1 Mirelle circa 1994 «Mangia qui. Farai a meno di mangiare dopo
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1 Mirelle circa 1994 «Mangia qui. Farai a meno di mangiare dopo
13 Mirelle circa 1994 «Mangia qui. Farai a meno di mangiare dopo, dagli altri». Sorrideva Mirelle in quel tardo pomeriggio in cui Igor era passato solo per salutarla e lei, con la sorella Linda ambedue nubili, gli aveva imbandito il tavolo. Ma era serissima nella sua asserzione, per averle lui fatto notare che poco dopo doveva andare a cena da amici. Eh sì, invitato a cena da amici arabi e non mangiare avendo già mangiato. Più che mai naturale. Per non inficiare il rapporto d’amicizia e sicuro di non essere capito, si era trattennuto dal chiedere a Mirelle come avrebbe accolto una tale giustificazione se fosse stato invitato a cena da lei e vi fosse giunto ben satollo. Quella volta Igor era giunto a Damasco da qualche giorno avendo in programma di raccogliere materiali e informazioni su una lega di scrittori siriani degli anni Cinquanta. A questo scopo, la sera era stato invitato a cena per un’indagine preliminare dall’amico ‘Adel, giornalista, scrittore e storico della letteratura che s’era occupato dell’argomento e che in seguito l’avrebbe introdotto alla narrativa di Mohammed Najjàr. Essendosi trovato un’oretta buca nel quartiere cristiano di Qassaa, aveva pensato di passare a salutare Mirelle. Ma ora, davanti a quel tavolo imbandito, se ne stava pentendo. E Mirelle, riempendogli il piatto: «Come sta quel simpaticone del tuo Prof? Da un po’ non si fa vivo. L’ultima volta, mesi fa, era venuto portando la chitarra e ci aveva cantato alcune sue canzoni in arabo». Continuando ad associare, Igor ricordava l’ardua conversazione che casualmente ne era sortita subito dopo, quando la non più verde signorina damascena gli aveva confidato di quanto si sentisse europeizzata, se non europea. E gli aveva fatto l’esempio di come – qualche settimana prima – trovandosi in un ristorante di lusso con un gruppo di amici siriani, accanto a una tavolata di europei, lei avesse confessato a sua sorella di sentirsi nella tavola sbagliata, di non provare affinità per quegli amici siriani e di sentire più a sé confacente la compagnia di quegli stranieri. Già – aveva pensato tra sé Igor – molti cristiani di scarso intelletto qui hanno questa convinzione e lei non può essere da meno. «Quand’ero ragazza un giovane francese mi corteggiava e se l’avessi sposato sarei divenuta europea completamente. Ma Iddio non ha voluto che mi sposassi. Né con lui né con altri. È stata la volontà di Dio a cui noi tutti dobbiamo soggiacere». Concetto molto islamico della cristiana Mirelle – si diceva Igor – sempliciotta più che mai, come tante donne arrivate ai cinquanta senza aver vissuto. Rimaste infantili di buon grado e forse, anche, sognando ancora il grande amore. Da qui il discorso, banale fino a quel momento, aveva assunto una piega diversa quando – alla volontà di Dio – Igor aveva opposto, senza prevederne le conseguenze: «Oppure, il destino, la sorte, il caso, la fortuna, i caratteri se si sente la necessità di dar la colpa a qualcuno o a qualcosa per qualsiasi evento o mancato evento». 1 Momento d’incertezza nelle due sorelle, poi Mirelle: «Avviene e non avviene solo quel che Dio vuole e non vuole». Igor era uscito con quanto poi l’avrebbe fatto pentire: «Sì, per voi che credete nell’esistenza di un ente creatore, concetto che mi trova scettico». Occhi sbarrati da parte delle due nubili religiose signorine. «Ma no!», aveva esclamato Mirelle. Era scappato lasciandole a bocca aperta, senza però che riuscisse a scapolare un invito a cena “per chiarire e magari ricredersi su una affermazione così sconcertante”. «Igor, io ho sempre pensato che chi non crede in Dio deve essere una persona cattiva. Ma tu non sei cattivo, anzi, è proprio il contrario a quanto ti conosco. Strano. Comunque, se non credi in Dio, in che cosa credi? Nel destino, nel caso, nella sorte, nella fortuna, come dicevi l’altro giorno?». Sere dopo Igor – suo malgrado – era a casa di Mirelle. Con tutt’e due le sorelle, Linda e Cristina in ghingheri. Solita strippante cena di solite tante cose, con alla fine una iperdolce bomba calorica a base di burri, creme, mieli e nocciolerie varie. «Guarda che è un dolce buonissimo. Speciale da Aleppo, portato da mia cugina. Sai, i dolci di Aleppo… E non dirmi di aver mangiato tanto, perché non è vero. Non hai mangiato quasi niente. Assaggiane un po’, perché è veramente buono e non sai cosa perderesti». E giù una spatolata da tre etti che lui si sarebbe perso volentieri. Si trovava in una di quelle frequenti situazioni in cui gli saliva – come un irrefrenabile rigurgito – l’istinto di strangolare il padrone, o la padrona, di casa. Istinti precoci alla sua ancor relativamente giovane età arabistica. Che il Prof – alla sua non più giovane età arabistica – riusciva ancora a dominare. Spesso, accortamente e diplomaticamente, tagliando la testa al toro evitando le occasioni. Nel limite del possibile. E con il conclusivo caffè, tè o zuhuràt, l’infuso d’erbe, ecco le tre grazie arrivare ai discorsi seri, condotti da Mirelle, capograzia. «Davvero, Igor, pensi di non credere? A mio avviso sei troppo buono perché tu non abbia la fede. Che forse è latente e ha bisogno di un qualcosa, di un intervento di Dio stesso per manifestarsi», aveva ripreso Mirelle, da dove lui l’aveva piantata l’ultima volta. Igor s’era ben pentito di essersi manifestato almeno scettico in quel modo riguardo la fede. Ma s’era pentito ancor di più per aver innescato quell’argomento da lui considerato sempre da evitare – specie con persone di opposte idee e scarso acume – in quanto poteva durare all’infinito, ciascuno sostenendo con forza le proprie ragioni, senza arrivare mai, ovviamente, a una conclusione concorde. Tutt’altro. E spesso con almeno una delle parti che – sì – sarebbe andata avanti a oltranza convinta d’avere in mano la verità che non poteva, prima o dopo, che essergli riconosciuta. Ergo – concludeva Igor – discorsi perfettamente inutili, perditempo e pure motivo d’agitazione. 2 Ora, per non agitare ulteriormente le pie donne, stava attenuando la propria posizione, buttata d’impulso. Non proprio ateo, dunque. Forse agnostico. O solo scettico. E s’era sentito in dovere d’aggiungere – tanto per acquietar la platea, quanto perché in fondo così la pensava – di non essere soddisfatto di questa sua posizione, poiché “credere in Dio è molto meglio per l’individuo piuttosto che non crederci. È più tranquillizzante pensare a una proseguimento dell’effimera esperienza terrena di fronte all’eternità. Al fatto che tutto non finisca con la morte, mitigandone l’intrinseca tragicità e l’angoscia che nasce nell’uomo al solo pensarci”. Filosofia un tanto al chilo, naturalmente. Ma adeguata a quel suo pubblico. Comunque non poteva fare a meno di aggiungere qualcosa che – razionalmente suo malgrado – sentiva di dover dire: «Certo, quanto sto per affermare fa parte del complesso del mio scetticismo. Mirelle, l’altro giorno sostenevi che non ti sei sposata perché così Dio ha voluto. È un’affermazione in assoluto che si basa sulla tua fede. Quindi, indiscutibile da quel punto di vista. Io avevo parlato di destino e sorte, e poi di caso e fortuna. Ma – riflettendoci – questi sono tutti concetti che secondo me valgono a posteriori e non perché così stava precedentemente scritto in chissà quale libro del destino. Opterei più per il caso. Ma non in quanto io debba crederci, al caso, bensì perché è un dato di fatto – sempre a mio avviso – che molti eventi siano dovuti alla pura casualità». Mirelle: «Allora tu credi al caso?». «Forse. In un certo senso. Anche se mi vien da pensare che credere nel caso in fondo significhi non credere a niente. In quanto non c’è niente da credere nel caso. Il caso è il caso e basta. E qui si rischia di cadere nel nichilismo che forse è peggio dell’ateismo». Sempre un tanto al chilo. «E la fortuna? Cos’è per te?». «La fortuna potrebbe essere un qualcosa di analogo al caso, su cui si può argomentare a posteriori. Io posso dire di essere stato abbastanza fortunato nella mia vita. Ed è un dato di fatto, perché questa mia opinione si basa su quanto è accaduto. Posso dire di sperare di essere fortunato anche nel futuro, ma non è un credo, ovviamente. È solo un auspicio. Uno è stato fortunato perché gli è andata bene fino a quel momento. Ma non ha senso pensare che quel tal fortunato continuerà a esserlo. Al massimo potrà, appunto, sperarlo. La sua passata fortuna potrà continuare come no. Ma questo lo si potrà constatare solo successivamente. La speranza dunque, tra le virtù cosiddette teologali, è quella che val la pena l’uomo mantenga. Anche se per me non è facile pensare a una speranza al di là della vita nel concetto proprio della virtù teologale per cui l’uomo desidera e si aspetta da Dio la vita eterna come propria felicità». Paraponziponzipon. «Invece per me è proprio questa la speranza fondamentale per cui val la pena di vivere guardando solo all’Aldilà». Altro concetto islamico. «Son contento che ti tranquillizzi pensarla così. Chissà che un giorno anch’io…», sorridendo. «Sai Igor, io penso che in fondo tu sia sulla buona strada della fede. Vedrai che pian piano Dio farà cadere gli ostacoli che ti precludono di credere pienamente. Son certa che tu crederai col tempo». 3 «In sha’ Allàh», concluse lui. Le due sorelle avevano ascoltavano serie senza mai intervenire. E forse senza neanche seguire pienamente le chiacchiere. Riflettendo su quei lontani ricordi di Paola, di Mirelle, Igor era giunto a far ‘scarpetta’ sulle ultime tracce di hòmmos e mutàbbal rimaste nel piatto. Poco dopo s’era addormentato sul divanetto di casa tra i fogli del dattiloscritto di Shkar, il racconto di Mohammed Najjàr che aveva cominciato a leggere. (continua alla prossima) 4