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06.03.2013
10:24
Federica Brunini
La matematica
delle bionde
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06.03.2013
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Pubblicato in accordo con Grandi & Associati, Milano
http://narrativa.giunti.it
© 2013 Giunti Editore S.p.A.
Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia
Via Borgogna 5 – 20122 Milano – Italia
Prima edizione: aprile 2013
Ristampa
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Anno
2017 2016 2015 2014 2013
Stampato presso Giunti Industrie Grafche S.p.A.
Stabilimento di Prato
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«A volte, devo dimenticaгe ciò che desideгo
e гicordaгe ciò che meгito.»
Marilyn Monroe
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Day one
La prima notte si limitò a sbuffare. Emise un pfuff rapido e
sonoro seguito dallo scoppio di una bolla di chewing-gum. E
io rimasi in silenzio, la mano sull’interruttore dell’abat-jour,
indecisa se dar retta al mio udito o ai pochi neuroni ancora
lucidi dentro la mia testa sprofondata nel cuscino.
«Intendiamoci subito,» urlai come una bambina alle prese
con i suoi mostri immaginari «se vuoi restare, lasciami dormire» dissi, dandole le spalle, sotto il piumone avorio a ghirigori
tinta cioccolato. «Mi aspetta una giornataccia, domani.»
E fu allora che un lieve ansito riempì la stanza. Balzai a sedere, accesi la luce centrale, la fissai come un cacciatore punta
la sua preda: lei era lì, sul parquet scuro, contro l’intonaco color
vaniglia, silente ma ingombrante nella sua sagoma nera di fronte
al mio letto. Non si era spostata di un millimetro, di sicuro non
aveva respirato/sbuffato/sospirato/espirato. Di sicuro non aveva
un pacchetto di chewing-gum. Di sicuro io avevo un problema
che speravo sarebbe scomparso con una buona notte di sonno.
Così tornai a seppellirmi sotto le lenzuola, tirandole fin sopra
la testa… Ciononostante, avrei giurato di sentirla canticchiare
«’ood nite, baby. Pupu-bidu-pa!», sprigionando l’aroma di una
gomma alle fragole. Fragole e panna.
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Day zero
Era arrivata a casa mia il giorno prima con Nicoletta, che l’aveva depositata tutta avvolta nei fogli di plastica a pallini Bubble
Pack.
«Ecco la tua Audrey» mi aveva detto l’amica pittrice, trasportando la tela nella mia stanza. «Spero che ti sia d’ispirazione.»
«Senz’altro. Non vedevo l’ora di averla qui» le confessai ansiosa.
«Il libro? Come va?» s’informò, scuotendo il suo caschetto
di capelli corti e scuri.
«Bene, sono a buon punto… Vuoi un caffè? Mi sono un po’
impantanata sul suo matrimonio con Mel Ferrer… Non capisco
cosa ci trovasse Audrey Hepburn in un marito come lui. Noi
donne sappiamo scegliere perfettamente il vestito giusto, ma
non il nostro uomo… Io, almeno, non ci sono riuscita.»
«Nessuna notizia da Cris, suppongo…» dedusse Nicoletta,
scegliendo la tazzina rosa tra quelle che avevo posato sul tavolo.
«No! Ma sto bene… Non sono disperata. Non troppo, insomma. Per fortuna c’è Audrey a tenermi compagnia. Devo
consegnare la prima stesura della sua biografia entro fine mese
e non ho tempo da perdere. Vogliono il tuo quadro in copertina. Lo faccio fotografare e invio le foto alla casa editrice. Che
ne pensi?»
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«Uau, che bella notizia! Grazie, Camilla. Adesso sto lavorando a un ritratto di Maria Callas, me l’ha commissionato
un appassionato d’opera. E ho venduto Marilyn, ce l’ho giù in
macchina. La consegno al suo proprietario e poi scappo all’aeroporto» disse soddisfatta.
«Dove vai?»
«A Londra, per mostrare un po’ di cose a quella galleria…
Ti ricordi? Quella di Albermarle di cui ti ho parlato…» spiegò,
sorseggiando lenta il caffè.
«Certo! Scusa, è che tra la lontananza di Cris e la presenza
di Audrey, sono giorni difficili. Ho la testa in overload. Urge un
ampliamento della ram, si dice così? Londra: invidia multipla.
Quanto ti fermi?»
«Ne approfitto per fare un po’ di cose e poi vado a Edimburgo, da quegli amici di Mumbai che si sono appena sposati e
trasferiti in Scozia. Mi raggiunge anche Paul. Staremo via una
ventina di giorni, forse più. Tu che programmi hai?»
«Grandiosi: Audrey Audrey Audrey, redazione redazione
redazione, Audrey Audrey Audrey. Finirò per odiare la povera
Hepburn» commentai.
«Non apri l’imballo?» mi chiese, con un gesto scenografico
delle sue lunghe e scarne braccia bianche.
«Preferirei farlo da sola, stasera: è un rito importante, voglio
celebrarlo per bene» risposi.
«Ora sei una mia collezionista!»
«Già. Quindi vedi di far salire le tue quotazioni a Londra,
amica!»
«E tu le tue, qui a Milano» ribatté Nicoletta, chiudendosi
la porta alle spalle e lasciandomi con la mia Audrey. Nicoletta
l’aveva “estratta” a colpi di carboncino bianco su uno sfondo
grigio antracite, prima di marcare l’opera con le sue volute
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rosse che piacevano tanto a critici e galleristi. E io, come loro,
me ne ero innamorata all’istante. Avevo corteggiato il quadro
per mesi, prima di potermelo permettere. Poi, per quelle strane coincidenze che coincidenze non sono mai, era piombato
sulla mia scrivania il progetto di una bio-fiction sull’attrice di
Colazione da Tiffany. E, con quello, un sostanzioso anticipo,
con il quale avevo comprato la tela che ora era distesa sul mio
letto. Più tardi, nella luce morbida del tramonto, l’avrei spacchettata e l’avrei lasciata in balìa dei miei occhi. Mi avrebbe
fatto compagnia. Con Audrey al mio fianco, sarei ripartita. Mi
sarei scordata Cris, il suo tradimento, le delusioni, i pianti, la
sofferenza, la solitudine. Sarei sopravvissuta, oh sì. Moon river,
wider than a mile, I’m crossing you in style someday… Oh dream
maker, you heartbreaker, wherever you’re goin’, I’m goin’ your
way… canticchiai, sentendomi la protagonista di Colazione da
Tiffany.
E invece no. Al mio ritorno a casa, qualche ora più tardi, non
c’era Audrey Hepburn-Holly Golightly a cantare e ad aspettarmi
alla finestra, sotto la spessa coperta di plastica che la vestiva e
che io avevo squarciato a fatica con un paio di forbici. C’era lei,
Miss “a-me-gli-occhi-please”: Marilyn l’ossigenata, prorompente, sexy e svampita protagonista di Gli uomini preferiscono le
bionde, o Come sposare un milionario. L’ anti-Audrey, insomma.
L’ anti-me.
Non mi era mai piaciuta. Anzi, l’avevo sempre snobbata.
Lei e tutte quelle sue pose da bionda scema m’avevano spinto
a comprarmi un paio di t-shirt made in Usa con la scritta sul
petto: I’m blonde but I’m not stupid. E a nascondere i capelli
color grano sotto una tinta castana, o castagnola, come diceva
sempre Cris… Prima di andarsene. E di smettere di passare le
dita tra i ricci della mia zazzera corta.
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«L’ utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile»
dichiarò la segreteria telefonica di Nicoletta. «Mmm, ciao, qui
Camilla fuori di sé, cioè di me. Mi sa che hai fatto pasticci con
le tue consegne: mi hai lasciato Marilyn e ti sei tenuta Audrey.
Almeno spero che tu te la sia tenuta… Insomma, richiamami
quando senti questo messaggio, ok?» registrai concitata.
Le mandai anche una mail, più o meno con la stessa richiesta. Poi mi rassegnai a una serata meno emozionante di quella
che avevo programmato. E, dopo la solita cena veloce a base di
uva, parmigiano e gallette di riso ricoperte di cioccolato fondente – il famoso menu “zero voglia di fare la spesa” che mi toccava
almeno un paio di sere la settimana –, mi rimisi al computer,
rannicchiandomi sul divano rosso, con le gambe nella posizione
del loto e il busto curvo sulla tastiera poggiata sul pouff.
A mezzanotte e mezza srotolai la mia colonna vertebrale per
rimettermi in piedi e raggiungere la camera, buttarmi sul letto
e spegnere il cervello fino alla mattina dopo.
Ma c’era lei sopra il copriletto, inguainata nell’abito dorato
come una sirena fuor d’acqua. E non sarebbe stato facile farla
sloggiare da lì, considerato il peso e la misura.
«A noi due, Marilyn» la sfidai. «Su, fila a terra, contro la parete» aggiunsi, spostando con sforzo il quadro ancora mezzo impacchettato, e maledicendo la distrazione cronica di Nicoletta.
Poi scivolai sotto le lenzuola. Al buio. E fu allora che lei
sbuffò.
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Day two
Dormii sodo, con Marilyn ai miei piedi. Erano diciassette giorni
contati che non mi abbandonavo a un sonno così profondo. Da
quando Cris se n’era andato lasciandomi con uno scatolone di
foto e una manciata sconclusionata di parole che stavo ancora
tentando di legare insieme. «Buongiorno Marilyn!» la salutai,
facendo quelle due-mosse-due di “yoga a letto” che avevo imparato per un articolo che avevo scritto qualche mese prima.
Poi, una volta in piedi, presi possesso della giornata e del
cellulare. Da Nicoletta, nessun messaggio e nessuna chiamata.
In compenso, c’era un sms della mia editor: «Quando mi
mandi gli ultimi capitoli? Foto per copertina: urgente!!!».
«Ciao. Ancora Camilla, sempre con Marilyn e sempre senza Audrey, che deve andare dal fotografo per la copertina. Mi
richiami, please? Grazie, grazie, grazie» recitai veloce sulla segreteria telefonica di Nicoletta.
Mi infilai un paio di leggings neri, una maxi-felpa rock a maniche corte, le ballerine glitter che avevo ordinato su internet e
il mio giubbino di pelle noir matelassé che mi era costato uno
stipendio. Uscendo dalla cabina armadio, incrociai lo sguardo
di Marilyn. Se avesse potuto parlare, avrebbe disapprovato il
mio look, pensai, raccattando da terra la tuta che usavo come
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pigiama. Audrey, invece, avrebbe approvato. Avrebbe appena
sollevato – con grazia, s’intende – il suo sopracciglio ad ala di
gabbiano, scendendo a balzelli i tre piani che mi separavano
dall’asfalto della mia via.
Natasha mi aspettava al banco della caffetteria sotto casa,
pronta a prepararmi il solito cappuccino ben spolverato di cacao
e ad augurarmi buona giornata nel suo italiano lento da ucraina
appena immigrata.
Infine, pedalai veloce fino alla redazione del settimanale di
gossip dove lavoravo. Per qualche ora, quelle necessarie a descrivere chi aveva flirtato con chi quella settimana, Audrey e
Marilyn potevano aspettare. E lo avrebbero fatto.
Da: [email protected]
A: [email protected]
CC: [email protected]
OGGETTO: Audrey/Marilyn
Cam, scusa per lo scambio di quadri. Ho lasciato il cellulare
chissà dove, per cui sono irreperibile, ma ecco la mail del
possessore di Audrey al quale sarebbe spettata Marilyn! ;-(
Ci legge in copia, quindi mettetevi in contatto e organizzatevi
per doppia restituzione.
Sorry, ma mi conosci ;-) Londra fantastica, as usual. Fammi
sapere.
Bacibaci
La mail bippò sul mio BlackBerry nel pomeriggio. E subito risposi a tutti, vale a dire a Nico e tale countxxerkzsxxv@loostudio.
com, che immaginavo essere soltanto il risultato strambo di un
errore della mia amica artista, precisa quanto Kate Moss dopo
una nottata in discoteca e qualche pista di coca.
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Da: [email protected]
A: [email protected], [email protected]
OGGETTO: R: Audrey/Marilyn
Nic, grazie per la mail anche se credo che, con la tua notoria
precisione, tu mi abbia messo in copia a un indirizzo esistente
soltanto nella tua fantasia. Fai un check, pls (anzi, considerato
il numero di X, forse anche double o triple…). Urge!
Ribaci
Da: [email protected]
A: [email protected]
CC: [email protected]
OGGETTO: R: R: Audrey/Marilyn
Gentile Audreycam (?), la sua amica notoriamente imprecisa
non ha sbagliato una sola lettera, in questo caso. Indi l’indirizzo non solo è esistente, ma anche funzionante. Tengo mio
malgrado in ostaggio la sua Audrey, che sarò ben felice di
liberare (liberandomene!) in cambio della mia Marilyn.
Saluti
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: Audrey/Marilyn
Indi? Mio malgrado? Ma chi diavolo è questo? Come parla?
Nic, ma con che clienti hai a che fare?
Grrr
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: R: R: Audrey/Marilyn
Sono sicura che anche la mia Audrey non vede l’ora di libe-
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rarsi (di lei?)… INDI per cui procediamo per lo scambio non
appena possibile.
Grazie
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: R: R: Audrey/Marilyn
… INDI per cui procediamo per lo scambio non appena possibile.
Bene. Cioè, male. Malissimo. La mia preziosissima Audrey era
finita nelle mani di uno che aveva tempo e voglia di scherzare.
A modo suo, purtroppo.
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: R: R: Audrey/Marilyn
Mi dica GENTILMENTE dove e quando, signor? Ho urgenza
di rientrare in possesso del mio quadro.
Grazie
Due ore dopo e una decina di didascalie su – nell’ordine – Antonella Clerici al parco con la piccola Maelle, Elisabetta Gregoraci
al mare con il piccolo Nathan Falco e l’irriducibile Rita Rusic
in spiaggia a Miami con il suo nuovo boyfriend che di piccolo
pareva avere solo l’età, finalmente un cenno di risposta.
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: R: R: Audrey/Marilyn
… GENTILISSIMA Cam (o preferisce Audrey?), temo dovrà
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tamponare la sua urgenza fino alla prossima settimana. Non
sarò reperibile a Milano fino ad allora. La prego, nel frattempo, di volersi prendere cura della mia MM.
Saluti
Saprei io dove tamponarla, signor xxyz, ringhiai tra me e me,
immaginandomi la reazione della mia editor alla notizia che
avremmo dovuto aspettare almeno altri cinque giorni prima
di completare il layout finale della copertina. Questa proprio
non ci voleva. La mia Audrey! E chissà dove l’aveva depositata quel bruto. Com’è che si fa? Countxxerkzsxxv. Vediamo…
@loostudio.com. Googleiamo Loos e studio… C’è un Adolf
Loos, architetto austriaco morto e sepolto negli Stati Uniti. C’è
Loosair condizionatori e una certa Eva Loos, mediatrice culturale… Nazionalità? Tedesca ma residente in Tunisia. Dalla
foto, potrebbe essere sua madre… O sua… moglie? E poi c’è
Rebecca Loos, la coniglietta di Playboy con la quale David ha
tradito Victoria Beckham…
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: kacsxxxxzo
Nic, ma tu questo Karamazov l’hai conosciuto di persona?
L’ hai visto? Chi è? Cosa fa? Non è che mi hai messo in contatto
con qualche sociopatico serial killer che si diverte a strangolare le bionde, eccitandosi con MM?
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: kacsxxxxzo
… Tanto tu sei castana… ;-)
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Day three
Il giro alcolico con Bea stava sortendo gli effetti desiderati e
“spianava” le rughe di cuore e pensieri quanto il botox. E prima
o poi i pensieri sarebbero tornati alla carica. Ancora più incisivi.
Ma, al momento, lasciavo che si assopissero a ogni sorso del
mio Negroni Sbagliato.
Persino il dolore per la rottura con Cris sembrava annegare
nel bicchiere. Lui sarebbe tornato, io lo avrei perdonato, e saremmo stati felici come eravamo sempre stati. Fine della storia.
Bea, intanto, mi aggiornava sugli ultimi dettagli della sua
vita da freelance dell’amore, come si definiva lei. Avevo smesso
di seguirla al suo secondo round con il designer incontrato alla
Cascina Cuccagna, dopo la liaison con il giornalista (sposato)
del Sole 24 Ore, la cena con l’amico dello skipper delle Eolie,
l’anteprima cinematografica con il collega (gay) di Medusa.
«Ti manca soltanto Paul Varjak, poi potremmo dare un party
e invitarli tutti» scherzai, in una pausa del suo lungo monologo.
«Paul chi? Dove lo abbiamo conosciuto?»
«Ma come dove lo abbiamo conosciuto? È il protagonista
maschile di Colazione da Tiffany…»
«Ancora Audrey? Basta, Cam. Non sei e non sarai mai Holly
Golightly! La tua è un’ossessione, è una malattia! Io ti porto da
uno psicologo specializzato in… audreymania, in vintagemania,
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in… Uff, non so, ma adesso stai esagerando. Quando consegni
il libro?»
«Entro le prossime tre settimane.»
«Ecco, così poi possiamo partire e farci un weekend da
qualche parte. Che ne dici di Istanbul? O Marrakech? Voglia
di caldo.»
«Ci sono stata con Cris.»
«Dove?»
«In entrambe.»
«Ok… Barcellona?»
«Idem.»
«Lisbona!»
«Affare fatto.»
«Un altro Negroni?»
«Magari!»
Nessun’amica riusciva a mettermi di buonumore come Bea.
Entrando in casa, sbattei la porta. Con un calcio mi liberai delle
ballerine e mi sfidai facendo boccacce allo specchio dell’ingresso, scrivendomi da sola una didascalia alla IoVip, il settimanale
per il quale lavoravo.
stile audrey. Milano. Sopra, la giornalista socialite Camilla
Casteldiani, 30 anni, nella sua casa milanese, al ritorno dal
party per celebrare i dieci anni del brand di biancheria intima
Malvarosa al Just Cavalli Café. La giornalista, che è stata recentemente tradita e mollata dal suo compagno, il fotografo
di moda Cristiano Agnona, 34, darà presto alle stampe la sua
nuova bio-fiction dedicata agli anni di Audrey Hepburn in
Italia. Sempre che il tasso alcolico glielo consenta.
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Ridendo di me, filai in camera per spogliarmi. Via il giubbino,
via la felpa, via i leggings, via mutande e reggiseno mal appaiati… E pronta sotto le coperte, senza nemmeno passare dal
bagno a struccarmi.
«Ciao Marilyn, stanotte dormo come te. Con addosso solo Chanel N°5» ridacchiai con quel tono da sbronza ma non
troppo che riconoscevo bene, dimenandomi sotto le lenzuola
fredde.
«Non è Chanel, quello.»
Ommioddio. Mi ero risposta da sola con una prontezza tale
che non mi ero nemmeno accorta di aver parlato. Evidentemente avevo bevuto più di quanto ricordassi. O forse non avevo
mangiato abbastanza. Certo che non era Chanel N°5, non ne
avevo mai posseduto una boccetta io. Io usavo solo L’ Interdit di
Givenchy, nella sua riedizione del 2007 per i cinquant’anni della
maison: bergamotto, rosa bulgara, gelsomino reale, pepe rosa…
Non dovevo essere così sbronza, se ricordavo tutte le note
contenute nel profumo. Chissà che cosa c’era... cosa c’è, invece,
nel bouquet di Chanel N°5. Non me ne ero mai interessata.
«Bergamotto, limone, neroli, mughetto, iris…» elencò una
voce suadente che non sapevo se fosse nella mia testa o soltanto
molto, troppo vicina alle mie orecchie.
Aiuto. Stavo impazzendo. Peggio, ero già pazza! Sdoppiamento della personalità, disturbo bipolare, schizofrenia, cosa?
Corsi in bagno accendendo tutte le luci lungo il percorso e misi
la testa sotto il flusso d’acqua gelata del rubinetto. Lavai la faccia
e andai in cucina per farmi una tazza di tè.
Sul cellulare digitai il numero di Bea. Spento. Nico? Era a
Londra e senza telefono. Cris? Piuttosto morta. Mia sorella? Era
troppo tardi, di sicuro stava già dormendo accanto al fagotto di
mio nipote. Facebook? Tv? Sì, tv.
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A quell’ora della notte, avrei senz’altro trovato qualche rassicurante film d’antan o l’ennesima replica di Don Matteo per
distrarmi da quegli incubi. Che altro potevano essere? Probabilmente ero nel dormiveglia, il cervello stava rilassandosi e…
mi ero immaginata che qualcuno parlasse accanto a me. Oppure
mi avevano versato qualcosa nei cocktail, alla festa. Si legge
così spesso di giovani – e sottolineo giovani – donne drogate a
loro insaputa… Comunque, in quel momento c’era il silenzio
di tutte le notti in casa. E io ero perfettamente lucida, potevo
anche toccarmi la punta del naso con gli indici delle due mani
e camminare a occhi chiusi lungo la linea dritta del parquet…
“Non sono pazza non sono pazza non sono pazza” mi ripetevo
a mo’ di mantra, mentre saltavo da un canale all’altro fino a
Rai Movie.
“Oh, ecco qui, un bel filmone anni Cinquanta” commentai
tra me, fissando lo schermo e una grossa auto che lo attraversava. Premetti il tasto info, per capire di che pellicola si trattasse: A qualcuno piace caldo, di Billy Wilder, con Jack Lemmon,
Toni Curtis e lei, Marilyn Monroe, nei panni di una cantante
squattrinata in cerca di un milionario, così maledettamente…
«Sexy! Uno schianto, vero?»
Aaah! Ancora la voce. Sempre più vicina. Sempre più acuta,
sempre più… reale! “No, no, no. Non è niente, Cam, sei solo un
po’ stanca e un po’ brilla…”
«E anche un po’ sciocca, baby, se mi permetti. Non avrai
paura di me?»
«Te chi? Dove sei, chi sei? Chi parla?» gridai alle travi del
soffitto, come se da lì potessero piovermi addosso le risposte…
«Baby, sono lei, sono La Marilyn!» disse dall’alto la voce,
così calda e sensuale che fece salire la temperatura della stanza
e scendere al minimo la mia pressione, evidentemente: pochi
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secondi dopo ero a terra, accasciata sul tappeto di eco-mucca
argentina.
the end. Milano. A destra, la giornalista di IoVip Camilla Casteldiani, 30 anni, sul tappeto pezzato della sua casa milanese
dove è stata ritrovata priva di sensi lo scorso 8 maggio, dopo
il party per i dieci anni del brand Malvarosa al Just Cavalli Café. La giornalista, che è stata recentemente lasciata dal
suo compagno, il fotografo di moda Cristiano Agnona, 34,
ha dichiarato di aver udito distintamente la voce di Marilyn
Monroe. Secondo il medico che l’ha soccorsa, si è trattato di un
semplice mancamento, causato dallo stress della separazione
e da qualche bicchiere di troppo. Sul posto, l’amica Bea Dotti,
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dichiarato: «Cam, hai visto che figo il tuo medico?».
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Day four
In realtà non ci fu nessun medico. Mi svegliai qualche ora più
tardi, indolenzita e infreddolita nonostante il pelo di finta mucca
sotto di me, con un gran mal di testa che tentai di debellare con
un paio di analgesici. Poi cercai riparo sotto le coperte del letto
per recuperare almeno qualche ora di sonno. Non mi era del
tutto chiaro come e perché mi fossi addormentata sul pavimento.
Dell’accaduto non ricordavo molto se non pochi fotogrammi
sconnessi di un incubo nel quale parlavo di profumi con Marilyn
Monroe, per di più con una voce che non era la mia. Mah! Comunque, riuscii a riprendere possesso delle mie facoltà mentali
e, dopo la doccia, una tazza di caffè doppio e qualche biscotto
sopravvissuto sul fondo della scatola di latta rosa I love NY, fui
banalmente in grado di: a) vestirmi (shorts di jeans, stivaletti
bassi e neri con catena-bijoux sulla caviglia e una maglia oversize
tinta antracite molto antra…), b) pettinarmi (con la solita spazzolata vigorosa per districare l’effetto mociovileda), c) infilare
tutto quello che era sparso sul tavolo nella shopping bag di tela
stampata con il profilo di Audrey, d) inforcare i Ray-Ban neri
ed e) montare in sella alla mia bici nel tentativo di arrivare in
orario in ufficio.
Sarei rimasta volentieri a casa. Di andare in redazione non
avevo nessuna voglia, ma temevo che MattaHari, o meglio Marisa, la collega un po’ spia, avrebbe approfittato della mia assen-
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za per imbastire qualche maldicenza sul mio conto. Era il suo
hobby preferito: azionava i padiglioni auricolari sulle telefonate
di tutti in ufficio e mixava le informazioni a casaccio, prima di
servirle cotte e cucinate al direttore. A sentire lei, ero già stata
incinta almeno due volte, avendo preso io appuntamento con “il
dottore” sotto le sue orecchie – peccato che si trattasse del mio
amministratore di condominio –, avevo una torbida relazione
con uno scopamico argentino di nome Rosario installatosi a
casa mia – ma era la signora peruviana che una volta la settimana si dava da fare con l’asse da stiro – e, non ultimo, avevo
addirittura tentato di far carriera regalando un ingresso nella
Spa più esclusiva di Milano alla segretaria del grande capo…
che si chiamava Marta come mia sorella, l’unica e originale
destinataria del pacchetto “remise en forme post partum” per
il suo trentacinquesimo compleanno.
Ma eccomi lì, puntuale come un treno italiano – cioè con
quei dodici minuti standard di ritardo sull’orario –, pronta ad
affrontare una nuova, rutilante, eccitante giornata nel mondo
del gossip.
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: ieri
Amica, come stai? Dormito? Io a pezzi. Non so se è stato il
secondo giro di ape o il secondo round con il designer…
Bea
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: ieri
Ma quanto ero fuori ieri? Ho fatto strani incubi. C’era Marilyn
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a casa mia che parlava di profumi. Mah. Urge seduta con
psicologo? Cercamene uno bravo!
PS Qnd puoi, avvia skype. NN ti vedo.
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: R: ieri
Niente skype, amica. Oggi sono fuori per appuntamenti tutto
il giorno. Marilyn? Ti sta bene, così impari a idolatrare quella
gatta morta di Audrey ;-P
Que viva Marilyn!
Da: [email protected]
A: [email protected]
OGGETTO: R: R: R: ieri
Audrey forever ;-)
Sapevo poco o nulla di Marilyn: i due (o tre?) mariti, gli amanti,
la morte misteriosa, JFK e la mafia, Sinatra… Avevo visto sì e
no un paio di suoi film. Ricordavo la scena cult di Quando la
moglie è in vacanza, quella in cui l’aria che sale dalle griglie del
metrò le solleva la gonna dell’abito bianco, e poi c’era la pellicola
in bianco e nero di Wilder, che avevo intravisto la sera prima su
Rai Movie… Cos’era? A qualcuno piace caldo?
Da Wikipedia: Marilyn Monroe, nome d’arte di Norma Jeane
Baker (Los Angeles, 1 giugno 1926 – Los Angeles, 5 agosto 1962), è stata un’attrice, cantante, modella e produttrice
cinematografica statunitense. È conosciuta principalmente
per le sue interpretazioni di A qualcuno piace caldo (Golden
Globe come Migliore attrice in un film commedia o musi-
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cale), Gli uomini preferiscono le bionde, Fermata d’autobus,
Gli spostati e Quando la moglie è in vacanza (…). Il suo mito
è dovuto (…).
«Camilla?» mi chiamò MattaHari, con la sua coda di capelli color topo. «Il direttore chiede a che punto è la pagina di
Vip&Chic.»
«E chi sarebbe questa maleducata che non ti dà nemmeno
il buongiorno?» esordì di nuovo la voce squillante di Marilyn.
«Ommioddio no, non qui! Adesso basta, sparisci!» intimai
d’impulso.
«Camilla?» MattaHari mi squadrò da dietro gli occhiali, come se fossi un alieno. E forse lo ero. Forse ero posseduta. Altro
che psicologo, mi ci voleva un esorcista.
«Dicevo… Buongiorno!» mi ripresi.
«Buongiorno. Il direttore…» ricominciò la mia solerte compagna di stanza.
«Vip&Chic? Aspetta che recupero il file…»
«Stai bene? Hai una faccia!»
«Ma che si curi della sua, questa… questa creatura senza
trucco, senza… tinta, senza stile!» criticò la voce venuta dal
nulla.
«Ma cosa dia…? Ma… tu non senti nulla?» domandai a
MattaHari.
«Sentire cosa?» la giornalista mi fissò come se stessi dando
di matto. E in effetti…
«Questa voce… della… mmm, radio?»
«Radio?»
«Sì. Deve esserci una radio accesa da qualche parte. Una
donna che parla.»
«Una speaker, Camilla. Si chiama speaker.»
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«Forse è il tuo computer. Magari hai qualche sito di webradio aperto che fa da sottofondo? In ogni caso, che ne dici di
un caffè? Credo di averne bisogno. Tu ne vuoi? Scendo alla
macchinetta.»
«Ma la pagina? Il file per il direttore?» m’inseguì.
Volai via lungo il corridoio. Non è così che si spostano le
streghe, le indemoniate, le Giovanne d’Arco che danno retta
alle voci e finiscono sul rogo?
«Marta, sento le voci» dissi a mia sorella nella telefonata post
panico.
«Quali voci?»
«Quella di Marilyn Monroe.»
«Marilyn? Mi pareva che stessi scrivendo un libro su Audrey…»
«Esatto!»
«Tu stai raccontando la biografia della Hepburn e Marilyn
cerca di mettersi di mezzo tra voi? Ma è una storia fantastica!»
commentò Marta. «Brava, Cam. Che bella idea! Quando mi
farai leggere qualcosa?»
A volte mia sorella aveva uno strano senso dell’umorismo.
«No, non è come pensi… Non è la trama di un romanzo. C’è
Marilyn a casa mia. E adesso è anche in redazione. Chiacchiera
con me, e la sento soltanto io. Mi segui?»
«Non proprio… Cam, non avrai mica ricominciato con le
sedute spiritiche?»
«Quali sedute spiritiche?»
«Uff, non ricordi?! Davanti alla pendola della nonna. Prendevi lo specchio, lo agitavi nell’aria recitando non so quale formula e giuravi di averci visto dentro Brad Pitt che correva da te
per chiederti in sposa.»
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«Marta, avevo undici anni. E Pitt non si è mai presentato. Sii
seria, per una volta!» la rimproverai.
«Ci provo. Ma ho una sorella che parla con le star di Hollywood…»
È bello avere una famiglia su cui contare, nei momenti difficili.
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