pag.3 - Cassa Forense
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PAGINA APRILE 2002 Indennità di maternità per le libere professioniste Libere professioni tra Stato e Regioni Rosa Centola oggi, materia esclusiva degli organi professionali nazionali e, ad un tempo, il testo normativo regionale, per la sua genericità, non consente di immaginare quali possano essere le ipotesi alternative e diverse pensate da quel legislatore. Si pensi ancora alla volontà di “assicurare una adeguata tutela del cliente e degli interessi pubblici connessi al corretto e legale esercizio della professione, la correttezza e la qualità delle prestazioni, il rispetto delle norme deontologiche” (art. 1, comma 1, lettera c), quando per la prima, la tutela del cliente, i rapporti sono da sempre disciplinati da istituti di diritto privato di esclusiva regolamentazione statale e, per le seconde, correttezza, qualità e deontologia nelle prestazioni, le professioni hanno già forme di controllo esclusive da parte di organi superiori a loro volta sotto la vigilanza delle autorità statali. Nessuna necessità quindi di riconoscere giuridicamente ad altri soggetti funzioni di verifica se solo si pensa a quegli organi disciplinari degli Ordini che già istituzionalmente esercitano funzioni propriamente giurisdizionali (vedi particolarmente il Consiglio Nazionale Forense), di contro ad una normazione regionale che verrebbe ad interferire con quella funzione giudiziaria che l’art. 117, comma 2, lettera l della Costituzione riserva allo Stato. Si pensi infine alla equiparazione tra Ordini e libere associazioni nella composizione della prevista Consulta, alla facile prevalenza numerica di queste sugli Ordini, alla determinazione dei Con il D.Lgl. 26 marzo 2001, n. 151 è stato emanato il T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, i cui artt. 70, 71, 72 e 73 disciplinano la indennità di maternità per le libere professioniste, prevedendo la corresponsione della indennità per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi - anche nelle ipotesi di affidamento o adozione -, oltre ad una indennità nel caso di interruzione della gravidanza. Le norme richiamate disciplinano anche le modalità di determinazione della indennità, stabilendo che deve essere “pari all’80 per cento di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda”. È tuttavia prevista una indennità minima, pari all’80 per cento del salario minimo giornaliero per la qualifica di impiegato (attualmente pari a circa 3.900,00 - L. 7.500.000 - lorde per l’intero periodo). L’art. 83 del richiamato T.U. disciplina la copertura degli oneri derivanti dalla concessione della indennità, disponendo che si provvede “con un contributo annuo a carico di ciascun iscritto”, prevedendo anche una situazione di equilibrio tra contributi versati e prestazioni assicurate. L’applicazione concreta della legge, anche sulla scorta delle esperienze scaturite dalla abrogata legge n. 379/ 1990, su cui la prima è modellata, ha segue da pag. 1 fatto emergere alcuni dubbi interpretativi, che comunque andranno risolti in modo tale da evitare conseguenze onerose a carico di tutti gli iscritti alle Casse di previdenza, onerati del contributo di maternità, nonché degli equilibri finanziari delle Casse stesse. Nella determinazione della indennità effettuata dalla norma richiamata manca, infatti, la fissazione di una indennità massima, per cui, essendo la indennità in oggetto ancorata al reddito - anche extra professionale - denunciato dalla professionista, la interpretazione letterale della norma potrebbe portare ad erogare importi talora eccessivi e, comunque, sproporzionati rispetto alle esigenze di tutela economica del soggetto protetto e, di converso, ingiustificatamente onerosi per gli iscritti alle singole Casse di previdenza. Pertanto, nella interpretazione della norma per la determinazione della somma da erogare dovrà darsi adeguato rilievo alla natura solidaristica della indennità di maternità, affermata dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 29 gennaio 1998, n. 3, che l’ha qualificata un “sostegno economico proveniente dalla solidarietà della categoria cui la donna appartiene”. Inoltre, non va sottovalutata la natura integrativa del reddito professionale della detta indennità e non sostitutiva, non essendo precluso alla professionista lo svolgimento dell’attività, per cui vi è un eccesso di tutela, assicurata continua a pag. 7 3 ruoli all’interno della stessa con atto di impulso del Presidente della Giunta regionale (artt. 4 e 5), per paventare il tentativo di una volontà di controllo politico strumentale delle professioni. C’è da augurarsi a questo punto che il tavolo di confronto avviato dal Governo con il Comitato Unico dei Professionisti e la speciale Commissione appositamente istituita, e della quale per ora fanno parte Francesco Serao per i Dottori commercialisti, Giancarlo Laurini per i Notai e Maurizio de Tilla per l’AdEPP e per l’Avvocatura, riescano a mettere a punto al più presto la proposta di legge quadro da presentare in Parlamento. In tal senso è anche di questi giorni la richiesta al Ministro agli Affari Regionali dello stesso de Tilla per una convocazione della Conferenza delle Regioni, per il più ampio consenso di tutte le istituzioni proprio sul progetto di legge quadro sulle professioni. Tutto al fine di evitare quel perverso “effetto ghigliottina” che, in danno della legge statale, verrebbe a verificarsi tutte le volte in cui questa, regolando materie oggi ridisciplinate da concorrenti legislazioni regionali e pur continuando ad avere applicazione in tutte le altre parti del territorio in cui ancora tali diverse normative non sono vigenti, non troverebbe invece applicazione nel territorio di quella regione che ha diversamente disciplinato la stessa materia (cfr. Il nuovo volto delle autonomie territoriali a cura di Laparuta - Sangiuliano, Simone, 2001, pag. 34). Il tutto veramente auspicabile per porre un limite ad una devolution che, in concreto, potrebbe segnare la fine delle professioni liberali. Marcello Colloca MOBBING: Valutazione Patrocinio di un nuovo problema a spese dello Stato sanitario dalle implicazioni psicoforensi ed assicurative Giuseppe Antonio Madeo Antonio Nucera e Giuseppe Dattola Il “mobbing” è una realtà, nota da molti anni, ma esplosa solo di recente nel mondo sanitario e successivamente anche in quello giuridico, riempendo intere pagine di giornali, riviste specializzate, occupando spazi televisivi, radiofonici e su internet. Interessa qualunque categoria di lavoratori, sia nel settore pubblico che privato, molto diffuso nel terziario. La parola deriva dal verbo inglese “to mob” che significa “assalire, aggredi- PERIODICO DELLA CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE ANNO 1 - N. 2 - APRILE 2002 Editrice Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense via Ennio Quirino Visconti, 8 - 00195 Roma In collaborazione con De Agostini Professionale S.p.A. - Roma Realizzazione editoriale Novecento Media S.r.l. via Carlo Tenca, 7 - Milano Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 580/2001 re” utilizzato dai biologi dell’800 per descrivere il comportamento aggressivo di alcuni uccelli nei confronti dei loro contendenti per la difesa del nido. Negli anni ’80 questo termine è stato ripreso, nei paesi scandinavi, ed applicato alle persecuzioni nelle aziende e nel mondo del lavoro più in generale. Si qualificano come mobbing tutti quegli atti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, da dirigenti, dagli continua a pagg. 7 e 8 Presidente Maurizio de Tilla Consiglio di Amministrazione Filippo Bove Maria Anna Alberti Marcello Colloca Salvatore Di Cristofalo Carlo Dolci Ignazio Li Gotti Vittorio Mormando Edoardo Vinciguerra Direttore responsabile Marcello Colloca Direttore editoriale Giovanni Romano (Roma) Il primo Luglio del 2002, salvo proroga dell’ultimo momento, entrerà a pieno regime la Legge 29.03.2001, n. 134 che, nel modificare profondamente la Legge 30.07.1990, n. 217 (con la quale era stato istituito “il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti” nei procedimenti penali ordinari e militari), introduce nel nostro ordinamento la disciplina generale del patrocinio dei non abbienti a tutte le giurisdizioni (cioè, oltre che a quella penale, anche a quella civile - compresi gli affari di volontaria giurisdizione e a quella amministrativa). La nuova disciplina, emanata alla fine della scorsa legislatura, costituisce un Comitato di Redazione Giovanni Ceriello, Carlo Dolci, Salvatore Di Cristofalo, Paolo Fusco, Vincenzo La Russa, Giuseppe A. Madeo, Riccardo Marchio, Antonio Mastrangeli, Alberto Nalin, Vittorio Mormando, Mauro Poli Segretaria di Redazione Donatella Asquino tel. 06.36205269 - fax 06.3214301 Realizzazione grafica Edimatica S.r.l. via E. Fonseca Pimentel, 4 - Milano Stampa: IN-PRINT S.p.a. Industria Grafica Roto-Offset Baranzate di Bollate (MI) Ricerca iconografica Archivio IGDA - Milano Tiratura 112.800 copie Chiuso in tipografia il 16 maggio 2002 indubbio passo avanti verso l’attuazione del principio costituzionalmente garantito all’art. 24 dell’effettività della difesa, inteso come diritto fondamentale di ogni individuo e finisce con rivalutare in modo significativo il ruolo dell’Avvocato. Con la normativa in oggetto, il legislatore abbandona in modo definitivo la concezione ottocentesca, cui era intrisa la legislazione precedente, che considerava, all’art. 1 del R.D. 30.12.1923, n. 3282, un onore e un obbligo per gli Avvocati assistere i più bisognosi (rectius: “i poveri”). La vecchia normativa, al di là dell’indiscutibile contrasto con l’art. 36 della Carta Costituzionale (in base al quale a nessuno può essere imposto di effettuare una prestazione lavorativa gratuitamente), imponeva diversi incombenti di carattere burocratico che finivano per umiliare oltremodo coloro che per mancanza di mezzi economici non potevano ricorrere al patrocinio di un difensore di fiducia. continua a pag. 8