la bambina ha le gambe storte

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la bambina ha le gambe storte
GINEVRA BENTIVOGLIO
LA
BAMBINA
HA LE GAMBE STORTE
prefazione di
BARBARA ALBERTI
Fefè Editore
F
MALEDETTA
MI CONFONDI!
rammenti, ancora. Seguo l’emergere disordinato
delle sensazioni e dei ricordi. Non c’è struttura.
Accenno senza soffermarmi. Non do al lettore la
descrizione dei luoghi, delle persone. Non lo accolgo,
ma pretendo che lui mi segua in uno sfogo personale
e intimo in cui solo io sono presente. Questo è stato il
commento di mia cugina (…). Ma non posso fare altrimenti. I luoghi che attraverso sono quelli dell’anima.
Un libro così non l’ho mai letto. Ciò che hanno inseguito le avanguardie nella rivoluzione letteraria del
900, il flusso della coscienza, la disintegrazione del
trucco narrativo è qui. Ma né le giravolte di Apollinaire né i tagli di senso di Cendrars arrivano a sfiorare così da vicino l’istante. Questo libro “si fa”
momento per momento.
Ha ragione la cugina di Ginevra, il libro pretende. E
ottiene. La scrittura è così affascinante, e dilettevole, e poi fa ridere, mentre racconta le più efferate violenze. Ha la grazia dell’umorismo. E dell’aforisma.
Non tace nulla. Lascia che le cose affiorino e te le
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sbatte davanti. E tu guardi. E ti vedi. Pensavi di farti
i fatti altrui, e sei allo specchio.
Ma che libro è questo?
Animale abitudinario, ho cercato dei precedenti, trovando solo deboli affinità. Nel Romanzo teatrale di
Michail Bulgakov, i personaggi gli sorgono piccoli
sul tavolo, e lui ne fa ciò che vuole. Ma qui sono loro
che fanno ciò che vogliono dello scrivente - e del leggente, se ha l’imprudenza di metterci l’occhio.
Ginevra Bentivoglio li scopre evocandoli. Sale sull’ottovolante dell’inconsapevole senza tenersi alla maniglia - può essere un volo di morte giù sempre più giù
a precipizio - e il peggio è che ci sei anche tu a bordo,
in questo cadere senza premeditazione senza disegno senza riparo senza il beneficio delle care bugie,
degli orrori negati. L’autrice, donna vigile che si
occupa delle anime altrui, qui si abbandona e tu con
lei. Questo scritto letterariamente alto ti nega il sollievo della letteratura, il delizioso nonsense per cui ti
identifichi e ti cancelli. Ma qui non ti dimentichi di
te, mai.
La bambina ha le gambe storte è un manuale di tutto
ciò che non si deve fare coi figli, un Linneo della crudeltà domestica. Ginevra disegna attraverso la sua
ogni famiglia, con snodi da Almodóvar.
Quando lei e suo padre sono malati, la nonna prega:
Signore prenditi la bambina.
La bambinaia: A letto, fra poco arriva vostro padre e
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non vi vuole vedere.
La bambina ha le gambe storte!
E per raddrizzarle, il padre, pediatra, la costringe a
un arnese medievale di ferro e cuoio, che la immobilizza ogni notte. Quel padre che la picchia con furia
quando non vuol più andare a scuola di danza. E la
madre bellissima che fa finta di niente, che mai una
volta la difende. Fra Oliver Twist e Justine. Ma è
gente colta, gente per bene, gente al di sopra della
media.
Ma io, che sono sempre stata giudicata intelligente,
che prezzo ho dovuto pagare? Il riconoscimento, esagerato, della mente era contrapposto alla mortificazione, esagerata, del corpo. Non si metteva in discussione la mia intelligenza (…) ma si elencavano i difetti
del corpo, ingigantendoli.
In questo gioco di prestigio con la memoria, i mostri
escono a nugoli dal cappello, lei non può trattenerli
e non vuole - è qui per questo, sta galoppando, chi
la ferma, sente che le stiamo dietro, la seguiamo col
fiato corto, ci trascina mentre si prende un risarcimento del controllo che ha sempre esercitato su di
sé - la sua impresa è come il quadrato nero di
Malevic, è un punto di non ritorno.
Sei attratto, e imbarazzato. Chiamato a qualcosa che
ti riguarda ma non ti spetta - senti tutta l’indiscrezione della sua azione, e della tua. Esibizionista e
voyeur indulgono a una perversione non consentita.
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Talvolta il voyeur si ribella. Ehi! Quando mi hai disegnato un personaggio, dopo lascia che io lo riconosca, usa qualche accortezza narrativa, svolgilo, non
cambiarmelo così brutalmente come fai col padre. Di
quell’uomo che ce l’ha coi froci, il picchiatore, il
nemico del piacere, si scoprono all’improvviso profondità squisite, e un fascino di uomo buono.
Perfino la madre, che ha tanto menato e ignorato si
rivelerà gioiosa, e insospettabilmente zen in punto di
morte. Ma allora sono tutt’altro? Sì e no. Pregi e
delitti si alternano fluidi nella stessa persona - così
siamo tutti? Ma che vuoi da me? Maledetta, mi confondi.
Ho la sensazione di essere incastrata anch’io in questo complicato labirinto di ruoli incrociati. Di aver vissuto parti di altri, oltre che mie. Di non aver vissuto
parti mie delegate ad altri. Forse anche questo ha
contribuito a quel malessere di fondo che non riesco
a spiegarmi. (Il libro lo spiega bastevolmente, stia
tranquilla).
La realtà ruota su se stessa come il tavolo di una
bisca. Un libro cubista. La narratrice-narrata scopre
di trovarsi in una famiglia di ebrei rinnegati. Alcuni,
come la madre, convertiti sinceri. Le radici strisciano e a volte fioriscono in questa dimensione che si
apre, immensa.
Mamma, mi dai un bacetto? (…)
No, sono arrabbiata con te.
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Perché?
Non me lo ricordo.
Mio nonno materno morì a trentaquattro anni per un
intervento banale. Il chirurgo amico di famiglia non si
sottrasse all’impegno preso pur essendogli morto il
figlio il giorno prima in un incidente.
Senso del dovere eccessivo che genera morte.
(Ma io mi faccio curare da lei, subito).
La madre, alla bambina: Maledetto il giorno che sei
nata!
Il padre cinquantenne, alla propria madre: A 50 anni
si avrebbe il diritto di essere orfani.
Venatura di sadismo bonario, terribile - i bambini,
bersagli della sopraffazione voluttuosa dei genitori.
O dei fratelli più grandi.
La nonna racconta dei morti apparenti che si risvegliano nella tomba, delle bare graffiate, in un Bosch
familiare, normale.
La riconciliazione. Da grande, l’autrice sarà scoperta
dai suoi genitori.
Sì, perché a un certo punto della nostra vita è capitato che scoprissero che ero simpatica e provassero
“piacere” a stare insieme, per cui abbiamo cominciato a frequentarci. In fondo si sono sempre mossi sintonizzandosi sul piacere, cosa interdetta a noi figli. Se
ne erano appropriati loro.
L’episodio fondante è quello del foulard di Hermès:
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la bambina ormai ragazza ne sceglie uno, sta per
comprarlo con soldi suoi, quando il padre glielo
impedisce: Non si può avere tutto quello che ci piace.
Non si tratta solo di un ottuso principio educativo,
bensì di un vivo esercizio di potere sul piccolo suddito. Il piacere del padre è impedirle il piacere.
Un libro “liberatorio”? Mah. Alla fine ti trovi legato
come un salame, inesorabilmente riportato nel luogo
più scomodo, te stesso.
La fine col marito: il padre, sentendo che faceva ginnastica tutte le mattine aveva concluso che aveva
un’amante. E così in mezzo alla strada un giorno,
anzi una notte, mi disse “sai, ha ragione tuo padre”.
Di fronte alla mia reazione violenta in cui gli rinfacciavo di avere colpevolizzato me mentre da mesi scopava con questa tipa, lui mi rispose (…): “Non usare il
termine scopare, io con lei ci faccio l’amore!” (…) quella notte, avrei potuto fare un massacro ma mi limitai
a premere con forza il cuscino sulla mia bocca. Dopo
tre giorni non sentii più niente, mai più niente.
Sui figli: Siamo andati all’inferno insieme ma siamo
tornati, insieme.
Questo scritto, che è il contrario dell’agiografia, pure
ha qualcosa delle vite dei santi. Demoni che schizzano da ogni angolo - la tentazione della rinuncia - a
capire, a essere.
La bambina ha le gambe storte incarna il sogno manLa bambina ha le gambe storte
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cato di facebook, che nasce per la comunicazione e
diventa il regno delle maschere. Qui, invece, un processo di verità in diretta. Da non leggere se non si è
pronti per l’analisi. C’è un limite allo scavare?
Ginevra lo passa.
Qualche follower si ritira cammin facendo. Restano
solo gli innamorati più sinceri. La seconda parte si
acqueta sul diario. E’ una lunga festa di rallegramento cui il lettore, esausto dopo tanta luce si unisce volentieri, prima di tornare al conforto dei suoi
infingimenti, lontano da questa originale e sfrontata
Shéhérazade dell’inconscio.
BARBARA ALBERTI
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