honda goldwing 1800x model year 2006 equipped with

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honda goldwing 1800x model year 2006 equipped with
HONDA GOLDWING 1800X MODEL YEAR 2006 EQUIPPED WITH
MOTORCYCLE AIRBAG SYSTEM
Finalmente, grazie alla Honda anche il motociclo
può ambire a compiere il secondo grande salto
tecnologico nel campo della sicurezza, costituito
dalla presenza dell’airbag. Il precedente è l’ABS, il
dispositivo di controllo della frenata, autentico
salvavita ormai indispensabile e che dovrebbe
essere di serie anche su tutte le moto.
Riguardo all’applicazione dell’airbag sulla moto
molte sono state le levate di scudo: chi dice che
non serve a niente perché comunque non evita la
caduta, chi dice che protegge solo negli urti frontali,
chi dice che si tratta solo di un gadget per fare
lievitare il costo della moto. La verità è una sola: la
sicurezza assoluta non è raggiungibile; l’uomo può
solo cercare di ridurre sempre di più i rischi, tanto
più che molte sono le variabili che concorrono sia a
creare una potenziale situazione di rischio, sia ad
accrescerne le conseguenze.
Ormai credo più nessuno neghi l’utilità delle cinture di sicurezza sulle auto, anche se è potenzialmente
possibile morire per annegamento proprio perché “imprigionati” dalle cinture. Così per l’ABS, che potrebbe
risultare meno efficace della capacità di governare una frenata di emergenza da parte di un pilota
professionista. L’importante è disporre di un software “intelligente” in grado di fare intervenire -nei tempi e nei
modi dovuti a seconda delle situazioni- i dispositivi salvavita, siano airbag oppure “semplici” pretensionatori
delle cinture di sicurezza. A questo proposito, esemplare è il caso della Lancia Kappa il cui ABS rischiava di
provocare inopportuni testa-coda, in antitesi a quello dell’Alfa 156 in cui l’ABS si dimostra sempre attento e
misurato. Ancora, ricorderete certamente il caso delle prime moto BMW che montavano gli ingombranti e
pesanti dispositivi ABS, che spesso era meglio… disinserire.
Oggi tutti questi sistemi sono ormai maturi e sicuri, ben differenziati nel loro funzionamento, a seconda si tratti
di un’auto o di una moto: basti pensare alle modalità di intervento della modulazione della frenata: a denti di
sega stretti per le auto, per sfruttate al massimo l’aderenza dei pneumatici senza perdere di vista la
direzionalità; a denti di sega larghi per le moto, per non compromettere la stabilità senza perdere di vista
direzionalità e aderenza.
Tralasciando il campo della sicurezza attiva, in cui è demandato all’intelligenza artificiale se vogliamo
chiamarla così (ABS, EBD, CBS, ecc.) il compito di modificare il comportamento dinamico del veicolo in
funzione delle circostanze emergenti, osserviamo che fatta salva l’impossibilità di disporre come sulle auto di
una cellula centrale indeformabile di sicurezza o di struttura di carrozzeria deformabile ad assorbimento di
energia, l’ideale sarebbe poter disporre di un airbag, almeno per il guidatore della moto, impresa ritenuta da
sempre irrealizzabile per evidenti motivi di funzionalità.
Ciò, almeno fino ad ieri, perché oggi la Honda ci propone –prima al mondo- il Motorcycle Airbag System: un
cuscino a forma di grande cucchiaio o di V con la funzione di trattenere il più possibile in posizione il guidatore,
negli attimi determinanti dell’evento. È vero che trattandosi di una moto vi è da attendersi una successiva
caduta a terra (imperativo quindi indossare sempre un adeguato abbigliamento protettivo! Anche per evitare
che una banale caduta a bassa velocità senza indossare i guanti –per esempio- si trasformi in un danno dalle
proporzioni del tutto ingiustificate). Ma un conto è impattare violentemente contro un ostacolo, quindi
precipitare rovinosamente a terra; un altro, è impattare contro
un cuscino d’aria che trattiene il guidatore finché la maggior
parte dell’energia dinamica dell’evento non si sia dissipata,
salvo poi cadere ugualmente a terra ma quasi adagiandosi.
Ma attenzione: le aspettative offerte da questo sistema di
sicurezza (come per tutti gli altri sistemi di sicurezza) sono
valide purché rientranti nei parametri degli standard previsti per
la simulazione dell’incidente. Per l’auto sono le norme EuroNCAP che prevedono –del tutto sinteticamente- 64 km/h contro
una barriera fissa di tipo honeycomb; 56 km/h contro barriera
fissa indeformabile; 50 km/h nell’impatto laterale contro
honeycomb; 29 km/h lateralmente contro un palo, una delle più
micidiali condizioni per effetto della concentrazione dell’energia
d’urto (chi non si ricorda qualcuna di quelle impressionanti
immagini di un’automobile letteralmente avvolta attorno ad un palo di cemento) ; 40 km/h per l’investimento
frontale di un pedone. Nel caso della GoldWing si tratta della normativa ISO 13232, i cui principali parametribase sono indicati nella figura (fase di simulazione computerizzata che precede i test reali di crash).
Queste velocità possono sembrare ridotte a chi non ha mai assistito a prove di crash, abituati come siamo di
parlare con indifferenza di velocità elevate. Ma per rendercene conto proviamo a pensare a quella volta in cui a
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piedi abbiamo urtato con violenza (cioè senza rallentare o frenare) contro un palo, magari perché non
riuscivamo a staccare lo sguardo da una bella ragazza che passava dall’altra parte. Sapete a quanto
andavamo? A non più di 4 km/h! Inoltre, bisogna considerare che in un incidente è la velocità residua che
conta, cioè quella risultante DOPO l’effetto della frenata. In altre
parole, a 100 km/h effettivi di velocità residua non vi è sistema di
sicurezza passivo che tenga, non ultimo per l’effetto della
violentissima decelerazione subita, in primis per lo spapolamento
spontaneo della milza. Spesso, inoltre, sono le stesse cinture di
sicurezza a provocare danni letali).
Proprio per riuscire a valutare scientificamente questi effetti sono stati
messi a punto gli “oscar”, sorta di manichini equipaggiati con celle di
carico nei punti vitali del corpo che trasmettono via filo i valori elettrici
di accelerazione negativa e di impatto sopportato.
Nel caso della moto, Honda ha creato uno speciale “oscar”
motociclista, le cui specifiche celle di pressione trasmettono via radio i
valori rilevati, in modo da evitare la presenza di fili che potrebbero
alterare le prove dinamiche.
Ma, alla fine, che percentuali reali di utilità può avere tutto ciò
nell’impiego di tutti i giorni della moto? Giusta domanda, a cui risponde un’indagine
condotta da alcuni enti certificati sulla base di osservazioni condotte negli Stati Uniti, in
Europa e in Giappone. La ricerca mette in evidenza che il 60% circa degli incidenti
avviene per collisione frontale! Un 25% circa è dovuto ad altri generi di collisione, e un
15% circa è determinato da cadute. Per quanto riguarda i danni fisici riportati da chi
guida, il 30% circa è dovuto ad impatto con un’automobile; solo un 15% per cadute
accidentali e un 25% circa per altre cause.
L’innovativo sistema di “ritenzione” messo a punto dalla Honda sarà disponibile già
forse dalla primavera prossima ma la sua gestazione è durata 15 anni! A titolo di
curiosità, già nel 1996 era stata allestita una GoldWing 1500 equipaggiata con airbag
per mettere a punto delle prove specifiche, ma solo nel 2000 fu possibile sviluppare
una simulazione computerizzata realistica delle prove di crash. Finalmente, nel 2004 è
pronta ad essere industrializzata la nostra GoldWing 1800 con airbag.
A questo punto è legittimo chiedersi quale affidabilità può avere un airbag da moto,
trattandosi di dover proteggere un soggetto particolarmente esposto? Prima di
rispondere è opportuno premettere che nel caso dell’automobile l’airbag si gonfia e si
sgonfia in pochi millisecondi, con una modalità di apertura funzionale alla
deformazione della scocca e in congiuntamente alla tensione delle cinture di sicurezza, che placcano il
passeggero contro lo schienale.
Nel caso della moto, i tempi di funzionamento sono
obbligatoriamente relativamente molto più lunghi: dell’ordine
di due decimi di secondo. Ciò perché dall’inizio alla fine
dell’impatto passa circa ben mezzo secondo, ma non solo:
occorre aggiungere un altro mezzo secondo, che
rappresenta il tempo che mette il motociclista a cadere
successivamente a terra. In tutto questo tempo (il mezzo
secondo iniziale) il guidatore è trattenuto dall’airbag in nylon
pieno di 150 litri di gas nitrogeno. Per ammortizzare l’impatto
contro l’airbag stesso, quest’ultimo reca due sfiatatoi
posteriori (l’esperienza automobilistica ha dimostrato che, in
assenza di cintura di sicurezza allacciate, l’urto contro
l’airbag è fonte di gravi lesioni facciali, quando non è il
passeggero stesso ad essere proiettato dalla loro apertura –
si dovrebbe più propriamente parlare di scoppio- contro il
soffitto dell’auto o attraverso il lunotto posteriore). Inoltre, per
evitare che sotto l’effetto della spinta ricevuta l’airbag
comprometta la propria funzione di ritenzione, esso è
trattenuto da due tiranti ancorati al telaio della moto.
Sono tutte situazioni che i non addetti ai lavori difficilmente
sospettano e che sottolineano maggiormente, da una parte,
la difficoltà tecnica della realizzazione di un airbag
motociclistico; dall’altra, l’importanza innegabile della sua
fondamentale e manifesta utilità.
Per essere efficiente, tuttavia, un programma completo di
protezione passiva motociclistica deve prevedere, oltre
naturalmente all’airbag, specifici guanti e stivali, protezioni
rigide dorsali, ginocchiere, gomitiere, e –qui mi rendo conto
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di fare un dispiacere a tutti noi Golwinger- casco integrale, in quanto il nostro benamato casco jet non offre
nessuna protezione maxillo-facciale.
Un ulteriore elemento differenziante rispetto
all’omologo automobilistico è il sistema di
rilevamento della condizione di intervento, che
nelle auto è posto solitamente nella zona
anteriore del tunnel centrale. Nella GoldWing
la centralina di comando (ECU Electronic
Control Unit) è distinta dai sensori d’impatto,
che sono quattro: due per fodero della forcella,
posti superiormente e inferiormente. Tutti i
quattro hanno funzione indipendente, pur
concorrendo assieme a determinare la
richiesta d’intervento dell’airbag sulla base
delle differenze di accelerazione rilevate
singolarmente. In caso di compromissione
accidentale dell’alimentazione elettrica della
centralina, un sistema di emergenza interviene
per garantire alla centralina di portare a
termine il suo compito. E così pure, nel caso andasse fuori uso un sensore di forcella, al fine di evitare
qualsiasi intervento inopportuno dell’airbag. Non v’è da meravigliarsi se tra poco la Honda produrrà un airbag
anche per il passeggero posteriore (che naturalmente potrà entrare in azione solo se il peso sul sedile
posteriore supererà un certo valore).
Prima di terminare è il caso di accennare anche ad altri sistemi di protezione
passivi, che dovrebbero fare parte dell’equipaggiamento del motociclista
previdente, diciamo così. Si tratta dei giubbotti espandibili, la cui funzione è di
proteggere le parti vitali del tronco nel malaugurato di disarcionamento. Uno dei più
noti è prodotto dalla EGG PARCA giapponese, disponibile anche in Italia con il
sovramarchio di qualche azienda del settore.
Il giubbotto, che esiste anche come giacca e come gitet, contiene nel suo interno
una serie di cuscini accuratamente ripiegati e collegati da tubicini, che fanno capo
ad una bomboletta di gas nitrogeno la cui apertura è demandata allo
strappo di una cordicella ancorata ad una parte fissa del veicolo.
In caso di disarcionamento viene superata la forza di trazione di 35
kg sulla cordicella, con l’effetto di strappare la sicura del detonatore
che comanda l’espansione del gas. Nel tempo di 2 decimi di secondo
si gonfia il gilet-bag, con l’effetto di trasformare il motociclista in una
specie di Bibendum (l’uomo-Michelin).
L’espansione del gilet-bag protegge in modo particolare la colonna vertebrale e il
collo, che viene anche mantenuto in trazione, creando in qualche maniera una
sorta di “barella svedese” preventiva. Ciò, per il tempo relativamente lungo di 7 secondi, il tempo necessario
che la caduta e successivi rimbalzi terminino. Durante questo breve periodo la respirazione ovviamente non
può avvenire. Il gilet, quindi, si sgonfia progressivamente nel giro di due secondi.
Attualmente, sono allo studio altri tipi di gilet-bag il cui gonfiamento sarà comandato da micro accelerometri, in
grado di interpretare con sicurezza la situazione anomala emergente. Il motivo della ricerca è motivata non
tanto dal desiderio di innovare il sistema di innesco del gonfiaggio, di per sé semplice ed efficace, quanto
dall’intento di risparmiare dei centesimi di secondo preziosi anticipando il più possibile la reazione protettiva in
vista di un impellente impatto.
Per terminare aggiungere un ultimo accorgimento, anzi due: la prudenza e un po’ di sempre opportuna fortuna!
Ing Vittorio Cajò
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