1 La UILM ha voluto questo pubblico dibattito su un tema molto

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1 La UILM ha voluto questo pubblico dibattito su un tema molto
La UILM ha voluto questo pubblico dibattito su un tema molto significativo “aspettando la crescita”,
un libro scritto da Antonello Di Mario, capo ufficio stampa della Uilm Nazionale, chiamando a
discuterne autorevoli rappresentanti quali il Ministro della difesa senatrice Roberta Pinotti, il
segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo, lo stesso autore e Massimo Minella che ringrazio
per aver accettato il nostro invito.
L’attesa della crescita “cito dall’autore” viene invocata dalle Istituzioni, dal Governo, dai cosiddetti
“corpi intermedi” di cui fanno parte anche i partiti, gli industriali e i sindacati) ma alla fine non arriva
mai, come se il tempo si fosse fermato.
L’Italia è un Paese impietrito dalla paura che ha vissuto una lunga perdita di competitività a scapito
di una crescita del debito. Un paese fermo con un potere vuoto. Quel che si dovrebbe fare si sa
ma non si fa, per paura, per scetticismo o per ignavia. Per prima cosa bisogna aprire gli occhi e
uscire da un incubo. Siamo un Paese forte e ricco, fra i più capaci di adattarci al mondo che
cambia e a competere senza timori. Ma per farci valere abbiamo bisogno di una politica che miri
agli interessi del Paese, riformando la Costituzione, che disboschi la giungla di leggi che ci sono,
che cancelli le incrostazioni oligarchiche in tutto l’apparato statale e parastatale. Dobbiamo
chiudere una stagione di tagli e tasse, perché deprime il pil, diminuisce la ricchezza e quindi
mentre cura, strangola il paziente facendo crescere il rapporto tra debito e pil. Va rotto
l’incantesimo delle teorie consolatorie e accettare le regole del merito e della competizione
premiando il successo anziché adattarci ad arrancare, riscoprendo l’Italia come un Paese ricco e
forte. In questo senso il Presidente del Consiglio ha capito la necessità di avere un vestito
istituzionale adeguato. Ed ha capito che la buona politica consiste nel prendere decisioni chiare
anche se si mostra ostile agli interessi altrui.
E’ chiaro comunque che è l’economia reale ad essere entrata in crisi. Siamo un Paese esausto
che non cresce da vent’anni portando alla perdita di oltre un milione di posti di lavoro. La Germania
è riuscita a imporre un modello economico secondo il quale non c’è crescita se non si abbassa il
debito pubblico, ma in Italia questa gabbia si è tradotta in tasse e non in riduzione della spesa.
Fatto cento di quanto le industrie producono in Italia il 30% di esso è destinato all’export, il 70%
rimane in Italia. Se non ci sono soldi per comprare i beni prodotti, l’economia va in recessione e
quindi in depressione.
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La Bce ha deciso che per 18 mesi stamperà monete per 60 miliardi di euro al mese. Può darsi che
vada anche oltre Settembre 2016 fino a quando non raggiungerà l’obiettivo di portare l’inflazione al
2%. Questo implica che ci sia della crescita nell’intera Eurozona. Per un anno possiamo stare
tranquilli, finchè la Bce proteggerà tutti. I primi provvedimenti di questa manovra hanno avuto
l’effetto di aumentare l’ottimismo economico, i dati sulla finanza, infatti stanno mostrando tendenza
al rialzo in tutta l’Europa ma di più in Italia. I dati più recenti, ci dicono di si, è vero che a gennaio
c’è stato un calo della produzione industriale, ma i dati di febbraio sono buoni. L’export sta
aumentando.
In questo contesto è necessario che il Governo rilanci la domanda interna. A mio parere
occorrerebbe una manovra di finanza pubblica senza aspettare la Legge di Stabilità di fine anno. Il
momento è buono per attuare una manovra finanziaria per trasmettere ai due punti deboli della
nostra economia consumo delle famiglie ed investimenti alle imprese, aggiuntivi a quelli già fatti dal
Governo a partire dall’abbattimento del cuneo fiscale che consentono di far fare un passo in avanti
alla crescita. In questo contesto va esteso il bonus di € 80 a chi non lo ha avuto, con un intervento
di 7/8 miliardi per pensionati e incapienti come a suo tempo promesso da Renzi e sollecitato più
volte da Barbagallo, Segretario Generale Uil. Insomma va attuata un azione efficace del Governo,
utilizzando in modo favorevole tutte le opportunità (BCE, petrolio in calo, spread, deprezzamento
Euro/dollaro) per una ripresa dello sviluppo e dell’occupazione con investimenti pubblici e privati.
Il Governo con enfasi sottolinea la ripresa c’è e che lo strumento del Jobs act sarà un volano per
creare nuovo lavoro. Noi non disconosciamo tutto ciò, solo che questa è una garanzia apparente
anche perché l’Esecutivo non coglie fino in fondo il problema alla radice. Il motivo per cui le
imprese non assumono non è se il personale costa un po’ di più o di meno ma la domanda
aggregata che è molto carente. Le imprese investono, assumono quando hanno la certezza di
domanda crescente. Quest’ultima non c’è ancora in modo crescente e stabile e sicuramente non
sono nè €80, né l’Irap o il Jobs Act a far marciare le cose in questo senso; l’unica cosa certa è che
da oggi sarà più facile licenziare anche con il beneficio fiscale. Qualcuno teorizza che il problema
del Jobs Act non è il posto fisso bensì quello di garantire il passaggio da un posto all’altro, ma
questo ha un senso solo se c’è sviluppo e un incontro tra domanda e offerta.
In un paese dove tutto è provvisorio e precario, non sorprende l’incertezza sulla ripresa economica
che tiene banco da settimane. La gravità della crisi italiana sta nel fatto che il nostro paese ha
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smarrito la percezione del proprio sistema economico. Basta dare un’occhiata alle cronache per
rendersene conto. Esse ci mostrano un succedersi di emergenzae che si incanalano una dietro
l’altra, impedendo di scorgere se la nostra economia mantenga o no una forma, un assetto, un
disegno. Parliamo del tracollo dell’Ilva, del polo del lusso, del sistema dell’auto, del destino a cui è
andato incontro il sistema trasporti di Finmeccanica, con una sequenza di questioni isolate da
affrontare in un clima di urgenza. Il sistema paese non è in grado di indicare qual è l’architettura di
base che deve sostenere la nostra vita economica. Oggi si è in difficoltà a specificare quali attività
e settori possono costituire i vettori dello sviluppo di domani. Per questo non riusciamo nemeno a
dire se ce la faremo o no ad agganciare la ripresa internazionale e ridare un po’ di respiro alla
nostra economia interna. Per farlo dovremmo poter contare su un grappolo abbastanza
consistente di imprese capaci di cogliere l’occasione e di trasferire vantaggi economici al corpo del
paese. Se lasceremo andare altre componeneti importanti del nostro apparato produttivo,
certamente le possibilità si ridurranno ampiamente. Ansaldo Energia, Ansaldo Breda, Ansaldo
STS, Finmeccanica, Fincantieri e Pirelli sono ed erano imprese che stanno su quella che
rappresenta oggi una frontiera d’avanguardia, là dove fare industria significa operare su mix di
competenze tecnologiche, internazionali, qualità del servizio. Esse sono parte integrante di quel
tanto o poco che abbiamo nel campo dell’economia della conoscenza, quella che da il tema allo
sviluppo attuale. Se vi rinunciassimo, come è stato fatto con la svendita del settore trasporti,
impoveriremmo non soltanto il nostro patrimonio industriale, ma le nostre chances per il futuro. Per
queste ragioni mi sono battuto e mi batto contro il piano industriale di Finmeccanica. Dell’ing.
Moretti ho apprezzato l’opera meritoria di moralizzazione e allo stesso tempo non ha cambiato la
sua filosofia di fondo, espressa in più occasioni. “ Doing more with less resources”, fare di più con
meno risorse è il nuovo slogan del gruppo. Lo stesso intende posizionare la holding sul core
business della difesa, spazio, elettronica della difesa tenendo dentro il perimetro tutto ciò che è
solido dal punto di vista industriale e di profitto. Non a caso in una recente intervista ha citato un
esubero di 3000 adetti senza contare l’incidenza negativa sull’indotto. D'altronde come stupirsi di
uno che si vanta di aver licenziato 22.000 addetti quando era AD delle Ferrovie? e aver
trasformato le perdite in profitto, quello però che non dice è che ha avuto 2 miliardi di euro dallo
Stato per gli investimenti, 2,4 miliardi nel 2012 e 3,5 miliardi nel 2011 a carico del Tesoro, con un
rincaro delle tariffe del 7%. La Selex in questo disegno, a detta di Moretti, dopo una complessa
ristrutturazione dovrà rinunciare ad alcune attività del civile, dimenticandosi che la stessa proviene
da tre riorganizzazioni indsutriali, per questo è necessario, cosi come non è stato fatto per Ansaldo
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Sts, trovare convergenze tra tutte le forze istituzionali, politiche e sociali per impedire una ulteriore
riduzione dell’apparato industriale genovese. Anche perché, egregio monsignor Bagnasco, io non
ho né le certezze né la fiducia né le radiose prospettive di Moretti sulla vendita del settore trasporti.
Non si conoscono i numeri e quindi nessun piano industriale di Ansaldo Sts e Breda, né tantomeno
il valore aggiunto di Hitachi come elemento di potenziamento e di sviluppo dei sette siti industriali
presenti nel nostro paese. L’unico dato di cui si vanta Moretti è che la garanzia occupazionale,
bontà sua, è data per un triennio. Il paradosso è che la garanzia occupazionale nel triennio è data
dagli attuali livelli di commesse che hanno Breda e Ansaldo Sts. Una cosa è certa, per un piatto di
lenticchie sono stati svenduti asset strategici del sistema paese per fare cassa. Il nostro paese
dovrebbe prendere esempio da Germania e Francia che non sono certamente paesi dirigisti.
Nell’economia di questi paesi il pubblico mantiene nelle proprie mani asset industriali importanti,
mentre Finmeccanica continua a vendere aziende con importante know out trovando
paradossalmente compratori in ogni angolo del mondo. Fincantieri sotto la guida del dott. Bono,
nel suo settore può essere considerata unica al mondo poiché a me pare che non esiste
un’azienda che nella propria attività concentra tutti i settori ad alto valore aggiunto. Eppure il dott.
Bono non ha né drammatizzando né ha partorito, nonostante la crisi degli anni passati e le
difficoltà di mercato, una cura drastica da cavallo come propone Moretti, anzi Fincantieri con un
carico notevole di lavoro è una delle poche società italiane quotate in borsa considerata cacciatore
e non preda. In questo contesto un ringraziamento particolare và al Ministro della Difesa Senatrice
Pinotti per l’attenzione e l’intervento da Lei attuato, per quanto riguarda il suo decisivo aiuto, sia
per quanto riguarda le Fremm che per la legge navale, a tale proposito come ben sai essendone
stata una protagonista, sono stati attivati i fondi per la 9° e 10° fremm. Fincantieri ha la necessità di
pianificare con certezza industrialmente queste due unità in attesa delle nuove navi della legge
navale. Sarebbe opportuno sapere a che punto è la situazione in merito al completamento del
progetto, cosi come siamo convinti che il tuo prezioso contributo ce lo darai per evitare un
processo di destrutturazione di Selex Es e per accellerare il decreto inerente la legge navale. E’
piu che mai necessario dare al paese una visione industriale ed un rinnovato protagonismo
pubblico nell’economia. Produrre vuol dire oggi, realizzare oltre che manufatti processi tali da
incrementare le nostre competenze. Se si vuole contrastare la crisi industriale, il Governo non può
limitarsi a moltiplicare i tavoli di confronto, deve promuovere un’indagine sulla realtà ed il
potenziamento della nostra industria, affinchè l’Italia non finisca estromessa del circuito dello
sviluppo. Questa è una delle ragioni per cui abbiamo difeso a suo tempo l’italianetà di Ansaldo
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Energia, la Uilm si è battuta in prima fila per fare in modo che essa non finisse in mani asiatiche e
tedesche. Anzi l’accordo fatto, con l’apporto decisivo dell’ing. Zampini, con la Shanghai Electric
Corporation è tale da portare l’Ansaldo a competere sul mercato a livello mondiale.
Quello che ci serve è un cambio di orizzonte mentale, un nuovo paradigma economico sociale e
politico che rompa con gli schemi del passato. Così ha scritto Yoran Gutgeld, ex consigliere di
McKenzie ora consigliere economico di Renzi, nel libro “Più uguali più ricchi”. Gutgeld sostiene che
“una maggiore equità produrrebbe più uguaglianza” ma equità non significa necessariamente
eguaglianza nel sistema meritocratico che premia chi raggiunge certi risultati nel suo lavoro
preferisce l’equità pur producendo disuguaglianza. Si può dar vita ad un nuovo modello di stato
sociale solo se si spende meno incentivando la meritocrazia, la produttività e le privatizzazioni. Ma
per fare questo bisogna eliminare delle Istituzioni della democrazia rappresentativa, i sindacati ecc.
che hanno ostacolato la crescita del nostro paese. Evidentemente questo signore non conosce la
storia di questo paese nè il ruolo dei corpi intermedi. La Uilm non è la Fiom. Noi non abbiamo mai
teorizzato o praticato un aumento dei conflitti sociali nè un sindacato antagonista ma di un
sindacato capace di risolvere i problemi. Nè abbiamo mai praticato ideologicamente che attraverso
la lotta di classe si mettesse in crisi il capitalismo. Né abbiamo seguito la moda che ha portato a
una logica catastrofica nel praticare l’egualitarismo; un vicolo cieco in cui strategie non nostre
hanno portato il sindacato incapace di porre la questione della produttività.
Noi siamo il sindacato che in assenza di una vera politica industriale ha difeso aziende quali
Finmeccanica, Fincantieri, Fiat ecc salvando i lavoratori e l’occupazione. Per queste ragioni non
abbiamo bisogno di coalizioni sociali (il sindacato lo è già). Né ci servono novelli politici che hanno
predicato il catastrofismo a partire dalla vicenda Fiat, toppando. In questo contesto noi faremo la
nostra parte nonostante il Presidente del Consiglio faccia di ogni erba un fascio e punti il dito
contro l’intero sindacato. Noi, come dice Antonello di Mario nel libro, siamo il sindacato di matrice
riformista che oltre a tutelare l’aspetto contrattualistico è altrettanto capace di formulare utili
indicazioni per contribuire a fare uscire il paese dalle secche. Quindi il riformismo ha un senso,
rottamazione o no, se incalziamo da un lato il Governo per contribuire a portare con azioni
responsabili la quota dell’industria sul PIL totale UE ( pare utopistico però dobbiamo tentare) dal 15
al 20 % entro al 2020, dall’altro bisogna salvaguardare soprattutto la manifattura perché senza
questo tipo di imprese non può esserci ripresa e agiremo per garantire filtri e mediazioni
intermedie, come abbiamo sempre fatto.
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