Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
J.R. Ward
La bestia
Un romanzo della Confraternita del Pugnale Nero
vol. xiv
Traduzione di Paola Pianalto
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Love Conquers All, Inc.
All rights reserved including the right of reproduction
in whole or in part in any form.
This edition published by arrangement with New American Library,
an imprint of Penguin Publishing Group,
a division of Penguin Random House LLC
Prima pubblicazione in Italia
presso Mondadori Retail S.p.A. per Mondolibri, Milano 2016
Traduzione dall’americano di Paola Pianalto
© 2017 Rizzoli Libri S.p.A. / Rizzoli, Milano
ISBN 978-88-17-09362-0
Titolo originale dell’opera:
THE BEAST
A NOVEL OF THE BLACK DAGGER BROTHERHOOD
Prima edizione: marzo 2017
Questo libro è il prodotto dell’immaginazione dell’Autore. Nomi, personaggi,
luoghi e avvenimenti sono fittizi. Ogni riferimento a fatti o a persone reali è
puramente casuale.
Realizzazione editoriale: Librofficina, Roma
DEDICATO A:
VOI TRE.
NON OCCORRE AGGIUNGERE ALTRO.
BACI
Ringraziamenti
Con immensa gratitudine ai lettori della Confraternita del Pugnale
Nero!
Grazie infinite per tutto il sostegno e i suggerimenti: Steven
Axelrod, Kara Welsh e Leslie Gelbman. Grazie anche a tutto il
personale della New American Library: questi libri sono un autentico lavoro di squadra.
Con affetto a Team Waud – sapete chi siete. Tutto questo sarebbe assolutamente irrealizzabile senza di voi.
Nulla di tutto ciò sarebbe possibile senza: il mio affettuoso
marito, che mi fa da consigliere, assistente e visionario; la mia
meravigliosa madre, che non potrò mai ripagare per tutto l’amore
che mi ha dato; i miei familiari (sia di sangue sia di adozione) e
i miei carissimi amici.
E a Naamah, la mia WriterDog. Congratulazioni per la promozione!
La bestia
Un romanzo della Confraternita del Pugnale Nero
VOL. XIV
Capitolo 1
Scuola femminile Brownswick,
Caldwell, New York
F
ormicolio sottopelle.
Rhage spostò il peso da un piede all’altro, con l’impressione
che il flusso sanguigno avesse cominciato a ribollire e che le bolle
solleticassero dall’interno ogni fottutissimo centimetro quadrato di
pelle. Ma quello era il meno: fibre muscolari si inceppavano qua e
là in tutto il corpo e per colpa dei crampi le dita si contraevano, le
ginocchia si muovevano a scatti e le spalle si irrigidivano neanche
stesse per fare una schiacciata a tennis.
Per la milionesima volta da quando si era materializzato scrutò
con attenzione il prato incolto poco più avanti. Ai tempi in cui
la Scuola femminile Brownswick era ancora aperta, il campo di
fronte a lui di sicuro era un bel tappeto erboso dolcemente ondulato, tosato con cura in primavera e in estate, liberato dalle foglie
in autunno e graziosamente innevato, come nelle illustrazioni dei
libri per bambini, in inverno. Adesso era un infernale campo di
touch football invaso da sterpaglie contorte capaci di procurare
danni non solo estetici alla regione inguinale di un povero maschio,
alberelli simili a figliastri orrendi e deformi dei più maturi aceri
e querce, e lunghe erbacce marroni di fine ottobre pronte a farti
inciampare se solo cercavi di sprintare in avanti.
Analogamente, gli edifici in mattoni che avevano ospitato i
pargoli dell’élite privilegiata offrendo loro spazi dove alloggiare
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e istruirsi, senza una regolare manutenzione invecchiavano male:
finestre rotte, porte marcescenti, imposte sbilenche che sbatacchiavano nel vento gelido, aprendosi e chiudendosi come se i
fantasmi non riuscissero a decidere se volevano farsi vedere o
solo sentire.
Era il campus dell’Attimo fuggente, in pratica. Dove però tutti
avevano fatto le valigie al termine delle riprese, nel 1988, e nessuno
aveva più toccato niente di niente.
Ma i fabbricati non erano deserti.
Rhage inspirò a fondo, soffocando un paio di conati di vomito.
Nascosti nei dormitori e nelle aule abbandonate c’erano tanti di
quei lesser che era impossibile isolare odori specifici nel tanfo
nauseabondo generale. Era come ficcare la faccia in un secchio
di esche per squali e inspirare neanche il mondo fosse a corto di
ossigeno, Cristo.
Dopo che qualcuno aveva aggiunto una spruzzata di borotalco
a quell’ammasso appiccicoso e maleodorante di teste di pesce del
giorno prima.
Giusto per dare un dolce tocco finale…
Con la pelle che ricominciava a prudere, Rhage intimò alla sua
maledizione di darsi una calmata, promettendole che, sì, okay,
appena possibile avrebbe potuto scatenarsi. Non ci provava neanche a trattenerla, la bestia – non che cercare di frenarla servisse
a qualcosa – ma se lasciarla a briglia sciolta non era sempre un
bene, quella sera sarebbe stato un vantaggio sul piano offensivo. La
Confraternita del Pugnale Nero si trovava ad affrontare… quanti
lesser? Cinquanta? Centocinquanta?
Erano un bel po’ anche per loro – per cui sì, quel… regalino…
da parte della Vergine Scriba sarebbe tornato utile.
Quando si dice un estraneo imbucato. Più di un secolo prima
la madre della razza lo aveva dotato di un sistema di spegnimento
automatico, un programma di modifica del comportamento così
oneroso, così sgradevole e così devastante che di fatto gli aveva
impedito di precipitare nell’idiozia più assoluta. Grazie al drago,
se non riusciva a regolare a dovere i suoi livelli di energia e a
moderare le emozioni, si scatenava l’inferno.
Letteralmente.
Già, negli ultimi cento anni Rhage era riuscito a evitare che la
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bestia si pappasse i suoi cari o li facesse comparire nel notiziario
serale con un titolo del tipo “Jurassic Park è redivivo”.
Ma con quello che lui e suoi fratelli dovevano affrontare a
momenti – in quel campus a casa del diavolo – con un pizzico di
fortuna quel gigantesco bastardo con le scaglie viola, i denti a sega
elettrica e una fame da lupi si sarebbe fatto una mangiata degna di
Nobu. Anche se, come già detto, loro erano in cerca di una dieta
unicamente a base di lesser.
Niente fratelli a mo’ di sofficini, per favore. E niente umani a
mo’ di tapas o di dessert, grazie.
Più per discrezione che per affetto, in quest’ultimo caso. Quei
ratti senza coda non andavano mai da nessuna parte senza due
cose: una mezza dozzina di amici deficienti al cubo, evolutivamente
inferiori e notturnamente codipendenti e i loro fottutissimi cellulari.
YouTube era una bella rottura di palle quando cercavi di tenere
segreta la tua guerra con i non morti, cacchio. Per quasi duemila
anni nessuno – salvo i diretti interessati – si era impicciato della
lotta dei vampiri contro la Lessening Society dell’Omega, e il fatto
che gli umani non si limitassero alle loro competenze specifiche –
ovvero distruggere l’ambiente e dirsi reciprocamente cosa dire e
cosa pensare – era solo uno dei tanti motivi per cui li odiava.
Accidenti a Internet.
Scalando marcia per non esplodere troppo presto, Rhage
puntò lo sguardo su un vampiro che stava correndo al riparo
a sei o sette metri di distanza. Assail, figlio di Vattelapesca, era
vestito in nero-corteo-funebre; la chioma corvina alla Dracula non
richiedeva camuffamenti e il volto diabolicamente bello era così
assorto in quella missione omicida da incutere rispetto. Quando
si dice fare un favore… e un’inversione di rotta di centottanta
gradi: il narcotrafficante stava dando una mano alla confraternita,
e aveva mantenuto la promessa di tagliare i rapporti commerciali
con la Lessening Society recapitando ai piedi di Wrath la testa del
Forelesser dentro a una scatola.
E anche svelando l’ubicazione di quel covo che i lesser utilizzavano da tempo come quartier generale.
Ecco perché erano tutti lì, nelle erbacce fino ai coglioni, in
attesa che il conto alla rovescia degli orologi sincronizzati con
quello di V arrivasse alla mezzanotte in punto.
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Quello non era un attacco improvvisato, tanto per sparare alla
cazzo sul nemico. Dopo una serie di nottate – e giornate, grazie a
Lassiter, alias 00-scemo, che si era occupato delle ricognizioni in
orario diurno – era stato studiato con cura, coordinato e organizzato per essere messo in atto. Tutti i guerrieri erano presenti: Z
e Phury, Butch e V, Tohr e John Matthew, Qhuinn e Blay, oltre
ad Assail e ai suoi due cugini, Zanna I e II.
Chi se ne fregava di come si chiamavano veramente, bastava
che arrivassero armati fino ai denti e carichi di munizioni.
In attesa, poco lontano, c’era anche lo staff medico della
confraternita, con Manny e la sua unità chirurgica mobile a un
chilometro e mezzo di distanza e Jane ed Ehlena a bordo di uno
dei furgoni nel raggio di tre chilometri.
Rhage controllò l’orologio. Sei minuti e spiccioli.
Quando il suo occhio sinistro cominciò a ballare la samba imprecò. Come cazzo faceva a mantenere la posizione così a lungo?
Scoprendo le zanne, soffiò fuori dal naso due strisce gemelle di
fiato condensato, preavviso di un toro pronto a caricare.
Cristo, non ricordava l’ultima volta che era stato così irrequieto.
E non voleva pensare al perché. Anzi, da quand’era che evitava
di pensarci, al perché?
Be’, da quando lui e Mary vivevano quello strano momentaccio
e lui aveva iniziato a sentirsi…
«Rhage.»
Il suo nome era stato bisbigliato così piano che lui si girò di
scatto, temendo che il suo subconscio avesse deciso di parlargli. No. Era Vishous… e dalla faccia che aveva, Rhage avrebbe
preferito vivere uno sdoppiamento di personalità. Quegli occhi
di diamante brillavano di una luce inquietante. E i tatuaggi alla
tempia non miglioravano le cose.
Il pizzetto era un elemento neutro… a meno di non valutarlo
in termini di stile. Nel qual caso era la parodia di una barba come
Dio comanda.
Rhage scosse la testa. «Non dovresti appostarti…?»
«Ho visto questa notte.»
Oh, cazzo, no, pensò Rhage. Eh, no, fratello caro, non puoi farmi
questo proprio adesso.
«Risparmiami il tono alla Vincent Price, okay?» mormorò,
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