10.642 - Scritti Valtorta

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10.642 - Scritti Valtorta
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642. Maria SS. prenderà dimora al Getsemani con Giovanni, che le predice l'Assunzione.
Poema: X, 27
21 agosto 1951.
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Maria è ancora nella casa del Cenacolo. Sola, nella sua solita stanza, cuce dei lini finissimi,
simili a tovaglie lunghe e strette. Ogni tanto alza il capo per guardare nel giardino e rilevare
così, dalla posizione del sole sulle muraglie di questo, l'ora del giorno. E, se sente un rumore
nella casa, o nella via, ascolta attentamente. Sembra che attenda qualcuno.
Passa così del tempo. Poi si sente un colpo alla porta di casa, al quale fa seguito un fruscio
di sandali che di corsa vanno ad aprire. Delle voci d'uomo risuonano nel corridoio facendosi
sempre più forti e vicine. Maria ascolta... Poi esclama: «Loro qui?! Che sarà mai accaduto?!».
Mentre sta ancora pronunciando queste parole, qualcuno bussa all'uscio della stanza. «Venite
avanti, fratelli in Gesù mio Signore», risponde Maria.
Entrano Lazzaro e Giuseppe d'Arimatea, che la salutano con profonda venerazione dicendole: «Benedetta tu fra tutte le madri! I servi del tuo Figlio e nostro Signore ti salutano», e si
prostrano per baciarle il lembo della veste.
«Il Signore sia sempre con voi. Per qual ragione, e mentre ancora non cessa il fermento
dei persecutori del Cristo e dei suoi seguaci, a me venite?».
«Per vederti anzitutto. Perché vedere te è ancora vedere Lui, e sentirci così meno afflitti
per la sua dipartita dalla Terra. E poi per proporti quanto, dopo una riunione, nella mia casa,
dei più amorosi e fedeli servi di Gesù, tuo Figlio e nostro Signore, abbiamo deliberato di fare»,
le risponde Lazzaro.
«Parlate. Sarà il vostro amore che mi parla, ed io col mio amore vi ascolterò».
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Prende ora la parola Giuseppe d'Arimatea, che dice: «Donna, tu non ignori, e lo hai detto,
che il fermento, e peggio ancora, dura tuttora verso tutti quelli che sono stati prossimi al Figlio
tuo e di Dio, o per parentela, o per fede, o per amicizia. E noi non ignoriamo che tu non intendi
di lasciare questi luoghi, dove hai visto la perfetta manifestazione della natura divina e umana
del Figlio tuo, la sua totale mortificazione e la sua totale glorificazione, mediante la Passione e
Morte di Lui, vero Uomo, e mediante la gloriosa Risurrezione e Ascensione di Lui, vero Dio. E
anche non ignoriamo che tu non vuoi lasciare soli gli apostoli, ai quali vuoi essere Madre e Guida nelle loro prime prove, tu, Sede della Sapienza divina, tu, Sposa dello Spirito rivelatore delle verità eterne, tu, Figlia diletta da sempre dal Padre che ti elesse ab eterno a Madre del suo
Unigenito, tu, Madre di questo Verbo del Padre, che certamente ti istruì delle sue infinite e perfettissime Sapienza e Dottrina prima ancora che fosse in te, Creatura che si formava, o che
fosse con te come Figlio che cresce in età e sapienza sino a divenire Maestro dei maestri. Giovanni ce lo disse il dì dopo la prima stupefacente predicazione e manifestazione apostolica, avvenuta dieci giorni dopo l'Ascensione di Gesù al Cielo. Tu, a tua volta, sai, per averlo visto nel
Getsemani il dì dell'Ascensione del Figlio tuo al Padre, e per averlo saputo da Pietro, Giovanni
ed altri apostoli, come io e Lazzaro, subito dopo la Morte e Risurrezione, iniziammo dei lavori di
muratura intorno al mio orto presso il Golgota e al Getsemani sul monte degli Ulivi, perché
quei luoghi, santificati dal Sangue del Martire divino, gocciato, ahimè!, ardente di febbre nel
Getsemani, e ghiacciato e grumoso nel mio orto, non siano profanati dai nemici di Gesù. Ora i
lavori sono ultimati, e sia io che Lazzaro, e con lui le sorelle e gli apostoli, che troppo dolore
avrebbero nel non averti più qui, ti diciamo: "Prendi dimora nella casa di Giona e Maria, i custodi del Getsemani"».
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«E Giona e Maria? Piccola è quella casa, ed io amo la solitudine. Sempre l'amai. E più ancora l'amo ora, perché ho bisogno di questa per perdermi in Dio, nel mio Gesù, onde non morire d'ambascia per non averlo più qui. Sui misteri di Dio, perché Egli è ora Dio più che mai, non
è giusto che si posi occhio umano. Donna io, Uomo Gesù. Ma la nostra fu, ed è, una Umanità
diversa da ogni altra, e per immunità da colpa, anche d'origine, e per rapporti con Dio uno e
trino. Noi siamo unici in queste cose tra tutti i creati passati, presenti e futuri. Ora l'uomo, anche il più buono e prudente, è naturalmente, inevitabilmente curioso, specie se ha vicino una
manifestazione straordinaria. E solo io e Gesù, finché fu sulla Terra, sappiamo quale sofferenza, quale... sì, anche vergogna, disagio, tormento si provi quando la curiosità umana scruta,
sorveglia, spia i nostri segreti con Dio. É qualcosa come se ci mettessero nudi in mezzo ad una
piazza. Pensate al mio passato, a come sempre cercai nascondimento, silenzio, a come sempre
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celai, sotto le apparenze di una vita comune di povera donna, i misteri di Dio in me. Ricordatevi come, per non svelarli neppure al mio sposo Giuseppe, per poco di lui, giusto, non feci un
ingiusto. Solo l'intervento angelico impedì questo pericolo. Pensate alla vita così umile, nascosta, comune, condotta da Gesù per trent'anni, al suo facile appartarsi, isolarsi quando divenne
il Maestro. Doveva fare miracoli ed istruire, perché tale era la sua missione. Ma, io lo so da Lui
stesso, Egli soffriva -uno dei molti motivi della sua severità e tristezza che balenavano dai suoi
grandi e potenti occhi- Egli soffriva, dicevo, per l'esaltazione delle folle, per la curiosità più o
meno buona con cui era osservato in ogni suo atto.
Quante volte non comandò ai suoi discepoli e miracolati: "Non dite ciò che avete visto. Non
dite ciò che vi ho fatto"... Ora io non vorrei che occhio umano indagasse sui misteri di Dio in
me, misteri che non sono, no, cessati con il ritorno al Cielo di Gesù, mio Figlio e mio Dio, ma
anzi durano, e direi che crescono, per sua bontà e per tenermi in vita sino a che l'ora, tanto da
me desiderata, di ricongiungermi a Lui, per l'eternità, non sarà venuta. 4Vorrei solo Giovanni
con me. Perché è prudente, rispettoso, amoroso con me come un secondo Gesù. Ma Giona e
Maria sapranno...».
Lazzaro la interrompe: «É già fatto, o Benedetta! Abbiamo già provveduto. Marco, figlio di
Giona, è ora tra i discepoli. Maria, sua madre, e Giona, suo padre, già sono a Betania».
«Ma l'uliveto? Ha ben bisogno di cure!», gli risponde Maria.
«Solo nel tempo del potare, scassare e cogliere. Pochi giorni in un anno, quindi, e che saranno meno ancora, perché manderò i miei servi di Betania insieme a Marco, in quei periodi.
Tu, Madre, se ci vuoi fare felici, io e le sorelle, vieni a Betania in quei giorni, nella solitaria casa
dello Zelote. Saremo vicini, ma l'occhio nostro non sarà indiscreto sui tuoi incontri con Dio».
«Ma il frantoio?...».
«É già stato trasportato a Betania. Il Getsemani, completamente cintato, proprietà ancor
più riservata di Lazzaro di Teofilo, ti attende, o Maria. E ti assicuro che i nemici di Gesù non
oseranno, per tema di Roma, violarne la pace del luogo e tua».
«Oh! quando è così!», esclama Maria. E si stringe le mani sul cuore, e li guarda, con un
volto quasi estatico tanto è beato, con un sorriso d'angelo sulle labbra e delle lacrime di gioia
sulle ciglia bionde. Prosegue: «Io e Giovanni! Soli! Noi due soli! Mi parrà d'esser di nuovo a
Nazaret col Figlio mio! Soli! Nella pace! In quella pace! Là dove Egli, il mio Gesù, effuse tante
parole e tanto spirito di pace! Là dove, è vero, soffrì sino a sudar sangue e a ricevere la suprema sofferenza morale del bacio infame e le prime...».
Un singhiozzo e un ricordo dolorosissimo le spezzano la parola e sconvolgono il suo volto,
che per brevi istanti riprende l'espressione dolente che aveva nei giorni della Passione e Morte
del Figlio. Poi si riprende e dice: «Là dove Egli tornò nell'infinita pace del Paradiso! Manderò
presto a Maria d'Alfeo l'ordine di custodire lei la mia casetta di Nazaret, che mi è tanto cara
perché là si compì il mistero e vi morì il mio sposo, così puro e santo, e vi crebbe Gesù. Tanto
cara! Ma mai come questi luoghi dove Egli istituì il Rito dei riti, e si fece Pane, Sangue, Vita agli
uomini, e patì, e redense, e fondò la sua Chiesa, e con la sua ultima benedizione rese buone e
sante tutte le cose del Creato. Resterò. Sì. Resterò qui. Andrò al Getsemani. E da lì potrò, seguendo le mura, dalla parte esterna di esse, andare al Golgota, e nel tuo orto, Giuseppe, dove
tanto piansi, e venire alla tua casa, Lazzaro, dove sempre ebbi, nel mio Figlio prima, e a me
dopo, tanto amore. 5Ma vorrei...».
«Che, Benedetta?», le chiedono i due.
«Vorrei poter tornare anche qui. Perché insieme agli apostoli avremmo deciso, sempre che
Lazzaro lo permetta...».
«Tutto ciò che vuoi, Madre. Tutto quanto è mio è tuo. Prima lo dicevo a Gesù. Ora lo dico a
te. E chi riceve grazia sono sempre io, se tu accetti il mio dono».
«Figlio, lascia che così ti chiami, vorrei che tu ci concedessi di fare di questa casa, anzi del
Cenacolo, il luogo di riunione e dell'agape fraterna».
«É giusto. In questo luogo il Figlio tuo ha istituito il nuovo eterno Rito, ha costituito la nuova Chiesa elevando al novello Ponteficato e Sacerdozio i suoi apostoli e discepoli. Giusto è che
quella stanza divenga il primo tempio della nuova religione. Il seme che domani sarà pianta, e
poi foresta immensa, il germe che domani sarà organismo vitale, completo, e che sempre più
crescerà in altezza, profondità e larghezza, estendendosi su tutta la Terra. Quale mensa e altare più santi di quelli su cui Egli spezzò il Pane e posò il Calice del nuovo Rito che durerà sinché
durerà la Terra?».
«E’ vero, Lazzaro. E, vedi? Per esso sto cucendo le tovaglie monde. Perché io credo, come
nessuno crederà con pari potenza, che il Pane e il Vino sono Lui, nella sua Carne e nel suo
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Sangue; Carne santissima e innocentissima, Sangue redentore, dati in Cibo e Bevanda di Vita
agli uomini. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vi benedicano, o voi buoni, sapienti, pietosi
sempre al Figlio e alla Madre».
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«Allora è detto. Prendi. Questa è la chiave che apre i diversi cancelli della cinta del Getsemani. E questa è la chiave della casa. E sii felice, per quanto Dio te lo concede e per quanto
il nostro povero amore vorrebbe che tu lo fossi».
Giuseppe d'Arimatea, ora che Lazzaro ha finito di parlare, dice a sua volta: «E questa è la
chiave di cinta del mio orto».
«Ma tu... Hai ben diritto d'entrarvi, tu!».
«Ne ho un'altra, Maria. L'ortolano è un giusto, e così suo figlio. Potrai trovare là solo loro
ed io. E saremo tutti prudenti e rispettosi».
«Dio vi benedica nuovamente», ripete Maria.
«A te grazie, o Madre. Il nostro amore e la pace di Dio a te, sempre». Si prostrano dopo
quest'ultimo saluto, le baciano di nuovo l'orlo della veste e se ne vanno.
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Sono appena usciti dalla casa che si sente un altro bussare discreto all'uscio della stanza
dove è Maria.
«Entra pure», dice Maria.
Giovanni non se lo fa dire due volte. Entra e chiede, un poco agitato: «Che volevano Giuseppe e Lazzaro? C'è qualche pericolo?».
«No, figlio. C'è solo l'esaudimento di un mio desiderio. Desiderio mio e di altri. Tu sai come
Pietro e Giacomo d'Alfeo, il primo Pontefice, l'altro capo della chiesa di Gerusalemme, siano
desolati al pensiero di perdermi e spauriti dalla tema di non saper fare senza di me. Giacomo
soprattutto. Neppure la speciale apparizione di mio Figlio a lui, la sua elezione per volere di
Gesù, lo consolano e fortificano. Ma anche gli altri!... Ora Lazzaro soddisfa questo generale desiderio e ci fa padroni del Getsemani. Io e te. Soli là. Ecco le chiavi. E questa è quella dell'orto
di Giuseppe... Potremo andare al Sepolcro, a Betania, senza passare per la città... E andare al
Golgota... E venire qui ogni volta che ci sarà l'agape fraterna. Tutto ci concedono Lazzaro e
Giuseppe».
«Sono due veri giusti. Lazzaro ebbe molto da Gesù. E’ vero. Ma, ancor prima di avere, dette sempre tutto a Gesù. Sei lieta, Madre?».
«Sì, Giovanni. Tanto! Vivrò, sinché Dio lo vorrà, assistendo Pietro e Giacomo e voi tutti, e
aiuterò i primi cristiani in tutti i modi. Se i giudei, i farisei e i sacerdoti non saranno belve anche verso di me come lo furono per il Figlio mio, potrò esalare lo spirito mio là dove Egli ascese
al Padre».
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«Ascenderai tu pure, o Madre».
«No. Non sono Gesù, io. Nacqui umanamente».
«Ma senza macchia d'origine. Io sono un povero pescatore ignorante. Non so di dottrine e
scritture altro che ciò che mi insegnò il Maestro. Però sono come un fanciullo, perché sono puro. E per questo, forse, so più dei rabbi d'Israele, perché, Egli lo disse, Dio nasconde le cose ai
sapienti e le disvela ai piccoli, ai puri. E per questo penso, dico meglio, sento che tu avrai la
sorte che avrebbe avuto Eva se non avesse peccato. E più ancora, poiché tu non sei stata sposa di un Adamo-uomo, ma di Dio, per dare alla Terra il nuovo Adamo fedele alla Grazia. Il
Creatore, nel creare i Progenitori, non li aveva destinati alla morte, cioè alla corruzione del
corpo più perfetto da Lui creato, e reso il più nobile tra tutti i corpi creati perché dotato d'anima spirituale e dei doni gratuiti di Dio, per cui "figli adottivi di Dio" potevano dirsi, ma voleva
per loro solo un passaggio dal Paradiso terrestre a quello celeste. Ora tu non hai mai avuto
macchia di peccato alcuno sulla tua anima. Neppure il grande, comune peccato, eredità di
Adamo a tutti gli umani, ti colpì, perché Dio te ne preservò per singolare, unico privilegio, essendo tu, da sempre, destinata a divenire l'Arca del Verbo. E l'Arca, anche quella che, ahimé!,
non contiene che cose fredde, aride, morte, perché in verità il popolo di Dio non le mette in
pratica come dovrebbe, è, e deve essere, sempre mondissima. L'Arca sì. Ma chi, tra coloro che
ad essa si accostano, Pontefice e Sacerdoti, lo sono realmente come tu lo sei? Nessuno. Per
questo io sento che a te, seconda Eva, ed Eva fedele alla Grazia, non verrà data la morte».
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«Mio Figlio, secondo Adamo, Grazia stessa, ubbidiente sempre al Padre, a me, in modo
perfetto, morì. E di quale morte!».
«Era venuto per essere il Redentore, Madre. Lasciò il Padre, il Cielo, per prendere Carne
onde redimere, col suo Sacrificio, gli uomini, rendere loro la Grazia, e quindi rielevarli al grado
di figli adottivi di Dio, eredi del Cielo. Egli doveva morire. E morì con la sua Umanità SS. E tu
moristi nel cuore vedendo il suo supplizio atroce e la sua Morte. Hai già tutto patito per essere
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redentrice con Lui. Io sono un povero stolto, ma sento che tu, Arca vera del vero, vivente Iddio, non sarai, non puoi essere corruttibile. Come la nuvola di fuoco protesse e diresse l'Arca di
Mosè verso la Terra promessa, così il Fuoco di Dio ti attrarrà al suo Centro. Come la verga di
Aronne non seccò, non morì, ma anzi, benché staccata dall'albero, mise gemme, foglie e frutti,
e visse nel Tabernacolo, così tu, eletta da Dio tra tutte le donne che abitarono e abiteranno la
Terra, non morrai come pianta che secca, ma nell'eterno Tabernacolo dei Cieli vivrai in eterno,
con tutta te stessa. Come le acque del Giordano si aprirono per lasciar passare l'Arca e i suoi
portatori e il popolo tutto, ai tempi di Giosuè, così per te si apriranno le barriere che il peccato
di Adamo ha messo tra Terra e Cielo, e tu passerai da questo mondo al Cielo eterno. Ne sono
certo. Perché Dio è giusto. E per te dura il decreto messo da Lui per chi non ha né peccato
ereditario, né peccato volontario sull'anima».
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«Ti ha rivelato ciò Gesù?».
«No, Madre. Me lo dice lo Spirito Paraclito, Colui che il Maestro ci avvisò che ci avrebbe rivelato le cose future e ogni verità. Il Consolatore già me lo dice, nello spirito, per rendermi
meno amaro il pensiero di perderti, o Madre benedetta che amo e venero quanto e più della
mia per quanto soffristi, per quanto sei buona e santa, solo inferiore al Figlio tuo SS. tra tutti i
santi presenti e futuri. La Santa più grande». E Giovanni, commosso, si prostra venerandola.