l`osservatore romano - Alla ricerca della vita vera

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l`osservatore romano - Alla ricerca della vita vera
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L’OSSERVATORE ROMANO
GIORNALE QUOTIDIANO
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POLITICO RELIGIOSO
Non praevalebunt
Città del Vaticano
giovedì 15 gennaio 2015
.
Appello di Papa Francesco durante la messa celebrata a Colombo per la canonizzazione di Giuseppe Vaz, primo santo dello Sri Lanka
Libertà religiosa per tutti
L’autentica adorazione di Dio non porta all’odio e alla violenza ma al rispetto per la vita e la dignità dell’altro
Di fronte a oltre mezzo milione di
fedeli Francesco ha proclamato l’oratoriano Giuseppe Vaz primo santo
dello Sri Lanka. E nel corso della celebrazione — svoltasi mercoledì 14
gennaio nel Galles Frace Green di
Colombo — ha lanciato un nuovo
appello alla libertà religiosa, definendola «un diritto umano fondamentale» e ricordando che ognuno
«dev’essere libero, da solo o associato ad altri, di cercare la verità, di
esprimere apertamente le sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne».
La canonizzazione del religioso,
che testimoniò nel Paese il «messaggio evangelico della riconciliazione»
in mezzo a persecuzioni e violenze,
ha offerto al Papa l’occasione per
rinnovare l’invito a non strumentalizzare la religione. «Come ci insegna
la vita di Giuseppe Vaz — ha ricordato — l’autentica adorazione di Dio
porta non alla discriminazione,
all’odio e alla violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri e all’amorevole impegno per il benessere di tutti».
Un messaggio rilanciato anche nel
successivo incontro al santuario mariano di Madhu, luogo simbolo del
«lungo conflitto che ha lacerato il
cuore dello Sri Lanka». Raccogliendosi in preghiera davanti alla statua
della Madonna — che proprio a causa dei violenti scontri dovette abban-
y(7HA3J1*QSSKKM( +\!"!#!=!,!
Come un’unica
famiglia
Aperta nel segno dell’amicizia tra
le religioni, la visita del Papa in
Sri Lanka si è conclusa con uno
sguardo al domani della Nazione
dall’antico santuario mariano di
Madhu, nel nord dell’isola: per
intercessione della Vergine «possano tutti trovare qui ispirazione
e forza per costruire un futuro di
riconciliazione, di giustizia e di
pace» ha augurato Francesco. E
le stesse parole pronunciate nel
luogo di culto, veneratissimo non
solo dai cristiani, erano risuonate
la mattina a Colombo durante
l’omelia papale per la canonizzazione di Giuseppe Vaz, con l’auspicio che i cristiani possano offrire un contributo ancora maggiore al Paese, uscito da un lungo
e sanguinoso conflitto civile.
La figura dell’oratoriano di
Goa, giunto clandestinamente a
Ceylon nel 1686 per sostenere i
cattolici perseguitati dagli olandesi calvinisti e offrire a tutti il suo
aiuto, è stata additata dal Pontefice come esempio per i cristiani di
oggi. Parlando ad almeno mezzo
milione di persone riunite in un
enorme parco davanti all’oceano,
Francesco ha presentato il nuovo
santo come sacerdote esemplare,
che ha saputo «uscire verso le periferie, per far sì che Gesù Cristo
sia conosciuto e amato ovunque».
Con una notazione: proprio «come noi» Vaz è vissuto in un tempo di «rapida e profonda trasformazione», quando «i cattolici erano una minoranza», per di più
«spesso divisa all’interno», mentre all’esterno «si verificavano
ostilità» e persecuzioni.
Bisogna superare le divisioni
religiose, ha ripetuto il Papa. E
come allora il missionario oratoriano che volle servire tutti,
«chiunque e dovunque fossero»,
oggi la Chiesa in Sri Lanka, certo
non ricca, non fa distinzione di
alcun genere nel servizio generoso
che presta con le sue opere a tutta la società. Con un’unica richiesta: essere libera per portare avanti la propria missione. L’esempio
del santo proclamato a Colombo
conferma poi che «l’autentica
adorazione di Dio porta non alla
discriminazione, all’odio e alla
violenza, ma al rispetto per la sacralità della vita» e «per la dignità e la libertà degli altri». Proprio
in questo modo bisogna essere
missionari in contesti multireligiosi: con rispetto, appunto, insieme
a «dedizione, perseveranza e
umiltà».
Semplice e toccante è stata la
preghiera nel santuario di Madhu, immerso nel verde delle foreste, davanti all’antica immagine
della Vergine che porta in braccio
il piccolo Gesù e con la quale
Francesco ha alla fine benedetto i
fedeli. Qui tutti, tamil e singalesi,
giungono nella casa di Maria come «membri di un’unica famiglia» ha detto il Pontefice. E ricordando la tragedia del conflitto
civile che non ha risparmiato
nemmeno il santuario, divenuto
tuttavia un luogo di rifugio aperto a tutti, il Papa ha chiesto alla
Madonna la grazia della misericordia di Dio e quella «di riparare i nostri peccati» e i mali provocati dalla guerra.
Portata via dal santuario durante gli anni del conflitto civile,
la piccola statua della Signora di
Madhu vi è rientrata dopo la sua
conclusione. «Ma la Madonna è
rimasta sempre con voi» ha esclamato il Pontefice e «continua a
portarci Gesù». Accompagnando
il processo di riconciliazione perché le comunità tamil e singalese
possano anch’esse tornare alla casa di Dio.
g.m.v.
donare per un periodo il santuario —
il Pontefice ha esortato la popolazione a perseverare nel «difficile sforzo
di perdonare e di trovare la pace».
Un invito rivolto espressamente a
«entrambe le comunità tamil e singalese», chiamate a «ricostruire l’unità
che è stata perduta» per garantire al
Paese «un futuro di riconciliazione,
di giustizia e di pace».
Rientrato da Madhu, Francesco ha
poi incontrato nella nunziatura apostolica l’ex capo dello Stato Mahinda
Rajapaksa, al quale proprio in questi
giorni è succeduto il nuovo presidente della Repubblica Maithripala Sirisena. Quindi si è recato in un tempio
buddista, dove la comunità gli ha
mostrato in via eccezionale le reliquie
di alcuni discepoli di Buddha, che
tradizionalmente vengono mostrate
solo una volta all’anno. Infine, in arcivescovado, ha salutato i vescovi del
Paese, che non aveva potuto incontrare martedì a causa del ritardo accumulato lungo il tragitto dall’aeroporto al centro cittadino.
Giovedì 15 il Papa si congeda dallo
Sri Lanka per trasferirsi nelle Filippine, seconda meta del viaggio apostolico. A Manila è prevista soltanto
una breve cerimonia di benvenuto
all’aeroporto. Venerdì mattina i successivi appuntamenti, con la visita al
presidente della Repubblica, l’incontro con le autorità e la messa.
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E
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Telegramma del Pontefice a Giorgio Napolitano
Sincera stima
e vivo apprezzamento
Giorgio Napolitano ha lasciato
questa mattina, mercoledì 14 gennaio,
la carica di presidente
della Repubblica Italiana, alla quale
era stato eletto nel 2006
e poi rieletto nel 2013. Nell’imminenza
delle dimissioni, Papa Francesco gli
ha fatto pervenire il seguente
telegramma.
A Sua Eccellenza
On. Giorgio Napolitano
Presidente della Repubblica
Italiana
Palazzo del Quirinale
00187 Roma
Appreso del Suo congedo dalle
funzioni di Capo dello Stato, mentre sto compiendo il viaggio apostolico in Sri Lanka e Filippine, Le
sono spiritualmente vicino e desidero esprimerLe sentimenti di sincera
Di fronte alla strumentalizzazione dei bambini da parte delle organizzazione terroristiche
Le ragioni della speranza
WASHINGTON, 14. La sfida del terrorismo va ormai oltre ogni cinismo
e ferocia. Ieri il sito di monitoraggio dell’attività on line delle organizzazioni terroristiche ha denunciato la messa in rete di un filmato
nel quale un bambino kazako spara alla nuca di due presunte spie
russe. I terroristi del cosiddetto Stato Islamico profanano la sua infanzia trasformandolo in boia. Un destino condiviso dalle bambine
usate in Nigeria da Boko Haram per compiere attentati suicidi.
L’informazione globalizzata propone ormai una tragica realtà che
ha superato le pratiche già conosciute del reclutamento di bambini
soldato e di manovalanza criminale, dell’uso brutale di droghe e terrore, dell’asservimento sessuale. E in tutto il mondo all’orrore e alla
pietà si somma timore per una degenerazione incontrollata della ferocia e del cinismo. Una degenerazione favorita appunto dai mezzi di
nuova comunicazione sociale che permettono di esibire l’orrore come
un trofeo.
Eppure le ragioni della speranza non mancano. Lo dimostra l’opera
svolta senza clamore dal volontariato religioso e civile che si dedica al
recupero e alla protezione dei bambini liberandoli da tanto orrore. E
lo dimostrano pure gli sforzi educativi di tante famiglie e di tante comunità; il dialogo mai interrotto tra le religioni e le culture.
stima e di vivo apprezzamento per
il Suo generoso ed esemplare servizio alla Nazione italiana, svolto con
autorevolezza, fedeltà e instancabile
dedizione al bene comune. La Sua
azione illuminata e saggia ha contribuito a rafforzare nella popolazione gli ideali di solidarietà, di
unità e di concordia, specialmente
nel contesto europeo e nazionale
segnato da non poche difficoltà.
Invoco su di Lei, sulla Sua Consorte e sulle persone care l’assistenza
divina, assicurando un costante ricordo nella preghiera.
FRANCISCUS
PP
14 gennaio 2015
MARCO BELLIZI
A PAGINA
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NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale
della Diocesi di Grand Island
(Stati Uniti d’America), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor William J.
Dendinger, in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Provvista di Chiesa
Bambina afghana in un campo profughi nelle zone tribali vicino a Islamabad (La Presse/Ap)
Il Santo Padre ha nominato
Vescovo di Grand Island (Stati
Uniti d’America) il Reverendo
Monsignore Joseph G. Hanefeldt, del clero dell’Arcidiocesi
di Omaha, finora Parroco della
«Christ the King Parish» a
O maha.
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giovedì 15 gennaio 2015
Il rappresentante libico alla Lega araba
Ashour Abu Rashed
nel corso di un vertice al Cairo (Afp)
Kerry elogia gli sforzi di Islamabad nella lotta al terrorismo
Aiuti statunitensi
per le aree tribali pakistane
ISLAMABAD, 14. Il segretario di Stato americano, John Kerry, in visita
ufficiale in Pakistan, ha lodato gli
sforzi del Governo di Islamabad
nella lotta contro il terrorismo e ha
annunciato che dagli Stati Uniti sono in arrivo altri duecentocinquanta
milioni di dollari di aiuti. Questi
fondi, ha precisato il capo della diplomazia statunitense, saranno destinati per assistere le popolazioni
colpite dalle ripetute operazioni militari nelle aree tribali.
Kerry ha parlato a Islamabad in
una conferenza stampa insieme al
consigliere per la Sicurezza nazionale e la Politica estera, Sartaj Aziz.
«Come in questi momenti difficili
siamo vicini alla Francia — ha proseguito Kerry — continueremo a essere vicini anche al Pakistan, affinché il Paese possa costruirsi un futuro libero dalle minacce degli
estremisti». «Diversi gruppi terroristici talebani — ha aggiunto il segretario di Stato, che nel fine settimana si recherà in India — continuano a minacciare il Pakistan e i
Paesi confinanti». A riguardo, gli
Stati Uniti hanno iscritto Maulana
Fazlullah, capo del movimento tale-
bano Tehrek-e-Taliban Pakistan
(Ttp), nella lista dei terroristi internazionali. Lo hanno confermato
fonti del dipartimento di Stato, precisando che sotto la leadership di
Fazlullah, il Ttp ha rivendicato il
tremendo attacco del 16 dicembre
scorso alla scuola pakistana di Peshawar, in cui sono state uccise centocinquanta persone, la maggior
parte delle quali studenti. La sua
designazione come "terrorista internazionale", precisa il dipartimento
di Stato, prevede, tra l’altro, il divieto per i cittadini americani di
svolgere transazioni con Fazlullah e
il congelamento di tutte le sue proprietà e beni negli Stati Uniti.
Fazlullah è alla guida del Tehreke-Taliban Pakistan dal novembre
del 2013, dopo la morte in un raid
aereo statunitense del comandante
Hakimullah Mehsud. Kerry ha poi
citato l’offensiva militare in Nord
Waziristan, avviata a metà giugno e
diretta per la prima volta contro i
gruppi della jihad che hanno le basi in questo remoto distretto al confine afghano. Secondo l’esercito di
Islamabad, nei raid sono morti oltre mille sospetti militanti islamici.
Pyongyang
propone
colloqui
in sede Onu
PYONGYANG, 14. La Corea del
Nord ha chiesto agli Stati Uniti di
aprire un negoziato diretto in sede
Onu sull’ipotesi di sospendere i
test nucleari in cambio dell’annullamento delle previste manovre
militari congiunte tra Stati Uniti e
Corea del Sud. Washington ha respinto la proposta nordcoreana riguardo alle esercitazioni militari,
ma si è detta «aperto al dialogo»
con il regime comunista di Pyongyang. In una nota ufficiale diffusa
ieri, l’ambasciatore An Myong
Hun, vice rappresentante permanente della Corea del Nord alle
Nazioni Unite, ha negato che il
suo Paese abbia ordinato il cyberattacco contro la Sony. «È senza
senso fare una cosa del genere»,
ha aggiunto, chiedendo che gli
Stati Uniti forniscano delle prove
di quanto sostengono e definendo
tali affermazioni «un’altra dimostrazione della politica ostile contro Pyongyang». Quindi, ha rilanciato l’ipotesi dell’inchiesta congiunta con Washington sui fatti
avvenuti alla Sony.
Il marò Latorre
resta
in Italia
NEW DELHI, 14. Massimiliano Latorre potrà restare in Italia altri tre
mesi per curarsi. La Corte suprema indiana ha infatti concesso
una proroga per motivi di salute
al marò accusato dell’omicidio di
due pescatori in India insieme a
Salvatore Girone, il collega che resta invece a New Delhi. La notizia
è stata resa nota da fonti giudiziarie indiane e confermata dalla Farnesina. Lo scorso 12 settembre,
Latorre aveva ottenuto il permesso
di curarsi in Italia dopo l’ictus che
lo aveva colpito il 31 agosto. Il
permesso era scaduto il 12 gennaio, ma prima il militare è stato
operato al cuore. Anche il Governo indiano aveva dato parere favorevole alla proroga.
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Si aprono i colloqui tra le fazioni rivali
La Libia riparte da Ginevra
TRIPOLI, 14. Accelerazione dell’O nu
per una soluzione della crisi libica.
L’inviato delle Nazioni Unite, lo
spagnolo Bernardino Léon, ha annunciato ieri sera che i colloqui tra
le parti (le varie fazioni islamiche e
il Governo riconosciuto dalla comunità internazionale con sede a Tobruk) inizieranno oggi a Ginevra,
anche se non ha fornito al momento
dettagli sui partecipanti. In precedenza, le fazioni islamiche che controllano Tripoli — una coalizione di
tre gruppi: l’Alba Libica, Fajir e le
brigate di Misurata — avevano fatto
sapere che avrebbero deciso solo domenica prossima se inviare o meno
una delegazione in Svizzera. Sembra
invece certa la presenza dei delegati
del Governo internazionalmente riconosciuto guidato dal premier Abdullah Al Thani.
Un messaggio di sostegno ai nuovi negoziati è intanto giunto ieri
dall’Unione europea. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera e
di sicurezza comune, Federica Mogherini, ha infatti dichiarato che
Bruxelles deve definire meglio il suo
ruolo in Libia, ed è pronta «a
un’azione nel caso in cui si verifichi
lo scenario peggiore», anche se
l’obiettivo principale è quello «di
evitarlo». Riferendo al Parlamento
di Strasburgo, Mogherini ha ribadito che «lunedì prossimo discuteremo
con i ministri europei che cosa si
può fare e quali sviluppi, speriamo
positivi, ci saranno dall’incontro a
Ginevra». Però, ha aggiunto, «dobbiamo essere flessibili e dobbiamo
anche prepararci allo scenario peggiore, anche se non voglio discutere
di questo perché è il giorno in cui
trasmettere ai libici e ai loro vicini il
messaggio che questa è l’ultima possibilità, che non si può sprecare».
Intanto, le violenze proseguono
senza tregua in un Paese sempre più
spaccato.
Un attentatore suicida si è fatto
esplodere ieri al volante della sua
auto presso un posto di controllo a
un centinaio di chilometri a ovest di
Bengasi, uccidendo tre soldati e ferendone altri quattro. Lo ha riferito
una fonte militare libica, precisando
che l’incidente è avvenuto sulla strada per Agedabia. Non è arrivata ancora nessuna rivendicazione ma
Bengasi è stata per mesi al centro di
aspri scontri tra le forze governative
e la milizia islamista di Ansar Al
Sharia, che controlla parte della città. Lo stesso checkpoint era già stato teatro di un altro attentato lo
scorso ottobre, ma allora il kamikaze
si era fatto esplodere prima di raggiungerlo, senza fare altre vittime.
E pochi giorni fa sempre a Tripoli
— a conferma del clima di tensione e
violenza nel Paese — la sede
dell’emittente televisiva «Al Naba» è
stata oggetto di un attacco: un
gruppo di miliziani armati ha lanciato due razzi contro la palazzina
che ospita gli uffici dell’emittente
causando ingenti danni materiali,
ma senza provocare feriti, dato che
all’ora dell’attacco gli uffici erano
chiusi.
Progressiva perdita di produttività delle aree coltivate
Ma l’ex presidente egiziano rimane in carcere
Terre d’Africa impoverite
Condanna annullata
a Mubarak
PARIGI, 14. Circa il 65 per cento della terra coltivata africana è danneggiata al punto tale da non poter più
essere produttiva. Lo stesso si può
dire del trenta per cento dei pascoli
e del venti per cento delle foreste.
La denuncia è contenuta in un
rapporto redatto dal Montpellier
Panel,
l’organismo
con
sede
nell’omonima città francese che riunisce esperti di agricoltura e ambiente europei e africani. Nel rapporto intitolato Conserving, Restoring
and Enhancing Africa’s Soils («Conservare, ripristinare e migliorare i
terreni dell’Africa»), si specifica che
le conseguenze di questa situazione
ricadono «in maniera sproporzionata sui piccoli agricoltori perché le
caratteristiche naturali dei suoli, la
precaria sicurezza agraria e l’accesso
limitato ai mercati li spingono a fare
scelte di breve periodo che riducono
i guadagni a lungo termine».
Nei Paesi della sola Africa subsahariana — specifica il rapporto —
sono colpite da questa situazione
centottanta milioni di persone, con
perdite stimate in 68 miliardi di
dollari ogni due anni.
Gli analisti del Montpellier Panel
sottolineano inoltre che la questione
non è tecnica e neppure solo economica in senso stretto, ma fondamentalmente legata a quelle scelte politiche che finora hanno sempre penalizzato le popolazioni rurali. Infatti,
«con diritti più certi sulla terra, una
maggiore istruzione e più formazione», tutti gli agricoltori africani po-
trebbero realizzare «le potenzialità
produttive, ambientali e sociali» che
derivano dal possesso e dallo sfruttamento della terra, migliorando in
modo sensibile le loro condizioni di
lavoro e di vita.
Lo studio del Montpellier Panel
conferma dunque che alla questione
dell’agricoltura di sostentamento
agricola sono legate le possibilità di
sviluppo del continente, le cui coltivazioni sono finora sostanzialmente
indirizzate ai consumi del nord ric-
co del mondo o a quelli dei Paesi
emergenti. Tra l’altro, in Africa si
trova la parte più rilevante delle terre arabili attualmente non occupate
nel mondo e che gli interessi internazionali ad assicurarsene il controllo sono fortissimi.
In conclusione, lo studio redatto
e pubblicato dal Montpellier Panel
lancia un appello alla «cura e attenzione necessarie per un uso sostenibile e produttivo a lungo termine
dei terreni africani».
IL CAIRO, 14. La Corte di cassazione egiziana ha accolto ieri un ricorso presentato in luglio contro la
sentenza di condanna dell’ex presidente Hosni Mubarak a tre anni di
prigione per corruzione e ha ordinato un nuovo processo.
I giudici hanno annullato per difetti di forma anche le condanne a
quattro anni inflitte ai due figli
Dimissionario dopo appena nove mesi il Governo di Roger Kolo
Crisi politica in Madagascar
ANTANANARIVO, 14. Il Governo del
Madagascar guidato dal primo ministro Roger Kolo si è dimesso dopo appena nove mesi dal suo insediamento, nell’aprile scorso. Il presidente della Repubblica, Hery
Rajaonarimampianina, ha accettato
le dimissioni e il suo ufficio ha comunicato che il processo per la
formazione di un nuovo Governo è
in corso. In ogni caso, il presidente
dovrà ora trovare in Parlamento i
voti per far eleggere un successore
di Kolo. Il suo movimento politico, infatti, non dispone di una
maggioranza.
Nessuna spiegazione è stata data
da Kolo, che ha anche rifiutato di
rispondere ai giornalisti sul tema.
Secondo quanto ricorda l’agenzia
Misna, la possibilità di un passo
indietro del primo ministro era stata ampiamente prospettata dalla
stampa locale nelle ultime settimane. «L’Express de Madagascar»
scrive che il capo del Governo sarebbe stato costretto a questo passo — compiuto dopo molte resistenze — dall’aperta insubordinazione di metà dei ministri. A questa avrebbe fatto seguito «un intervento del presidente della Repub-
blica in persona» per reclamare le
dimissioni. La testata malgascia individua in alcuni consiglieri della
presidenza gi avversari dell’ormai
ex primo ministro.
Il Governo di Kolo era comunque molto contestato dall’opinione
pubblica, che rimproverava al primo ministro l’incapacità di portare
avanti politiche di sviluppo per il
Paese, lasciando irrisolto in particolare il problema della carenza di
energia elettrica. In campagna elettorale Rajaonarimampianina aveva
citato questo problema tra i più urgenti a livello sociale.
dell’ex presidente, Gamal e Alaa,
nell’ambito dello stesso processo,
ultimo capitolo giudiziario che ha
sancito la fine politica di Mubarak.
Il processo riguarda le malversazioni da circa 15 milioni di euro ascritte a lui e alla sua famiglia per avere
utilizzato a scopi privati fondi destinati alle residenze istituzionali.
In attesa che venga istruito il
nuovo procedimento da un diverso
tribunale, l’ex capo dello Stato resterà nel carcere militare fino a decisione della procura o della corte,
ha riferito una fonte della sicurezza
citata dall’agenzia di stampa Mena.
«Mubarak e i suoi figli non saranno rimessi in libertà perché la sentenza della Corte di cassazione non
l’ha ordinato» si legge sui media di
Stato, che ricordano come la decisione sia ora nelle mani della procura generale o del nuovo tribunale
che lo giudicherà.
Mubarak resta dunque nell’ospedale militare del Cairo, dove è stato
portato nell’agosto 2013 dopo due
anni di detenzione in altri istituti.
L’ultraottantenne ex presidente era
stato già prosciolto lo scorso 29 novembre nel processo relativo all’uccisione di centinaia di manifestanti
durante le sanguinose proteste
dell’inizio del 2011, che in soli diciotto giorni avevano portato alla
sua caduta.
Il drone in prima pagina
Nuovo modello di drone presentato alla fiera high-tech a San Francisco (La Presse/Ap)
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
WASHINGTON, 14. Altro che giornalismo multimediale. Alla Cnn fanno sul serio: il network
statunitense ha siglato ieri con la Federal Aviation Administration (Faa) un accordo per testare l’uso dei droni, aerei senza pilota usati
principalmente nelle operazioni militari, a scopo giornalistico. In altre parole, grazie all’uso
di droni, certi tipi di inchieste potranno essere
svolte in maniera molto più semplice e dinamica, e le riprese saranno di qualità migliore. «Il
nostro obiettivo — ha spiegato il vicepresidente
della Cnn, David Vigilante — è quello di andare oltre l’attuale livello per determinare le reali
possibilità di impiego dei droni per produrre
video giornalistici di alta qualità. La nostra
speranza — ha aggiunto Vigilante — è che que-
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
sti sforzi contribuiscano a creare un ecosistema
dinamico nel quali operatori diversi e di diverse entità possano agire in sicurezza insieme
all’interno dello spazio aereo statunitense».
Nell’accordo con l’Faa confluisce anche quello
che la Cnn ha in corso con il Georgia Tech
Research Institute di Atlanta, che sta sperimentando software pre-caricati per far volare i
droni autonomamente. «Gli aeromobili pilotati
a distanza — ha spiegato il direttore della Faa,
Michael Huerta — offrono alle organizzazioni
giornalistiche delle opportunità significative.
Noi confidiamo che l’accordo con la Cnn e il
lavoro che faremo con altre testate possa contribuire a integrare in piena sicurezza l’uso dei
droni nello spazio aereo nazionale».
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Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
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Sede legale
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pagina 3
Giorgio Napolitano e la consorte Clio
lasciano il Quirinale (Ansa)
Secondo l’Europol migliaia di persone si arruolano nelle fila del terrorismo
Al Qaeda rivendica
gli attentati in Francia
PARIGI, 14. Fin da subito i fratelli
Kouachi, autori della terribile strage
di una settimana fa al settimanale
satirico «Charlie Hebdo», si erano
dichiarati membri di Al Qaeda, ma
solo oggi è arrivata la conferma “ufficiale”: il massacro è stato infatti rivendicato dall’organizzazione Al
Qaeda nella penisola arabica in un
videomessaggio pubblicato su YouTube. «Li avevamo incaricati noi»
dichiara Nasser bin Ali Al Ansi,
membro del braccio yemenita della
rete del terrore, che spiega: «L’operazione è una vendetta». Sarebbe
stato il capo di Al Qaeda, Ayman al
Zawahiri, a ordinare l’attentato al
settimanale.
Alle spalle del leader del gruppo,
che parla per oltre undici minuti,
compaiono le immagini dell’attacco
contro «Charlie Hebdo», i volti dei
fratelli Kouachi, responsabili dell’assalto, ma anche le immagini della
manifestazione di domenica nella
capitale francese.
In Francia e in tutta Europa, intanto, l’allerta resta altissima. L’Europol ha fatto sapere ieri che tra
L’Europa dice sì
all’acquisto
di titoli di Stato
dei Paesi membri
FRANCOFORTE, 14. La Corte di
giustizia europea promuove il
piano della Bce per l’acquisto di
titoli di Stato dei Paesi membri:
una misura che potrebbe dare
una svolta importante alla ripresa
nel vecchio continente, aprendo
la strada verso una Bce più simile
alla Federal Reserve statunitense
e quindi con maggiori poteri di
azione anticrisi.
Secondo la Corte, il piano di
Draghi «in linea di principio» rispetta i trattati europei, anche se
alcuni aspetti debbono essere rivisti. Così si è espresso l’avvocato
generale della Corte di giustizia
in un parere consultivo, che non
ha valore vincolante ma che comunque abitualmente viene rispettato nella sentenza finale, attesa nel giro di pochi mesi. L’avvocato generale della Corte, Pedro Cruz Villalón, ha sottolineato
che la Bce deve avere «ampia discrezionalità nella politica monetaria»: un passaggio chiave, che
in un certo senso apre la strada a
un maggior avvicinamento dell’istituto di Francoforte al modello statunitense della Federal Reserve. Infatti, proprio per contrastare la crisi, la Banca centrale
statunitense sotto la guida di Ben
Bernanke ha svolto un ampio
programma di acquisto di titoli di
Stato (chiamato Quantitative Easing) che ha avuto effetti molto
positivi sull’economia reale e sul
mercato del lavoro.
Intanto, dalle colonne di «Die
Zeit», in un’intervista il presidente Draghi ha voluto sottolineare
che il compito della Bce «non
può e non deve consistere nell’accollarsi le riforme di alcuni Governi». Il presidente ha sottolineato che alla Bce «mancherebbe
la legittimazione democratica»
per compiere azioni di questo tipo. Draghi ha quindi ribadito la
sua linea: per mantenere la stabilità monetaria in Europa — il
principale obiettivo della Bce — è
necessaria una politica espansiva,
e questo include l’acquisto di titoli di Stato. Inoltre, per contrastare l’inflazione, la Bce deve
«mantenere i tassi bassi e lavorare
a una politica monetaria espansiva che accompagni la crescita».
Draghi ammette che all’interno
del direttivo — la prossima riunione è in agenda per il 22 gennaio
— ci sono differenti posizioni su
come rispettare il mandato
dell’istituto «ma le possibilità che
abbiamo di agire non sono illimitate». Tutti i membri del direttivo
della Bce «sono determinati ad
adempiere pienamente al loro
mandato».
3.000 e 5.000 cittadini europei hanno lasciato il continente per unirsi
agli jihadisti dello Stato islamico
(Is) o di Al Qaeda per combattere
in Siria, Iraq o in altri fronti.
L’agenzia anticrimine dell’Ue ha avvertito che quella attuale è «senza
alcun dubbio la più grave minaccia
terroristica che l’Europa deve affrontare dall’11 settembre». Europol ha
finora schedato nel suo database di
terroristi circa 2.500 persone. Tuttavia, il capo dell’antiterrorismo Ue,
Gilles de Kechove, ha avvertito che
«non si possono prevenire nuovi attacchi al cento per cento».
Intanto, la polizia francese ha arrestato il comico francese Dieudonné, indagato nei giorni scorsi per
apologia di terrorismo, per aver
pubblicato su Facebook la frase «Mi
sento Charlie Coulibaly», fondendo
il nome del giornale con quello di
Amedy Coulibaly, l’autore della strage nel supermarket kosher.
Gli inquirenti francesi hanno
aperto un’indagine anche sulle minacce contro il settimanale satirico
«Le Canard Enchainé», dopo che la
redazione ha fatto sapere di aver ricevuto l’8 gennaio scorso delle minacce in cui si avvertiva il giornale
che sarebbe arrivato «il suo turno».
Sul piano politico, l’Eliseo ha fatto sapere che il segretario di Stato
americano, John Kerry, incontrerà
venerdì mattina a Parigi il presidente francese, François Hollande, per
discutere degli attacchi terroristici
che hanno colpito il Paese e del vertice convocato alla Casa Bianca nelle prossime settimane.
Dodici civili uccisi a Donetsk in un bus di linea centrato da un colpo di artiglieria
Tregua sempre più fragile in Ucraina
KIEV, 14. Grave violazione della fragile tregua nell’est dell’Ucraina. Un
colpo di artiglieria ha infatti centrato ieri un autobus di linea vicino alla città di Donetsk, capoluogo dell’omonima regione e roccaforte dei
ribelli secessionisti, causando la
morte di almeno dodici persone e il
ferimento di altre diciassette, alcune
ricoverate in gravi condizioni.
Il colpo (forse un missile grad)
sarebbe stato sparato dai separatisti
filorussi, sostengono fonti militari di
Kiev riprese dall’agenzia Afp, specificando che l’autobus — con a bordo
solo civili — è stato colpito in pieno
mentre era fermo a un posto di
blocco governativo a Volnovakha,
località a trentacinque chilometri a
sud-est di Donetsk. I separatisti
hanno negato ogni responsabilità.
Subito dopo la notizia della strage
di civili, la portavoce dell’Alto rappresentante dell’Unione europea per
gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha dichiarato che «un cessate il fuoco duraturo rimane la chiave per raggiungere una soluzione politica, basata
sulla rispetto della sovranità e
dell’integrità territoriale ucraina, e
l’Ue sosterrà ogni sforzo in questa
direzione». La portavoce ha aggiunto che Bruxelles sottolinea la necessità di rispettare rigorosamente il
protocollo per il cessate il fuoco.
Ma le notizie che provengono
dall’est sono sempre più gravi. La
torre di controllo dell’aeroporto di
Donetsk, da mesi conteso tra forze
Mariano Rajoy
in visita
ad Atene
ATENE, 14. Il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, è arrivato oggi ad Atene per una breve
visita durante la quale ha incontrato il collega greco, il conservatore
Antonis Samaras. Secondo i media
locali, la visita di Rajoy ad Atene
era stata concordata domenica
scorsa a Parigi, dove i due uomini
politici erano andati per partecipare alla grande manifestazione contro il terrorismo. Con la sua visita,
il premier spagnolo intende esprimere il suo sostegno a Samaras,
leader del Partito Nea Dimokratia
in vista delle elezioni del prossimo
25 gennaio. I sondaggi danno attualmente al primo posto il partito
della sinistra radicale Syriza. Rajoy, leader del Partido Popular, ha
detto varie volte di essere particolarmente attento al voto ellenico.
armate ucraine e quelle di milizie separatiste, è infatti crollata. Come ha
reso noto il portavoce dello stato
maggiore dell’esercito ucraino, Vladislav Seleznev, due giorni fa i ribelli filorussi avevano bombardato
l’edificio. La torre è colassata parzialmente, dalla sommità al quarto
piano, come ha confermato il portavoce del consiglio di Sicurezza e Difesa, Andrii Lisenko. Lo strategico
aeroporto di Donetsk è attualmente
sotto controllo delle forze ucraine e
la sua perdita potrebbe cambiare
drasticamente la situazione sul campo nel Donbass. Negli ultimi giorni,
combattimenti tra militari ucraini e
milizie separatiste si sono intensificati: lo hanno confermato sia ufficiali ucraini che leader ribelli.
Il 15 gennaio prossimo è in programma un incontro internazionale
ad Astana per riprendere i difficili
negoziati di pace dopo il secondo
accordo per un cessate il fuoco raggiunto il 9 dicembre a Minsk. Il primo, siglato lo scorso 5 settembre,
non è mai stato rispettato.
L’interno del bus colpito vicino alla città di Donetsk (La Presse/Ap)
I nove anni al Quirinale di Giorgio Napolitano
Presidente
di tutti gli italiani
di MARCO BELLIZI
Giorgio Napolitano ha lasciato il
Quirinale dopo nove anni di presidenza della Repubblica italiana. La
lettera con le sue dimissioni è stata
fatta recapitare questa mattina al
presidente del Senato, Pietro Grasso, che ora assume in supplenza le
funzioni di capo dello Stato, al
presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini — alla quale
spetta il compito di convocare il
Parlamento in seduta comune entro
quindici giorni per eleggere il nuovo capo dello Stato — e al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi.
Nei suoi nove anni di presidenza,
Napolitano ha dovuto affrontare
non pochi momenti critici della vita
politica, economica e sociale del
Paese. Lo testimonia, anzitutto, la
circostanza stessa della sua rielezione, arrivata come unica soluzione
praticabile dopo un confronto parlamentare aspro e apparentemente
irrisolvibile. Era stato lui stesso, accettando il secondo mandato, a
preannunciare le dimissioni nel momento in cui, a suo giudizio, le forze non gli avessero consentito di
adempiervi con la necessaria energia. Tenendo fede a quanto a suo
tempo assicurato, Napolitano ora
chiude con il consueto stile anche
la polemica su quella rielezione, secondo alcuni voluta e favorita attivamente da lui stesso.
Insinuazioni probabilmente alimentate dall’esigenza di mascherare
l’incapacità delle forze politiche di
arrivare, in quel momento, a un accordo sulla prima carica dello Stato, e dall’insofferenza nei confronti
dello stile seguito dal Quirinale in
questi nove anni, frutto dell’adesione imparziale e rigorosa allo spirito
della Costituzione, di cui il presidente della Repubblica italiana è,
nei fatti, il primo interprete.
Uomo di sinistra, laico ma non
insensibile alle istanze religiose — è
notevole il rapporto anche di affetto personale che lo lega a Benedetto XVI così come la naturale e immediata affinità su alcuni temi con
Papa Francesco — Napolitano ha
saputo esprimere il senso unitario
Bruxelles vara nuove regole su investimenti e deficit
Oltre la flessibilità
BRUXELLES, 14. Dall’austerità alla
crescita, sfruttando la flessibilità del
patto di stabilità: la Commissione
Ue, vincendo le resistenze interne,
ha presentato ieri ufficialmente una
nuova interpretazione della disciplina di bilancio che appare molto più
favorevole per Paesi in difficoltà,
per i quali i vincoli sui conti pubblici si sono trasformati in trappole
per la crescita, complice anche la
lenta ripresa dell’eurozona.
Come ha spiegato il ministro
dell’Economia italiano, Pier Carlo
Padoan, con queste nuove norme gli
Stati avranno sia «incentivi a fare riforme» che maggiori possibilità di
fare «investimenti indispensabili per
promuovere il rilancio dell’economia
e creare posti di lavoro». Inoltre,
come ha spiegato il presidente della
Commissione economica dell’Europarlamento, Roberto Gualtieri, ora
«ci sono le condizioni per la promozione dell’Italia nella verifica fissata
da Bruxelles a marzo».
Secondo queste nuove norme, come già anticipato nei giorni scorsi,
quei Paesi che daranno soldi al Fondo per gli investimenti strategici europei, nato con il piano Juncker,
avranno alcuni vantaggi sul piano
della misurazione del deficit di bilancio. In altre parole, il Paese che
investe nel Fondo non dovrà, per
farlo, usare soldi pubblici e dunque
pesare sul suo bilancio.
«Non vogliamo che gli Stati usino la scusa del Patto per non investire, non possiamo disincentivare
gli investimenti» ha detto il commissario Ue agli Affari economici,
Pierre Moscovici. Per questo le linee
guida sono pensate per aiutare gli
Stati a spendere nello sviluppo.
Non modificano le regole attuali,
ma le rileggono alla luce della necessità di rimettere in moto investimenti e crescita. A beneficio soprattutto di chi — ha spiegato Moscovici
— oggi non ha margine di manovra
sui propri conti e rischia di sforare i
parametri se volesse anche solo
spendere i fondi strutturali, visto
che vanno co-finanziati con soldi
pubblici che pesano sul bilancio.
Nel dettaglio, le nuove regole
consentiranno a un Paese di deviare
temporaneamente dall’obiettivo di
medio termine (il pareggio strutturale di bilancio) se il proprio prodotto interno lordo è negativo o se
è sotto il potenziale di almeno 1,5
per cento, e se si investe in progetti
co-finanziati dalla Ue. Non si potrà
spendere però se il deficit va sopra
la soglia del tre per cento: questo
resta il paletto insuperabile per i
tecnici di Bruxelles.
dello Stato e delle sue istituzioni,
erede dello spirito che nel dopoguerra aveva condotto i costituenti
alla stesura di una Carta fondamentale capace di essere baluardo di
democrazia e pluralismo.
Allo stesso tempo, Napolitano si
è sempre dimostrato molto attento
nell’interpretare i mutamenti in atto
nella vita politica e sociale del Paese, indicando senza timore anche le
inadeguatezze di una Costituzione
concepita ormai quasi settant’anni
fa, all’indomani della tragica esperienza fascista e indicando più volte
la strada, per esempio, del superamento del bicameralismo perfetto,
ora nell’agenda delle riforme avviate dal Governo Renzi.
Non si può comprendere a pieno, forse, la figura politica di Napolitano e la ragione di alcune sue
scelte, senza partire proprio da
quella principale fonte di ispirazione che è stata l’adesione al principio costituzionale di garanzia
dell’unità del Paese, alla quale, non
a caso, ha fatto riferimento anche
nelle sue ultime dichiarazioni rilasciate da capo dello Stato.
Dagli interventi sul tema della riforma della giustizia, che più volte
ha rischiato di spaccare in due il
Paese, a quelli sul rispetto della dignità di quanti sono detenuti nelle
carceri, al ruolo fondamentale e decisivo svolto durante la tempesta finanziaria che nel 2011 minacciava di
travolgere l'Italia — e che condusse
all’incarico di formare un nuovo
Governo affidato a Mario Monti —
fino alla spinta esercitata anche in
queste ultime ore al fine di assicurarsi che le riforme istituzionali facciano la loro strada speditamente e
senza essere condizionate proprio
dall’elezione del nuovo capo dello
Stato, Napolitano ha faticato non
poco nel voler essere presidente di
tutti in un momento in cui da qualche parte si preferiva invece un
Paese diviso dallo scontro. È questa, probabilmente, l’eredità politica
che, nel momento in cui lascia il
Quirinale, egli consegna agli italiani e che costituisce un’indicazione
di cui si dovrà tenere conto al momento della scelta del suo successore.
Altro record
per l’economia
tedesca
BERLINO, 14. La Germania ha raggiunto il pareggio di bilancio già
nel 2014, un anno prima di quanto previsto. È la prima volta dal
1969 che la Germania raggiunge
questo obiettivo. Lo ha annunciato ieri il ministero del Bilancio,
confermando ancora una volta il
buon stato dei conti e dell’economia tedesca. A questo punto è
prevedibile — dicono gli analisti —
un aumento delle pressioni di
Bruxelles nei confronti di Berlino
perché aumenti gli investimenti
pubblici al fine di stimolare la debole crescita dell’eurozona, anche
se difficilmente il Governo di Angela Merkel seguirà questa strada.
Il cosiddetto «Schwarze Null» è
stato possibile soprattutto grazie
al forte calo della spesa per gli interessi sul debito.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
giovedì 15 gennaio 2015
Mosaico
della battaglia di Isso
(II secolo, particolare)
Al Sinodo Joan Clements
ha ribadito il ruolo cruciale svolto
dalla regolazione naturale della fertilità
nel fronteggiare la profonda crisi
che la famiglia sta vivendo
Il metodo funziona nel 99,5 per cento dei casi
L’idea vincente
dei Billings
di DANIELA BANDELLI
ono i primi anni Cinquanta quando John ed
Evelyn Billings, giovane
coppia di medici australiani, neurologo lui e pediatra lei, accettano l’incarico offerto dall’arcivescovo di Melbourne di
aiutare le coppie a regolare la loro
fertilità. In quegli anni la rivoluzione sessuale è ancora in gestazione,
le donne sono incoraggiate a fare le
mogli casalinghe e le madri, la pillola anticoncezionale non ha ancora
fatto irruzione e le gravidanze sono
evitate, o cercate principalmente
con la conta dei giorni dal ciclo
mestruale (Ogino-Knaus).
L’intuizione chiave dei due medici è quella di coinvolgere le donne
nell’osservazione del proprio corpo
per individuare i giorni fertili. Da
qui la messa a punto del metodo
naturale di regolazione della fertilità che porta il nome Billings, valido
in tutte le fasi della vita riproduttiva della donna. Se applicato correttamente il metodo si è dimostrato
efficace nel 99,5 per cento dei casi.
Quello che inizialmente per la
coppia di medici cattolici è un incarico di soli tre mesi si trasforma
nella loro missione di vita. Nel 1978
istituiscono l’organizzazione internazionale Woomb (World Organisation of Ovulation Method Billings) per divulgare a donne e coppie
in tutto il mondo le loro rivoluzionarie scoperte scientifiche, testate
anche dall’Organizzazione mondiale della sanità. Tra gli oltre centoventi Paesi visitati dai coniugi Billings la Cina è stato quello dove
hanno ottenuto il loro più grande
successo: il metodo è stato infatti
adottato nelle politiche governative
di pianificazione familiare.
Del resto, in alcune cliniche australiane prese sotto esame dal 1999
al 2003, si è rilevato che oltre il sessanta per cento delle coppie che desideravano avere un figlio ha raggiunto lo scopo grazie al metodo
Billings.
Morti nel 2007 lui e nel 2013 lei,
genitori di nove figli, nonni di 39
nipoti e 31 bisnipoti, i coniugi australiani hanno ottenuto questi risultati in una società dove la pillola
anticoncezionale è assunta dal trenta per cento delle donne, tre bambini su dieci nascono fuori dal matrimonio, il 3,5 per cento delle nascite annuali è il risultato di concepimento in vitro e ogni anno vengono praticati circa novantamila aborti chirurgici. Non senza qualche
difficoltà economica, la Woomb
continua a studiare e promuovere il
metodo in gruppi di formazione,
cliniche, seminari per professionisti
della salute e collaborazioni con i
medici di famiglia, non solo in Australia ma in oltre quaranta Paesi di
tutti i continenti. Inoltre, sul sito
www.fertilitypinpoint.com è disponibile un grafico elettronico dove si
possono registrare i propri sintomi
giornalieri e con un click richiedere
una consulenza.
«La pianificazione naturale della
fertilità ha una enorme ricaduta positiva sulla famiglia perché permette
di migliorare la comunicazione
nell’intimità tra uomo e donna, e fa
sì che le donne si sentano curate e
rispettate», spiega Joan Clements,
che ha preso parte a nome della
Woomb al recente Sinodo e al Pontificio Consiglio per la famiglia, dove ha ribadito il ruolo cruciale del
metodo Billings nel fronteggiare la
profonda crisi che la famiglia sta affrontando. «Insegnare alle persone
S
a realizzare ciò che desiderano dalla
vita nei tempi giusti rispettando il
corpo — continua Clements — significa contribuire a evitare che le famiglie si sfaldino. Tanti divorzi sono dovuti anche a un fallimento in
questa gestione, e alla base c’è la
mancata consapevolezza delle proprie potenzialità riproduttive».
Clements fa riferimento agli studi
condotti dal sociologo Robert Lerner dell’Università di Chicago che
mostrerebbero una correlazione tra
l’utilizzo del metodo e un bassissimo tasso di divorzio, addirittura
dello 0,2 per cento.
Viene però da chiedersi se questa
maggiore longevità dei matrimoni
non sia dovuta invece all’adesione
ai valori cattolici delle famiglie che
praticano il metodo. Non lo sappiamo, ma Clements fa notare che in
Australia circa il sessanta per cento
dei partecipanti ai corsi non sono
cattolici.
Oltre a coppie sposate, partner
di fatto e donne single, destinatari
della filosofia Billings sono anche
gli adolescenti. Per esempio il programma collegato “Teenstar” si rivolge a giovani dai tredici anni in
su, sulla soglia di quella fascia di
età a rischio che in Australia vede
sedici adolescenti su mille diventare
baby-mamme. Il programma prevede che, con il consenso dei genitori,
gli studenti partecipino a incontri
settimanali per due semestri durante le ore di biologia, educazione alla salute e religione, dove imparano
a ponderare le loro decisioni e a comunicare i loro comportamenti sessuali, anche contrastando la pressione dei coetanei e dei media.
Quasi un contrappeso educativo
alla parallela introduzione nelle
scuole della visione queer secondo
cui i genitori sono 1 e 2, i figli potrebbero nascere non solo dal naturale incontro tra maschio e femmina, e l’identità sessuale non sarebbe
altro che un costrutto culturale che
si può fare e disfare modificando il
proprio corpo a piacimento.
Nel pensiero dell’autore delle «Vite parallele»
Europeismo ante litteram
di MARCO BECK
essun
esponente
della grecità imperiale si prodigò più
appassionatamente
ed efficacemente di
Plutarco nell’ardua missione di
accostare, conciliare, armonizzare
la storia, il pensiero, la letteratura
delle due civiltà dominatrici
dell’antico Occidente: quella ellenico-ellenistica, giunta ormai al
tramonto, e quella romana, ancora vitale e in piena espansione fra
il I e il II secolo dell’era cristiana.
Ingegno poliedrico, Plutarco era
nato intorno all’anno 47 a Cheronea, in Beozia, regione centrale
di una Grecia divenuta da tempo
una provincia strategicamente
marginale dell’impero, ancorché
rispettata in virtù del patrimonio
culturale accumulato nei remoti
secoli del suo splendore.
In quel nido familiare, in quel
microcosmo domestico, Plutarco
amò dimorare per lunghi periodi
fino alla morte — collocabile tra il
120 e il 130 — confortato dall’affetto della moglie, dei fratelli e
dei figli, gratificato dalla stima
dei concittadini e dalla devozione
degli allievi, ma soprattutto impegnato nella stesura di una strabiliante quantità e varietà di opere storico-filosofiche: oltre 250, di
cui solo un’ottantina tramandate
ai posteri. Non era, tuttavia, un
intellettuale sedentario.
Da giovane studiò ad Atene,
presso l’Accademia, dove si appassionò al pensiero di Platone.
Viaggi d’istruzione lo condussero
in Egitto e in Asia Minore. Non
mancò di visitare Roma, come
rappresentante della sua comunità locale. Uomo di profonda religiosità, per un ventennio svolse il
servizio di sacerdote addetto al
venerando santuario di Apollo a
D elfi.
Nonostante il relativo isolamento, il “provinciale” Plutarco
aveva del mondo contemporaneo
— grazie alla sua apertura mentale, alla vastità della sua dottrina e
all’elevatezza degli ideali coltivati
— una visione “continentale”. In
lui si potrebbe quasi scorgere il
profilo di un europeista ante litteram, di un antesignano dell’odierna Unione europea.
N
tirò su Plutarco la simpatia di
chi, come Teodoreto, teologo e
vescovo di Cirro, arrivò a congetturare un suo contatto con il
Vangelo. Quest’aura para-cristiana traspare, in effetti, anche da
alcune pagine confluite in un’antologia che, pur nella sua snellezza, presenta una scelta di testi
sufficiente a documentare la fisionomia prismatica di un repertorio
assimilabile a un’enciclopedia
dell’età imperiale.
Il volume che oggi restituisce
visibilità ad almeno uno spicchio
dei Moralia prende in prestito il
suo titolo dal dialogo De vita
beata di Seneca: La vita felice (Torino, Einaudi, 2014, pagine XVI208, euro 26). Versioni italiane e
corredo critico portano la firma
dell’esperto classicista Carlo Carena. La sua selezione privilegia
La fortuna, Non si può avere una
vita piacevole seguendo Epicuro, La
tranquillità dell’animo, Norme per
mantenersi in buona salute, Norme
per il matrimonio, Il banchetto dei
sette sapienti, Venticinque detti di re,
di generali e di spartani.
Quale filo rosso riunisce in questo bouquet
Al precario edonismo di Epicuro
policromo i fiori del sapere e della sapienza
Plutarco contrappone
plutarchei scelti dal cui benefici dell’esercizio delle arti
ratore? È lo stesso, in
sostanza, che avvolge
E una speculazione intellettuale
l’intero complesso delle
di stampo neoplatonico
sue Opere morali, è l’affabile umanità di una
cultura non egoisticagettività storica, l’opulenza aned- mente introflessa bensì comunicadotica, la penetrazione psicologi- tiva, desiderosa di divulgare i
ca nella rappresentazione dei ca- saggi criteri di comportamento,
ratteri, rendendole fonti inesauri- suscitatori di eudaimonìa (felicità),
bili d’ispirazione per il teatro di che l’autore ha estratto sia da coShakespeare, Corneille, Racine e piose e fruttuose letture, sia
Alfieri, hanno assicurato alle Vite dall’esperienza di una coerente,
una fortuna postuma superiore a serena quotidianità.
quella toccata alla seconda granIn questa amorevole solidarietà
de collezione plutarchea: i cosid- con le ansie e le aspirazioni di
detti (con titolo latino ormai con- tutti gli uomini, in questa partecipazione terapeutica alle loro sofvenzionale) Moralia.
Eppure anche questi scritti di ferenze, fondata su un rispetto
natura saggistica, incentrati su delle esigenze e delle opinioni aluna molteplicità di temi etico-fi- trui che rifugge da ogni dogmatilosofici — precettistica morale, smo, si radica la “filantropia” di
politologia, problematiche scienti- Plutarco.
E proprio qui risiede il segreto
fiche e religiose, retorica, erudizione antiquaria, benessere psico- del suo piacere di scrivere per fafisico, e così via — ebbero insigni re del bene: il gusto di esprimersi
ammiratori, quali Erasmo da Rot- con la stessa confidenziale freterdam e Montaigne. Nei primi schezza di una conversazione a
secoli dell’era cristiana, addirittu- tavola, tra commensali legati da
ra, il respiro etico dei Moralia at- reciproca stima e amicizia, secon-
Orgoglioso custode delle proprie radici etnico-culturali, ma al
tempo stesso sincero estimatore
della grandezza di Roma, del suo
primato civile, giuridico, economico, era convinto che lo spirito
ellenico potesse giovare alla coesione e allo sviluppo di un organismo politico così esteso, complesso, multiforme come l’impero
romano.
Promuovere l’interazione — se
non proprio l’integrazione — delle
tradizionali qualità del popolo
greco con le native virtù dei cives
romani, pur senza oscurare nel
confronto differenze e peculiarità:
è questo il progetto, al limite
dell’utopia, sotteso alla sua più
celebre “collana editoriale”, che si
articola nelle ventidue coppie di
biografie di illustri personaggi
della storia greca e romana, teoricamente speculari — ma tali, stricto sensu, solo in un paio di casi:
Alessandro/Cesare,
Demostene/Cicerone — designate come
Vite parallele. La loro letterarietà
non di rado irrispettosa dell’og-
do il modello offerto da Talete,
Solone e dagli altri antichi sapienti nell’immaginario banchetto
al quale li convoca lo scrittore di
Cheronea. Homo humanus, osserva Carena nella sua introduzione,
«egli si occupa devotamente
dell’individuo e cerca di medicare
i suoi malanni incitandolo a instaurare e mantenere quell’equilibrio interiore e fisico che è segno
e risultato di forza d’animo e garanzia di benessere».
Di scritto in scritto, Plutarco
declina la sua humanitas in chiave
perlopiù filosofica, come quando
esorta a combattere la cieca forza
della fortuna con le risorse
dell’intelligenza, della razionalità,
della volontà. O quando al precario edonismo di Epicuro contrappone i benefici insiti nell’esercizio
delle arti e delle lettere oltre che
in una speculazione intellettuale
di stampo neoplatonico. O ancora quando addita nel controllo
delle passioni la sola prassi dispensatrice di una stabile tranquillità dell’animo.
Altrove, mutando completamente registro, sfodera la sua
competenza di igienista e dietologo nel suggerire una sana alimentazione utile al mantenimento di
una buona salute. Sulla duplice
pista della psicologia e della direzione spirituale si snodano poi,
in vista di un matrimonio quanto
più possibile felice, consigli che
riflettono talora una concezione
del rapporto coniugale naturaliter
christiana, affine alla catechesi di
san Paolo: «Quanto all’uomo,
eserciti il suo dominio sulla donna non come padrone di una proprietà ma come fa l’anima col
corpo, condividendo i suoi sentimenti e congiunto a lei dall’affetto».
Del resto, a testimoniare come
Plutarco — e con lui tutto un
mondo sommerso di spiritualità
greco-romana — fosse a un passo
dalla conoscenza e dall’accoglienza del cristianesimo, potrebbe bastare anche solo questa citazione
tratta da La tranquillità dell’animo: «L’universo è il tempio più
santo e più degno di Dio, e l’uomo vi è introdotto con la nascita
a contemplare rappresentazioni
sensibili delle essenze intelligibili».
La Zecca di Gela e l’operosità del popolo siciliano
L’altra faccia della moneta
Moneta d’argento risalente al 490-485
prima dell’era cristiana
La storia insegna che il passato ritorna e lascia tracce indelebili. Ecco allora che il percorso di sviluppo della Sicilia, non potendo
prescindere da una riscoperta delle proprie
radici culturali, conosce una tappa obbligata
nelle monete: rappresentano infatti il «racconto corale» di un popolo operoso, aperto
agli scambi e vivo nei commerci. È su questa
base che poggia il volume, in italiano e in inglese, Le monete della Zecca di Gela (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2014, pagine
267, euro 32). Queste monete sono conservate sia
al museo archeologico della città siciliana, sia
presso il medagliere della Biblioteca vaticana.
L’opera è a cura di Giancarlo Alteri, capo del
Gabinetto del medagliere ambrosiano, e di Eleonora Giampiccolo, responsabile del medagliere
della Vaticana. «Nelle incisioni — scrive nella
presentazione Rosario Crocetta, presidente della
regione Sicilia — ritroviamo le alternanze della
grande storia, le effigi testimoni dei giorni della
democrazia e di quelli della tirannide. Le figure
rappresentate sulle monete sono simboli anche
di una grande ricchezza. La loro fine lavorazione
ci riporta a un tempo in cui l’isola era uno dei
centri più progrediti del Mediterraneo». E nella
prefazione il sindaco di Gela, Angelo Fasulo,
evidenzia che il volume, nel raccontare 2.700 anni di storia attraverso il patrimonio monetario
della zecca di Gela, mira a trasmettere ai più
giovani la consapevolezza di vivere in una città
dove «ogni angolo evoca gli echi del tempo e
ogni traccia ritrovata rappresenta il segno di un
sapere profondo». (gabriele nicolò).
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 15 gennaio 2015
pagina 5
Una rilettura della celebre opera di Tommaso da Kempis
Imitazione
senza rivalità
di ODD ONE CAMERANA
hi può sapere se Tommaso da
Kempis, il mistico tedesco vissuto tra il il 1380 e il 1471,
avesse consapevolezza di una
cattiva imitazione accanto a
quella da lui delineata nel e promossa dal
famoso libro L’imitazione di Cristo? Sta di
fatto che, impegnato a descrivere gli aspetti di pratica religiosa e comportamentali da
seguire per imitare il Cristo, l’autore non
fa cenno all’esistenza di un’eventuale imitazione da evitare.
Noto come il libro più letto dopo il
Vangelo, L’imitazione di Cristo è un testo
devozionale, una traccia di ascesi cristiana
cresciuta in ambiente monastico, un testo
adatto alla vita nei monasteri e a chi ritiene di essere esule su questa terra e sceglie
alcune regole di vita che si confanno al
suo proposito. Intento non facile, tanto è
vero che a integrazione delle regole prescritte e dei consigli contenuti nel libro, il
testo prevede una preghiera: «O Signore
Gesù, dura fu la tua vita e disprezzata dagli uomini; fa che io ti possa imitare disprezzato dal mondo».
Perché la prima regola per imitare il Cristo è quella di rinnegare se stessi, prendere
la propria croce e seguire il Cristo (Luca,
9, 23; 14, 27; Matteo, 16, 24).
Per poter imitare il Cristo bisogna essere
morti a se stessi, non disporre di sé ma
darsi a Dio, essere ignorati, astenersi da
ogni ricerca di sé, stare appartati, mortificarsi. «Sono un nulla» dice chi disprezza
se stesso. Altri obblighi sono quelli secondo i quali il sapere è squalificato (un motivo di vanità), quello di non lasciare la propria stanza (disposizione che fa pensare a
Pascal), di praticare la compunzione, il dispiacere di se stessi, il distacco accompa-
C
Hieronymus Bosch, «Cristo portacroce» (1498-1516 circa)
gnato dalla consapevolezza della miseria
umana.
Centrale per imitare il Cristo è seguire la
via dell’interiorità: via praticabile cercando
Dio dentro di noi e non se stessi — dove si
troveranno solo rovine — cercando rifugio
nella passione di Cristo e nella sua sofferenza, cercando la libertà dal desiderio, la
sottomissione, l’umiltà, il sopportare in pace, luoghi dove si troveranno la luce e la
grazia. Il desiderio per altro non è escluso
tenendo presente che le cose desiderate da
chi imita il Cristo — la salvezza, la speranza, la consolazione, la pace — sono infinitamente disponibili e non creano rivalità.
Altre centralità sono quella del conflitto tra
vita presente e vita futura, tra esilio e salvezza, tra peccato e misericordia, tra natu-
che vuole la presenza attiva dei fedeli nel
mondo, immersi nella sua costruzione. E
uno si chiede: dove trovano posto nella
forma di imitazione prevista da Tommaso
da Kempis i valori moderni della soggettività, della capacità di relazione, dell’empatia e dell’autostima ignorati dal testo medioevale? Senonché il dubbio che il trattato di Tommaso da Kempis mal si adatti alle esigenze di oggi trova un incoraggiamento e un rilancio in positivo quattro secoli dopo nell’ipotesi dell’esistenza di una
buona imitazione in alternativa alla cattiva
imitazione, esistenza teorizzata dall’antropologia di René Girard e dalla sua ipotesi
del desiderio mimetico.
La possibilità di imitare fattivamente il
Cristo per Girard è il risultato di una lunga accanita, ramificata riflessione sull’imitazione stessa del desiderio che va redenta in quanNoto come il libro più letto dopo il Vangelo
to all’origine della violenza sacrificale e dell’assassinio fondaè un testo devozionale
tore su cui si basano le civiltà
Che traccia un’ascesi cristiana
non redente dal sacrificio di
nata in ambiente monastico
Cristo. Senonché non potendo
l’uomo nella prospettiva mimetica fare a meno di imitare il
desiderio del prossimo con cui
ra e grazia. E poi la centralità della morte, poi entra in conflitto, non resta che imitare
cui bisogna prepararsi da giovani quando il Cristo che imita il Padre.
si è in salute e non da moribondi quando
Imitare il Cristo e rifiutare di imporsi
è ormai tardi per imparare a morire al come modello vuol dire cancellarsi agli ocmondo. Centralità della croce, desideran- chi del prossimo e fare in modo di non esdola perché la salvezza è nella croce. Cen- sere imitati. «Imitatemi — dice san Paolo —
tralità del concetto del corpo come carcere
perché imito il Cristo». E siamo tornati al
e centralità infine della fede che arriva dopensiero di Tommaso da Kempis.
ve non arriva la scienza.
In un mondo in cui l’assassinio fondatoNon manca un cenno alla normalità della vita terrena: «Fa quel che devi; lavora, re ha perso di efficacia in quanto rivelato,
scrivi, canta, piangi, taci, prega», elenco non abbiamo altra scelta che quella di imiche sembra poco più di una concessione a tare il Cristo. Il monaco come il prete di
chi dovrà vivere nella Chiesa postconciliare strada.
La guerra del Vietnam vista dai fotografi vietcong
Dalla parte dei vincitori
di GAETANO VALLINI
La storia la scrivono i vincitori. Ma non
sempre. Da questa parte del mondo, infatti, la guerra del Vietnam venne raccontata
dai vinti, gli Stati Uniti. Ora però arriva
la possibilità di un cambio di prospettiva:
osservare quel conflitto come non si era
mai visto in Occidente, ovvero dalla parte
dei vincitori.
A permetterlo è Ceux du Nord (Paris,
Les Arènes - Fondation Patrick Chauvel,
Foto di Ðoàn Công Tính (1970)
2014, pagine 160, euro 29,90), il volume
che raccoglie le fotografie esposte in autunno a Perpignan, in Francia, nell’ambito
del festival «Visa pour l’image», a cura del
fotografo e documentarista Patrick Chauvel. Centoquaranta immagini inedite (in
mostra erano solo settanta) scattate dai fotoreporter nordvietnamiti tra il 1966 e il
1975. Un punto di vista diverso, dunque,
per raccontare la guerra più lunga e tra le
più laceranti e contestate combattute dagli
Stati Uniti, ma anche un’occasione per riflettere sul modo in cui essa fu presentata
al mondo.
Per questo Ceux du Nord è un’operazione particolarmente interessante, visto che
l’iconografia di questo conflitto era stata
finora affidata alle immagini scattate dai
fotoreporter al seguito delle
truppe statunitensi, inviate in
quel lembo di Asia per contrastare l’avanzata comunista. Fotografie che contribuirono a
scrivere la storia di quel conflitto, ma con un marchio unico. E ciò malgrado Don McCullin, Philipp Griffith, Gilles
Caron, Henri Huet, Eddie
Adams, Nick Ut — vincitore
del Pulitzer per la famosa immagine realizzata l’8 giugno
1972 della bambina vittima del
napalm che corre nuda, braccia in alto e il viso stravolto
dal dolore — si sforzassero di
raccontare le atrocità della
“spora guerra” senza autocensure, limitandosi a mostrare
quanto accadeva sotto i loro
occhi, dunque scevri da intenti
propagandistici. E non a caso
le loro foto si fecero interpreti
della crescente avversione al
conflitto negli Stati Uniti e alcune loro immagini divennero
vere e proprie icone, simboli
del movimento pacifista.
In ogni caso questo privilegio di fatto portò ad avere
una visione unilaterale dei fatti, alimentata anche da un numero consistente di film hollywoodiani, che non teneva in
nessun conto il punto di vista
nordvietnamita, rimasto celato
— a parte qualche scatto filtrato da oltre
cortina — per più di quarant’anni.
Grazie a Chauvel, che in Vietnam c’era
stato come fotografo per documentare il
conflitto e che molti decenni dopo c’è tornato per una conferenza ad Hanoi duran-
Minh Ðao, e apprezzare il loro lavoro per
l’Agence
vietnamienne
d’information
(Avi), per giornali e riviste. Di molti altri
non conosceremo il nome, visto che oltre
duecentosessanta — questa la stima — morirono durante i combattimenti.
Un lavoro ancora più apprezzabile in
quanto, stando a quanto raccontato ma
come facilmente immaginabile, i loro mezzi tecnici erano decisamente inferiori rispetto a quelli dei colleghi occidentali. Si
È la prima volta
narra, al riguardo che un fotografo, non
possedendo un teleobiettivo, sia stato coche queste immagini circolano
stretto ad avvicinarsi più volte alle truppe
in Occidente
di prima linea riuscendo a sopravvivere al
Raccontando una storia diversa
fuoco nemico. O di quello che, non avendo una camera oscura, aveva utilizzato un
solo rullino da settantadue pose per tutta
la guerra temendo che le preziose foto si
finalmente voce e volto a quanti quella potessero rovinare con la luce nel momenguerra la vinsero.
to in cui avesse aperto la sua vecchia macCosì oggi accanto ai nomi dei ben co- chinetta di produzione sovietica.
nosciuti fotoreporter statunitensi si possoLa guerra vista dai vietcong ha certo un
no aggiungere quelli di Ðoàn Công Tính, carattere trionfalistico, ma non quanto ci
Lu’o’ng Nghĩa Dũng, Chu Chí Thành, si potrebbe attendere. Stava costando
Hú’a Kiêm, Ngoc Ðan, Mai Nam, Vũ Ba, troppe vittime, probabilmente un milione,
e infinite sofferenze anche alla popolazione.
Così, mentre i fotografi
occidentali erano impegnati a denunciare gli
orrori e l’insensatezza
di quel conflitto, i loro
colleghi nordvietnamiti
cercavano di esaltare
l’eroismo e i sacrifici di
un popolo intero chiamato a fronteggiare un
nemico
potentissimo.
Gli stessi reporter erano
considerati
«cittadini
fotografi combattenti».
Non mancano quindi, oltre a quelle che
documentano combattimenti, fotografie tese a
incoraggiare il patriottismo, la lotta per la libertà e l’indipendenza,
la mobilitazione delle
masse «per l’edificazione del socialismo», come quella che mostra
un panzer nordvietnaFoto di Võ An Khánh (foresta di U Minh, 15 settembre 1970)
mita che entra a Saigon
te la quale ha incontrato alcuni dei colleghi che operavano dall’altra parte del
fronte, l’operazione Ceux du Nord si presenta come una sorta di risarcimento, mostrandoci le immagini riprese dai fotografi
in prima linea con i vietcong, sostenuti,
oltre che da Ho Chi-Minh, anche
dall’Unione Sovietica e dalla Cina, dando
Foto di Phan Thoan (Hà Tinh, 10 settembre 1965)
accolto da una folla in tripudio. O quella
che ritrae una giovane minuta con accanto
un “gigantesco” soldato americano fatto
prigioniero. Spesso i combattenti vengono
mostrati sorridenti, in contesti quasi irreali, ma quegli scatti arrivavano da una
guerra reale, con il suo carico di sofferenza e di dolore. Diverse immagini, poi, mostrano donne, ritratte alle radiotrasmittenti
mentre inviano messaggi, oppure pronte al
combattimento imbracciando un fucile, o
ancora intente a curare feriti in improvvisati ospedali da campo.
Quella che emerge è dunque un’altra
verità. E chissà se un giorno si potranno
vedere in un’unica grande mostra dedicata
alla guerra del Vietnam le immagini dei
fotografi statunitensi e nordvietnamiti. Per
riscrivere, stavolta insieme, un pezzo di
storia.
L’OSSERVATORE ROMANO
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giovedì 15 gennaio 2015
Forum del Consiglio ecumenico delle Chiese dopo gli attacchi a Parigi
Comunità religiose
e libertà d’opinione
GINEVRA, 14. Un’attenta e approfondita riflessione sul tema della libertà d’opinione e sul ruolo delle
comunità di fede nell’attuale società multiculturale è stata promossa
dal Consiglio ecumenico delle
Chiese (Cec) a pochi giorni dai
tragici attacchi terroristici compiuti
a Parigi contro il giornale «Charlie
Hebdo»
e
un
supermercato
ebraico.
Tutti i partecipanti al forum,
svoltosi a Ginevra, hanno espresso
una netta condanna della violenza
e del terrorismo. Ma hanno anche
rilevato la necessità di porre particolare attenzione al rischio che, nel
nome della libertà di espressione,
possano essere alimentate tensioni
interreligiose e sostenuti stereotipi
che non fanno altro che diffondere
la paura dell’altro più che il desiderio di conoscenza e comprensione
delle diversità.
Da parte di alcuni relatori è stato fatto notare come vi siano nazio-
ni dove i principi della libertà di
opinione non sono adottati in maniera univoca, talvolta penalizzando le minoranze. Inoltre sono
emerse opinioni differenti sul modo in cui i media dovrebbero autoregolamentarsi per evitare di alimentare atteggiamenti ostili. Anche
se da parte di alcuni è stato affermato che in democrazia è legittimo
porre in discussione anche il ruolo
pubblico svolto dalle comunità religiose, è stato affermato con forza
come l’incoraggiamento della xenofobia, dell’antisemitismo e dell’islamofobia non possa essere in alcun
modo giustificato.
Nel corso dei lavori, si è naturalmente discusso anche del rapporto
tra religione e laicità nella società
francese e in tutta Europa.
In merito agli attentati di Parigi,
il vice segretario generale del Cec,
Georges Lemopoulos, ha detto che
il Consiglio ecumenico delle
Chiese respinge con fermezza e
condanna ogni giustificazione religiosa della violenza. «Assieme a
tutti gli uomini di vera fede e di
buona volontà, preghiamo per le
vittime e le loro famiglie, affinché i
responsabili siano assicurati alla
giustizia e l’ideologia estremista
che ha ispirato questo attacco venga spenta».
Documento del Cec sugli agghiaccianti attentati di Boko Haram
Anche in Nigeria serve
una grande manifestazione di unità
GINEVRA, 14. Il Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) ha espresso
sgomento e preoccupazione per gli
attacchi del gruppo estremista Boko Haram in Nigeria che, secondo
fonti locali, hanno provocato la
morte di oltre 2.000 persone e
coinvolto anche bambini, utilizzati
in attacchi suicidi.
«La mentalità che induce a usare
i bambini come bombe e che massacra indiscriminatamente donne e
anziani provoca molto più che indignazione, e non può essere in alcun modo giustificata da convincimenti religiosi». È quanto si legge
in una nota diffusa nella quale si
chiede al Governo nigeriano di rispondere efficacemente a questi feroci attacchi e di garantire la protezione di tutte le persone.
Il Consiglio ecumenico delle
Chiese ha aderito all’appello dei
leader religiosi nigeriani, i quali
hanno chiesto solidarietà e impegno alla comunità internazionale,
esprimendo profonda delusione per
la relativa — perfino discriminatoria
— mancanza di copertura mediatica
internazionale. «Per quanto il Cec
si unisca alla solidarietà internazionale con il popolo francese — si
legge in una nota — siamo profondamente addolorati che i tragici
eventi in Nigeria non abbiano attirato altrettanta preoccupazione e
solidarietà da parte della comunità
internazionale».
Anche l’arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale
nigeriana,
monsignor
Ignatius
Ayau Kaigama, è convinto che «la
nuova strategia dei terroristi di
Boko Haram di usare bambine innocenti come bombe umane è
aberrante e inimmaginabile». Secondo il presule, è probabile che
siano state le stesse ragazze ad attivare le bombe e non, come ipotizzato da alcuni, che esse siano state
fatte esplodere a distanza con un
telecomando. «Queste bambine so-
no state indottrinate, hanno fatto
loro il lavaggio del cervello per far
loro credere che andranno in paradiso compiendo queste azioni.
D’altronde — ha aggiunto — abbiamo presente il triste fenomeno dei
bambini soldato in diverse zone
dell’Africa, che sono indottrinati
con terrificanti metodologie di plagio al fine di diventare macchine
per uccidere».
L’arcivescovo ha espresso comunque soddisfazione per il fatto
che alcuni leader religiosi di primo
piano della comunità musulmana
stiano prendendo le distanze da
Boko Haram e abbiano condannato le loro azioni. Tuttavia, ha detto,
«dobbiamo fare di più. Penso alla
grande manifestazione di Parigi
contro le uccisioni avvenute in
Francia. Auspico anche qui una
grande manifestazione di unità nazionale che superi le divisioni politiche, etniche e religiose, per dire
no alla violenza».
Iniziativa di comunità e movimenti ecclesiali in vista del sinodo del patriarcato di Lisbona
In ascolto della città
di GIOVANNI ZAVATTA
L’ispirazione è venuta dall’esortazione apostolica Evangelii gaudium
di Papa Francesco: essere Chiesa
“in uscita”, raggiungere i margini,
le periferie, le frontiere interne della società, sperimentare nuovi modi
di raccontare la fede, fare comunità. È con questi obiettivi che parte,
giovedì 15 gennaio a Lisbona, l’iniziativa «Escutar a cidade» (Ascoltare la città) promossa da ventisette
fra comunità, movimenti, organizzazioni e gruppi cattolici portoghesi coinvolti nel sinodo diocesano
lanciato nelle settimane scorse dal
patriarca Manuel José Macário do
Nascimento Clemente e che si concluderà nel novembre 2016, in
coincidenza con il trecentesimo anniversario della bolla pontificia In
supremo apostolatus solio, con la
quale Clemente XI, il 7 novembre
1716, elevò l’arcidiocesi di Lisbona
al rango di patriarcato.
«Ascoltare la città — scrivono i
promotori — è un invito affinché i
cattolici della diocesi si lascino interrogare da persone che, pur vivendo nel medesimo tessuto sociale, non condividono la condizione
di appartenenza ecclesiale, ed
esprimano una riflessione pertinente su aspetti decisivi della società,
dell’economia, della cultura e del
modo di vivere che caratterizzano
il territorio» di Lisbona. Stavolta,
dunque, sarà la società a prendere
la parola per esprimere le proprie
inquietudini e a dire cosa si aspetta
dalle comunità di credenti che vivono nella diocesi. In tale processo
spetta ai cattolici ascoltare, accogliere e meditare su ciò che viene
espresso, con l’auspicio che, lungo
l’iter sinodale, siano in grado di affrontare le sfide che si presentano,
di formulare risposte, di andare
verso l’altro.
La pedagogia è quella dell’ascolto come apprendimento e incontro
con il mistero: «Ascoltare le preoccupazioni, le inquietudini e le
aspettative di chi si pone all’esterno della Chiesa. Invitarlo a condividere con noi la risposta a questa
domanda: cosa ti aspetti dalla
Chiesa di questo territorio? Ascoltare in un contesto laicale e poco
ecclesiastico. Ascoltare perché que-
sto è il luogo dell’incontro con il
mistero di Dio. Ascoltare in modo
coerente e cambiare di conseguenza il nostro modo di pensare e di
vivere la fede» a partire da ciò che
emerge dal confronto. «Escutar a
cidade» è un’iniziativa “di uscita”,
come suggerisce l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, «facendo
in modo che la dinamica del sinodo non resti chiusa nelle strutture,
nei gruppi che già esistono o che si
formeranno all’interno della Chiesa». Occorre rispondere all’appello
del Papa, andare nelle periferie
geografiche ed esistenziali. Del resto, per i cristiani «il mondo è un
interlocutore, non un nemico. È attraverso i nostri concittadini che
Dio ci parla e ascoltare la sua voce
non è una tattica, fa parte della
missione costitutiva della Chiesa.
Ascoltare voci diverse, le domande
degli altri e comprendere l’importanza di ciò per cui si stanno battendo, aiuta la nostra identità».
Sei gli incontri previsti da qui a
giugno, uno al mese. Si parlerà,
nell’ordine, di: identità, comportamenti e stili di vita; politica, partecipazione e democrazia; dinamiche
sociali nel territorio della diocesi;
povertà, occupazione e crisi finanziaria; scienza, arte e conoscenza;
lingue, spiritualità, sessualità e convinzioni. Il primo, giovedì 15, vedrà la
partecipazione del critico letterario
António Guerreiro (del quotidiano
«Público»), della docente Maria Benedita Monteiro, esperta di razzismo
e relazioni interetniche, e del sociologo José Machado Pais. Secondo Jorge
Wemans, fondatore di «Público» e
rappresentante del Movimento dei
professionisti cattolici (Metanoia), la
Chiesa non vive per se stessa ma per
servire gli uomini e le donne reali del
tempo di oggi: «Pertanto ascoltarli
non è solo una scelta ma una cosa
fondamentale del modo di essere cattolico», ha spiegato, auspicando che
la Chiesa si ponga in un atteggiamento di «ascolto permanente».
Il sinodo diocesano servirà a dare
impulso al «sogno missionario di raggiungere tutti», come ha detto il patriarca Macário do Nascimento Clemente, cardinale eletto, in occasione
del lancio dell’importante evento ecclesiale: «Esistono innegabili problemi
di sicurezza e di utilizzazione degli
spazi ma se riusciremo a ripristinare
in modo creativo il servizio reso dagli
antichi ostiari, che aprivano e custodivano i templi, offriremo a molti un
luogo propizio all’incontro, all’incontro con Cristo».
Esortazione pastorale dei vescovi del Venezuela
Rinnovamento etico e spirituale
contro la crisi
Nonostante le minacce i sacerdoti dello Stato messicano di Guerrero continuano la loro opera pastorale
Per strada a predicare il Vangelo
CHILPANCINGO DE LOS BRAVO, 14.
La Chiesa cattolica accoglie il nuovo
anno con grande preoccupazione
per l’ondata di violenza e insicurezza che investe lo Stato messicano di
Guerrero. È quanto ha affermato il
vescovo di Chilpancingo-Chilapa,
monsignor Alejo Zavala Castro, denunciando che la criminalità minaccia e ricatta i sacerdoti della sua diocesi. Nei giorni scorsi — riferisce Fides — monsignor Zavala Castro ha
informato che i tre vescovi della zona di Guerrero, insieme all’arcivescovo di Acapulco, monsignor Carlos
Garfias Merlos, hanno avuto un incontro con il procuratore generale,
Miguel Angel Godinez, per affrontare la questione, a poco più di due
settimane dall’assassinio di padre
Gregorio López e del sacerdote
ugandese John Ssenyondo. Riguardo a padre Ssenyondo, il vescovo di
Chilpancingo-Chilapa ha detto che
finora le autorità non hanno fornito
un rapporto sulle indagini e le sue
spoglie non sono state ancora trasferite nel Paese di origine.
Monsignor Zavala Castro ha chiesto alle autorità locali di garantire la
sicurezza in tutta la zona di Guerrero. Inoltre, ha fatto sapere di essersi
riunito con i suoi sacerdoti per analizzare la situazione. Dopo aver
escluso qualsiasi motivo da parte loro che possa provocare queste minacce, i religiosi hanno deciso di
non lasciarsi condizionare e di continuare a predicare il Vangelo come
sempre, con spirito missionario e
coerenza evangelica. Malgrado siano
stati minacciati di rapimento e subiscano continui tentativi di estorsione, i sacerdoti messicani non chiederanno al Governo particolari misure
di sicurezza per loro. «Quello che il
Governo dovrebbe fare — ha concluso il vescovo — è garantire la sicurezza di tutti i cittadini, come è suo
dovere».
CARACAS, 14. Una riflessione in
ventiquattro punti per comprendere e affrontare, da cristiani, la
grave situazione del Venezuela. È
questo il senso dell’esortazione
pastorale, intitolata Rinnovamento
etico e spirituale dinanzi alla crisi,
pubblicata nei giorni scorsi
dall’episcopato
venezuelano:
un’analisi e un bilancio dell’anno
che si è appena concluso, ma anche risposte concrete alle domande che vengono dai cittadini, stanchi di violenze e tensioni. Nel documento — diffuso dall’agenzia
Fides — si ricordano le quarantatré persone morte nel corso di agitazioni politico-sociali, le migliaia
di manifestanti arrestati, le difficoltà del dialogo tra le parti, l’angoscia della popolazione più povera, attanagliata dalla crisi economica e dalla difficoltà di vedere
garantiti i propri diritti.
La strada indicata dai vescovi
per uscire da questa situazione è,
ancora una volta, quella del dialogo, nel «rispetto della pluralità
politica che esiste in Venezuela».
È il momento «della responsabili-
tà e della non violenza» è detto
nell’esortazione che raccomanda
anche «un nuovo spirito imprenditoriale, capace di audacia e creatività» e la promozione e il
sostegno dell’unità familiare «per
raggiungere un rinnovamento sociale».
L’esortazione pastorale evidenzia inoltre che dietro la grave crisi
che che il Venezuela si trova ad
affrontare vi è una crisi ancora più
profonda: «Una crisi morale di
valori, atteggiamenti, motivazioni
e comportamenti che devono essere corretti». Quindi l’invito alla
coerenza da parte dei cristiani:
«Non possiamo credere in Dio e
agire in qualsiasi modo. Dobbiamo rifiutare l’ingiustizia, la corruzione e la violenza come mali morali che distruggono il Paese, e vivere secondo il progetto del Regno di Dio».
Questa analisi, concludono i
presuli, «è nata dalla nostra vicinanza al popolo che soffre e alla
missione pastorale che ci spinge a
essere promotori della dignità
umana e della pace».
L’OSSERVATORE ROMANO
giovedì 15 gennaio 2015
In preghiera nel santuario mariano di
Nostra Signora di Madhu, nel
pomeriggio di mercoledì 14 gennaio,
Papa Francesco ha ricordato le violenze
che in passato hanno diviso tamil e
singalesi e ha invitato alla
riconciliazione. «In questo santuario»,
ha detto, «ogni pellegrino si può sentire
a casa». E affidando la vita di tutti
gli srilankesi alla protezione della
Madre celeste, ha auspicato che «il
balsamo del perdono di Dio possa
produrre vera guarigione per tutti».
Pubblichiamo una traduzione italiana
del discorso pronunciato in inglese.
A Madhu il Papa prega per la riconciliazione delle comunità tamil e singalese
Il balsamo
del perdono
Cari fratelli e sorelle,
ci troviamo nella dimora di nostra
Madre. Qui lei ci dà il benvenuto
nella sua casa. In questo santuario
di Nostra Signora di Madhu, ogni
pellegrino si può sentire a casa, perché qui Maria ci introduce alla presenza del suo Figlio Gesù. Qui Srilankesi, Tamil e Singalesi, tutti giungono come membri di un’unica famiglia. A Maria essi affidano le loro
gioie e i loro dolori, le loro speranze
e le loro necessità. Qui, nella sua casa, si sentono sicuri. Sanno che Dio
è molto vicino; sentono il suo amore; conoscono la sua tenera misericordia, la tenera misericordia di Dio.
Ci sono famiglie qui oggi che
hanno sofferto immensamente nel
lungo conflitto che ha lacerato il
cuore dello Sri Lanka. Molte persone, dal nord e dal sud egualmente,
sono state uccise nella terribile violenza e nello spargimento di sangue
di questi anni. Nessuno Srilankese
può dimenticare i tragici eventi legati a questo stesso luogo, o il triste
giorno in cui la venerabile statua di
Maria, risalente all’arrivo dei primi
cristiani in Sri Lanka, venne portata
via dal suo santuario.
Ma la Madonna rimane sempre
con voi. Lei è Madre di ogni casa,
di ogni famiglia ferita, di tutti coloro
che stanno cercando di ritornare ad
una esistenza pacifica. Oggi la rin-
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graziamo per aver protetto il popolo
dello Sri Lanka da tanti pericoli,
passati e presenti. Maria non dimentica mai i suoi figli di questa splendida Isola. Come è sempre rimasta
accanto al suo Figlio sulla Croce,
così è sempre rimasta accanto ai suoi
figli srilankesi sofferenti.
Oggi vogliamo ringraziare la Madonna per questa presenza. Dopo
tanto odio, tanta violenza e tanta distruzione, vogliamo ringraziarla per-
ché continua a portarci Gesù, che
solo ha il potere di sanare le ferite
aperte e di restituire la pace ai cuori
spezzati. Ma vogliamo anche chiederle di ottenere per noi la grazia
della misericordia di Dio. Chiediamo anche la grazia di riparare i nostri peccati e tutto il male che questa
terra ha conosciuto.
Non è facile fare questo. Tuttavia,
solo quando arriviamo a comprendere, alla luce della Croce, il male di
cui siamo capaci, e di cui persino
Il saluto del vescovo Mannar
Immerso nella giungla
Un luogo al centro della fede e della devozione di
tutto il popolo srilankese degli ultimi quattro secoli,
«indipendentemente dalle differenze di razza, religione o linguaggio»: così il vescovo di Mannar, Joseph
Rayappu , nel suo saluto a Papa Francesco, ha sintetizzato l’importanza per l’intero Paese del santuario
di Nostra Signora del Rosario. «Mannar — ha spiegato il presule — è stata benedetta da Dio come luogo
del primo martirio in Asia», nel 1544, quando «più di
seicento neofiti, per amore della fede appena accolta,
offrirono la loro vita a causa della persecuzione del re
di Jaffna nel nord del Paese». E il sangue dei martiri
«è divenuto il seme della fede nel nord e poi nell’intero Paese». Il santuario immerso nella giungla, ha
spiegato il vescovo, conta quattro secoli di una ricca
Festa della fede
dal nostro inviato GIANLUCA BICCINI
Pastorale e missionaria: Papa Francesco ha
impresso questa duplice dimensione alla seconda giornata del viaggio in Sri Lanka,
caratterizzata dalla canonizzazione dell’oratoriano Giuseppe Vaz e dalla visita nel
nord del Paese a maggioranza tamil. Una
giornata, quella di mercoledì 14 gennaio,
che il Pontefice ha vissuto a più stretto
contatto con la comunità cattolica locale.
Già al mattino infatti ha potuto toccare
con mano la fede semplice e genuina dei
cattolici srilankesi, celebrando la messa sul
lungomare Galle Face Green. Centinaia di
migliaia di persone si sono ritrovate
vent’anni dopo (era il 15 gennaio 1995) nello stesso luogo in cui Giovanni Paolo II
beatificò il sacerdote indiano venerato come apostolo dello Sri Lanka. In abiti bianchi o nei colori sgargianti della tradizione
asiatica, scalzi o con ai piedi semplici sandali o infradito, molti con gli ombrelli
aperti per ripararsi dal sole, fedeli di ogni
età, ma soprattutto tanti giovani, hanno
partecipato al rito con compostezza e raccoglimento, in una vera e propria festa della fede. Dall’altare ai paramenti liturgici fino ai canti, tutto rimandava alle tradizioni
locali di una Chiesa che è piccolo gregge,
ma è capace di testimoniare una profonda
comunione con il vescovo di Roma. Come
hanno dimostrato anche gli oltre mille sacerdoti giunti da tutta l’isola per concelebrare insieme con il Papa e con i vescovi
delle dodici diocesi del Paese.
Forse anche per questo l’iter per la canonizzazione di Vaz è stato accelerato e il 17
settembre 2014 la Congregazione delle cause dei santi ha dato parere favorevole, senza dover attendere un nuovo miracolo. Del
resto, secondo i cattolici dello Sri Lanka
che ne custodiscono la memoria, Giuseppe
Vaz di miracoli in vita ne fece più di uno.
Ed è nota, in particolare, la sua straordinaria capacità di ammansire pericolosi elefanti
selvatici. Anche per questo all’altare è stata
portata la croce che il santo fece apporre
dagli abitanti di Maha Galgamuwa all’entrata del loro villaggio, per proteggerli dagli attacchi dei minacciosi animali. E ancora una volta, come il giorno precedente
all’aeroporto, alcuni elefanti addestrati sono
stati condotti con i loro variopinti paramenti nel luogo dell’incontro con il Papa.
Si tratta del parco urbano situato nel cuore
del quartiere finanziario, lungo il litorale
sull’oceano Indiano. Con i suoi eleganti
viali alberati, la famosa passeggiata di cinque chilometri sul lungomare è sempre
molto frequentata dagli abitanti, che qui
vengono a mangiare nei numerosi chioschi
o a far volare gli aquiloni dei bambini.
Il Pontefice vi è giunto di buon mattino
e subito ha compiuto il giro panoramico
con la vettura scoperta tra la folla che attendeva in silenzio sotto il sole. Salutato
dal sindaco di Colombo, che gli ha offerto
le chiavi della città, il Papa ha poi indossa-
storia ed «è stato portato qui dalla sua originaria collocazione a Manthai durante la persecuzione dei colonizzatori olandesi». Oggi è ancora il santuario mariano privilegiato per l’affidamento delle vocazioni sacerdotali e religiose nella diocesi; oltre seicentomila
fedeli giungono qui da ogni parte in occasione della
festa dell’Assunzione e moltissimi altri durante tutto
l’anno per altre festività.
Nel salutare il Pontefice, monsignor Rayappu lo ha
ringraziato per essere giunto in Sri Lanka come
«messaggero della pace fondata sulla verità, la giustizia e la riconciliazione» e per il suo «ammirevole
amore per i poveri e per i sofferenti, sulle orme di nostro Signore e di san Francesco di Assisi».
siamo stati partecipi, possiamo sperimentare vero rimorso e vero pentimento. Solo allora possiamo ricevere
la grazia di avvicinarci l’uno all’altro
con vera contrizione, offrendo e cercando vero perdono. In questo difficile sforzo di perdonare e di trovare
la pace, Maria è sempre qui ad incoraggiarci, a guidarci, a farci fare un
altro passo. Proprio come lei ha perdonato gli uccisori di suo Figlio ai
piedi della sua croce, tenendo tra le
braccia il suo corpo senza vita, così
ora lei vuole guidare gli
Srilankesi ad una più
grande
riconciliazione,
così che il balsamo del
perdono di Dio possa
produrre vera guarigione
per tutti.
Infine, vogliamo chiedere alla Madre Maria di
accompagnare con le sue
preghiere gli sforzi degli
Srilankesi di entrambe le
comunità Tamil e Singalese per ricostruire l’unità che è stata perduta.
Come la sua statua è
rientrata al suo santuario
di Madhu dopo la guerra, così preghiamo che
tutti i suoi figli e figlie
Srilankesi possano ritornare ora alla casa di Dio
in un rinnovato spirito
di riconciliazione e fratellanza.
to i paramenti per la messa, celebrata in inglese, tamil e singalese, le principali lingue
della nazione. Numerosissimi tra i presenti,
i religiosi e le religiose. Mentre un intero
settore è stato riservato ai bambini affetti
da talassemia — particolarmente diffusa nelle aree paludose e acquitrinose — e agli ammalati in carrozzella.
È stato il vescovo di Kandy, monsignor
Joseph Vianney Fernando, a rivolgere la
petizione per la canonizzazione del sacerdote che ha tradotto il catechismo e varie
preghiere nelle lingue locali, favorendo l’inculturazione del cristianesimo in una terra
già ricca di spiritualità. Dall’India è giunto
l’arcivescovo di Goa e Damão, monsignor
Filipe Neri António Sebastião do Rosário
Ferrão, che ha letto un breve profilo biografico di Giuseppe Vaz. E quando il Papa
ha pronunciato la formula con cui l’oratoriano è stato iscritto nell’albo dei santi, in
tutta l’isola indiana le campane delle chiese
hanno suonato a distesa per questo illustre
figlio. Sulla spiaggia di Galle Face, la corale in sari bianco e blu ha intonato l’inno in
onore del nuovo santo composto appositamente per la circostanza, mentre venivano
condotte le reliquie sul palco dalla caratteristica forma di abitazione rurale locale.
Evidente la gioia sul volto del cardinale
Ranjith, arcivescovo di Colombo e presidente della Conferenza episcopale, che ha
ringraziato Francesco con parole commosse, offrendogli settantamila dollari raccolti
tra i fedeli per le sue opere di carità. Il Papa ha ricambiato consegnando al porporato
il dono che avrebbe dovuto lasciare ieri durante l’incontro con i vescovi del Paese, saltato per i ritardi accumulati durante le fasi
dell’arrivo in Sri Lanka. Si tratta della riproduzione in rame inciso del documento
con cui nel 1694 il re di Kandy autorizzava
le conversioni al cristianesimo nell’Isola:
l’originale era stato regalato cento anni fa a
Papa Leone XIII proprio dai presuli del
Paese.
Si è così conclusa la suggestiva canonizzazione, che ha avuto nella preghiera dei
fedeli uno dei momenti più toccanti. Tra le
diverse invocazioni, infatti, è stata elevata
un’intenzione per i differenti gruppi etnici
e religiosi del Paese, affinché vivano nella
pace in una nazione finalmente unita.
Auspici che sono riecheggiati nel pomeriggio, quando il Papa si è recato al santuario di Nostra Signora del Rosario a Madhu, in diocesi di Mannar. Pur essendo il
terzo Pontefice a visitare il Paese — dopo
Paolo VI nel 1970 e Giovanni Paolo II nel
1995 — Francesco è stato il primo a recarsi
nel nord del territorio, dove il trentennale
conflitto interno conclusosi nel 2009 ha
provocato le maggiori sofferenze.
Dal campo di cricket del Thurstan college di Colombo, l’elicottero con il Papa a
bordo è decollato verso la piccola isola di
Mannar. Collegata alla terraferma da un
ponte di due chilometri, essa sporge verso
il mare come un dito puntato verso l’ovest
dell’India. Famosa per le sue perle, Mannar ospita il santuario edificato a ridosso
della fitta giungla, in quello che era un piccolo villaggio.
Sin dalle origini, oltre quattro secoli fa, il
martirio ha segnato la storia di questo sito
dedicato a Nostra Signora di Madhu. Secondo la tradizione gli abitanti del luogo,
conosciute le gesta di san Francesco Saverio, lo invitarono ad annunciare il Vangelo
nella loro terra. Il santo gesuita mandò uno
dei suoi sacerdoti alla fine del 1544. Ma
due mesi più tardi il re di Jaffna, temendo
un’espansione dell’influenza portoghese, inviò soldati con l’ordine di uccidere tutti coloro che si fossero dichiarati cristiani. Nessuno rinnegò la fede appena ricevuta e in
un solo giorno furono massacrate tra le seicento e le settecento persone. L’anno successivo fu lo stesso Francesco Saverio a
confermare i cristiani di Madhu nella loro
fede. Erano stati alcuni degli scampati al
massacro a mantenerla viva, rifugiandosi
nella giungla e portando con loro la statua
mariana che oggi si venera nel santuario.
L’edificio attuale fu iniziato nel 1872 e la
consacrazione avvenne nel 1944. Visitato
annualmente da almeno seicentomila fedeli,
in particolare il 15 agosto, solennità dell’Assunzione, esso è rispettato e frequentato anche dalle altre religioni. Bastava guardare i
tanti presenti alla cerimonia papale, che si
fermavano a baciare i piedi della statua mariana posta sul viale che conduce al santuario. Raggiungibile solo attraverso una strada sterrata e polverosa, il vasto complesso è
meta di pellegrinaggio per i cattolici tamil
e singalesi, e simbolo di unità tra loro e
con i fedeli di ogni religione. Anche perché
al tempo della guerra ha pagato un alto tributo per la sua collocazione geografica,
sulla rotta dei flussi migratori di uomini e
donne che cercavano di fuggire verso il
subcontinente indiano. All’inizio è stato anche coinvolto direttamente nei combattimenti. Poi, grazie all’intervento dei vescovi,
Madhu è stata dichiarata zona smilitarizzata, garantendo così la sicurezza dei pellegrini e dei numerosi profughi. Dal 1990 al
2008 il santuario si è trasformato in un ve-
Cari fratelli e sorelle, sono felice
di essere con voi nella dimora di
Maria. Preghiamo l’uno per l’altro.
Soprattutto, chiediamo che questo
santuario possa sempre essere una
casa di preghiera e un rifugio di pace. Per intercessione di Nostra Signora di Madhu, possano tutti trovare qui ispirazione e forza per costruire un futuro di riconciliazione,
di giustizia e di pace per i figli di
questa amata terra. Amen.
ro e proprio campo di sfollati, e ha potuto
riaprire al culto solo dopo la fine delle ostilità nel 2009.
L’elicottero con il Pontefice a bordo è atterrato sull’isola di Mannar dopo un breve
volo di circa un’ora. Accolto con l’immancabile ghirlanda di fiori, Francesco ha poi
percorso con la jeep scoperta un lungo giro
tra le almeno cinquecentomila persone confluite nell’area. Particolarmente felici i bambini, nelle candide uniformi scolastiche, che
sventolavano bandierine in segno di benvenuto. Quindi il Papa ha raggiunto il portico del santuario, dove per l’occasione era
stata collocata la venerata statua mariana,
che normalmente si trova all’interno. Sul
frontespizio del portico la scritta «Ave Maria» è riprodotta in caratteri latini e in
quelli delle due principali lingue locali.
Sceso dalla papamobile, Francesco ha
poi indossato una nuova e ancor più visibile ghirlanda di orchidee color lilla, e ha liberato in volo una colomba bianca, simbolo della volontà della gente di lasciarsi definitivamente alle spalle gli anni bui delle
violenze. Per questo, guidando un momento di preghiera, ha chiesto «a Maria di accompagnare gli sforzi degli srilankesi, di
entrambe le comunità tamil e singalese, per
ricostruire l’unità perduta in un rinnovato
spirito di riconciliazione e fratellanza».
Infine, prima che il Pontefice benedicesse l’assemblea con la statuina mariana, si è
pregato in inglese, singalese e tamil in particolare per il consolidamento della pace.
Ad ascoltare quelle parole alcune famiglie
di entrambe le parti, duramente provate
dalle ostilità, che hanno salutato Francesco
al termine dell’incontro.
Nomina episcopale
negli Stati Uniti d’America
La nomina di oggi riguarda la Chiesa negli
Stati Uniti d’America.
Joseph G. Hanefeldt
vescovo di Grand Island
È nato il 25 aprile 1958 a Creighton, in
Nebraska, nell’arcidiocesi di Omaha. Dopo
gli studi filosofici compiuti in patria, ha frequentato il Pontificio collegio americano del
Nord a Roma (1980-1984), ottenendo il baccalaureato in teologia presso la Pontificia
università gregoriana (1983) e il diploma in
teologia sacramentale presso il Pontificio ateneo di Sant’Anselmo (1984). È stato ordinato
sacerdote per l’arcidiocesi di Omaha il 14 lu-
glio 1984. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha
svolto i seguenti incarichi: vicario parrocchiale della Saint Mary Parish a West Point
(1984-1988) e della Saint Joan of Arc Parish
a Omaha (1988-1992); direttore dell’ufficio
arcidiocesano delle attività pro-vita (19912005); moderatore dell’Archdiocesan Council
of Catholic Women (1992-1995); parroco della Saint Joseph Parish a Omaha (1992-1995)
e della Saint Elizabeth Ann Seton Parish a
Omaha (1995-2007); direttore spirituale
(2007-2012) e, poi, direttore della formazione
spirituale (2009-2012) presso il Pontificio collegio americano del Nord. Dal 2012 è parroco della Christ the King Parish a Omaha e
membro del consiglio presbiterale e del
Priests’ Personnel Board. Nel 2010 è stato
nominato cappellano di Sua Santità.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
giovedì 15 gennaio 2015
Appello di Papa Francesco durante la messa celebrata a Colombo per la canonizzazione di Giuseppe Vaz, primo santo dello Sri Lanka
Libertà religiosa per tutti
L’autentica adorazione di Dio non porta all’odio e alla violenza ma al rispetto per la vita e la dignità dell’altro
Oltre mezzo milione di persone hanno partecipato alla messa celebrata da Papa Francesco
mercoledì 14 gennaio, al Galle Face Green di Colombo, per la canonizzazione di Giuseppe
Vaz, primo santo dello Sri Lanka. Pubblichiamo di seguito una traduzione italiana
dell’omelia pronunciata dal Pontefice in inglese.
«Tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio» (Is 52, 10).
Questa è la magnifica profezia che abbiamo ascoltato nella prima Lettura di oggi.
Isaia predice l’annuncio del Vangelo di
Gesù Cristo sino ai confini della terra.
Questa profezia ha un significato speciale
per noi che celebriamo la canonizzazione
del grande missionario del Vangelo san
Giuseppe Vaz. Come innumerevoli altri
missionari nella storia della Chiesa, egli ha
risposto al comando del Signore risorto di
fare discepoli tutti i popoli (cfr. Mt 28,
19). Con le sue parole, ma soprattutto con
l’esempio della sua vita, ha condotto il
popolo di questo Paese alla fede che ci
concede «l’eredità fra tutti quelli che da lui
sono santificati» (At 20, 32).
In san Giuseppe vediamo un segno eloquente della bontà e dell’amore di Dio
per il popolo dello Sri Lanka. Ma in lui
vediamo anche uno stimolo a perseverare
nella via del Vangelo, a crescere noi stessi
in santità, e a testimoniare il messaggio
evangelico di riconciliazione al quale egli
ha dedicato la sua vita.
Sacerdote Oratoriano, dalla sua natia
Goa, san Giuseppe Vaz arrivò in questo
Paese, ispirato da zelo missionario e da un
grande amore per queste popolazioni. A
causa della persecuzione religiosa in atto,
si vestiva come un mendicante, adempiva
ai suoi doveri sacerdotali incontrando in
segreto i fedeli, spesso di notte. I suoi
sforzi hanno dato forza spirituale e morale
alla popolazione cattolica assediata. Egli
ebbe un particolare desiderio di servire i
malati e i sofferenti. Il suo ministero con
L’indirizzo d’omaggio del cardinale Malcolm Ranjith
Guarigione dei cuori
Al termine della messa celebrata
sulla spianata di Galle Face Green,
il Papa è stato salutato dall’arcivescovo di Colombo, il cardinale
Malcolm Ranjith, il quale ha ringraziato Francesco a nome di tutto
il popolo srilankese — «di ogni religione, razza e colore sociale» —
non solo per «il dono della sua
presenza», ma anche «per il dono
di un santo: san Giuseppe Vaz».
Un dono che ha reso tutti gli abitanti del Paese «davvero felici»,
perché hanno finalmente il loro
santo «orgoglio di Goa e gemma
preziosa di Dio per lo Sri Lanka».
La vita di Vaz e il suo servizio in
questa sua «terra adottiva», ha detto il porporato, «hanno salvato la
fede dei cattolici durante un periodo difficile e doloroso della loro
storia e hanno lasciato una testimonianza duratura dell’infinito amore
di Dio per noi». Il Signore, infatti,
«ha ispirato questo uomo santo a
lasciare la sua amata terra e la sua
gente per lanciarsi, come Abramo,
verso l’ignoto e per rinvigorire, solo
con le sue forze, la fede dei nostri
antenati». Perciò il cardinale, rievocando tale ponte spirituale lanciato
dall’India, ha voluto ringraziare la
Chiesa che è in Goa per il «dono
prezioso di questo suo figlio» e ha
salutato i fedeli che da lì sono
giunti a Colombo per unirsi alla celebrazione.
L’arcivescovo di Colombo ha quindi richiamato le parole adoperate
da Papa Francesco lo
scorso 8 febbraio in occasione del pellegrinaggio a San Pietro di un
gruppo di fedeli dello Sri
Lanka, terra «chiamata la
perla dell’Oceano Indiano per la sua bellezza
naturale e per la sua forma» che ricorda quella di
una lacrima. E nel recente passato, ha detto, «noi
abbiamo versato molte
lacrime a causa di un
conflitto interno che ha
provocato tante vittime e
ha prosciugato le nostre
risorse. Stiamo ancora
lottando per risorgere da
questo triste passato e
per giungere a un tempo
di vera riconciliazione,
pace e progresso per il
nostro popolo». Il tragitto, ha spiegato, «è difficile. Abbiamo bisogno delle sue
preghiere e benedizioni, così come
della sua guida paterna. Le chiediamo di aiutarci amorevolmente in
questa ricerca di una vera guarigione dei cuori, della forza di chiederci
reciprocamente perdono per le violenze scatenate senza senso», per
arrivare «a perdonare e a dimenticare quel triste passato» e instaurare un processo che «costruirà ponti
di comprensione tra le parti ferite
nel conflitto».
Lo Sri Lanka, ha aggiunto il cardinale, è «ancora lontano da questo
obiettivo» ma spera e prega perché
la via della religione testimoniata in
questi giorni dal Papa insegni «a
superare gli ostacoli» e aiuti la gente a incontrarsi.
Il porporato ha infine messo in
evidenza come il Paese, «benedetto
dagli insegnamenti di grandi religioni» come il buddismo, l’induismo, l’islam e il cristianesimo, possegga «la forza morale e spirituale,
la nobiltà necessarie per generare
questa pace». Ma ha anche ricordato che ognuno è chiamato a fare un
passo verso l’altro con un «genuino
spirito di riconciliazione, fiducia e
senso di reciprocità».
gli infermi, durante un’epidemia di vaiolo
a Kandy, fu così apprezzato dal re, che gli
fu concessa maggiore libertà di esercitare
il ministero stesso. Da Kandy poté raggiungere altre zone dell’isola. Si consumò
nel lavoro missionario e morì, esausto,
all’età di cinquantanove anni, venerato per
la sua santità.
San Giuseppe Vaz continua ad essere
un esempio e un maestro per molte ragioni, ma ne vorrei focalizzare tre.
Innanzitutto, egli fu un sacerdote esemplare. Qui oggi con noi ci sono molti sacerdoti, religiosi e religiose, i quali, come
Giuseppe Vaz, sono consacrati al servizio
del Vangelo di Dio e al prossimo. Incoraggio ognuno di voi a guardare a san
Giuseppe come a una guida sicura. Egli ci
insegna ad uscire verso le periferie, per far
sì che Gesù Cristo sia conosciuto e amato
ovunque. Egli è anche esempio di paziente sofferenza per la causa del Vangelo, di
obbedienza ai superiori, di amorevole cura
per la Chiesa di Dio (cfr. At 20, 28). Come noi, egli è vissuto in un periodo di rapida e profonda trasformazione; i cattolici
erano una minoranza e spesso divisa
all’interno; si verificavano ostilità, perfino
persecuzioni, all’esterno. Ciò nonostante,
poiché egli fu costantemente unito nella
preghiera al Signore crocifisso, fu in grado
di diventare per tutta la popolazione
un’icona vivente dell’amore misericordioso
e riconciliante di Dio.
In secondo luogo, san Giuseppe ci ha
mostrato l’importanza di superare le divisioni religiose nel servizio della pace. Il
suo indiviso amore per Dio lo ha aperto
all’amore per il prossimo; egli ha dedicato
il suo ministero ai bisognosi, chiunque e
dovunque essi fossero. Il suo esempio
continua oggi ad ispirare la Chiesa in Sri
Lanka. Essa volentieri e generosamente
serve tutti i membri della società. Non fa
distinzione di razza, credo, appartenenza
tribale, condizione sociale o religione nel
servizio che provvede attraverso le sue
scuole, ospedali, cliniche e molte altre
opere di carità. Essa non chiede altro che
la libertà di portare avanti la sua missione.
La libertà religiosa è un diritto umano
fondamentale. Ogni individuo dev’essere
libero, da solo o associato ad altri, di cercare la verità, di esprimere apertamente le
sue convinzioni religiose, libero da intimidazioni e da costrizioni esterne. Come ci
insegna la vita di Giuseppe Vaz, l’autentica adorazione di Dio porta non alla discriminazione, all’odio e alla violenza, ma
al rispetto per la sacralità della vita, al rispetto per la dignità e la libertà degli altri
e all’amorevole impegno per il benessere
di tutti.
Infine, san Giuseppe ci offre un esempio di zelo missionario. Nonostante fosse
giunto a Ceylon per soccorrere e sostenere
la comunità cattolica, nella sua carità
evangelica egli arrivò a tutti. Lasciandosi
dietro la sua casa, la sua famiglia, il conforto dei suoi luoghi familiari, egli rispose
alla chiamata di partire, di parlare di Cristo dovunque si recasse. San Giuseppe sapeva come offrire la verità e la bellezza
del Vangelo in un contesto multi-religioso,
con rispetto, dedizione, perseveranza e
umiltà. Questa è la strada anche per i seguaci di Gesù oggi. Siamo chiamati ad
“uscire” con lo stesso zelo, con lo stesso
coraggio di san Giuseppe, ma anche con
la sua sensibilità, con il suo rispetto per
gli altri, con il suo desiderio di condividere con loro quella parola di grazia (cfr. At
20, 32) che ha il potere di edificarli. Siamo chiamati ad essere discepoli missionari.
Cari fratelli e sorelle, prego che, seguendo l’esempio di san Giuseppe Vaz, i cristiani di questo Paese possano essere confermati nella fede e dare un contributo ancora maggiore alla pace, alla giustizia e alla riconciliazione nella società srilankese.
Questo è quanto Cristo si aspetta da voi.
Questo è quanto san Giuseppe vi insegna.
Questo è quanto la Chiesa vi chiede. Vi
affido tutti alle preghiere del nostro nuovo
Santo, affinché, in unione con tutta la
Chiesa sparsa per il mondo, voi possiate
cantare un canto nuovo al Signore e proclamare la sua gloria fino ai confini della
terra. Perché grande è il Signore e degno
di ogni lode (cfr. Sal 96, 1-4)! Amen.