Catechesi adulti 13 giugno 2011

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Catechesi adulti 13 giugno 2011
Se il racconto esodico esclude di poter vedere Dio, il testo di Es 34,5-9 fa capire
come sia invece possibile conoscere il "nome" del Signore, ovvero ciò che egli è nei
confronti dell'uomo. I tredici attributi divini elencati nei vv. 7-8 dovrebbero essere
analizzati uno per uno e costituiscono un condensato di ciò che la Bibbia di Israele
pensa di Dio: «Il Signore (YHWH) - Dio - misericordioso - compassionevole - lento
all'ira - grande nell'amore - e nella fedeltà - che conserva la sua grazia per mille
generazioni - toglie l'iniquità - (toglie) la colpa - (toglie) il peccato - ma non lascia
senza punizione - punisce la colpa dei padri nei figli...». Due soli attributi sono
dedicati al Dio che punisce e fa giustizia, mentre ben undici attributi descrivono il Dio
della misericordia e del perdono.
Nei vv. 8-9 Mosè riconosce la santità e la misericordia di Dio, che divengono per
Israele l'unica via d'uscita alla costruzione del vitello d'oro; non è Israele che riesce a
convertirsi e a cambiare, ma è Dio che offre al popolo il suo perdono. Il Dio
dell'Esodo è sperimentato così come il Dio della misericordia.
riflettere insieme
Per riflettere insieme
1. Es 32,1-6 - II peccato d'Israele non è un'apostasia vera e propria: il popolo non
cerca un altro Dio, ma lo vuole visibile e tangibile. Perché avvertiamo anche noi
così forte un tale bisogno?
2. Es 32,1-6 - II vitello d'oro esprime il tentativo ricorrente di immaginarsi Dio, di
poterlo possedere, controllare e gestire, di costruirlo a immagine e somiglianza
dell'uomo. Cerchiamo anche noi di "farci" un Dio personale a cui far fare ciò che
vogliamo? Sappiamo smascherare i "vitelli d'oro" che ognuno di noi può forgiarsi
nel momento in cui non si fida pienamente di Dio?
3. Es 32,1-6 - La fede degli israeliti si mostra debole perché essi vogliono "vedere.
Anche oggi molte persone sentono il bisogno di avere "segni soprannaturali" che
diano sicurezza sulla vicinanza di Dio. Che lettura dare a questo fenomeno nel
quadro della religiosità attuale? Quali debolezze pensiamo manifesti questa
ricerca affannosa di "segni"? Siamo consapevoli che nella rivelazione di Gesù
Cristo sono già presenti tutti i "segni" necessari per la fede?
4. Es 32,9-14 - Mosè sa di non poter giustificare il popolo colpevole; si appella
quindi a ciò che Dio è e a ciò che ha fatto, alla sua fedeltà e alla sua misericordia.
La sua preghiera è fondata su Dio stesso. Che cosa pensiamo della preghiera di
intercessione?
5. Es 32,15-24 - Mosè si accende d'ira profonda alla vista di ciò che i figli di Israele
hanno fatto. Cosa possiamo fare quando scopriamo realtà di male, di peccato, di
errore grave nella nostra comunità? Nelle nostre famiglie siamo pronti a
insegnare ai giovani che il dito della condanna è da alzare verso il peccato, mentre
le braccia devono aprirsi al peccatore?
6. Es 33,9 - Dio rivela il suo nome e il suo volto nel creato, nella storia del popolo
d'Israele, ma, soprattutto, nel volto di Gesù Cristo. È in lui che i tratti della
misericordia di Dio si evidenziano e si concretizzano nel modo più pieno e
compiuto. Come cristiani abbiamo la consapevolezza degli incontri «faccia a
faccia» che facciamo con Dio quando ascoltiamo la sua parola? E quando
celebriamo i sacramenti, in particolare la riconciliazione e l'eucaristia?
Catechesi adulti 13 giugno 2011
Invocazione allo Spirito
Vieni, Spirito Santo,
manda a noi dal Cielo
un raggio della tua luce.
Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell'anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.
O luce beatissima
invadi nell'intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza
nulla è nell'uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sordido,
bagna ciò che è arido,
sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli,
che solo in Te confidano,
i sette santi doni.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona eterna gioia. Amen.
Infedeltà dell’uomo, fedeltà di Dio (Es 32-34)
IL VITELLO D’ORO (Es 32,1-14)
Il racconto si apre con una richiesta degli israeliti rivolta ad Aronne; Mosè sembra
ormai scomparso e Israele vuole farsi un Dio «che cammini alla nostra testa». In
realtà la richiesta del popolo non va intesa tanto come il desiderio di cambiare YHWH
con un'altra divinità, quanto con la volontà di crearsi un Dio su misura, che risponda
alle attese di un popolo stanco del deserto. Israele sa bene che Mosè «ci ha fatti
uscire dal paese d'Egitto» (v. 1), ma non ha compreso la portata di questo gesto né è
riuscito ad accogliere in pieno il dono della libertà. Il vitello d'oro che gli israeliti si
costruiscono non è perciò un altro Dio, ma, come esplicitamente dice il v. 4, è lo
stesso Dio «che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto». Il vitello, infatti, non è pensato
come un'immagine diretta di Dio, ma come la sua cavalcatura, il piedistallo sul quale
il Dio di Israele può sedere. Nel v. 5, infatti, Aronne ordina di celebrare una festa a
YHWH. È interessante notare che cosa può diventare il sacerdote (Aronne) quando si
dimentica del profeta (Mosè): il culto, senza l'adesione alla Parola di Dio, può
addirittura diventare perverso.
La costruzione del vitello d'oro non significa per Israele aver cambiato religione; la
sua colpa sta nell'aver preteso di ridurre il proprio Dio a schemi prefissati dall'uomo.
Il vitello non è scelto a caso: nei culti dei popoli vicini (in particolare in quelli della
terra di Canaan) il toro o il vitello sono frequentemente associati al dio Baal, che
nella Scrittura è il grande rivale di YHWH. In questo modo gli israeliti cercano di
rendere il loro Dio più simile a quello dei popoli vicini.
Proprio nel momento in cui Israele sembra aver accolto l'alleanza con il suo Dio
(Es 24) il libro dell'Esodo interviene per sorprenderci e riportarci agli episodi narrati
in Es 15-17: il popolo si ribella ancora contro il suo Dio e questa volta in modo
radicale. Il Dio che ci ha liberati dall'Egitto deve essere come noi lo vogliamo! Come
Gen 3 racconta la ribellione originaria dell'umanità, così Es 32 narra il peccato che sta
alla radice di Israele: di fronte all'esperienza della liberazione c'è il desiderio di farsi
un Dio su misura.
Nel momento stesso in cui Mosè si trova sul monte per ricevere gli ordini circa la
costruzione di una Dimora per Dio, Israele pretende di costruirsi da solo una dimora,
di colmare un'apparente assenza di Dio. Per costruire questo vitello Israele si serve
ironicamente di quell'oro che era stato preso dagli egiziani (Es 12,35) come segno
della vittoria di Dio; Israele perverte così i doni di Dio e il risultato è «darsi al
divertimento» (v. 6).
Nel testo di Es 32,7-14 è davvero di grande bellezza il dialogo tra Dio e Mosè;
mentre il Signore sembra voler distruggere il popolo a causa del suo peccato, Mosè
intercede a favore di Israele e ne ottiene il perdono. Israele è un popolo «di dura
cervice» (v. 9); l'espressione sottolinea l'atteggiamento che è alla base del peccato di
Israele, il rifiuto di piegarsi, l'indurimento che è come il risultato dell'affermazione di
se stessi e del rifiuto di ascoltare Dio e di essere guidati da lui. Si tratta davvero di un
«peccato grande» (cf. Es 32,21.30.31), che nei vv. 22-24 Aronne, con grande abilità
"sacerdotale", tenterà di scaricare interamente sul popolo.
Di fronte a questo peccato radicale che si traduce nell'aver trasformato Dio in un
oggetto, si manifesta la collera divina, ancora una volta simbolo del rifiuto di Dio nei
confronti del male. Con Mosè Dio agisce diversamente: «Di te farò una grande
nazione» (v. 10). Questa è una tentazione davvero molto sottile: lascia perdere
questo popolo, con te farò cose ben più grandi!
Mosè non cede a una simile tentazione, non segue la via di Aronne, e davanti alla
collera di Dio si appella prima di tutto al ricordo dell'uscita dall'Egitto; poi, con
grande coraggio e familiarità, chiama in causa la buona fama di Dio, che sarebbe
incrinata se gli egiziani si accorgessero che egli non è veramente in grado di salvare il
suo popolo.Infine, Mosè fa appello al giuramento che Dio ha fatto ai padri; Dio non
può mostrarsi infedele alle sue promesse.
Il v. 14 mostra come l'azione di Mosè abbia raggiunto il suo scopo: alla lettera il
testo ebraico dice che il Signore «si pentì del male che aveva pensato di fare al suo
popolo».Grazie all'intercessione di Mosè Dio è capace di cambiare! Mosè non ha
minimizzato il peccato del popolo, né ha cercato scuse; ha fatto però appello alla
fedeltà di Dio e questo appello non rimane inascoltato.
L’ALLEANZA SPEZZATA (Es 32,15-33,6)
La reazione di Mosè diviene improvvisamente violenta. La rottura delle tavole
della Legge (Es 32,15-24) è comprensibile come segno della rottura della alleanza da
parte di Israele; la collera di Dio sembra essere diventata la collera di Mosè, che
giunge sino a una vera e propria repressione armata (Es 32,25-29). Mosè agisce con i
criteri dei capi politici e religiosi del suo tempo e ritiene di dover eliminare alla radice
ogni forma di male (cf., al contrario, l'episodio evangelico narrato in Lc 9,51-56). Ma
nei vv. 30-35 Mosè si propone di nuovo come intercessore nei confronti del popolo.
In questi versetti appare per ben otto volte il termine «peccato», sempre in relazione
alla costruzione del vitello d'oro, ovvero al tentativo di ridurre Dio ai nostri schemi.
Mosè è disposto addirittura a essere cancellato «dal libro di Dio» piuttosto che separarsi dal suo popolo (cf. il bel testo del Sal 106,23). Mentre Aronne cede alle voglie
del popolo, Mosè intercede per il popolo. Il risultato immediato della costruzione del
vitello d'oro è la scoperta della distanza di Dio (Es 33,1-6): il perdono concesso da Dio
tramite Mosè non annulla le conseguenze del peccato; la presenza di Dio non è più
diretta, ma mediata, non perché egli sia lontano, ma perché il popolo è «di dura
cervice». Questi versetti servono a creare il contrasto con il testo successivo, che
insiste sul rapporto personale tra il Signore e Mosè.
MOSTRAMI LA TUA GLORIA! (Es 33,7-34,9)
Come si è visto nella nostra lettura del libro dell'Esodo, uno dei problemi più sentiti
da Israele e ben riflessi in questo libro è il problema della presenza di Dio: Israele è
giunto fino a chiedersi se «il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (Es 17,7). Mentre il
popolo cede alla tentazione di costruirsi un Dio su misura, Mosè accetta di incontrarsi
con Dio là dove egli vuole; la manifestazione di Dio a Mosè segna la risposta ai dubbi
del popolo e la decisione divina di continuare ad abitare in mezzo a Israele.
Il testo di Es 33,7-11 descrive la «tenda del convegno», una descrizione più antica
di quella della "Dimora" fatta nel cap. 25. Qui il narratore pensa realisticamente a
una vera tenda, piccola e mobile, segno di un Dio che viene incontro al suo popolo e
lo accompagna. È qui che Mosè può incontrarsi con lui familiarmente «come un
uomo parla con un amico» (Es 33,11).
Il testo di Es 33,12-17 contiene un'ulteriore preghiera di Mosè, la terza in questa
parte del libro: «Indicami la tua via, così che io ti conosca... considera che questa
gente è il tuo popolo!». Alla preghiera di intercessione (Es 32,11-13.31-32) si
aggiunge la richiesta di "conoscere" il Signore e, poco più avanti, che il Signore
«cammini» con il suo popolo (Es 33,15 e più esplicitamente in Es 34,9). La risposta di
Dio è significativa; il testo ebraico di Es 33,14, dice alla lettera: «Il mio volto
camminerà con voi e ti darò riposo». L'ardita richiesta di Mosè viene così esaudita e
Dio sembra ubbidire a Mosè! Dio si rivela come un volto, una presenza amica che
cammina accanto al suo popolo, non dunque un Dio astratto e statico, un'idea in cui
credere e per cui combattere, ma una persona viva e presente, che conosce l'uomo
per nome (Es 33,17). Questo ancora non basta (Es 33,18-23); il desiderio di Mosè
diviene esplicito al v. 18: «Fammi vedere la tua gloria!». "Gloria" è un termine che in
ebraico proviene da una radice che significa "pesante"; la gloria è il "peso" di Dio, il
modo con il quale il Signore si rivela nel mondo prima di tutto attraverso i fenomeni
della creazione. Vedere la "gloria" di Dio significa vedere Dio stesso, incontrarlo
faccia a faccia, una richiesta unica nell'Antico Testamento. Il testo dell'Esodo conosce
almeno in parte questa possibilità, come si è visto in Es 24,9-11 e dunque non
esclude del tutto la possibilità di "vedere" Dio. Qui la prospettiva è invece del tutto
negativa: la risposta di Dio (Es 33,19-23) è chiara; la gloria di Dio, il suo volto, non
può essere visto. Se Dio è un volto che cammina davanti all'uomo solo le sue
«spalle» si possono vedere. È evidente come il libro dell'Esodo si serva di un
linguaggio simbolico; di Dio si può infatti parlare solo per analogia. Il prologo di
Giovanni (in particolare Gv 1,18) insisterà molto su questa invisibilità di Dio che si è
reso visibile in Cristo, Parola fatta carne.