Grazia - Ausl di Forlì
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Grazia - Ausl di Forlì
ospedali ospitali Buffet per neomamme, corsi di scrittura per le pazienti più gravi, parrucchiere in corsia. Si chiamano “terapie diversionali” e, secondo i medici, aiutano a guarire. Quasi sempre sono pensate da donne per le donne di Lisa Cesco illustrazioni di Claudia Celani I mmaginate un ospedale che, oltre a curare, sappia anche rassicurare e proteggere, permettendo a chi è malato di esprimere la propria personalità. Un luogo tutt’altro che fatiscente, dove si parla una lingua familiare che fa sentire un po’ più a casa. Un sogno? Forse, ma qualcosa, anche nella sanità italiana, sta cambiando. Iniziano a emergere esempi di iniziative, spesso pensate da donne a favore delle altre donne, quelle che si trovano a frequentare un ospedale, che sia per un ricovero o l’assistenza a un familiare. Non parliamo di specialità cliniche o di terapie di ultima generazione, piuttosto di servizi, opportunità, agevolazioni. Cose che da sole non curano, ma che - ormai i medici concordano - possono rivelarsi essenziali per il benessere del paziente e per il percorso di guarigione. Non a caso l’Osservatorio nazionale sulla salute segue ● La salute con il bollino ROSA GRAZIA 127 Gli ospedali di solito sono spersonalizzati e fatiscenti. Invece è stato dimostrato che i pazienti guariscono meglio in un ambiente familiare della donna (www.ondaosservatorio.it), nel procedere a una prima mappatura degli ospedali che pensano al femminile, ha assegnato il massimo del punteggio - tre “bollini rosa” - a 19 ospedali che, oltre a essere all’avanguardia nella lotta alle malattie di genere, offrono anche servizi pratici dalla parte delle donne. La domanda era la stessa che apre la mostra “Donne in salute” (fino al 30 gennaio al Museo nazionale della Scienza e della tecnologia di Milano): che cosa influenza la nostra salute? Tanti ospedali stanno cercando di dare la loro risposta. Il “laboratorio artistico terapeutico” dell’Istituto tumori di Milano propone ai pazienti, per uscire dall’isolamento e dalla passività cui la malattia può costringere, di elaborare paure, vissuti ed emozioni. Lo si fa con attività di scrittura creativa, oppure disegnando, dipingendo, plasmando piccole sculture o, ancora, dando libero sfogo alla propria espressività con la danza e il canto, l’ascolto della musica, il racconto di sé seguendo un gioco teatrale guidato. L’idea di fondo è che si può raggiungere una migliore condizione psicofisica anche facendo fiori di carta o esercizi di hata yoga. Sono quelle che vengono chiamate “terapie diversionali”, come la lettura nelle biblioteche di reparto, cui si possono abbinare i corsi di cucina che insegnano una dieta per star meglio durante la chemioterapia. «L’umanizzazione degli ospedali non è un’operazione di immagine, ma ha una componente sostanziale: ci sono evidenze empiriche sui benefici psicologici e fisici che porta con sé», spiega Marino Bonaiuto, PARCHEGGI ROSA All’ospedale MorgagniPierantoni di Forlì, le donne in gravidanza hanno diritto a posti auto riservati. direttore del dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione all’università La Sapienza di Roma, e autore, con altri specialisti, del saggio Che cos’è la psicologia architettonica (Carocci). Il primo a intuire l’importanza dell’umanizzazione fisicospaziale degli ospedali fu il professore americano Roger Ulrich, del Center for Health Systems and Design della Texas A&M University: in uno studio che ha fatto storia, pubblicato nel 1984 sulla rivista specializzata Science, introdusse il concetto di “healing environments”, cioè “ambienti che curano”, dimostrando come il decorso post-operatorio fosse migliore in quei pazienti la cui camera affacciava su aree verdi rispetto a quelli che dalla finestra non potevano vedere che un muro di mattoni. «Un maggior benessere si traduce spesso in un miglior decorso ospedaliero, e può portare a dimissioni anticipate. Il che è anche un beneficio in termini economici per l’intero sistema sanitario. Per questo è importante aiutare i pazienti ad avere buone relazione con gli altri, a decidere come socializzare o a ricercare momenti di privacy. E poi conta l’ambiente fisico: un ospedale non spersonalizzato, ma che richiama contesti domestici, crea una maggiore familiarità e quindi favorisce l’espressione di sé, con un beneficio psicologico evidente», spiega Bonaiuto. Sarà per questo che all’ospedale Del Ponte di Varese, per permettere alle mamme di stare il più vicino possibile ai figli, è stata creata una “casa della nutrice”, struttura affiancata all’ospedale che ospita le donne con bambini ricoverati in terapia intensiva neonatale. Visto che l’accesso a questi reparti non è per tutti e ha orari rigidi, all’ospedale Macedonio Melloni di Milano è stato scelto di installare, sull’esempio di alcuni “children hospital” americani, una webcam sulle culle, che consente a genitori e parenti di collegarsi da casa (grazie a internet e a una passegue ● DIETA ISLAMICA Al policlinico di Roma Tor Vergata le donne musulmane possono avere un menu che rispetti il Ramadan, il mese del digiuno. 128 GRAZIA MERENDA A BUFFET Al reparto ostetricia degli Spedali civili di Brescia c’è “l’ora del tè”: appuntamento per le neomamme e i loro bambini. sword) e osservare in diretta, ogni sera, i movimenti del bambino nell’incubatrice. Sempre sul filo del virtuale, corre la sperimentazione del Galliera di Genova, che ha creato un “nido virtuale” online per fare conoscenza dei nuovi nati del giorno, dove si possono trovare fotografie, peso e dettagli aggiornati in tempo reale. A Brescia, al reparto ostetricia degli Spedali civili c’è addirittura “l’ora del tè”: infusi caldi, budini, yogurt e fette biscottate per merenda da condividere fra puerpere e ostetriche, in una sala dedicata a chiacchiere e coccole. «Le donne ricoverate hanno bisogno di socializzare: il ritrovarsi insieme è un modo importante per fare educazione alla salute e sostenersi a vicenda. Insomma, quello che accadeva ai tempi delle nostre nonne, quando le donne incinte stavano sempre assieme. Oggi le emozioni si condividono in un reparto ospedaliero, e anche lì nascono amicizie per la vita», spiega Rosaria Avisani, direttore del Servizio infermieristico ostetrico aziendale. E non importa se non si parla la stessa lingua. «Le future mamme comunicano tra loro anche a gesti. E, una volta nati i loro bambini, provano ad allattare tutte assieme. In gruppo riescono a farsi coraggio. Ho imparato che le più sone, capita anche che l’ospedale esca dalbrave a trascinare le altre mamme sole sue stesse mura, come avviene a Torino, no le donne africane». dove l’Oirm-Sant’Anna ha attivato un Per far cadere le barriere culturali in servizio di assistenza per il parto a domiospedali che sono sempre più multietcilio. Le ostetriche ospedaliere seguono a nici, il Policlinico Tor Vergata di casa le donne che, se sono nelle condizioRoma propone una dieta per pazienti ni cliniche più idonee, possono vivere il musulmane durante il Ramadan (il IL PARTO A DOMICILIO parto in modo più intimo (c’è anche un mese del digiuno diurno, ndr), menA Torino, l’ospedale (quasi) sito di chi ha provato questa esperienza, tre l’azienda ospedaliera di Verona ha non serve. Si può partorire www.nascereincasa.it). messo insieme una task force di 95 mea casa con le ostetriche dell’Oirm-Sant’Anna. Sarà forse un caso che il direttore generadiatori culturali che curano la comule del Sant’Anna, Marinella D’Innocenzo, nicazione con le donne immigrate, con sia una donna, una delle poche - sfiorano il 6% in tutta assistenza religiosa anche per degenti non cattoliche. A rendere più gradevole la permanenza in ospedale sono Italia, secondo l’indagine condotta dal Centro di ricerche poi iniziative piccole, ma rassicuranti: disporre di un ser- sulla gestione dell’assistenza sanitaria sociale vizio di lavanderia e, in alcuni reparti come la pediatria, dell’Università Bocconi - a ricoprire un incarico dirigenutilizzare una cucina per preparare i cibi preferiti dal pro- ziale di vertice in un ospedale. «La specificità di genere prio figlio (Istituto Tumori di Milano); usufruire di par- va riconosciuta come elemento di ricchezza, e non di dicheggi rosa per donne in gravidanza (ospedale Morgagni- versità, è questo il salto culturale che bisogna fare», dice Pierantoni di Forlì); approfittare del parrucchiere che può D’Innocenzo. «Se ci fossero più donne a progettare e diessere richiesto in reparto (ospedale di Verona); pernotta- rigere ospedali, il patrimonio di competenze e sensibilire in un’area genitori attigua ai piccoli pazienti ricovera- tà non potrebbe che arricchirsi. A vantaggio delle donne, ti (Policlinico di Modena). Per essere più vicino alle per- certo, ma anche degli uomini». ■ L’Osservatorio nazionale sulla salute della donna quest’anno ha promosso 19 centri che offrono servizi innovativi “al femminile” 130 GRAZIA