l`osservatore romano - Alla ricerca della vita vera
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l`osservatore romano - Alla ricerca della vita vera
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLV n. 10 (46.848) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano giovedì 15 gennaio 2015 . Appello di Papa Francesco durante la messa celebrata a Colombo per la canonizzazione di Giuseppe Vaz, primo santo dello Sri Lanka Libertà religiosa per tutti L’autentica adorazione di Dio non porta all’odio e alla violenza ma al rispetto per la vita e la dignità dell’altro Di fronte a oltre mezzo milione di fedeli Francesco ha proclamato l’oratoriano Giuseppe Vaz primo santo dello Sri Lanka. E nel corso della celebrazione — svoltasi mercoledì 14 gennaio nel Galles Frace Green di Colombo — ha lanciato un nuovo appello alla libertà religiosa, definendola «un diritto umano fondamentale» e ricordando che ognuno «dev’essere libero, da solo o associato ad altri, di cercare la verità, di esprimere apertamente le sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne». La canonizzazione del religioso, che testimoniò nel Paese il «messaggio evangelico della riconciliazione» in mezzo a persecuzioni e violenze, ha offerto al Papa l’occasione per rinnovare l’invito a non strumentalizzare la religione. «Come ci insegna la vita di Giuseppe Vaz — ha ricordato — l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti». Un messaggio rilanciato anche nel successivo incontro al santuario mariano di Madhu, luogo simbolo del «lungo conflitto che ha lacerato il cuore dello Sri Lanka». Raccogliendosi in preghiera davanti alla statua della Madonna — che proprio a causa dei violenti scontri dovette abban- y(7HA3J1*QSSKKM( +\!"!#!=!,! Come un’unica famiglia Aperta nel segno dell’amicizia tra le religioni, la visita del Papa in Sri Lanka si è conclusa con uno sguardo al domani della Nazione dall’antico santuario mariano di Madhu, nel nord dell’isola: per intercessione della Vergine «possano tutti trovare qui ispirazione e forza per costruire un futuro di riconciliazione, di giustizia e di pace» ha augurato Francesco. E le stesse parole pronunciate nel luogo di culto, veneratissimo non solo dai cristiani, erano risuonate la mattina a Colombo durante l’omelia papale per la canonizzazione di Giuseppe Vaz, con l’auspicio che i cristiani possano offrire un contributo ancora maggiore al Paese, uscito da un lungo e sanguinoso conflitto civile. La figura dell’oratoriano di Goa, giunto clandestinamente a Ceylon nel 1686 per sostenere i cattolici perseguitati dagli olandesi calvinisti e offrire a tutti il suo aiuto, è stata additata dal Pontefice come esempio per i cristiani di oggi. Parlando ad almeno mezzo milione di persone riunite in un enorme parco davanti all’oceano, Francesco ha presentato il nuovo santo come sacerdote esemplare, che ha saputo «uscire verso le periferie, per far sì che Gesù Cristo sia conosciuto e amato ovunque». Con una notazione: proprio «come noi» Vaz è vissuto in un tempo di «rapida e profonda trasformazione», quando «i cattolici erano una minoranza», per di più «spesso divisa all’interno», mentre all’esterno «si verificavano ostilità» e persecuzioni. Bisogna superare le divisioni religiose, ha ripetuto il Papa. E come allora il missionario oratoriano che volle servire tutti, «chiunque e dovunque fossero», oggi la Chiesa in Sri Lanka, certo non ricca, non fa distinzione di alcun genere nel servizio generoso che presta con le sue opere a tutta la società. Con un’unica richiesta: essere libera per portare avanti la propria missione. L’esempio del santo proclamato a Colombo conferma poi che «l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita» e «per la dignità e la libertà degli altri». Proprio in questo modo bisogna essere missionari in contesti multireligiosi: con rispetto, appunto, insieme a «dedizione, perseveranza e umiltà». Semplice e toccante è stata la preghiera nel santuario di Madhu, immerso nel verde delle foreste, davanti all’antica immagine della Vergine che porta in braccio il piccolo Gesù e con la quale Francesco ha alla fine benedetto i fedeli. Qui tutti, tamil e singalesi, giungono nella casa di Maria come «membri di un’unica famiglia» ha detto il Pontefice. E ricordando la tragedia del conflitto civile che non ha risparmiato nemmeno il santuario, divenuto tuttavia un luogo di rifugio aperto a tutti, il Papa ha chiesto alla Madonna la grazia della misericordia di Dio e quella «di riparare i nostri peccati» e i mali provocati dalla guerra. Portata via dal santuario durante gli anni del conflitto civile, la piccola statua della Signora di Madhu vi è rientrata dopo la sua conclusione. «Ma la Madonna è rimasta sempre con voi» ha esclamato il Pontefice e «continua a portarci Gesù». Accompagnando il processo di riconciliazione perché le comunità tamil e singalese possano anch’esse tornare alla casa di Dio. g.m.v. donare per un periodo il santuario — il Pontefice ha esortato la popolazione a perseverare nel «difficile sforzo di perdonare e di trovare la pace». Un invito rivolto espressamente a «entrambe le comunità tamil e singalese», chiamate a «ricostruire l’unità che è stata perduta» per garantire al Paese «un futuro di riconciliazione, di giustizia e di pace». Rientrato da Madhu, Francesco ha poi incontrato nella nunziatura apostolica l’ex capo dello Stato Mahinda Rajapaksa, al quale proprio in questi giorni è succeduto il nuovo presidente della Repubblica Maithripala Sirisena. Quindi si è recato in un tempio buddista, dove la comunità gli ha mostrato in via eccezionale le reliquie di alcuni discepoli di Buddha, che tradizionalmente vengono mostrate solo una volta all’anno. Infine, in arcivescovado, ha salutato i vescovi del Paese, che non aveva potuto incontrare martedì a causa del ritardo accumulato lungo il tragitto dall’aeroporto al centro cittadino. Giovedì 15 il Papa si congeda dallo Sri Lanka per trasferirsi nelle Filippine, seconda meta del viaggio apostolico. A Manila è prevista soltanto una breve cerimonia di benvenuto all’aeroporto. Venerdì mattina i successivi appuntamenti, con la visita al presidente della Repubblica, l’incontro con le autorità e la messa. PAGINE 7 E 8 Telegramma del Pontefice a Giorgio Napolitano Sincera stima e vivo apprezzamento Giorgio Napolitano ha lasciato questa mattina, mercoledì 14 gennaio, la carica di presidente della Repubblica Italiana, alla quale era stato eletto nel 2006 e poi rieletto nel 2013. Nell’imminenza delle dimissioni, Papa Francesco gli ha fatto pervenire il seguente telegramma. A Sua Eccellenza On. Giorgio Napolitano Presidente della Repubblica Italiana Palazzo del Quirinale 00187 Roma Appreso del Suo congedo dalle funzioni di Capo dello Stato, mentre sto compiendo il viaggio apostolico in Sri Lanka e Filippine, Le sono spiritualmente vicino e desidero esprimerLe sentimenti di sincera Di fronte alla strumentalizzazione dei bambini da parte delle organizzazione terroristiche Le ragioni della speranza WASHINGTON, 14. La sfida del terrorismo va ormai oltre ogni cinismo e ferocia. Ieri il sito di monitoraggio dell’attività on line delle organizzazioni terroristiche ha denunciato la messa in rete di un filmato nel quale un bambino kazako spara alla nuca di due presunte spie russe. I terroristi del cosiddetto Stato Islamico profanano la sua infanzia trasformandolo in boia. Un destino condiviso dalle bambine usate in Nigeria da Boko Haram per compiere attentati suicidi. L’informazione globalizzata propone ormai una tragica realtà che ha superato le pratiche già conosciute del reclutamento di bambini soldato e di manovalanza criminale, dell’uso brutale di droghe e terrore, dell’asservimento sessuale. E in tutto il mondo all’orrore e alla pietà si somma timore per una degenerazione incontrollata della ferocia e del cinismo. Una degenerazione favorita appunto dai mezzi di nuova comunicazione sociale che permettono di esibire l’orrore come un trofeo. Eppure le ragioni della speranza non mancano. Lo dimostra l’opera svolta senza clamore dal volontariato religioso e civile che si dedica al recupero e alla protezione dei bambini liberandoli da tanto orrore. E lo dimostrano pure gli sforzi educativi di tante famiglie e di tante comunità; il dialogo mai interrotto tra le religioni e le culture. stima e di vivo apprezzamento per il Suo generoso ed esemplare servizio alla Nazione italiana, svolto con autorevolezza, fedeltà e instancabile dedizione al bene comune. La Sua azione illuminata e saggia ha contribuito a rafforzare nella popolazione gli ideali di solidarietà, di unità e di concordia, specialmente nel contesto europeo e nazionale segnato da non poche difficoltà. Invoco su di Lei, sulla Sua Consorte e sulle persone care l’assistenza divina, assicurando un costante ricordo nella preghiera. FRANCISCUS PP 14 gennaio 2015 MARCO BELLIZI A PAGINA 3 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Grand Island (Stati Uniti d’America), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor William J. Dendinger, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Provvista di Chiesa Bambina afghana in un campo profughi nelle zone tribali vicino a Islamabad (La Presse/Ap) Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Grand Island (Stati Uniti d’America) il Reverendo Monsignore Joseph G. Hanefeldt, del clero dell’Arcidiocesi di Omaha, finora Parroco della «Christ the King Parish» a O maha. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 giovedì 15 gennaio 2015 Il rappresentante libico alla Lega araba Ashour Abu Rashed nel corso di un vertice al Cairo (Afp) Kerry elogia gli sforzi di Islamabad nella lotta al terrorismo Aiuti statunitensi per le aree tribali pakistane ISLAMABAD, 14. Il segretario di Stato americano, John Kerry, in visita ufficiale in Pakistan, ha lodato gli sforzi del Governo di Islamabad nella lotta contro il terrorismo e ha annunciato che dagli Stati Uniti sono in arrivo altri duecentocinquanta milioni di dollari di aiuti. Questi fondi, ha precisato il capo della diplomazia statunitense, saranno destinati per assistere le popolazioni colpite dalle ripetute operazioni militari nelle aree tribali. Kerry ha parlato a Islamabad in una conferenza stampa insieme al consigliere per la Sicurezza nazionale e la Politica estera, Sartaj Aziz. «Come in questi momenti difficili siamo vicini alla Francia — ha proseguito Kerry — continueremo a essere vicini anche al Pakistan, affinché il Paese possa costruirsi un futuro libero dalle minacce degli estremisti». «Diversi gruppi terroristici talebani — ha aggiunto il segretario di Stato, che nel fine settimana si recherà in India — continuano a minacciare il Pakistan e i Paesi confinanti». A riguardo, gli Stati Uniti hanno iscritto Maulana Fazlullah, capo del movimento tale- bano Tehrek-e-Taliban Pakistan (Ttp), nella lista dei terroristi internazionali. Lo hanno confermato fonti del dipartimento di Stato, precisando che sotto la leadership di Fazlullah, il Ttp ha rivendicato il tremendo attacco del 16 dicembre scorso alla scuola pakistana di Peshawar, in cui sono state uccise centocinquanta persone, la maggior parte delle quali studenti. La sua designazione come "terrorista internazionale", precisa il dipartimento di Stato, prevede, tra l’altro, il divieto per i cittadini americani di svolgere transazioni con Fazlullah e il congelamento di tutte le sue proprietà e beni negli Stati Uniti. Fazlullah è alla guida del Tehreke-Taliban Pakistan dal novembre del 2013, dopo la morte in un raid aereo statunitense del comandante Hakimullah Mehsud. Kerry ha poi citato l’offensiva militare in Nord Waziristan, avviata a metà giugno e diretta per la prima volta contro i gruppi della jihad che hanno le basi in questo remoto distretto al confine afghano. Secondo l’esercito di Islamabad, nei raid sono morti oltre mille sospetti militanti islamici. Pyongyang propone colloqui in sede Onu PYONGYANG, 14. La Corea del Nord ha chiesto agli Stati Uniti di aprire un negoziato diretto in sede Onu sull’ipotesi di sospendere i test nucleari in cambio dell’annullamento delle previste manovre militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud. Washington ha respinto la proposta nordcoreana riguardo alle esercitazioni militari, ma si è detta «aperto al dialogo» con il regime comunista di Pyongyang. In una nota ufficiale diffusa ieri, l’ambasciatore An Myong Hun, vice rappresentante permanente della Corea del Nord alle Nazioni Unite, ha negato che il suo Paese abbia ordinato il cyberattacco contro la Sony. «È senza senso fare una cosa del genere», ha aggiunto, chiedendo che gli Stati Uniti forniscano delle prove di quanto sostengono e definendo tali affermazioni «un’altra dimostrazione della politica ostile contro Pyongyang». Quindi, ha rilanciato l’ipotesi dell’inchiesta congiunta con Washington sui fatti avvenuti alla Sony. Il marò Latorre resta in Italia NEW DELHI, 14. Massimiliano Latorre potrà restare in Italia altri tre mesi per curarsi. La Corte suprema indiana ha infatti concesso una proroga per motivi di salute al marò accusato dell’omicidio di due pescatori in India insieme a Salvatore Girone, il collega che resta invece a New Delhi. La notizia è stata resa nota da fonti giudiziarie indiane e confermata dalla Farnesina. Lo scorso 12 settembre, Latorre aveva ottenuto il permesso di curarsi in Italia dopo l’ictus che lo aveva colpito il 31 agosto. Il permesso era scaduto il 12 gennaio, ma prima il militare è stato operato al cuore. Anche il Governo indiano aveva dato parere favorevole alla proroga. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Si aprono i colloqui tra le fazioni rivali La Libia riparte da Ginevra TRIPOLI, 14. Accelerazione dell’O nu per una soluzione della crisi libica. L’inviato delle Nazioni Unite, lo spagnolo Bernardino Léon, ha annunciato ieri sera che i colloqui tra le parti (le varie fazioni islamiche e il Governo riconosciuto dalla comunità internazionale con sede a Tobruk) inizieranno oggi a Ginevra, anche se non ha fornito al momento dettagli sui partecipanti. In precedenza, le fazioni islamiche che controllano Tripoli — una coalizione di tre gruppi: l’Alba Libica, Fajir e le brigate di Misurata — avevano fatto sapere che avrebbero deciso solo domenica prossima se inviare o meno una delegazione in Svizzera. Sembra invece certa la presenza dei delegati del Governo internazionalmente riconosciuto guidato dal premier Abdullah Al Thani. Un messaggio di sostegno ai nuovi negoziati è intanto giunto ieri dall’Unione europea. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Federica Mogherini, ha infatti dichiarato che Bruxelles deve definire meglio il suo ruolo in Libia, ed è pronta «a un’azione nel caso in cui si verifichi lo scenario peggiore», anche se l’obiettivo principale è quello «di evitarlo». Riferendo al Parlamento di Strasburgo, Mogherini ha ribadito che «lunedì prossimo discuteremo con i ministri europei che cosa si può fare e quali sviluppi, speriamo positivi, ci saranno dall’incontro a Ginevra». Però, ha aggiunto, «dobbiamo essere flessibili e dobbiamo anche prepararci allo scenario peggiore, anche se non voglio discutere di questo perché è il giorno in cui trasmettere ai libici e ai loro vicini il messaggio che questa è l’ultima possibilità, che non si può sprecare». Intanto, le violenze proseguono senza tregua in un Paese sempre più spaccato. Un attentatore suicida si è fatto esplodere ieri al volante della sua auto presso un posto di controllo a un centinaio di chilometri a ovest di Bengasi, uccidendo tre soldati e ferendone altri quattro. Lo ha riferito una fonte militare libica, precisando che l’incidente è avvenuto sulla strada per Agedabia. Non è arrivata ancora nessuna rivendicazione ma Bengasi è stata per mesi al centro di aspri scontri tra le forze governative e la milizia islamista di Ansar Al Sharia, che controlla parte della città. Lo stesso checkpoint era già stato teatro di un altro attentato lo scorso ottobre, ma allora il kamikaze si era fatto esplodere prima di raggiungerlo, senza fare altre vittime. E pochi giorni fa sempre a Tripoli — a conferma del clima di tensione e violenza nel Paese — la sede dell’emittente televisiva «Al Naba» è stata oggetto di un attacco: un gruppo di miliziani armati ha lanciato due razzi contro la palazzina che ospita gli uffici dell’emittente causando ingenti danni materiali, ma senza provocare feriti, dato che all’ora dell’attacco gli uffici erano chiusi. Progressiva perdita di produttività delle aree coltivate Ma l’ex presidente egiziano rimane in carcere Terre d’Africa impoverite Condanna annullata a Mubarak PARIGI, 14. Circa il 65 per cento della terra coltivata africana è danneggiata al punto tale da non poter più essere produttiva. Lo stesso si può dire del trenta per cento dei pascoli e del venti per cento delle foreste. La denuncia è contenuta in un rapporto redatto dal Montpellier Panel, l’organismo con sede nell’omonima città francese che riunisce esperti di agricoltura e ambiente europei e africani. Nel rapporto intitolato Conserving, Restoring and Enhancing Africa’s Soils («Conservare, ripristinare e migliorare i terreni dell’Africa»), si specifica che le conseguenze di questa situazione ricadono «in maniera sproporzionata sui piccoli agricoltori perché le caratteristiche naturali dei suoli, la precaria sicurezza agraria e l’accesso limitato ai mercati li spingono a fare scelte di breve periodo che riducono i guadagni a lungo termine». Nei Paesi della sola Africa subsahariana — specifica il rapporto — sono colpite da questa situazione centottanta milioni di persone, con perdite stimate in 68 miliardi di dollari ogni due anni. Gli analisti del Montpellier Panel sottolineano inoltre che la questione non è tecnica e neppure solo economica in senso stretto, ma fondamentalmente legata a quelle scelte politiche che finora hanno sempre penalizzato le popolazioni rurali. Infatti, «con diritti più certi sulla terra, una maggiore istruzione e più formazione», tutti gli agricoltori africani po- trebbero realizzare «le potenzialità produttive, ambientali e sociali» che derivano dal possesso e dallo sfruttamento della terra, migliorando in modo sensibile le loro condizioni di lavoro e di vita. Lo studio del Montpellier Panel conferma dunque che alla questione dell’agricoltura di sostentamento agricola sono legate le possibilità di sviluppo del continente, le cui coltivazioni sono finora sostanzialmente indirizzate ai consumi del nord ric- co del mondo o a quelli dei Paesi emergenti. Tra l’altro, in Africa si trova la parte più rilevante delle terre arabili attualmente non occupate nel mondo e che gli interessi internazionali ad assicurarsene il controllo sono fortissimi. In conclusione, lo studio redatto e pubblicato dal Montpellier Panel lancia un appello alla «cura e attenzione necessarie per un uso sostenibile e produttivo a lungo termine dei terreni africani». IL CAIRO, 14. La Corte di cassazione egiziana ha accolto ieri un ricorso presentato in luglio contro la sentenza di condanna dell’ex presidente Hosni Mubarak a tre anni di prigione per corruzione e ha ordinato un nuovo processo. I giudici hanno annullato per difetti di forma anche le condanne a quattro anni inflitte ai due figli Dimissionario dopo appena nove mesi il Governo di Roger Kolo Crisi politica in Madagascar ANTANANARIVO, 14. Il Governo del Madagascar guidato dal primo ministro Roger Kolo si è dimesso dopo appena nove mesi dal suo insediamento, nell’aprile scorso. Il presidente della Repubblica, Hery Rajaonarimampianina, ha accettato le dimissioni e il suo ufficio ha comunicato che il processo per la formazione di un nuovo Governo è in corso. In ogni caso, il presidente dovrà ora trovare in Parlamento i voti per far eleggere un successore di Kolo. Il suo movimento politico, infatti, non dispone di una maggioranza. Nessuna spiegazione è stata data da Kolo, che ha anche rifiutato di rispondere ai giornalisti sul tema. Secondo quanto ricorda l’agenzia Misna, la possibilità di un passo indietro del primo ministro era stata ampiamente prospettata dalla stampa locale nelle ultime settimane. «L’Express de Madagascar» scrive che il capo del Governo sarebbe stato costretto a questo passo — compiuto dopo molte resistenze — dall’aperta insubordinazione di metà dei ministri. A questa avrebbe fatto seguito «un intervento del presidente della Repub- blica in persona» per reclamare le dimissioni. La testata malgascia individua in alcuni consiglieri della presidenza gi avversari dell’ormai ex primo ministro. Il Governo di Kolo era comunque molto contestato dall’opinione pubblica, che rimproverava al primo ministro l’incapacità di portare avanti politiche di sviluppo per il Paese, lasciando irrisolto in particolare il problema della carenza di energia elettrica. In campagna elettorale Rajaonarimampianina aveva citato questo problema tra i più urgenti a livello sociale. dell’ex presidente, Gamal e Alaa, nell’ambito dello stesso processo, ultimo capitolo giudiziario che ha sancito la fine politica di Mubarak. Il processo riguarda le malversazioni da circa 15 milioni di euro ascritte a lui e alla sua famiglia per avere utilizzato a scopi privati fondi destinati alle residenze istituzionali. In attesa che venga istruito il nuovo procedimento da un diverso tribunale, l’ex capo dello Stato resterà nel carcere militare fino a decisione della procura o della corte, ha riferito una fonte della sicurezza citata dall’agenzia di stampa Mena. «Mubarak e i suoi figli non saranno rimessi in libertà perché la sentenza della Corte di cassazione non l’ha ordinato» si legge sui media di Stato, che ricordano come la decisione sia ora nelle mani della procura generale o del nuovo tribunale che lo giudicherà. Mubarak resta dunque nell’ospedale militare del Cairo, dove è stato portato nell’agosto 2013 dopo due anni di detenzione in altri istituti. L’ultraottantenne ex presidente era stato già prosciolto lo scorso 29 novembre nel processo relativo all’uccisione di centinaia di manifestanti durante le sanguinose proteste dell’inizio del 2011, che in soli diciotto giorni avevano portato alla sua caduta. Il drone in prima pagina Nuovo modello di drone presentato alla fiera high-tech a San Francisco (La Presse/Ap) GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale WASHINGTON, 14. Altro che giornalismo multimediale. Alla Cnn fanno sul serio: il network statunitense ha siglato ieri con la Federal Aviation Administration (Faa) un accordo per testare l’uso dei droni, aerei senza pilota usati principalmente nelle operazioni militari, a scopo giornalistico. In altre parole, grazie all’uso di droni, certi tipi di inchieste potranno essere svolte in maniera molto più semplice e dinamica, e le riprese saranno di qualità migliore. «Il nostro obiettivo — ha spiegato il vicepresidente della Cnn, David Vigilante — è quello di andare oltre l’attuale livello per determinare le reali possibilità di impiego dei droni per produrre video giornalistici di alta qualità. La nostra speranza — ha aggiunto Vigilante — è che que- Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 sti sforzi contribuiscano a creare un ecosistema dinamico nel quali operatori diversi e di diverse entità possano agire in sicurezza insieme all’interno dello spazio aereo statunitense». Nell’accordo con l’Faa confluisce anche quello che la Cnn ha in corso con il Georgia Tech Research Institute di Atlanta, che sta sperimentando software pre-caricati per far volare i droni autonomamente. «Gli aeromobili pilotati a distanza — ha spiegato il direttore della Faa, Michael Huerta — offrono alle organizzazioni giornalistiche delle opportunità significative. Noi confidiamo che l’accordo con la Cnn e il lavoro che faremo con altre testate possa contribuire a integrare in piena sicurezza l’uso dei droni nello spazio aereo nazionale». Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 15 gennaio 2015 pagina 3 Giorgio Napolitano e la consorte Clio lasciano il Quirinale (Ansa) Secondo l’Europol migliaia di persone si arruolano nelle fila del terrorismo Al Qaeda rivendica gli attentati in Francia PARIGI, 14. Fin da subito i fratelli Kouachi, autori della terribile strage di una settimana fa al settimanale satirico «Charlie Hebdo», si erano dichiarati membri di Al Qaeda, ma solo oggi è arrivata la conferma “ufficiale”: il massacro è stato infatti rivendicato dall’organizzazione Al Qaeda nella penisola arabica in un videomessaggio pubblicato su YouTube. «Li avevamo incaricati noi» dichiara Nasser bin Ali Al Ansi, membro del braccio yemenita della rete del terrore, che spiega: «L’operazione è una vendetta». Sarebbe stato il capo di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri, a ordinare l’attentato al settimanale. Alle spalle del leader del gruppo, che parla per oltre undici minuti, compaiono le immagini dell’attacco contro «Charlie Hebdo», i volti dei fratelli Kouachi, responsabili dell’assalto, ma anche le immagini della manifestazione di domenica nella capitale francese. In Francia e in tutta Europa, intanto, l’allerta resta altissima. L’Europol ha fatto sapere ieri che tra L’Europa dice sì all’acquisto di titoli di Stato dei Paesi membri FRANCOFORTE, 14. La Corte di giustizia europea promuove il piano della Bce per l’acquisto di titoli di Stato dei Paesi membri: una misura che potrebbe dare una svolta importante alla ripresa nel vecchio continente, aprendo la strada verso una Bce più simile alla Federal Reserve statunitense e quindi con maggiori poteri di azione anticrisi. Secondo la Corte, il piano di Draghi «in linea di principio» rispetta i trattati europei, anche se alcuni aspetti debbono essere rivisti. Così si è espresso l’avvocato generale della Corte di giustizia in un parere consultivo, che non ha valore vincolante ma che comunque abitualmente viene rispettato nella sentenza finale, attesa nel giro di pochi mesi. L’avvocato generale della Corte, Pedro Cruz Villalón, ha sottolineato che la Bce deve avere «ampia discrezionalità nella politica monetaria»: un passaggio chiave, che in un certo senso apre la strada a un maggior avvicinamento dell’istituto di Francoforte al modello statunitense della Federal Reserve. Infatti, proprio per contrastare la crisi, la Banca centrale statunitense sotto la guida di Ben Bernanke ha svolto un ampio programma di acquisto di titoli di Stato (chiamato Quantitative Easing) che ha avuto effetti molto positivi sull’economia reale e sul mercato del lavoro. Intanto, dalle colonne di «Die Zeit», in un’intervista il presidente Draghi ha voluto sottolineare che il compito della Bce «non può e non deve consistere nell’accollarsi le riforme di alcuni Governi». Il presidente ha sottolineato che alla Bce «mancherebbe la legittimazione democratica» per compiere azioni di questo tipo. Draghi ha quindi ribadito la sua linea: per mantenere la stabilità monetaria in Europa — il principale obiettivo della Bce — è necessaria una politica espansiva, e questo include l’acquisto di titoli di Stato. Inoltre, per contrastare l’inflazione, la Bce deve «mantenere i tassi bassi e lavorare a una politica monetaria espansiva che accompagni la crescita». Draghi ammette che all’interno del direttivo — la prossima riunione è in agenda per il 22 gennaio — ci sono differenti posizioni su come rispettare il mandato dell’istituto «ma le possibilità che abbiamo di agire non sono illimitate». Tutti i membri del direttivo della Bce «sono determinati ad adempiere pienamente al loro mandato». 3.000 e 5.000 cittadini europei hanno lasciato il continente per unirsi agli jihadisti dello Stato islamico (Is) o di Al Qaeda per combattere in Siria, Iraq o in altri fronti. L’agenzia anticrimine dell’Ue ha avvertito che quella attuale è «senza alcun dubbio la più grave minaccia terroristica che l’Europa deve affrontare dall’11 settembre». Europol ha finora schedato nel suo database di terroristi circa 2.500 persone. Tuttavia, il capo dell’antiterrorismo Ue, Gilles de Kechove, ha avvertito che «non si possono prevenire nuovi attacchi al cento per cento». Intanto, la polizia francese ha arrestato il comico francese Dieudonné, indagato nei giorni scorsi per apologia di terrorismo, per aver pubblicato su Facebook la frase «Mi sento Charlie Coulibaly», fondendo il nome del giornale con quello di Amedy Coulibaly, l’autore della strage nel supermarket kosher. Gli inquirenti francesi hanno aperto un’indagine anche sulle minacce contro il settimanale satirico «Le Canard Enchainé», dopo che la redazione ha fatto sapere di aver ricevuto l’8 gennaio scorso delle minacce in cui si avvertiva il giornale che sarebbe arrivato «il suo turno». Sul piano politico, l’Eliseo ha fatto sapere che il segretario di Stato americano, John Kerry, incontrerà venerdì mattina a Parigi il presidente francese, François Hollande, per discutere degli attacchi terroristici che hanno colpito il Paese e del vertice convocato alla Casa Bianca nelle prossime settimane. Dodici civili uccisi a Donetsk in un bus di linea centrato da un colpo di artiglieria Tregua sempre più fragile in Ucraina KIEV, 14. Grave violazione della fragile tregua nell’est dell’Ucraina. Un colpo di artiglieria ha infatti centrato ieri un autobus di linea vicino alla città di Donetsk, capoluogo dell’omonima regione e roccaforte dei ribelli secessionisti, causando la morte di almeno dodici persone e il ferimento di altre diciassette, alcune ricoverate in gravi condizioni. Il colpo (forse un missile grad) sarebbe stato sparato dai separatisti filorussi, sostengono fonti militari di Kiev riprese dall’agenzia Afp, specificando che l’autobus — con a bordo solo civili — è stato colpito in pieno mentre era fermo a un posto di blocco governativo a Volnovakha, località a trentacinque chilometri a sud-est di Donetsk. I separatisti hanno negato ogni responsabilità. Subito dopo la notizia della strage di civili, la portavoce dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha dichiarato che «un cessate il fuoco duraturo rimane la chiave per raggiungere una soluzione politica, basata sulla rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale ucraina, e l’Ue sosterrà ogni sforzo in questa direzione». La portavoce ha aggiunto che Bruxelles sottolinea la necessità di rispettare rigorosamente il protocollo per il cessate il fuoco. Ma le notizie che provengono dall’est sono sempre più gravi. La torre di controllo dell’aeroporto di Donetsk, da mesi conteso tra forze Mariano Rajoy in visita ad Atene ATENE, 14. Il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, è arrivato oggi ad Atene per una breve visita durante la quale ha incontrato il collega greco, il conservatore Antonis Samaras. Secondo i media locali, la visita di Rajoy ad Atene era stata concordata domenica scorsa a Parigi, dove i due uomini politici erano andati per partecipare alla grande manifestazione contro il terrorismo. Con la sua visita, il premier spagnolo intende esprimere il suo sostegno a Samaras, leader del Partito Nea Dimokratia in vista delle elezioni del prossimo 25 gennaio. I sondaggi danno attualmente al primo posto il partito della sinistra radicale Syriza. Rajoy, leader del Partido Popular, ha detto varie volte di essere particolarmente attento al voto ellenico. armate ucraine e quelle di milizie separatiste, è infatti crollata. Come ha reso noto il portavoce dello stato maggiore dell’esercito ucraino, Vladislav Seleznev, due giorni fa i ribelli filorussi avevano bombardato l’edificio. La torre è colassata parzialmente, dalla sommità al quarto piano, come ha confermato il portavoce del consiglio di Sicurezza e Difesa, Andrii Lisenko. Lo strategico aeroporto di Donetsk è attualmente sotto controllo delle forze ucraine e la sua perdita potrebbe cambiare drasticamente la situazione sul campo nel Donbass. Negli ultimi giorni, combattimenti tra militari ucraini e milizie separatiste si sono intensificati: lo hanno confermato sia ufficiali ucraini che leader ribelli. Il 15 gennaio prossimo è in programma un incontro internazionale ad Astana per riprendere i difficili negoziati di pace dopo il secondo accordo per un cessate il fuoco raggiunto il 9 dicembre a Minsk. Il primo, siglato lo scorso 5 settembre, non è mai stato rispettato. L’interno del bus colpito vicino alla città di Donetsk (La Presse/Ap) I nove anni al Quirinale di Giorgio Napolitano Presidente di tutti gli italiani di MARCO BELLIZI Giorgio Napolitano ha lasciato il Quirinale dopo nove anni di presidenza della Repubblica italiana. La lettera con le sue dimissioni è stata fatta recapitare questa mattina al presidente del Senato, Pietro Grasso, che ora assume in supplenza le funzioni di capo dello Stato, al presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini — alla quale spetta il compito di convocare il Parlamento in seduta comune entro quindici giorni per eleggere il nuovo capo dello Stato — e al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi. Nei suoi nove anni di presidenza, Napolitano ha dovuto affrontare non pochi momenti critici della vita politica, economica e sociale del Paese. Lo testimonia, anzitutto, la circostanza stessa della sua rielezione, arrivata come unica soluzione praticabile dopo un confronto parlamentare aspro e apparentemente irrisolvibile. Era stato lui stesso, accettando il secondo mandato, a preannunciare le dimissioni nel momento in cui, a suo giudizio, le forze non gli avessero consentito di adempiervi con la necessaria energia. Tenendo fede a quanto a suo tempo assicurato, Napolitano ora chiude con il consueto stile anche la polemica su quella rielezione, secondo alcuni voluta e favorita attivamente da lui stesso. Insinuazioni probabilmente alimentate dall’esigenza di mascherare l’incapacità delle forze politiche di arrivare, in quel momento, a un accordo sulla prima carica dello Stato, e dall’insofferenza nei confronti dello stile seguito dal Quirinale in questi nove anni, frutto dell’adesione imparziale e rigorosa allo spirito della Costituzione, di cui il presidente della Repubblica italiana è, nei fatti, il primo interprete. Uomo di sinistra, laico ma non insensibile alle istanze religiose — è notevole il rapporto anche di affetto personale che lo lega a Benedetto XVI così come la naturale e immediata affinità su alcuni temi con Papa Francesco — Napolitano ha saputo esprimere il senso unitario Bruxelles vara nuove regole su investimenti e deficit Oltre la flessibilità BRUXELLES, 14. Dall’austerità alla crescita, sfruttando la flessibilità del patto di stabilità: la Commissione Ue, vincendo le resistenze interne, ha presentato ieri ufficialmente una nuova interpretazione della disciplina di bilancio che appare molto più favorevole per Paesi in difficoltà, per i quali i vincoli sui conti pubblici si sono trasformati in trappole per la crescita, complice anche la lenta ripresa dell’eurozona. Come ha spiegato il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, con queste nuove norme gli Stati avranno sia «incentivi a fare riforme» che maggiori possibilità di fare «investimenti indispensabili per promuovere il rilancio dell’economia e creare posti di lavoro». Inoltre, come ha spiegato il presidente della Commissione economica dell’Europarlamento, Roberto Gualtieri, ora «ci sono le condizioni per la promozione dell’Italia nella verifica fissata da Bruxelles a marzo». Secondo queste nuove norme, come già anticipato nei giorni scorsi, quei Paesi che daranno soldi al Fondo per gli investimenti strategici europei, nato con il piano Juncker, avranno alcuni vantaggi sul piano della misurazione del deficit di bilancio. In altre parole, il Paese che investe nel Fondo non dovrà, per farlo, usare soldi pubblici e dunque pesare sul suo bilancio. «Non vogliamo che gli Stati usino la scusa del Patto per non investire, non possiamo disincentivare gli investimenti» ha detto il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici. Per questo le linee guida sono pensate per aiutare gli Stati a spendere nello sviluppo. Non modificano le regole attuali, ma le rileggono alla luce della necessità di rimettere in moto investimenti e crescita. A beneficio soprattutto di chi — ha spiegato Moscovici — oggi non ha margine di manovra sui propri conti e rischia di sforare i parametri se volesse anche solo spendere i fondi strutturali, visto che vanno co-finanziati con soldi pubblici che pesano sul bilancio. Nel dettaglio, le nuove regole consentiranno a un Paese di deviare temporaneamente dall’obiettivo di medio termine (il pareggio strutturale di bilancio) se il proprio prodotto interno lordo è negativo o se è sotto il potenziale di almeno 1,5 per cento, e se si investe in progetti co-finanziati dalla Ue. Non si potrà spendere però se il deficit va sopra la soglia del tre per cento: questo resta il paletto insuperabile per i tecnici di Bruxelles. dello Stato e delle sue istituzioni, erede dello spirito che nel dopoguerra aveva condotto i costituenti alla stesura di una Carta fondamentale capace di essere baluardo di democrazia e pluralismo. Allo stesso tempo, Napolitano si è sempre dimostrato molto attento nell’interpretare i mutamenti in atto nella vita politica e sociale del Paese, indicando senza timore anche le inadeguatezze di una Costituzione concepita ormai quasi settant’anni fa, all’indomani della tragica esperienza fascista e indicando più volte la strada, per esempio, del superamento del bicameralismo perfetto, ora nell’agenda delle riforme avviate dal Governo Renzi. Non si può comprendere a pieno, forse, la figura politica di Napolitano e la ragione di alcune sue scelte, senza partire proprio da quella principale fonte di ispirazione che è stata l’adesione al principio costituzionale di garanzia dell’unità del Paese, alla quale, non a caso, ha fatto riferimento anche nelle sue ultime dichiarazioni rilasciate da capo dello Stato. Dagli interventi sul tema della riforma della giustizia, che più volte ha rischiato di spaccare in due il Paese, a quelli sul rispetto della dignità di quanti sono detenuti nelle carceri, al ruolo fondamentale e decisivo svolto durante la tempesta finanziaria che nel 2011 minacciava di travolgere l'Italia — e che condusse all’incarico di formare un nuovo Governo affidato a Mario Monti — fino alla spinta esercitata anche in queste ultime ore al fine di assicurarsi che le riforme istituzionali facciano la loro strada speditamente e senza essere condizionate proprio dall’elezione del nuovo capo dello Stato, Napolitano ha faticato non poco nel voler essere presidente di tutti in un momento in cui da qualche parte si preferiva invece un Paese diviso dallo scontro. È questa, probabilmente, l’eredità politica che, nel momento in cui lascia il Quirinale, egli consegna agli italiani e che costituisce un’indicazione di cui si dovrà tenere conto al momento della scelta del suo successore. Altro record per l’economia tedesca BERLINO, 14. La Germania ha raggiunto il pareggio di bilancio già nel 2014, un anno prima di quanto previsto. È la prima volta dal 1969 che la Germania raggiunge questo obiettivo. Lo ha annunciato ieri il ministero del Bilancio, confermando ancora una volta il buon stato dei conti e dell’economia tedesca. A questo punto è prevedibile — dicono gli analisti — un aumento delle pressioni di Bruxelles nei confronti di Berlino perché aumenti gli investimenti pubblici al fine di stimolare la debole crescita dell’eurozona, anche se difficilmente il Governo di Angela Merkel seguirà questa strada. Il cosiddetto «Schwarze Null» è stato possibile soprattutto grazie al forte calo della spesa per gli interessi sul debito. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 giovedì 15 gennaio 2015 Mosaico della battaglia di Isso (II secolo, particolare) Al Sinodo Joan Clements ha ribadito il ruolo cruciale svolto dalla regolazione naturale della fertilità nel fronteggiare la profonda crisi che la famiglia sta vivendo Il metodo funziona nel 99,5 per cento dei casi L’idea vincente dei Billings di DANIELA BANDELLI ono i primi anni Cinquanta quando John ed Evelyn Billings, giovane coppia di medici australiani, neurologo lui e pediatra lei, accettano l’incarico offerto dall’arcivescovo di Melbourne di aiutare le coppie a regolare la loro fertilità. In quegli anni la rivoluzione sessuale è ancora in gestazione, le donne sono incoraggiate a fare le mogli casalinghe e le madri, la pillola anticoncezionale non ha ancora fatto irruzione e le gravidanze sono evitate, o cercate principalmente con la conta dei giorni dal ciclo mestruale (Ogino-Knaus). L’intuizione chiave dei due medici è quella di coinvolgere le donne nell’osservazione del proprio corpo per individuare i giorni fertili. Da qui la messa a punto del metodo naturale di regolazione della fertilità che porta il nome Billings, valido in tutte le fasi della vita riproduttiva della donna. Se applicato correttamente il metodo si è dimostrato efficace nel 99,5 per cento dei casi. Quello che inizialmente per la coppia di medici cattolici è un incarico di soli tre mesi si trasforma nella loro missione di vita. Nel 1978 istituiscono l’organizzazione internazionale Woomb (World Organisation of Ovulation Method Billings) per divulgare a donne e coppie in tutto il mondo le loro rivoluzionarie scoperte scientifiche, testate anche dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tra gli oltre centoventi Paesi visitati dai coniugi Billings la Cina è stato quello dove hanno ottenuto il loro più grande successo: il metodo è stato infatti adottato nelle politiche governative di pianificazione familiare. Del resto, in alcune cliniche australiane prese sotto esame dal 1999 al 2003, si è rilevato che oltre il sessanta per cento delle coppie che desideravano avere un figlio ha raggiunto lo scopo grazie al metodo Billings. Morti nel 2007 lui e nel 2013 lei, genitori di nove figli, nonni di 39 nipoti e 31 bisnipoti, i coniugi australiani hanno ottenuto questi risultati in una società dove la pillola anticoncezionale è assunta dal trenta per cento delle donne, tre bambini su dieci nascono fuori dal matrimonio, il 3,5 per cento delle nascite annuali è il risultato di concepimento in vitro e ogni anno vengono praticati circa novantamila aborti chirurgici. Non senza qualche difficoltà economica, la Woomb continua a studiare e promuovere il metodo in gruppi di formazione, cliniche, seminari per professionisti della salute e collaborazioni con i medici di famiglia, non solo in Australia ma in oltre quaranta Paesi di tutti i continenti. Inoltre, sul sito www.fertilitypinpoint.com è disponibile un grafico elettronico dove si possono registrare i propri sintomi giornalieri e con un click richiedere una consulenza. «La pianificazione naturale della fertilità ha una enorme ricaduta positiva sulla famiglia perché permette di migliorare la comunicazione nell’intimità tra uomo e donna, e fa sì che le donne si sentano curate e rispettate», spiega Joan Clements, che ha preso parte a nome della Woomb al recente Sinodo e al Pontificio Consiglio per la famiglia, dove ha ribadito il ruolo cruciale del metodo Billings nel fronteggiare la profonda crisi che la famiglia sta affrontando. «Insegnare alle persone S a realizzare ciò che desiderano dalla vita nei tempi giusti rispettando il corpo — continua Clements — significa contribuire a evitare che le famiglie si sfaldino. Tanti divorzi sono dovuti anche a un fallimento in questa gestione, e alla base c’è la mancata consapevolezza delle proprie potenzialità riproduttive». Clements fa riferimento agli studi condotti dal sociologo Robert Lerner dell’Università di Chicago che mostrerebbero una correlazione tra l’utilizzo del metodo e un bassissimo tasso di divorzio, addirittura dello 0,2 per cento. Viene però da chiedersi se questa maggiore longevità dei matrimoni non sia dovuta invece all’adesione ai valori cattolici delle famiglie che praticano il metodo. Non lo sappiamo, ma Clements fa notare che in Australia circa il sessanta per cento dei partecipanti ai corsi non sono cattolici. Oltre a coppie sposate, partner di fatto e donne single, destinatari della filosofia Billings sono anche gli adolescenti. Per esempio il programma collegato “Teenstar” si rivolge a giovani dai tredici anni in su, sulla soglia di quella fascia di età a rischio che in Australia vede sedici adolescenti su mille diventare baby-mamme. Il programma prevede che, con il consenso dei genitori, gli studenti partecipino a incontri settimanali per due semestri durante le ore di biologia, educazione alla salute e religione, dove imparano a ponderare le loro decisioni e a comunicare i loro comportamenti sessuali, anche contrastando la pressione dei coetanei e dei media. Quasi un contrappeso educativo alla parallela introduzione nelle scuole della visione queer secondo cui i genitori sono 1 e 2, i figli potrebbero nascere non solo dal naturale incontro tra maschio e femmina, e l’identità sessuale non sarebbe altro che un costrutto culturale che si può fare e disfare modificando il proprio corpo a piacimento. Nel pensiero dell’autore delle «Vite parallele» Europeismo ante litteram di MARCO BECK essun esponente della grecità imperiale si prodigò più appassionatamente ed efficacemente di Plutarco nell’ardua missione di accostare, conciliare, armonizzare la storia, il pensiero, la letteratura delle due civiltà dominatrici dell’antico Occidente: quella ellenico-ellenistica, giunta ormai al tramonto, e quella romana, ancora vitale e in piena espansione fra il I e il II secolo dell’era cristiana. Ingegno poliedrico, Plutarco era nato intorno all’anno 47 a Cheronea, in Beozia, regione centrale di una Grecia divenuta da tempo una provincia strategicamente marginale dell’impero, ancorché rispettata in virtù del patrimonio culturale accumulato nei remoti secoli del suo splendore. In quel nido familiare, in quel microcosmo domestico, Plutarco amò dimorare per lunghi periodi fino alla morte — collocabile tra il 120 e il 130 — confortato dall’affetto della moglie, dei fratelli e dei figli, gratificato dalla stima dei concittadini e dalla devozione degli allievi, ma soprattutto impegnato nella stesura di una strabiliante quantità e varietà di opere storico-filosofiche: oltre 250, di cui solo un’ottantina tramandate ai posteri. Non era, tuttavia, un intellettuale sedentario. Da giovane studiò ad Atene, presso l’Accademia, dove si appassionò al pensiero di Platone. Viaggi d’istruzione lo condussero in Egitto e in Asia Minore. Non mancò di visitare Roma, come rappresentante della sua comunità locale. Uomo di profonda religiosità, per un ventennio svolse il servizio di sacerdote addetto al venerando santuario di Apollo a D elfi. Nonostante il relativo isolamento, il “provinciale” Plutarco aveva del mondo contemporaneo — grazie alla sua apertura mentale, alla vastità della sua dottrina e all’elevatezza degli ideali coltivati — una visione “continentale”. In lui si potrebbe quasi scorgere il profilo di un europeista ante litteram, di un antesignano dell’odierna Unione europea. N tirò su Plutarco la simpatia di chi, come Teodoreto, teologo e vescovo di Cirro, arrivò a congetturare un suo contatto con il Vangelo. Quest’aura para-cristiana traspare, in effetti, anche da alcune pagine confluite in un’antologia che, pur nella sua snellezza, presenta una scelta di testi sufficiente a documentare la fisionomia prismatica di un repertorio assimilabile a un’enciclopedia dell’età imperiale. Il volume che oggi restituisce visibilità ad almeno uno spicchio dei Moralia prende in prestito il suo titolo dal dialogo De vita beata di Seneca: La vita felice (Torino, Einaudi, 2014, pagine XVI208, euro 26). Versioni italiane e corredo critico portano la firma dell’esperto classicista Carlo Carena. La sua selezione privilegia La fortuna, Non si può avere una vita piacevole seguendo Epicuro, La tranquillità dell’animo, Norme per mantenersi in buona salute, Norme per il matrimonio, Il banchetto dei sette sapienti, Venticinque detti di re, di generali e di spartani. Quale filo rosso riunisce in questo bouquet Al precario edonismo di Epicuro policromo i fiori del sapere e della sapienza Plutarco contrappone plutarchei scelti dal cui benefici dell’esercizio delle arti ratore? È lo stesso, in sostanza, che avvolge E una speculazione intellettuale l’intero complesso delle di stampo neoplatonico sue Opere morali, è l’affabile umanità di una cultura non egoisticagettività storica, l’opulenza aned- mente introflessa bensì comunicadotica, la penetrazione psicologi- tiva, desiderosa di divulgare i ca nella rappresentazione dei ca- saggi criteri di comportamento, ratteri, rendendole fonti inesauri- suscitatori di eudaimonìa (felicità), bili d’ispirazione per il teatro di che l’autore ha estratto sia da coShakespeare, Corneille, Racine e piose e fruttuose letture, sia Alfieri, hanno assicurato alle Vite dall’esperienza di una coerente, una fortuna postuma superiore a serena quotidianità. quella toccata alla seconda granIn questa amorevole solidarietà de collezione plutarchea: i cosid- con le ansie e le aspirazioni di detti (con titolo latino ormai con- tutti gli uomini, in questa partecipazione terapeutica alle loro sofvenzionale) Moralia. Eppure anche questi scritti di ferenze, fondata su un rispetto natura saggistica, incentrati su delle esigenze e delle opinioni aluna molteplicità di temi etico-fi- trui che rifugge da ogni dogmatilosofici — precettistica morale, smo, si radica la “filantropia” di politologia, problematiche scienti- Plutarco. E proprio qui risiede il segreto fiche e religiose, retorica, erudizione antiquaria, benessere psico- del suo piacere di scrivere per fafisico, e così via — ebbero insigni re del bene: il gusto di esprimersi ammiratori, quali Erasmo da Rot- con la stessa confidenziale freterdam e Montaigne. Nei primi schezza di una conversazione a secoli dell’era cristiana, addirittu- tavola, tra commensali legati da ra, il respiro etico dei Moralia at- reciproca stima e amicizia, secon- Orgoglioso custode delle proprie radici etnico-culturali, ma al tempo stesso sincero estimatore della grandezza di Roma, del suo primato civile, giuridico, economico, era convinto che lo spirito ellenico potesse giovare alla coesione e allo sviluppo di un organismo politico così esteso, complesso, multiforme come l’impero romano. Promuovere l’interazione — se non proprio l’integrazione — delle tradizionali qualità del popolo greco con le native virtù dei cives romani, pur senza oscurare nel confronto differenze e peculiarità: è questo il progetto, al limite dell’utopia, sotteso alla sua più celebre “collana editoriale”, che si articola nelle ventidue coppie di biografie di illustri personaggi della storia greca e romana, teoricamente speculari — ma tali, stricto sensu, solo in un paio di casi: Alessandro/Cesare, Demostene/Cicerone — designate come Vite parallele. La loro letterarietà non di rado irrispettosa dell’og- do il modello offerto da Talete, Solone e dagli altri antichi sapienti nell’immaginario banchetto al quale li convoca lo scrittore di Cheronea. Homo humanus, osserva Carena nella sua introduzione, «egli si occupa devotamente dell’individuo e cerca di medicare i suoi malanni incitandolo a instaurare e mantenere quell’equilibrio interiore e fisico che è segno e risultato di forza d’animo e garanzia di benessere». Di scritto in scritto, Plutarco declina la sua humanitas in chiave perlopiù filosofica, come quando esorta a combattere la cieca forza della fortuna con le risorse dell’intelligenza, della razionalità, della volontà. O quando al precario edonismo di Epicuro contrappone i benefici insiti nell’esercizio delle arti e delle lettere oltre che in una speculazione intellettuale di stampo neoplatonico. O ancora quando addita nel controllo delle passioni la sola prassi dispensatrice di una stabile tranquillità dell’animo. Altrove, mutando completamente registro, sfodera la sua competenza di igienista e dietologo nel suggerire una sana alimentazione utile al mantenimento di una buona salute. Sulla duplice pista della psicologia e della direzione spirituale si snodano poi, in vista di un matrimonio quanto più possibile felice, consigli che riflettono talora una concezione del rapporto coniugale naturaliter christiana, affine alla catechesi di san Paolo: «Quanto all’uomo, eserciti il suo dominio sulla donna non come padrone di una proprietà ma come fa l’anima col corpo, condividendo i suoi sentimenti e congiunto a lei dall’affetto». Del resto, a testimoniare come Plutarco — e con lui tutto un mondo sommerso di spiritualità greco-romana — fosse a un passo dalla conoscenza e dall’accoglienza del cristianesimo, potrebbe bastare anche solo questa citazione tratta da La tranquillità dell’animo: «L’universo è il tempio più santo e più degno di Dio, e l’uomo vi è introdotto con la nascita a contemplare rappresentazioni sensibili delle essenze intelligibili». La Zecca di Gela e l’operosità del popolo siciliano L’altra faccia della moneta Moneta d’argento risalente al 490-485 prima dell’era cristiana La storia insegna che il passato ritorna e lascia tracce indelebili. Ecco allora che il percorso di sviluppo della Sicilia, non potendo prescindere da una riscoperta delle proprie radici culturali, conosce una tappa obbligata nelle monete: rappresentano infatti il «racconto corale» di un popolo operoso, aperto agli scambi e vivo nei commerci. È su questa base che poggia il volume, in italiano e in inglese, Le monete della Zecca di Gela (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pagine 267, euro 32). Queste monete sono conservate sia al museo archeologico della città siciliana, sia presso il medagliere della Biblioteca vaticana. L’opera è a cura di Giancarlo Alteri, capo del Gabinetto del medagliere ambrosiano, e di Eleonora Giampiccolo, responsabile del medagliere della Vaticana. «Nelle incisioni — scrive nella presentazione Rosario Crocetta, presidente della regione Sicilia — ritroviamo le alternanze della grande storia, le effigi testimoni dei giorni della democrazia e di quelli della tirannide. Le figure rappresentate sulle monete sono simboli anche di una grande ricchezza. La loro fine lavorazione ci riporta a un tempo in cui l’isola era uno dei centri più progrediti del Mediterraneo». E nella prefazione il sindaco di Gela, Angelo Fasulo, evidenzia che il volume, nel raccontare 2.700 anni di storia attraverso il patrimonio monetario della zecca di Gela, mira a trasmettere ai più giovani la consapevolezza di vivere in una città dove «ogni angolo evoca gli echi del tempo e ogni traccia ritrovata rappresenta il segno di un sapere profondo». (gabriele nicolò). L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 15 gennaio 2015 pagina 5 Una rilettura della celebre opera di Tommaso da Kempis Imitazione senza rivalità di ODD ONE CAMERANA hi può sapere se Tommaso da Kempis, il mistico tedesco vissuto tra il il 1380 e il 1471, avesse consapevolezza di una cattiva imitazione accanto a quella da lui delineata nel e promossa dal famoso libro L’imitazione di Cristo? Sta di fatto che, impegnato a descrivere gli aspetti di pratica religiosa e comportamentali da seguire per imitare il Cristo, l’autore non fa cenno all’esistenza di un’eventuale imitazione da evitare. Noto come il libro più letto dopo il Vangelo, L’imitazione di Cristo è un testo devozionale, una traccia di ascesi cristiana cresciuta in ambiente monastico, un testo adatto alla vita nei monasteri e a chi ritiene di essere esule su questa terra e sceglie alcune regole di vita che si confanno al suo proposito. Intento non facile, tanto è vero che a integrazione delle regole prescritte e dei consigli contenuti nel libro, il testo prevede una preghiera: «O Signore Gesù, dura fu la tua vita e disprezzata dagli uomini; fa che io ti possa imitare disprezzato dal mondo». Perché la prima regola per imitare il Cristo è quella di rinnegare se stessi, prendere la propria croce e seguire il Cristo (Luca, 9, 23; 14, 27; Matteo, 16, 24). Per poter imitare il Cristo bisogna essere morti a se stessi, non disporre di sé ma darsi a Dio, essere ignorati, astenersi da ogni ricerca di sé, stare appartati, mortificarsi. «Sono un nulla» dice chi disprezza se stesso. Altri obblighi sono quelli secondo i quali il sapere è squalificato (un motivo di vanità), quello di non lasciare la propria stanza (disposizione che fa pensare a Pascal), di praticare la compunzione, il dispiacere di se stessi, il distacco accompa- C Hieronymus Bosch, «Cristo portacroce» (1498-1516 circa) gnato dalla consapevolezza della miseria umana. Centrale per imitare il Cristo è seguire la via dell’interiorità: via praticabile cercando Dio dentro di noi e non se stessi — dove si troveranno solo rovine — cercando rifugio nella passione di Cristo e nella sua sofferenza, cercando la libertà dal desiderio, la sottomissione, l’umiltà, il sopportare in pace, luoghi dove si troveranno la luce e la grazia. Il desiderio per altro non è escluso tenendo presente che le cose desiderate da chi imita il Cristo — la salvezza, la speranza, la consolazione, la pace — sono infinitamente disponibili e non creano rivalità. Altre centralità sono quella del conflitto tra vita presente e vita futura, tra esilio e salvezza, tra peccato e misericordia, tra natu- che vuole la presenza attiva dei fedeli nel mondo, immersi nella sua costruzione. E uno si chiede: dove trovano posto nella forma di imitazione prevista da Tommaso da Kempis i valori moderni della soggettività, della capacità di relazione, dell’empatia e dell’autostima ignorati dal testo medioevale? Senonché il dubbio che il trattato di Tommaso da Kempis mal si adatti alle esigenze di oggi trova un incoraggiamento e un rilancio in positivo quattro secoli dopo nell’ipotesi dell’esistenza di una buona imitazione in alternativa alla cattiva imitazione, esistenza teorizzata dall’antropologia di René Girard e dalla sua ipotesi del desiderio mimetico. La possibilità di imitare fattivamente il Cristo per Girard è il risultato di una lunga accanita, ramificata riflessione sull’imitazione stessa del desiderio che va redenta in quanNoto come il libro più letto dopo il Vangelo to all’origine della violenza sacrificale e dell’assassinio fondaè un testo devozionale tore su cui si basano le civiltà Che traccia un’ascesi cristiana non redente dal sacrificio di nata in ambiente monastico Cristo. Senonché non potendo l’uomo nella prospettiva mimetica fare a meno di imitare il desiderio del prossimo con cui ra e grazia. E poi la centralità della morte, poi entra in conflitto, non resta che imitare cui bisogna prepararsi da giovani quando il Cristo che imita il Padre. si è in salute e non da moribondi quando Imitare il Cristo e rifiutare di imporsi è ormai tardi per imparare a morire al come modello vuol dire cancellarsi agli ocmondo. Centralità della croce, desideran- chi del prossimo e fare in modo di non esdola perché la salvezza è nella croce. Cen- sere imitati. «Imitatemi — dice san Paolo — tralità del concetto del corpo come carcere perché imito il Cristo». E siamo tornati al e centralità infine della fede che arriva dopensiero di Tommaso da Kempis. ve non arriva la scienza. In un mondo in cui l’assassinio fondatoNon manca un cenno alla normalità della vita terrena: «Fa quel che devi; lavora, re ha perso di efficacia in quanto rivelato, scrivi, canta, piangi, taci, prega», elenco non abbiamo altra scelta che quella di imiche sembra poco più di una concessione a tare il Cristo. Il monaco come il prete di chi dovrà vivere nella Chiesa postconciliare strada. La guerra del Vietnam vista dai fotografi vietcong Dalla parte dei vincitori di GAETANO VALLINI La storia la scrivono i vincitori. Ma non sempre. Da questa parte del mondo, infatti, la guerra del Vietnam venne raccontata dai vinti, gli Stati Uniti. Ora però arriva la possibilità di un cambio di prospettiva: osservare quel conflitto come non si era mai visto in Occidente, ovvero dalla parte dei vincitori. A permetterlo è Ceux du Nord (Paris, Les Arènes - Fondation Patrick Chauvel, Foto di Ðoàn Công Tính (1970) 2014, pagine 160, euro 29,90), il volume che raccoglie le fotografie esposte in autunno a Perpignan, in Francia, nell’ambito del festival «Visa pour l’image», a cura del fotografo e documentarista Patrick Chauvel. Centoquaranta immagini inedite (in mostra erano solo settanta) scattate dai fotoreporter nordvietnamiti tra il 1966 e il 1975. Un punto di vista diverso, dunque, per raccontare la guerra più lunga e tra le più laceranti e contestate combattute dagli Stati Uniti, ma anche un’occasione per riflettere sul modo in cui essa fu presentata al mondo. Per questo Ceux du Nord è un’operazione particolarmente interessante, visto che l’iconografia di questo conflitto era stata finora affidata alle immagini scattate dai fotoreporter al seguito delle truppe statunitensi, inviate in quel lembo di Asia per contrastare l’avanzata comunista. Fotografie che contribuirono a scrivere la storia di quel conflitto, ma con un marchio unico. E ciò malgrado Don McCullin, Philipp Griffith, Gilles Caron, Henri Huet, Eddie Adams, Nick Ut — vincitore del Pulitzer per la famosa immagine realizzata l’8 giugno 1972 della bambina vittima del napalm che corre nuda, braccia in alto e il viso stravolto dal dolore — si sforzassero di raccontare le atrocità della “spora guerra” senza autocensure, limitandosi a mostrare quanto accadeva sotto i loro occhi, dunque scevri da intenti propagandistici. E non a caso le loro foto si fecero interpreti della crescente avversione al conflitto negli Stati Uniti e alcune loro immagini divennero vere e proprie icone, simboli del movimento pacifista. In ogni caso questo privilegio di fatto portò ad avere una visione unilaterale dei fatti, alimentata anche da un numero consistente di film hollywoodiani, che non teneva in nessun conto il punto di vista nordvietnamita, rimasto celato — a parte qualche scatto filtrato da oltre cortina — per più di quarant’anni. Grazie a Chauvel, che in Vietnam c’era stato come fotografo per documentare il conflitto e che molti decenni dopo c’è tornato per una conferenza ad Hanoi duran- Minh Ðao, e apprezzare il loro lavoro per l’Agence vietnamienne d’information (Avi), per giornali e riviste. Di molti altri non conosceremo il nome, visto che oltre duecentosessanta — questa la stima — morirono durante i combattimenti. Un lavoro ancora più apprezzabile in quanto, stando a quanto raccontato ma come facilmente immaginabile, i loro mezzi tecnici erano decisamente inferiori rispetto a quelli dei colleghi occidentali. Si È la prima volta narra, al riguardo che un fotografo, non possedendo un teleobiettivo, sia stato coche queste immagini circolano stretto ad avvicinarsi più volte alle truppe in Occidente di prima linea riuscendo a sopravvivere al Raccontando una storia diversa fuoco nemico. O di quello che, non avendo una camera oscura, aveva utilizzato un solo rullino da settantadue pose per tutta la guerra temendo che le preziose foto si finalmente voce e volto a quanti quella potessero rovinare con la luce nel momenguerra la vinsero. to in cui avesse aperto la sua vecchia macCosì oggi accanto ai nomi dei ben co- chinetta di produzione sovietica. nosciuti fotoreporter statunitensi si possoLa guerra vista dai vietcong ha certo un no aggiungere quelli di Ðoàn Công Tính, carattere trionfalistico, ma non quanto ci Lu’o’ng Nghĩa Dũng, Chu Chí Thành, si potrebbe attendere. Stava costando Hú’a Kiêm, Ngoc Ðan, Mai Nam, Vũ Ba, troppe vittime, probabilmente un milione, e infinite sofferenze anche alla popolazione. Così, mentre i fotografi occidentali erano impegnati a denunciare gli orrori e l’insensatezza di quel conflitto, i loro colleghi nordvietnamiti cercavano di esaltare l’eroismo e i sacrifici di un popolo intero chiamato a fronteggiare un nemico potentissimo. Gli stessi reporter erano considerati «cittadini fotografi combattenti». Non mancano quindi, oltre a quelle che documentano combattimenti, fotografie tese a incoraggiare il patriottismo, la lotta per la libertà e l’indipendenza, la mobilitazione delle masse «per l’edificazione del socialismo», come quella che mostra un panzer nordvietnaFoto di Võ An Khánh (foresta di U Minh, 15 settembre 1970) mita che entra a Saigon te la quale ha incontrato alcuni dei colleghi che operavano dall’altra parte del fronte, l’operazione Ceux du Nord si presenta come una sorta di risarcimento, mostrandoci le immagini riprese dai fotografi in prima linea con i vietcong, sostenuti, oltre che da Ho Chi-Minh, anche dall’Unione Sovietica e dalla Cina, dando Foto di Phan Thoan (Hà Tinh, 10 settembre 1965) accolto da una folla in tripudio. O quella che ritrae una giovane minuta con accanto un “gigantesco” soldato americano fatto prigioniero. Spesso i combattenti vengono mostrati sorridenti, in contesti quasi irreali, ma quegli scatti arrivavano da una guerra reale, con il suo carico di sofferenza e di dolore. Diverse immagini, poi, mostrano donne, ritratte alle radiotrasmittenti mentre inviano messaggi, oppure pronte al combattimento imbracciando un fucile, o ancora intente a curare feriti in improvvisati ospedali da campo. Quella che emerge è dunque un’altra verità. E chissà se un giorno si potranno vedere in un’unica grande mostra dedicata alla guerra del Vietnam le immagini dei fotografi statunitensi e nordvietnamiti. Per riscrivere, stavolta insieme, un pezzo di storia. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 giovedì 15 gennaio 2015 Forum del Consiglio ecumenico delle Chiese dopo gli attacchi a Parigi Comunità religiose e libertà d’opinione GINEVRA, 14. Un’attenta e approfondita riflessione sul tema della libertà d’opinione e sul ruolo delle comunità di fede nell’attuale società multiculturale è stata promossa dal Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) a pochi giorni dai tragici attacchi terroristici compiuti a Parigi contro il giornale «Charlie Hebdo» e un supermercato ebraico. Tutti i partecipanti al forum, svoltosi a Ginevra, hanno espresso una netta condanna della violenza e del terrorismo. Ma hanno anche rilevato la necessità di porre particolare attenzione al rischio che, nel nome della libertà di espressione, possano essere alimentate tensioni interreligiose e sostenuti stereotipi che non fanno altro che diffondere la paura dell’altro più che il desiderio di conoscenza e comprensione delle diversità. Da parte di alcuni relatori è stato fatto notare come vi siano nazio- ni dove i principi della libertà di opinione non sono adottati in maniera univoca, talvolta penalizzando le minoranze. Inoltre sono emerse opinioni differenti sul modo in cui i media dovrebbero autoregolamentarsi per evitare di alimentare atteggiamenti ostili. Anche se da parte di alcuni è stato affermato che in democrazia è legittimo porre in discussione anche il ruolo pubblico svolto dalle comunità religiose, è stato affermato con forza come l’incoraggiamento della xenofobia, dell’antisemitismo e dell’islamofobia non possa essere in alcun modo giustificato. Nel corso dei lavori, si è naturalmente discusso anche del rapporto tra religione e laicità nella società francese e in tutta Europa. In merito agli attentati di Parigi, il vice segretario generale del Cec, Georges Lemopoulos, ha detto che il Consiglio ecumenico delle Chiese respinge con fermezza e condanna ogni giustificazione religiosa della violenza. «Assieme a tutti gli uomini di vera fede e di buona volontà, preghiamo per le vittime e le loro famiglie, affinché i responsabili siano assicurati alla giustizia e l’ideologia estremista che ha ispirato questo attacco venga spenta». Documento del Cec sugli agghiaccianti attentati di Boko Haram Anche in Nigeria serve una grande manifestazione di unità GINEVRA, 14. Il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) ha espresso sgomento e preoccupazione per gli attacchi del gruppo estremista Boko Haram in Nigeria che, secondo fonti locali, hanno provocato la morte di oltre 2.000 persone e coinvolto anche bambini, utilizzati in attacchi suicidi. «La mentalità che induce a usare i bambini come bombe e che massacra indiscriminatamente donne e anziani provoca molto più che indignazione, e non può essere in alcun modo giustificata da convincimenti religiosi». È quanto si legge in una nota diffusa nella quale si chiede al Governo nigeriano di rispondere efficacemente a questi feroci attacchi e di garantire la protezione di tutte le persone. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ha aderito all’appello dei leader religiosi nigeriani, i quali hanno chiesto solidarietà e impegno alla comunità internazionale, esprimendo profonda delusione per la relativa — perfino discriminatoria — mancanza di copertura mediatica internazionale. «Per quanto il Cec si unisca alla solidarietà internazionale con il popolo francese — si legge in una nota — siamo profondamente addolorati che i tragici eventi in Nigeria non abbiano attirato altrettanta preoccupazione e solidarietà da parte della comunità internazionale». Anche l’arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale nigeriana, monsignor Ignatius Ayau Kaigama, è convinto che «la nuova strategia dei terroristi di Boko Haram di usare bambine innocenti come bombe umane è aberrante e inimmaginabile». Secondo il presule, è probabile che siano state le stesse ragazze ad attivare le bombe e non, come ipotizzato da alcuni, che esse siano state fatte esplodere a distanza con un telecomando. «Queste bambine so- no state indottrinate, hanno fatto loro il lavaggio del cervello per far loro credere che andranno in paradiso compiendo queste azioni. D’altronde — ha aggiunto — abbiamo presente il triste fenomeno dei bambini soldato in diverse zone dell’Africa, che sono indottrinati con terrificanti metodologie di plagio al fine di diventare macchine per uccidere». L’arcivescovo ha espresso comunque soddisfazione per il fatto che alcuni leader religiosi di primo piano della comunità musulmana stiano prendendo le distanze da Boko Haram e abbiano condannato le loro azioni. Tuttavia, ha detto, «dobbiamo fare di più. Penso alla grande manifestazione di Parigi contro le uccisioni avvenute in Francia. Auspico anche qui una grande manifestazione di unità nazionale che superi le divisioni politiche, etniche e religiose, per dire no alla violenza». Iniziativa di comunità e movimenti ecclesiali in vista del sinodo del patriarcato di Lisbona In ascolto della città di GIOVANNI ZAVATTA L’ispirazione è venuta dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco: essere Chiesa “in uscita”, raggiungere i margini, le periferie, le frontiere interne della società, sperimentare nuovi modi di raccontare la fede, fare comunità. È con questi obiettivi che parte, giovedì 15 gennaio a Lisbona, l’iniziativa «Escutar a cidade» (Ascoltare la città) promossa da ventisette fra comunità, movimenti, organizzazioni e gruppi cattolici portoghesi coinvolti nel sinodo diocesano lanciato nelle settimane scorse dal patriarca Manuel José Macário do Nascimento Clemente e che si concluderà nel novembre 2016, in coincidenza con il trecentesimo anniversario della bolla pontificia In supremo apostolatus solio, con la quale Clemente XI, il 7 novembre 1716, elevò l’arcidiocesi di Lisbona al rango di patriarcato. «Ascoltare la città — scrivono i promotori — è un invito affinché i cattolici della diocesi si lascino interrogare da persone che, pur vivendo nel medesimo tessuto sociale, non condividono la condizione di appartenenza ecclesiale, ed esprimano una riflessione pertinente su aspetti decisivi della società, dell’economia, della cultura e del modo di vivere che caratterizzano il territorio» di Lisbona. Stavolta, dunque, sarà la società a prendere la parola per esprimere le proprie inquietudini e a dire cosa si aspetta dalle comunità di credenti che vivono nella diocesi. In tale processo spetta ai cattolici ascoltare, accogliere e meditare su ciò che viene espresso, con l’auspicio che, lungo l’iter sinodale, siano in grado di affrontare le sfide che si presentano, di formulare risposte, di andare verso l’altro. La pedagogia è quella dell’ascolto come apprendimento e incontro con il mistero: «Ascoltare le preoccupazioni, le inquietudini e le aspettative di chi si pone all’esterno della Chiesa. Invitarlo a condividere con noi la risposta a questa domanda: cosa ti aspetti dalla Chiesa di questo territorio? Ascoltare in un contesto laicale e poco ecclesiastico. Ascoltare perché que- sto è il luogo dell’incontro con il mistero di Dio. Ascoltare in modo coerente e cambiare di conseguenza il nostro modo di pensare e di vivere la fede» a partire da ciò che emerge dal confronto. «Escutar a cidade» è un’iniziativa “di uscita”, come suggerisce l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, «facendo in modo che la dinamica del sinodo non resti chiusa nelle strutture, nei gruppi che già esistono o che si formeranno all’interno della Chiesa». Occorre rispondere all’appello del Papa, andare nelle periferie geografiche ed esistenziali. Del resto, per i cristiani «il mondo è un interlocutore, non un nemico. È attraverso i nostri concittadini che Dio ci parla e ascoltare la sua voce non è una tattica, fa parte della missione costitutiva della Chiesa. Ascoltare voci diverse, le domande degli altri e comprendere l’importanza di ciò per cui si stanno battendo, aiuta la nostra identità». Sei gli incontri previsti da qui a giugno, uno al mese. Si parlerà, nell’ordine, di: identità, comportamenti e stili di vita; politica, partecipazione e democrazia; dinamiche sociali nel territorio della diocesi; povertà, occupazione e crisi finanziaria; scienza, arte e conoscenza; lingue, spiritualità, sessualità e convinzioni. Il primo, giovedì 15, vedrà la partecipazione del critico letterario António Guerreiro (del quotidiano «Público»), della docente Maria Benedita Monteiro, esperta di razzismo e relazioni interetniche, e del sociologo José Machado Pais. Secondo Jorge Wemans, fondatore di «Público» e rappresentante del Movimento dei professionisti cattolici (Metanoia), la Chiesa non vive per se stessa ma per servire gli uomini e le donne reali del tempo di oggi: «Pertanto ascoltarli non è solo una scelta ma una cosa fondamentale del modo di essere cattolico», ha spiegato, auspicando che la Chiesa si ponga in un atteggiamento di «ascolto permanente». Il sinodo diocesano servirà a dare impulso al «sogno missionario di raggiungere tutti», come ha detto il patriarca Macário do Nascimento Clemente, cardinale eletto, in occasione del lancio dell’importante evento ecclesiale: «Esistono innegabili problemi di sicurezza e di utilizzazione degli spazi ma se riusciremo a ripristinare in modo creativo il servizio reso dagli antichi ostiari, che aprivano e custodivano i templi, offriremo a molti un luogo propizio all’incontro, all’incontro con Cristo». Esortazione pastorale dei vescovi del Venezuela Rinnovamento etico e spirituale contro la crisi Nonostante le minacce i sacerdoti dello Stato messicano di Guerrero continuano la loro opera pastorale Per strada a predicare il Vangelo CHILPANCINGO DE LOS BRAVO, 14. La Chiesa cattolica accoglie il nuovo anno con grande preoccupazione per l’ondata di violenza e insicurezza che investe lo Stato messicano di Guerrero. È quanto ha affermato il vescovo di Chilpancingo-Chilapa, monsignor Alejo Zavala Castro, denunciando che la criminalità minaccia e ricatta i sacerdoti della sua diocesi. Nei giorni scorsi — riferisce Fides — monsignor Zavala Castro ha informato che i tre vescovi della zona di Guerrero, insieme all’arcivescovo di Acapulco, monsignor Carlos Garfias Merlos, hanno avuto un incontro con il procuratore generale, Miguel Angel Godinez, per affrontare la questione, a poco più di due settimane dall’assassinio di padre Gregorio López e del sacerdote ugandese John Ssenyondo. Riguardo a padre Ssenyondo, il vescovo di Chilpancingo-Chilapa ha detto che finora le autorità non hanno fornito un rapporto sulle indagini e le sue spoglie non sono state ancora trasferite nel Paese di origine. Monsignor Zavala Castro ha chiesto alle autorità locali di garantire la sicurezza in tutta la zona di Guerrero. Inoltre, ha fatto sapere di essersi riunito con i suoi sacerdoti per analizzare la situazione. Dopo aver escluso qualsiasi motivo da parte loro che possa provocare queste minacce, i religiosi hanno deciso di non lasciarsi condizionare e di continuare a predicare il Vangelo come sempre, con spirito missionario e coerenza evangelica. Malgrado siano stati minacciati di rapimento e subiscano continui tentativi di estorsione, i sacerdoti messicani non chiederanno al Governo particolari misure di sicurezza per loro. «Quello che il Governo dovrebbe fare — ha concluso il vescovo — è garantire la sicurezza di tutti i cittadini, come è suo dovere». CARACAS, 14. Una riflessione in ventiquattro punti per comprendere e affrontare, da cristiani, la grave situazione del Venezuela. È questo il senso dell’esortazione pastorale, intitolata Rinnovamento etico e spirituale dinanzi alla crisi, pubblicata nei giorni scorsi dall’episcopato venezuelano: un’analisi e un bilancio dell’anno che si è appena concluso, ma anche risposte concrete alle domande che vengono dai cittadini, stanchi di violenze e tensioni. Nel documento — diffuso dall’agenzia Fides — si ricordano le quarantatré persone morte nel corso di agitazioni politico-sociali, le migliaia di manifestanti arrestati, le difficoltà del dialogo tra le parti, l’angoscia della popolazione più povera, attanagliata dalla crisi economica e dalla difficoltà di vedere garantiti i propri diritti. La strada indicata dai vescovi per uscire da questa situazione è, ancora una volta, quella del dialogo, nel «rispetto della pluralità politica che esiste in Venezuela». È il momento «della responsabili- tà e della non violenza» è detto nell’esortazione che raccomanda anche «un nuovo spirito imprenditoriale, capace di audacia e creatività» e la promozione e il sostegno dell’unità familiare «per raggiungere un rinnovamento sociale». L’esortazione pastorale evidenzia inoltre che dietro la grave crisi che che il Venezuela si trova ad affrontare vi è una crisi ancora più profonda: «Una crisi morale di valori, atteggiamenti, motivazioni e comportamenti che devono essere corretti». Quindi l’invito alla coerenza da parte dei cristiani: «Non possiamo credere in Dio e agire in qualsiasi modo. Dobbiamo rifiutare l’ingiustizia, la corruzione e la violenza come mali morali che distruggono il Paese, e vivere secondo il progetto del Regno di Dio». Questa analisi, concludono i presuli, «è nata dalla nostra vicinanza al popolo che soffre e alla missione pastorale che ci spinge a essere promotori della dignità umana e della pace». L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 15 gennaio 2015 In preghiera nel santuario mariano di Nostra Signora di Madhu, nel pomeriggio di mercoledì 14 gennaio, Papa Francesco ha ricordato le violenze che in passato hanno diviso tamil e singalesi e ha invitato alla riconciliazione. «In questo santuario», ha detto, «ogni pellegrino si può sentire a casa». E affidando la vita di tutti gli srilankesi alla protezione della Madre celeste, ha auspicato che «il balsamo del perdono di Dio possa produrre vera guarigione per tutti». Pubblichiamo una traduzione italiana del discorso pronunciato in inglese. A Madhu il Papa prega per la riconciliazione delle comunità tamil e singalese Il balsamo del perdono Cari fratelli e sorelle, ci troviamo nella dimora di nostra Madre. Qui lei ci dà il benvenuto nella sua casa. In questo santuario di Nostra Signora di Madhu, ogni pellegrino si può sentire a casa, perché qui Maria ci introduce alla presenza del suo Figlio Gesù. Qui Srilankesi, Tamil e Singalesi, tutti giungono come membri di un’unica famiglia. A Maria essi affidano le loro gioie e i loro dolori, le loro speranze e le loro necessità. Qui, nella sua casa, si sentono sicuri. Sanno che Dio è molto vicino; sentono il suo amore; conoscono la sua tenera misericordia, la tenera misericordia di Dio. Ci sono famiglie qui oggi che hanno sofferto immensamente nel lungo conflitto che ha lacerato il cuore dello Sri Lanka. Molte persone, dal nord e dal sud egualmente, sono state uccise nella terribile violenza e nello spargimento di sangue di questi anni. Nessuno Srilankese può dimenticare i tragici eventi legati a questo stesso luogo, o il triste giorno in cui la venerabile statua di Maria, risalente all’arrivo dei primi cristiani in Sri Lanka, venne portata via dal suo santuario. Ma la Madonna rimane sempre con voi. Lei è Madre di ogni casa, di ogni famiglia ferita, di tutti coloro che stanno cercando di ritornare ad una esistenza pacifica. Oggi la rin- pagina 7 graziamo per aver protetto il popolo dello Sri Lanka da tanti pericoli, passati e presenti. Maria non dimentica mai i suoi figli di questa splendida Isola. Come è sempre rimasta accanto al suo Figlio sulla Croce, così è sempre rimasta accanto ai suoi figli srilankesi sofferenti. Oggi vogliamo ringraziare la Madonna per questa presenza. Dopo tanto odio, tanta violenza e tanta distruzione, vogliamo ringraziarla per- ché continua a portarci Gesù, che solo ha il potere di sanare le ferite aperte e di restituire la pace ai cuori spezzati. Ma vogliamo anche chiederle di ottenere per noi la grazia della misericordia di Dio. Chiediamo anche la grazia di riparare i nostri peccati e tutto il male che questa terra ha conosciuto. Non è facile fare questo. Tuttavia, solo quando arriviamo a comprendere, alla luce della Croce, il male di cui siamo capaci, e di cui persino Il saluto del vescovo Mannar Immerso nella giungla Un luogo al centro della fede e della devozione di tutto il popolo srilankese degli ultimi quattro secoli, «indipendentemente dalle differenze di razza, religione o linguaggio»: così il vescovo di Mannar, Joseph Rayappu , nel suo saluto a Papa Francesco, ha sintetizzato l’importanza per l’intero Paese del santuario di Nostra Signora del Rosario. «Mannar — ha spiegato il presule — è stata benedetta da Dio come luogo del primo martirio in Asia», nel 1544, quando «più di seicento neofiti, per amore della fede appena accolta, offrirono la loro vita a causa della persecuzione del re di Jaffna nel nord del Paese». E il sangue dei martiri «è divenuto il seme della fede nel nord e poi nell’intero Paese». Il santuario immerso nella giungla, ha spiegato il vescovo, conta quattro secoli di una ricca Festa della fede dal nostro inviato GIANLUCA BICCINI Pastorale e missionaria: Papa Francesco ha impresso questa duplice dimensione alla seconda giornata del viaggio in Sri Lanka, caratterizzata dalla canonizzazione dell’oratoriano Giuseppe Vaz e dalla visita nel nord del Paese a maggioranza tamil. Una giornata, quella di mercoledì 14 gennaio, che il Pontefice ha vissuto a più stretto contatto con la comunità cattolica locale. Già al mattino infatti ha potuto toccare con mano la fede semplice e genuina dei cattolici srilankesi, celebrando la messa sul lungomare Galle Face Green. Centinaia di migliaia di persone si sono ritrovate vent’anni dopo (era il 15 gennaio 1995) nello stesso luogo in cui Giovanni Paolo II beatificò il sacerdote indiano venerato come apostolo dello Sri Lanka. In abiti bianchi o nei colori sgargianti della tradizione asiatica, scalzi o con ai piedi semplici sandali o infradito, molti con gli ombrelli aperti per ripararsi dal sole, fedeli di ogni età, ma soprattutto tanti giovani, hanno partecipato al rito con compostezza e raccoglimento, in una vera e propria festa della fede. Dall’altare ai paramenti liturgici fino ai canti, tutto rimandava alle tradizioni locali di una Chiesa che è piccolo gregge, ma è capace di testimoniare una profonda comunione con il vescovo di Roma. Come hanno dimostrato anche gli oltre mille sacerdoti giunti da tutta l’isola per concelebrare insieme con il Papa e con i vescovi delle dodici diocesi del Paese. Forse anche per questo l’iter per la canonizzazione di Vaz è stato accelerato e il 17 settembre 2014 la Congregazione delle cause dei santi ha dato parere favorevole, senza dover attendere un nuovo miracolo. Del resto, secondo i cattolici dello Sri Lanka che ne custodiscono la memoria, Giuseppe Vaz di miracoli in vita ne fece più di uno. Ed è nota, in particolare, la sua straordinaria capacità di ammansire pericolosi elefanti selvatici. Anche per questo all’altare è stata portata la croce che il santo fece apporre dagli abitanti di Maha Galgamuwa all’entrata del loro villaggio, per proteggerli dagli attacchi dei minacciosi animali. E ancora una volta, come il giorno precedente all’aeroporto, alcuni elefanti addestrati sono stati condotti con i loro variopinti paramenti nel luogo dell’incontro con il Papa. Si tratta del parco urbano situato nel cuore del quartiere finanziario, lungo il litorale sull’oceano Indiano. Con i suoi eleganti viali alberati, la famosa passeggiata di cinque chilometri sul lungomare è sempre molto frequentata dagli abitanti, che qui vengono a mangiare nei numerosi chioschi o a far volare gli aquiloni dei bambini. Il Pontefice vi è giunto di buon mattino e subito ha compiuto il giro panoramico con la vettura scoperta tra la folla che attendeva in silenzio sotto il sole. Salutato dal sindaco di Colombo, che gli ha offerto le chiavi della città, il Papa ha poi indossa- storia ed «è stato portato qui dalla sua originaria collocazione a Manthai durante la persecuzione dei colonizzatori olandesi». Oggi è ancora il santuario mariano privilegiato per l’affidamento delle vocazioni sacerdotali e religiose nella diocesi; oltre seicentomila fedeli giungono qui da ogni parte in occasione della festa dell’Assunzione e moltissimi altri durante tutto l’anno per altre festività. Nel salutare il Pontefice, monsignor Rayappu lo ha ringraziato per essere giunto in Sri Lanka come «messaggero della pace fondata sulla verità, la giustizia e la riconciliazione» e per il suo «ammirevole amore per i poveri e per i sofferenti, sulle orme di nostro Signore e di san Francesco di Assisi». siamo stati partecipi, possiamo sperimentare vero rimorso e vero pentimento. Solo allora possiamo ricevere la grazia di avvicinarci l’uno all’altro con vera contrizione, offrendo e cercando vero perdono. In questo difficile sforzo di perdonare e di trovare la pace, Maria è sempre qui ad incoraggiarci, a guidarci, a farci fare un altro passo. Proprio come lei ha perdonato gli uccisori di suo Figlio ai piedi della sua croce, tenendo tra le braccia il suo corpo senza vita, così ora lei vuole guidare gli Srilankesi ad una più grande riconciliazione, così che il balsamo del perdono di Dio possa produrre vera guarigione per tutti. Infine, vogliamo chiedere alla Madre Maria di accompagnare con le sue preghiere gli sforzi degli Srilankesi di entrambe le comunità Tamil e Singalese per ricostruire l’unità che è stata perduta. Come la sua statua è rientrata al suo santuario di Madhu dopo la guerra, così preghiamo che tutti i suoi figli e figlie Srilankesi possano ritornare ora alla casa di Dio in un rinnovato spirito di riconciliazione e fratellanza. to i paramenti per la messa, celebrata in inglese, tamil e singalese, le principali lingue della nazione. Numerosissimi tra i presenti, i religiosi e le religiose. Mentre un intero settore è stato riservato ai bambini affetti da talassemia — particolarmente diffusa nelle aree paludose e acquitrinose — e agli ammalati in carrozzella. È stato il vescovo di Kandy, monsignor Joseph Vianney Fernando, a rivolgere la petizione per la canonizzazione del sacerdote che ha tradotto il catechismo e varie preghiere nelle lingue locali, favorendo l’inculturazione del cristianesimo in una terra già ricca di spiritualità. Dall’India è giunto l’arcivescovo di Goa e Damão, monsignor Filipe Neri António Sebastião do Rosário Ferrão, che ha letto un breve profilo biografico di Giuseppe Vaz. E quando il Papa ha pronunciato la formula con cui l’oratoriano è stato iscritto nell’albo dei santi, in tutta l’isola indiana le campane delle chiese hanno suonato a distesa per questo illustre figlio. Sulla spiaggia di Galle Face, la corale in sari bianco e blu ha intonato l’inno in onore del nuovo santo composto appositamente per la circostanza, mentre venivano condotte le reliquie sul palco dalla caratteristica forma di abitazione rurale locale. Evidente la gioia sul volto del cardinale Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale, che ha ringraziato Francesco con parole commosse, offrendogli settantamila dollari raccolti tra i fedeli per le sue opere di carità. Il Papa ha ricambiato consegnando al porporato il dono che avrebbe dovuto lasciare ieri durante l’incontro con i vescovi del Paese, saltato per i ritardi accumulati durante le fasi dell’arrivo in Sri Lanka. Si tratta della riproduzione in rame inciso del documento con cui nel 1694 il re di Kandy autorizzava le conversioni al cristianesimo nell’Isola: l’originale era stato regalato cento anni fa a Papa Leone XIII proprio dai presuli del Paese. Si è così conclusa la suggestiva canonizzazione, che ha avuto nella preghiera dei fedeli uno dei momenti più toccanti. Tra le diverse invocazioni, infatti, è stata elevata un’intenzione per i differenti gruppi etnici e religiosi del Paese, affinché vivano nella pace in una nazione finalmente unita. Auspici che sono riecheggiati nel pomeriggio, quando il Papa si è recato al santuario di Nostra Signora del Rosario a Madhu, in diocesi di Mannar. Pur essendo il terzo Pontefice a visitare il Paese — dopo Paolo VI nel 1970 e Giovanni Paolo II nel 1995 — Francesco è stato il primo a recarsi nel nord del territorio, dove il trentennale conflitto interno conclusosi nel 2009 ha provocato le maggiori sofferenze. Dal campo di cricket del Thurstan college di Colombo, l’elicottero con il Papa a bordo è decollato verso la piccola isola di Mannar. Collegata alla terraferma da un ponte di due chilometri, essa sporge verso il mare come un dito puntato verso l’ovest dell’India. Famosa per le sue perle, Mannar ospita il santuario edificato a ridosso della fitta giungla, in quello che era un piccolo villaggio. Sin dalle origini, oltre quattro secoli fa, il martirio ha segnato la storia di questo sito dedicato a Nostra Signora di Madhu. Secondo la tradizione gli abitanti del luogo, conosciute le gesta di san Francesco Saverio, lo invitarono ad annunciare il Vangelo nella loro terra. Il santo gesuita mandò uno dei suoi sacerdoti alla fine del 1544. Ma due mesi più tardi il re di Jaffna, temendo un’espansione dell’influenza portoghese, inviò soldati con l’ordine di uccidere tutti coloro che si fossero dichiarati cristiani. Nessuno rinnegò la fede appena ricevuta e in un solo giorno furono massacrate tra le seicento e le settecento persone. L’anno successivo fu lo stesso Francesco Saverio a confermare i cristiani di Madhu nella loro fede. Erano stati alcuni degli scampati al massacro a mantenerla viva, rifugiandosi nella giungla e portando con loro la statua mariana che oggi si venera nel santuario. L’edificio attuale fu iniziato nel 1872 e la consacrazione avvenne nel 1944. Visitato annualmente da almeno seicentomila fedeli, in particolare il 15 agosto, solennità dell’Assunzione, esso è rispettato e frequentato anche dalle altre religioni. Bastava guardare i tanti presenti alla cerimonia papale, che si fermavano a baciare i piedi della statua mariana posta sul viale che conduce al santuario. Raggiungibile solo attraverso una strada sterrata e polverosa, il vasto complesso è meta di pellegrinaggio per i cattolici tamil e singalesi, e simbolo di unità tra loro e con i fedeli di ogni religione. Anche perché al tempo della guerra ha pagato un alto tributo per la sua collocazione geografica, sulla rotta dei flussi migratori di uomini e donne che cercavano di fuggire verso il subcontinente indiano. All’inizio è stato anche coinvolto direttamente nei combattimenti. Poi, grazie all’intervento dei vescovi, Madhu è stata dichiarata zona smilitarizzata, garantendo così la sicurezza dei pellegrini e dei numerosi profughi. Dal 1990 al 2008 il santuario si è trasformato in un ve- Cari fratelli e sorelle, sono felice di essere con voi nella dimora di Maria. Preghiamo l’uno per l’altro. Soprattutto, chiediamo che questo santuario possa sempre essere una casa di preghiera e un rifugio di pace. Per intercessione di Nostra Signora di Madhu, possano tutti trovare qui ispirazione e forza per costruire un futuro di riconciliazione, di giustizia e di pace per i figli di questa amata terra. Amen. ro e proprio campo di sfollati, e ha potuto riaprire al culto solo dopo la fine delle ostilità nel 2009. L’elicottero con il Pontefice a bordo è atterrato sull’isola di Mannar dopo un breve volo di circa un’ora. Accolto con l’immancabile ghirlanda di fiori, Francesco ha poi percorso con la jeep scoperta un lungo giro tra le almeno cinquecentomila persone confluite nell’area. Particolarmente felici i bambini, nelle candide uniformi scolastiche, che sventolavano bandierine in segno di benvenuto. Quindi il Papa ha raggiunto il portico del santuario, dove per l’occasione era stata collocata la venerata statua mariana, che normalmente si trova all’interno. Sul frontespizio del portico la scritta «Ave Maria» è riprodotta in caratteri latini e in quelli delle due principali lingue locali. Sceso dalla papamobile, Francesco ha poi indossato una nuova e ancor più visibile ghirlanda di orchidee color lilla, e ha liberato in volo una colomba bianca, simbolo della volontà della gente di lasciarsi definitivamente alle spalle gli anni bui delle violenze. Per questo, guidando un momento di preghiera, ha chiesto «a Maria di accompagnare gli sforzi degli srilankesi, di entrambe le comunità tamil e singalese, per ricostruire l’unità perduta in un rinnovato spirito di riconciliazione e fratellanza». Infine, prima che il Pontefice benedicesse l’assemblea con la statuina mariana, si è pregato in inglese, singalese e tamil in particolare per il consolidamento della pace. Ad ascoltare quelle parole alcune famiglie di entrambe le parti, duramente provate dalle ostilità, che hanno salutato Francesco al termine dell’incontro. Nomina episcopale negli Stati Uniti d’America La nomina di oggi riguarda la Chiesa negli Stati Uniti d’America. Joseph G. Hanefeldt vescovo di Grand Island È nato il 25 aprile 1958 a Creighton, in Nebraska, nell’arcidiocesi di Omaha. Dopo gli studi filosofici compiuti in patria, ha frequentato il Pontificio collegio americano del Nord a Roma (1980-1984), ottenendo il baccalaureato in teologia presso la Pontificia università gregoriana (1983) e il diploma in teologia sacramentale presso il Pontificio ateneo di Sant’Anselmo (1984). È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Omaha il 14 lu- glio 1984. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha svolto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale della Saint Mary Parish a West Point (1984-1988) e della Saint Joan of Arc Parish a Omaha (1988-1992); direttore dell’ufficio arcidiocesano delle attività pro-vita (19912005); moderatore dell’Archdiocesan Council of Catholic Women (1992-1995); parroco della Saint Joseph Parish a Omaha (1992-1995) e della Saint Elizabeth Ann Seton Parish a Omaha (1995-2007); direttore spirituale (2007-2012) e, poi, direttore della formazione spirituale (2009-2012) presso il Pontificio collegio americano del Nord. Dal 2012 è parroco della Christ the King Parish a Omaha e membro del consiglio presbiterale e del Priests’ Personnel Board. Nel 2010 è stato nominato cappellano di Sua Santità. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 giovedì 15 gennaio 2015 Appello di Papa Francesco durante la messa celebrata a Colombo per la canonizzazione di Giuseppe Vaz, primo santo dello Sri Lanka Libertà religiosa per tutti L’autentica adorazione di Dio non porta all’odio e alla violenza ma al rispetto per la vita e la dignità dell’altro Oltre mezzo milione di persone hanno partecipato alla messa celebrata da Papa Francesco mercoledì 14 gennaio, al Galle Face Green di Colombo, per la canonizzazione di Giuseppe Vaz, primo santo dello Sri Lanka. Pubblichiamo di seguito una traduzione italiana dell’omelia pronunciata dal Pontefice in inglese. «Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio» (Is 52, 10). Questa è la magnifica profezia che abbiamo ascoltato nella prima Lettura di oggi. Isaia predice l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo sino ai confini della terra. Questa profezia ha un significato speciale per noi che celebriamo la canonizzazione del grande missionario del Vangelo san Giuseppe Vaz. Come innumerevoli altri missionari nella storia della Chiesa, egli ha risposto al comando del Signore risorto di fare discepoli tutti i popoli (cfr. Mt 28, 19). Con le sue parole, ma soprattutto con l’esempio della sua vita, ha condotto il popolo di questo Paese alla fede che ci concede «l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati» (At 20, 32). In san Giuseppe vediamo un segno eloquente della bontà e dell’amore di Dio per il popolo dello Sri Lanka. Ma in lui vediamo anche uno stimolo a perseverare nella via del Vangelo, a crescere noi stessi in santità, e a testimoniare il messaggio evangelico di riconciliazione al quale egli ha dedicato la sua vita. Sacerdote Oratoriano, dalla sua natia Goa, san Giuseppe Vaz arrivò in questo Paese, ispirato da zelo missionario e da un grande amore per queste popolazioni. A causa della persecuzione religiosa in atto, si vestiva come un mendicante, adempiva ai suoi doveri sacerdotali incontrando in segreto i fedeli, spesso di notte. I suoi sforzi hanno dato forza spirituale e morale alla popolazione cattolica assediata. Egli ebbe un particolare desiderio di servire i malati e i sofferenti. Il suo ministero con L’indirizzo d’omaggio del cardinale Malcolm Ranjith Guarigione dei cuori Al termine della messa celebrata sulla spianata di Galle Face Green, il Papa è stato salutato dall’arcivescovo di Colombo, il cardinale Malcolm Ranjith, il quale ha ringraziato Francesco a nome di tutto il popolo srilankese — «di ogni religione, razza e colore sociale» — non solo per «il dono della sua presenza», ma anche «per il dono di un santo: san Giuseppe Vaz». Un dono che ha reso tutti gli abitanti del Paese «davvero felici», perché hanno finalmente il loro santo «orgoglio di Goa e gemma preziosa di Dio per lo Sri Lanka». La vita di Vaz e il suo servizio in questa sua «terra adottiva», ha detto il porporato, «hanno salvato la fede dei cattolici durante un periodo difficile e doloroso della loro storia e hanno lasciato una testimonianza duratura dell’infinito amore di Dio per noi». Il Signore, infatti, «ha ispirato questo uomo santo a lasciare la sua amata terra e la sua gente per lanciarsi, come Abramo, verso l’ignoto e per rinvigorire, solo con le sue forze, la fede dei nostri antenati». Perciò il cardinale, rievocando tale ponte spirituale lanciato dall’India, ha voluto ringraziare la Chiesa che è in Goa per il «dono prezioso di questo suo figlio» e ha salutato i fedeli che da lì sono giunti a Colombo per unirsi alla celebrazione. L’arcivescovo di Colombo ha quindi richiamato le parole adoperate da Papa Francesco lo scorso 8 febbraio in occasione del pellegrinaggio a San Pietro di un gruppo di fedeli dello Sri Lanka, terra «chiamata la perla dell’Oceano Indiano per la sua bellezza naturale e per la sua forma» che ricorda quella di una lacrima. E nel recente passato, ha detto, «noi abbiamo versato molte lacrime a causa di un conflitto interno che ha provocato tante vittime e ha prosciugato le nostre risorse. Stiamo ancora lottando per risorgere da questo triste passato e per giungere a un tempo di vera riconciliazione, pace e progresso per il nostro popolo». Il tragitto, ha spiegato, «è difficile. Abbiamo bisogno delle sue preghiere e benedizioni, così come della sua guida paterna. Le chiediamo di aiutarci amorevolmente in questa ricerca di una vera guarigione dei cuori, della forza di chiederci reciprocamente perdono per le violenze scatenate senza senso», per arrivare «a perdonare e a dimenticare quel triste passato» e instaurare un processo che «costruirà ponti di comprensione tra le parti ferite nel conflitto». Lo Sri Lanka, ha aggiunto il cardinale, è «ancora lontano da questo obiettivo» ma spera e prega perché la via della religione testimoniata in questi giorni dal Papa insegni «a superare gli ostacoli» e aiuti la gente a incontrarsi. Il porporato ha infine messo in evidenza come il Paese, «benedetto dagli insegnamenti di grandi religioni» come il buddismo, l’induismo, l’islam e il cristianesimo, possegga «la forza morale e spirituale, la nobiltà necessarie per generare questa pace». Ma ha anche ricordato che ognuno è chiamato a fare un passo verso l’altro con un «genuino spirito di riconciliazione, fiducia e senso di reciprocità». gli infermi, durante un’epidemia di vaiolo a Kandy, fu così apprezzato dal re, che gli fu concessa maggiore libertà di esercitare il ministero stesso. Da Kandy poté raggiungere altre zone dell’isola. Si consumò nel lavoro missionario e morì, esausto, all’età di cinquantanove anni, venerato per la sua santità. San Giuseppe Vaz continua ad essere un esempio e un maestro per molte ragioni, ma ne vorrei focalizzare tre. Innanzitutto, egli fu un sacerdote esemplare. Qui oggi con noi ci sono molti sacerdoti, religiosi e religiose, i quali, come Giuseppe Vaz, sono consacrati al servizio del Vangelo di Dio e al prossimo. Incoraggio ognuno di voi a guardare a san Giuseppe come a una guida sicura. Egli ci insegna ad uscire verso le periferie, per far sì che Gesù Cristo sia conosciuto e amato ovunque. Egli è anche esempio di paziente sofferenza per la causa del Vangelo, di obbedienza ai superiori, di amorevole cura per la Chiesa di Dio (cfr. At 20, 28). Come noi, egli è vissuto in un periodo di rapida e profonda trasformazione; i cattolici erano una minoranza e spesso divisa all’interno; si verificavano ostilità, perfino persecuzioni, all’esterno. Ciò nonostante, poiché egli fu costantemente unito nella preghiera al Signore crocifisso, fu in grado di diventare per tutta la popolazione un’icona vivente dell’amore misericordioso e riconciliante di Dio. In secondo luogo, san Giuseppe ci ha mostrato l’importanza di superare le divisioni religiose nel servizio della pace. Il suo indiviso amore per Dio lo ha aperto all’amore per il prossimo; egli ha dedicato il suo ministero ai bisognosi, chiunque e dovunque essi fossero. Il suo esempio continua oggi ad ispirare la Chiesa in Sri Lanka. Essa volentieri e generosamente serve tutti i membri della società. Non fa distinzione di razza, credo, appartenenza tribale, condizione sociale o religione nel servizio che provvede attraverso le sue scuole, ospedali, cliniche e molte altre opere di carità. Essa non chiede altro che la libertà di portare avanti la sua missione. La libertà religiosa è un diritto umano fondamentale. Ogni individuo dev’essere libero, da solo o associato ad altri, di cercare la verità, di esprimere apertamente le sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne. Come ci insegna la vita di Giuseppe Vaz, l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti. Infine, san Giuseppe ci offre un esempio di zelo missionario. Nonostante fosse giunto a Ceylon per soccorrere e sostenere la comunità cattolica, nella sua carità evangelica egli arrivò a tutti. Lasciandosi dietro la sua casa, la sua famiglia, il conforto dei suoi luoghi familiari, egli rispose alla chiamata di partire, di parlare di Cristo dovunque si recasse. San Giuseppe sapeva come offrire la verità e la bellezza del Vangelo in un contesto multi-religioso, con rispetto, dedizione, perseveranza e umiltà. Questa è la strada anche per i seguaci di Gesù oggi. Siamo chiamati ad “uscire” con lo stesso zelo, con lo stesso coraggio di san Giuseppe, ma anche con la sua sensibilità, con il suo rispetto per gli altri, con il suo desiderio di condividere con loro quella parola di grazia (cfr. At 20, 32) che ha il potere di edificarli. Siamo chiamati ad essere discepoli missionari. Cari fratelli e sorelle, prego che, seguendo l’esempio di san Giuseppe Vaz, i cristiani di questo Paese possano essere confermati nella fede e dare un contributo ancora maggiore alla pace, alla giustizia e alla riconciliazione nella società srilankese. Questo è quanto Cristo si aspetta da voi. Questo è quanto san Giuseppe vi insegna. Questo è quanto la Chiesa vi chiede. Vi affido tutti alle preghiere del nostro nuovo Santo, affinché, in unione con tutta la Chiesa sparsa per il mondo, voi possiate cantare un canto nuovo al Signore e proclamare la sua gloria fino ai confini della terra. Perché grande è il Signore e degno di ogni lode (cfr. Sal 96, 1-4)! Amen.