La viaggiatrice nel mondo dei sapori Marilisa Giordano

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La viaggiatrice nel mondo dei sapori Marilisa Giordano
Marilisa Giordano
La viaggiatrice
nel mondo dei
sapori
“La tavola per me è stata sempre, e lo è tuttora, il luogo privilegiato
per imparare, per ascoltare, per umanizzarmi. Non è stato così fin
dall’inizio della vicenda umana? L’umanizzazione è passata
principalmente attraverso la tavola, dalla nutrizione alla
gastronomia, dalla scoperta della coltivazione all’adozione del
piatto, all’uso della tavola come luogo di incontro e di festa … pochi
ci pensano ma il cibo, come il linguaggio parlato, serve a
comunicare, a conoscere e a scambiare le identità perché esprime sì
l’identità di una terra e della sua cultura, ma sa assumere anche
prodotti che vengono da altri lidi e altre culture” (da Il pane di ieri
di Enzo Bianchi,priore di Bose)
Questa citazione sul valore della tavola e della condivisione del cibo
come strumento per conoscere e arricchirsi reciprocamente serve
da introduzione a un’avventura cominciata per caso, ma poi
felicemente esplosa: è la testimonianza di come la cucina possa
essere un inizio e un mezzo potente per avvicinarsi a una realtà e a
una cultura diversa dalla nostra.
La storia si svolge durante la Festa Patronale della parrocchia che
coinvolge tutto il quartiere e che, accanto a processioni e devozioni
popolari, prevede diverse proposte “mangerecce”, che radunano
tantissime persone intorno al cibo: una sera le costine, una la
porchetta, poi la sera della “gara alla torta più buona” (cara alle
nonne) poi ancora una cena tradizionale, così da decenni.
Ma i tempi cambiano, e negli anni cambia la gente e la fisionomia
del quartiere, che si arricchisce di numerose presenze di immigrati
stranieri.
Da anni sono appassionata di cucina di ogni dove e di relazioni
interculturali: al momento della programmazione della festa, quindi,
lancio un po’ timidamente la proposta di proporre una serata “dei
popoli”, in cui le realtà di immigrati presenti sul territorio possano
partecipare e far conoscere le loro specialità culinarie tradizionali
(data la mia esperienza di “viaggiatrice nel mondo dei sapori”, so
per certo riservano piacevoli sorprese)
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Alla base della mia idea c’era e c’è che se si vuole procedere sul
cammino dell’integrazione è necessario iniziare a considerare le
persone con un’identità precisa, un volto, un nome e smetterla di
ragionare in termini di categorie (i rumeni, i cinesi, i marocchini…).
Mi rendo conto che potrebbe essere una serata a rischio, non tanto
per i giovani già avvezzi ai kebab e a molto altro, ma piuttosto per la
compagine piemontese autoctona della parrocchia, legata
storicamente a una cucina tradizionale composta da irrinunciabili
vitello tonnato, bagnetto verde e le raviole al plin al sugo d’arrosto
e diffidente verso sapori diversi e sconosciuti.
Per intenderci penso a mia nonna: non molti anni fa conosceva
come spezie unicamente la cannella, i chiodi di garofano e la noce
moscata (nel ripieno delle raviole al plin ce ne vuole una
grattatina), considerava un cibo esotico la pizza, beveva solo
dolcetto e disdegnava l’arneis e per lei il tè era roba da malati.
Corriamo il rischio.
Il progetto si rivela ambizioso ma appassionante sin dall’inizio:
come si fa a contattare e chiedere a qualcuno che conosci poco di
lanciarsi e cucinare fuori dall’ambito familiare ? Inizia la ricerca:
chiedo alle mamme dei compagni dei figli davanti all’uscita della
scuola, ai colleghi di lavoro, ai vicini di casa di amici e conoscenti,
prendo contatti con badanti di anziani parenti e amici di amici: la
voce gira e inizio a raccogliere nomi di persone disponibili e di
pietanze. La proposta che faccio è di preparare un piatto
tradizionale del loro paese a scelta tra dolce o salato, possibilmente
semplice da servire in modo che durante la serata la gente possa
avere a disposizione più assaggi di diversi piatti. Mi accorgo che la
proposta è accolta con entusiasmo, emerge in tutti l’orgoglio e il
desiderio di far conoscere qualcosa di buono del proprio paese
d’origine.
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Una volta definito il piatto che verrà cucinato, mi occupo io della
lista degli ingredienti e di fare la spesa: non dovranno mettere a
disposizione altro che passione e un po’ del loro tempo.
L’appuntamento sarà il giorno della festa nel pomeriggio con tutti
gli ingredienti pronti nella cucina, allestita per l’occasione.
Con le badanti rumene ho un accordo particolare: porterò la spesa
a casa loro, e lì cucineranno i piatti, poiché non possono lasciare il
lavoro e i loro anziani. Le sento felicissime di ritrovare un ruolo e di
non essere definite esclusivamente per il loro servizio retribuito.
Ho un divertente approccio con una famiglia di cinesi con il piccolo
di 8 anni, che fa da interprete tra me e il papà: riesco, dopo scambi
ripetuti di reciproci sorrisi, a convincerlo a fare gli involtini
primavera e il classico riso alla cantonese, che accontenta sempre
tutti in fondo.
Il maestro brasiliano di Capoeira di un amico propone Pao de quejio
e Caipirinha e così alla lista degli ingredienti si aggiungono lime,
cachaca e zucchero di canna. Anche il nuovo viceparroco, appena
arrivato in Italia dal Perù ,vorrebbe che preparassimo un dolce
peruviano Mazamorra Morada ma non riusciamo a reperire il “mais
morado” (un tipo di mais dal colore viola, originario dei paesi
latinoamericani) e ripieghiamo sull’Arroz con leche al profumo di
cannella.
Prendo d’assalto un bazar di cinesi che ha davvero di tutto di più e
accanto a completini in lamè, tinture per capelli, ceramiche varie,
soprammobili inguardabili, trovo: i platani per i patacones
colombiani, gli avocado per il guacamole, le radici di zenzero, il
polvilho azedo e quello dulce, riso basmati, curry, cumino, curcuma,
cardamomo, cannella (ma quante spezie iniziano con la c ?), sesamo
e molto altro. Il piccolo emporio marocchino invece mi assicura
menta fresca doc per il tè verde e una bottega rumena un
formaggio particolare per il dolce previsto dal club delle badanti.
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Il giorno fatidico la cucina dell’oratorio diventa un’officina
multietnica e multicolore dove si amalgamano magicamente farine,
carni, cereali, verdure, aromi, spezie, fuoco, lievito, tra le mani
delle cuoche dilettanti provenienti da: Spagna, Santo Domingo,
Brasile, India, Romania, Polonia, Perù, Colombia, Marocco, Cina,
Macedonia, Grecia, Messico, Capo Verde, Ucraina .
In cucina nulla rimane uguale a se stesso, è il luogo della
trasformazione, i prodotti arrivano come li offre la natura e ne
escono diversi, una nuova creatura. Come un’alchimia la cucina
riunisce ciò che è in natura è separato, a volte nato e cresciuto in
un paese lontano: combinandosi tra loro gli ingredienti rendono
reale una cosa che era solo un sogno, una ricetta, un pensiero. Ciò
che è buono da mangiare sarà anche bello da vedere.
La task force si mette all’opera con pentole e padelle di ogni forma
e dimensione, couscussiere, tajine, wok ,friggitrice e per tutto il
pomeriggio affetta, spreme, impasta, cuoce, inforna , tra un
goccetto di sangria, per vedere se va bene, e un caffè.
Che Dio ce la mandi buona!
A scaldare l’ambiente non solo il fuoco dei fornelli (e la sangria) ma
un’allegria contagiosa, dove tocchiamo con mano quanto sia
prezioso lo scambio non solamente di ricette e sapori ma anche di
saperi antichi, di un sentire comune sulla vita e i suoi temi: è la
riprova che le donne di ogni latitudine non sono mai a corto di
argomenti quando sono insieme, e ciò che le accomuna è sempre
più di quello che si pensa.
Quando tutto è pronto allestiamo i tavoli e con sorpresa scopro che
alcune cuoche si sono portate pure i costumi tradizionali, le
bandiere, le ciotole, le teiere per il servizio.
Comincia ad arrivare gente ed è divertente vederla avvicinarsi,
esplorare tutte le portate, chiedere cos’è, prendere piccole porzioni
e poi tornare a fare il bis.
Tiriamo un sospiro di sollievo.
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È l’inizio della festa: festa per gli occhi, per il palato, per il cuore un
vero momento di comunione. Tutti quelli che hanno collaborato e
che poi sono intervenuti (per fortuna numerosi) ad assaggiare
hanno avuto la sensazione di condividere: le mie amiche
colombiane direbbero “compartir”, cose belle e buone e non solo
per il palato.
Il cibo è la vita per l’uomo e un piatto cucinato è la somma di molti
atti d’amore da parte di chi lo ha preparato e offerto ad un altro
essere umano.
La strada è aperta, si va avanti. Il cibo ha fatto e farà sempre la sua
parte.
“Gli allievi mi chiedono: come si raggiungono le vette dell’arte
culinaria? Con gli ingredienti più freschi, i sapori più ricchi?con i
piatti rustici o quelli raffinati? Con niente del genere. La vetta non
si raggiunge mangiando, né cucinando, ma solo offrendo e
condividendo il cibo. Le pietanze migliori non dovrebbero mai
essere consumate in solitudine . Che piacere può provare un uomo
nel cucinare, se poi non invita i suoi amici più cari e non conta i
giorni che mancano al banchetto, e non compone una poesia che
accompagni la lettera d’invito?”(Liang Wei, L’ultimo chef cinese,
Pechino 1925)
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I Racconti Gastronomici nascono da un’idea di
Mariachiara Montera & Fabrizio Roych
del blog
www.thechefisonthetable.it
Foto di Mariachiara Montera
Logo di Susanna Rumiz
Testi © Marilisa Giordano 2012
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