la medicina popolare

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la medicina popolare
LA MEDICINA POPOLARE
di Attilio Festini Cucco
Ogni famiglia si procurava le erbe medicinali, le legava in mazzetti e le metteva ad
essiccare nell’ombra delle soffitte: malva, fior di sambuco, millefoglie, menta piperita,
camomilla, lichene, iperico … per decotti e infusi, poi semi di lino, resina, aglio … per
cataplasmi.
I nostri antenati si curavano con ciò che la natura offriva loro e l’uso era legato
all’esperienza di generazioni.
La resina d’abete
Si rendeva morbida la resina scaldandola
al sole o sul palmo della mano. Da
escludere altre fonti di calore che tolgono
le virtù terapeutiche. Si metteva un favo
di resina su un cerchietto di carta non
porosa poi la si applicava sulla parte
dolorante: ematomi o per estrarre spine di
legno o altro corpo estraneo.
Le ortiche
L’uso delle ortiche era considerato un
ottimo rimedio per le distorsioni, gli
strappi muscolari, l’artrosi cervicale. Le
ortiche, con gambo lungo, dovevano
essere raccolte verso mezzogiorno, come
tutte le erbe medicinali, cioè quando
erano asciutte. Si formavano dei mazzetti
che venivano sbattuti sulla parte
dolorante finché le foglie perdevano la
loro efficacia. Metodo ripetuto per più
giorni. Doloroso ma efficace.
La lana
Per dolori intercostali, forme reumatiche o
disturbi bronchiali anche acuti, si
applicava sulla parte uno strato di lana
sporca cioè tosata ma non lavata,
possibilmente scura. Questo strato di
lana consistente e ben imbottito doveva
essere portato di giorno e tolto la notte
per almeno 30 giorni.
L’arié – resina di larice
Per cicatrizzare ferite alle mani, ai piedi o
altre ulcere, gli antenati preparavano un
unguento: un cucchiaio di arié, un
cucchiaino di tuorlo d’uovo, tre fave di
burro crudo: mescolare bene il tutto e
applicare uno strato lieve. Unguento
senza scadenza. Altro rimedio in uso un
tempo per rimarginare ferite e piaghe: olio
di merluzzo e tintura di iodio, in parti
uguali. Da ripetere le applicazioni.
Seme di lino
Contro la stitichezza si metteva a bagno
del seme di lino. Si otteneva un’acqua
oleosa da bere. Si rinnovava l’acqua per
più giorni. Ottimo lubrificante per le vie
intestinali.
E chi non ricorda le pappe di lino?
Si facevano bollire i semi di lino poi si
stendeva questo impasto oleoso su un
pezzo di tela bianca, si richiudeva e lo si
applicava quasi caldo sulla schiena o sul
petto per rimuovere il catarro dai bronchi.
Farina di granoturco
Per il mal di gola si consigliava un
brodino di farina di granoturco. Berlo per
due giorni, disinfettava e portava via
l’infiammazione.
Ciaré- Semi di finocchio selvatico
Per disturbi di stomaco si faceva uso di
un infuso di semi di finocchio selvatico da
ripetere per più giorni.
La celidonia
Una volta l’igiene era quella che era. Si
facevano presto gli anticorpi come quelli
del terzo mondo. Si giocava sulla strada
con la terra e sulle mani spuntavano i
porri (piccole escrescenze tondeggianti,
indolori, per lo più sulle mani). Per
eliminarli si ricorreva alla celidonia.
Spezzando lo stelo esce un lattice
arancione da applicare sui porri che,
dopo diversi trattamenti sparivano.
La terra dei muri
La ragnatela
Ho visto dei bambini che cercavano la
sabbia fine che cadeva dai muri delle
case di pietra e se la mangiavano.
Avevano certamente carenza di qualche
sostanza che trovavano nella sabbia.
Mi raccontavano che quando si ferivano
nei lavori dei campi e nei fienili,
cercavano le ragnatele e le applicavano
sulle
ferite
come
cicatrizzanti
o
applicavano la terra del ruscello per
arrestare il sangue.
dagli appunti di Giovanna Festini Cucco
Il cataplasma
Mia madre, ritornando dal fienile, con il
bidone del latte, scivolò sul ghiaccio ed
ebbe una lussazione all’anca. Damiano
Festini Cucco che la seguiva, venne in
suo soccorso. Se la caricò sulle spalle e
la portò fino a casa dei Minuta.
Accorremmo subito da lei e si discuteva
sul da fare.
Cercai una pezza di tela di lino ed andai
da Agnese d Plaitu, le spiegai il caso e le
chiesi di preparare un rimedio.
L’anziana donna, prese la pezza e si ritirò
in una stanza. Poco dopo ricomparve.
Aveva steso sulla tela un impiastro di
resina, forse chiara d’uovo, erbe
medicinali. Mi par di sentire ancora il
profumo.
“Metti questo impiastro sulla parte
dolorante, fascia bene e non toccarlo più.
Quando la parte è guarita, l’impiastro si
stacca da solo”.
E fu proprio così . Peccato che quella
donna abbia portato con sé, nella tomba,
i segreti di questa medicina antica.
“L’umbrela” o Alchemilla vulgaris
Nel palmo della mano sinistra conservo il
segno di una cicatrice.
Mentre mietevo la segala, con il falcetto
mi feci una profonda ferita alla mano che
teneva il mannello di spighe da tagliare.
Corsi al ruscello, lavai la ferita che
sanguinava, cercai nel prato un’erba che
noi chiamiamo “umbrela” perché sembra
un ombrello capovolto dove si ferma
sempre una goccia di rugiada. Applicai
sulla ferita alcune foglie, fasciai con
quello che avevo a portata di mano.
Guarii presto perché ho il sangue buono
e le foglie si staccarono quando la ferita
si era rimarginata. Potenza della natura!
“L’àulu” infezione da ferita
Allora erano frequenti le infezioni da
taglio o da scottature e per guarirle si
faceva una specie di esorcismo. Si usava
incenso, acqua santa, sabbia fine, pulita
raccolta dove l’acqua piovana esce dalla
grondaia.
Si prendeva una paletta di brace ardente,
sopra si metteva l’incenso, l’acqua santa
e la sabbia.
Vi scaturiva un fumo profumato che
“aveva” il potere di lenire il dolore e
aiutava la guarigione.
Le parti malate, di preferenza, erano le
braccia ed i piedi, poiché si andava, per
ogni dove, sempre scalzi .
Medicina popolare che per secoli ha curato con decotti, misture, cataplasmi, più o meno
efficacemente la gente.
Medicina d’un tempo, fatta di conoscenza delle proprietà delle erbe medicinali e di fede
nelle loro proprietà terapeutiche.
Saggezza di vita che aiutava a sopravvivere e tramandataci oralmente di generazione in
generazione.
E la medicina alternativa, che prolifera ai nostri giorni, non si basa forse su una fede
magica nelle cure naturali?