l`amico salsese di clay
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l`amico salsese di clay
numero 16 giugno-novembre 2013 L’AMICO SALSESE DI CLAY no attorno al suo mondo, quello della boxe». Il mito non invecchia, resta immortalato nella memoria. Il mito non nasce per caso. Sentire parlare del grande Cassius Clay da chi lo ha conosciuto in presa diretta, fa un certo effetto. Suscita emozioni. “ Il labbro di Louisville”, alias Muhammad Alì, alias la “Libellula del ring”, alias tutto quello che volete, pare fosse un personaggio ben diverso dalle apparenze. Parola di Lorenzo Ferrari, salsese doc, cosmopolita, trent’anni spesi in Inghilterra a gestire ristoranti e a stringere amicizie coi grossi nomi del jet-set. Azzardo la provocazione. Ma il grande istrione della boxe, colui che sul ring sapeva irridere gli avversari danzando come una libellula, quella volta, a Londra contro Henry Cooper, se la vide brutta. Spedito al tappeto, fu salvato dal gong e fu grazie al diabolico ingegno di Angelo Dundee, che gli riuscì di riprendere fiato... Lorenzo Ferrari ha un sussulto, alla possibile Waterloo del grande Alì, non ha mai creduto. «No - spiega - Alì non ha corso questo rischio. Ricordo benissimo di averlo sentito dire: Cooper credeva di avermi fatto paura, ma ce ne volevano due di Cooper per mettermi nei guai». Lorenzo Ferrari, classe 1938, ha conosciuto da vicino il pugile-mito. Trent’anni passati fra Londra e Birmingham Ferrari, a sinistra,, sulla terrazza dell’albergo londinese che ospitava Cassius, che vediamo con la figlioletta in braccio. Ma chi era il grande Alì? «In privato era un uomo taciturno, calmo e tranquillo. Ricordo un episodio londinese molto significativo. Durante una serata di gala, io dovevo trattenermi al suo fianco in attesa della sua chiamata sul proscenio. Rimasi due ore con lui, fianco a fianco, ma il nostro colloquio durò pochi minuti. Poi venne chiamato sulla scena e davanti ai microfoni del mio amico Gary Newbon, della TV inglese, si scatenò. Un vortice incontenibile di parole che roteava- Il salsese stringe la mano al campione Sarà, ma è chiaro che uno come Alì non avrebbe potuto sentenziare nulla di diverso, in perfetta sintonia col personaggio: affabulatore senza pari, istrione e clownesco come nessuno, sbruffone come pochi. Ma è altrettanto chiaro che tipi come Clay hanno saputo ridare credibilità al mondo del pugilato, soprattutto a quello americano, tutt’altro che immacolato e, non di rado, in forte odore di mafia. C’è solo qualche ruga, a ricordarmi che questo “salsese di ritorno” che mi trovo davanti, non è più un ragazzino. Sposato con Patricia, svizzera del Cantone francese, è ora un tranquillo pensionato, oltre che padre felice di tre figli, Jean Claud, Stefanie e Fiorenza. Ferrari non mi nasconde i suoi trascorsi giovanili un po’ “goliardici” o, per meglio dire, spesi in modo “fin troppo esuberante”, per sua stessa ammissione. Le scuole medie a Salsomaggiore, il primo anno di Liceo a Parma e poi stop. Sempre scarso feeling coi banchi di scuola, ma è un semplice eufemismo. Classe «Alì non aveva un buon rapporto coi bianchi. Li ha sempre giudicati un po› razzisti. Quella medaglia (Roma, Olimpiadi del 1960,ndr) gliela avevano messa al collo i bianchi e lui se ne sbarazzò, gettandola nel fiume a Louisville, la sua città natale». Le dure prese di posizione di Alì contro la discriminazione dei neri americani, le clamorose intemperanze, in qualche misura autolesionistiche, del grande campione contro le autorità, sfociate nel rifiuto di prestare il servizio militare ( che gli costarono il titolo mondiale dei pesi massimi) sono note a tutti. Ma l›episodio della «medaglia olimpica ripudiata» sfuggì alle cronache. «In realtà, questo particolare a me non l›ha detto - ammette Ferrari - ma lo scrisse sulla sua autobiografia « I am the greatest». («lo sono il più grande», pubblicato anche in Italia, ndr). Ferrari, come iniziò la sua amicizia con Cassius Clay ? Ferrari con Rino Gattuso 1938, Lorenzo Ferrari, poco più che ventenne, sbarca in Gran Bretagna. A Londra apre un ristorante. Tre anni dopo si trova a gestire una vera e propria catena della buona tavola: ben 7 ristoranti tra i quali il “Lorenzo Ferrari”, “La dolce vita”, il più famoso di Londra, “La dolce notte” e il “Porcellino”. Lascia Londra e si trasferisce a Birmingham, dove apre un nuovo ristorante, il “Lorenzo”, destinato a una clientela medio alta. «Posso dire con orgoglio che mi arrivava la posta con una semplice scritta: «Lorenzo, Birmingham». Ma il suo successo lo deve a un grande amico, il giornalista della TV inglese Garij Newbon. Le due carriere in ascesa vanno di pari passo. New-bon diventa il numero uno della TV così come il “Lorenzo” entra nell’Olimpo dei ristoranti di Birmingham. Ma torniamo al grande Alì. «Alì si trovava a Londra. Col mio amico Garij Newbon, andai a intervistarlo per la televisione, sul terrazzo dell’Hotel Hilton, al 22° piano. Ricordo un particolare: lui teneva sulle ginocchia la figlioletta, in tenerissima età. Fu quasi scontata la domanda sui suoi match memorabili contro Joe Frazier e Ken Norton. Vuoi sapere una cosa? - mi disse Mi ha dato più problemi questa “scimmietta” che tengo tra le braccia, che loro due messi insieme». Risposta alla Cassius Clay, non c’è dubbio... Naturalmente l’amicizia col grande campione americano continuò. Ferrari lo incontrò altre volte a Birmingham e del resto il suo ristorante oltre che sede di un club di giornalisti sportivi fu un vero crocevia di grossi personaggi del jet set mondiale: dai mitici Beatles a Rita Pavone, da Fred Bongusto a Elton John, da Freddy Mercuri, agli Abba e a Billy Soel. «Ma sono stato amico anche del Trap, di Vialli, Mancini, Baggio, Nevio Scala, Bob-by Robson, Graham Taylor, Terry Vinables e Kevin Keegan». Del resto, per Lorenzo Ferrari il mondo del pallone ha sempre avuto un ruolo privilegiato, avendo anche giocato, in avvincenti partite a scopi be nefici, al fianco di star conclamate dello spettacolo (Robert Plant, voce armonica dei Led Zeppelin, tra questi). «Sono stato anche procuratore di alcuni calciatori. Feci trasferire Eranio dal Milan al Derby County. Portai in Inghilterra Nicola Berti, ma dopo tre giorni me lo rispedirono. Ce lo rimanderai con dieci chili di meno». Personaggio dalle mille Si racconta di quella medaglia olimpica che esperienze, Lorenzo Ferrari è un fiume di ricordi. sarebbe stata gettata nelle acque del MississipOrganizzatore della trasferta juventina a Tokio pi... nel 1985, del Milan a Dubai nel 2009 e trascorsi giornalistici, da inviato della TV inglese, ai mondiali di Italia ‘90. Ricca e variegata la sua raccolta di foto e aneddoti legati ai personaggi dello spettacolo e dello sport: da Sarah Ferguson, a Sean Connery, a Johan Cruiff a Marvin Hagler. Dopo 30 anni, il rientro in Italia, a dirigere il Centro di Sportilia con l’amico Romeo Benetti. Poi, il... fine corsa nella sua Salsomaggiore, e quel tentativo di riannodare un feeling che forse non c’è mai stato. «Salso mi ignora - ammette amaramente -. Eppure, per dimostrare che non raccontavo storie, portai il sindaco Grolli in tribuna d’onore a Torino. Appena davanti a lui, c’era Agnelli. Un’altra volta feci accompagnare gli amici Fiorenzo e Tato Dagoni dall’albergo allo stadio di Torino sulla Limousine del presidente dell’ Arsenal». Nostalgia dell’Inghilterra? «Sono stati gli anni più intensi della mia vita. Serate di gala e l›abito da sera almeno una volta al mese». Mi mostra con orgoglio l›invito personale della Duchessa di Kent, per una serata a scopi benefici. Verrebbe da dirgli che nessuno è profeta in patria. Ma questa è storia vecchia. Ferrari con la moglie Patricia nella casa di Salsomaggiore “E POI E’ SUCCESSO IL GROSSO MISTERO“ Da notare che Cooper non ha mai scritto che Dundee ha rotto il guantone. Come invece ammise, in via confidenziale, lo stesso Dundee Lo ha scritto nella sua biografia il pugile inglese Henqualche tempo dopo. Cooper si limita, elegantery Cooper, grande amico della Val Stirone, a proposito mente, com’era nel suo stile, a parlare di “grosso dell’episodio (nel corso del match con Cassius Clay) che mistero”. Poi il match finì come tutti sanno. Col poteva cambiare ... la storia del pugilato mondiale pugile inglese costretto ad abbandonare per via Un anno fa Cara Val Stirone ha pubblicato un delle arcate sopracciliari sanguinanti che Cassius ampio servizio sul UJ pugile inglese Henry Co- Clay, conoscendo il tallone d’Achille dei suo avoper, grande amico della Val Stirone. L’articolo versario, impietosamente, martellava. E così la del giornalista Ascanio Casali ha ripercorso le storia del pugilato mondiale ha potuto proseguitappe più importanti della vita del boxeur d’ol- re (indisturbata) il suo corso . . tre Manica deceduto nel 2011. E naturalmente si è soffermato sul match più eclatante di Cooper: quello con Cassius Clay nel 1963 a Londra che avrebbe potuto cambiare . . la storia del pugilato mondiale. Il leggendario pugile americano infatti finì al tappeto alla quarta ripresa centrato da un gancio sinistro alla mascella. Venne “salvato” prima del suono del gong e poco dopo dall’astuzia del suo diabolico manager, Angelo Dundee, che ne “inventò” una delle sue: quando si accorse che il pugile reagiva poco ai sali somministratigli con dovizia durante l’intervallo, ruppe senza farsi vedere uno dei guantoni, così che all’inizio della ripresa si perse tempo per ripararlo. Cara Val Stirone è entrata in possesso della biografia di Henry Cooper (scritta nel 1972 dopo aver cessato l’attività agonistica) nella quale il pugile inglese parla anche di quello storico quanto drammatico match. Scrive alla pagina 97: «Si può vedere anche in un filmato che hanno lavorato su di lui nell’angolo . . . Si vede chiaramente Clay portato all’angolo dai suoi secondi che poi hanno rotto una fiala e l’hanno messa sotto il suo naso. Questa pratica era consentita in alcuni stati americani ma non nel mio». Qualche riga più sotto Cooper aggiunge: «AI suo angolo c’era angelo Dundee e un paio del suo seguito milionario. E poi è successo il grosso mistero. Improvvisamente, quando è suonato il gong della successiva ripresa hanno visto che Clay aveva un guantone che si stava sfaldando. L’arbitro è stato chiamato all’angolo e tutti hanno visto due del suo seguito andare in fondo alla sala per cercare un set di guanti di ricambio. Scoperto che non c’erano essi tornarono a dirlo all’angolo. Intanto, almeno tre quarti di un minuto devono essere passati. Ora, mezzo minuto per un uomo in forma è già una vita. Poi tutta la stampa che era a bordo ring ha visto riparare il La paura vissuta da Clay finito al tappeto. guanto rotto come non si era mai visto fare duL’espressione degli occhi non lascia dubbi. rante un combattimento». QUANDO GIANNI BRERA ANDAVA A CASA ONESTI Il più grande giornalista sportivo italiano, morto vent’anni fa, amava fare tappa a Tabiano dall’allora preparatore atletico e vice allenatore dell’Inter “Brera è Brera e basta”, ebbe a sentenziare l’ex direttore de Il Resto del Carlino Gabriele Canè, parlando del grande giornalista. Vorrei aggiungere che per Gianni Brera ogni aggettivazione diventa inutile, quasi stucchevole. Personaggio atipico, vero top -player (per usare un termine alla moda) del giornalismo sportivo, carattere tosto (se ne andò dal Giornale «perché - ammise - mi trattano come l’ultimo praticante»). Pavese, classe 1919, morì a 73 anni, in un drammatico incidente sulle strade della sua Lombardia, a due passi da Codogno. Era il 19 dicembre 1992. Gianni Brera stava rientrando da Maleo, al termine di una delle sue allegre tavolate in compagnia degli amici. «Il calcio, la buona tavola, il buon vino e il culatello erano la sua grande passione», mi confidò Armando Onesti che, con la moglie Giulia, in più occasioni, lo ebbe gradito ospite, nella villa di Tabiano. L› immagine che vi proponiamo, si riferisce proprio a una di queste tavolate. Armando, in piedi, brinda al grande amico maestro di giornalismo, seduto tra i commensali, facilmente riconoscibile per il suo tipico look, una sorta di marchio di fabbrica: camic’a bianca e bretelle. Era il 18 aprile l’anno in cui stava volgendo al termine il sodalizio nerazzurro tra Armando Onesti e il mister Eugenio Bersellini. Veri trattati di pallone, quelli di “Gianni Brera fu Carlo”. Per decenni la sua prosa ci ha accompagnati tra le glorie e le derive del pianeta calcio, sia dalle pagine de Il Giorno e di Repubblica, sia da quelle del Guerin Sportivo, con “L’Arcimatto”, la scanzonata finestra settimanale che gli consentiva di sciorinare un colorito repertorio di neologismi e di espressioni idiomatiche che hanno segnato la storia del calcio. Erano, per intenderci, i tempi del “posaglutei”, del “ciolla” e di un certo “abatino” (Gianni Rivera), termine settecentesco sinonimo di uomo di cartavelina. E del suo esatto contrario, il “rombo di tuono” (ricordate Gigi Riva?). Al suo talento e alla sua verve inesauribile, si devono definizioni come “goleador” e “forcing”, sparate in pagina ad uso e consumo del suo popolo di “aficionados”, che intanto familiarizzava colla “melina” e col “gollonzo”, imparava a “ruminare calcio”, a “menare il torrone” e a “ballare nel manico”. Ma soprattutto il “puntero”, l’attaccante, imparava a... “uccellare” il portiere avversario. Gianni Brera era tutto questo, un giornalista che ha trasformato il calcio in poesia. Oltre che fine buongustaio e grande amico di Armando Onesti. Da innamorato della nostra terra, ne apprezzava i prodotti tipici. Tra questi, l’immancabile bicchiere di lambrusco. E Re Culatello, naturalmente. Si sa, un grande. Proprio come lui. SE IL CALCIO SI TRASPORMA IN POESIA Qui sopra la tavolata di commensali nella villa di Arrmando Onesti. Il preparatore atletico dell’Inter e di altre squadre è in piedi, a destra, mentre parla con Gianni 13’rera, seduto di fronte a lui. tqll centro, in piedi, la signora Giulia, moglie dijarmando, alla quale Brera ha rilasciato la simpatica dedica che pubblichiamo sotto In occasione del Tentennale della morte di Brera, nel dicembre scorso, i mass media gli hanno dedicato ampi servizi. In wikipedia di lui si legge: “Grazie alla sua inventiva e alla sua padronanza dilla lingua italiana è considerato colui che più di tutti ha influenzato il giornalismo sportivo italiano del ventesimo secolo,. Insomma Brera è stato un autentico maestro di giornalismo, imitato da tanti ma non eguagliato. Un giornalista, per dirla come Ascanio Casali, che ha trasformato il calcio in poesia.