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CORSO DI FILOSOFIA PER PROBLEMI
ARGOMENTARE
MANUALE DI FILOSOFIA PER PROBLEMI
PAOLO VIDALI – GIOVANNI BONIOLO
EDIZIONE DIGITALE
COS’E’ LA NATURA?
PRESOCRATICI, PLATONE, ARISTOTEL E, STOICISMO
2013
VERSIONE A STAMPA EDITA DA BRUNO MONDADORI, MILANO 2002-2003
A07 COS’E’ LA NATURA?
COS’E’ LA NATURA?
PRESOCRATICI, PLATONE, ARISTOTELE, STOICISMO 1
SOMMARIO
1. Introduzione ............................................................................................................................................. 3
Il problema della filosofia della natura nel mondo antico ........................................................................... 3
2. I Presocratici ............................................................................................................................................. 4
2.1 Gli esiti delle prime ricerche dei Presocratici .................................................................................... 4
2.2 Pluralismo, meccanicismo e teleologia nei Presocratici ................................................................... 5
Testo 1 Anassagora ................................................................................................................................ 5
Testo 2 Democrito................................................................................................................................... 7
3. Platone: la natura come organizzazione razionale ................................................................................... 7
3.1. Premesse teoriche ............................................................................................................................ 7
3.2. La soluzione platonica ..................................................................................................................... 8
Testo 3 Platone ....................................................................................................................................... 9
3.3. Strumenti filosofici presenti nella soluzione platonica..................................................................... 9
4. Aristotele: la natura come principio di vita e movimento ...................................................................... 10
4.1. Premesse teoriche .......................................................................................................................... 10
4.2. La soluzione aristotelica................................................................................................................. 10
Testo 4 Aristotele .................................................................................................................................. 11
5. Lo Stoicismo: la natura come ordine e necessità ................................................................................... 13
5.1. Premesse teoriche .......................................................................................................................... 13
5.2. La soluzione stoica ......................................................................................................................... 13
Testo 5 Lo Stoicismo ............................................................................................................................. 14
5.3. Strumenti filosofici e limiti della soluzione stoica ................................................................................ 15
Laboratorio didattico ...........................................................................................................................16
Sez. A Il problema e il senso comune .................................................................................................. 16
Sez. B Ripercorrere le diverse soluzioni ............................................................................................... 16
Strumenti filosofici ...............................................................................................................................18
Il «principio dell’empirismo» ................................................................................................................ 18
Sez. D Piano di discussione ...................................................................................................................19
Bibliografia minima ..............................................................................................................................19
Scheda didattica ...................................................................................................................................20
Testi a integrazione ..............................................................................................................................21
Democrito .................................................................................................................................................. 21
Anassagora ................................................................................................................................................. 21
Platone ....................................................................................................................................................... 21
La studio della natura come storia verisimile ....................................................................................... 21
La formazione del cosmo ...................................................................................................................... 23
Aristotele .................................................................................................................................................... 24
La natura della fisica............................................................................................................................. 24
Che cos’è la natura ............................................................................................................................... 24
La natura come causa finale ................................................................................................................. 25
Gli Stoici ...................................................................................................................................................... 26
La razionalità del Lógos ........................................................................................................................ 26
La struttura del cosmo .......................................................................................................................... 27
1 Testo a cura di Mauro Sacchetto
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A07 COS’E’ LA NATURA?
COS’E’ LA NATURA?
PRESOCRATICI, PLATONE, ARISTOTELE, STOICISMO
INTRODUZIONE: IL PROBLEMA DELLA FI LOSOFIA DELLA NATURA NEL MONDO ANTICO
Lo sforzo di spiegare che cosa sia la natura e quale la logica del suo comportamento, ancora prima di
essere un tema capitale della ricerca filosofica, è perseguito già dal mito nella Grecia arcaica. Diversi miti
cercavano infatti di chiarire l’origine del cosmo e per questo sono stati poi detti “cosmogonici” (dal
greco kósmos = cosmo e gígnesthai = nascere): uno, assai celebre, riportato nell’Iliade di Omero (VIII sec.
a.C.) racconta che l’universo era stato generato dal dio fluviale Oceano e dalla sua sposa Teti. Il mito,
termine che letteralmente significa “parola”, “discorso” e anche “racconto”, costituisce dunque già una
spiegazione, ma viene ritenuto dai Greci un sapere
immutabile a causa della sua antichità: le spiegazioni
mitologiche erano percepite come un insieme di nozioni
talmente remote e trasmesse in forma identica per tanti
secoli (cosa peraltro non vera, perché nella sua trasmissione
orale il mito subiva una serie amplissima di variazioni) che
nessuno aveva il diritto di modificarlo. Il mito andava
creduto così com’era e non si sentiva il bisogno di sottoporlo
a una qualche verifica: insieme alle credenze religiose, esso
era parte essenziale di un ampio patrimonio di tradizioni e di
nozioni che i greci condividevano.
L’irruzione della filosofia, tra il VII e il VI secolo a.C., mantiene la centralità delle tematiche
cosmologiche, ma modifica radicalmente l’atteggiamento intellettuale con cui esse vengono affrontate:
la filosofia non si accontenta più di accogliere per vero quanto narrato dal mito, ma intende analizzare
come stiano effettivamente le cose. All’accoglimento acritico del mito si sostituisce insomma
l’alleanza di una ricerca empirica e di una riflessione razionale , sebbene poi esso non venga del
tutto respinto. In taluni casi il mito stesso sembra confermato dalla ricerca filosofica, ma la novità sta nel
fatto che esso ora viene creduto solo perché ha superato l’esame della nuova ragione e non
più in base alla sua autorità: quando per esempio Talete trova che la vita è presente dove c’è acqua,
gli sembra di ottenere un’indiretta conferma del mito omerico che abbiamo citato sopra.
Intorno all’origine del termine "natura"
Il termine greco che significa “natura”, e cioè phýsis, deriva dalla radice indoeuropea *bhu- che significa
“spingere”, “crescere”, “svilupparsi”; in alcune lingue indoeuropee il senso della radice si è evoluto nel
significato di “divenire” e infatti essa viene usata in certi casi per completare il sistema del verbo
“essere” – come in latino, dove abbiamo est / fuit e dove inoltre tale radice genera il verbo fio = divengo.
Se l’italiano “natura” deriva dal latino nascor, il senso etimologico della parola greca phýsis è del tutto
diverso: non si tratta infatti di una “nascita”, cioè dell’insorgenza di qualcosa di assolutamente nuovo o
di una creazione dal nulla (teoria quest’ultima detta “creazionismo) – nozione del resto assente in tutte
le culture arcaiche –, ma di un processo di trasformazione e di ordinamento di una materia originaria
che esiste da sempre e che per sempre esisterà.
Il problema dei Greci è allora spiegare in quali modalità e per quali cause esista un insieme organizzato
di materia che costituisce per l’appunto la natura, ma c’è una seconda novità: la filosofia cerca di
spiegare l’intera natura col numero maggiormente preciso ed economico di princìpi, di ricondurre
l’eterogenea molteplicità degli oggetti naturali a una spiegazione unitaria, fondata su di un
principio detto arché. Bandita la numerosa e pittoresca schiera degli dei, la filosofia presocratica si
può vedere come la sempre più articolata ricerca di questa arché, materia originaria di cui e da cui tutte
le cose sono fatte, ma anche ragione e modo del loro organizzarsi.
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A07 COS’E’ LA NATURA?
2. I PRESOCRATICI
2.1 GLI ESITI DELLE PRIME RICERCHE DEI PRESOCRATICI
L’avvio della filosofia viene convenzionalmente indicato nella scuola ionica: per il suo iniziatore Talete
(VII-VI sec. a.C.) tutte le cose sono fatte di acqua (DK 11 A 12), per il suo discepolo Anassimandro
(610/609-547/546 a.C.) di una materia indistinta battezzata ápeiron, che significa “illimitato” (DK 12 B
1), per l’altro suo discepolo Anassimene (568 ca - 528 ca a.C.) di aria (DK 13 A 5); e per tutti gli altri primi
presocratici c’è in ogni caso una e una sola materia da cui tutte le cose der ivano. Essa non è
solo ciò di cui le cose sono fatte, ma anche la causa in virtù della quale esse es istono, il
principio vivo e vitale del loro ordinamento ; non una sostanza morta, ma un perenne dinamismo
universale.
I pensatori successivi cercano di trovare delle spiegazioni sempre più adatte a rendere conto della
dinamica concreta e particolare dei fatti empirici. Così i Pitagorici (movimento sviluppatosi nel corso del
V sec. a.C.) ed Eraclito (550 ca - 480 ca a.C.) non si accontentano di identificare in natura un elemento
originario, ma si sforzano di coglierne l’intrinseco carattere razionale: non solo la materia, ma la
legge a cui la materia stessa obbedisce, gli aspetti regolari e costanti che ne regolano il
funzionamento. I Pitagorici, riscontrando come i principali eventi naturali, fra cui il giorno e la notte, le
stagioni e l’apparizione delle costellazioni in cielo, si possano esprimere e conoscere in forma numerica
in quanto periodici, e rilevando che anche la musica sia riconducibile a relazioni numeriche (DK 44 B 6),
concludono che il principio delle cose è il numero, il quale però secondo loro non è solo un’astratta
formulazione di quantità, ma davvero un elemento dotato di specifiche qualità e di caratteristiche
materiali (DK 58 B 4).
Allo stesso modo Eraclito individua il principio delle cose in una legge che chiama lógos (DK 22 B 1),
anche se poi lo identifica materialmente col fuoco (DK 22 B 30). A seguito della constatazione che nel
mondo sono presenti infiniti contrasti (DK 22 B 10) come il giorno e la notte, la vita e la morte, la via
all’in su e quella all’in giù (DK 22 B 60) e tanti altri ancora, egli conclude che la natura è la perenne lotta
di un contrario per sopraffare l’altro, è strutturalmente l’opposizione di contrasti (DK 22 B 53). Ma, a una
considerazione più approfondita, il filosofo si accorge che i contrari hanno un bisogno essenziale l’uno
dell’altro, dal momento che è solo grazie all’uno che l’altro può sussistere, come senza il caldo non ci
sarebbe il freddo, e conclude che la legge più profonda e basilare è quella della complementarità, della
“armonia nascosta” dei contrari stessi (DK 22 B 8 e 51). La parità dei contrari implica che nessuno possa
essere considerato solo causa e nessuno solo effetto, o verrebbe introdotta una indesiderata gerarchia
di princìpi.
Tutti questi filosofi – gli Ionici come i Pitagorici e come Eraclito – assumono un elemento unico
come arché (l’acqua, l’ápeiron, l’aria, il numero, la legge dei contrari) e di conseguenza sono stati
definiti monisti (dal greco mónos = uno solo).
Ciò da cui invece parte Parmenide (prima metà del V sec.) è la denuncia delle oscurità e delle
contraddizioni determinate dall’esperienza: esse sono dovute al fatto che i sensi per lo più ci ingannano,
per cui è impossibile attribuire qualsiasi validità all’osservazione e più in generale all’esperienza sensibile
(DK 28 A 25). Conseguenza di questo atteggiamento è la negazione dell’esistenza stessa della natura,
teoria che costituirà uno dei grandi temi della scuola eleatica. Il discorso parmenideo sulla natura è
condotto per intero sul piano logico: come impone il principio di non contraddizione, dell’essere si può
dire soltanto che è e mai che non è, mentre della natura si dicono cose contraddittorie e si può predicare
la negazione; essa è infatti il dominio del molteplice (in natura ci sono alberi stelle colline ecc., e gli alberi
non sono le stelle, le stelle non sono le colline…) e del diveniente (perché in natura tutto diviene, gli alberi
mettono le foglie, le uova vengono covate diventando pulcini e via dicendo). Insomma della natura è
impossibile non predicare in modo contraddittorio, ma dal momento che quanto è contraddittorio non
esiste, la natura stessa non esiste; di conseguenza per Parmenide non ha alcun senso parlare di
uno studio rigoroso della natura, perché non si tratta che di parole prive di valore e di consistenza
(DK 28 B 7, vv. 42-45), di semplice opinione (DK 28 B 7, vv. 54-65).
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A07 COS’E’ LA NATURA?
2.2 PLURALISMO, ME CCANICISMO E TELEOLOGIA NEI PRESOCRATICI
2.2.1 PREMESSE TEORICHE
Melisso (fine VI sec. - inizio V sec. a.C.), uno dei due discepoli di Parmenide, modifica l’intendimento del
principio di non contraddizione come formulato dal suo maestro: egli continua a considerare il divenire
come contraddittorio – perché se una determinazione cambia non si capisce da dove derivi il nuovo se
non da qualcosa che prima non c’era e cioè dal nulla, o dove vada a finire il vecchio se non nel nulla, il
che è assurdo. Tuttavia il filosofo non sente più il molteplice di per sé contraddittorio, a patto che non
implichi anche il divenire. Di conseguenza sarebbe disposto ad ammettere nell’ambito dell’essere un
molteplice che fosse indiveniente (DK 30 A 5): dell’essere si può dire soltanto che è, ma di questo
essere potrebbe far parte adesso anche un molteplice indiveniente .
Anassagora (496 ca - 428 ca a.C.) e Democrito (460 ca - 370 ca a.C.), insieme a Empedocle (484/481 424/421 a.C ca)., si valgono della possibilità logica introdotta da Melisso per conciliare il mantenimento
del principio parmenideo di non contraddizione con l’ammissione della natura. Da un lato essi
continuano a non voler mescolare essere e non essere , ma dall’altro – esattamente come i
primi Presocratici – prestano fiducia alle testimonianze dei sensi e ammettono la
molteplicità. E poiché il mondo naturale ci attesta indubitabilmente il divenire, essi sono costretti a
intenderlo non come il semplice sorgere o sparire di entità o determinazioni (che sorgerebbero dal nulla
o finirebbero nel nulla), ma come l’unirsi e il dividersi in composti da parte di materie che
tuttavia in sé non cambiano mai.
In secondo luogo essi, per dare ragione in modo maggiormente felice della varietà degli oggetti empirici,
hanno bisogno di assumere diversi elementi come arché e non più uno solo come invece
avevano fatto i monisti: le quattro “radici dell’essere” per Empedocle, le “omeomerie” per Anassagora,
gli “atomi” per Democrito. Per questo sono stati detti pluralisti.
2.2.2 ANASSAGORA
Le premesse teoriche di Anassagora sono le stesse che troveremo in Democrito: giustificare la
molteplicità naturale mediante il ricorso a una serie di princìpi che di per sé continuino a rispettare il
principio di non contraddizione di Parmenide. Così egli identifica l’arché nelle omeomerie, (termine che
probabilmente significa «parti uguali»; dal greco hómoios = uguale e móira = parte), elementi materiali
originari in possesso di specifiche determinazioni qualitative e divisibili all’infinito (DK 59 A 41). Esistono
omeomerie di osso, di capello, di carne, di legno e via dicendo, tante quante sono le materie che
l’esperienza ci attesta. Infatti le materie derivano da omeomerie identiche e non possono essere formate
da composti, perché in questo caso una qualità sorgerebbe da due o più qualità diverse da essa e dunque
dal suo non essere (in questa visione il verde non può derivare dal blu e dal giallo), violando ancora una
volta il principio parmenideo di non contraddizione (DK 59 A 45). ( Testo 1).
Pre quanto riguarda l’impostazione generale della fisica, secondo Anassagora in origine le omeomerie
sono tutte mescolate, tanto da non consentire l’identificazione di alcuna qualità specifica, tanto meno
l’esistenza di oggetti particolari (DK 59 B 1). Ma poi in questa massa confusa chiamata mígma si attiva un
principio attivo, detto Noûs (che significa “Intelletto”): si tratta una forza cosmogonica che
organizza il mondo secondo un piano intelligente e prestabilito , che separa le varie materie e
costituisce gli oggetti particolari. Questi ultimi sorgono dall’intenzione dell’Intelletto, che progettando di
produrre un determinato risultato seleziona e assume le omeomerie adatte e quindi esercita la sua
azione organizzatrice (DK 59 B 12 e 15).
La cosmologia di Anassagora è finalistica: si tratta di un caso unico nella filosofia presocratica, anche
se destinato ad avere un larghissimo seguito nei pensatori successivi. Per tutti gli altri filosofi il principio
che metteva in movimento l’arché era qualcosa di cieco: dal vortice che traeva le cose dall’ápeiron in
Anassimandro all’Amore e all’Odio di Empedocle, tutte le fisiche erano meccanicistiche. Qui invece
troviamo un principio razionale che agisce progettando, sapendo quali fini perseguire, scegliendo i modi
e gli elementi più adatti per attuare quanto progettato; un modo di concepire la fisica che diventerà
assolutamente dominante nel mondo greco.
TESTO 1 ANASSAGORA
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A07 COS’E’ LA NATURA?
In questo frammento vengono analizzate alcune caratteristiche fondamentali delle omeomerie e in
particolare, dopo aver chiarito come esse sia connotate qualitativamente, il principio per cui c’è tutto in
tutto. Si tratta di un’esigenza logica piuttosto che empirica, che serve a garantire il rispetto del principio
di non contraddizione di Parmenide.
Dal momento che Anassagora pone come princìpi le omeomerie, infiniti per numero…, [Aristotele] ci
indica anche il motivo per cui Anassagora è giunto a tale supposizione e dimostra che lui deve dire che
non solo il miscuglio intero è infinito per grandezza, ma anche ciascuna omeomeria, in quanto ha allo
stesso modo del miscuglio intero tutti i componenti e non solo infiniti, ma infinite volte infiniti. A tale
concezione Anassagora giunse perché riteneva che niente si produce dal non ente e che ogni cosa si
nutre del simile. Vedeva infatti che tutto viene dal tutto, anche se non immediatamente ma secondo un
ordine… Perciò suppose che fossero nel cibo e che anche nell’acqua, se di questa si nutrono gli alberi, ci
fosse legno, corteccia, frutta. Quindi diceva che ogni cosa è mescolata in ogni cosa e che la nascita
avviene per separazione. […] Vedendo dunque che da ciascuna di quelle cose che adesso risultano dalla
divisione tutte le cose si separano, per esempio dal pane la carne, l’ossa e il resto, quasi che in esso pane
tutte le cose si trovino nello stesso tempo e mescolate insieme, da ciò egli supponeva che tutte le cose
fossero mescolate insieme prima della separazione.
[DK 59 A 45; trad. it. in I Presocratici, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1969, pp. 573-4]
Per la comprensione
Rispondi alle seguenti domande dopo aver letto il passo:
1. Che cos’è quello che il testo chiama “miscuglio intero”?
2. Che cosa significa che “niente si produce dal non ente”?
3. La logica di Anassagora segue Parmenide o Melisso?
2.2.3 DEMOCRITO
Per Democrito la natura è costituita da elementi minimi privi di qualità detti atomi (dal
greco a- privativo e témno, taglio) perché non si possono ulteriormente scindere in parti più piccole (DK
68 A 38). Dal momento che gli atomi sono l’essere, proprio come l’essere di Parmenide essi devono
risultare eterni, indivisibili, incorruttibili, immutabili, assolutamente semplici, ma come l’essere di
Melisso possono presentare alcune differenze. Gli atomi devono essere in possesso soltanto di
quelle caratteristiche che conferiscono loro l’essere , senza che tali caratteristiche li determinino
come un particolare corpo differenziato qualitativamente da altri: se un atomo avesse una qualità
specifica e uno un’altra, allora si reintrodurrebbe una nozione contraddittoria di molteplicità. Ecco
perché gli atomi presentano tre sole caratteristiche che li distinguono e che in seguito verranno
chiamate qualità oggettive o primarie: la forma (come nell’alfabeto A è diverso da B), la disposizione
(così come io posso rovesciare la lettere A ottenendo  o traslare E ed N ottenendo rispettivamente  e
Z) e l’ordine (per cui nei composti potrò avere ABC oppure BCA e via dicendo).
Ma se gli atomi hanno solo questa caratteristiche, come mai noi percepiamo i composti come dotati di
molte altre qualità, fra cui il colore, il sapore o l’odore? Questi ultimi tratti, che saranno detti qualità
soggettive o secondarie, sono in realtà il risultato dell’azione degli atomi sul nostro sistema
percettivo e dunque non esistono propriamente negli oggetti, ma nel soggetto che li
percepisce (DK 68 A 129 e 139). Determinati composti atomici produrranno sui sensi dell’uomo degli
effetti gradevoli, e noi percepiremo un suono gradevole, un buon sapore come il dolce e via dicendo;
altri invece produrranno effetti sgradevoli, e noi sentiremo suoni disarmonici, gusti cattivi ecc.
La formazione dei mondi ha luogo per la casuale aggregazione o disgregazione degli atomi
nello spazio vuoto (DK 70 A 64), la cui esistenza viene ammessa come condizione per il loro moto. Gli
atomi cadono nel vuoto a velocità infinita, ma non possono farlo semplicemente in linea retta, o non si
incontrerebbero mai: di conseguenza Democrito ipotizza che nel vuoto abbia luogo un vortice che
imprime agli atomi una confusa rotazione, a seguito della quale hanno luogo incontri e scontri. Alcuni
atomi restano impigliati fra loro e l’aggregato continua a “catturare” altri atomi in caduta, finché i
composti diventano grandi abbastanza da costituire i pianeti; poi lo scontro con altri aggregati ne
determina la rottura, e il ciclo continua all’infinito (DK 68 A 40). ( Testo 2).
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TESTO 2 DEMOCRITO
In questo frammento si descrivono le caratteristiche principali degli atomi, in particolare che essi non
possiedono alcuna “qualità” percepibile dai sensi e che il loro comportamento dipende soltanto dagli urti
reciproci e non da forze esterne, non meccaniche e tanto meno razionali.
…dice Democrito, ritenendo che tutte quante le qualità sensibili, ch’egli suppone relative a noi che ne
abbiamo sensazione, derivino dalla varia aggregazione degli atomi, ma che per natura non esistano
affatto bianco, nero, giallo, rosso, dolce, amaro: infatti l’espressione “per convenzione” equivale, per
esempio, a “secondo l’opinione comune” e a “relativamente a noi”, cioè non secondo la natura stessa
delle cose, la quale egli indica con l’espressione “secondo verità”. … il vuoto è uno spazio nel quale tali
corpuscoli si muovono tutti quanti in alto e in basso eternamente o intrecciandosi in vario modo tra loro
o urtandosi e rimbalzando, sicché vanno disgregandosi e aggregandosi a vicenda tra loro in composti
siffatti; e in tal modo producono tutte le altre maggiori aggregazioni e i nostri corpi e le loro affezioni e
sensazioni. Suppongono, poi, che i corpi primi siano inalterabili […], anzi che neppure possano subire per
qualche forza esterna quelle modificazioni a cui tutti gli uomini … li credono soggetti.
[DK 68 A 49; trad. it. in I Presocratici, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1969, pp. 688-9].
Per la comprensione
Rispondi alle seguenti domande dopo aver letto il passo:
1. Qual è la differenza fra ciò che è per “natura” e ciò che è “per convenzione”?
2. Descrivi il moto a cui sono soggetti gli atomi.
3. In che senso i corpi primi (gli atomi) non si possono alterare o modificare?
2.2.4 STRUMENTI FILOSOFICI: MECCANICISMO E FINALISMO
Quello democriteo e la sua più tarda ripresa da parte di Epicuro sono le uniche espressioni antiche di
determinismo. Si tratta però di una forma assai diversa rispetto a quella che si affermerà con la
rivoluzione scientifica del Cinque-Seicento (la cosmologia copernicana, la dinamica di Galilei), perché
adesso l’idea di fondo è che il mondo funzioni in modo totalmente casuale . Ciò significa che tutte
le cose hanno cause naturali, ma che tali cause non sono poste in vista di un fine o secondo un progetto
intelligente. Questo meccanicismo è inoltre materialistico, perché ritiene che tutto sia composto di
atomi, mentre esclude l’esistenza degli dei. Il meccanicismo antico non deriva il suo nome dall’analogia
con la macchina, perché le parti delle macchine sono assemblate razionalmente, in vista il fine specifico
a cui servono, mentre Democrito non ammette nessuna azione oltre al contatto casuale fra gli atomi. Il
suo cosmo è un ammasso confuso e irrazionale di materia, dove l’uomo non ha alcun posto particolare e
nulla ha un senso o una meta.
Invece il finalismo, sebbene tra i filosofi presocratici sia presente solo in Anassagora, conoscerà una
fortuna enorme nella successiva riflessione filosofica greca, perché sarà ripreso con importanti
modificazioni e ampliamenti da Platone, da Aristotele e dagli Stoici, e in particolare in Aristotele – come
vedremo – diventerà l’impostazione globale ed esclusiva della fisica. In tal modo si offrirà anche alla
ricerca filosofica successiva un modo di pensare lo studio della natura come ricerca di fini che
svilupperà un’ottica del tutto diversa da quella che riscontreremo nell’elaborazione dell’astronomia e
della fisica di età moderna e tenderà a scavare una separazione fra la ricerca scientifica in senso stretto
e la riflessione filosofica sulla natura molto evidente già in età ellenistica.
3. PLATONE: LA NATURA COME ORGANIZZAZIONE RAZIONALE
3.1. PREMESSE TEORICHE
Per Platone (427-347 a.C.) il mondo fisico non è che l’imitazione, realizzata in forma
materiale, delle idee, e come ogni imitazione non è mai perfettamente simile all’originale e presenta
invece un’ampia serie di incompiutezze e di difetti. L’ontologia di Platone (come emerge dalla
Repubblica) si dispone così secondo una gerarchia di entità al cui vertice sta l’idea del bene, quindi le
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idee-modelli delle cose, le idee matematiche, e infine le cose materiali; ne consegue la svalutazione
delle realtà naturali e del loro studio, che non si occupa degli oggetti davvero stabili e in possesso di un
valore pieno (che poi sono le idee), ma solo di oggetti in possesso di una minore dignità ontologica.
Questo spiega perché l’interesse naturalistico sia così scarso in Platone: il tema difatti è assente negli
scritti giovanili e viene preso in considerazione solo in quelli della maturità, quando la riflessione
platonica affronta tutti i temi dell’ontologia e non può pertanto sottrarsi allo studio del mondo naturale.
Nei dialoghi centrali, come la Repubblica, il cosmo appare la manifestazione sensibile del
principio buono che ha fatto ogni cosa intelligentemente e al meglio , ma lo studio della realtà
naturale in sé non trova mai spazi propri e discipline come la cosmologia e la fisica non vengono affatto
riconosciute nella loro autonomia. Se nei dialoghi successivi, a partire dal Fedro e dal Teeteto, Platone
tende a ridurre il distacco fra idee e cose, la natura è considerata solo all’interno di un globale discorso
sull’ontologia e dovremo aspettare il Timeo per leggere la genuina cosmologia platonica.
3.2. LA SOLUZIONE PL ATONICA
Il Timeo, uno degli ultimi dialoghi di Platone, inizia (27de) proponendo la distinzione fra l’essere che
sempre è e mai diviene (le idee) e il non-essere che mai è e sempre diviene (le cose): non si tratta di una
valutazione ontologica assoluta, ma relativa ai valori. In altre parole Platone non vuol dire che esiste
soltanto l’essere, consistente nelle idee, e tanto meno relegare la natura nel campo del non essere,
come aveva fatto Parmenide. Vuole invece dire che l’essere è distinto in due ambiti: quello stabile che
possiede un valore elevatissimo (le idee) e quello diveniente che vale molto meno, ma che esiste
ugualmente (la natura).
Quindi Platone passa ad analizzare la dimensione naturale e propone una cosmologia sotto forma
di narrazione mitologica che egli stesso definisce solo verosimile perché non c’è nessun modo per
verificare se le cose siano andate esattamente come egli racconta, perché per esse non si può addurre
alcuna prova, dal momento che non c’è nessun testimone che abbia assistito a quei fatti primordiali
(29cd). Platone dà per scontato che la realtà empirica esista (dunque aderisce all’eleatismo solo
per ribadire il maggior valore delle idee e per farne le uniche realtà davvero stabili e immutabili) e
anche che esista una ampia ed eterogenea molteplicità di materie (assumendo per vera la
lezione dei pluralisti). La natura risulta essere così una realtà ordinata, composta da materia e
forma. Le materie essenziali sono il fuoco, che serve a rendere visibile la natura, e la terra, che serve
perché essa sia tangibile. Ma come in ogni proporzione aritmetica i termini sono quattro, per creare la
giusta proporzione fra queste due materie ne serviranno altre due: l’acqua e l’aria (31b-32c). Le materie
e le entità particolari che ne derivano sono il risultato della combinazione di questi elementi, e Platone si
diffonde a descriverne tutte le caratteristiche fisiche. La materia disponibile è interamente impiegata
nella formazione del cosmo, che risulta così unico e pienamente autosufficiente (32c-33b).
Gli elementi sono di per sé già dei corpi e possiedono dunque una loro specifica forma: ma poiché ogni
forma si può scomporre in triangoli e i triangoli più perfetti sono quelli equilateri, le materie più perfette
saranno quelle i cui elementi di base possono a loro volta scomporsi in triangoli equilateri. Secondo una
transizione dalla geometria piana a quella solida che si riscontra già nei Pitagorici, i solidi così nati sono i
princìpi dei corpi fisici (53c-54d). Al di là della complessa strutturazione delle materie e al tentativo
platonico di dedurne le varie caratteristiche dalla loro conformazione geometrica, quello che importa
maggiormente è il tentativo di considerare le realtà fisiche mediante espressioni
matematiche: per Platone come già per i Pitagorici la ricerca naturale ha come obiettivo
riprodurre la natura come sistema di relazioni matematiche astratte , rintracciando al di sotto
dell’accadere apparentemente disordinato dei fatti (attestato dai sensi) la regolarità della legge (rivelata
per contro dall’intelletto).
La combinazione delle materie, palesemente ordinata e razionale, dipende da un’intelligenza
superiore che le ha organizzate in vista di un fine : per l’appunto creare un cosmo armonico.
Questa intelligenza è una figura divina, il Demiurgo (termine che in greco significa “artigiano”). Il
Demiurgo contempla le idee e ne ama la perfezione, per cui vuole riprodurla, diffonderla; e allora
prende la materia originaria detta Ricettacolo Universale, che in sé è priva di forma e di razionalità
(tanto da essere in sé impensabile), e la modella secondo le idee ( Testo 3). Il cosmo è vivo perché le
realtà dotate di anima e di vita sono più belle di quelle che ne sono prive, e in questo senso Platone lo
chiama Animale. Esso inoltre è bello perché è l’attuazione concreta della bellezza e della bontà delle
idee: nel mondo greco era diffusa l’idea di questa connessione fra bellezza e bontà, per la quale i greci
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avevano addirittura coniato un termine apposito, kalokagathía, composto da kalós (= bello) kaí (= e)
agathós (= buono). Si ha insomma una ripresa del modello teleologico di Anassagora, ma con una
importante differenza almeno sul piano teorico: Platone vuole che tutto il disegno del c osmo sia
retto da intenti finalistici, tanto che imputa al finalismo di Anassagora di essere solo parziale. Nella
filosofia del presocratico gli eventi particolari non discenderebbero dall’assunzione di un autentico e
globale intento finalistico, quanto piuttosto da cause meccaniche; Anassagora infatti attribuiva l’intera
organizzazione del cosmo all’Intelletto, ma poi nella spiegazione dei fenomeni particolari non si rifaceva
al generico progetto razionale dell’Intelletto, ma al vecchio sistema dei vortici diffuso nei meccanicisti.
In realtà anche la cosmologia di Platone, a differenza di quanto accadrà poco dopo in Aristotele, non è
esclusivamente finalistica, ma conserva un ampio spazio al meccanicismo. Quando infatti nel Timeo si
deve dare ragione di processi specifici, come le interazioni fra corpi, i vari processi di separazione e
unione ecc. e anche delle qualità dei corpi, tutto viene spiegato semplicemente in base a urti fra le
particelle componenti. E tuttavia in Platone si ha la subordinazione delle cause meccan iche a
quelle finali: il meccanicismo, in ultima analisi, risulta essere una serie di strumenti con cui opera
l’intelligenza del Demiurgo ed è bel lungi dall’apparire sinonimo di caso, come invece abbiamo
constatato in Democrito.
TESTO 3 PLATONE
In questo passo Timeo spiega le ragioni per cui l’artefice divino, cioè il Demiurgo, fu indotto a generare il
cosmo, ossia a produrre l’organizzazione razionale della materia.
TIMEO Diciamo dunque per qual cagione l’artefice fece la generazione e quest’universo. Egli era buono, e
in uno buono nessuna invidia nasce mai per nessuna cosa. Immune dunque da questa, volle che tutte le
cose divenissero simili a lui quanto potevano. … prese dunque quanto c’era di visibile che non stava
quieto, ma si agitava sregolatamente e disordinatamente, e lo ridusse dal disordine all’ordine,
giudicando questo del tutto migliore di quello. Ora né fu mai, né è lecito all’ottimo di far altro se non la
cosa più bella. Ragionando dunque trovò che delle cose naturalmente visibili, se si considerano nella
loro interezza, nessuna, priva d’intelligenza, sarebbe stata mai più bella di un’altra, che abbia
intelligenza, e ch’era impossibile che alcuna cosa avesse intelligenza senz’anima. … Così dunque secondo
ragione verosimile si deve dire che questo mondo è veramente un animale animato e intelligente
generato dalla provvidenza di dio. … E dio volendolo rassomigliare al più bello e al più compiutamente
perfetto degli animali intelligibili, compose un solo animale visibile, che dentro di sé raccoglie tutti gli
animali che gli sono naturalmente affini. Ma abbiamo detto noi rettamente che uno è il cielo oppure era
più retto dire che sono molti e infiniti? Affinché dunque questo mondo, per esser solo, fosse simile
all’animale perfetto, per questo il fattore non fece né due né infiniti mondi, ma v’è questo solo unigenito
e generato cielo, e ancora vi sarà.
(Timeo, 29d-31b; trad. it. in Platone, Opere, Laterza, Roma-Bari 1974, vol. 2°, pp. 479-481)
Per la comprensione
Rispondi alle seguenti domande:
1. Il Demiurgo dà forma al cosmo per necessità o liberamente?
2. Perché il mondo è animato e intelligente?
3. Perché il cosmo è uno solo?
3.3. STRUMENTI FILOSOFICI PRESENTI NELLA SOLUZIONE PLATONICA
Quando Platone inizia a darsi alla ricerca filosofica sembrava che un po’ tutte le soluzioni possibili per
una fisica filosofica siano state toccate (monismo e pluralismo, finalismo e teleologia, ammissione e
rifiuto dell’esistenza del movimento e della natura stessa), e Socrate e i Sofisti avevano spostato il fuoco
del dibattito filosofico su altre tematiche, antropologiche etiche e politiche. Ma ciò non spiegherebbe da
solo il persistente disinteresse di Platone per lo studio della natura. In realtà esso viene considerato una
materia secondaria, che per importanza viene dopo l’indagine sulle idee, sull’anima, sull’ontologia, sulla
politica. Ciò porta alla scarsa importanza attribuita dal filosofo innanzitutto ai sensi – reputati
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il semplice stimolo per avviare la reminiscenza – e quindi, più in generale, a tutto il mondo
sensibile, appunto copia delle idee. Insomma l’empirismo per Platone non è che uno strumento della
ragione, non invece una fonte autonoma di conoscenza, e dev’essere abbandonato non appena si possa
iniziare a usare il ragionamento.
Abbiamo visto come nel Timeo la fisica non possieda alcuna scientificità e resti soltanto verosimile. Che
dunque tale narrazione non sia passibile di verifica, di un’adeguata conferma empirica è cosa che
preoccupa assai poco il filosofo: ma, allo stesso modo, a suo avviso non avrebbe alcun senso contestare
la liceità delle dimostrazioni aritmetiche obiettando che nel mondo non riusciamo a ottenere figure
perfette come quelle, ideali, su cui lavora la geometria. Insomma nella fisica di Platone abbiamo due
aspetti contrapposti: da un lato la sottovalutazione dei componenti empirici della c onoscenza,
dall’altro la sopravvalutazione di quelli esclusivamente r azionali.
4. ARISTOTELE: LA NA TURA COME PRINCIPIO DI VITA E MOVIMENTO
4.1. PREMESSE TEORICHE
Già nel giovanile trattato Sulle idee Aristotele aveva chiarito alcune delle posizioni che lo manterranno
sempre lontano da parecchi atteggiamenti di fondo del platonismo: i difetti strutturali che vengono
imputati alla teoria delle idee sfociano in una teoria della conoscenza di taglio nettamente empiristico,
dove l’avvio della conoscenza risiede nella sensazione e dove le idee non sono che l’esito dell’opera di
astrazione dell’intelletto; ad esse non spetta più alcuna esistenza separata e superiore rispetto alla
realtà concreta dell’esperienza.
Questo nuovo, forte senso dell’esperienza si traduce nell’ottica del tutto nuova con cui Aristotele
affronta non solo le problematiche fisiche e cosmologiche, ma anche quelle biologiche e politiche (per
esempio lo studio delle costituzioni della Grecia), dove il momento iniziale dell’accertamento dei fatti ha
uno spessore essenziale e fornisce il materiale senza cui è impossibile che l’intelletto lavori. In generale,
la tesi di Aristotele è che ogni ricerca muove dall’esperienza e quindi si realizza nel l avoro di
organizzazione e interpretazione da parte dell’intelletto . Non serve fornire alcuna giustificazione
dell’evidenza empirica perché essa si attesta da sola, in quanto non c’è nulla di più chiaro e indubitabile
dell’evidenza: i dubbi radicali di Parmenide sull’affidabilità dei sensi vengono dunque subito scartati. In
secondo luogo per Aristotele, in netta contrapposizione a Platone, quella sensibile è una forma di
conoscenza autonoma e di cui non si può fare a meno e le idee sono una conseguenza delle sensazioni,
ottenute mediante il procedimento astrattivo.
4.2. LA SOLUZIONE AR ISTOTELICA
4.2.1 LA NATURA COME DOMINIO DEL MOVIMENTO
Per Aristotele la natura è il dominio del movimento e gli oggetti naturali sono definiti precisamente
quelli che hanno in sé il principio del movimento. Quest’ultimo non dipende però tanto dalla materia di
cui sono composte le cose, quanto piuttosto dalla loro forma; e infatti per capire la struttura e il
comportamento dei corpi naturali non si può guardare semplicemente alla materia di cui sono fatti,
com’è invece possibile per gli oggetti artificiali. La fisica, a sua volta, è una scienza teoretica che
si occupa degli oggetti generabili e corruttibili (mentre la metafisica di quelli ingenerati e
incorruttibili) e in movimento (mentre la matematica di quelli immobili) ( Testo 4).
Dal momento che gli oggetti fisici sono sempre in movimento e non sono necessari, la disciplina che li
studia non può pervenire al rigore della matematica; i suoi risultati non godranno di universalità e
necessità, ma saranno validi soltanto “per la maggior parte dei casi”. Ciò non toglie che la fisica possieda
per Aristotele i contrassegni generali che lui attribuisce alle scienze in senso pieno, ancora una volta
contro la posizione di Platone, che l’aveva relegata al rango di una narrazione solo verosimile.
Sappiamo dalla metafisica che i corpi naturali sono sinoli, e cioè individui composti di materia e forma.
Da quale di queste due dipende il movimento? Aristotele riporta la considerazione del sofista Antifonte
secondo cui se noi seppellissimo un letto di legno e questo, anziché putrefarsi, germinasse,
germinerebbe legno e non un letto, provando che è la materia a determinare il comportamento di un
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corpo, Eppure, obietta Aristotele, l’uomo non genera carne e basta (e cioè materia), ma l’uomo (e cioè
forma); infatti la materia è tale solo quando è in atto, cioè quando possiede una forma. Questo prova
che è allora la forma a determinare il comportamento? Nemmeno, perché in linea con la tesi che la
sostanza è sinolo egli ritiene che la spiegazione delle dinamiche naturali debba trovare risp osta
nella considerazione parallela sia della m ateria sia della forma degli oggetti naturali.
TESTO 4 ARISTOTELE
Il passo, tratto dalla Fisica, definisce che cos’è la natura e ne chiarisce le condizioni, anche in relazione
alla teoria della potenza e dell’atto. Infine esplicita il carattere sempre finalistico di tutti i movimenti.
Poiché la natura è principio del movimento e del cangiamento e noi stiamo studiando metodicamente la
natura, non ci deve rimaner nascosto che cosa sia il movimento. È inevitabile, infatti, che, se questo si
ignora, si ignori anche la natura. […].
Non vi è, però, un movimento al di fuori delle cose; infatti, perché vi sia cangiamento, è indispensabile la
cosa che cangia o per sostanza o per quantità o per qualità o per luogo, né, come noi abbiamo detto, si
può trovare alcunché di comune alle cose soggette al cangiamento, senza che esso sia né essenza
determinata né quantità né qualità né alcuna delle altre categorie […].
Poiché, a proposito di ciascun genere, ciò che è in atto è stato distinto da ciò che è in potenza, l’atto di
ciò che è in potenza, in quanto tale, è il movimento…
Una delle ragioni per cui il movimento sembra indeterminato sta nel fatto che esso non si può porre in
senso assoluto né nella potenza degli enti né nel loro atto. Difatti, né la quantità in potenza né la
quantità in atto si muovono necessariamente; e il movimento sembra esser, sì, un certo atto, ma
imperfetto. E la causa sta nel fatto che imperfetto è il possibile di cui il movimento è, appunto, l’atto. […]
Perciò il movimento è l’entelechia del mobile in quanto mobile, e ciò accade per contatto del motore,
sicché nello stesso tempo quest’ultimo patisce anche. E il motore apporterà sempre qualche forma, cioè
o l’essenza determinata o la qualità o la quantità; e questa forma, quando muoverà, sarà il principio e la
causa del movimento…
[Fisica, III, 1 e 2; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 3°, Laterza, Bari 1973, pp. 51-52 e 54-55]
Per la comprensione
Rispondi alle seguenti domande:
Che cos’è per Aristotele la natura?
Quali sono gli enti che appartengono al dominio naturale?
Quali sono i tipi di movimento?
In che senso il movimento sembra indeterminato?
Il movimento ha luogo per necessità naturale o in vista di un fine?
4.2.2 TIPI E CAUSE DEL MOVIMENTO
Secondo la definizione aristotelica, inteso nel senso più generale il movimento è passaggio dalla
potenza all’atto. Ogni corpo può infatti subire un movimento, ma esso resta solo una possibilità finché
non ci sia un altro corpo che lo attua concretamente; a sua volta il corpo che funge da motore e che
prima era motore solo in potenza lo è diventato concretamente perché un altro precedente motore lo
ha mosso. Ora, sono da escludere sia l’ipotesi che un corpo muova se stesso sia l’ipotesi di un regresso
che proceda all’infinito, o sarebbe impossibile spiegare l’insorgenza effettiva del movimento. Deve
allora esistere un primo motore che per muovere non ha bisogno di essere mosso da
nessun altro, che Aristotele chiama Motore Immobile e che è Dio. Quest’ultimo svolge dunque una
funzione esclusivamente cosmologica.
Nel cosmo il movimento parte dalla sfera più esterna, quella delle stelle fisse, che lo comunica con un
sistema di altre sfere a quelle dei vari pianeti sino alla più interna, la sfera della luna. La zona degli astri –
che va dalla luna alla sfera delle stelle fisse – è costituita da una materia particolare, diversa da quelle
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che formano la terra (e che sono aria, acqua, terra e fuoco): l’etere, una materia perfetta e inalterabile
che si muove di un moto circolare, regolare e dotato di una perfezione che ne consente il trattamento
matematico. Perché non si riproponga un assurdo regresso all’infinito, è necessario porre un motore che
muova senza essere mosso da altro, in cui il movimento non sia mai stato potenziale ma da sempre
attuale. Questo primo motore non può tuttavia muovere il cosmo secondo una modalità fisica, come
fanno tutti gli altri motori, perché il movimento fisico implica comunque un passaggio dalla potenza
all’atto che viene escluso per il primo motore, del tutto privo di potenzialità. Di conseguenza esso
muove solo in quanto suscita il movimento del cosmo che tende a esso, che ruota per avvicinarglisi:
muove dunque come oggetto di desiderio e non desidera nulla, viene amato e non ama. Questa divinità
è per diversi aspetti simile al Demiurgo di Platone: entrambi svolgono un ruolo fisico in quanto cause
dell’ordine del cosmo, entrambi incarnano la perfezione e sono in grado di conferire bontà e bellezza al
loro operato.
I tipi di movimento per Aristotele sono quattro: a) locale, b)
qualitativo, c) quantitativo, d) sostanziale. Il primo è la traslazione,
cioè lo spostamento di un corpo da un luogo all’altro; il secondo è
l’alterazione, ovvero la modificazione di una qualche caratteristica
del corpo (colore, sapore ecc.); il terzo è l’accrescimento o la
diminuzione (dimensioni, volume ecc.); l’ultimo è la generazione e la
corruzione (la nascita e la morte).
A loro volta, le cause del movimento sono quattro: a) materiale, b)
formale, c) efficiente, d) finale. La prima è la materia di cui un
oggetto è composto (per esempio per una statua di marmo come Il
Discobolo di Mirone), la seconda è la forma che assume (la statua
rappresenta un lanciatore di disco), la terza è ciò che ha conferito alla
materia la forma (nel nostro caso, lo scultore e cioè Mirone), l’ultima
lo scopo che ha spinto la causa efficiente a dare quella determinata
forma alla materia (l’intenzione dello scultore nel mostrare
l’equilibrio fisico e interiore del gesto sportivo). È necessario
specificare tutte e quattro queste cause se si vuole comprendere
pienamente una cosa, anche se in molti casi almeno due coincidono;
per esempio nel caso di una pianta, la causa formale e quella finale
coincidono perché lo scopo del seme è generare la pianta e la forma,
cioè la condizione matura e definitiva del seme, è appunto l’essere
pianta.
Le ragioni del movimento ci mostrano il carattere finalistico
della fisica di Aristotele: ogni corpo si muove infatti per
raggiungere un fine, sia pure con una importante distinzione fra
corpi inanimati e animati.
1) I corpi inanimati tendono a raggiungere il loro luogo
naturale: secondo la fisica aristotelica esistono dei luoghi nel cosmo
in cui si raccolgono le materie fondamentali dette corpi semplici, e
cioè aria acqua terra e fuoco. Gli oggetti fatti di fuoco tendono al
luogo naturale del fuoco, che sta in alto, quelli di terra il luogo
naturale della terra, che sta in basso e via dicendo: è per questo che
le cose leggere come le fiamme tendono sempre verso l’alto e gli
oggetti pesanti come i sassi (fatti prevalentemente di terra) cadono
verso il basso; a meno che qualcosa, con violenza, non ne impedisca
il movimento.
2) I corpi animati invece tendono a raggiungere la loro d estinazione naturale chiamata
entelechia (dal greco en télei échein = essere nello scopo), e cioè a raggiungere la condizione definitiva
del loro sviluppo. Il seme tende a diventare pianta, l’uovo gallina, il bambino uomo, a meno che, ancora
una volta, non intervenga un moto violento che blocca lo sviluppo naturale.
Nella natura nulla pertanto è dovuto al caso o alla cieca necessità naturale. Ciò è mostrato in primo
luogo dalla grande regolarità che la caratterizza e che indica la presenza di una intrinseca organizzazione
razionale, e secondariamente dall’evidente comportamento finalistico degli esseri naturali e soprattutto
dagli animali, che agiscono sempre per raggiungere un determinato obiettivo.
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4.3. STRUMENTI FILOSOFICI E LIMITI DELLA SOLUZIONE ARISTOTELICA
Considerare le entità naturali in termini di sostanze e interpretarne la dinamica alla luce di un generale
finalismo mostrano il carattere qualitativo e non quantitativo della fisica di Aristotele; in questo modello
fisico c’è infatti una totale assenza della matematica, a differenza del grande ricorso a essa che troviamo
in Platone. In contrasto coi moderni come Copernico e Galilei, Aristotele sembra ritenere che “tradurre”
in termini matematici l'esperienza ne faccia perdere degli aspetti essenziali.
La matematica dei tempi di Aristotele non era sviluppata in forma utile da favorirne l’applicazione alla
fisica, e se ne concepiva piuttosto l’uso a vantaggio dell’astronomia; inoltre la visione aristotelica della
natura come movimento e i risultati specifici della sua dinamica sono strettamente connessi, e la fisica
appare subordinata alla filosofia. Se la strettissima integrazione di fisica e filosofia fu una delle ragioni
principali dell’attecchimento della fisica di Aristotele e della sua influenza in contrapposizione ai modelli
meccanicistici (quelli di Democrito ed Epicuro), il vitalismo che la pervade tutta, e cioè l’idea per cui il
cosmo è animato e la natura contiene in sé il principio del proprio movimento, non poteva accettare la
matematizzazione della natura e costituirà un elemento di freno alla ricerca scientifica in questa
direzione.
5. LO STOICISMO: LA NATURA COME ORDINE E NECESSITÀ
5.1. PREMESSE TEORICHE
Lo Stoicismo è una corrente ampia e differenziata, la cui prima fase, detta Antica Stoa, fu fondata verso
il 300 a.C. da Zenone di Cizio (335/3-263 a.C.) e annovera fra i suoi esponenti anche Cleante (304/303223-222 a.C.) e Crisippo (281/278-208/205 a.C.). Come tutte le filosofie sorte in epoca ellenistica, anche
questa ha per suo tema centrale il problema etico e di conseguenza il suo interesse nei confronti
delle problematiche naturalistiche risulta secondario . In secondo luogo, seguendo la generale
teoria per cui tutto quanto esiste è materia (anche se poi gli Stoici non riescono a liberarsi
completamente dalle entità immateriali), lo Stoicismo è una filosofia spiccatamente materialistica, ma
con differenze profondissime rispetto all’antico atomismo e alla sua ripresa da parte di Epicuro.
5.2. LA SOLUZIONE STOICA
Secondo gli Stoici i princìpi della natura sono due, uno attivo detto Anima del mondo o Lógos
e uno passivo detto Materia. Il primo, che ha una valenza sia religiosa (la “Provvidenza”) sia
cosmologica (il “Destino”), è la causa efficiente immanente e insieme la legge della natura; esso viene
identificato col fuoco, e il fatto che venga chiamato pýr technikón (ovvero qualcosa come “fuoco capace
di procedere con arte”) ci mostra che è intrinsecamente razionale. L’adozione del fuoco come
principio ha un’origine eraclitea, ma ora esso viene interpretato come un’entità razionale piuttosto che
fisica: esso non è il fuoco di cui l’uomo si serve, quanto piuttosto un “soffio caldo” che conserva e
sorregge tutto vivificandolo; esso viene chiamato anche “ragione seminale” del mondo perché è grazie
ad esso che ogni cosa si genera.
Il secondo principio, in base una concezione della materia già riscontrata in Platone (il Ricettacolo
Universale del Timeo) come in Aristotele (la sua “materia prima”), è la mera disponibilità ad
assumere qualsiasi forma e appare priva di connotati qualitativi propri . I due princìpi
ricordano il dualismo aristotelico di forma e materia, ma a differenza di quest’ultima coppia possono
essere distinti per sé e non solo in base a un’operazione astrattiva dell’intelletto, tanto più che sono
entrambi materiali: il Lógos è semplicemente costituito da un materia più sottile rispetto alla Materia
Prima.
Quando il principio attivo permea il secondo, la materia assume le fondamentali caratteristiche
qualitative, e cioè caldo, freddo, umido o secco, trasformandosi in una delle materie prime, terra, aria,
acqua e fuoco; da queste ultime a loro volta nascono tutti gli altri elementi. Viene dunque rifiutata la
quinta materia di Aristotele, l’etere, perché il cosmo è per gli Stoici omogeneo e non presenta la tipica
distinzione aristotelica fra mondo lunare e mondo sublunare. L’universo è nato da un indebolimento
della “tonicità” del fuoco primordiale, che con un processo simile alla rarefazione di Anassimene si è
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trasformato prima in aria e poi in acqua; da un lato sorse allora la terra che si collocò al centro
dell’universo e dall’altro le sfere celesti, dove una nuova condensazione produsse i pianeti.
Questo ci mostra che la concezione dell’universo fisico degli Stoici è “continuista ”, cioè
antiatomistica: gli elementi sono infatti le qualità della sostanza fisica, non “oggetti” chiaramente
distinti come gli atomi di Epicuro, e trapassano continuamente gli uni negli altri, scindendosi e poi di
nuovo fondendosi. Questo processo è ciclico (e assomiglia alla dinamica del cosmo ipotizzata da
Empedocle, dove si alternano fasi di prevalenza dell’Odio e dell’Amore), perché dopo la formazione del
cosmo e dopo una fase intera di vita del cosmo (sulla cui durata gli stessi stoici hanno opinioni
divergenti, valutandola da 2484 a 3600000 anni) avrà luogo la riappropriazione da parte del fuoco di
tutto il cosmo mediante un “incendio universale”, e quindi il processo ricomincerà come già da sempre è
successo, secondo Zenone in modo esattamente uguale per infinite volte.
Sebbene siano state prodotte innumerevoli opinioni sulle modalità di questo processo, come pure su
quello della nuova formazione del cosmo, l’idea di fondo che accomuna tutti gli stoici è che i fenomeni
naturali sono intrinsecamente razionali e retti da precise leggi. La fisica stoica, benché
materialistica come quella epicurea, è nettamente avversa al meccanicismo e si regge sulla
convinzione che il Lógos prefiguri e disponga tutti gli eventi senza lasciare nulla al caso, e che la
Provvidenza sappia in anticipo del loro accadere e li faccia accadere al momento opportuno ( Testo 5).
Tutto ciò non è affatto privo di rilevanti conseguenze etiche, che vanno dalla possibilità di conoscere il
futuro (con la conseguente pratica dell’astrologia) all’ammissione del determinismo universale. Se infatti
tutto accadrà in modo analogo al passato, se esisteranno persone del tutto uguali a noi che faranno cose
del tutto uguali a quelle che abbiamo fatto noi, esse non saranno libere di scegliere ma potranno solo
ripetere il già accaduto e per conseguenza non vi sarà libertà; per evitare questa conseguenza, implicita
nella teoria di Zenone, Crisippo indebolì la sua teoria dicendo che le cose si sarebbero ripetute in
maniera simile ma non esattamente uguale.
TESTO 5 LO STOICISMO
Il passo, benché testimonianza tarda e indiretta, spiega il carattere intelligente della natura, lo giustifica
con la virtù del principio che è il fuoco (cioè il Lógos) e infine spiega il carattere finalistico del suo
funzionamento.
Dunque Zenone definisce la natura così: dice che essa è un fuoco dotato di capacità di produrre
artigianalmente, che procede alla produzione con metodo. È proprio dell’arte, egli ritiene, il generare e
produrre; e ciò che la mano compie nelle opere delle nostre arti, con arte molto maggiore sa compierlo
la natura… Secondo questa argomentazione, tutta quanta la natura è dotata di tale capacità, perché ha
in sé un metodo e una via tracciata da seguire. E non solo essa è dotata di capacità artigianale, ma è
direttamente artefice dell’universo stesso, che contiene e abbraccia tutte quante le cose; e ciò ancora
secondo la definizione di Zenone, che la dichiara dotata di consiglio e preveggente procuratrice di ogni
tipo di utilità e opportunità. … Tale dunque essendo la mente del mondo, e potendosi per questa
ragione chiamare prudenza o provvidenza (il che in greco si dice prónoia), a questo soprattutto
provvede e attende, che in primo luogo che il mondo sia costituito nel modo più adatto a conservare la
sua esistenza, in secondo luogo che non presenti alcun difetto, poi infine che in esso sia bellezza
straordinaria e ogni ornamento.
(Cicerone, La natura degli dei, II, 22, 57-58; trad. it. in Gli Stoici. Opere e testimonianze, a cura di M.
Isnardi Parente, Tea, Milano 1994, pp. 175-176)
Per la comprensione
Rispondi alle seguenti domande:
Che differenza c’è tra il fuoco degli Stoici e quello di Eraclito?
In che senso il fuoco possiede “capacità artigianale”?
Il Lógos stoico è una forza meccanica o finalistica?
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5.3. STRUMENTI FILOSOFICI E LIMITI DELLA SOLUZIONE STOICA
Come innumerevoli filosofi greci, a cominciare da Platone e Aristotele, ritenevano che i corpi celesti
fossero esseri divini – o almeno corpi naturali retti però da intelligenze divine – e che guidassero in varia
misura gli eventi del nostro mondo, così gli Stoici ritengono il cosmo una organizzazione immutabile,
razionale, perfetta e necessaria, che in ultima analisi si identifica con Dio stesso: cosicché la dottrina
stoica altro non è che una forma di rigoroso panteismo. D’altro canto il “continuismo” di questa
visione si deve più a ragioni etiche che fisiche: solo istituendo un’integrazione completa di tutto il cosmo
si poteva ritrovare il senso del mondo, istituire un nesso forte fra l’individuo e la totalità cosmica,
eliminare il discrimine (tipico in Aristotele) fra sapere ed etica e le stesse disuguaglianze sociali: se tutti
siamo risultato del fuoco divino, appaiono infondate le differenze fra liberi e schiavi, fra ricchi e poveri.
Allo stesso tempo tuttavia la distanza che separa questa cosmologia dall’astronomia matematica della
stessa epoca è del tutto evidente per l’esplicita declinazione religiosa che lo Stoicismo intende prendere:
così Cleante volle attribuire una valenza religiosa alla fisica di Zenone ed è sempre per ragioni religiose
oltre che fisiche (soprattutto la non ammissione della possibilità di scomporre i moti evidenti in moti
semplici) che egli stesso si oppose con durezza all’ipotesi eliocentrica di Aristarco di Samo. Proprio
questa dimensione etico-religiosa rispondeva pienamente alla domanda di senso e di orientamento dei
Greci ormai sudditi dell’Impero alessandrino e bene spiega perché due opere stoiche, l’Inno a Zeus di
Cleante e i Fenomeni del poeta Arato (310 ca - 240 ca a.C.), furono tra le opere più lette dell’età
ellenistica. Ma la ricerca scientifica perseguiva ormai altre vie, adottava metodologie notevolmente
diverse e il suo divorzio dalla filosofia si era consumato con nettezza.
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LABORATORIO DIDATTICO
SEZ. A IL PROBLEMA E IL SENSO COMUNE
1) Mettere in relazione le espressioni sottoelencate con i filosofi che le sottoscriverebbero, e che sono
a) Democrito b) Anassagora, c) Platone, d) Aristotele, e) Zenone di Cizio:
1. …natura lo suo corso prende | dal divino intelletto e da sua arte; | e se tu ben la tua Fisica note | … |
che l’arte vostra quella, quanto pote | segue, come ’l maestro fa il discente; | sì che vostr’arte a Dio è
quasi nepote (Dante, Inferno).
2. L’uomo a somiglianza della terra modella se stesso, la terra modella se stessa a somiglianza del cielo, il
cielo si modella a somiglianza degli uomini (proverbio cinese).
3. Quelli che risalgono al principio di tutte le cose deducono poi da esso, considerando questo anche
causa che abita nell’universo scorrendo per tutte le cose e non solo causa motrice, ma anche causa
produttrice (Plotino, Enneadi).
4. La natura … non dà una grande idea dell’intelletto di chi è o fu autore di tale ordine (Leopardi,
Zibaldone).
5. Il senso non ci solleva verso l’infinito e non favorisce la nostra conoscenza di esso, dal momento che
ad esso non compete; ma, solo stoltamente, la molesta turba del Sofista potrà ritenere che ciò che è
espresso dai sensi sia la verità (Bruno, L’immenso e gli innumerevoli).
6. Nessuna cosa nasce e muore, ma a partire dalle cose che sono si produce un progresso di
composizione e divisione; così dunque si dovrebbe correttamente chiamare il nascere comporsi e il
morire dividersi (Empedocle).
SEZ. B RIPERCORRERE LE DIVE RSE SOLUZIONI
(Esercizi per comprendere ed utilizzare le diverse soluzioni proposte)
2) Individua le affermazioni presocratiche vere tra quelle che seguono:
1. Per Talete l’arché è composto da infinite materie.
2. Secondo i Pitagorici, la natura presenta un’organizzazione di tipo matematico.
3. Secondo Parmenide la conoscenza deve iniziare dai sensi.
4. Gli atomi secondo Democrito possiedono infinite forme, colori, sapori.
5. Nel cosmo democriteo lo spazio è interamente riempito dagli atomi.
6. Le omeomerie di Anassagora sono infinitamente divisibili.
7. L’Intelletto di Anassagora muove le omeomerie sapendo perché e come.
8. Secondo Platone la natura rivela un’organizzazione razionale e matematica.
9. Il Demiurgo di Platone usa esclusivamente il finalismo nell’organizzare il cosmo.
10. Gli oggetti naturali si dividono secondo Aristotele in mobili e immobili.
11. Per Aristotele solo gli oggetti animati sono retti da un comportamento finalistico
12. La fisica degli Stoici e contemporaneamente sia materialistica sia meccanicistica.
13. Per gli Stoici il Lógos è immateriale.
3) Elimina dal seguente passo di Platone le espressioni erronee:
Il cosmo è stato organizzato da un principio intelligente/in intelligente (1), il Demiurgo. Esso provava
amore/invidia (2) per la bellezza del cosmo e quindi ne produsse un’imitazione traendo spunto dalla
materia/dalle idee (3). Quindi, volendo che tutte le cose fossero buone/cattive (4) e dal momento che di
per sé la materia era ordinata/disordinata (5), decise di attribuire/non attribuire (6) a quest’ultima
l’intelligenza. Ne risultò un solo cosmo/una molteplicità di cosmi (7) non in possesso di animazione/in
possesso di animazione (8).
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A07 COS’E’ LA NATURA?
4) Dopo aver letto il seguente passo aristotelico, svolgi gli esercizi sotto proposti:
Per chi si attiene, invero, agli antichi l’oggetto della fisica potrebbe risultare essere la materia (in piccola
parte, infatti, Empedocle e Democrito si accostano alla forma o al concetto); d’altra parte però, se l’arte
imita la natura ed è compito della medesima scienza conoscere fino a un certo punto la forma e la
materia (come, ad esempio, è compito del medico conoscere la salute e la bile e il muco nei quali la
salute risiede, e similmente è compito del costruttore conoscere la forma della casa e la materia ossia
mattoni e legna, e lo stesso discorso vale anche per quelli che praticano le altre arti), certamente sarà
compito anche della fisica conoscere entrambe le nature.
Inoltre è compito della medesima conoscere la causa finale e il fine e quante cose sono in virtù di questi.
La natura infatti è fine e causa finale…
[Fisica, II, 194 a 19-27; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 3°, Laterza, Bari 1973, pp. 31-32]
1. Individua la distinzione presente in Democrito e in Anassagora fra la materia e il principio della sua
animazione.
2. Spiega perché secondo Aristotele un sasso lasciato andare cade.
3. Spiega perché secondo Aristotele un seme nel terreno fa nascere una nuova pianta.
6) Per quanto riguarda gli Stoici, scegli l’alternativa corretta fra le seguenti:
1. I principi secondo gli Stoici sono:
a) infiniti
b) due
c) uno solo
2. Il Lógos viene identificato:
a) con una natura infinita
b) col fuoco
c) con l’essere
3. Il principio attivo funziona:
a) finalisticamente
b) meccanicisticamente
c) in modo sia meccanico sia finalistico
4. La materia è:
a) dotata di forma
b) impossibilitata ad assumere mai alcuna forma
c) priva di forma
5. La materia primordiale si trasforma::
a) grazie a un vortice
b) mediante un processo di rarefazione
c) per via degli scontri tra le particelle materiali
6. Il divenire del cosmo è:
a) un progresso continuo
b) un regresso rispetto alla condizione originaria
c) ciclico, fatto di ripetizioni
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Sez. C
STRUMENTI FILOSOFICI
(Come utilizzare gli strumenti logici e argomentativi del filosofo)
IL «PRINCIPIO DELL’E MPIRISMO»
a) I presocratici, ad eccezione degli Eleati, sembrano confidare tutti nella validità dell’esperienza
immediata, nella rispondenza diretta fra la conoscenza e la realtà. Ad esempio Eraclito osservava, a
proposito della grandezza del sole, che “ha la larghezza di un piede umano” (DK 22 B 3), senza
preoccuparsi del fatto che le cose lontane ci appaiono più piccole; per lui insomma le cose erano
esattamente uguali alle sensazioni che ce ne derivano. Solo più tardi ci si accorse che invece le risultanze
dei sensi non devono essere ritenute vere senza che siano sottoposte a una riflessione ulteriore: il
bastone immerso nell’acqua sembra spezzato in due, ma noi sappiamo perfettamente che ciò non è
vero.
Rilevi in qualche filosofo presocratico un atteggiamento maggiormente critico verso i sensi?
b) Considera adesso il seguente breve passo di Aristotele:
“Ridicolo, poi, sarebbe cercar di dimostrare che la natura è: è evidente, infatti, che di tali enti ve ne sono
molti. E dimostrare le cose evidenti mediante le oscure è proprio di chi non sa distinguere ciò che è
conoscibile di per sé e ciò che non lo è”.
(Fisica, II, 193 a 2-6; trad. it. cit., p. 28)
Rispondi adesso alle seguenti domande:
1. Crea qualche esempio di conoscenza empirica che stai effettuando adesso.
2. Tali esempi appartengono tutti al campo dell’evidenza?
3. Enuncia qualche esempio di nozioni evidenti ma non empiriche.
4. Tra i filosofi oggetto di questo capitolo, chi ti sembra formulare una teoria della conoscenza dove
l’esperienza ha un ruolo subordinato?
c) Alle lettere a) e b) abbiamo constatato che l’esperienza viene ritenuta da molti filosofi greci la fonte
privilegiata della conoscenza (e abbiamo altresì constatato che non coincide con la nozione di evidenza:
l’evidenza empirica non esaurisce infatti il campo intero dell’evidenza). Nel passo che segue, del celebre
filosofo della scienza Karl Popper (1902-1994), l’esperienza, identificata nel caso specifico con
l’osservazione, viene invece considerata l’elemento che decide della validità delle conoscenza, non
necessariamente la loro origine.
“Sono pronto ad ammettere che soltanto l’osservazione può fornirci la ‘conoscenza dei fatti’ e che
(come dice Hahn) possiamo ‘diventare consapevoli dei fatti soltanto in base all’osservazione’. Ma questa
consapevolezza, questa nostra conoscenza, non giustifica, né consolida, la verità di nessun’asserzione.
Non credo perciò che la domanda che l’epistemologia deve porsi sia ‘…su che cosa riposa la nostra
conoscenza?… o, piuttosto, più esattamente, come posso, dopo aver avuto l’esperienza S, giustificare la
mia descrizione di tale esperienza, e difenderla contro il dubbio?’. … Secondo me ciò che l’epistemologia
deve chiedersi è, piuttosto: in qual modo controlliamo le asserzioni scientifiche…?”
5
(Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1980 , p. 91)
Adesso rispondi alle seguenti domande:
1. Che differenza istituisce il passo popperiano fra la pura e semplice ‘conoscenza dei fatti’ e la loro
giustificazione
2. Fai qualche esempio di proposizioni non derivate direttamente dall’esperienza che si possono
verificare in modo empirico.
d) Considera infine il seguente passo del fisico Werner Heisenberg (1901-1076):
A07 COS’E’ LA NATURA?
“L’idea di piccolissimi, indivisibili blocchi da costruzione della materia si presentò dapprima in
connessione con l’elaborazione dei concetti di materia, essere e divenire, che contraddistinsero la prima
epoca della filosofia greca. Questo periodo comincio nel sesto secolo a.C. con Talete, il fondatore della
scuola di Mileto, a cui Aristotele attribuisce l’affermazione: ‘L’acqua è la causa materiale di tutte le
cose’. Questa affermazione, per strana che possa apparirci, esprime, come Nietzsche ha messo in rilievo,
tre fondamentali idee filosofiche. Primo, l’esistenza di un problema circa la causa materiale di tutte le
cose; secondo, l’esigenza che a questa domanda si debba rispondere in conformità alla ragione, senza
ricorso ai miti, o al misticismo; terzo, il postulato che in definitiva sia possibile ridurre ogni cosa ad un
principio unico. … C’è un’enorme differenza fra la scienza moderna e la filosofia greca ed essa consiste
proprio nell’atteggiamento empiristico della scienza moderna. …alcune determinazioni della filosofia
antica sono abbastanza vicine a quelle della scienza moderna. Il che mostra semplicemente quanto
lontano si possa arrivare combinando l’esperienza ordinaria della natura, che noi abbiamo senza
ricorrere ad esperimenti, con l’instancabile intento di porre un certo ordine logico in codesta esperienza
per intenderla in base a dei princìpi generali”.
(Fisica e filosofia, Il Saggiatore, Milano 1963, pp. 65 e 78-79).
Rispondi adesso alle seguenti domande:
1. Quali sono secondo Heisenberg i tre risultati dell’indagine dei presocratici?
2. Quali ne sono a suo avviso i limiti rispetto alla scienza contemporanea?
3. Qual è secondo Heisenberg la fondamentale differenza fra la ricerca naturalistica dei Greci e
l’indagine scientifica dei contemporanei?
SEZ. D PIANO DI DISCUSSIONE
1. Si può spiegare la natura essendone parte? Se sì, come?
2. Si può spiegare la natura esperendone parte? Se sì, come?
3. Si può spiegare perché spiegare la natura? Se sì, come?
4. Immagina un mondo in cui la priorità della vista fosse sostituita con quella dell’olfatto o del tatto: si
tratta comunque di forme di conoscenza empirica. Potrebbe esserci una scienza basata
sull’“odorazione” o sulla palpazione al posto che sull’osservazione? Perché?
5. Qualunque sia il modo in cui vengono concepite le leggi di natura e qualunque ne sia il contenuto,
esse si accomunano nel rispetto del principio di non contraddizione: il moto terrestre non può essere e
non essere rotatorio. Il principio di non contraddizione è dunque una legge di natura?
6. L’osservatore è altrettanto essenziale alla creazione e sviluppo dell’universo quanto l’universo lo è
per la creazione dell’osservatore?
7. Quale potrebbe essere, rispetto a temi finalistici, il ruolo di Dio nella creazione dell’universo?
8. Essere finalisti è compatibile con la scienza?
BIBLIOGRAFIA MINIMA
G. Cambiano, Filosofia e scienza nel mondo antico, Loescher, Torino 1986.
N. D’Anna, Il gioco cosmico, Rusconi, Milano 1999.
2
E. J. Dijksterhuis, Il meccanicismo e l’immagine del mondo, Feltrinelli, Milano 1980 .
R. French, Gli antichi e la natura, ECIG, Genova 1999.
R. Lenoble, Storia dell’idea di natura, Guida, Napoli 1975.
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A07 COS’E’ LA NATURA?
SCHEDA DIDATTICA
SCHEDA DIDATTICA SUL PROBLEMA
 Sommario inquadramento storico dei filosofi citati
 capacità di analisi del testo, sapendone individuare i nessi centrali
Prerequisiti
 capacità di riconoscere termini specifici della disciplina
 capacità elementare di valutare un argomento razionale: distinguere
la tesi e i motivi a supporto
 conoscere la valenza del concetto di esperienza
Conoscenza Acquisizione di un lessico specifico relativo alle seguenti
nozioni:
 arché
Obiettivi
 monismo
 pluralismo
 meccanicismo
 finalismo
 natura
 materia
Competenza
 Avviare l’utilizzo del lessico filosofico
 Saper collocare storicamente gli autori affrontati
 Focalizzare i nuclei teorici delle diverse posizioni
Capacità
 Analizzare e confrontare le diverse concezioni che
assume il tema della natura nei diversi autori
 Analizzare le diverse soluzioni proposte al problema
 Confrontare tra le diverse soluzioni individuandone
specificità e premesse
 Sintetizzare il problema negli aspetti comuni rilevati
nei diversi autori
 Attualizzare il problema
Programmazione
Tre lezioni
Termini illustrati
atomo
cosmogonia
cosmologia
entelechia
finalismo
immanenza
luogo naturale
materialismo
meccanicismo
monismo
movimento
natura
omeomeria
Pluralismo
principio (arché)
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Lessico filosofico impiegato
nell’esposizione del problema
atto
causa
creazionismo
determinismo
esperienza
fisica
forma
idea
mito
potenza
principio di non contraddizione
qualità
sinolo
vitalismo
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A07 COS’E’ LA NATURA?
TESTI A INTEGRAZIONE
DEMOCRITO
Le caratteristiche degli atomi
Democrito, che assegna una determinata forma atomica a ciascun sapore, fa derivare il dolce dagli
atomi rotondi e di discreta grandezza, l’acre dagli atomi di figura grande con asperità e con molti angoli
e senza rotondità, l’acido o acuto – come dice il nome stesso – dagli atomi cauti, angolosi, a curve, sottili
e non tondeggianti; l’agro invece dagli atomi tondeggianti, sottili, angolosi e a curve; il salato, da quelli
angolosi e di discreta grandezza, obliqui e isosceli; l’amaro, da quelli tondeggianti, aventi una curvatura
uniforme e piccola grandezza; il grasso, da atomi leggeri, rotondi e piccoli).
[DK 68 A 129; trad. it. in I Presocratici, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1969, p. 713].
ANASSAGORA
Dal caos al cosmo
Quanti poi fanno gli elementi infiniti [di numero] come Anassagora e Democrito, l’uno con gli omeomeri,
l’altro con l’universale riserva seminale di figure, dicono con ciò che l’infinito è continuo per contatto, e
l’uno vuole che ogni parte sia una mescolanza come il tutto, perché vede che ogni cosa viene da ogni
cosa: per questo motivo pare ch’egli affermi che un tempo tutte le cose erano insieme, per esempio
questa carne e quest’osso e così quest’altro, sia quel che sia: e insomma tutto – e lo erano, beninteso,
contemporaneamente, perché l’inizio della separazione non si verificò soltanto per ciascuna cosa, ma
per tutte. E poiché ciò che è prodotto è prodotto da un corpo di determinata natura e di tutte le cose c’è
generazione, solo che non contemporaneamente, anche per tale generazione ci dev’essere un principio,
e un principio unico ch’egli chiama Intelletto e l’Intelletto lavora da un certo inizio pensando: sicché di
necessità a un certo momento tutte le cose erano insieme e a un certo momento cominciarono ad
essere mosse.
Anassagora dice che dapprincipio i corpi stavano immobili e l’intelletto di dio li pose in ordine e
produsse la generazione di tutte le cose. Anassagora [definisce] dio l’intelletto, il facitore del cosmo.
L’intelletto è dio in ciascuno di noi. [Anassagora dice] che è stato, è e sarà e che su tutti comanda e ha
dominio. E che l’intelletto ha posto in ordine tutte le cose che sono infinite e mescolate.
[DK 59 A 45 e 48; trad. it. in I Presocratici, Laterza, Roma-Bari 1969, pp. 573 e 576-577]
PLATONE
LA STUDIO DELLA NATURA COME STORIA VERISIMILE
TIMEO Ma tutti, o Socrate, anche se poco assennati, nei tentare qualsiasi impresa, o piccola o grande,
sempre invocano qualche dio. E noi che siamo per parlare dell’universo, com’è nato o se anche è senza
nascimento, se proprio non deliriamo, è necessario che, invocando gli dei e le dee, li preghiamo che ci
facciano dire ogni cosa soprattutto secondo il loro pensiero e anche coerentemente a noi stessi. E così
siano invocati gli dei: ma bisogna invocare anche l’opera nostra, affinché molto facilmente voi
apprendiate e io pienamente vi dichiari quel che penso degli argomenti proposti. Prima di tutto,
secondo la mia opinione, si devono distinguere queste cose. Che è quello che sempre è e non ha
nascimento, e che è quello che nasce sempre e mai non è? L’uno è apprensibile dall’intelligenza
mediante il ragionamento, perché è sempre nello stesso modo; l’altro invece è opinabile dall’opinione
mediante la sensazione irrazionale, perché nasce e muore, e non esiste mai veramente. Tutto quello poi
che nasce, di necessità nasce da qualche cagione, perché è impossibile che alcuna cosa abbia
nascimento senza cagione. Ora, quando l’artefice, guardando sempre a quello che è nello stesso modo e
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Pagina 21
A07 COS’E’ LA NATURA?
giovandosi di così fatto modello, esprime la forma e la virtù di qualche opera, questa di necessità riesce
tutta bella: non bella, invece, se guarda a quel ch’è nato, giovandosi d’un modello generato. Dunque,
intorno a tutto il cielo o mondo o, se voglia chiamarsi con altro nome, si chiami pure così, conviene
prima considerare quel che abbiamo posto che si deve considerare in principio intorno ad ogni cosa, se
cioè è stato sempre, senz’avere principio di nascimento, o se è nato, cominciando da un principio. Esso è
nato: perché si può vedere e toccare ed ha un corpo, e tali cose sono tutte sensibili, e le cose sensibili,
che son apprese dall’opinione mediante la sensazione, abbiamo veduto che sono in processo di
generazione e generate. Noi poi diciamo che quello ch’è nato deve necessariamente esser nato da
qualche cagione. Ma è difficile trovare il fattore e padre di quest’universo, e, trovatolo, è impossibile
indicarlo a tutti. Pertanto questo si deve invece considerare intorno ad esso, secondo qual modello
l’artefice lo costruì: se secondo quello che è sempre nello stesso modo e il medesimo, o secondo quello
ch’è nato. Se è bello questo mondo, e l’artefice buono, è chiaro che guardò al modello eterno: se no, –
ciò che neppure è lecito dire, – a quello nato. Ma è chiaro a tutti che guardò a quello eterno: perché il
mondo è il più bello dei nati, e dio il più buono degli autori. Il mondo così nato è stato fatto secondo
modello, che si può apprendere con la ragione e con l’intelletto, e che è sempre nello stesso modo. E se
questo sta così, è assoluta necessità che questo mondo sia immagine di qualche cosa. Ora in ogni
questione è di grandissima importanza il principiare dal principio naturale: così dunque conviene
distinguere fra l’immagine e il suo modello, come se i discorsi abbiano qualche parentela con le cose,
delle quali sono interpreti. Pertanto quelli intorno a cosa stabile e certa e che risplende all’intelletto,
devono essere stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e immobili, e niente di tutto questo deve
mancare. Quelli poi intorno a cosa, che raffigura quel modello ed è a sua immagine, devono essere
verosimili e in proporzione di quegli altri: perché ciò che è l’essenza alla generazione, è la verità alla
fede. Se dunque, o Socrate, dopo che molti han detto molte cose intorno agli dei e all’origine
dell’universo, non possiamo offrirti ragionamenti in ogni modo seco stessi pienamente concordi ed
esatti, non ti meravigliare; ma, purché non ti offriamo discorsi meno verosimili di quelli di qualunque
altro, dobbiamo essere contenti, ricordandoci che io che parlo e voi, giudici miei, abbiamo natura
umana: sicché intorno a queste cose conviene accettare una favola verosimile, né cercare più in là.
SOCRATE. E ora è ufficio tuo, o Timeo, di cominciare, dopo aver invocati, com’è costume, gli dèi. TIMEO Ma
tutti, o Socrate, anche se poco assennati, nei tentare qualsiasi impresa, o piccola o grande, sempre
invocano qualche dio. E noi che siamo per parlare dell’universo, com’è nato o se anche è senza
nascimento, se proprio non deliriamo, è necessario che, invocando gli dei e le dee, li preghiamo che ci
facciano dire ogni cosa soprattutto secondo il loro pensiero e anche coerentemente a noi stessi. E così
siano invocati gli dei: ma bisogna invocare anche l’opera nostra, affinché molto facilmente voi
apprendiate e io pienamente vi dichiari quel che penso degli argomenti proposti. Prima di tutto,
secondo la mia opinione, si devono distinguere queste cose. Che è quello che sempre è e non ha
nascimento, e che è quello che nasce sempre e mai non è. L’uno è apprensibile dall’intelligenza
mediante il ragionamento, perché è sempre nello stesso modo; l’altro invece è opinabile dall’opinione
mediante la sensazione irrazionale, perché nasce e muore, e non esiste mai veramente. Tutto quello poi
che nasce, di necessità nasce da qualche cagione, perché è impossibile che alcuna cosa abbia
nascimento senza cagione. Ora, quando l’artefice, guardando sempre a quello che è nello stesso modo e
giovandosi di così fatto modello, esprime la forma e la virtù di qualche opera, questa di necessità riesce
tutta bella: non bella, invece, se guarda a quel ch’è nato, giovandosi d’un modello generato. Dunque,
intorno a tutto il cielo o mondo o, se voglia chiamarsi con altro nome, si chiami pure così, conviene
prima considerare quel che abbiamo posto che si deve considerare in principio intorno ad ogni cosa, se
cioè è stato sempre, senz’avere principio di nascimento, o se è nato, cominciando da un principio. Esso è
nato: perché si può vedere e toccare ed ha un corpo, e tali cose sono tutte sensibili, e le cose sensibili,
che son apprese dall’opinione mediante la sensazione, abbiamo veduto che sono in processo di
generazione e generate. Noi poi diciamo che quello ch’è nato deve necessariamente esser nato da
qualche cagione. Ma è difficile trovare il fattore e padre di quest’universo, e, trovatolo, è impossibile
indicarlo a tutti. Pertanto questo si deve invece considerare intorno ad esso, secondo qual modello
l’artefice lo costruì: se secondo quello che è sempre nello stesso modo e il medesimo, o secondo quello
ch’è nato. Se è bello questo mondo, e l’artefice buono, è chiaro che guardò al modello eterno: se no, –
ciò che neppure è lecito dire, – a quello nato. Ma è chiaro a tutti che guardò a quello eterno: perché il
mondo è il più bello dei nati, e dio il più buono degli autori. Il mondo così nato è stato fatto secondo
modello, che si può apprendere con la ragione e con l’intelletto, e che è sempre nello stesso modo. E se
questo sta così, è assoluta necessità che questo mondo sia immagine di qualche cosa. Ora in ogni
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A07 COS’E’ LA NATURA?
questione è di grandissima importanza il principiare dal principio naturale: così dunque conviene
distinguere fra l’immagine e il suo modello, come se i discorsi abbiano qualche parentela con le cose,
delle quali sono interpreti. Pertanto quelli intorno a cosa stabile e certa e che risplende all’intelletto;
devono essere stabili e fermi e, per quanto si può, inconfutabili e immobili, e niente di tutto questo deve
mancare. Quelli poi intorno a cosa, che raffigura quel modello ed è a sua immagine, devono essere
verosimili e in proporzione di quegli altri: perché ciò che è l’essenza alla generazione, è la verità alla
fede. Se dunque, o Socrate, dopo che molti han detto molte cose intorno agli dei e all’origine
dell’universo, non possiamo offrirti ragionamenti in ogni modo seco stessi pienamente concordi ed
esatti, non ti meravigliare; ma, purché non ti offriamo discorsi meno verosimili di quelli di qualunque
altro, dobbiamo essere contenti, ricordandoci che io che parlo e voi, giudici miei, abbiamo natura
umana: sicché intorno a queste cose conviene accettare una favola verosimile, né cercare più in là.
(Timeo, 27c-29d; trad. it. in Platone, Opere, Laterza, Roma-Bari 1974, vol. 2°, pp. 476-478)
LA FORMAZIONE DEL CO SMO
Quello ch’è nato deve essere corporeo e visibile e tangibile. Ma niente potrebbe essere visibile, separato
dal fuoco, né tangibile senza solidità, né solido senza terra. Sicché dio, cominciando a comporre il corpo
dell’universo, lo fece di fuoco e di terra. Ma non è possibile che due cose sole si compongano bene
senza una terza: bisogna che in mezzo vi sia un legame che le congiunga entrambe. E il più bello dei
legami è quello che faccia, per quant’è possibile, una cosa sola di sé e delle cose legate: ora la
proporzione compie questo in modo bellissimo. Perché quando di tre numeri o masse o potenze quali si
vogliano, il medio sta all’ultimo come il primo al medio, e d’altra parte ancora il medio sta al primo,
come l’ultimo al medio, allora il medio divenendo primo e ultimo, e l’ultimo e il primo divenendo a lor
volta medi ambedue, così di necessità accadrà che tutti siano gli stessi, e divenuti gli stessi fra loro,
saranno tutti una cosa sola. Se dunque il corpo dell’universo doveva essere piano e senz’alcuna
profondità, un solo medio bastava a collegare sé e le cose con sé congiunte: ma ora, poiché conveniva
che il corpo dell’universo fosse solido (e i solidi non li congiunge mai un medio solo, ma due ogni volta),
perché dio mise acqua e aria fra fuoco e terra, e proporzionati questi elementi fra loro, per quant’era
possibile, nella medesima ragione, di modo che come stava il fuoco all’aria stesse anche l’aria all’acqua,
e come l’aria all’acqua l’acqua alla terra, collegò e compose il cielo visibile e tangibile. E in questo modo
e di così fatti elementi, quattro di numero, fu generato il corpo del mondo, concorde per proporzione, e
però ebbe tale amicizia che riunito con sé nello stesso luogo non può essere disciolto da nessun altro, se
non da quello che l’ha legato. La composizione del mondo ricevette per intero ciascuno di questi quattro
elementi. Perché l’artefice fece il mondo di tutto il fuoco e l’acqua e l’aria e la terra, senza lasciare fuori
nessuna parte o potenza di nessuno di essi, con questo consiglio: prima, che tutto l’animale fosse,
quanto più possibile, perfetto e di parti perfette, e anche fosse uno, in quanto che nient’era stato
lasciato, donde potesse farsene un altro simile; e poi che fosse immune da vecchiezza e da morbo,
perché dio sapeva che il caldo e il freddo e tutti gli agenti di grande energia, circondando di fuori un
corpo composto e importunamente assalendolo, lo sciolgono, v’inducono morbi e vecchiezza e lo fanno
morire. Per questo motivo e ragionamento fece un unico tutto di tutte le totalità, perfetto e immune da
vecchiezza e da morbo. E gli diede una forma conveniente e affine. Ora all’animale, che doveva
raccogliere in sé tutti gli animali, conveniva una forma, che in sé raccogliesse tutte quante le forme.
Perciò lo arrotonda a mo’ di sfera, egualmente distante in ogni parte dal centro alle estremità, in orbe
circolare, che è di tutte le figure la più perfetta e la più simile a se stessa, giudicando il simile
infinitamente più bello del dissimile. E lo fece perfettamente liscio tutt’intorno di fuori per molte ragioni.
Infatti non aveva alcun bisogno d’occhi, non essendovi rimasto niente da vedere al di fuori, né d’orecchi,
non essendovi rimasto niente da udire: né v’era aria d’intorno, che domandasse d’essere respirata. E
nemmeno aveva bisogno d’alcun organo per ricevere in sé il nutrimento o per espellere il residuo della
digestione, perché niente perdeva e niente gli si aggiungeva di dove che fosse, non essendovi niente.
Esso è stato fatto ad arte in tal modo che si procura la nutrizione dalla sua corruzione, e tutto in sé e da
per sé patisce e fa. Credette infatti l’artefice che migliore sarebbe il mondo se bastasse a se stesso che
se fosse bisognoso d’altri. E le mani, con le quali non aveva nessun bisogno di prendere né di respingere
alcuna cosa, dio non credette di dovergliele aggiungere invano, e nemmeno i piedi, né quant’altro serve
per camminare. Ma gli assegnò il movimento adatto al suo corpo, quello dei sette che più s’accosta
all’intelligenza e al pensiero. E però menandolo intorno nello stesso modo, nello stesso luogo e in se
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A07 COS’E’ LA NATURA?
stesso, lo fece muovere con moto circolare e gli tolse tutti gli altri sei movimenti e lo privò dei loro
errori. E non essendovi bisogno di piedi per questa rotazione, lo generò senza gambe né piedi.
(Timeo, 31b-34a; trad. it. in Platone, Opere, Laterza, Roma-Bari 1974, vol. 2°, pp. 481-483)
ARISTOTELE
LA NATURA DELLA FISI CA
Pertanto, da quello che abbiamo detto risulta chiaramente che la fisica è una scienza contemplativa; e
anche la matematica è scienza contemplativa, ma, almeno per ora, non è chiaro se essa si occupi di enti
immobili e aventi un’esistenza separata, sebbene sia chiaro che alcuni settori della matematica studiano
i loro enti in quanto immobili e in quanto separabili. Se, d’altra parte, esiste qualcosa di eterno e di
immobile e di separabile dalla materia, è evidente che la conoscenza di ciò è pertinenza di una scienza
teoretica, ma non certo della fisica [giacché questa si occupa solo di alcuni enti mobili], né della
matematica, ma di un’altra scienza che ha la precedenza su entrambe. Infatti la fisica si occupa di enti
che esistono separatamente ma non sono immobili, e dal canto suo la matematica si occupa di enti che
sono, sì, immobili, ma che forse non esistono separatamente e sono come presenti in una materia,
invece la “scienza prima” si occupa di cose che esistono separatamente e che sono immobili. E se tutte
le cause sono necessariamente eterne, a maggior ragione lo sono quelle di cui si occupa questa scienza,
giacché esse sono cause di quelle cose divine che si manifestano ai sensi nostri. Quindi ci saranno tre
specie di filosofie teoretiche, cioè la matematica, la fisica e la teologia, essendo abbastanza chiaro che,
se la divinità è presente in qualche luogo, essa è presente in una natura siffatta, ed è indispensabile che
la scienza più veneranda si occupi del genere più venerando. Epperò, se le scienze contemplative sono
preferibili alle altre, questa è preferibile alle altre scienze contemplative.
Noi potremmo chiederci, in realtà, se la filosofia prima sia universale o se essa si occupi di un genere
determinato e di una determinata natura (giacché nemmeno le scienze matematiche seguono tutte un
medesimo criterio di indagine, ma la geometria e l’astronomia si occupano di entità che hanno una
determinata natura, mentre la matematica generale studia tutte queste entità insieme); se, pertanto,
non si ammette 1’esistenza di alcun’altra sostanza al di fuori di quelle che sono naturalmente composte,
la fisica, allora, dovrebbe essere la scienza prima; ma se esiste una certa sostanza immobile, la scienza
che si occupa di questa deve avere la precedenza e deve essere filosofia prima, e la sua universalità
risiede appunto nel fatto che essa è prima; e sarà compito di questa scienza contemplare
l’essere-in-quanto-essere, cioè l’essenza e le proprietà che l’essere possiede in-quanto-essere.
(Metafisica, VI, 1026 a 7-33; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 6°, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 175-176)
CHE COS’È LA NATURA
Degli enti alcuni sono per natura, altri per altre cause. Sono per natura gli animali e le loro parti e le
piante e i corpi semplici, come terra, fuoco, aria e acqua (queste e le altre cose di tal genere noi diciamo
che sono per natura), tutte cose che appaiono diverse da quelle che non esistono per natura. Infatti,
tutte queste cose mostrano di avere in se stesse il principio del movimento e della quiete, alcune
rispetto al luogo, altre rispetto all’accrescimento e alla diminuzione, altre rispetto all’alterazione. Invece
il letto o il mantello o altra cosa di tal genere, in quanto hanno ciascuno un nome appropriato e una
determinazione particolare dovuta all’arte, non hanno alcuna innata tendenza al cangiamento, ma
l’hanno solo in quanto, per accidente, tali cose sono o di pietra o di legno o una mescolanza di ciò; e
l’hanno solo in quanto la natura è un principio e una causa del movimento e della quiete in tutto ciò che
esiste di per sé e non per accidente (dico “non per accidente”, perché un tale, ad esempio, pur essendo
medico, potrebbe essere causa di salute a se stesso; tuttavia non in quanto egli è sanato, possiede l’arte
medica, bensì è capitato accidentalmente che siano lo stesso il medico e il sanato: e perciò queste due
cose si possono anche separare tra loro). Similmente avviene per ciascuno degli altri oggetti prodotti
artificialmente: nessuno di essi, infatti, ha in se stesso il principio della produzione, ma alcuni lo hanno in
altre cose e dall’esterno, come la casa e ogni altro prodotto manuale; altri in se stessi, ma non per
propria essenza, bensì in quanto accidentalmente potrebbero diventar causa a se stessi.
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Dunque, la natura è ciò che è stato detto; ed ha natura ciò che ha tale principio. E tutte queste cose
sono sostanze perché esse sono un sostrato e la natura è sempre in un sostrato. D’altra parte sono per
natura non solo queste medesime cose, ma anche tutte quelle che ineriscono ad esse essenzialmente,
come al fuoco il portarsi in alto. Ciò invero, non è natura e non ha natura, ma è per natura e secondo
natura.
Che cosa, dunque, è la natura e che cosa è per natura e secondo natura, è stato detto.
Ridicolo, poi, sarebbe cercar di dimostrare che la natura è: è evidente, infatti, che di tali enti ve ne sono
molti. E dimostrare le cose evidenti mediante le oscure è proprio di chi non sa distinguere ciò che è
conoscibile di per sé e ciò che non lo è (e non è improbabile che una tale malattia possa capitare,
giacché un cieco nato potrebbe pur ragionare intorno ai colori) e la necessaria sequenza è che questi tali
si mettono a discutere di vuoti nomi, ma non pensano affatto.
Ad alcuni sembra, poi, che la natura e la sostanza degli esseri naturali siano ciò che per prima è
immanente a ciascun oggetto, ma informe di per sé, come la natura del letto è, ad esempio, il legno,
della statua il bronzo. Una prova di ciò l’adduce Antifonte, affermando che, se si seppellisse un letto e la
putrefazione avesse la potenza di produrre un germoglio, non ne verrebbe fuori letto, ma legno, perché
il primo sussiste per accidente (la disposizione, cioè, secondo convenzione e arte), mentre la sostanza è
quella che permane, anche se subisce di continuo tali affezioni. Inoltre, se ciascuno di tali oggetti subisce
le medesime affezioni in relazione ad un altro (ad esempio, il bronzo e l’oro rispetto all’acqua, o le ossa
e la legna rispetto alla terra, e così via), secondo Antifonte queste ultime sono la natura e la sostanza
delle prime. Perciò secondo alcuni il fuoco, secondo altri la terra, secondo altri l’aria, secondo altri
l’acqua, secondo altri talune di queste cose, secondo altri, infine, tutte quante queste cose sono la
natura degli enti. E chiunque di costoro abbia posto una o più sostanze di tal genere, dice che questa o
queste sono tutta quanta la sostanza, e che tutte le altre cose ne sono affezioni e stati e disposizioni, e
che inoltre ciascuna di esse è eterna (giacché sostengono che esse non hanno mutamento di per sé),
mentre le altre cose nascono e periscono all’infinito.
In un senso, quindi, la natura viene così definita: cioè, come la materia che per prima fa da sostrato a
ciascun oggetto il quale abbia in se stesso il principio del movimento e del cangiamento; ma in un altro
senso essa è definita come la specie che è conforme alla definizione. Come, infatti, si dice arte ciò che è
conforme all’arte e all’artistico, così anche si dice natura ciò che è conforme a natura e al naturale, e,
come a proposito dell’esempio del letto, noi non potremmo dire né che il letto sia conforme all’arte, se
esso è solo in potenza e non ha affatto la forma del letto, né che vi sia arte, allo stesso modo dovremmo
ragionare anche a proposito degli oggetti che risultano dalla natura: la carne, infatti, o l’osso in potenza
non hanno affatto la propria natura né sono per natura prima di prendere la forma specifica, determinando la quale noi diciamo che cosa è carne o osso. Sicché, in questo secondo senso, la natura delle
cose che hanno in se stesse il movimento, si potrebbe identificare con la forma e con la specie, la quale
ultima è separabile dalla prima solo per logica astrazione. (Invece il composto di materia e forma non è
natura, ma è per natura; ad esempio, l’uomo.) E la forma è più natura che la materia: ciascuna cosa,
infatti, allora si dice che è, quando sia in atto, piuttosto che quando sia in potenza.
Inoltre, l’uomo viene dall’uomo, ma non il letto dal letto: perciò, anche, dicono che la natura del letto
non è la figura, ma il legno, perché se il letto germogliasse, ne verrebbe fuori non un letto, ma legno. Se,
però, il legno è natura, anche la forma specifica è natura, dal momento che dall’uomo nasce l’uomo.
Inoltre la natura, intesa come generazione, è una via verso la natura vera e propria. Difatti, mentre noi
diciamo che la medicazione non è una via verso la medicina, ma verso la salute (è ovvio, invero, che la
medicazione deriva dalla medicina e non va verso di essa), in modo diverso, invece, son tra loro in
relazione questi due aspetti della natura: infatti ciò che nasce, in quanto nasce, va da qualcosa verso
qualcosa. Ma qual è, pertanto, la cosa che nasce? Non certo quella da cui essa nasce, bensì quella alla
quale, nascendo, essa tende. Si conclude, perciò, che forma è natura.
(Fisica, II, 192 b 8 -193 b 22; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 3°, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 27-30)
LA NATURA COME CAUSA FINALE
Bisogna, ora, in primo luogo dire perché la natura è una delle cause finali; poi bisogna trattare del modo
come la necessità si inserisca nelle cose naturali, giacché tutti si riportano ad essa come causa e
asseriscono che, poiché il caldo e il freddo e ciascuna di simili cose sono tali per natura, tutte queste
cose esistono e si generano per necessità. E, invero, anche quando adducano un’altra causa, ne fanno
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cenno appena e poi la lasciano andare, come quelli che parlano dell’amore e dell’odio ovvero della
mente.
Ma nasce un dubbio: che cosa vieta che la natura agisca senza alcun fine e non in vista del meglio, bensì
come piove Zeus, non per far crescere il frumento, ma per necessità (difatti ciò ha evaporato, deve
raffreddarsi e, una volta raffreddato, diventa acqua e scende giù: e che il frumento cresca quando
questo avviene, è un fatto accidentale)? E, parimenti, quando il grano, poniamo, si guasta sull’aia, non
ha piovuto per questo fine, cioè affinché esso si guastasse, ma questo è accaduto per accidente. E,
quindi, nulla vieta che questo stato di cose si verifichi anche nelle parti degli esseri viventi e che, ad
esempio, per necessità i denti incisivi nascano acuti e adatti a tagliare, quelli molari, invece, piatti e utili
a masticare il cibo; ma che tutto questo avvenga non per tali fini, bensì per accidente. E così pure delle
altre parti in cui sembra esserci la causa finale. E, pertanto, quegli esseri, in cui tutto si è prodotto
accidentalmente, ma allo stesso modo che se si fosse prodotto in vista di un fine, si sono conservati per
il fatto che per caso sono risultati costituiti in modo opportuno; quanti altri, invece, non sono in tale
situazione, si sono perduti o si van perdendo, come quei buoi dalla “faccia umana” di cui parla
Empedocle.
Questo, o su per giù questo, è il ragionamento che potrebbe metterci in imbarazzo: ma è impossibile
che la cosa stia così. Infatti, le cose ora citate e tutte quelle che sono per natura, si generano in questo
modo o sempre o per lo più, mentre ciò non si verifica per le cose fortuite e casuali. Difatti, pare che non
fortuitamente né a caso piova spesso durante l’inverno; ma sotto la canicola, sì; né che ci sia calura
sotto la canicola; ma in inverno, sì. Dal momento che, dunque, tali cose sembrano generarsi o per
fortuita coincidenza o in virtù di una causa finale, se non è possibile che esse avvengano né per fortuita
coincidenza né per caso, allora avverranno in vista di un fine. Ma tutte le cose di tal genere sono sempre
conformi a natura, come ammettono anche i meccanicisti. Dunque, nelle cose che in natura sono
generate ed esistono, c’è una causa finale.
Inoltre, in tutte le cose che hanno un fine, in virtù di questo si fanno alcune cose prima, altre dopo.
Quindi, come una cosa è fatta, così essa è disposta per natura e, per converso, come è disposta per
natura, così è fatta, purché non vi sia qualche impaccio. Ma essa è fatta per un fine; dunque per natura è
disposta ad un tale fine. Ad esempio: se la casa facesse parte dei prodotti naturali, sarebbe generata con
le stesse caratteristiche con le quali è ora prodotta dall’arte; e se le cose naturali fossero generate non
solo per natura, ma anche per arte, esse sarebbero prodotte allo stesso modo di come lo sono per
natura. Ché l’una cosa ha come fine l’altra.
Insomma: alcune cose che la natura è incapace di effettuare, l’arte le compie; altre, invece, le imita. E se,
dunque, le cose artificiali hanno una causa finale, è chiaro che è così anche per le cose naturali: infatti, il
prima e il poi si trovano in rapporto reciproco alla stessa guisa tanto nelle cose artificiali quanto in quelle
naturali.
Ma in particolar modo ciò è manifesto negli altri animali che non agiscono né per arte né per ricerca né
per volontà: tanto che alcuni si chiedono se alcuni di essi, come i ragni e le formiche e altri di tal genere,
lavorino con la mente o con qualche altro organo. E per chi procede così gradatamente, anche nelle
piante appare che le cose utili sono prodotte per il fine, come le foglie per proteggere il frutto. Se,
dunque, secondo natura e in vista di un fine la rondine crea il suo nido, e il ragno la tela, e le piante mettono le foglie per i frutti, e le radici non su ma giù per il nutrimento, è evidente che tale causa è appunto
nelle cose che sono generate ed esistono per natura.
E poiché la natura è duplice, cioè come materia e come forma, e poiché quest’ultima è il fine e tutto il
resto è in virtù del fine, questa sarà anche la causa, anzi la causa finale.
(Fisica, II, 198 b 10 -199 b 32; trad. it. Aristotele, Opere, vol. 3°, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 44-47)
GLI STOICI
LA RAZIONALITÀ DEL LÓGOS
Dunque Zenone definisce la natura così: dice che essa è un fuoco dotato di capacità di produrre
artigianalmente, che procede alla produzione con metodo. È proprio dell’arte, egli ritiene, il generare e
produrre; e ciò che la mano compie nelle opere delle nostre arti, con arte molto maggiore sa compierlo
la natura; la quale è, come ho detto, un fuoco dotato di capacità artigianale, maestra a tutte le arti.
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Secondo questa argomentazione, tutta quanta la natura è dotata di tale capacità, perché ha in sé un
metodo e una via tracciata da seguire. E non solo essa è dotata di capacità artigianale, ma è direttamente artefice dell’universo stesso, che contiene e abbraccia tutte quante le cose; e ciò ancora secondo la
definizione di Zenone, che la dichiara dotata di consiglio e preveggente procuratrice di ogni tipo di utilità
e opportunità. Così come tutte le altre nature nascono e crescono in base a certi semi, ciascuna i suoi
specifici, e sono già in essi virtualmente contenute, così analogamente la natura del mondo intero ha i
suoi moti volontari i suoi conati e le sue appetizioni, quelle che i Greci chiamano ormái, ed esplica azioni
in coerenza con questi moti così come facciamo noi pure, noi che ci muoviamo in virtù dell’anima i dei
sensi. Tale dunque essendo la mente del mondo, e potendosi per questa ragione chiamare prudenza o
provvidenza (il che in greco si dice prónoia), a questo soprattutto provvede e attende, che in primo
luogo che il mondo sia costituito nel modo più adatto a conservare la sua esistenza, in secondo luogo
che non presenti alcun difetto, poi infine che in esso sia bellezza straordinaria e ogni ornamento.
(Cicerone, La natura degli dei, II, 22, 57-58; trad. it. in Gli Stoici. Opere e testimonianze, a cura di M.
Isnardi Parente, Tea, Milano 1994, pp. 175-1763)
LA STRUTTURA DEL COSMO
Sembra loro che vi siano due princìpi del tutto, il principio attivo e quello passivo. Quello passivo è la
sostanza senza proprietà, la materia, e quello attivo è la ragione che si trova in essa, la divinità;
quest’ultima, che è eterna, scorrendo per la materia foggia tutte le realtà. Sostengono questa dottrina
Zenone di Cizio nel Della sostanza, Cleante nel Degli atomi, Crisippo nella Fisica, verso la fine del libro I,
Archedemo nel Degli elementi, Posidonio nel libro II della Trattazione fisica. Dicono che sono diversi fra
loro princìpi ed elementi: i princìpi sono ingenerati e indistruttibili, gli elementi si distruggono nella
conflagrazione. Inoltre i princìpi sono incorporei e privi di forma, mentre gli elementi hanno determinate
forme.
Un corpo è, come dice Apollodoro nella Fisica, una realtà che ha tre dimensioni, lunghezza, larghezza,
profondità; questo si chiama corpo solido, la superficie invece è il limite esteriore del corpo, oppure è
ciò che ha solo lunghezza e larghezza, non profondità; Posidonio, nel libro V del Delle meteore la
considera esistente non solo nel pensiero, ma anche nella realtà. La linea è il limite della superficie, o
lunghezza senza larghezza, o ciò che ha lunghezza soltanto; il punto è il limite della linea, vale a dire il
segno minimo.
Dicono che una sola cosa è la divinità, il destino, Zeus; anche se viene indicato con molti altri appellativi.
Originariamente raccolto in sé, egli ha fatto poi volgere tutta la realtà di aria in acqua; e come nella
generazione si effonde il seme, così anche questo, essendo la ragione seminale dell’universo, resta insito
con tale facoltà creativa nell’umidità, rendendo la materia simile a lui nella potenza generativa in vista
della formazione delle cose; in seguito genera poi i quattro elementi, fuoco, acqua, aria, terra. Parla di
questi Zenone nel Dell’universo, Crisippo nel libro I della Fisica, Archedemo in qualche libro del Degli
elementi. L’elemento è ciò da cui prende origine ciò che si genera, e in cui da ultimo si risolve. I quattro
elementi formano nel loro insieme la sostanza senza proprietà, la materia: il fuoco è il caldo, l’acqua è
l’umido, l’aria è il freddo, la terra è il secco. E ciò non basta, ma nella stessa aria si trova quest’ultimo
elemento: infatti nella regione più alta dell’aria c’è il fuoco che si chiama etere, da cui nasce tutta la
prima sfera, quella degli astri immobili, e in secondo luogo quella degli astri erranti; più in basso viene
l’aria, poi l’acqua, poi la terra, sostegno del tutto, e posta nel mezzo dell’universo.
Dicono che “cosmo” si intende in tre modi: come la divinità stessa, che ha la stessa qualità specifica della
sostanza universale; è infatti indistruttibile e ingenerato, artigiano dell’ordine del mondo, portato a
risolvere totalmente in sé la sua sostanza stessa in determinate fasi e poi a generarla nuovamente da se
stesso; tuttavia come cosmo può essere anche inteso l’ordinamento proprio degli astri, e in terzo luogo
l’insieme che risulta dall’uno e dall’altro. È cosmo ciò che ha le proprietà specifiche della sostanza
universale, o, come dice Posidonio negli Elementi di meteorologia, un complesso organico di cielo e
terra, e, nell’ambito di questi, un complesso organico di uomini, dèi, e cose generate in virtù di essi. Il
cielo è l’estrema superficie periferica in cui si colloca tutto ciò che è divino. Il cosmo è governato
secondo intelletto e provvidenza, come dice Crisippo nel libro V del Della provvidenza e Posidonio nel
libro XIII del Degli dei, poiché l’intelletto lo percorre tutto quanto, così come negli individui l’anima:
tuttavia in alcune parti fa sentire di più la sua efficacia e in altre meno: per esempio in alcune parti esiste
solo come disposizione, così come nel corpo umano avviene nelle ossa e nei nervi; in altre è presente
proprio come intelletto, come avviene nella parte direttiva dell’anima. Così l’intero cosmo, essendo un
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essere vivente, animato, razionale, ha come parte direttiva dell’anima l’etere come dice Antipatro di
Tiro nel libro VIII del suo Dell’universo; ma Crisippo nel libro I del Della provvidenza e Posidonio nel Degli
dei dicono che parte direttiva dell’anima dell’universo è il cielo, e Cleante il sole. Del resto lo stesso
Crisippo poi si differenzia da se stesso e dice nello stesso libro che parte direttiva è l’elemento più puro
dell’etere, quello che essi dicono anche essere il primo dio, che è insito sensibilmente nelle realtà che
sono nell’aria, e negli esseri viventi, e nelle piante, mentre nella terra si trova come semplice
disposizione. […]
L’universo ha la sua nascita quando la sostanza da fuoco trapassa in aria e poi in acqua, e infine la parte
più solida condensandosi viene a formare la terra, mentre la parte più leggera evapora e, diventando
sempre più tenue, dà luogo al fuoco; quindi, in base a mescolanza di questi elementi, si formano le
piante, gli esseri viventi e tutte le altre stirpi. Della genesi e della distruzione del cosmo parlano Zenone
nel Dell’universo, Crisippo nel libro I della Fisica, Posidonio nel libro I del Dell’universo, Cleante,
Antipatro nel libro X del Dell’universo; ma Panezio invece ha affermato che il cosmo è indistruttibile. Che
il cosmo sia razionale, animato, dotato di intelletto, lo dicono Crisippo nel libro I del Della provvidenza e
Apollodoro nella Fisica e Posidonio; ed il cosmo essendo un essere vivente di tal fatta, ciò significa che la
sostanza è animata e dotata di sensazione. Ciò che è essere vivente è migliore di ciò che non lo è; ma
nulla può esser migliore del cosmo; e quindi il cosmo è un essere vivente. È poi dotato di anima, in
quanto è evidente che la nostra anima è una sua emanazione. Tuttavia Boeto dice che il cosmo non è un
essere vivente. Che esso è uno lo dice Zenone nel Dell’universo, e Crisippo e Apollodoro nella Fisica, e
Posidonio nel libro 1 della Trattazione fisica. Quanto all’espressione “il tutto”, come dice Apollodoro,
essa può riferirsi o al cosmo ordinato o, secondo un’altra accezione, all’insieme di questo e del vuoto
esterno: e di essi l’uno è limitato, l’altro, il vuoto, è infinito.
(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 134-151; trad. it. in Gli Stoici. Opere e testimonianze, a cura di M.
Isnardi Parente, Tea, Milano 1994, pp. 782-788)
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