Edizioni Kerulos - Concorso letterario

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Edizioni Kerulos - Concorso letterario
Concorso Letterario Kerulos Edizioni
L'Emozione
Riassunto/Presentazione:
Marco ed Elisa si conoscono in chat. Sono colpiti l'uno dall'altra. Si
"conoscono" senza essersi mai visti, se non in fotografia. Decidono di
incontrarsi, spinti da una forte emozione che li pervade.
Marco prende l'aereo per raggiungere Elisa. Elisa decide di prenotare due
stanze di albergo per il fine settimana.
L'emozione
Claudio Martini
Ma chi è? Chi è questa persona che mi viene incontro guidando un'auto
rossa e che accosta piano verso il marciapiede degli arrivi nazionali,
apre la porta, mi saluta con un cenno della testa quasi impercettibile,
senza distogliere lo sguardo dalla strada?
Vedo solo il suo profilo e non la riconosco. Il naso, forte e lievemente
arcuato è diverso da come lo ricordavo. Il volto mi sembra grande, mentre
la fotografia mi aveva consegnato un'immagine da ragazza, dalle fattezze
fini ed impertinenti.
"Dio mio, chi è?" penso con uno smarrimento che m'invade poco a poco e che
non voglio trasformare in delusione
Poi mi guardo nello specchio retrovisore e trasalisco. "Mi sembra di
essere passato in un tritacarne", mormoro rivolto alla mia immagine,
mentre scruto con spavento un volto segnato dalla tensione e dalla paura
di non piacere.
Non posso fare a meno, in quel momento, di ricordare i nostri messaggi che
hanno percorso una scala d'intensità crescente e si sono arrestati sulla
soglia del "ti amo", le poesie, le confessioni, i timori, i desideri
accennati, urlati e negati in due settimane di frenetica comunicazione che
ci hanno reso amanti ancor prima di conoscerci.
"Qualunque sia il tuo aspetto, ti vorrò bene", avevo scritto qualche
giorno prima. Ma ora, mentre la macchina prende l'autostrada del Sole in
direzione Nord, verso il golfo di Gaeta, avverto la distanza tra quei
sentimenti e la difficoltà di articolare le parole del nostro incontro.
Anche lei si protegge, ma non m'appare delusa. Sembra che mi voglia
studiare, che voglia capire se la persona al suo fianco risponde alla sua
immagine mentale, all'uomo che le ha ispirato parole ardenti di passione e
fuga.
Così ce ne andiamo verso la nostra meta, in quel limbo precario che ci
separa e ci unisce, mentre attraversiamo paesi dai nomi antichi.
***
Eppure mi ricordo bene di te, sai. T'ho conosciuto in chat, una sera come
le altre. Avevo cercato di coinvolgerti in una rapporto erotico virtuale,
incuriosito dal tuo modo di essere e comunicare. E tu avevi accettato. Ma,
una volta rifugiatici in una "stanza" discreta, mi avevi chiesto "Tu che
uomo sei?".
Tutto lo schema che avevo in mente era crollato (volevo baciarti
virtualmente i seni, poi scendere a vellicare il tuo ventre, indugiare
sull'ombelico, leccare il tuo sesso ed attendere che tu mi chiedessi di
penetrarti) ed ho iniziato a parlarti delle mie emozioni, dei miei momenti
felici, sparsi nella memoria.
Ed era stato bello, diverso.
Non mi ero sentito un nome inventato, una rappresentazione, almeno in quel
momento.
Da allora non mi hai dato tregua e m'incalzavi. Ed io ero felice e
spaventato che tu fossi entrata con forza nella mia vita. Il telefono, lo
scambio di fotografie (ho pensato: mi vedrà e le farò schifo), le nostre
mail, il desiderio di incontrarci, la paura.
Tre giorni prima del nostro incontro mi hai detto "non me la sento" ed io
ho avvertito una sensazione di perdita violenta che si mescolava con
sollievo e rassegnazione.
Mi sono buttato sul divano. Avevo voglia di piangere, a lungo. Poi ho
aperto la posta con una speranza irragionevole ed ho trovato un tuo
messaggio.
Mi scrivevi che non riuscivi a dormire e che avevi sentito nel mio saluto
rancore e malessere. Ti scusavi con me. Ho chiuso la connessione con furia
ed ho composto il numero che mi conduce a te, quasi singhiozzando. Ti sei
spaventata molto, era l'una passata ed hai temuto fosse successo qualcosa
a tua madre. Ti ho detto tutto quello che sentivo ed abbiamo deciso che ci
saremmo visti comunque, nonostante le paure, i vincoli familiari, il
rischio di un rapporto rannicchiato in un fine settimana al mese.
Ci saremmo visti nonostante noi stessi.
***
Non so cosa fare. Tengo gli occhi puntati sulla strada e guido, guido. Le
parole di Marco mi arrivano da lontano. Cosa mi dice? Mi vede diversa da
come mi aveva immaginato? Lo guardo di sbieco, con rapide occhiate
laterali e non so dire perché mi trovo qui, con questo sconosciuto, che si
sforza di mantenere un tono affabile. Mi sento strana, confusa, tutto
assume contorni irreali ed incerti, come se vedessi gli oggetti
attraverso una lente deformante.
Mentre guido verso Formia, avverto una sensazione indefinibile nel mio ventre.
Una sensazione pulsante, interna. Mi sento piena di qualcosa cui non so
dare nome e forma.
Ho pensato fossi tu a riempirmi. Le tue parole mi hanno emozionato. "Mi
viene voglia di abbracciarti e tenerti stretta per ore, fino a quando i
nostri corpi riescano a trovare la forma dell'altro, stampo di carne e
respiro. Vorrei parlare nella tua bocca, soffiare come un gatto, sentire
che mi guardi come un uomo nuovo", hai scritto. Mi ha colpito la tua
urgenza, lo slancio che proveniva da te, quasi a tuo dispetto. Così vicino
ai miei desideri, così simile. Ma forse mi sbagliavo. Forse è stata solo
la mia voglia di trovare un senso nelle cose, un significato al nostro
rapporto, un senso ed un disegno alimentati da me, dal mio desiderio di
trasformazione e cambiamento.
Va bene, fermiamoci. Andiamo a bere un caffè.
****
Ecco, siamo arrivati. Parcheggiamo ed entriamo in un hotel grande e vuoto
che s'affaccia sul mare.
Un'ampia hall deserta. Diamo i nostri nomi, consegniamo i documenti,
riceviamo le chiavi, varchiamo la soglia delle stanze.
Non so cosa fare. Abbiamo quarantotto ore da passare insieme, uno spazio
eterno. Fuori il cielo è coperto ed il mare, arruffato, sembra l'Atlantico
in autunno. Ma almeno non fa freddo. Fuori dalle stanze due balconi da cui
si può comunicare.
Elisa s'affaccia e mi chiama. Si è tolta il tailleur ed ha indossato un
maglione bianco attraversato da righe grigie. Sorride. Per la prima volta
mi sembra bella. Le dico "hai due labbra spettacolari, a forma di cuore".
"Grazie", mi risponde accentuando un sorriso che mostra i suoi denti
curati e regolari.
Entro in camera sua, mi siedo sul bordo del letto. Lei è seduta, la
schiena contro la parete e le braccia incrociate. Vorrei baciarla e
stringerla forte. Invece le parlo, le parlo e le nostre parole fluiscono a
strappi, si fondono, s'ingarbugliano, alludono a qualcosa d'altro che non
sappiamo cosa sia, si mescolano lievi.
"Dai, usciamo, ti faccio conoscere il paese"
***
Adesso camminiamo, sfiorandoci le mani. Il paese appare come un insieme di
scenari teatrali.
Piccole piazze, scalinate, traverse che si perdono, prospettive di cadute
vertiginose.
Scendiamo verso il mare. Mi fermo in cima ad una discesa di cui non
scorgo la fine. Davanti a noi quattro scalini, una ringhiera e la porta di
una casa.
"Vieni qui, Elisa, ti prego". Elisa muove due passi verso di me. Adesso è
vicina, tanto vicina. L'abbraccio come un naufrago che s'attacca ad un
relitto. La bacio sulle guance, sul collo, sulle labbra chiuse.
Poi la sua bocca si apre.
***
Ridere. Scherzare. Sospirare. Camminare sotto braccio. Ricacciare le
lacrime indietro. E parlare. E parlare. Non volere che finisca. Prolungare
l'istante. Mordere. Succhiare. Trattenere respiri. Respirare a fondo.
Sciogliere l'ansia che serra il petto. Guardarsi. Chiedere "cosa pensi?".
Andare a cena morti di fame. Ascoltare segreti. Rivelarli.
Guidare di nuovo indietro verso un hotel deserto e grande, affacciato sul
mare, con la speranza che la notte ci veda abbracciati e dimentichi delle
nostre paure.
***
Siamo nel letto. Elisa mi volge la schiena ed io abbraccio i suoi seni
generosi. Mi sento inquieto e strano. Le ho promesso che non faremo
l'amore, almeno questa notte.
Ma non ce la faccio. Inizio a percorrere con la mia bocca e le mani il
suo corpo, i fianchi grandi ed accoglienti, il sesso che si dischiude, le
gambe morbide.
Sono così eccitato che temo di venire fuori da lei, di sciogliermi in
qualche angolo del letto.
"Posso chiederti una cosa, Elisa?" "Tutto quello che vuoi. Marco".
Sento una scarica che attraversa il mio corpo e mi trafigge. "Aiutami,
temo di non farcela". "Non aver paura, vieni, voglio sentirti".
M'inarco su di lei e vengo in un attimo come se fosse la prima volta.
***
Adesso la guardo in modo diverso. Le nostre parole hanno preso un timbro
ed un abbandono nuovi. Elisa poggia la testa nell'incavo della mia spalla
e mi parla, mi parla. Non ricordo cosa dice, ma vorrei che non smettesse.,
vorrei restare lì incatenato e soffiare nella sua bocca la mia felicità.
Ci addormentiamo tardi ed il nostro sonno è lieve e fragile.
Al risveglio, entro nella mia camera vuota, mi faccio una doccia ed
usciamo per fare colazione insieme.
Ho fame e vorrei accennare un passo di danza, ma prendo Elisa a braccetto
mentre ci inoltriamo nella piazza principale del paese.
Mi tolgo la giacca e rimango in maniche di camicia. Elisa mi prende in
giro "si vede che sei del Nord".
Non mi sono mai sentito così pieno, da anni. Sorseggio il caffè e le sorrido.
Le nostre parole tracciano arabeschi leggeri, volteggiano come aquiloni,
inseguono cose a noi care. Ma ciò che ci preme è continuare a parlare, non
interrompere il flusso, la corrente che ci lega e che ci rende vivi.
***
Su questa spiaggia ci venivo da bambina, con i miei. Non era tanto diverso
da adesso. Mi piaceva camminare, correre, condurre i giochi.
Mi sentivo bene, anche se la mia infanzia non è stata felice.
E' un luogo della mia memoria. Sono contenta di essere tornata qui con te.
Elisa guarda il mare. Una tristezza sottile ci assale, mentre fissiamo
l'orizzonte su cui incombono nuvole dense. Una striscia di luce appare
chissà da dove.
"Guarda, quanti gabbiani!"
***
Da quel momento, mi sento preso da una gioia angosciosa che mescola
l'euforia della scoperta con la paura del distacco. Anche se manca un
giorno intero al mio ritorno, Elisa già inizia a mancarmi.
Metto a tacere questa sensazione camminando sulla spiaggia, osservando il
mare da vicino e dall'alto di un belvedere. Poi, nella stanza dell'hotel,
facciamo di nuovo l'amore. E la vagina di Elisa, stretta ed elastica, mi
dona alcuni istanti di piacere così intensi che temo di svenire.
Il tempo scorre al contrario. Al ristorante, in hotel, sul letto a parlare
(e non mi stancherei mai di sentire la sua voce), il sonno che ci
sorprende pietoso, il risveglio, la macchina rossa che ci conduce verso
l'aeroporto.
Consulto l'orologio che segna un percorso inverso a quello dei miei desideri.
Poco prima di andare via, la bacio, sfidando sguardi curiosi ed
infastiditi. Le nostre bocche s'inseguono assetate, chiudo gli occhi per
assaporare meglio l'odore della sua pelle. E non ci staccheremmo, se non
sentissi l'altoparlante che gracchia "imbarco immediato".
Così le scocco un ultimo bacio, quasi per respingerla indietro e
m'incammino verso la sala numero nove. Mi volto e la vedo in piedi,
accanto alla sua vettura, che attende un mio cenno, un saluto.
Urlo "e' stato splendido". Fa un gesto con la mano che non decifro bene,
sale sulla macchina e scompare verso la tangenziale.