I magliari - Archivio Guerra Politica

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I magliari - Archivio Guerra Politica
I magliari
(Opera, 12 maggio 2014)
I dirigenti politici italiani sono quelli che tutti conosciamo, espertissimi solo nel gioco delle tre carte, nella
vendita di merce adulterata e prodotti contraffatti.
L'operazione "trasparenza", di cui parla in modo esplicito e condivisibile la giornalista Simona Zecchi
nell'articolo intitolato "Le stragi ‘declassificate’? L'"operazione trasparenza" non contempla i segreti di
Stato" del 24 aprile 2014, si presenta come l'ennesima truffa perpetrata nei confronti dei cittadini italiani.
L'inserimento dell'attentato di Peteano di Sagrado del 31 maggio 1972 nel novero delle “stragi” di civili sui
treni, nelle banche e nelle piazze qualifica già il livello morale di quanti hanno compiuto un'operazione
"sporca" finalizzata a confondere le idee e a simulare un desiderio di verità che nessuno, a livello politico,
nutre.
Il processo per l'attentato del 31 maggio 1972, svoltosi a Venezia dal 23 marzo al 25 luglio 1987, e
pervenuto ad una verità giudiziaria e storica esclusivamente per volontà di chi scrive che, come ha
sottolineato il presidente della Corte di assise Renato Gavagnin, non ha mai inteso "confessare" una colpa,
al contrario ha portato sul banco degli imputati gli uomini dello Stato, i suoi corpi separati e di polizia, i suoi
uomini politici, non avrebbe mai potuto farlo se non si fosse assunto la responsabilità di aver ideato,
organizzato e compiuto quell'attentato.
L'unico “mistero” che esiste nel processo di Peteano di Sagrado è quello relativo al modo con il quale Felice
Casson sia riuscito a coprire le responsabilità dei vertici della polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri, dei
servizi segreti militari e civili, dei presidenti del Consiglio e dei ministri degli Interni e della Difesa,
strepitando di essere riuscito a "scoprire" tutto lui.
Se dalle carte che saranno depositate nell' archivio di Stato, già conosciute dal Felice Casson, potrà
emergere qualche indizio su questo "mistero" allora l'operazione "sporca" si rivolgerà contro chi ha inserito
quell'attentato nel novero delle stragi italiane.
Perché se ci hanno messo l'attentato del 31 maggio 1972 che è costato la vita a tre carabinieri, avrebbero
dovuto metterci a maggior ragione l'agguato di via Fani del 16 marzo 1978, nel quale persero la vita cinque
appartenenti alle forze di polizia e che non è stato qualificato giuridicamente come "strage" perché
dovevano comprare il silenzio di Mario Moretti e colleghi offrendo gli tutti i benefici di legge in cambio di
una simulata dissociazione di fatto.
La differenza è che sull'attentato di Peteano per quanto riguarda l'ideazione, l'organizzazione e l'esecuzione
misteri non ce ne sono, mentre sull'agguato di via Fani ne restano tanti e gravi.
Una furbata pericolosa per i suoi ideatori perché i "misteri" (che poi sono tali solo per la stampa) di Peteano
riguardano i depistaggi, quelli compiuti a partire dal giugno del 1972 per giungere a quelli di cui si è reso
protagonista Felice Casson.
Se proprio vogliamo essere precisi, dobbiamo dire che il solo mistero rimasto fale grazie a Felice Casson, è
che è rimasta ignota la motivazione per la quale i vertici dello Stato hanno sentito il bisogno di depistare le
indagini per coprire la matrice ordinovista dell'attentato.
Difatti, che l'ordine di depistare le indagini sia stato impartito al colonnello Dino Mingarelli, comandante
della Legione carabinieri di Udine, dal capo di Stato maggiore dell'Arma, generale Arnaldo Ferrara, e da l
Comandante generale Enrico Mino, è certo, oltre che documentabile.
Così come la decisione di fare altrettanto debba essere fatta risalire ai generali Vito Miceli, direttore del Sid,
e al generale Gianadelio Maletti, responsabile dell'Ufficio "D" (sicurezza interna), e al capo della polizia
Angelo Vicari e al direttore della divisione Affari riservati Umberto Federico D'Amato, per il ministero degli
Interni.
Sono verità, queste, che sono già agli atti di un processo che Felice Casson è riuscito a mascherare ma non a
cancellare.
È normale, di conseguenza, che fino ad oggi l'unico a paventare qualche brutta sorpresa sia stato proprio
Felice Casson il quale, nel corso di un'intervista resa al TG2, ha denunciato il pericolo che nel materiale che
sarà consegnato all'archivio di Stato ci potrà essere qualche "velina" disinformante.
Cosa teme Felice Casson?
Da trent'anni ed oltre costui è il protagonista primo e principale di una campagna di calunnie e di
menzogne, all'esterno ed all'interno del carcere, nei miei confronti, ma io attendo con serenità e curiosità
di conoscere le carte che i servizi segreti militari e civili potranno riversare negli archivi dello Stato sul mio
conto personale e sull'attentato di Peteano di Sagrado.
Mancheranno ovviamente i quasi cento documenti classificati distrutti fra i l 6 ed il 7 agosto 1984, in
coincidenza con le mie risposte ai giudici di Bologna, a Forte Braschi di cui Felice Casson non ha mai chiesto
conto all'allora direttore del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini.
E non saranno i soli documenti ad essere scomparsi dagli archivi dei servizi segreti, della polizia di Stato e
dell'Arma dei carabinieri.
Diciamo, dunque, che tutti questi apparati verseranno sull'argomento solo quello che hanno ritenuto di
poter conservare.
E questo avverrà per tutti gli altri episodi citati nella direttiva partita dal presidente del Consiglio, Matteo
Renzi, per avviare un' “operazione trasparenza” dalla quale si propone di non far trasparire nulla che possa
creare problemi al governo ed ai suo apparati di insicurezza (non è un refuso).
In altre parole, Matteo Renzi ed i suoi consiglieri hanno avviato un'operazione che ha lo scopo di ri-velare,
cioè di coprire per la seconda volta, ciò che hanno sempre tenuto coperto ed occultato.
I magliari dello Stato e della politica sono troppo sicuri del loro operato, ma, come è già accaduto nel
processo per l'attentato di Peteano di Sagrado a Venezia, nonostante Felice Casson, qualche "sorpresa"
potranno averla loro. Non a caso, chi scrive, in totale solitudine e per anni osteggiato da tutti, ha dettato la
ricostruzione della storia italiana che, oggi, tanti hanno fatta propria dimenticando, molti in buona fede
perché troppo giovani per ricordare, altri ancora in totale malafede, che a farlo è stato non un "reo
confesso" ma un oppositore politico, unico e vero, di questo Stato e di questo regime.
Ne converrà, con il tempo, anche Simona Zecchi la cui lucidità fa intravedere anche un'onestà intellettuale
che certamente manca alla gran parte dei giornalisti italiani.
Vincenzo Vinciguerra