consente di creare degli archivi aperti, a disposizione di
chi ne abbia necessità, per recuperare dati di base da utilizzare in questi studi. Sarebbe assai interessante pensare
di realizzare un archivio o un sistema di archivi di questo
genere a livello nazionale o regionale, con i rilievi effettuati
sulla tipologia stazionale di dettaglio, magari strutturato in
forma di WebGIS in particolare ove siano disponibili, come
nel caso della Val di Sella, le coordinate dei punti.
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ISSN 2035-7699
Nota breve – Short note
La conoscenza dei suoli alpini in Piemonte e la gestione multifunzionale delle superfici
a pascolo
Paolo F. Martalò1*, Igor Boni1, Paolo Roberto1, Mauro Piazzi1 & Marco Corgnati2
Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente-IPLA Spa, Area Ambiente, Corso Casale 476, 10132 Torino
Regione Piemonte, Settore Politiche Forestali, Corso Stati Uniti 21, 10100 Torino
*
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
1
2
Summary - The study of Alpine soils of Piemonte Region and the multifunctional management of Alpine pastures - Soil survey of
Piemonte Alps had been mainly accomplished as a support of Alpine pastures management plans. The high amount of soil profiles studied
on pastures, harmonized with other soil data available at regional level, permitted to get a good definition of Alpine soil types and of their
relationship with the ecosystem factors.
Parole chiave: suoli alpini, pascoli alpini, carte dei suoli, Regione Piemonte
Key words: Alpine soils, Alpine pastures, soil maps, Piemonte region
1.
Il Piemonte: una regione alpina
Le montagne occupano la maggior parte della superficie del territorio piemontese e rappresentano lo sfondo del
paesaggio regionale, che risulta scandito dalla regolare successione di fondovalle e alcuni imponenti edifici morenici. Le
terre alte sono fortemente legate con il resto del territorio regionale da relazioni di tipo morfologico, ecologico, economico e sociale, le quali sono anche favorite dalla relativa brevità
delle valli alpine. Queste relazioni consentono di considerare
fondamentale il ruolo della montagna per l’intero territorio
regionale e di definire il Piemonte una regione “alpina” al pari
di altre (Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, per esempio)
per le quali questa definizione è comunemente accettata.
Analizzando le relazioni ecologiche a scala regionale, si percepisce immediatamente la loro continuità lungo
l’intero arco alpino, la quale garantisce il collegamento tra
ambienti estremamente eterogenei. L’arco alpino piemontese si estende da regioni ancora influenzate dalla vicinanza
con il mare sino ad aree con spiccate caratteristiche climatiche di continentalità. Il suolo svolge senza dubbio un ruolo
centrale nel garantire la connessione ecologica tra i diversi
ambienti, a partire dalle terre poste alle altitudini più elevate, ove la continuità della copertura pedologica rappresenta
la principale garanzia per la diffusione delle specie e, conseguentemente, per la tutela della biodiversità regionale.
2.
I suoli dei pascoli alpini
Nell’affrontare lo studio delle terre delle praterie alpine, che in Piemonte si estendono per oltre 68.000 ettari,
uno dei fattori centrali da considerare è rappresentato dalle
attività di alpeggio, che sono presenti con intensità e modalità di sfruttamento del terreno diverse lungo l’intero arco
alpino piemontese. La loro presenza produce effetti sulla
stabilità, sull’evoluzione e sulla fertilità del suolo, inserendosi all’interno di ecosistemi dall’equilibrio particolarmente fragile. Le formazioni pastorali sono quindi strettamente
correlate alle caratteristiche del suolo, ma anche a quelle
dei prodotti dell’alpeggio.
Lo studio dei suoli alpini in Piemonte è stato condotto
soprattutto in relazione alle iniziative regionali di analisi
dei pascoli finalizzate al miglioramento qualitativo dei
prodotti d’alpeggio e alla conservazione delle funzionalità
ecologiche delle praterie. Fra questi progetti, è opportuno
ricordare nel 2000 quello legato alla caratterizzazione del
formaggio “Ossolano” (Regione Piemonte 2002), prodotto
tipico delle valli Formazza e Antigorio, che ha consentito la
formazione di un gruppo di lavoro regionale costituito da
pedologi e da esperti di pastoralismo. Da quella esperienza
è nata un’attività sistematica di determinazione floristica e
pedologica delle superfici a pascolo, per giungere alla definizione dei “tipi pastorali” delle Alpi Piemontesi (Cavallero
et al. 2007).
Le più approfondite conoscenze sui suoli montani
piemontesi sono legate agli ambienti di pascolo, con un
patrimonio di circa 700 profili pedologici in alpeggio e
la redazione di alcune carte dei suoli a scala di dettaglio
(1:10.000) a supporto dei piani di pascolamento, come nel
caso di alcuni alpeggi dell’Ossolano o della carta dei suoli
dell’Altopiano della Gardetta (IPLA 2006), in Valle Maira
(Fig. 1). I piani di pascolamento sono strumenti per la conservazione e il miglioramento delle superfici a pascolo che
166
Martalò et al.
Conoscenza e gestione dei suoli alpini in Piemonte
Fig. 1 - Carta dei suoli dell’Altopiano della Gardetta, in Valle Maira.
Fig. 1 - Soil map of Altopiano della Gardetta in the Maira Valley (Piemonte, Italy).
hanno lo scopo di assicurare una buona alimentazione al
bestiame (prelievi e qualità), il mantenimento o il miglioramento della qualità foraggera e la conservazione della
funzionalità ecologica delle praterie alpine. Vengono redatti a scala di alpeggio (1:10.000 o di maggiore dettaglio) e
sono basati su un’approfondita conoscenza dei principali
fattori ambientali, anzitutto la vegetazione, la morfologia
stazionale e il suolo.
Uno dei primi risultati del lavoro sin qui svolto è
la descrizione di differenti “sequenze evolutive” degli
ecosistemi d’alpeggio (Fig. 2). Sono state definite alcune tipologie pedologiche “climaciche” in base alle condizioni stazionali in cui sono state descritte, accanto ad
altre paraclimax determinate dall’influenza delle pratiche
gestionali. La modificazione della fertilità del suolo, ad
esempio per l’erosione del topsoil, per il suo compattamento o per l’incremento della sostanza organica restituita con le deiezioni, sono effetti della gestione delle terre
facilmente riconoscibili nel profilo pedologico, al pari di
quelli dovuti agli altri fattori della pedogenesi. Variazioni
della fertilità del suolo si ripercuotono sulla composizione
specifica del foraggio e sul suo valore pastorale, influenzando la biodiversità regionale. Si deve infatti aggiungere
che forme di degradazione del suolo e della cotica erbosa
inizialmente circoscritte possono modificare la distribuzione del pascolamento, innescando fenomeni di degrado
diffuso dell’intera superficie a pascolo. Il riconoscimento
precoce di questi fenomeni può suggerire una modificazione dei comportamenti gestionali, per conformarli
all’equilibrio suolo-tipologia pastorale (para)climacica e
ricercare la stabilità dell’ecosistema.
A seguito delle indicazioni metodologiche di queste
attività di studio, condotte in modo congiunto da pedologi
e pastoralisti, la legislazione regionale sta predisponendo
strumenti normativi per promuovere la realizzazione di
piani di pascolamento a scala aziendale, per giungere ad
una gestione omogenea e sempre più “multifunzionale” dei
comprensori di pascolo.
L’elevato numero di profili pedologici indagati ha
anche consentito di acquisire un bagaglio importante di conoscenze regionali sui suoli di questo particolare ambiente,
che saranno oggetto di una pubblicazione specifica.
Tuttavia, il vero valore aggiunto di questo progetto
è rappresentato dal suo approccio di tipo “sistemico” allo
studio dei suoli alpini, orientato a considerare il suolo come
l’elemento centrale delle relazioni fra le diversi componenti dell’ecosistema. Considerati i risultati, è ipotizzabile di
poter continuare l’applicazione della metodologia sugli
ambienti forestali, per giungere alla definizione di “Tipi
Stazionali” per tutti gli ambienti montani, sulle base dei
quali tracciare delle linee di gestione delle terre che considerino tutte le componenti dell’ecosistema.
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 165-169
Fig. 2 - Sequenze evolutive dei suoli degli ecosistemi d’alpeggio del Piemonte.
Fig. 2 - Soil evolution sequences in the Alpine pasture ecosystems of Piemonte.
167
168
Martalò et al.
Fig. 3 - Componenti Ambientali Prevalenti del Piemonte
(1/1.000.000), con i limiti climatici meridionale (linea superiore)
e settentrionale (linea inferiore) della presenza degli spodosuoli.
Fig. 3 - Pedolandscapes of Piemonte (1/1,000,000), with the
south (upper line) and north (lower line) climatic boundaries of
Spodosols presence.
3.
Conoscenza e gestione dei suoli alpini in Piemonte
Fig. 4 - Suolo podzolico (Typic Haplocryod, sandy skeletal,
mixed, acid frigid) su gneiss e quarziti, a quota 2040 m s.l.m.
Fig. 4 - Podzolic soil (Typic Haplocryod, sandy skeletal, mixed,
acid frigid) over gneiss and quartzite, 2040 m a.s.l.
I suoli alpini
La redazione della Carta dei Suoli 1:250.000 (Regione
Piemonte - IPLA 2007) ha consentito di acquisire nuovi
dati sugli ambienti forestali e sugli ecosistemi agrari di
fondovalle, integrando parzialmente le informazioni già
esistenti e fornendo una prima distribuzione regionale delle
differenti tipologie di suolo alpino.
A partire dal 2010, un programma sperimentale di
rilevamento e cartografia dei suoli alpini a scala di semidettaglio (1:50.000), condotto da IPLA, dovrebbe consentire di migliorare la conoscenza dei suoli di questo
importante settore del territorio regionale, permettendole
di raggiungere progressivamente gli standard regionali
di organizzazione dell’informazione pedologica, che
prevede anche la diffusione on line dei dati disponibili
(http://www.regione.piemonte.it/agri/suoli_terreni/index.htm).
Il risultato più prezioso è costituito dalla prima definizione delle Unità Tipologiche di Suolo delle terre alpine,
stabilite sulla base del clima e del substrato litologico, dei
processi di deposizione del parent material e delle pratiche
gestionali attuali o remote. La distribuzione regionale delle
tipologie pedologiche è per ora affidata alla carta dei suoli
a scala 1:250.000, ma sono programmati nuovi approfondimenti a scala di maggiore dettaglio.
Uno degli aspetti più evidenti che emerge dalla distribuzione regionale delle tipologie pedologiche alpine,
oltre alla prevedibile diffusione di entisuoli e inceptisuoli
(U.S. Soil Survey Staff 2006), riguarda la localizzazione
degli spodosuoli e dei mollisuoli nella geografia pedologica
piemontese.
Come è noto, gli spodosuoli sono legati a climi piovosi
e a substrati acidi (Sauer et al. 2007). Sulla base delle osservazioni effettuate, è ragionevole ipotizzare che la differenziazione di spodosuoli in Piemonte sia circoscritta, a nord e
a sud, da due ipotetici limiti (rappresentati nella Carta delle
Componenti Ambientali Prevalenti 1:1.000.000: Fig. 3). Al
di sopra del limite settentrionale e al di sotto di quello meridionale esistono condizioni ecologiche favorevoli a intensi
processi di podzolizzazione, con formazione di orizzonti E
e/o Bhs (Fig. 4), ed è pertanto possibile riconoscere estese
superfici ove queste tipologie pedologiche sono prevalenti.
Nel tratto di arco alpino compreso fra i due limiti, invece,
la differenziazione di spodosuoli è limitata ad aree molto
circoscritte, rappresentabili in cartografia soltanto a scala
Studi Trent. Sci. Nat., 85 (2009): 165-169
di semi-dettaglio o superiori. Le ragioni di tale modello di
distribuzione regionale degli spodosuoli sono probabilmente climatiche e legate alle condizioni di elevata piovosità
(precipitazioni medie annue anche molto maggiori i 1200
mm).
Per quanto concerne i mollisuoli, invece, si nota una
loro diffusione sulle superfici a pascolo con litologia carbonatica; nelle aree forestali, invece, essi si rinvengono nelle
limitate porzioni territoriali regionali dove esistono affioramenti calcarei e dolomitici.
4.
Conclusioni
Le attività di studio sin qui descritte hanno consentito di conseguire un livello di conoscenza dei suoli alpini
confrontabile con quello raggiunto per altri ambienti del
Piemonte. Il maggiore risultato di questa ricerca, tuttavia,
è probabilmente quello di aver utilizzato la conoscenza dei
suoli per la caratterizzazione dell’ambiente di prateria alpina in un contesto professionale di tipo applicativo e multidisciplinare.
Si fa presente che in questa occasione sono state
necessarie alcune approssimazioni, giustificate da fatto di
voler restituire le informazioni sul suolo con un linguaggio
169
che fosse il più possibile con accessibile agli esperti di altri
ambiti disciplinari e ai soggetti che attuano sul territorio gli
strumenti di pianificazione.
Bibliografia
Cavallero A., Aceto P, Gorlier A., Lombardi G., Lonati M.,
Martinasso B. & Tagliatori C., 2007 - I tipi pastorali delle Alpi
piemontesi. Alberto Perdisa Editore, Bologna: 467 pp.
IPLA, 2006 - I suoli a pascolo della Valle Maira. Documento inedito: 331 pp.
Regione Piemonte, 2002 - Il formaggio Ossolano. Uno studio
per la caratterizzazione del territorio, dei sistemi produttivi
zootecnici e dei formaggi. (http://www.regione.piemonte.
it/cgi-bin/agri/pubblicazioni/pub/pubblicazione.cgi?id_
pubblicazione=441&id_sezione=0).
Regione Piemonte - IPLA, 2007 - Carta dei suoli del Piemonte
1:250.000. Selca, Firenze.
Sauer D., Sponagel H., Sommer M., Giani L., Jahn R. & Stahr K.,
2007 - Podzol: Soil of the Year 2007 A review on its genesis,
occurrence, and functions. J. Plant Nutr. Soil Sci., 170: 581597.
U.S. Soil Survey Staff, 2006 - Keys to Soil Taxonomy, 10th ed. USDANatural Resources Conservation Service, Washington, DC.
Studi Trentini di Scienze Naturali
Guida per la preparazione dei contributi
Studi Trentini di Scienze Naturali, rivista annuale del Museo
Tridentino di Scienze Naturali, pubblica lavori scientifici originali
a carattere biologico e geologico con particolare riferimento al
territorio alpino. Vengono pubblicate tre categorie di contributi: 1)
articoli (5-20 pagine), 2) note brevi (2-4 pagine), 3) review e revisioni tassonomiche (10-30 pagine) e occasionalmente supplementi monografici. I contributi vanno inviati al dott. Marco Avanzini
e alla dott.ssa Valeria Lencioni, Redazione di Studi Trentini
di Scienze Naturali, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Via
Calepina 14, 38122 Trento.
I testi devono essere forniti in triplice copia (l’originale più due
copie), comprese tabelle e figure, in italiano o in inglese, grammaticalmente corretti, dattiloscritti, senza correzioni a mano,
scritti su un solo lato della pagina, con interlinea 2 e margini di
3 cm (superiore) e 2 cm i restanti lati. Le pagine siano numerate
progressivamente nell’angolo superiore destro. Unitamente alle
due copie su carta, si richiede l’invio della versione digitale del
testo (preferibilmente in versione Word per Windows o Rich Text
Format), delle tabelle, delle figure e delle didascalie di tabelle e
figure su dischetto o CD. Tabelle e figure vanno fornite in file separati, denominati con il numero della tabella o della figura stessa
preceduto dal cognome del primo Autore (per es.: Rossi_Tab1.
doc). Mappe, disegni e fotografie (preferenzialmente in bianco/
nero) possono essere forniti come stampa, diapositiva o in formato EPS, TIFF o JPEG (minima risoluzione 300 dpi).
Struttura del contributo
La pagina 1 deve riportare: Titolo, Autore/i, Ente di appartenenza,
Parole chiave e Key words (massimo 6) e Titolo breve.
Un numero progressivo deve essere aggiunto come apice al
Cognome di ogni Autore per il rimando all’Ente di appartenenza, a meno che tutti gli Autori non appartengano allo stesso
Ente. Un asterisco deve essere apposto all’Autore referente per la
corrispondenza*, per il quale va riportato l’indirizzo e-mail.
Esempio:
Giuliano Bianchi1*, Andrea Rossi2, Franco Verdi1
Dipartimento di ......., Università di ......
Dipartimento di ......., Università di ......
1
2
E-mail dell’Autore per la corrispondenza: [email protected]
*
Le Parole chiave e Key words devono comprendere la localizzazione geografica.
Riassunto e Summary (ciascuno di minimo 150, massimo
200 parole) iniziano a pagina 2; a seguire (pagina 3 o 4) il corpo
del testo, che deve essere organizzato preferibilmente come segue:
1. Introduzione
2. Area di Studio
3. Metodi
4. Risultati
5. Discussione
6. Conclusioni
Ringraziamenti
Bibliografia
Didascalie di tabelle e figure su foglio separato
Tabelle e figure su fogli separati
Ciascun capitolo può prevedere la suddivisione in paragrafi e
sottoparagrafi (per es.: 1. CAPITOLO; 1.1. Paragrafo; 1.1.1.
Sottoparagrafo). Risultati e Discussione possono costituire un capitolo unico oppure le Conclusioni possono essere accorpate alla
Discussione. Altre eccezioni vanno concordate con la Redazione.
Il testo di review, revisioni tassonomiche e note brevi può essere
diversamente strutturato. Nel caso di note brevi la pagina 2 deve
contenere solo il Summary (se scritte in italiano) o il Riassunto (se
scritte in inglese), non entrambi, di 50-100 parole.
Gli articoli devono aderire fedelmente alle norme della rivista. In
particolare, bisogna tener conto delle seguenti indicazioni:
- usare il carattere Times New Roman corpo 12
- usare il formato “allineato a sinistra”
- non suddividere le parole per effettuare gli “a capo”
- non utilizzare la tabulazione e il rientro
- preferibilmente non usare grassetto né sottolineato
- usare il corsivo per le parole in lingua diversa da quella usata
per la stesura del contributo
- le didascalie e le legende di tutte le tabelle e le figure devono
essere corredate di traduzione in inglese se il testo è in italiano
e di traduzione in italiano se il testo è in inglese
- le note a piè di pagina sono ammesse purché non superino le
10 righe
- formule, equazioni, frazioni e simili vanno centrate sulla riga,
numerate con un numero arabo tra parentesi sul margine sinistro e separate dal testo sopra e sotto con una riga
- qualora vengano inseriti parti di testi, tabelle o figure già
pubblicati, è dovere dell’Autore/i preoccuparsi di ottenere la
dichiarazione del copyright.
Tabelle e figure
Le tabelle e le figure (grafici, fotografie, disegni) dovranno essere
verticali e composte nel modo seguente:
- la base dovrà essere di 1 colonna (8 cm) o 2 colonne (17 cm),
l’altezza massima di 24 cm
- utilizzare il carattere Times New Roman in corpo leggibile
(almeno corpo 8)
- utilizzare simboli e caratteri speciali derivanti da Word (in caso
contrario allegare i file con il font usato)
- non riportare un titolo
- per le tabelle, utilizzare la formattazione automatica “semplice
1” di Word con bordi sottili
- per i grafici, non riportare il bordo esterno.
Tabelle e figure vanno numerate progressivamente con numeri
arabi. L’Autore indicherà la posizione suggerita sul margine sinistro nella copia cartacea del dattiloscritto. Nel testo, le tabelle
e le figure vanno citate per esteso con iniziale minuscola se fuori
parentesi (per es.: ...come mostrato in figura 1) oppure in forma
abbreviata con iniziale maiuscola se in parentesi. Per es.: (Fig. 1)
o (Figg. 1, 2).
Il numero di figure non dovrebbe occupare uno spazio superiore
al 20% della lunghezza dell’articolo. Tabelle o liste di specie che
occupano più di due pagine A4 vanno riportate come Appendici
(nella stampa definitiva dopo la Bibliografia). Per le appendici
valgono le stesse regole elencate per le tabelle.
Quantità, simboli e nomenclatura
Per le unità di misura si fa riferimento al Sistema internazionale
di unità (S.I.). I simboli e le espressioni combinate nel testo, nelle
tabelle e nelle figure vanno riportate con esponente negativo (per
es.: m s-1 e non m/s o m x sec-1; µg l-1 e non ppb o µg/l). Lo spaziatore decimale è rappresentato dalla virgola nei lavori scritti in
italiano e dal punto nei lavori scritti in inglese. Le migliaia vanno
indicate con il punto nei lavori scritti in italiano e con la virgola
nei lavori scritti in inglese.
Per la nomenclatura biologica, gli autori devono far riferimento al
Codice internazionale di nomenclatura zoologica, botanica e dei
batteri. Il nome scientifico della specie (in latino) va in corsivo.
Quando una specie viene citata per la prima volta nel testo, va
riportato il genere per esteso e il nome dell’Autore. Nelle citazioni
successive il genere viene riportato con la sola iniziale maiuscola
e l’Autore della specie omesso.
Referenze bibliografiche
Le citazioni bibliografiche nel testo devono riportare il solo
Cognome dell’Autore seguito dall’anno di pubblicazione ed eventualmente dalla pagina e da riferimenti ad illustrazioni. Se sono
presenti due Autori, vanno riportati i soli Cognomi separati da &
mentre, se gli Autori sono più di due, si riporta solo il Cognome
del primo Autore seguito da et al. Le citazioni nel testo vanno
elencate in ordine cronologico separate da punto e virgola.
Esempi:
Bianchi (1985); (Rossi 2002a, 2002b); (Bianchi 1985: 102, Fig.
2); (Bianchi & Neri 1986); (Bianchi et al. 1988); (Verdi 1980;
Bianchi & Neri 1996).
Se una referenza viene citata più volte a brevissimo o breve intervallo, l’anno può essere sostituito con loc. cit. e op. cit. rispettivamente a partire dalla seconda citazione.
La Bibliografia deve comprendere solo gli Autori citati
nel testo in ordine alfabetico. Per il singolo Autore, le referenze devono essere elencate in ordine cronologico. Se un Autore
ha pubblicato più lavori nello stesso anno, l’anno di pubblicazione va seguito da una lettera minuscola. Se un Autore ha
pubblicato sia come Autore singolo che come co-Autore, vanno
prima elencate le pubblicazioni in cui è presente come Autore
singolo, seguite da quelle in cui è presente con un solo coAutore (elencate a loro volta in ordine alfabetico del secondo
autore), quindi con due co-Autori, ecc. Per lo stesso numero di
co-Autori, va seguito l’ordine cronologico. I lavori in stampa
vanno citati solo se formalmente accettati per la pubblicazione.
In questo caso si riporta l’anno corrispondente a quello di accettazione del lavoro tra parentesi (“in stampa”, tra parentesi,
va riportato alla fine).
Esempio: Bianchi B., (2004) - …............…….. (in stampa).
Il Titolo dell’articolo va in tondo, il nome della rivista in corsivo.
Se il titolo della rivista è costituito da un’unica parola, non va abbreviato. In tutti gli altri casi, l’Autore/i deve riportare l’abbreviazione ufficiale della rivista basandosi sulla “World List of Scientific
Periodicals” pubblicata da Butterworths, Londra. Se l’Autore è
incerto sull’abbreviazione, deve riportare il nome della rivista per
esteso e indicarlo a penna sul margine del foglio. Se l’anno di pubblicazione è successivo all’anno che appare sul volume pubblicato,
quest’ultimo va riportato tra parentesi dopo il numero della rivista.
Nel caso di libri, il Titolo va in corsivo e va riportato il numero totale di pagine. All’editore/i segue (a cura di) o (ed./eds) se il volume
citato è scritto rispettivamente in italiano o in inglese.
Esempi:
Armitage P., Cranston P.S. & Pinder L.C.V., 1995 - The
Chironomidae. The biology and ecology of non-biting midges.
Chapman & Hall, London, 572 pp.
Ginsburg L. & Morales J., 1998 - Hemicyoninae (Ursidae,
Carnivora, Mammalia) and the related taxa from Early and
Middle Miocene of Western Europe. Ann. Paleontol., 84/1:
71-123.
Hämäläinen H. & Huttunen P., 1985 - Estimation of acidity in
streams by means of benthic invertebrates: evaluation of two
methods. In: Kauppi P., P. Anttilla & K. Kenttämies (eds),
Acidification in Finland. Springer-Verlag, Berlin: 1051-1070.
Riccardi N., Giussani G. & Lagorio L., 2002 - Response of
Daphnia hyalina to Chaoborus flavicans predation in Lake
Candia (Northern Italy). In: Lencioni V. & Maiolini B. (a cura
di), Atti XV Convegno Gadio “Ecologia dell’ambiente montano”. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Biol., 78/1 (2001): 243-245.
I lavori accettati per la stampa dovranno essere corretti e restituiti
alla Redazione, entro 20 giorni dal ricevimento. In caso contrario, il lavoro non verrà pubblicato nel numero in uscita. L’Autore
referente per la corrispondenza riceverà anche la prima bozza di
stampa impaginata, su cui sarà possibile apportare solo piccole
modifiche (in rosso). La bozza corretta dovrà essere inviata alla
Redazione entro 5 giorni dal ricevimento, altrimenti il lavoro sarà
pubblicato nella versione presente nella prima bozza.
Di ogni lavoro saranno inviati all’Autore referente per la corrispondenza entro 60 giorni dalla stampa 25 estratti. Ulteriori copie
di estratti potranno essere ordinate alla tipografia e i relativi costi
saranno a carico del committente. I moduli per la richiesta degli
estratti, l’eventuale contributo per le spese di stampa di allegati
con formato diverso da quello della rivista o di pagine a colori,
verranno inviati insieme alla bozza dell’articolo.
Per ulteriori informazioni, contattare la Redazione della Rivista
(per argomenti di carattere biologico ed ecologico dott.ssa Valeria
Lencioni, Tel. 0461 270371; Fax 0461 270376; E-mail: lencioni@
mtsn.tn.it; per argomenti di carattere geologico e paleontologico dott. Marco Avanzini, Tel. 0461 270312, Fax 0461 270376,
E-mail: [email protected]).
La rivista è disponibile anche on-line come file PDF (www.mtsn.
tn.it).
Studi Trentini di Scienze Naturali
Instructions FOR Authors
Studi Trentini di Scienze Naturali, a scientific journal of the
Museo Tridentino di Scienze Naturali, publishes contributions
of peer-reviewed original papers in one volume per year and
occasional monographic issues. Scientific paper (5-20 pages),
short notes (2-4 pages), reviews and taxonomical revisions (10-30
pages) are accepted. Biological and geological topics referring to
Alpine regions are preferred.
Manuscripts should be sent to: Dr. Marco Avanzini and Dr. Valeria
Lencioni, Editors of Studi Trentini di Scienze Naturali, Museo
Tridentino di Scienze Naturali, Via Calepina 14, 38122 Trento
(Italy).
References
Table and figure captations on separate sheet
Tables and figures on separate sheets
Each chapter may be subdivided in paragraphs and subparagraphs (e.g. 1. Chapter; 1.1. Paragraph; 1.1.1. Subparagraph).
Results and Discussion or Discussion and Conclusions might be
presented as a single chapter. Other exceptions should be discussed with the managing editor. Reviews, taxonomical revisions and
short notes might be differently structured. In short notes only the
Riassunto (if written in English) or the Summary (if written in
Italian) of 50-100 words is requested.
The original plus two copies of manuscript, tables and figures (in
Italian or in English) should be submitted grammatically corrected, typewritten, free of handwritten corrections, double-spaced
throughout, typed on only one side of the paper, with margins of 3
cm (upper) and 2 cm (the other sides). Pages should be numbered
progressively on the upper right angle. A digital copy of the manuscript is also required on diskette or CD, with tables, figures and
table and figure captations as separate files. Each file should be
identifiable by the first author’s name (e.g. Rossi_Tab1.doc).
Word for Window or Rich Text Format is recommended for the
text. Black and white maps, drawings and pictures should be sent
as photo, slide or electronic format (EPS, TIFF or JPEG with
minimum resolution of 300 dpi).
Particular attention should be taken to ensure that the accepted
articles follow the journal style:
- the text should be written in Times New Roman style, body 12,
left justify
- the words should not be divided by hyphen
- indentation and ruled paragraph should be avoided
- only normal fonts are used (possibly avoid bold and underlined
characters)
- italic should be used for foreign words
- the table and figure captations should be translated in Italian if the
contribute is written in English, in English if it is written in Italian
- footnotes should be less than 10 lines
- formulas, equations and fractions included in the text should
be centred in the line, numbered in brackets, and separated
from the text above and below by a space-line
- if part of texts, tables and figures already published are inserted, the copyright declaration is requested.
Structure of the manuscript
Page 1 shows the title of the contribution, full given name/s and
surname/s of the author/s, affiliation/s, up to six key words and
parole chiave and the short title.
A progressive number should be added to each author’s family
name as reference marks to the belonging affiliation, except if all
co-authors belong to the same affiliation. An asterisk should indicate
the corresponding author*, for which the e-mail address is required.
Example:
Giuliano Bianchi1*, Andrea Rossi2, Franco Verdi1
Dipartment of ......., University of ......
Dipartment of ......., University of ......
*
E-mail of the correspondence author: [email protected]
1
2
Key words and Parole chiave should include information on the
geographical location.
Page 2 shows the Summary and Riassunto (min 150, max
200 words). The body of the text begins on page 3 or 4 (depending
on the length of the Summary and Riassunto) and possibly should
be organised as follows:
1. Introduction
2. Study area
3. Methods
4. Results
5. Discussion
6. Conclusions
Aknowledgements
Tables and figures
Tables and figures (graphs, photos, drawings) should be on separate sheet prepared as follows:
- the width should be 8 (= 1 column) or 17 cm (= 2 columns),
and the max height 24 cm
- Times New Roman is recommended (at least body 8)
- use Word symbols and special characters (otherwise produce
files with the used fonts)
- do not insert the title in the graphs
- format tables according to the Word automatic format “simple
1” with thin lines
- graphs without external border.
Tables and figures should be progressively numbered. Approximate
locations for tables and figures should be handwritten in the lefthand margin of the text. References in the text to figures and tables
should be indicated as follows: (Fig. 1); (Figs 1, 2); …as showed
in figure 1…; …in table 1 are shown…
The number of figures should be reasonable and justified (no more
than 20% of the article). Tables or species lists longer than 2 A4
pages should be reported as appendices (in the final print after the
References). For appendices the same rules indicated for tables
should be followed.
Quantities, symbols and nomenclature
Standard international units (the S.I. system) are the only one
acceptable. Symbols and combined expressions in text, tables
and figures must be presented using negative exponents (e.g. m
s-1 not m/s or m x sec-1; µg l-1 not ppb or µg/l). Decimal separator should be indicated with a comma in Italian, with a dot in
English. Thousands should be indicated as dot in Italian, comma
in English.
Authors are urged to comply with the rules of biological nomenclature, as expressed in the International Nomenclature Code
of Zoological, Botanical and Bacteria Nomenclature. The Latin
scientific name of the species should be typed in italic. When a
species name is used for the first time in an article, it should be
stated in full, and name of its describer should also be given. In
later citations, the genus name should be abbreviated to its first
letter followed by a period, and the describer’s name should be
omitted.
References
Citations in the text should report only the family name of the
author followed by the year of publication and eventually by the
page or the figure/table to which the cited author refers. If two authors write the cited paper, both family names should be reported
separated by &, while if the authors are more than two, only the
first author followed by et al. should be reported. References in
the text should be reported in chronological order separated by
semicolon.
Examples:
Bianchi (1985); (Rossi 2002a, 2002b); (Bianchi 1985: 102, Fig.
2); (Bianchi & Neri 1986); (Bianchi et al. 1988); (Verdi 1980;
Bianchi & Neri 1996).
If a reference is cited more times at very short or short interval, the
publication year could be substituted respectively by loc. cit. and
op. cit. starting form the second quotation.
All references cited in the text should be listed, alphabetically, in
the chapter REFERENCES. For a single author, references are to
be arranged chronologically. If an author published several papers
in the same year, a lower-case letter should follow the publication
year.
For more than one author, priority is given by the number of coauthors and for the same number of co-authors, chronological
priority is followed.
Papers that are in press should be cited only if formally accepted
for publication. In this case, the indication of the year should be
that of the acceptance and indicated in brackets. “In press” should
be reported in brackets at the end.
Example: Bianchi B., (2004) - ........................(in press).
Journal citations and abbreviations (based on “World List of
Scientific Periodicals” published by Butterworths, London)
should be in italic. If the title of the journal is a single word do
not abbreviate. In case of doubts regarding abbreviations, the full
name of the journal is preferred (the author should indicate this in
pencil in the margin). If the year of publication is successive to the
number journal year, the last one should be indicated in brackets
after the number of publication. Book title should be typed in
italic and the total number of pages should be reported. Editor/s’
names should be followed by (ed./eds) or (a cura di) if the cited
volume is written respectively in English or in Italian.
Esempi:
Armitage P., Cranston P.S. & Pinder L.C.V., 1995 - The
Chironomidae. The biology and ecology of non-biting midges.
Chapman & Hall, London, 572 pp.
Ginsburg L. & Morales J., 1998 - Hemicyoninae (Ursidae,
Carnivora, Mammalia) and the related taxa from Early and
Middle Miocene of Western Europe. Ann. Paleontol., 84/1:
71-123.
Hämäläinen H. & Huttunen P., 1985 - Estimation of acidity in
streams by means of benthic invertebrates: evaluation of two
methods. In: Kauppi P., P. Anttilla & K. Kenttämies (eds),
Acidification in Finland. Springer-Verlag, Berlin: 1051-1070.
Riccardi N., Giussani G. & Lagorio L., 2002 - Response of
Daphnia hyalina to Chaoborus flavicans predation in Lake
Candia (Northern Italy). In: Lencioni V. & Maiolini B. (a cura
di), Atti XV Convegno Gadio “Ecologia dell’ambiente montano”. Studi Trent. Sci. Nat., Acta Biol., 78/1 (2001): 243-245.
After acceptance of the manuscript for publication, the author/s
must provide the correct version of the manuscript in both paper
(1 copy) and electronic (diskette or CD) version to the managing
editor within 20 days. In case of delay, the paper will not be published in the ongoing volume of the journal. The corresponding
author will receive also a proof, in page form, on which only small
corrections (in red) will be possible. The proof should be returned
to the managing editor within 5 days, otherwise the paper will be
published in the version of the first proof.
For each paper 25 reprints are provided free of charge and mailed to the first author within 60 days after the publication of the
journal. Additional reprints, charged to the customer, may be ordered when the corrected proof will be returned. Forms to require
additional reprints, the costs for printing special formats or colour
pages, will be sent to the corresponding author with the proof.
For more information, please contact the managing editor (for
biological and ecological arguments Dr. Valeria Lencioni, Tel.
+39 0461 270371; Fax +39 0461 270376; E-mail: lencioni@mtsn.
tn.it; for geological and paleontological arguments Dr. Marco
Avanzini, Tel. 0461 270312, Fax 0461 270376, E-mail: [email protected]).
The paper edition is flanked by the web edition, with the full text
available on-line as PDF files (www.mtsn.tn.it).
ULTIME PUBBLICAZIONI DEL Museo Tridentino DI Scienze Naturali
STUDI TRENTINI di scienze naturali
ACTA BIOLOGICA
80.2003
“Il fiume e il suo bacino”. Atti del XVI Convegno del Gruppo di Ecologia di Base “G. Gadio”,
Pavia 10-11 maggio 2003
a cura di Giulia Forni, Anna Occhipinti e Valeria Lencioni
80.2003 Suppl. 1 Studi Trentini di Scienze Naturali: indice della rivista dal 1926 al 2003
80.2003 Suppl. 2 Atlante degli Uccelli nidificanti e svernanti in provincia di Trento
a cura di Paolo Pedrini, Michele Caldonazzi e Sandro Zanghellini
81.2004
“a Sandro Ruffo, per i suoi 90 anni”
a cura di Valeria Lencioni e Bruno Maiolini
81.2004
EFOMI Valutazione ecologica di cenosi forestali sottoposte a monitoraggio integrato
a cura di Cristina Salvadori e Paolo Ambrosi
81.2004 Suppl. 2 Studio sul mancanto arrossamento del Lago di Tovel
a cura di Basilio Borghi, Andrea Borsato, Marco Cantonati, Flavio Corradini e Giovanna
Flaim
82.2005
Miscellanea
83 (2007)
Atti del XVII Convegno del Gruppo per l’Ecologia di Base “G. Gadio” “Connettività e
biodiversità in ecosistemi naturali ed antropizzati” 6-8 maggio 2006, Cetraro
a cura di Valeria Lencioni e Anna Occhipinti
ACTA GEOLOGICA
80.2003
“Ricostruzione paleoclimatica del Tardiglaciale-Olocene da concrezioni di grotta in Italia”
a cura di Ugo Sauro, Andrea Borsato e Benedetta Castiglioni
80.2003 Suppl.1 5th Regional Symposium of the International Fossil Algae Association
81.2004
Miscellanea
82.2005
Cambiamenti climatici e ambientali in Trentino: dal passato prospettive per il futuro
a cura di Silvia Frisia, Maria Letizia Filippi e Andrea Borsato
83 (2008)
Italian Ichnology. Proceedings of the Ichnology session of Geoitalia 2007. VI Forum italiano
dei Scienze della Terra, Rimini - September 12-14, 2007
a cura di Marco Avanzini e Fabio Massimo Petti
STUDI TRENTINI di scienze naturali
84 (2009)
Miscellanea
PREISTORIA ALPINA
39.2003
“Le Alpi: ambiente e mobilità” - Tavola Rotonda, Trento 25-27 ottobre 2001
40.2004
Miscellanea
40.2004 Suppl. 1 Conchiglie e Archeologia
a cura di Maria A. Borrello
41.2005
Miscellanea
42 (2007)
Interpretation of sites and material culture from mid-high altitude mountain environments
Proceedings of the 10th annual meeting of the European Association of Archaeologists 2004
edited by Philippe Della Casa and Kevin Walsh
43 (2008)
Miscellanea
43 (2008)
Suppl. 1 Abitare il Neolitico. Le più antiche strutture antropiche del Neolitico in Italia
settentrionale
Fabio Cavulli
MONOGRAFIE DEL Museo Tridentino DI Scienze Naturali
1 (2004)
Le miniere del Mandola in Valsugana
a cura di Paolo Passardi e Paolo Zambotto
2 (2005)
Atlante dei suoli del Parco Adamello-Brenta. Suoli e paesaggi
a cura di Giacomo Sartori, Alessandro Mancabelli, Ugo Wolf e Flavio Corradini
3 (2006)
I laghi di alta montagna del bacino del Fiume Avisio (Trentino orientale)
a cura di Marco Cantonati e Morena Lazzara
4 (2007)
The spring habitat: biota and sampling methods
Marco Cantonati, Ermanno Bertuzzi & Daniel Spitale
QUADERNI DEL MUSEO TRIDENTINO DI SCIENZE NATURALI
1.
I Ditteri Chironomidi: morfologia, tassonomia, ecologia, fisiologia e zoogeografia
a cura di Valeria Lencioni, Laura Marziali e Bruno Rossaro
2.
I Ditteri Simulidi: nuove chiavi dicotomiche per l’identificazione delle specie italiane con
brevi note bio-tassonomiche
a cura di Leo Rivosecchi, Maria Addonisio e Bruno Maialini
3.
La fauna del suolo. Tassonomia, ecologia e metodi di studio dei principali gruppi di invertebrati
terresti italiani
a cura di Leonardo Latella e Mauro Gobbi
Finito di stampare nel mese di giugno 2009
da Esperia Srl - Lavis (TN)