Jan Provost - San Pietro, Santa Elisabetta d

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Jan Provost - San Pietro, Santa Elisabetta d
Jan Provost - San Pietro, Santa Elisabetta d'Ungheria
Autore: Jan Provost
Materia e tecnica: olio su tavola, in buono stato di conservazione
Dimensioni: cm 139 X 90
Collocazione: Genova, Galleria di Palazzo Bianco
n. inv. P. B. 116-117
Scheda a cura di Carla Cavelli Traverso
Le tavole sono state visibilmente decurtate delle parti inferiori con taglio a gomito, e risarcite con inserti d'altro legno, ridipinti
con un muretto a pietrame secondo una datazione collocabile alla seconda metà dell'Ottocento. Sul verso della tavola con san
Pietro un personaggio, ormai completamente cancellato, mostra nella mano destra un libro aperto sulla cui pagina sinistra si
leggono le parole Ecce Agnus Dei qui tollit peccata mundi. Il verso del pannello con santa Elisabetta presenta tracce di un
dipinto completamente abraso, del quale non è possibile individuare alcun elemento.
Lo stato di conservazione è buono, furono parchettate e restaurate nel 1930, nel 1935 (Cappellini 1937, p. 21; Borzone 197374, pp. 16, 20), e nel 1965; l'ultimo restauro fu eseguito da Decio e Benito Podio di Bologna (Tagliaferro 1991, pp. 43-44),
dopo che nel 1949 erano state date in deposito alla Galleria di Palazzo Bianco per esservi esposte insieme all'Annunciazione.
Le tavole fanno la loro prima comparsa nel nuovo ospedale di San Martino, dove nel salone d'ingresso e
lungo l'ampio scalone furono raccolte le opere più importanti degli ospedali dei Cronici e di Pammatone,
con lo scopo di creare il Museo degli Ospedali Civili, inaugurato nel 1931.
Nell'inventario patrimoniale del 1930 (Ricci pp. 63-64) sono considerate provenienti dall'Ospedale di
Pammatone con la specifica Sauli. Sullo scorcio dell'Ottocento l'ospedale di Pammatone godette, in effetti,
di un notevole lascito di beni da parte del marchese Nicolò Sauli, probabilmente comprensivo degli undici
quadri del piano nobile di palazzo Sauli della crosa del Diavolo. Di queste opere, sulle quali si aprì un
contenzioso tra l'ospedale e gli eredi, non ho trovato alcun elenco completo (Cavelli Traverso 1991, pp.
570-572).
Cappellini (1934, pp. 27-29) indica solo per la tavola con san Pietro, la provenienza dall'eredità Sauli,
mentre Bernardi (1956, p. 50) estende tale provenienza alla santa Elisabetta e all'Annunciazione.
Borzone (1973-74, pp. 16-22) segnala per le tavole con i Santi un'eredità Sauli del 1920 a favore
dell'Ospedale dei Cronici, eredità della quale non ho trovato alcuna traccia nell'archivio dell'ente. Solo
Lucattini (1975) segnala alcune opere provenienti dall'eredità Sauli a favore dell'Ospedale di Pammatone,
ma per le tavole in oggetto non fornisce alcuna indicazione.
Queste imprecise notizie hanno indotto Morassi (1946, pp. 41-42) ad esporle nella mostra del 1946,
insieme all'Annunciazione, proveniente dall'ospedale dei Cronici, e a considerarle un unico trittico. L'autore
è indicato in Provost, secondo quanto suggerito da Friedländer (1931, p. 147): un'attribuzione sempre
confermata dalla critica successiva.
Nella mostra fiorentina del 1848 (pp. 30-31) Ragghianti parla esplicitamente del "trittico proveniente dalla
soppressa chiesa di san Colombano degli Ospedali dei Cronici" e ipotizza che i frammenti con il Ritratto di
donatrice della collezione Thyssen- Bornemisza (Madrid) ed il Ritratto di donatore (Philadelphia, Museum
of Art, coll. Johnson) costituissero le parti mancanti delle ante. Riconosce nella santa Elisabetta, la regina
del Portogallo divenuta semplice Clarissa nel 1337, ipotizzando una possibile provenienza portoghese del
trittico, per le assonanze con il trittico di Provost raffigurante re Manuel e papa Leone X, realizzato a
Funchal, nell'isola di Madera (Lisbona, Museo).
Ulteriori studi hanno permesso a Ragghianti (1949, pp. 334-338) di segnalare la presenza del ritratto
femminile nella collezione fiorentina di Burn Murldock alla fine del sec. XIX. Quanto poi alla provenienza
iberica dell'opera lo studioso trova notevoli analogie tra il trittico di san Colombano e il trittico di Funchal,
che, a suo avviso, Provost realizzò tra il 1515 e il 1525. Nel 1515, infatti, re Manuel di Portogallo inviò a
Roma, al pontefice Leone X, la prima ambasceria guidata da Tristan da Cunha, mentre il 1521 è l'anno
della fine del potere per entrambi i sovrani. La presenza di Provost a Bruges negli anni citati ha indotto
Ragghianti ad ipotizzare che le due grandi opere fossero state eseguite nell'operosa bottega del maestro e
solo successivamente inviate nella penisola iberica.
Queste conclusioni faranno testo nella successiva elaborazione critica: Marcenaro (1950, p. 7) parla di
"trittico incompleto", mentre Morassi (1951, pp. 73-74), accoglie la ricostruzione del trittico con i due
ritratti. Bologna (1956, pp.13-31) ha trovato analogie tra il trittico di Funchal, la Sacra Conversazione
(Nettuno, coll. principe di Cassaro) ed il trittico di san Colombano, che rivelano l'influsso della pittura di
Cleve e di Patenir del secondo decennio del Cinquecento, inoltre ritrova le stesse fattezze fisionomiche
del san Giovanni Battista romano nel Santo omonimo dell'opera portoghese.
Hoogewerff (1961, p. 184), come già Ragghianti (1949, p. 334), ritiene erroneamente che il trittico in
oggetto fosse stato "menzionato già dal Ratti nel 1780"; identifica giustamente la Santa con santa
Elisabetta d'Ungheria, raffigurata con l'abito claustrale da terziaria francescana, una corona sulla testa, un
libro tra le mani su cui poggia una doppia corona.
Castelnovi (1970, pp. 148, 173) fa propri i risultati della ricerca di Ragghianti con la correzione
iconografica di Hoogewerff, mentre nell'edizione aggiornata del repertorio di Friedländer (1973, pp. 32,
112-113, 117) si riportano i più recenti contributi e si segnala, senza dichiarare le fonti, che il Ritratto della
donatrice, pervenne da Genova alla collezione Rohoncz.
Collobi Ragghianti (1990, pp. 134-135) ritornando alla lettura iconografica di Elisabetta del Portogallo,
ripropone la provenienza portoghese del trittico, databile a suo parere ai primi anni del sec. XVI, perché
"ancora acerbamente rogeriano". A causa della storica presenza nella penisola iberica di numerose opere
di Provost la studiosa ipotizza un soggiorno del maestro in Portogallo tra il 1501 ed il 1507.
I recenti studi (Cavelli Traverso 1991, pp. 569-593) sulla diversa provenienza delle tavole con i Santi
rispetto all'Annunciazione, hanno permesso di confutare l'ipotesi di una comune struttura a trittico e, quindi,
l'esistenza stessa del trittico di san Colombano. Le fonti storiche trovano conferma anche nell'analisi
tecnica e stilistica. Le due ante non potevano formare un unicum con l'Annunciazione perché, con il
completamento delle parti inferiori, hanno dimensioni maggiori, che aumentano ulteriormente con
l'aggiunta della cornice di raccordo. Il rapporto volumetrico tra le figure è troppo disomogeneo, non esiste
alcun legame iconografico tra i pannelli, l'ambientazione è priva di continuità con netto contrasto tra il
raccoglimento quasi mistico della stanza dell'Annunciazione e l'aperto panorama con architetture ed alberi,
che fa da sfondo ai due Santi.
Le due tavole, nonostante la decurtazione, raffigurano in primo piano due santi che una spalliera di tralci
fruttiferi e un muro di pietra delimitano dallo sfondo della città e del paesaggio. Immediato è stato
riconoscere il Santo con san Pietro per la presenza della chiave e del libro; nel suo ritratto sono stati
individuati pentimenti del lavoro eseguito a mano (Galassi 1997, p. 138, fig. 14). Per la Santa si è oscillato
tra santa Elisabetta del Portogallo e santa Elisabetta d'Ungheria, in quanto entrambe avevano come
attributi la corona reale e l'abito di terziaria francescana. Per la regina d'Ungheria si tratta più precisamente
di tre corone ("une couronne sur la tête et dans ses mains un livre sur lequel sont posées deux
couronnes"; L. Reau, Iconographie de l'art Chrétien, vol. III, I, Paris 1958, p. 418), pertanto, poiché la
Santa della tavola genovese presenta una corona sulla testa ed una doppia corona sul libro che ha in
mano, è stato possibile (Cavelli Traverso 1991, p. 583) confermare l'ipotesi di Hoogewerff ed indicarla
come sant'Elisabetta d'Ungheria. L'origine portoghese della tavola non può trovare riscontro nella santa
raffigurata.
Il panneggio delle vesti acquista un ritmo fluente e un pò cantilenato nelle pieghe, in omaggio a Quentin
Massys. Le mani con le dita piegate ad angolo, quasi falangi pungenti e la divisione interna delle stesse,
separate nettamente dalla mano con una linea retta, sembrano quasi un autografo dell'artista.
Il paesaggio è concepito secondo una perfetta armonia tra terreni coltivati, alberi frondosi, disposti in
gruppi armoniosamente allineati, e architetture urbane che rivelano il gusto del gotico maturo nelle alte torri
esagonali. Lo stesso si ritrova nei Ritratti dei donatori, quasi una continuazione degli elementi vegetali
come nel sottile tronco dietro alla donatrice, possibile prolungamento del ciuffo frondoso alle spalle di
santa Elisabetta.